UN AMORE DI MOSTRO

di Fiore Blu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un cruento incontro ***
Capitolo 2: *** Rivali ***
Capitolo 3: *** Eroe ***
Capitolo 4: *** Incomprensioni ***
Capitolo 5: *** Incubo ***
Capitolo 6: *** Dubbi ***
Capitolo 7: *** Passato ***
Capitolo 8: *** Grazie ***
Capitolo 9: *** Quasi amici ***
Capitolo 10: *** Io per te ***
Capitolo 11: *** Solo un ricordo ***
Capitolo 12: *** Segreto ***
Capitolo 13: *** Pericolo ***
Capitolo 14: *** Emozioni ***
Capitolo 15: *** Resta con me ***
Capitolo 16: *** Le parole che non ho detto ***
Capitolo 17: *** Non lasciare la mia mano ***
Capitolo 18: *** Istinto ***
Capitolo 19: *** Speranza ***
Capitolo 20: *** Il piano ***
Capitolo 21: *** Convalescenza ***
Capitolo 22: *** Minaccia mortale ***
Capitolo 23: *** Attesa ***
Capitolo 24: *** Istinto materno ***
Capitolo 25: *** Separazione ***
Capitolo 26: *** La resa dei conti ***
Capitolo 27: *** Per sempre ***



Capitolo 1
*** Un cruento incontro ***


 
Un amore di mostro 
 
 

 

 

Capitolo 1
 
 
Un cruento incontro

 
 
 
 
 
Il mio primo giorno nella nuova scuola, non fu propriamente normale.
Il collegio in cui mi avevano spedita i miei, era una specie di carcere, per me, perché ero una dei pochi studenti entrati grazie ad una borsa di studio, e quindi ero già consapevole che sarei stata costretta a frequentare giorno per giorno, gente totalmente diversa da me, e abituata ad un altro tenore di vita.
Per esempio, la mattina del primo giorno di apertura  –  che non era la prima mattina dopo le vacanze estive, perché queste si passavano nel collegio stesso  –  era d’obbligo una specie di cerimonia, dove tutti gli studenti e il collegio amministrativo scolastico (preside, professori, collaboratori scolastici, finanziatori e rappresentanti), si incontravano per dare luogo ad una specie di cerimonia di benvenuto, e proprio in quel frangente,lo studente con il massimo dei voti in tutte le materie avrebbe dovuto fare un breve discorso, seguito poi da tutti i rappresentanti più il preside.
Nella mia vita avevo lasciato fuori qualsiasi cosa. Amici, hobby, e … ragazzi.
Nel mio mondo c’ero solo io, io e l’ossessione per i voti.
“Tesoro, sei stata la più brava! Allora sei la nostra stella! … Continua così e diverrai una persona di spicco che ci renderà fieri di te! … Sei la migliore, continua ad esserlo, non deluderci”. I miei genitori avevano sempre voluto il massimo da me, spronandomi a fare sempre meglio.
Poi successe l’irreparabile, ed io mi ritrovai a vagare per l’entrata principale del collegio più in e più restrittivo e soffocante della terra: l’Orpheus.
La struttura era circondata da un parco bellissimo e verdeggiante, le aule erano spaziose e luminose, ben ordinate e con ottimo materiale, i corridoi larghi e con armadietti blu oltremare dipinti alla perfezione, la palestra era gigantesca, munita di docce, spogliatoi, stanzette per il materiale e attrezzi nuovi di zecca.
Le stanze dei dormitori erano singole e perfettamente ammobiliate con un letto ad una piazza e mezza, un armadio, uno scrittoio, e naturalmente un bagno.
La mensa era davvero di classe con tavoli ampi e grigio chiaro, e il cibo era davvero ottimo. Durante l’anno erano previsti gite, uscite didattiche per lo studio della natura, corsi di cucina, teatro, musica, cucito.
Le lezioni si tenevano di mattina dalle otto alle tredici, e dopo la pausa pranzo ogni studente poteva scegliere se ritirarsi per studiare o frequentare uno dei club disponibili.
Insomma … non era affatto un carcere per quanto riguardava l’organizzazione o la “vita” lì.
Questo era ciò che spiegava il volantino di presentazione, consegnatomi da mio padre, in auto, prima di scaricarmi lì.
“Tesoro, questa è la tua opportunità. Cambiare aria ti farà bene, e stare tutto il tempo a contatto con il sapere, aiuterà il tuo geniale intelletto ad evolversi e a superare i tuoi limiti!”.
Niente “Mi mancherai tanto, ti voglio bene” oppure “Spero che ti piaccia andare qui, e spero che non ti sentirai sola”.
Avevo annuito decisa, mascherando l’amaro che avevo in bocca, e poi avevo sbattuto forte lo sportello della Fiat Panda bianca e vecchia di mio padre.
Mia madre non era venuta a salutarmi, ma mi aveva fatto il suo discorsetto la sera prima, dicendomi più o meno le stesse cose che mi aveva detto papà.
Mi guardai intorno, in cerca della sala immensa che avrebbe ospitato gli ottocento studenti frequentanti il collegio.
Probabilmente ero in ritardo, perché tutti gli studenti erano già allineati, schiena dritta e petto in fuori, con l’aria di chi sa di appartenere alla nobiltà.
Le bionde ossigenate con capelli assurdi, erano presenti in gran numero, e i ragazzi alti, possenti e altezzosi che lanciavano sguardi incuriositi verso parecchie delle loro compagne, che innocentemente avevano dimenticato di allacciare gli ultimi bottoni delle loro camicette striminzite.
Naturalmente c’erano anche ragazzi normali, con una statura normale, che avevano una divisa normale che guardavano ragazze normali che avevano allacciato tutti i bottoni in modo normale.
Sì, anche loro appartenevano alla classe High.
Mi scoraggiai subito.
“Chissà se tutti questi ragazzi ricchi hanno anche ricchi risultati in ambito scolastico!” mi domandai, cominciando a sentirmi a disagio.
«Buongiorno a tutti voi, cari studenti e benvenuti alla ventitreesima cerimonia di apertura del Collegio Orpheus. Quest’anno …» il preside, che aveva preso parola dall’alto di un palco, era un uomo dall’aspetto fiero e intransigente, ed era sudato in maniera rivoltante. Era sicuramente agitato anche se dalla sua voce non traspariva, ma il suo nervosismo, traspirava di sicuro dalla sua pelle olivastra e lentigginosa.
Il suo discorso durò a lungo, e fu ricco di ringraziamenti e di inviti per i rappresentanti a prendere parola.
La cerimonia si dilungò per circa un’ora, e poi verso la fine, dopo che tutti ebbero salutato la platea di studenti assonnati e annoiati a morte, il preside riprese la parola.
«Bene, ora sono orgoglioso di presentarvi lo studente che l’anno scorso ha ricevuto i voti più alti in tutte le materie, vincendo gare di decatlon di scienze, e arrivando primo nel punteggio del credito scolastico» il mio cuore perse un colpo.
Avevo avuto il massimo dei voti in tutte le materie l’anno precedente, nella mia scuola, e avevo vinto parecchi decatlon, inoltre il mio credito scolastico era eccellente … possibile che … !?
L’idea di salire su quel palco e di salutare i miei nuovi compagni da vincitrice e non da nuova arrivata povera, mi allettava come la nutella spalmata sul pane bianco e immerso nel latte caldo.
Possibile che io …
«Inoltre, ha ricevuto un riconoscimento per aver commentato brillantemente l’ultima scoperta sui neutrini, commento pubblicato su un quotidiano scientifico di qualche mese fa. Ha vinto, arrivando primo, le gare scolastiche di salto in alto, salto in lungo, cento metri, staffetta, pallavolo, pallanuoto, basket. Ha conseguito con il massimo dei voti, l’esame di patente europea ECDL del computer. E infine si è dimostrato eccellente nelle arti, realizzando pezzi musicali e opere d’arte davvero notevoli» impallidii.
Una persona del genere non poteva esistere!
Era inumano essere bravi, anzi i migliori, in tutti quei campi.
Era assolutamente impossibile!
Non era normale essere tanto esperti in tanti campi, non era normale essere i migliori in tutto … in tutto! Non era … non ero io la studentessa più brava di quella scuola. Non ero la migliore, non lo ero.
Punto.
«Signor Lucius Yuki Bell, la prego di avvicinarsi al microfono, e di salutare gli studenti, spronandoli a prendere esempio!» disse fiero il preside, abbracciando tutta la folla con il suo sguardo febbrile. 
Lucius Yuki … che razza di nome era? Era bizzarro, totalmente incoerente, ma … singolare.
Era quasi affascinante, composto da un nome nordico e da un nome orientale. Yuki.
Giapponese, era un nome giapponese. Mi chiesi immediatamente che aspetto avesse, immaginando che sua madre o suo padre fossero giapponesi.
Magari era un tipo basso e magro, con un fisico forte e agile.
Il viso sarebbe stato un miscuglio tra gli occhi a mandorla tipici degli orientali e gli occhi azzurro ghiaccio dei nordici. I capelli sarebbero stati biondi oppure neri, o magari entrambe le cose …
All’improvviso nella mia mente si formò l’immagine di una specie di mostro. Il ragazzo-genio si materializzò nella mia mente, sottoforma di uno sgorbio orrendo e sformato.
Incuriosita volsi lo sguardo al palchetto. Nessuno si era ancora avvicinato.
«Signor Bell, si avvicini prego» lo incitò il preside, ancora più sudato, ancora più frenetico nei movimenti.
«Ultima chiamata per il signor Bell!» sbottò esasperato. Intanto intorno a me, tra gli studenti si alzò un vociare fastidioso.
Le ragazze bionde ossigenate si guardavano intorno, sognanti ed eccitate, con l’ammirazione e le stelline negli occhi ricoperti di “stucco”, come di solito determinavo quel quintale di trucco che appesantiva gli occhi delle mie coetanee vanitose.
I ragazzi, invece, se la ridevano, e scambiavano commenti con i loro vicini di posto, ragazze comprese.
«Secondo me se l’è squagliata perché aveva troppa paura di parlare davanti a tutti!».
«Ma sei scemo! Bell … spaventato? Guarda che è lui quello che fa spavento!».
«Già forse hai ragione». Dicevano due.
«Spero che si presenti quel bellimbusto, vorrei tanto mandarlo a quel paese in pubblico!» diceva una lady bionda e molto arrabbiata ad un’altra.
«Ancora con quella storia? Non prendertela Jane, alcune voci dicono che sia gay!» rispondeva l’amica.
«Sei impazzita? Non è proprio possibile! L’hai guardato bene? Quello stronzo non è affatto gay!»rispondeva civettuola la prima.
O ancora : «Spero tanto che non si presenti, lo odio quel bastardo!».
«Già, è troppo pieno di sé, non lo sopporto».
Opinioni diverse e contrastanti.
Vigliacco, mostruoso, stronzo, figo, gay, bastardo, pieno di sé … beh aveva una bella reputazione! Magari scoprivo che sapeva persino volare!
«Sai … » mi sentii toccare il braccio, e mi voltai verso la ragazza dai lineamenti orientali che mi stava accanto. « … spero che Yuki - sama si presenti. Non voglio che gli altri sparlino di lui in questo modo. Lui è … un splendida persona» i suoi occhi erano tristi e preoccupati, e nonostante fosse davvero carina e ben vestita, dal fisico snello e dagli occhi intelligenti, la ragazza del sollevante sembrava a disagio.
«Yuki – sama?» cercai di non sembrare fredda. I rapporti interpersonali non erano mai stati il mio forte. D’altro canto non avevo mai sentito il bisogno di farmi degli amici.
«Sì, … oh scusami tanto. Il fatto è che sono in questo collegio solo da due anni e ogni tanto mi sfugge qualche parole in giapponese. “Sama” è una forma di rispetto per qualcuno di superiore o di più anziano» spiegò velocemente, sorridendo timidamente.
La cosa mi incuriosì. Ai terribili aggettivi di prima, come bastardo o mostruoso dovevo aggiungere anche … splendida persona? Contrastava davvero tanto con … stronzo!
«Capisco» annuii. La ragazza sembrò illuminarsi. I suoi capelli lunghi e lisci, di un nero lucente, ondeggiarono sulle sue spalle.
«Io mi chiamo Mayu e tu?» chiese amichevole, con la sua vocina acuta da giapponesina. Gli occhi neri fissi nei miei, marroni ed esitanti.
«Ania» farfugliai, rivelando il mio diminutivo. Non volevo spaventare la gente con il mio nome, lungo e orrendo. Almeno mi sarei data tempo per socializzare prima di presentarmi in classe, quando il professore di turno, avrebbe recitato il mio nome come una poesia, facendo sghignazzare tutti i miei compagni, come accadeva sempre.
«Sei nuova, vero Ania?» chiese gentile. Io annuii.
«Il tuo amico … dov’è? Il preside sta impazzendo, sembra disperato!» scherzai.
«Oh no! Yuki – sama non è affatto mio amico. Anzi. Lui non ha amici. Tutti dicono che fa paura, per questo gli stanno lontano. Ma in realtà sono tutti in errore. Yuki – sama non fa del male alla gente senza motivo» disse la ragazza.
Bene, dalle sue parole capii che lo stava proteggendo dal mio giudizio affrettato.
Questo Lucius Yuki Bell faceva paura, e faceva del male se gli si proponeva un buon motivo. Eppure la ragazza ne parlava con riverenza quasi, come se fosse davvero un suo superiore.
E poi … non aveva amici. Beh, non mi sembrava strano. In fondo non ne avevo neanche io.
Una donna in tailleur, si avvicinò di soppiatto al preside disperato, e chinandosi su di lui, dal metro e ottanta che le regalavano i tacchi neri, bisbigliò qualcosa.
Il preside annuì, e sussurrò nel microfono, senza farlo apposta, il suo disappunto.
«Non cambierà mai! È davvero incorreggibile!» poi rivolgendosi a noi tutti con un «Andiamo avanti» si immerse nella lettura di nuovi ringraziamenti, fino alla fine della cerimonia.
Prima, la delusione e poi la curiosità, scaturite da questo misterioso personaggio, mi fecero sentire diversa, interessata per la prima volta a qualcosa di estraneo da un compito o da un libro.
Era diverso.
«È stato un piacere conoscerti, Ania. Spero che faremo amicizia» sorrise Mayu.     
«Sì» sussurrai. Poi lei prese la sua strada ed io la mia.
Non conoscevo nessuno a parte Mayu, ma non mi ero azzardata a chiederle di farmi da guida. Non volevo che pensasse che non sapessi cavarmela da sola.
Uscii dall’auditorium e mi incamminai verso il parco. L’aria era fresca, ma non fredda. Era rilassante.
Tutti gli studenti si erano riversati in mensa, ma io non avevo decisamente fame.
Decisi invece di godermi il panorama del parco e della scuola.
Sembrava un castello visto da fuori, e i dormitori erano davvero eleganti.
E pensare che mi trovavo lì solo grazie al mio impegno e alle ore impiegate nello studio costante!
Il parco era davvero grande. Gli alberi erano secolari e ben curati. C’erano olmi, querce, faggi e anche dei ciliegi rosa.
L’erbetta era brulla in alcuni punti e selvaggia in altri, ma nell’ultimo caso costeggiava cespugli di rose o arbusti.
Il cielo si intravedeva tra i rami e il sole filtrava la luce tra le foglie, creando bellissimi giochi di luce sui tronchi e sull’erba. Era quasi magia.
Mi voltai di scatto, quando il pensiero di essermi persa si insinuò in me.
La scuola … non riuscivo più a vederla perché gli alberi erano troppo fitti in quel punto.
Poi …
Guardandomi intorno, scorsi un ragazzo addormentato, abbandonato tra le radici di un grande e bellissimo ciliegio.
Sembrava così sereno e rilassato che temetti di svegliarlo, tanto era meraviglioso il suo riposare.
La sua bellezza era disarmante.
I lineamenti erano morbidi, delicati e nobili. La sua pelle sembrava non avere pori, diafana e perfetta. Vellutata. Sembrava emanare luce, come un angelo.
Le labbra disegnate, di un caldo colore, a metà tra il marrone e il rosa.
Il naso dritto ed elegante, gli zigomi alti, le guance asciutte.
I suoi occhi avevano una forma dolce, sembravano essere due fessure perfette e armoniose, incorniciate da ciglia lunghe e scure.
I capelli, di un biondo cenere che si scuriva sulle punte e alla base del collo, sembravano leggeri e morbidi, e cadevano, in tutta la loro lunghezza sul viso, a mo’ di ciuffo, conferendogli un non so ché di seducente e allo stesso tempo delicato.
Il corpo, steso supino sull’erba soffice, era smilzo ma vigoroso. Le braccia lasciate lungo i fianchi e le gambe intrecciate, una in equilibrio, con il ginocchio piegato e l’altra leggermente piegata a terra.
La testa appoggiata con la tempia all’albero.
«Wow» sussurrai senza accorgermene.
Il ragazzo misterioso e bellissimo indossava la divisa scolastica.
Pantalone grigio argento, camicia grigio perla e giacca blu. Le scarpe nero lucido.
Non volevo svegliarlo, così indietreggiai, cercando di andarmene.
A me i ragazzi non dovevano interessare. Non dovevo distrarmi.
E non volevo nemmeno svegliare quella specie di alieno bellissimo.
Intanto dietro di me sentii dei passi avvicinarsi. Non vedi nessuno, così mi affrettai ad andarmene, ma …
Inciampai in un ramoscello e caddi sul fondoschiena con un tonfo imbarazzante.
Il ragazzo aprì gli occhi, di scatto, come fosse sveglio da un pezzo.
Il grigio chiari dei suoi, cambiò repentinamente, scurendosi verso il blu  … non seppi dirlo al momento … ma mi investì come un vento gelido, come una bufera di neve o semplicemente come un proiettile.
Restai immobile a fissarlo da seduta.
Nonostante anche lui fosse a terra, sembrava torreggiare su di me, sovrastandomi.
Pochi metri ci dividevano.
I suoi occhi avevano un taglio particolare, sembravano due fessure, nonostante fossero spalancati.
«Cos’hai da guardare?» disse brusco. La sua voce era profonda, seducente ma anche … spaventosamente fredda.
«Ni … niente, scusami!» sussurrai quasi, ma lui riuscì comunque a sentirmi.
«Cosa sei venuta a fare qui?» sembrava adirarsi sempre di più, la sua voce era ancora più glaciale. L’avevo disturbato e fatto arrabbiare di brutto.
“Bel caratterino!” pensai.
Mi alzai di scatto, e presi a correre nelle direzione opposta.
«S … scusami tanto» gridai voltandomi un’ultima volta verso di lui. Poi …
Andai a sbattere contro qualcosa di grande, ma non era un albero.
Finii di nuovo a terra, con un gemito. Il mio fondoschiena ne aveva abbastanza.
«E tu chi saresti? Mi hai sporcato la giacca razza di scarafaggio!» tuonò sua grassezza, un ragazzo tarchiato con un peso forma inesistente, grasso, brufoloso e … arrabbiato.
La cioccolata che stava sorseggiando, era sparsa sulla sua giacca blu, e il colore marrone scuro creatosi, richiamava molto quello delle sue pupille, circondate da ciglia biondissime, come i capelli corti.
Il suo sguardo mi lasciò un secondo e si posò alle mie spalle.
«Ti ho trovato razza di bastardo! Abbiamo un conto in sospeso io e te. Ma prima … » si abbassò goffamente e mi prese un braccio violentemente, facendomi alzare con uno strattone.
«Ehi!» sbottai, dimenandomi per liberarmi.
«Però … per essere uno scarafaggio hai energia!» Mi schernì, stringendo la presa «E sei anche carina! Sei la ragazza di quel mostro? Povera te!» scoppiò a ridere e poi mi attirò a sé. Oh no … voleva … baciarmi!
«NO!» urlai, ma prima che potesse accadere l’irreparabile, mi sentii strattonare via.
L’angelo, poco prima addormentato, si scagliò come una saetta verso il ciccione e lo colpì in pieno viso con un pugno fortissimo che lo fece roteare e fece cadere il ragazzone.
Poi, non contento, il ragazzo dagli occhi grigi, si abbassò su di lui e prendendolo per il colletto, con una forza impossibile da credere per un corpo tanto delicato alla vista, lo fece alzare da terra, e poi lo colpì sullo sterno. Il suoi bicipiti sembrarono gonfiarsi di poco, rendendo quella scena ancora più inverosimile. Il ragazzo della cioccolata, si alzò dileguandosi.
«Me la pagherai razza di demone!» intimò mentre correva.
Demone.
Forse era un nomignolo più appropriato per il ragazzo violento che poco tempo prima, mentre era addormentato, avevo scambiato per un angelo.
Avevo il cuore che mi batteva all’impazzata, ed ero diventata rossa come un peperone.
Mi sentii prendere per le spalle, e trasalii.
Dopo quella scena davvero violenta, avevo paura facesse del male anche a me.
Mi aiutò ad alzarmi e poi mi fissò ancora intensamente. I suoi occhi erano imperscrutabili.
«Gra …» azzardai.
«Vattene!» sbottò seccato, indifferente «Voglio essere lasciando in pace! Non mi piace essere svegliato! Chiaro ragazzina?» era davvero irritato, ma non si scompose più di tanto. Bastò il tono che aveva per farmi impallidire.
«Mi dispiace» farfugliai «vedi … sono nuova e … mi sono persa nel parco. Non volevo svegliar …».
«Non mi interessa chi tu sia … voglio solo essere lasciato in pace!» rispose secco e scontroso. Tralasciai il fatto che mi avesse chiamata “ragazzina” solo perché mi aveva appena salvato da un primo bacio orrendo e assolutamente non voluto.
«Va bene!» pigolai. Mi sentivo offesa dal suo comportamento «Grazie comunque per prima. Addio» dissi titubante e poi gli voltai le spalle.
«Nts …» lo sentì lamentarsi, e poi senza degnarmi di uno sguardo mi passò davanti, incamminandosi chissà dove. Seguii con lo sguardo la sua andatura elegante e di portamento, e mi meravigliai di quanto fosse alto e … di quanto fosse bello, avevo provato attrazione anche quando mi aveva aggredita.
Sospirai quando lui sparì.
Allora mi incamminai nella stessa direzione, e ritrovai la scuola.
 
 
 
                                                   **************
 
 
 
La giornata alla Orpheus era terminata e finalmente mi sarei potuta incamminare verso il dormitorio.
Tutti gli studenti si trascinavano lungo i corridoi, apatici.
Sulle scalinate dell’uscita, però c’era un’atmosfera tesa, e mi accorsi immediatamente che intorno a me, tutti i ragazzi erano eccitati e incuriositi da qualcosa che stava accadendo non molto lontano da dove mi trovavo.
«Allora! Piccolo miserabile … dov’è il tuo padrone? Voglio spaccargli la faccia assieme ai miei amici! Diccelo! Diccelo! Dove si è nascosto?» il ciccione di quella mattina, colui a cui il “demone” aveva dato una bella lezione, teneva per il bavero un ragazzino gracile e con gli occhiali, ed era circondato da altri ragazzacci dallo sguardo imbestialito.
«I … io non so niente … io … non ho un padrone … mettimi giù, ti prego, ti prego!» squittiva il ragazzino. Nessuno dei presenti interveniva, nessuno diceva nulla.
Alcuni studenti passavano addirittura davanti, senza guardare, impegnati nei loro affari.
«Va bene» sogghignò il ragazzone, preparò un gancio, diretto proprio al ragazzo occhialuto.
Una saetta si fece largo tra la folla, e riconobbi i capelli color biondo cenere.
Il “demone”.
Occhi grigi, fermò il braccio del ragazzone e lo impietrì con gli occhi.
Poi scoppiò un rissa.
Il ragazzo che avevo visto dormire nel parco, scagliò un pugno al grassone, atterrandolo all’istante,  e poi si occupò degli altri ragazzi.
I suoi avversari sembravano molto più grandi e corpulenti di lui, ma nonostante ciò caddero a effetto domino sotto i suoi pugni e calci.
La violenza che emanava il “demone” dagli occhi di ghiaccio, sembrava distruttiva e alimentata da un odio profondo e velenoso.
C’era qualcosa di disperato nei suoi colpi, come se picchiando quei bulli potesse far cessare una sofferenza nascosta, e allo stesso tempo alimentarla.
Il ragazzino, in ginocchio ai suoi piedi, si teneva la testa, tremante, e cercava di allontanarsi, ma le gambe gli tremavano convulsamente.
«Basta! Che succede? Che sta succedendo !?» il preside, seguito da uno degli insegnanti presentati alla cerimonia d’apertura, si intrufolò tra la folla, inchiodando il ragazzo bellissimo con lo sguardo.
«Lucius! Smettila, basta!» urlò l’insegnate donna, con un tono a metà tra l’affettuoso e l’impaurito.
«Signor Bell! Questo atteggiamento è davvero inconcepibile e totalmente incivile! Lei è davvero un violento!» lo rimproverò il preside con sdegno.
Lucius? … Quel ragazzo bellissimo e violento si chiamava Lucius! Era cruento e forte, ed era bellissimo e virile … lui era Lucius Yuki Bell, il genio che aveva vinto tutti quei premi, il ragazzo che aveva avuto i voti più alti in tutte le materie!
«Voglio sapere qual è stata la causa di tutta questa carneficina!» il preside era paonazzo.
«Si … signor White, lui mi ha … solo aiutato» balbettò il ragazzino con gli occhiali, indicando Lucius.
«Questo è alquanto irrilevante» rispose freddo il preside, fulminando il ragazzo.
«Signor Bell … visti i suoi precedenti …» cominciò il signor White.
«Preside …» cercò di intervenire la professoressa.
«Sarà sospeso per due giorni!» urlò il preside, sovrastando i tentativi di difesa della prof.
Lo sguardo di Lucius Yuki Bell, era ancora indemoniato. Poi chiuse gli occhi, sospirando, e assunse un’aria sicura di sé.
«Solo due? Che seccatura! Speravo di meritarmene qualcuno in più!» disse schernendo il dirigente «La prossima volta ci metterò più impegno» soffiò suadente e minaccioso, rivolto ai ragazzi malconci, che trasalirono per la paura.
I suoi occhi di demone promettevano vendetta, e rendevano un incubo ad occhi aperti, vero. Quegli occhi rendevano le sue parole, ancora più reali.
La sua assomigliava ad una promessa.
Senza neanche un graffio sul viso, né sulle mani, Lucius si riavviò i capelli setosi.
Poi sotto gli occhi scioccati di tutti, sotto gli sguardi impauriti e intimiditi della folla, si allontanò con passo deciso ed elegante.
Il mio cuore batteva ancora all’impazzata.
Ripensai alla violenza che aveva riversato sui bulli, al suo sguardo sconvolto che cercava sfogo attraverso i pugni.
Sapevo cos’era.
Quello era dolore.



-------------------------------------------------- angolo dell'autrice -------------------------------------------------
salve a tutti! io sono fiore, e saluto tutte le lettrici di ali d'argento che sono passate di qui a dare un'occhiata.
a chi invece ancora non mi conosce, porgo i miei più sentiti ringraziamenti.
spero che questo primo cap vi abbia incuriosito!
è la prima volta che scrivo una storia normale, e spero che mi lascerete commenti, buoni o cattivi che siano.
risponderò ad ognuno, qui sotto ad ogni capitolo nuovo, e via mess privato.
tanti bacini a tutti e grazie per il vostro tempo
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** Rivali ***


Capitolo 2
 
 
Rivali

 

 
 
Lucius Yuki Bell non si era presentato a mensa.
Era il primo giorno di sospensione, punizione attuata a causa della seconda rissa del giorno prima, la stessa rissa che aveva mandato in ospedale tre tipi loschi e ben piazzati per contusioni e sfracello di setti nasali.
Tutti parlavano dell’accaduto come fosse qualcosa di consueto e affascinante.
«Posso sedermi qui? Ania?» mi sentii toccare la spalla, ma senza voltarmi annuii.
Era Mayu.
Nessuno poteva avere una voce tanto strana e acuta.
«Come stai? Ieri è andato tutto bene?» chiese con gentilezza.
«Sì, grazie» risposi facendo aleggiare un sorriso sulle mie labbra secche per via del caldo.
Settembre sembrava voler mantenere il tepore estivo ancora per molto.
«Yuki – sama non verrà» mi informò. Capii che voleva confidarsi.
«Come lo sai?» chiesi curiosa e assetata di informazioni.
«Lui pranza raramente qui» spiegò. Poi acchiappò un’onda dei miei capelli castano dorati.
«Belli» disse sorridendo. Arrossii.
«Gr … grazie» balbettai «tu lo conosci bene?» chiesi spudoratamente.
«Beh, lo conosco da molto tempo, ma non abbiamo nessun legame. Il fatto è che non ho mai avuto il coraggio di avvicinarmi a lui, né tantomeno parlargli» confessò.
Il suo Yuki – sama aveva fatto colpo! Le piaceva ed era cristallino.
«Chi è veramente?» approfittai della tenera Mayu. Pensai che l’argomento non le sarebbe dispiaciuto «Cioè … è un genio, è bravo negli sport, è un artista, è sicuro di sé, è di bell’aspetto … perché è così …».
«Violento? Mostruosamente sadico? Totalmente incivile?» chiese lei. Sembrava acida, ma allo stesso tempo dispiaciuta.
«Impulsivo» corressi. Era vero, aveva picchiato il grassone prima e quei ragazzi poi, ma era stato d’aiuto!
Certo era stato completamente indiretto e certamente non volontario, ma il suo contributo aveva salvato il mio primo bacio e la faccia pallida del ragazzo occhialuto.
Ricordai le parole che Mayu aveva detto il giorno prima alla cerimonia.
Il suo Yuki – sama non picchiava la gente senza motivo.
Poi ripensai all’episodio nel bosco.
Lui non mi aveva fatto del male, ma non mi aveva neppure salvata.
Aveva semplicemente dato sfogo alla sua irritazione, perché era stato disturbato nel bel mezzo di un pisolino.
Rude. Mi era parso piuttosto rude, ma anche e senza alcun dubbio affascinante.
Rimaneva comunque un tipo “strano” e violento.
«Oh … il fatto è …» Mayu si fece piccola piccola «… non ha mai avuto qualcuno in grado di tenergli testa, o qualcuno che lo appoggiasse. Certo, ci sono molte ragazze che come me lo ammirano, ma nessuna sembra giusta per lui. Nessuna riesce a stargli accanto senza sentirsi soffocare per l’ansia. È davvero triste. Io lo osservo da sempre e all’inizio pensavo fosse davvero un bruto, ma poi … » i suoi occhi sembrarono rivivere un episodio lontano e caro « È una creatura … maestosa e gentile. È come una bestia rara che solo il prescelto può avvicinare» sussurrò. Pensai che stesse dicendo sciocchezze, ma il suo tono era davvero serio e sincero.
«Raccontami di più» la incitai.
Mayu sembrò illuminarsi, e poi si mise comoda sulla sedia.
«Non so molto sul suo passato, ma … credo ti possa interessare» disse strizzandomi l’occhio. Probabilmente aveva compreso la mia curiosità, e l’aveva accettata, proprio perché aveva vissuto lo stesso sentimento prima di me.
«Il suo tutore è un uomo molto potente, ma non l’ho mai visto qui, e Yuki – sama non ha mai lasciato la scuola da quando si è iscritto, perciò presumo non siano in buoni rapporti. Inoltre credo sia orfano di madre, o perlomeno tutti lo credono. Le notizie sul suo passato sono offuscate dal mistero, e nessuno si è mai azzardato a chiedere qualcosa al diretto interessato. Sono convinta del fatto, che Yuki – sama sia così … perché deve aver avuto qualche tipo di trauma in passato, ma … non so nient’altro al riguardo» sussurrò Mayu.
«È già qualcosa Mayu!» sorrisi. Era imbarazzante parlare di quel tizio con una sconosciuta come se lui fosse l’oggetto del mio desiderio.
In realtà volevo sono raccogliere informazioni sul suo conto per studiarlo.
Volevo sapere tutto di lui, perché lui mi aveva superato e battuto sul mio campo.
Lucius era stato il migliore.
Volevo conoscere il suo segreto.
«Di’ un po’ … il suo curriculum, riguarda solo ciò che ha detto il preside White alla cerimonia, vero?» chiesi apprensiva. Non volevo altre sorprese.
Mayu sgranò gli occhi.
«Di solito il preside elenca le cose più importanti, ma … le abilità di Yuki – sama sono … davvero notevoli» disse fiera e felice. Era orgogliosa di lui.
«Wow! … Per esempio?».
«Suona tre strumenti musicali, è in grado di comporre melodie, parla benissimo tre lingue e bene altre due. Come sai è bravo negli sport, qualsiasi esso sia … e con il computer è un vero mago. Una volta, è riuscito a bloccare il virus, che un aker aveva messo nel computer principale per sabotare un esame! » Mayu alzò gli occhi per osservare le mie reazioni.
«Continua» la incitai.
«Mm … vediamo … ah sì. Gira una voce secondo la quale non abbia frequentato le medie, e per questo motivo ha già studiato il programma di tutti e cinque gli anni delle superiori. Frequenta le lezioni normalmente, ma è costantemente annoiato! Inoltre ha sempre il massimo dei voti in tutti le materie e arriva primo a ogni esame. Nessuno riesce a stare al suo passo, ed è per questo che tutti gli stanno alla larga. Alcuni per riverenza altri per … disprezzo» Mayu si intristì.
«È un tipo notevole!» dissi meravigliata, e con gli occhi fuori dalle orbite.
Era forse un alieno?
Mayu mise la sua mano bianca e delicata sulla mia, altrettanto pallida.
I suoi occhi profondo mi studiarono.
«Tu non pensi male di lui … vero?» chiese.
Perché quella ragazza proteggeva con tutta se stessa quel bullo? Perché quell’alieno violento era così importante per lei?
«No, io lo ammiro» ammisi.  La giapponesina si aprì in un sorriso.
«Sono felice!».
 
 
 
****************
 
 
La biblioteca dell’Orpheus era davvero immensa, e perdersi sembrava quasi normale per una nuova.
All’entrata la bibliotecaria mi aveva offerto una specie di mappa, ma il mio senso dell’orientamento spesso era pari a … zero.
Stavo cercando un libro di storia, per ripassare in vista di una specie di esame che avrebbe verificato la mia preparazione.
Il mio sguardo correva sui libri alla mia destra, nello scaffale 21 A, che conteneva tutti i libri di testo presenti nelle liste scelte dei professori, e comprendeva quindi, tutte le materie.
Il mio sguardo su posò su ciò che stavo cercando.
Allungai il braccio per prenderlo, e la mia mano tesa, si incontrò con l’avambraccio di qualcun altro.
«Scusa …» dissi, sottraendomi al contatto. Poi mi voltai, trasalendo.
Due occhi grigi e metallici mi inchiodarono, freddi e irritati.
«Buon … giorno …» balbettai. Facendo un passo indietro.
«Ciao» rispose freddo, seccato. Aveva ricambiato il saluto solo per educazione, infatti nel suo tono di voce non c’era alcun calore.
Prese il libro che volevo io, e lo aprì con movimenti rigidi ma eleganti.
I suoi occhi scorrevano velocissimi tra le righe del manuale di storia, e la sua espressione rimaneva tanto impassibile da far paura. Sembrava un computer che scansionava dati. Però era un computer davvero affascinante.
I suoi lineamenti erano così nobili e maestosi … i suoi occhi dalla forma orientale erano davvero stupendi, perfetti.
Scossi la testa.
Quel libro serviva a me, e lui prepotentemente lo stava leggendo al posto mio.
Mi schiarii la voce, ma lui non diede importanza a me, continuò a ignorarmi.
«Scusami …» pigolai.
Niente.
«Lucius …» lo chiamai. Mi avvicinai e provai ad attirare la sua attenzione toccandogli una spalla.
Prima che potessi riuscirci, lui sospirò chiudendo gli occhi e si voltò nella mia direzione scansando la mia mano.
«Che cosa vuoi?» chiese brusco «Sei davvero fastidiosa ragazzina!».
Divenni paonazza: «Si da’ il caso che quel libro l’abbia visto per prima, e per giunta mi serve per un esame!» puntualizzai acida.
«Ma davvero? Mi dispiace, ma l’ho preso per primo, quindi sparisci» disse con noncuranza.
«Sognatelo! Te lo chiederò con gentilezza. Ti prego di darmelo!» sbottai.
Una strana luce passò attraverso i suoi occhi, scurendoli. Poi si piegò dalla sua altezza per avvicinarsi al mio orecchio.
Ero rimasta impietrita dalla sua vicinanza, e il suo odore mi aveva investita facendomi girare la testa. Acqua di colonia, un profumo forte e virile.
«Scordatelo» sussurrò sensuale e ammiccante.
Trasalii. Ero arrossita come mai prima, e ora che si allontanava e riuscivo a guardarlo, mi sentivo mancare il respiro.
Che razza di bastardo!
«No!» protestai dopo una manciata di secondi di respiro. Non dovevo dargliela vinta.
Lui chiuse il libro, sgranando gli occhi. Sembrava sorpreso.
«Di’ un po’, mi stai forse sfidando ragazzina?» era davvero minaccioso. Ripensando al giorno prima mi sentii davvero a disagio.
Avrebbe potuto picchiarmi, ma qualcosa nel suo viso, nei suoi occhi mi diceva che non l’avrebbe fatto.
Io dovevo prendere il massimo a quel test, e l’unico modo era avere quel libro.
«Sì. È da prepotenti comportarsi così. Sei stato sospeso, perciò sei esonerato dal test di domani. Io no. Devo studiare e guadagnarmi i voti, perché sono nuova, te l’ho detto ieri» la voce mi tremò quando ripensai a Lucius che dormiva nel bosco.
Era incredibile che avessi pensato fosse un angelo.
«Così io sarei un prepotente?!» chiese facendomi il verso. I suoi occhi divennero due fessure. Poi ridusse le labbra perfette in una linea dura.
«Esatto. A meno che tu … non mi dia il libro» continuai cauta.
«Bene. Mi comporterò da gentiluomo con te, ragazzina» rise beffardo «è tutto tuo» e così dicendo rimise il libro dov’era. Poi si allontanò, girando l’angolo.
“Ciao” pensai, sorpresa dalla sua reazione.
Il libro era davvero in alto e non ce l’avrei mai fatta a prenderlo.
Anche prima, allungarsi per tentare era stato vano.
Lucius ci era arrivato senza sforzo, ma io …
Mi guardai intorno, in cerca di una sedia.
Poi ne presi una da dietro l’angolo, scrutando tra gli scaffali per vedere dove fosse andato quel “gentiluomo”, che non si era degnato nemmeno di salutarmi.
Salii sulla sedia e presi il libro.
Poi mettendomelo al petto, mi preparai a saltare giù.
«Buh!» sentii da dietro, quasi all’altezza della spalla.
«Ah!». Strillai, perdendo l’equilibrio. Poi non so come, mi ritrovai tra le braccia di Yuki – sama. Credo che Mayu avrebbe ucciso per trovarsi al posto mio.
Lucius mi rimise giù, sogghignando divertito.
Essere avvolta dalle sue braccia era stato davvero strano. Una sensazione calda e rassicurante. Mi sentivo imbambolata.
«Gra … grazie» balbettai.
«Mi sei caduta addosso, dovresti scusarti prima!» disse a metà tra l’irritato e il divertito.
«Cosa? Non ti sarei caduta addosso se tu non mi avessi spaventata a morte!» sbottai.
«Quanto sono dispiaciuto! Ti domando scusa!» scherzò «Non credevo fossi così delicata!.
Mi arrabbiai davvero tanto «Sei un essere odioso!» dissi digrignando i denti.
«E tu sei davvero ridicola!» mi schernì.
«Come ti permetti? Io … me la pagherai!» sbottai ancora.
«Sono davvero curioso di sapere come» asserì lui, con voce affettata. Si passò una mano tra i capelli, e poi riaprì gli occhi con aria assonnata e annoiata.
Forse situazioni del genere gli erano capitate spesso.
Ragazze che le provavano tutte pur di piacergli.
Non era il mio caso.
«Ti batterò. Diventerò più brava di te!» lo sfidai.
Lui sembrò trasalire, ma si ricompose.
«Provaci. Se vincerai, pagherò pegno» disse, e mettendosi le mani nelle tasche, con aria disinvolta mi lasciò impalata lì, con gli occhi sbarrati per la sorpresa.
 
 
***************
 
 
Mi chiusi la porta alle spalle, escludendo il mondo fuori.
Il mio alloggio era ancora in disordine, con un mucchio di cose da sistemare, e le valige piene, aperte sul letto.
“Un’ora” mi dissi. Per riordinare tutto dovevo impiegare al massimo un ora.
Quando ebbi finito erano passati esattamente cinquantotto minuti.
Ero soddisfatta.
Poi cominciai a studiare, e leggendo senza mai staccare gli occhi dal foglio, mi concentrai al massimo per memorizzare tutto.
Passai la nottata a leggere, e quando ebbi finito l’intero libro, guardai l’orologio.
Imprecai. Erano già le sette del mattino.
Non mi sorpresi più di tanto.
Ogni volta che ci mettevo l’anima nello studio, sembrava che il mio corpo avesse solo bisogno di assimilare notizie ed informazioni.
Mi preparai lentamente, ripassando mentalmente le cose più importanti.
Poi uscii di corsa. Prima avrei riportato il libro in biblioteca.
 
Una volta fatto anche quello, mi diressi in classe.
«Buongiorno Ania!» mi salutò Mayu dal banco davanti. La classe era ariosa e spaziosa come nel depliant. «Sei pronta per la prima prova?» chiese cortese. Annuii.
Piano piano l’aula si riempì, ad eccezione del posto accanto al mio.
Gli studenti assonnati non badavano a me, e fui davvero grata di questo.
Poi entrò l’insegnate, la donna alta e bella, che aveva cercato di difendere Lucius Yuki Bell, il mio rivale, dalla sospensione del preside.
«Buongiorno ragazzi. Nelle mie due ore, questa mattina faremo un test di inizio, per valutare la vostra preparazione e vedere da dove dobbiamo cominciare quest’anno. Ma prima … vorrei presentarvi una nuova compagna che si è trasferita qui ieri, e che è stata premiata per il suo impegno con una borsa di studio. Anastasia Maria Luce Green. Prego» annunciò. Il suo sguardo era gentile, e mi invitava ad alzarmi e raggiungerla.
Imprecai in silenzio, mentre vedevo gli sguardi divertiti dei miei compagni.
Che nome vergognoso! Mi pentii internamente di aver giudicato strano quello di Lucius. Probabilmente il suo, sarebbe sembrato molto affascinante a dispetto del mio, che era totalmente incoerente.
«Salve a tutti. In realtà mi chiamano tutti Ania, quindi …» tentai di far capire a tutti quanto odiassi il mio nome, ma per mia sfortuna riuscii soltanto a far diventare l’atmosfera ancora più pesante.
«Ma che razza di nome è?» sentii sussurrare da destra.
«Ania … pensa di cavarsela con così poco?» sentii dietro.
«Piacere di conoscerti … Ana … ops, scusa, Ania!» scoppiò a ridere una bionda ossigenata, con lo sguardo di una che sente il mondo ai suoi piedi.
Annuii, stringendo le labbra.
«Ana! Ha ha ha … bella questa, Jane!» sghignazzò  un ragazzo dal viso famigliare. Probabilmente faceva parte della combriccola di bulli che il giorno prima era stata fatta fuori da Lucius.
Jane, questo nome non mi era nuovo.
La bionda super sexy che mi aveva presa di mira … alla cerimonia ce l’aveva con Lucius.
Abbassai lo sguardo.
«Ragazzi, comportatevi bene! Datele il benvenuto come si deve. Todd, Jennifer, smettetela» li richiamò la prof , riavviandosi i capelli castani e lunghi.
«Chiedo scusa» sbottò la bionda.
«Ma signora Walter, lei è la ragazza di Bell» quella voce mi impietrì sulla sedia.
Il ragazzo della cioccolata, il ragazzo grasso che aveva tentato di baciarmi nel parco, il giorno prima «e tutti noi saremo naturalmente gentili con lei» disse con voce affettata. Le sue intenzioni erano totalmente differenti.
«Nick … ora basta. Sarò costretta a sospendervi se continuate a disturbare».
I ragazzi zittirono, e la prof cominciò a distribuire il test.
Quando passò accanto al mio banco mi sussurrò: «Mi dispiace».
Io sorrisi, e poi mi concentrai sul test. Dovevo avere il massimo dei voti.



------------------------------------------------ angolo dell'autrice -------------------------------------------------------

questo è il secondo cap.
spero vi piaccia e vi raccomando fatemi sapere.
risponderò pubblicamente o privatamente a ognuno di voi.
baci ^^

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Capitolo 3
*** Eroe ***


 
 

Capitolo 3
 
 
Eroe

 
 
 
All’uscita avevo la testa nel pallone.
Non ero neanche sicura di aver fatto tutto giusto, ma non potevo buttarmi giù così in fretta.
Vagai per il parco, in cerca di chissà che cosa.
Poi, trovai il ciliegio che aveva cullato il sonno di Lucius il giorno prima, e mi abbandonai tra le sue radici, sentendomi accarezzare da una dolce sensazione di pace.
Chiusi gli occhi, assaporando ogni cellula di tranquillità.
«Potrei denunciarti per violazione della privacy e della proprietà privata!» mi schernì una voce familiare, seccata e divertita.
«Vattene Lucius» dissi lamentosa.
«Mm … non credo che lo farò. In fondo sei tu l’ultima arrivata, e sei sempre tu quella che dorme sotto il mio albero, impedendomi di riposare» rispose, la voce seccata come al solito, ma velata da una tranquillità assoluta.
Se la stava godendo quanto me.
«Sì, certo. Come dici tu» lo assecondai, ma non aprii gli occhi, né mi mossi.
«Com’è andato il test di storia?» chiese dopo una pausa di silenzio.
«Bene, credo» risposi titubante. Ero rimasta tanto scioccata dalla cattiveria dei miei compagni di classe, che ero riuscita a malapena a concentrarmi.
Non ero sicura del risultato. Non stavolta.
«Dov’è finita la tua grinta, ragazzina?» chiese divertito.
«Non ne ho idea» risposi esausta. Avevo passato la notte a studiare, e in quel momento mi sentii davvero stanca.
«Hai proprio una brutta cera» disse, la voce era più vicina.
Aprii di poco gli occhi.
I suoi, grigio metallico, erano a pochi centimetri dai miei. Sentivo quasi il suo respiro sulla faccia, profumato, davvero sublime.
Sapeva di menta, fresco e affascinante.
«Ti consiglierei di riposare se non fossi sdraiata sotto il mio albero. Il mio» sottolineò.
«Quante storie. C’è spazio per due» sospirai, scostandomi per fargli posto.
Sgranò gli occhi.
«Mi stai dicendo che vorresti sederti accanto a me?» chiese sensuale.
Trasalii. Cosa mi diceva il cervello?
«Cioè, volevo dire, che potresti anche sceglierti un atro albero!» asserii.
«Mi dispiace, è impossibile» disse duro.
«Fa’ come vuoi. Per quanto mi riguarda ho già scelto il mio giaciglio. Ci sono un mucchio di altri ciliegi come questo, perciò non mi sento affatto in colpa per averti sfrattato» commentai.
«Ania … parli troppo» aveva pronunciato il mio nome – come faceva a conoscerlo? Non ci eravamo neanche presentati! -  con gentilezza, e un brivido mi aveva invasa, facendomi trasalire. Poi mi aveva insultata come al solito.
Era incredibile: nemmeno lo conoscevo e già si era guadagnato il titolo di “unico essere in grado di irritarmi”. Nessuno mai si era tanto avvicinato a me, e forse lo stesso valeva per lui.
«E tu ti innervosisci davvero facilmente» puntualizzai.
«Credo sia la prima volta che qualcuno usi un giro di parole tanto inutile, per dirmi in faccia quanto sono … spregevole» rise amaro.
Forse se lo era sentito ripetere molte volte.
«Io non credo che tu lo sia» asserii a metà tra il tono stanco e quello sincero.
Lui si irrigidì.
«Devi essere davvero cieca, oppure stai semplicemente negando l’evidenza» rispose impassibile.
«No, nessuna delle due. Ti conosco da sole 48’ore ma … credo di non avere incluso l’aggettivo “spregevole” nella mia lista di “informazioni” sul tuo conto».
«Hai una lista … su di me?» chiese.
«Beh, sì. Tu sei il mio rivale numero uno! Il mio sogno è batterti» scherzai, ma sapevo quanta verità si nascondesse dietro le mie parole.
«Battermi? Che vuoi dire?» chiese curioso, per la prima volta quasi interessato.
«Voglio rubarti il titolo di miglior studente» asserii.
«Non c’è bisogno di tutte queste cerimonie. Se vuoi essere più brava di me … bastava dirlo, ti cedo volentieri il posto. Non devo far altro che sbagliare ogni maledetto test, fino a costringerli a cacciarmi via» rise amaro. Dietro le sue parole c’era lo specchio della sua sofferenza.
«Non ti piace qui? È un bel posto, è tranquillo, e il cibo è buono!» dichiarai.
«Nessun posto è tranquillo se ci sono io a popolarlo. Ma questo non potevi saperlo visto che sei una novellina irritante» mi schernì.
«Da che pulpito! Il principe degli arroganti viene a dirmi che sono irritante!» scherzai a mia volta.
«Perché non hai paura di me?» chiese quasi scioccato. «Una persona ragionevole non si farebbe mai prendere di mira da me, sfidandomi a quel modo!» disse pensieroso.
«Ma la tua è una maschera!» esclamai, pentendomi subito della mia sincerità.
I suoi occhi grigi si scurirono, e un sospiro trasformò la sua espressione pensierosa in un ghigno.
«Ne sei davvero sicura? Adesso capisco … sei una di quelle persone che crede di sapere tutto degli altri» mi attaccò, la voce tagliente.
«No … non è vero! È solo che …» cosa potevo dire a quel punto? « … non riesco a capire!».
«Cosa dovresti capire? Ciò che sono, e come mi mostro al resto del mondo, non deve riguardarti!» sbottò. Io indietreggiai.
La tetraggine dei suoi occhi era diventata tangibile e penetrante, risucchiava la coscienza in un baratro oscuro e temibile.
«Scusami, hai ragione. Sono stata indiscreta, ma voglio dirti una cosa» volevo dirgli che io non lo giudicavo, non lo condannavo «tu non mi fai paura. Sei solo un tipo scontroso e lunatico. Ho visto di peggio» conclusi spavalda.
Lui sgranò gli occhi dal taglio meravigliosamente orientale, incorniciati da quelle ciglia lunghe ed eleganti.
«Sei davvero bizzarra» sussurrò. Poi si alzò e si allontanò di qualche passo.
«Hai fegato. Dopo ciò che hai visto o sentito di me, sei ancora qui, e hai anche il coraggio di provocarmi!»sbottò tetro.
«Lucius …» tentai di ribattere.
«Inoltre … sei ancora sdraiata sotto il mio albero» ammiccò scherzoso e con un tono più leggero.
 
«Guarda guarda … ! Il mostro e la sua ragazza! Siete soli soletti, eh?» Nick, il ragazzo della cioccolata, e i suoi imponenti amici – quelli del giorno prima più altri – irruppero, apparendo dal nulla.
«Ehi Bell! L’hai portata qui … a giocare? Che ragazzo birichino!» scherzò odioso Nick, insinuando chissà cosa su me e Lucius.
Non mi ero accorta dell’arrivo dei bulli, ma era pur vero che la presenza di Lucius mi distraeva non poco.
«Andate al diavolo!» sbottò Yuki - sama, lasciando da parte le buone maniere. Sembrava un’altra persona, sembrava un demone. Il suo tono minaccioso e sicuro, avrebbe messo in guardia persino un grizzly inferocito.
«Siamo alle solite …» sbuffò un tipo tarchiato, con un cappello blu e i capelli rasati come un naziskin.
«No, stavolta andrà diversamente» lo incalzò Nick «stavolta sarà lui a finire male!».
«Nick … ti prendo in parola» aggiunse sogghignando un terzo ragazzo, alto e corpulento.
Mi alzai velocemente, l’ansia mi prese lo stomaco con violenza.
Che cosa sarebbe successo?
«Voglio essere buono, Bell, e ti darò due possibilità: puoi inginocchiarti e chiedere perdono, mentre ci baci i piedi, o puoi farti pestare senza opporre resistenza.
Se deciderai di infischiartene … sarà la tua amichetta a pagare!» lo minacciò Nick.
Mi sentii prendere per le spalle e per i fianchi.
Due ragazzi mi bloccarono sul posto, impedendomi di fuggire via.
Trasalii «Lasciatemi!» intimai con voce isterica, sapevo che non dovevo agitarmi.
Lucius alzò il capo di scatto, e fissò con astio ognuno dei presenti.
«Fate ciò che volete, non mi riguarda » asserì con freddezza, lasciando tutti a bocca aperta, me compresa. Mi stava dimostrando e mostrando la sua vera natura?
«Bene Bell!» sogghignò maligno Nick. Si avvicinò a me, ancora bloccata da quegli scimmioni.
Nick aveva la mano paffuta, fredda e sudata, quando mi accarezzò la guancia.
Scostai il viso con energia, tentando di sottrarmi a quel contatto rivoltante.
«Lucius! Lucius!» urlai, in cerca di aiuto. Non potevo credere che mi avesse abbandonata proprio in quel momento. Chiunque avrebbe aiutato una ragazza indifesa da un mucchio di bastardi, violenti e pervertiti.
«È inutile, quel mostro non verrà a salvarti. Lui non salva la gente, lui tradisce e fa del male, proprio come uno sporco demone. È questo quello che è. Mi dispiace per te piccola» sorrise maligno. Poi si avvicinò per baciarmi, cosa che non era riuscito a fare il giorno prima, grazie all’intervento di Yuki – sama.
«Lucius, aiutami, ti prego!» scoppiai in lacrime. Ero già stata vittima di bullismo, ma ero sempre riuscita a cavarmela da sola. Uno contro uno era facile da superare.
Alle medie avevo vinto il torneo per cintura verde, e non ero poi tanto sprovveduta e deboluccia. Sapevo il fatto mio, insomma.
Ma in quel momento …
Avrei tanto voluto spappolare le parti basse di quel porco, ma i due ragazzi mi tenevano ancora ferma, immobilizzandomi.
Prima che potesse davvero baciarmi, però, venne spinto via da una violenza disumana.
Nick cadde al suolo, ma si rialzò con un grugnito. Intanto Lucius aveva spazzato via a suon di pugni i miei rapitori.
Mi spinse lontano, facendomi cenno di andare via, con uno sguardo austero.
«No! Io non ti lascio! Sono troppi stavolta, è pericoloso, ti faranno del male!» dissi asciugandomi la lacrime, ma lui era già tornato indietro ad affrontarli.
«Fatevi sotto, bastardi! Avevo proprio bisogno di sfogarmi un po’!» sbottò togliendosi la giacca e lanciandomela.
La presi al volo, e poi annusai il suo delizioso odore virile e inebriante.
Yuki – sama scatenò l’inferno.
I ragazzi cadevano tutti sotto i suoi violenti colpi, ma erano troppi, quindi avevano il tempo di riprendersi per ritornare all’attacco.
Lucius sembrava instancabile, ma sapevo che no avrebbe resistito a lungo.
Ne colpì uno con un gancio destro sul mento, e ne anticipò un altro proveniente da dietro con una potente gomitata.
Avanzò, fino ad arrivare a Nick, che lo colpì sul petto, ma si sbilanciò, cadendo all’indietro. Lucius lo afferrò per la collottola, e con un calciò lo spedì al suolo.
All’improvviso però, uno dei bulli lo imprigionò in una presa d’acciaio, da dietro.
Lucius scalpitò, ma nel momento in cui era quasi riuscito a liberarsi, fu colpito all’addome con violenza.
Nick.
I colpi si ripeterono, inesorabili e violenti, crudeli, ma Yuki – sama non fece una piega. Li incassò tutti senza battere ciglio.
Nel frattempo, un ragazzo dallo sguardo famelico si avvicinò a me, ma lo colpii violentemente, atterrandolo.
Poi corsi verso Lucius.
«Smettetela! Basta, gli state facendo male!» urlai.
«Nemmeno per idea. È alla nostra mercé finalmente, e pagherà per tutte le grane che ci ha dato!» rispose Nick. Poi diede un calciò a Lucius, proprio alla bocca dello stomaco. Lucius gemette, e sputò sangue.
Trasalii.
«Ti prego! Basta, smettila!» supplicai, le lacrime stavano tornando. Perché avevo così paura per Lucius?
Presi il braccio di Nick, ma lui mi spintonò via, facendomi cadere a terra.
Mi graffiai una guancia, ma non mi importò. Tornai all’attacco.
«Basta! Basta! Vuoi baciarmi? … Fallo, ma di’ ai tuoi amici di lasciarlo in pace. Così lo ucciderete!» strillai terrorizzata. Lucius, aveva il viso cereo, esangue, stava per collassare.
«Fermi!» intimò Nick. Tutti smisero di percuotere Lucius, e lo mollarono.
Yuki – sama, gemette, sputando ancora sangue, a poi cadde in ginocchio, prima di raggomitolarsi su un fianco.
Tremava.
«L’ho fatto. Ora voglio il mio premio. Quel bastardo si è preso tutte le ragazze che piacevano a me. Mi ha rubato il titolo di miglior studente, e ha fatto incazzare ogni singolo ragazzo che vedi davanti a te. È un mostro».
«Questo non ti dà il diritto di …».
«Cosa? Di ucciderlo? È quello che si merita» disse Nick minaccioso. Poi si avvicinò per ritirare il suo premio.
«Non ti ha rubato le ragazze, semplicemente sono loro che sono scappate a gambe levate, perché sei davvero …» mi bloccai. Nick, alzò una mano, e io mi preparai a ricevere il ceffone, ma una mano bianca lo fermò
Lucius si era alzato a stento, e tenendosi lo sterno con un braccio, ci aveva raggiunti.
«Mi sono fatto pestare senza opporre resistenza» asserì con tono tetro, la voce bassa e debole, ma ferma e sicura «quindi adesso finiamola qui. Lei non ti deve proprio niente, bastardo» lo insultò Yuki – sama.
«È stata lei ad offrirsi volontaria. A quanto pare si è affezionata a te. Povero piccolo agnellino, non sa che è appena finita sotto le grinfie del lupo cattivo».
«Il lupo cattivo potrebbe farti a pezzi se non ti togli dai piedi, maledetto facocero» lo incalzò Lucius. Ora faceva davvero paura.
«Che sta succedendo qui? Voglio sapere chi è il responsabile di questo massacro!» la voce del preside echeggiò tra gli alberi, mentre seguito dal ragazzino con gli occhiali del giorno prima, si avvicinava a noi.
Nick, scansò la mano la Lucius, quella che mi aveva risparmiato un livido sulla faccia.
I bulli ancora in piedi, scapparono via, mentre quelli tramortiti, si svegliarono dal loro rimbambimento.
«Ecco signor White, questi ragazzi sono gli stessi che mi hanno minacciato ieri. E adesso, dieci contro uno, stanno …» iniziò il ragazzino mingherlino.
«Basta così! Ho sentito abbastanza!» lo interruppe il preside «Signor Bell, lei è davvero una spina nel fianco! Non riesce proprio a comportarsi normalmente, non riesce proprio ad essere civile! Io mi chiedo spesso se lei sia la reincarnazione di satana! Non tollero i suoi comportamenti! Il suo agire è incontrollabile e assolutamente inconcepibile! Stavolta non se la caverà con una sospensione …».
«Signor White!» lo interruppi coraggiosa e sicura di me «Lucius mi ha salvata da un’aggressione, è un eroe! Ha fronteggiato dieci ragazzi, proteggendomi, è questa la realtà dei fatti …».
«Eroe?» mi incalzò lui «Sono sorpreso nel capire che anche lei sia coinvolta, signorina Green. Devo ricordarle che lei è qui grazie ad una borsa di studio, e che potrebbe esserle revocata? Stia attenta alle compagnie che frequenta signorina Green! Potrebbero esserle … fatali» disse con stizza e disprezzo, guardando i ragazzi atterrati e ancora storditi.
Rimasi sbigottita dall’ottusità del preside, e anche dalla cattiveria delle sue parole.
Era assurdo! Stava negando l’evidenza, e stava sminuendo uno dei suoi studenti come avrebbe fatto qualsiasi bionda ossigenata.
Lucius, tossì ancora, poi barcollò.
«Lucius …» mi avvicinai, per aiutarlo a stare in piedi. Lui si scansò, avevo capito ormai che il contatto fisico gli creava problemi.
«Posso toccarti?» Chiesi con una certa urgenza. Lui lentamente si avvicinò a me, e poi con delicatezza mi circondò le spalle, facendomi sentire i suo peso.
Era … strano, sentirlo così vicino. Quel mezzo abbraccio era …
«Scusami …» disse mesto in un gemito.
Di cosa si stava scusando? Del fatto che mi stesse usando come appoggio, oppure del fatto che mi avesse fatto venire un infarto, quando credevo mi avesse abbandonata?
«Domani vi voglio nel mio ufficio, alle otto in punto, sono stato abbastanza chiaro?» urlò isterico quell’uomo odioso.
Ero pronta a ribattere, ma Lucius mi zittì, posandomi un dito sulle labbra.
«Shh … tanto è inutile. Andiamocene» sussurrò, soffiando le parole nel mio orecchio destro.
Ci incamminammo senza voltarci indietro, mentre sguardi infuocati ci perforavano la schiena come proiettili.

 

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Capitolo 4
*** Incomprensioni ***


Capitolo 4
 
 
Incomprensioni

 
 
 
«Dov’è l’infermeria? Io non ho la più pallida idea di dove andare!» dichiarai mesta.
«Infermeria? Ti è dato di volta il cervello? Non mi serve un medico!» sbottò lui.
Stavamo camminando molto vicini, e lui si stava appoggiando ancora  a me.
Era così alto che la mia testa arrivava a malapena al suo petto, e ciò mi faceva sentire stranamente al sicuro, nonostante fosse lui quello a cui serviva soccorso.
«Senti, non ascolterò i tuoi vaneggiamenti adesso!» urlai isterica «Ti porterò in infermeria, non voglio avere la tua morte sulla mia coscienza!».
«Oh, non devi preoccuparti. Non muoio per così poco! Ho sopportato di peggio!» disse enigmatico. Poi sorrise, un ghigno tetro.
«Rimangio tutto ciò che ho detto prima: tu sei terrificante!» asserii ironica.
«Ti ringrazio. Adoro sentirmelo dire!» ammiccò con voce affettata.
«Mi vuoi dire dove si trova questa maledetta infermeria? Ti avverto, se non lo farai sarò costretta a portarti nella mia camera del dormitorio, e …».
«Mm … che intraprendenza ragazzina!» mi schernì.
«Brutto idiota, non hai capito nulla! …» strillai, ma lui tossì ancora, fermandosi di botto.
«Lucius …?! … Ti prego …».
«Vieni» gemette. Poi mi guidò attraverso il campus, e raggiungemmo un vialetto che si estendeva nel parco, che circondava a trecentosessanta gradi la scuola.
Non feci domande sulla destinazione, mi fidavo di lui.
Il vialetto finiva esattamente dove iniziava la strada principale di un quartiere signorile, alla periferia della città.
La prima casa che ci venne di fronte, era la dimora di Yuki – sama.
Il palazzo era immenso e in stile moderno, con colori brillanti. Si ergeva su un giardinetto ben curato e verdeggiante, ricoperto di cespugli di rose bianche. Quella non era affatto un’infermeria, ma seguii comunque Lucius all’interno, senza parlare.
«Buongiorno, signor Bell» disse la portinaia gentile, una bella donna bionda e alta.
Non si accorse delle gravi condizioni di Lucius, oppure fece finta di non notarle.
Prendemmo l’ascensore dalle porte dorate.
All’interno le pareti erano di velluto rosso, e il soffitto era tappezzato di piccole luci di cortesia.
Eravamo soli, e presto l’odore dell’acqua di colonia di Lucius, invase l’ambiente, avvolgendomi.
«E così … questa …».
«È casa mia» rispose tetro, brusco quasi.
Il calore del suo corpo si insinuava in me, scuotendomi, come per risvegliarmi.
Scrollai le spalle.
Che mi prendeva?
Uscimmo dall’ascensore, e girammo a sinistra.
Poi, Yuki – sama inserì la chiave e aprì il portone blindato di legno massello e ferro battuto.
L’ingresso era piccolo, e arredato freddamente.
Il colore delle pareti era bianco brillante, con alcune decorazioni nere.
Una poltroncina in pelle nera, e un tavolino il acciaio e vetro.
L’unico colore vivace era dato dal tappetino uni color blu.
Il pavimento era in marmo, e le nostre scarpe ticchettarono, creando un’eco in quell’appartamento tanto vuoto.
Il soggiorno e la cucina erano nello stesso ambiente.
Il salotto era composto da un divano, da una poltrona, dal televisore e da un tavolino di vetro, simile a quello dell’entrata.
Il divano era di pelle nera, come la poltrona.
Non c’era un tavolo per mangiare, solo una specie di penisola con degli sgabelli, che divideva la cucina dalla sala.
Tutto era silenzioso, e nell’appartamento aleggiava un’atmosfera fredda e inospitale.
Non c’era odore di cucina, come se nessuno si fosse mai azzardato a usare quei fornelli tanto nuovi e scintillanti.
L’arredamento era povero, ma di stile, anche se era palese che non veniva utilizzato spesso.
Lucius si era adagiato con cautela sul divano nero, e poi aveva lasciato andare la testa all’indietro.
«Quindi … vivi qui da solo?» domandai, cauta.
Lui aveva annuito, e quando gli avevo detto che l’invidiavo, lui aveva semplicemente sorriso. Un sorriso mesto, freddo, che non aveva contagiato gli occhi. 
L’avevo seguito fin lì, diciamo pure che l’avevo accompagnato.
Che cosa avrei dovuto fare in quel momento?
«Siedi, Ania. Non vorrai star lì in piedi per tutto il tempo!».
Obbedii. Scegliendo la poltrona.
Avevo già appurato che stargli accanto non era saggio.
«Come ti senti?» chiesi.
«Bene, non preoccuparti» asserì.
Poi dopo qualche minuto cominciò a togliersi la camicia.
Arrossii copiosamente, quando il suo petto, perfettamente scolpito, mi fu mostrato.
L’addome cesellato, era ricoperto di lividi, e le spalle di graffi.
Trasalii, voltandomi dall’altra parte.
Lui si alzò, e si avvicinò.
Mi prese per il mento con due lunghe e fredde dita, e mi costrinse a guardarlo.
Non era giusto! Non poteva torturarmi a quel modo! Era così … meraviglioso!
«Anche tu sei ferita!» si meravigliò, e nei suoi occhi passarono svelte le immagini della rissa «Non dovevi immischiarti. Sei una sciocca!» mi rimproverò.
«Beh, non potevo certo permettere che ti uccidessero! Sei il mio rivale, ricordi?».
«Nts … sciocca ragazzina» mi schernì.
«Brutto idiota!» sbottai «Sei davvero irritante, sai? Non credevo fossi così … ».
«Perché gli avevi permesso di baciarti?» mi bloccò, come se non avesse sentito le mie parole. Le sue erano accusatorie.
«Come?» chiesi, imbambolata dalla sua insinuazione.
«Perché prima gli hai dato il permesso di darti un bacio?» ridisse, il tono crescente.
«Se non l’avessi fatto, adesso probabilmente dovresti ringraziare il preside e non me, per averti salvato dal collasso» puntualizzai.
«Avresti buttato al vento il tuo primo bacio … per me?» la sua voce assunse un tono più morbido. Era incredulo.
«Come facevi a sapere … del primo bacio?» cercai di sviare la direzione della sua domanda.
«Lo si capisce» rispose, con sguardo intriso di arroganza. Era tornato il solito Lucius.
«E da cosa, mister so tutto io?».
«Dall’imbarazzo che provi ogni volta che ti sto intorno, e da come ti mostri».
Trasalii.
«Ma che maleducato! Fatti gli affari tuoi! Io non m’imbarazzo affatto!».
«Oh, scusami tanto ragazzina» ironizzò lui.
«Non farmi il verso, chiaro? Tu non hai il diritto di sputare sentenze. Non tu!»sbottai.
«Sentenze? Tu piuttosto!! Sei in questo collegio da soli due giorni e già credi di sapere tutto! Io, quei bastardi là fuori, i tuoi obiettivi … ciò che vorresti essere! In realtàtu non sai niente».
«E allora? È tanto sbagliato farlo? È forse sbagliato avere degli obiettivi?».
«Perciò studiare fino allo sfinimento, fino a risucchiare tutta la tua anima, per raggiungere lo stupido ed inutile obiettivo di essere la miglior studentessa della scuola … questo, è il tuo sogno? Che ragazza frivola e senza volontà!» disse sprezzante.
«Da che pulpito! Tu occupi il posto che desidero avere, e nonostante ciò sei … un volgare bullo!» ribattei.
«Già. Ma io non ho nessun interesse verso lo studio o verso … quel maledetto titolo! Non ho nessuna voglia di discutere di cose tanto idiote, con una persona superficiale come te! Mi avevi dato un’impressione diversa, e invece …».
«A … sei rimasto deluso? Beh, io invece no! Sin dall’inizio ho sempre saputo che eri un violento, che eri una persona insensibile e irrimediabilmente impulsiva. Usi i pugni più del cervello, ed è per questo che non riesco a capire come puoi … tu … essere il migliore!» sbottai.
«Violento eh? Eppure la mia violenza ti ha salvata più volte in soli due giorni! Sei anche un’ingrata. Complimenti. Sei davvero una donna insopportabile» urlò.
Indietreggiai, dopo essermi alzata dalla poltrona.
Mi sentii un verme! Era vero.
«Sta’ zitto. Non ho assolutamente detto di sapere tutto di te, e ti chiedo scusa se ti sono sembrata indiscreta. Ti ringrazio per il tuo aiuto, e ti chiedo scusa per il disturbo. Addio» dissi. Poi corsi via.
Le lacrime agli occhi.
Possibile che la freddezza e il disprezzo di Lucius, fossero così potenti e importanti nel mio cuore, da farmi sentire distrutta?
Raggiunsi l’ascensore, ma non feci in tempo a prenderlo.
Le porte si aprirono e da quelle, uscì Jane, la bionda-stronza super sexy. Sgranò gli occhi, e poi mi venne incontro.
«Ana … a quanto pare non ti è bastata la lezioncina che ti ho dato in classe oggi! Devo proprio rincarare la dose!» intimò, passandomi accanto e dirigendosi verso l’appartamento di Lucius.
La seguii con lo sguardo e mi accorsi che Bell mi aveva seguita con lo sguardo da quando l’avevo salutato, dicendogli delle cose orribili e scusandomi come un’idiota subito dopo.
«Lucky! Tesoro! Ti sono mancata?» chiese civettuola. Il mio stomaco si contorse, e un senso forte di nausea mi colse alla sprovvista. Volevo correre via da quella situazione schifosa, ma non riuscivo a muovermi.
«Jane! Non hai ancora capito che mi sono stancato? Sparisci!» gli disse lui. Freddo e distaccato come non lo avevo mai visto.
Lei si bloccò sul posto.
«Ti va di scherzare? Adesso stai con quella puttanella? Non farmi ridere!» ammiccò lei. In quel momento mi venne in mente solo un aggettivo capace di descriverla.
«Jane. Vattene. Ora» un breve, schietto, crudele, imperturbabile, deciso, categorico rifiuto.
Wow.
Jane corse via. Mi passò accanto e mi diede una spallata che mi fece sbilanciare.
Due mani mi afferrarono, impedendomi di cadere.
Avevo ancora le lacrime agli occhi quando Yuki – sama mi guardò negli occhi, trasalendo visibilmente alla vista delle mie lacrime.
«Lucius … » mi scostai dalle sue mani.
«Non adesso, Ania. È meglio che tu vada ora» disse sommessamente.
Sembrava ancora innervosito e turbato, ma l’arroganza e la violenza erano sparite dei suoi occhi.
Annuii, e poi mi diressi piano all’ascensore.
Mi voltai un’ultima volta, osservando attentamente e con mestizia il suo torace ferito.
«Sicuro di stare bene?» domandai un’ultima volta.
Lui annuì, con un velo di sorriso sulle labbra cesellate.
Mi consolai del fatto che non mi avesse cacciata via in malo modo, così me ne andai con passo veloce, senza voltarmi.
 
                                                                   
**************
 
 
 
«Ehi Ania!» mi sentii chiamare da una voce inconfondibile.
Mayu, dal tavolo in fondo alla sala mensa, mi chiamava, sbracciandosi.
La raggiunsi, seguita da alcuni sguardi fastidiosi.
Jane, le sue amiche simili a delle barbies, e Nick, con un livido violaceo sotto l’occhio destro.
Abbassai lo sguardo, mentre correvo a nascondermi in fondo alla sala, accanto a Mayu.
«Buongiorno, Mayu» dissi sedendomi al suo fianco.
«Ciao, Ania» sorrise «Come stai? Mi sembri pensierosa!».
«Nulla di ché» pigolai.
«Senti … è vero che Yuki – sama … si è battuto … per te?» chiese sommessamente.
Trasalii «Ehm … non si è battuto per me, diciamo che … ha cercato di aiutarmi. Tutto poi è sfociato in una rissa abbastanza cruenta» sorrisi mestamente, era una bugia. Lui, si era battuto per me. Lo avevo capito dalle sue parole, quelle che mi aveva urlato addosso con astio nel suo appartamento solitario.
“Violento eh? Eppure la mia violenza ti ha salvata più volte in soli due giorni! Sei anche un’ingrata. Complimenti. Sei davvero una donna insopportabile!”.
Sorrisi internamente.
«Cruenta?» trasalì Mayu, impaurita «Lui sta bene? Sta bene?».
«Credo di sì. Ho provato a trascinarlo in infermeria ma me l’ha impedito. Sembrava stare abbastanza bene comunque. Se non ne fossi stata sicura, non l’avrei abbandonato, tranquilla!» assicurai.
«Ah! E così non mi avresti abbandonato, eh? Che donna insensibile!».
La voce sommessa, sensuale e seccata.
L’odore di acqua di colonia …
«Lucius!» mi alzai di scatto, voltandomi nella sua direzione.
La sua altezza mi lasciò spiazzata, come la sua estrema vicinanza.
Il viso esangue era perfetto e bellissimo, ma c’era qualcosa di strano: occhiaie profonde cerchiavano i suoi occhi stupendi, conferendo al suo volto un’aria misteriosa, demoniaca quasi.
Risi sommessamente, ricordando l’insinuazione del preside, sul fatto che Yuki – sama fosse la reincarnazione di Satana.
«O … Ohayo gozaimasu! Yu … Yuki – sama!» Mayu si era alzata e aveva accennato un lieve inchino, mentre pronunciava quelle parole incomprensibili.
Lo sguardo di Lucius si posò su di lei, interrogativo.
Poi divenne comprensivo, dolce quasi.
«Mayu – chan» disse soltanto. Il tono piatto e serio, la voce profonda.
“Chan” … doveva essere un’altra espressione giapponese! Rimasi affascinata dal fatto che anche mister tenebra conoscesse il giapponese.
Chissà se entrambi lo parlavano fluentemente!
«Bene, vi conoscete! Così non dovrò presentarti» mi rivolsi a Lucius, che aveva smesso di guardare Mayu.
Più tardi avrei dovuto chiederle la traduzione di quella miniconversazione.
«Sei nei guai!» disse d’un tratto Lucius.
Il mio sguardo interrogativo, lo spinse a continuare.
«Il caro signor preside …» ironizzò « … ci ha aspettati per lungo tempo. Voleva vederci alle otto, ricordi?» la sua voce era neutra. A lui non importava affatto.
Io sbiancai.
«Me … me ne sono completamente dimenticata!» strillai isterica, guardando l’orologio.
«Le otto e mezza!» agonizzai.
Trasalii, poi sentii quella orrenda sensazione, invadermi tutto il petto.
«Ania» la voce di Lucius era ferma, profonda e stranamente preoccupata.
Corsi fuori, avevo bisogno d’aria, dovevo respirare aria fresca, dovevo calmarmi, prima che il mondo mi cadesse ancora una volta addosso.
Mi ritrovai nel parco, non so come, mi ritrovai proprio sotto il ciliegio di Lucius.
Mi inginocchiai, sedendomi.
Poi, riempii i polmoni.
Passi leggeri e veloci mi seguirono.
«Ania!» adesso la voce di Yuki – sama era quasi spaventata.
Trasalii quando mi sentii toccare, ma allo stesso tempo mi sentii più tranquilla.
Il tocco di Lucius sembrava una medicina per il mio stupido e opprimente male.
Mi voltai nella sua direzione, e poi appoggiai la testa sulla sua spalla, cullandomi nell’odore forte del suo profumo.
«Scusa» soffiai. Avevo bisogno di appoggio, mi girava la testa.
«Respira lentamente, sta’ tranquilla, io sono qui» disse dolcemente, sorprendendomi e lasciandomi senza fiato per un momento.
Poi appoggiò una mano sulla mia testa.
Lucius non si mosse, e mi tenne stretta a sé per un tempo che sembrò lunghissimo.
In quel momento avevo messo da parte il mio astio e la mia rivalità, in quel momento gli ero grata per quella inusuale gentilezza.
Quando mi staccai, Lucius passò la sua mano sulla mia nuca, e poi si staccò anch’egli.
«Ti ringrazio» sussurrai.
«Era un attacco di panico?» chiese a brucia pelo.
Trasalii. Stavo crollando davanti al mio avversario, davanti alla persona che mi aveva insultata il giorno prima.
«No» mentii. Per metà era vero, era un attacco di panico sventato.
«Bugiarda» mi accusò.
Il mio petto si gonfiò con uno spasmo.
«Ania! Calmati e respira, maledizione!» mi sgridò.
Obbedii all’istante.
Sentimenti contrastanti viaggiavano alla velocità della luce dentro il mio cuore.
Tranquillità, calore e rivalità. Gratitudine e astio.
«Sto bene, grazie!» mi alzai di scatto. Ignorai le vertigini «Non devi farmi da balia. L’hai detto tu stesso, non sei il mio salvatore» dissi stizzita. In realtà lui aveva usato parole ben diverse. Aveva detto di non essere il mio principe azzurro.
«Ma perché sei arrabbiata! Sei davvero infantile, ragazzina!» mi schernì.
«Infantile? Visto che eri stato così gentile da avvisarmi di aver saltato l’incontro col signor White, potevi benissimo avvertirmi prima, dimostrandomi quanto eri maturo tu!» sbottai.
«Mi sono svegliato dieci minuti fa, e non avevo intenzione di incontrare il preside sin dall’inizio. Non lo faccio mai. Non lo reggo» si giustificò tetro.
«Meraviglioso. Quindi questo invece è essere maturi?».
«Esatto. Snobbare chi ti rompe le scatole, sopportare donne acide e svegliarsi con la consapevolezza di essere solo al mondo … questo è da adulti» dichiarò.
«Sono basita, sul serio! Grazie per questa lezione di cinismo!» lo incalzai.
«Almeno è servita a farti ritornare in te!» sorrise ammiccante. Gli feci la linguaccia.
«Andrò dal preside e gli dirò che ti sei sentita poco bene. Puoi andare in classe» si offrì, la voce seria.
«NO! Non voglio il tuo aiuto, hai detto tu che devo badare a me stessa da sola, e quindi accetto di buon grado il tuo consiglio» esclamai sprezzante.
«Ma che caratterino! Fa’ come vuoi. Per quanto mi riguarda io non ho alcuna intenzione di scusarmi con quel pallone gonfiato» dichiarò.
«Di che parli?».
«È sempre la stessa storia. Secondo White dovrei scusarmi con quel ciccione viziato, quando in realtà non ho nessuna regione per farlo, visto che è sempre quell’idiota di Nick a cominciare! Non sopporto quest’ipocrisia» spiegò serio.
«Capisco. Non mi scuserei neppure io. Ma … allora perché voleva vedere anche me?».
«Possiamo scoprirlo» disse, guardandomi con la coda dell’occhio.
Si alzò e mi venne al fianco.
«Va bene» accettai. Non ce l’avrei fatta da sola.
 
Il preside strillava dal suo ufficio con chi sa chi, e quando entrammo si ricompose bruscamente, tossendo in maniera sguaiata.
«Buongiorno, ragazzi. Siete in netto ritardo!» puntualizzò «Signorina Green, mi aspettavo più serietà da parte sua, soprattutto da parte sua. Devo ricordarle di continuo che lei è qui solo …».
«Andiamo al punto, signor White. Dobbiamo andare in classe, dovrebbe saperlo» lo attaccò Lucius. Il preside divenne paonazzo, ma non rispose.
Lucius aveva il potere di uccidere con gli occhi.
«Signorina Green, Signor Bell, dopo le lezione aiuterete a riordinare l’archivio dello scorso anno. Signor Bell, lei è anche obbligato a scusarsi con tutti i ragazzi che ha mandato in infermeria ieri pomeriggio, per setti nasali rotti, fratture e lividi. Inoltre la sua sospensione si allunga fino alla fine della settimana. Sono stato chiaro?». Lucius lo guardò dall’alto in basso, con fare altezzoso e sicuro. Il preside sembrò farsi piccolo piccolo, ma non abbassò lo sguardo.
Poi Lucius si mosse, uscendo dalla stanza, ed io lo seguii.
«Anche tu saresti dovuto andare in infermeria, Lucius. Ieri … non me ne sarei dovuta andare» dissi mesta, dopo aver attraversato il corridoio.
«Eri preoccupata per me, ragazzina?» domandò.
«Mi hai salvata, e ti ho detto elle cose orribili, e poco … gratificanti, ecco!».
«Sta’ tranquilla. Cose del genere me le sento dire spesso, e sinceramente, ormai, l’abitudine è diventata rassegnazione. Lo ammetto: sono un ragazzaccio, poco raccomandabile, con cui le brave e studiose ragazze come te, non dovrebbero immischiarsi. Sono quel tipo di ragazzo che usa la violenza per risolvere i problemi e tutte le ragazze con cui sono stato a letto, mi odiano perché adesso non le calcolo più. Sono questo tipo di persona, e stento a credere che tu mi stia ancora al fianco, camminandomi vicino come se nulla fosse» spiegò, tetro e mesto.
Quella era la triste e orribile verità.
«Non hai una considerazione molto alta di te stesso. Se ti vedi così, se gli altri ti vedono così, non dovresti cercare di migliorare le cose?» chiesi seria.
«Migliorare le cose? Sarebbe inutile, una macchia sulla coscienza va via difficilmente, e non scompare. Se cambiassi, tutti saprebbero comunque chi sono in realtà» dichiarò. Si fermò al limitare del parco, sotto una grossa quercia, e poi rivolse uno sguardo a me, che lo stavo osservando incuriosita.
«Beh, ti conosco da troppo poco tempo per sapere chi sei in realtà. Magari, puoi provare a dimostrarmi che ciò che sento in giro di te, ciò che tu stesso pensi di te, non sia poi così vero! Potresti fare un tentativo, per migliorare la tua immagine agli occhi di una sconosciuta» sussurrai, imbarazzata. Mi pentii immediatamente della mia imprudenza, e sbirciai verso la sua faccia.
Aveva gli occhi sgranati, e la sua espressione meravigliata sembrava quella di un bambino davanti ad un giocattolo nuovo e inaspettato.
Si ricompose.
«Stai dicendo che dovrei provare ad esserti amico?» chiese incredulo.
Beh, le mie parole avrebbero suggerito a chiunque quella possibilità. Ma potevo diventare amica di un bullo, violento, donnaiolo, brusco, complicato e oscuro ragazzo?
Potevo … avere un amico?
«Aniaaaa!» mi sentii chiamare, ringraziando il cielo.
Mayu mi buttò le braccia al collo.
«Mi sono preoccupata! Ho seguito Yuki – sama, ma poi siete spariti tra gli alberi, e vi ho persi di vista. Mi … mi sono anche persa!» sorrise timidamente, imbarazzata dalla vicinanza di Lucius «Come ti senti? Stai bene ora?».
«Sì, stai pure tranquilla. Ero solo un po’ stanca» mentii. Questo servì a tranquillizzarla.
Mayu azzardò un’occhiata a Lucius.
Lui ricambiò lo sguardo. Aveva un’espressione così rigida …
«Ora vado!» disse Mayu, correndo via.
Lucius sembrò sospirare.
Io, invece scoppiai a ridere.
«Mi spieghi cosa c’è di tanto divertente? Che ragazzina irritante!» sbottò burbero.
«Vuoi sapere perché fai tanta paura alla gente?» domandai divertita.
«Vuoi sapere come mai ogni tanto non riesco a controllare la mia violenza?» chiese di rimando, per spaventarmi. Io risi ancora di più.
«Tu fissi le persone in maniera così intensa … che sembra quasi tu voglia ipnotizzarle! E poi hai sempre dei modi freddi e distaccati» spiegai.
«Da che pulpito! Miss acidità fa la predica! Almeno il ghiaccio non è corrosivo!» borbottò.
«Oh, sì che lo è! Cosa mi dici dei ghiacciai? Non lasciano forse solchi di erosione che segnano il loro passaggio?».
«Adesso fai anche la saputella eh? » mi schernì.
Ripresi a ridere di gusto.
Il viso di Yuki – sama era più rilassato del solito, mosso dal divertimento.
In quel momento pensai che fosse davvero un bellissimo ragazzo.
Il connubio perfetto tra la bellezza e la distruzione, creava un essere sublime.
Mi meravigliai di quel pensiero, e abbassai lo sguardo, conscia di essere arrossita.
 



---------------------------------- ANGOLO DELL'AUTRICE ---------------------------------------------------------------------

salve a tutti! come state? io sinceramente sono un po' stressata, ma del resto siamo nel bel mezzo dell'anno scolastico (per quanto mi riguarda) e quindi sono sommersa di compiti e faccende! ^^'
come vi sembra la storia sino ad ora? sinceramente ho il terrore che non vi piaccia o che la troviate noiosa, vista e rivista.
me essere pignola XD

comunque vorrei ringraziare chi ha messo la storia tra i preferiti
 alessia_alex7  - Charlotte Atherton i miss you  - salma_elf  - SoWhat - vanny 3  - _Lally 

chi l'ha messa tra i seguiti

 Alyxandra - Deilantha  - Elle Okumura  - ladyathena  - moka86  - tj95p
 

naturalmente ringrazio di cuore DEILANTHA, ALYXANDRA, CHARLOTTE ATHERTON E _LALLY, VANNY 3 e LIBERTY 89  che hanno recensito, PRIVATAMENTE O NON, i primi 3 cap della mia storiella.
grazie ragazze, vi sono grata dal profondo del cuoreeeeeeeeee! cosa ne dite di questo?

^^

spero che tutti voi che leggerete lascerete un breve piccolo commento!

bacini a tutteeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee.

FIORE <3


 


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Capitolo 5
*** Incubo ***


Capitolo 5

 
Incubo

 
 
 
«Buongiorno a tutti ragazzi!» la professoressa Walter cominciava a piacermi. Era dolce e comprensiva, ma era bravissima quando spiegava, perché rendeva le lezioni interessanti e non pesanti.
La porta si aprì, e ad inaugurare il primo giorno della mia seconda settimana all’Orpheus, fu un ragazzo alto e bellissimo, dai lineamenti orientali, che con sguardo divertito e assonnato, andava a sedersi nel posto accanto al mio, lo stesso che era rimasto libero per tutta la precedente settimana.
«Tu!» sussurrai incredula. Lui abbassò lo sguardo su di me, e sbuffò seccato.
«Lucius! Tecnicamente questa è la tua prima lezione dell’anno … mi spieghi come mai sei arrivato in ritardo?» chiese gentilmente la signora Walter.
«Scusi» si limitò a dire lui. Lei sorrise e cominciò la lezione.
«Va bene, va bene!» esclamò energica, riportando la classe all’ordine «Adesso distribuirò a tutti voi i test di storia che ho finalmente corretto» ci informò.
Nell’aula si diffuse il malcontento generale.
«Ehi, ragazzina. A quanto pare dovrò sorbirmi i tuoi vaneggiamenti ogni santo giorno dell’anno! E come se non bastasse … sono il tuo compagno di banco» sbuffò.
«Oh, scusa tanto se esisto!» ribattei acida. Me ne pentii. Se avessi continuato a ribattere ad ogni sua stupida e insolente battuta non avrei fatto altro che dargliela vinta, rendendo verità le sue lamentele sul mio brutto carattere.
«Com’è andato il tuo test?» chiese, dopo che la Walter aveva posato su tutti i banchi il foglio dei voti.
«Quarantotto su cinquanta. Ho preso un bel nove e mezzo!» dissi fiera.
Tutto quello studio, e la notte passata a ripassare, erano serviti a qualcosa.
Riguardai le due domande che avevo sbagliato.
Avevo mancato due date, di cinque anni l’una.
“Peccato” pensai. Ero comunque soddisfatta.
«Mm … i miei complimenti, allora non sei poi così stupida» rise lui.
«Devo prenderlo come un complimento?».
«Certo» ammiccò.
«Allora ragazzi, nel complesso non è andato poi così male! Ma come dico sempre io, ognuno di noi, può fare sempre meglio, no?» sorrise, rivolgendosi alla classe.
Molti miei compagni erano disperati, altri delusi, altri indifferenti.
Mayu sorrideva, soddisfatta.
«Ehi Ania … come ti è andata?» chiese gentile.
«Bene direi» dissi indifferente, non volevo che pensasse che fossi la maniaca dei voti quale ero «e tu?».
«Trentotto su cinquanta: mi sono guadagnata un sette. E tu?».
«Nove … e mezzo» sussurrai.
«Wow! I miei complimenti! Sei stata bravissima!» sorrise. Mi rilassai.
Spesso, nella mia vecchia scuola, venivo presa in antipatia a causa dei miei voti.
Io cercavo sempre di non sembrare spavalda o orgogliosa, ma ciò a volte, spingeva gli altri ad emarginarmi.
I pochi amici che avevo avuto in passato, erano stati cattivi con me.
Spesso mi si avvicinavano un paio di giorni prima di una verifica, e poi dopo aver ricevuto il mio aiuto, si dileguavano, lasciandomi di nuovo sola.
Io e i libri.
Quando si ripresentavano, io li allontanavo.
Non ero la loro serva, e nemmeno una stupida.
Mayu invece sorrideva, contenta del suo voto e del mio.
“Bravissima, bravissima!” mi venne in mente la voce di mia madre.
Scrollai le spalle.
«Ania, il tuo compito era davvero ottimo» disse la prof, scostandomi da quei pensieri.
«Grazie» sussurrai, abbassando lo sguardo.
«Lucius! Ecco a te. Essere sospeso non vuol dire essere esonerato dalle verifiche. Vedi di finirlo entro oggi» intimò falsamente severa la signora Walter.
«Oh, e va bene!» si lamentò Lucius.
«In bocca al lupo» gli sussurrai. Lui mi guardò accigliato, e poi prese una matita dal mio banco: la mia matita preferita.
Era tempestata di brillantini argentei, e aveva la gomma sulla sommità.
«Lu …» protestai, ma non ebbi il tempo di finire.
«Grazie, te la restituirò alla fine del test. Non mi ci vorrà molto» disse sereno.
Alzai gli occhi al cielo.
«Ok, ok» mi lamentai rassegnata.
La lezione cominciò, e la professoressa spiegò indisturbata per circa quaranta minuti.
L’argomento del giorno era: l’Inghilterra e la sua trasformazione politica grazie a Guglielmo d’Orange.
Era interessante.
«Prego» mi sentii toccare la spalla.
Lucius mi stava porgendo la matita, e con aria assonnata, si sbracciò per attirare l’attenzione dell’insegnante.
«Grazie» dissi riprendendomi la matita.
«Bene Lucius, sei stato velocissimo!» esclamò la Walter, prendendo il test di Yuki – sama «Ragazzi dieci minuti di pausa!» annunciò poi.
Si sedette alla cattedra e cominciò a controllare le risposte multiple che aveva dato Lucius.
«Come hai fatto a farlo in soli quaranta minuti? Erano cinquanta domande! Tutti noi l’abbiamo fatto in due ore!» chiesi meravigliata e ammirata.
«Certo che siete lenti» si vantò lui.
«Lucius, come hai fatto?».
«Ho letto le domande e ho dato le risposte» disse lui.
La prof tornò al banco di Lucius.
«Ottimo lavoro, come al solito» sorrise lei, facendogli l’occhiolino.
Sbirciai il suo test.
Cinquanta su cinquanta.
Sbiancai.
Dieci e lode, per aver trovato anche un’imprecisione nella traccia.
Trasalii.
Era. Uno. Schifoso. Mostro. Cervellone. Anche. Figo.
«Sì» rispose alla prof con indifferenza, e poi si accasciò sul banco.
Chiuse gli occhi e sospirò.
«Sei un mostro!» sussurrai.
«Che cosa ho fatto adesso?» chiese tenendo gli occhi chiusi. Le parole strascicate.
«Dieci» soffiai.
«E allora? Non m’importa del voto. Adesso ho sonno, lasciami schiacciare un pisolino e non fare la spia» mugolò.
 
 
*****************
 
 
 
 
 
«Ehi Mayu … il tuo Yuki – sama è sempre stato così … geniale?» chiesi, addentando un trancio di pizza. La mensa era più affollata del solito, ma a me sembrava comunque vuota, e ciò mi infastidiva.
«Beh, direi di sì. In effetti ha passato gli esami di ammissione con un punteggio vertiginosamente alto, e ha sempre dimostrato di essere davvero capace in tutto. Direi che è sempre stato un affascinante genio!» sorrise lei.
“Fantastico!” mugolai tra me e me.
«Capisco. Raccontami qualcos’altro di lui!» la pregai. Non conoscevo neanche io il motivo del mio interesse, ma accumulare informazioni sul conto di Yuki – sama, mi rendeva molto euforica.
Tentai di non pensarci e ascoltai Mayu, che si stava arrovellando il cervello per rispondere.
«Intendi episodi della sua vita, vero?» chiese soprappensiero. Annuii.
«Bene … vediamo … due anni fa saltava periodicamente le lezioni del signor White, ma riuscì comunque ad essere promosso con il massimo al test finale. Poi … l’anno scorso, mi ha … salvata da Nick e dalla sua banda, finendo in punizione per una settimana intera. Credo che quella fu l’unica volta in cui interloquimmo. Me lo ricordo bene» il mio sguardo speranzoso la costrinse a continuare.
«Ero nuova e come se non bastasse … straniera. Non capivo bene la lingua. Perciò sono stata presa di mira molte volte da Nick e Jane, come è accaduto a te la settimana scorsa. Venivo sorpresa nel dormitorio e spaventata a morte, oppure rovesciavano il mio pranzo nell’immondizia, o ancora … venivo minacciata di aggressione se non avessi tagliato i miei capelli, lunghissimi all’epoca».
Guardai Mayu, e percepii quella familiare sensazione di paura e vuoto che aveva sempre contraddistinto le mie giornate.
Annuii. La capivo benissimo.
I suoi capelli le arrivavano fin sotto le spalle, ed erano comunque lunghi. Allora …
«Una sera, mentre tornavo da uno dei club a cui mi ero iscritta, Jane mi immobilizzò davanti all’entrata, a quell’ora deserta. Tranciò i miei capelli, appena sotto la coda in un cui li avevo legati quel giorno. Ero disperata, e Nick e i suoi mi avevano accerchiata. Dal bosco, però, arrivò Yuki – sama, che li mandò via, seppur con violenza, ma li mandò via, intimandogli di lasciarmi in pace. Poi mi accompagnò nella mia stanza del dormitorio, salutandomi in giapponese. Ed io, che mi rendevo conto di essere fuoriposto e  sperduta, in una nuova scuola e in un nuovo continente, mi sentii protetta, anche se solo per poco. Mi aveva salvata» raccontò, sognante e commossa.
«Wow, sembra strano. Adesso sembra quasi uno di loro … » sussurrai, ma mi resi conto che non era come avevo pensato.
Lui aveva salvato anche me.
«Come?» chiese Mayu, che non mi aveva sentita. Sorrisi.
«Niente».
«Perdonami Ania, ma ora devo proprio tornare in dormitorio. Parleremo un’altra volta, ok?» si alzò salutandomi.
Annuii benevola.
 
 
Decisi di fare una passeggiata nel parco, e di riflettere.
Lucius aveva salvato Mayu l’anno scorso, ma poi non si erano più parlati da quel giorno. Eppure lui l’aveva salutata la mattina in cui aveva sventato un attacco di panico. Mayu mi aveva tradotto la conversazione a colazione, dicendomi che era trattato di un dialogo quasi formale.
Inoltre Lucius aveva salvato anche me, nonostante si giustificasse dicendo che l’aveva fatto per rabbia, e mi intimava di cavarmela da sola, perché lui non mi avrebbe sempre tirato fuori dai guai.
Era una palese contraddizione!
Mi fermai sul posto.
Quel ragazzo era davvero complicato, lunatico e arrogante.
Un giorno mi parlava, scherzando con me come se fossimo amici, il giorno dopo mi ignorava, il giorno dopo ancora mi salvava la pelle.
Ero rimasta così intontita dai suoi sbalzi di umore, che gli avevo detto persino …
Insomma gli avevo quasi chiesto … di essere amici!
Sicuramente c’era qualcosa che non andava in me.
Sicuramente c’era qualcosa che non andava in Lucius!
Se questo strano relazionarci mi avesse distratta dallo studio, cosa avrei fatto?
Se lui mi avesse distratta, magari per farmi perdere la scommessa?
Non potevo permetterlo.
Dovevo prendere seri provvedimenti.
«Seri provvedimenti!» sussurrai, senza accorgermene, e senza rendermene conto, senza sapere come, maledicendomi sommessamente … mi ritrovai nelle vicinanze del ciliegio dove riposava Lucius, e proprio Lucius, in quel momento, si stava beando della sua ombra e del suo dolce odore.
«Porca miseria» imprecai sussurrando.
Yuki – sama … cioè … Lucius, riposava tranquillo come il primo giorno all’Orpheus, prima che si scatenasse l’inferno, prima che lui potesse affondare i suoi artigli da lupo cattivo dentro di me.
Mi mossi nella sua direzione, quasi inconsciamente.
Più mi avvicinavo, e più volevo avvicinarmi, in un turbine di emozioni diverse e contrastanti, che contraddistinguevano il mio stato d’animo da quando avevo messo piede all’Orpheus.
Mi inginocchiai al suo fianco, senza svegliarlo, e rimasi accanto a lui a lungo.
Il suo petto si alzava e si abbassava impercettibilmente, il suo viso sembrava di nuovo quello di un angelo, e le se mani bianche dalle dita lunghe, erano più immacolate e innocenti che mai, come se non avessero mai fatto del male.
Mi domandai ancora una volta quale tipo di trauma avesse segnato in quel modo orrendo il suo carattere, e quale tipo di vita avesse avuto fino a quel momento.
Secondo Mayu non aveva rapporti familiari forti, ed era sempre solo.
Ma allora c’era qualcuno che l’aveva guidato o cresciuto in modo affettuoso?
C’era qualcuno per cui il suo cuore batteva per affetto o … amore?
Allungai una mano, volevo scostare le ciocche di capelli che ricadevano sulla sua fronte.
Rimasi a qualche centimetro dalla sua pelle per minuti interminabili, e poi la ritrassi, vergognandomi di me stessa.
Avrei dovuto essere in biblioteca, non sotto un albero a guardare un ragazzo che dormiva.
Lucius sospirò profondamente.
Un sospiro spezzato e nervoso.
La fronte si aggrottò.
Si agitò nel sonno, come se stesse fuggendo da chissà cosa, o fosse in preda a chissà quale dolore … poi.
«No!» si svegliò di scatto, urlando.
Il viso cereo, gli occhi stravolti, i lineamenti tormentati.
Lacrime.
Trasalii.
Si piegò in avanti, mettendo la testa tra le mani, e non sembrò nemmeno accorgersi della mia presenza.
Tremava e si passava le dita tra i capelli con fare nervoso.
«Lucius …» sussurrai. Era preoccupante il modo in cui respirava. Che incubo era?
Lui si voltò, trasalendo, verso di me.
Mi inchiodò con lo sguardo da pazzo, e inveì contro di me:«Che … che diavolo ci fai qui? Cosa sei venuta a fare?» soffiò, la voce tagliente e accusatoria, lo sguardo inquisitore. Mi sentii raggelare il sangue e mi alzai di scatto.
«Vattene!» intimò con voce ferma e arrabbiata «Vattene. Ora» disse.
Tornando a nascondersi il viso tra le grandi mani.
«Stai bene?» azzardai, meravigliata dal mio stesso tono di voce fermo e calmo.
«Sì, va’ via» rispose, liquidandomi.
Annuii. Poi corsi via.
Avevo visto piangere Lucius Yuki Bell, e a lui non era piaciuto affatto.
Avevo letto da qualche parte che piangere nel sonno, o avere incubi tanto reali da muoverci alle lacrime era dovuto ad una profonda ferita nella nostra anima, e il nostro subconscio, spesso, la portava a galla quando meno ce l’aspettavamo.
Mi sentii stranamente triste per lui. E mi pentii di averlo lasciato solo.
Forse voleva … qualcuno che gli fosse amico.
No.
Non potevo certo essere io.
Mi aveva mandata via in malo modo, ed me ne ero andata senza problemi, no?
Allora perché le lacrime stavano salendo anche a me?


------------------------------------------- ANGOLO DELL'AUTRICE ------------------------------------------------------------------------

salve a tutte ragazze!! come state care? io benissimo, scrivere questa storia è davvero divertente e fonte di piacere per me.
spero che vi stia piacendo, e spero che continuerete a seguirmi numerose!
ora passiamo ai ringraziamenti ...
grazie a _lally, Deilantha, Charlotte Atherton e Flox_29 per aver commentato il precedente capitolo. sapere cosa ne pensate e vedere i vostri commenti gentili e mi rende moooolto felice <3
grazie a coloro che seguono la mia storia:

  Alyxandra - Aurora StylesMalik - Deilantha- Elle Okumura -kikka410- ladyathena -LucyNSN - moka86- tj95p
e achi la preferisce


1 - alessia_alex7
2 - Charlotte Atherton
3 - i miss you
4 - salma_elf 
5 - SoWhat
6 - vanny 3
7 - _Lally

ragazze grazie di tutto, siete davvero meraviglioseeeeeeeeeeee! spero che continuerete a seguirmi. un bacione a tutte.

Fiore

<3

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Capitolo 6
*** Dubbi ***


Capitolo 6

 
Dubbi

 
 
 
Lucius Yuki Bell non si era presentato a scuola la settimana seguente al nostro brusco incontro nel parco, sotto il suo ciliegio.
L’ultima espressione che gli avevo visto sul volto era una maschera di dolore e inquietudine, misti all’irritazione profonda, provata copiosamente nei miei confronti, quando si era accorto che ero stata spettatrice del suo incubo, ed avevo visto le sue lacrime cristalline e pesanti, venir fuori da suoi occhi metallici, che parevano immuni a quel tipo di riflesso umano.
La sua assenza si era protratta per giorni, fino a raggiungere il fine settimana.
La mia permanenza alla Orpheus era ormai giunta alla terza settimana, e ormai sapevo approssimativamente … tutto.
I luoghi, gli orari, le abitudini degli studenti, i cibi più buoni e le attività.
Potevo dire di trovarmi bene a quel punto.
Quel fine settimana sarebbe stato piovoso,  perciò mi rassegnai a restare nella mia stanza, ma …
«Toc, toc, toc …» sentii.
«Avanti» dissi. Non aspettavo visite.
«Buongiorno, Ania» Mayu fece capolino dalla porta, e mi sorrise flebilmente.
Aveva l’aria triste e io conoscevo bene la causa di ciò.
«Ehi, entra pure».
Mayu si sedette, ormai eravamo diventate buone confidenti, naturalmente non avrei mai potuto sapere fin dove sarei riuscita a spingermi.
Amicizia? Con Mayu avrei potuto rivalutare la mia solitudine forzata e abbassare di poco la mia muraglia.
«Nemmeno oggi» sussurrò, riferendosi a Lucius.
Annuii. Perché mi stavo preoccupando anche io?
Non dovevo, non potevo, non volevo.
Eppure …
«Ania … e se si fosse cacciato nei guai senza che ce ne accorgessimo? Magari è stato sospeso?!» azzardò.
«Sì, è probabile» acconsentii. Immaginai che Nick avesse insultato Lucius, dicendogli cose del tipo “sei un mostro, un demone … vorrei schiacciarti come un moscerino”, facendo reagire il ragazzo … in malo modo.
Ripensai allo sguardo famelico e incontrollabile di Lucius, il giorno in cui aveva salvato il mio primo bacio per la terza volta.
Sospirai.
Che cosa stava combinando quell’idiota?
Avrei tanto voluto sapere se la sua assenza fosse dovuta all’incubo, e in quel caso … cosa aveva sognato?
«Cerchiamolo!» mi supplicò ancora Mayu. Erano giorni che mi ripeteva la stessa preghiera.
Stavolta accettai.
Anche io volevo sapere che fine avesse fatto Yuki - sama.
 
Io e Mayu ci dividemmo: lei avrebbe cercato all’interno della scuola, e io all’esterno.
Approfittai di un po’ di sereno, dopo il burrascoso temporale che aveva travolto la città e corsi al ciliegio di Lucius, sperando di vederlo sdraiato all’ombra dell’albero roseo.
Quando mi avvicinai al luogo, però, sentii una voce seccata, alterata e turbata, provenire proprio da lì.
Mi avvicinai, riconoscendo in quel parlare, la vocalità di Lucius.
Mi nascosi dietro il tronco di una quercia vicina, e tesi le orecchie.
«Che cosa vuoi?» aveva chiesto freddo come l’inverno Yuki – sama, e dopo una pausa aveva aggiunto «Ti ho chiesto: che cosa … diavolo … vuoi!» sbottò alzando la voce.
Il silenzio che inondò quel luogo divenne quasi assordante e pieno di tensione.
«Non l’ho dimenticato. So a cos’hai dovuto rinunciare a causa mia. Lo so perché me lo ripeti di continuo!» disse flebile, sembrando quasi turbato. Al contrario sembrò ringhiare contro il cellulare da cui chiamava, mentre pronunciava l’ultima frase.
Chi era al telefono? Chi poteva turbarlo a quel modo?
«Qui?» chiese sbigottito, furioso.
«Non ti voglio in casa mia! … No … per quanto?!»sospirò esausto, combattuto.
Sembrava che il suo interlocutore gli avesse chiesto ospitalità per qualche tempo, ma Lucius era contrariato sino all’inimmaginabile.
«Sei davvero una donna insopportabile! Una vera sanguisuga, o dovrei dire … una iena» sentenziò. Un brivido mi corse lungo la schiena.
Una donna!
Da come si era rivolto a lei … sembrava odiarla.
Che fosse una delle ragazze con cui … con cui …
«Una settimana. Dopo di che te ne andrai fuori dai piedi. Te l’ho sempre detto, mi prendo cura di te solo per fare ammenda. Il nostro rapporto finisce qui» disse secco, glaciale. Mi immaginai nei panni di quella donna, e rabbrividii al solo pensarci.
Parole così piene di odio erano taglienti come rasoi.
Sentii un “bip”, e immaginai che Lucius avesse riattaccato.
Sbirciai da dietro il tronco, e lo vidi accasciarsi a terra con frustrazione, sedendosi di botto.
«Maledizione» sussurrò.
Prima che potessi venire scoperta, ricordando la brutta esperienza durante la quale mi aveva cacciata in malo modo, indietreggiai, lasciandolo solo.
Quando Mayu mi chiese se l’avessi trovato, dissi di no.
Quella conversazione l’avrei tenuta per me.
 
 
 
**************
 
 
«Ania, cara, vieni qui un momento» mi chiamò gentile la signora Walter.
Quel giorno indossava un tailleur davvero elegante, di colore blu scuro.
«Senti cara, purtroppo ho saputo della punizione che tu e Lucius avete ricevuto, perciò devo chiederti di andare da lui e avvisarlo che dovrete riunirvi in biblioteca per le tre di questo pomeriggio» disse mesta.
Mi ero completamente scordata della punizione del signor White, quella dovuta alla rissa numero tre.
Il mio primo bacio era stato miracolosamente salvato dal bullo della scuola! Incredibile!
Indietreggiai.
«Non so dove potrei trovarlo, manca da scuola da una settimana ormai!» mentii.
Non volevo cadere sotto l’effetto raggelante dei suoi occhi di ghiaccio.
«Beh, puoi sempre scoprirlo. Ecco il suo numero di cellulare» sorrise, porgendomi un pezzo di carta su cui c’era segnato un numero di telefono. 
Non potei fare altro che obbedire, così presi il numero e andai in camera mia.
 
Le dodici, l’una, l’una e mezza del pomeriggio …
Dovevo decidermi a chiamarlo, altrimenti sarebbero stati guai.
Non potevo sottrarmi alla punizione del preside, e non potevo tradire Lucius, andandoci senza di lui.
Ero in debito!
Composi per la diciannovesima volta quello stramaledetto numero, e poi, senza guardare le mie dita, premetti sul pulsante di chiamata.
«Pronto» rispose dopo un solo tono di chiamata, rapido e sicuro.
«Pro … pronto?!» risposi, la mia voce era isterica. Imprecai in silenzio.
«Ania?» chiese incredulo, sembrava aver sputato il mio nomignolo.
«Lu … Lucius … ciao» balbettai. Lui sospirò seccamente, facendo crescere la mia ansia.
«Si può sapere cosa vuoi, ragazzina?» domando burbero.
«Ragazzina? Credi di essere molto più adulto di me?» chiesi pungente. Ci fu un momento di silenzio, poi la sua risposta arrivò inesorabile.
«Spiare qualcuno mentre dorme … è roba da invadenti, immaturi, stupidi bambini. Ops … scusa. Tu l’hai fatto!» puntualizzò.
«Ma come sei divertente, non riesco a smettere di ridere! Ho quasi mal di pancia» lo schernii, poi tornai seria. Non volevo litigare al telefono, né arrabbiarmi con lui.
«Ti ho chiamato per avvisarti, che questo pomeriggio alle tre, dobbiamo scontare la nostra punizione in biblioteca» dissi formale.
Dall’altra parte della cornetta, dopo un minuto di silenzio, la voce profonda di Yuki – sama sghignazzò.
«Cos’hai da ridere? Ci aspettano un centinaio di cartelle da riordinare!» protestai lamentosa.
Lucius scoppiò a ridere sfacciatamente.
«Verrai?» chiesi, sicura che mi stesse prendendo in giro.
«E me lo chiedi? È ovvio che non lo farò!» disse divertito.
«Lucius … devi! Per causa tua il signor White mi odia, e la professoressa Walter mi ha incaricato di avvisarti! Se non vieni sarò nei guai fino al collo!» dichiarai.
«No» la risposta secca e sicura. Irremovibile.
«Spiegami che cosa ti impedisce di venire!» lo attaccai. Sghignazzò ancora chissà per quale motivo e poi rispose.
«Vediamo … il mio letto è davvero comodo, piove, mi fanno male i piedi … e … sinceramente non ho voglia di vedere la tua faccetta irritante» rispose secco.
Divenni paonazza, ma giocai d’astuzia. Almeno credevo.
«Dimmi cosa posso fare per farti venire!»sbottai.
«Beh … ci tieni proprio a saperlo?» chiese malizioso. Arrossii. La mia domanda …
«Le ragazze si impegnano tanto … a letto. Ecco, adesso lo sai» la sua voce era un sussurro sensuale e …
«Razza di pervertito!» urlai nella cornetta, e poi riattaccai.
Ansimai. Ma che razza di bastardo! Chi si credeva di essere?
Bevvi dell’acqua nel tentativo di calmarmi.
Porco, porco, porco!
Maledetto alieno pervertito!
Mi sentivo così … ero così …
Nel momento stesso in cui avevo pronunciato la domanda, avevo immaginato la sua risposta, ma non avrei mai pensato che fosse tanto … sfacciato!
Era dannatamente pieno di sé, era un’insopportabile bastardo.
Cercai di scacciare la rabbia e l’imbarazzo, e quando mi fui ripresa, mi incamminai verso la biblioteca.
Il lavoro sarebbe stato duro da fare da sola, ma almeno non avrei rivisto la sua brutta faccia, pensai positiva.
 
Entrai in biblioteca, e quando mi sentii invadere dall’odore familiare della carta, mi sentii stranamente meglio.
La rabbia e la vergogna erano evaporate.
La bibliotecaria mi porse uno scatolone pieno di cartelline.
Erano davvero tantissime e quando mi resi conto di quanto pesasse, mi sbilanciai all’indietro per evitare di far cadere a terra il contenuto, così persi l’equilibrio.
Andai a sbattere contro qualcosa, però, che mi impedì di cascare a terra.
Qualcosa o … qualcuno.
«Scu … » cominciai.
«Non è possibile! La secchiona in punizione!» mi interruppe acida e perfida Jane.
La bionda aveva raccolto i lunghi capelli in una treccia a spina di pesce, e aveva truccato i suoi occhi con un blu oceano che li circondava.
Le labbra erano pesca.
L’espressione corrucciata che aveva sulla faccia la diceva lunga.
Ogni sua cellula diceva “levati dai piedi, mi fai vomitare!”.
Sospirai e tentai di allontanarmi da lei, ma muovermi era difficile con quello scatolone addosso.
«Beh … direi che sei goffa! Strano, Lucky ha sempre detestato le sfigate. Ma d’altronde lui ama le nuove esperienze. Forse tu sei una specie di esperimento!» sghignazzò malefica.
«Sarò pur sfigata, ma la cosa da sperimentare e studiare, è il fatto che tu riesca a parlare e sputare allo stesso tempo, nonostante tu non abbia un cervello!» sbottai seccata.
In quel momento riuscivo quasi a capire Lucius.
Quella volta, davanti al suo appartamento, le aveva detto di andarsene in maniera brusca.
Ora capivo quanto dovesse essere oppresso da tutto ciò.
«Brutta secchiona! Me la pagherai!» strillò nervosamente, poi mi diede uno spintone, ed io caddi rovinosamente a terra, portando con me la scatola.
Tutti i fogli si sparpagliarono a terra, mischiandosi.
Jane corse via ridendo come un’idiota, mentre le mie interiora si contorcevano per la rabbia.
«Ti difendi bene, ragazzina» la voce familiare e ferma, mi sorprese alle spalle.
Yuki – sama in tutta la sua altezza, guardava nella direzione in cui era scappata Jane, e il suo sguardo mi diceva che aveva assistito alla scena.
Non mi tese la mano per aiutarmi, così mi alzai da sola.
«Devo badare a me stessa, l’hai detto tu» ribattei.
«Già. Ti ho sottovalutata. Sei davvero … promettente» disse ghignando.
Un momento prima aveva bruciato il corridoio, infiammandolo con lo sguardo, e un momento dopo …
«Razza di pervertito!» strillai, ricordando di colpo la nostra prima telefonata.
«Avevi detto che non saresti venuto, perché ora sei qui? Hai escogitato un nuovo modo di tormentarmi?» proruppi. Lui non fece una piega.
«Quante storie! Perché te la prendi tanto? In fondo sei stata tu a chiedermelo!» rispose calmo e con nonchalance.
«Co … cosa? Io … io ti disintegro!» lo minacciai furente e paonazza.
Il suo sguardo cambiò improvvisamente.
Divenne cupo, tetro.
«Sarebbe bello … se fossi davvero in grado di farlo» mormorò. Chiuse gli occhi ed inspirò con un sorriso amaro sulle labbra.
«Lucius …» cominciai, ma mi bloccai. Le risse, l’appartamento solitario, l’incubo, le lacrime … avevo il diritto di chiedergli perché?
Non eravamo amici. Eravamo rivali, e io non potevo intromettermi nella sua vita privata.
Di solito, da ciò che avevo visto o sentito, due amici si fidavano l’uno dell’altro e si confidavano a vicenda segreti e sogni.
Gli amici erano le persone più vicine a cui potersi appoggiare. Erano le persone che ti accettavano per quello che eri, erano le persone che stavano con te in silenzio, condividendo la tua tristezza, anche senza capire cosa ti avesse ferito.
Gli amici venivano a trovarti quando ti ammalavi, e ti prendevano in giro per cercare di tirarti su il morale.
Gli amici erano persone a cui si voleva bene.
Io tenevo a Lucius? Lui teneva a me?
Certo che no.
Io vedevo Lucius come un rivale a tutti gli effetti, un ostacolo da superare, un mito da sfatare.
Io per lui ero solo un esperimento, forse.
Era vero, Jane credeva che io e lui stessimo insieme, ma anche se così non era, io e Lucius ci relazionavamo in modo alquanto strano.
Mayu aveva detto che Yuki – sama non aveva amici e che non parlava molto.
Allora … possibile che stesse davvero sperimentando … un rapporto con me?
Mi ripresi.
«Capita a tutti di voler scomparire a volte» risposi semplicemente, ma la mia risposta sembrò stupirlo. Riaprì gli occhi metallici e mi fulminò con lo sguardo.
«Già» rispose.
Ci chinammo a terra e riordinare le carte, e finimmo il lavoro solo tre ore dopo.
 
 
 
************
 
 
 
 
«Finito!» esultai a mezza voce, con un tono compiaciuto ed esausto allo stesso tempo.
«Che strazio!» si lamentò lui, assumendo la solita espressione tetra e seccata.
In realtà Lucius non aveva fatto nulla, tranne che portare le scatole di peso da una parte all’altra. La mente, per una volta, ero stata io.
«Ehi ragazzina, io torno a dormire. Svegliarmi sarà un tabù per te, d’ora in poi» la voce arrogante ma scherzosa. Sorrisi. Sì era vero, l’avevo svegliato più di una volta.
«Perché non sei venuto a scuola in questi giorni?» azzardai.
«Sono stato costretto a …» si bloccò di colpo, trasalendo. Si era accorto di stare rispondendo, e questo sembrava stravolgerlo.
«Ho avuto da fare» mi liquidò infine.
Non osai fargli altre domande, d’altronde avevo appena deciso che non avrei avuto alcun rapporto con lui, nessun legame, niente.
«Ah … capisco» annuii. Mi guardai le dita, e poi alzai lo sguardo.
Yuki – sama aveva chiuso gli occhi, e aveva messo una mano su di essi, premendo le tempie col pollice e l’indice.
«A domani, Ania» disse voltandosi.
«Sì» sussurrai.
Lo vidi andare via dalla biblioteca, e quando sparì del tutto, mi sentii davvero triste.
 
Tornai al dormitorio, e mi chiusi nella mia camera.
Quella notte non avrei dormito, ma ripassato in vista di un compito in classe di matematica.
La matematica mi piaceva, non mi era estranea o antipatica.
L’unica difficoltà e che spesso si dimostrava inaccessibile.
Riuscivo a raggiungere buoni voti solo memorizzando passaggi e formule, e facendo miei, esempi di ogni tipo.
Non ragionavo, memorizzavo, solo così riuscivo a non rimanere indietro.
Era come se il mio cervello si rifiutasse di funzionare quando aveva a che fare con numeri.
Sospirai.
Rouché Capelli … doveva essere davvero depresso! Pensai, sorridendo internamente.
Le matrici non erano certo l’argomento più affascinante della Terra!
Chiusi il libro di scatto, ormai non connettevo più.
Era tardissimo, e nonostante mi fossi prefissa l’obiettivo di impiegare la notte a studiare, crollai in un sonno profondo e scuro, animato solo da tenebre e silenzio.
 
Le lezioni finirono più fretta di quel che credevo, e Lucius ed io, non ci rivolgemmo neppure uno sguardo.
Ripensai al giorno prima, quando, con occhi velati da una profonda tristezza, mi aveva confessato che avrebbe desiderato scomparire per mano mia.
Sospirai, vedendolo alzarsi e andarsene.
Non lo fermai.
Era davvero strano.
I primi giorni di scuola, avevo persino avanzato la proposta di essere amici, ma non eravamo più tornati sull’argomento.
Comunque ero contenta, e fui grata a Mayu per aver interrotto la nostra conversazione: l’impulsività di quel giorno, mi sarebbe costata cara.
Se io e Lucius fossimo stati amici, se io avessi saputo cose di lui che gli altri non conoscevano, se io mi fossi avvicinata a lui fino a scottarmi col fuoco … di certo avrei perso me stessa.
Sospirai ancora una volta.
Poi uscii anche io dall’aula.




--------------------------------------------------- ANGOLO DELL'AUTRICE -----------------------------------------------------

salve care lettrici come va? spero che questo cap vi sia piaciuto e che non vi abbia annoiato, naturalmente me lo farete sapere vero?
la stesura di ali d'argento 2 sta procedendo lentamente, ma ho già finito di scrivere il 1° cap, e ... mi piace molto, anche perchè i miei bimbi erano rimasti in pausa per troppo tempo.
comunque tornando a Ania e Lucius ... cosa ve ne pare? cosa vi aspettate che accada?

^^ adesso i miei amatissimi ringraziamenti.
grazie a che ha recensito, siete davvero gentili e preziose, e mi riempite il cuore di felicità <3

Charlotte Atherton, Alyxandra, _Lally e Deilantha.

poi ... chi mi segue ... grazie di cuore!!!!! <3

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E CHI HA MESSO NEI PREFERITI! MILLE GRAZIEEEE <3

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alla prossima mie care amiche, spero che continuerete a seguirmi!
baciottoni a tutte.
Fiore ^^


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Capitolo 7
*** Passato ***




Capitolo 7
 
 
Passato

 
 
 
Quando quella mattina uscii dalla mia stanza per recarmi a lezione, mi sentii un peso sul petto allargarsi sempre di più.
Quel giorno avrei dovuto svolgere il tanto temuto test di matematica, e nessun altro pensiero solcava la mia mente, se non quello che stavolta l’avrei superato.
Sì, Lucius Yuki Bell, stavolta non aveva speranze.
Sorrisi. Mi sentivo carica.
Corsi verso l’aula, tentando di arrivare prima, per mettermi ripassare.
«Vai di fretta stamattina» mi sentii soffiare da dietro, e trasalendo, inciampai, andando a finire col sedere per terra.
Sbuffai.
«Buongiorno anche a te, mister cortesia. Mi spieghi perché appari sempre …» mi bloccai guardandolo. Aveva le occhiaie pronunciate, scure e marcate. Gli occhi stanchi e profondi, il viso esangue. Nonostante ciò, era bellissimo come al solito, e con quell’aria da vampiro, era addirittura seducente, più del solito.
Scacciai quei pensieri con rabbia, e poi finii la frase, facendo finta di niente « … dal nulla».
«Lo sai anche tu che il mio passatempo preferito è terrorizzare il prossimo. Io sono … la reincarnazione di Satana!» disse ironico, imitando il tono del signor White, quando anche lui aveva pronunciato quelle parole ridicole contro Lucius.
Risi.
«Sì, certo. Di’ piuttosto che il tuo passatempo preferito è stressare me!» lo schernii.
«Assolutamente» sussurrò, ammiccando.
Quel giorno, aveva un’aria più rilassata. Stava addirittura scherzando con me, e stranamente mi sentii più tranquilla anche io.
«Pronta per il test? Ragazzina numero due? Ricordati che qualsiasi cosa tu scriverai su quel test, non sarà mai perfetta quanto la mia. Questo è un dato di fatto» mi sfidò.
Mi sentii montare la rabbia, ma rimasi calma e composta. Diplomatica.
«Vedremo, ragazzo-demonio» risposi risoluta.
 
Il test iniziò cinque minuti più tardi, a causa di due ritardatari: Jane e Nick, ovviamente.
Una troppo impegnata a truccarsi, ops … stuccarsi, l’altro troppo preso dal suo cornetto alla nutella.
Venti domande e due esercizi pratici, erano il corpo del test, ed io impiegai quaranta minuti su sessanta per completarlo tutto.
Sospirai apponendo un’ energica firma sulla parte in basso della pagina, e poi mi voltai verso Lucius.
Trasalii: era profondamente addormentato, e sembrava aver finito da un pezzo.
Aggrottai le sopracciglia quando gli guardai le mani.
La destra era fasciata strettamente da una fascia candida, che nascondeva il dorso e il palmo. Le dita graffiate in più punti.
Con chi avrà fatto a botte stavolta? Pensai esasperata, ma poi guardai meglio.
I piccoli graffi sulle dita sembravano il risultato di un bel pugno scagliato su uno specchio, o roba simile.
Lo guardai in faccia. Aveva appoggiato la testa sul braccio, e i capelli ricadevano meravigliosamente sulla fronte distesa.
Il suo test era in bella vista, compilato ordinatamente e con minuziosa attenzione.
Distolsi lo sguardo violentemente. Non dovevo sbirciare in nessun caso.
No.
Era una sfida ed io non avrei barato!
Guardai davanti a me, e cercai di concentrarmi su qualcos’altro.
Non so perché ma mi venne in mente la telefonata di Lucius con una presunta e odiosa donna. Che fosse collegata con la mano ferita di Lucius?
Di sicuro lui non aveva chiuso occhio, e questo poteva dire solo una cosa.
Aveva passato la notte in bianco a fare …
«Bene ragazzi, ora consegnate, il tempo è scaduto» disse il signor Tennison, tra gli sbuffi e i lamenti degli studenti scoraggiati o rassegnati.
Incrociai le dita, ma stavolta ero certa del risultato.
 
«Come ti è andata?» chiesi a Lucius all’uscita da scuola.
«Al solito, tu?» rispose con nonchalance.
«Bene» dichiarai sicura.
«Bene» sospirò lui.
«Lucius … cosa hai fatto alla mano?» azzardai. Il suo volto rimase impassibile, ma i suoi occhi si socchiusero un istante.
«Ho fatto a botte» rispose come se fosse una cosa ovvia. Stava mentendo.
Non so come facessi a saperlo, ma lo sentivo.
«Oh. E alla fine sei finito su dei vetri rotti con la mano!?» mi stupii della mia voce. Quella non sembrava affatto una domanda, ero sembrata accusatoria.
«Quel è il problema? » chiese freddo. Fu come assistere alla costruzione di una barriera spessa e invalicabile.
«Niente, scusa» lo liquidai. Ero proprio una frana nei rapporti. Ero impulsiva quando serviva riflessione e calma, ed ero indecisa e taciturna quando invece avrei dovuto dare risposte.
Sospirai.
«Ania, sul serio! Non riesco a decifrare i tuoi atteggiamenti. Ti comporti ogni volta in modo diverso. Prima mi mostri la tua irritante gratitudine, poi mi sfidi sfacciatamente, come nessuno oserebbe fare, poi fai l’offesa e scappi via come se fossi davvero il mostro che tu credi di poter esorcizzare a differenza di tutti gli altri e come se ciò non fosse già abbastanza, ti struggi fino al collasso per raggiungere dei risultati che stremerebbero chiunque. I voti, il titolo di miglior studente, un podio inutile e senza ragione di esistere che ti acceca. Perché non guardi te stessa invece di volgere gli occhi solo e sempre al più alto dei tuoi obiettivi? Infine … adesso ti preoccupi per me?» sbottò brusco, vomitandomi il suo regale punto di vista in faccia.
Irritante gratitudine, sfida, offesa, collasso, voti, podio, obiettivi … me stessa.
Wow.
«E questa cos’era? Un altro modo rozzo di buttarmi la tua sacra verità in faccia? Eh? Ti credi superiore a me Lucius? I miei comportamenti non saranno mai cangianti e strani come i tuoi. Prima sei un bullo violento e arrogante che mi fa la ramanzina solo perché ho svegliato il suo regale sonno, poi, nonostante la mia voglia di essere gentile, ti mostri brusco e violento persino nei modi. Subito dopo mi prendi in giro, e giochi a fare il ragazzo ironico e seducente che stenderebbe chiunque con uno sguardo o con un gancio, naturalmente dipende dal tuo umore. Non riesco a starti dietro! E poi … ti descrivi come se fossi davvero una brutta persona … quindi al contrario di me non hai alcun obiettivo, se non forse quello di farmi impazzire! Perciò … non vedo la ragione di tanto biasimo!» risposi innervosita e confusa.
«Biasimo? Biasimo! … Senti ragazzina, non sono io la persona che si sente tua rivale solo perché sei più brava di me, non sono io che ti addito perché hai comportamenti violenti! Non sono io che ti faccio un terzo grado per il puro piacere di farsi i tuoi affari! Io non biasimo proprio nessuno, perché voglio che nessuno mi giudichi, mi sembra semplice da capire!» ribatté nervosamente.
«Non ti ho affatto additato o giudicato, Lucius! Ciò che ho detto è visibile alla luce del sole» dissi stizzosa.
«Perciò sono un bullo arrogante che non ha nessun obiettivo, sono un violento che dovrebbe cercare di cambiare, ma non lo faccio perché sono troppo impegnato a superarti nei test! È vero, hai pienamente ragione» mormorò pacato e freddo.
Messa così sembrava orribile. Sospirai.
Mi sentivo confusa, mi sentivo stranamente svuotata.
Non avevo mai voluto offenderlo o ferirlo. Non io.
Io … tenevo a lui!
Questa scoperta mi fece sentire male, molto male.
«Non ho detto questo. Ho reagito così per il semplice fatto che volevo parlare con te. Tutto qui … » confessai «mi dispiace per la tua mano, spero guarisca presto. Ciao» dissi, e feci per andarmene.
«Ania» mi chiamò «qualche giorno fa mi hai detto che avrei potuto dimostrarti di essere diverso dal ritratto che tutti hanno di me qui. Scusami, ma credo di non esserne capace» mormorò mesto e turbato. Il suo sguardo era molto triste.
«Lucius …» dissi, ma lui se n’era andato, voltandomi le spalle.
 
 
 
 
*****************
 
 
 
Ormai era passato un mese dal mio arrivo al collegio Orpheus, l’istituto più famoso della città che raggruppava i rampolli delle ricche famiglie della zona.
Nell’ultima settimana il mio unico pensiero fu quello di prendere il massimo dei voti in tutte le materie, surclassando i secchioni abituali della scuola, e avvicinandomi sempre di più alla stella abbagliante di Lucius Yuki Bell.
Il ragazzo tetro e misterioso, scontroso e cruento che mi aveva salvato la pelle in diverse occasioni, riusciva quasi sempre a superarmi.
Le volte in cui non ci riusciva, era perché aveva saltato la scuola il giorno del test, o semplicemente perché lo eguagliavo.
Era sempre e comunque lui lo studente migliore del collegio, e ciò non riuscivo a mandarlo giù.
Nell’ultima settimana, non mi ero buttata a capofitto nello studio solo per raggiungerlo, ma anche per dimenticare la nostra ultima, vera conversazione, durante la quale, implicitamente, ero stata additata come “persona superficiale”.
Sì, pensavo solo ai voti, allo studio e ai libri.
Sospirai, sorseggiando il caffellatte della mensa, mentre Mayu, seduta accanto a me, giocherellava con la cannuccia del suo succo di frutta.
Ad un tratto, la voce metallica di un radiofono, mi fece sobbalzare.
«La signorina Anastasia Maria Luce Green è pregata di recarsi all’ufficio tecnico, ripeto, la signorina Green è desiderata all’ufficio tecnico! Grazie!» annunciò.
Il cuore mi si fermò.
L’ufficio tecnico era presieduto dalla professoressa Walter!
Salutai Mayu e corsi al secondo piano, bussai al portone di legno massello ed entrai.
«Ania!» sorrise radiosa «Grazie tante per essere venuta tanto tempestivamente!» disse gentile.
«Si figuri!» risposi tesa.
«Lucius non verrà quest’oggi a scuola» disse seria, mentre i suoi occhi vagavano per la stanza, ricordando chissà cosa.
«Ha chiamato il suo tutore e ha detto che quest’oggi sarebbe andato a trovarlo, e che quindi Yuki sarebbe stato assente dalle lezioni per motivi … familiari» mi informò, sottolineando l’ultima parola.
«Voi due parlate spesso no? Siete amici! Quindi …».
«Signorina Walter … io e Lucius non siamo amici» dissi risoluta, anche se nel petto provai una strana sensazione di disagio.
«Ah no? Allora cosa siete? Amanti?» chiese meravigliata. Arrossii e scossi la testa a destra e a sinistra con una energia estrema.
«Per nulla! Noi siamo … rivali» sputai. Lei mi perforò con lo sguardo.
«Credi che questa affermazione sia coerente con ciò che la tua faccia mi sta mostrando? Sei arrossita cara, e non credo che sia perché qui fa caldo» puntualizzò sfacciatamente, senza curarsi di mantenere un certo distacco, caratteristica essenziale per un prof.
«Ma … ma io sto dicendo la verità. Lui mi detesta, io lo irrito e mi sgrida di continuo perché crede che io sia superficiale. Mi dice sempre che pensare ai voti di continuo non è una buona cosa e dice che non dovrei impicciarmi dei suoi affari. Io penso invece che lui sia un ragazzo violento e senza … pudore, ecco! Non la chiamerei amicizia» dichiarai d’un fiato. Lo sguardo della prof. si fece dolce e comprensivo.
«Sapevo di poter contare su di te!» sorrise e poi mi ordinò di portargli i miei appunti e un pasto caldo, non appena si fossero chiuse le luci dell’entrata principale, alle sette in punto.
A quell’ora tutto era deserto, e passeggiare per l’Orpheus metteva una certa ansia.
Mi domandavo come facesse la Walter a sapere che io conoscessi la via per l’appartamento di Lucius.
Strinsi il cestello che tenevo tra le braccia quando pensai a lui.
Il suo tutore voleva vederlo, e la Walter sembrava molto preoccupata e tesa.
In quel momento mi accorsi di quante cose fossi all’oscuro riguardo Yuki – sama e per questo mi sentii stranamente a disagio.
Viveva solo, non aveva un padre o una madre, aveva un tutore che non passava mai a trovarlo, secondo Mayu, e che se si presentava faceva scaturire preoccupazione nella signora Walter. Non parlava mai di sé e quando avevo provato a scavare, mi ero ritrovata in mezzo ad una bufera di neve, invalicabile e opprimente. Era violento e solo, tristemente e dannatamente solo, come me.
Era un genio, eppure aveva tutti contro, era bellissimo eppure non aveva una ragazza con cui stare, era talentuoso, ma riusciva a mostrare alla gente solo il peggio di sé.
Cosa era successo a Lucius di tanto brutto da farlo assomigliare ad un demone?
Entrai nella reception e feci un cenno alla ragazza che sedeva dietro il bancone.
«Buonasera signorina, posso esserle utile?» chiese gentile, distogliendo lo sguardo dal computer.
«Sì, grazie. Dovrei raggiungere l’appartamento di Lucius Bell, ma non so dove citofonare. Da sola mi perderei» ammisi.
«Capisco, purtroppo però il signor Bell è uscito e non tornerà prima delle otto» sorrise affabile la donna.
«Oh … allora può dargli questo da parte mia? C’è la sua cena e gli appunti di scuola» dissi, un tantino delusa.
«Ma certo, lo farò senz’altro. Vuole lasciare il suo nome o un messaggio?» chiese.
«Ania, gli dica che è passata Ania» dissi, e poi la salutai, andandomene.
L’aria della notte, fredda e pungente, nonostante non fosse ancora inverno, mi investì, facendomi rabbrividire.
Chissà cos’era andato a fare Lucius con questo freddo e a quest’ora!
Sospirai. Era inutile, la mia mente non voleva saperne di dimenticare e di pensare che lui fosse solo un rivale per me.
Strinsi i pugni.
Maledizione! Non dovevo farmi fregare ancora.
Se ciò che aveva detto Jane era vero, avrei sofferto di sicuro, ancora una volta, disilludendomi fino a risucchiare tutta la mia felicità.
Ormai era buio inoltrato quando mi introdussi nel parco per prendere il piccolo viale, e vedere mi era difficile.
I miei passi andarono a tentoni fino a scorgere i fari che illuminavano le scalinate dell’Orpheus.
«Ma guarda chi abbiamo qui! …» mi sorprese alle spalle una voce. Era la voce di una donna, ed era un suono talmente aspro ed irritante che mi sentii raggelare lo stomaco.
Un rumore di passi fece scricchiolare dei ramoscelli sul terreno e l’odore di terra bagnata era insopportabile e accentuato dalla tensione.
Era buio, e non sapevo chi fosse quella persona.
«… Ana, ah ah, sei andata a trovare il tuo ragazzo? Sei appena uscita dall’appartamento di Lucius … e scommetto che tu e lui avete fatto grandi cose insieme! Ah ah ah!» gracchiò maligna Jane. Sentii nell’ombra altre risate, ma capii subito che si trattava di ragazzi. Immaginai che ci fosse anche Nick tra loro.
Una strana ansia, anzi, un serpeggiante brutto presentimento si impadronì di me.
Mi mossi velocemente verso i lampioni dello spiazzo che precedeva l’entrata all’Orpheus, ma prima che potessi raggiungere il limitare del parco illuminato, mi sentii bloccare da dietro.
«Ferma lì, dove scappi!?» mi schernirono due ragazzi corpulenti.
«Lasciatemi, che volete?» strillai, in preda al panico.
Nelle settimane precedenti, avevo capito bene che atmosfera avvolgesse il collegio. Lì erano riuniti i rampolli di gente di spicco, di nobili, di politici e di influenti componenti della società.
All’Orpheus non c’era solo sana competizione, ma un veleno invisibile che scorreva tra i rapporti umani, fino a renderli letali.
Quei ragazzi erano insensibili, arrabbiati col mondo e allo stesso tempo possedevano il potere di mettere ai loro piedi chiunque.
Nei loro sguardi c’era arroganza, prepotenza, cupidigia, cattiveria e violenza.
Si credevano i padroni del mondo solo per il fatto di appartenere a famiglie ricchissime e potenti. Secondo me questo era terrificante.
«Cosa vogliamo? Non essere sciocca, cosa potremmo volere? Tu sei la ragazza di Bell, no? Vogliamo solo giocare un po’ con te. E poi» mi sentii strattonare e girandomi, notai che i volti dei miei aggressori erano coperti da dei passamontagna.
Trasalii. La voce che aveva parlato per ultima era sicuramente di Nick, ma chi era dei due? Mi guardai intorno, notando che c’erano molte più persone che mi circondavano, di quelle che mi ero immaginata.
Cominciai a tremare come una foglia, stavolta la mia cintura verde non sarebbe servita a nulla.
Ero sola.
«Anastasia Maria Luce Green … che nome orrendo!» sghignazzò Jane «Ana suona mooolto meglio! Sai, mia cara piccola sgualdrinella, abbiamo nelle nostre mani il tuo … ehm, curriculum, e ora sappiamo come mai Lucius ti ha presa sotto la sua ala» mormorò perfida. Trasalii.
«Di che parli? Il mio curriculum? Lo sai che è un reato violare la privacy dell’archivio studentesco?» l’attaccai, cercando di non fare notare quanto fossi impaurita.
«Oh, non preoccuparti per noi, preoccupati per te stessa piuttosto. Qui dice … che durante le medie avevi voti altissimi, e che nella tua vecchia scuola … mm avevi il massimo del punteggio …» dichiarò, sfogliando il mio portfolio, poi Jane sgranò gli occhi.
«Ah, eccolo» esultò sbirciando l’ultima pagina, quella risalente all’anno precedente «nella tua vecchia scuola pubblica, sei stata vittima di minacce da parte di un tuo compagno di classe, figlio di un insegnante. I tuoi voti sono calati di molto e sei stata quindi vittima di attacchi di panico frequenti … » fece una pausa. Mi scoppiava la testa e le immagini ancora vivide di vecchi ricordi, mi fecero martellare dolorosamente le tempie.
«Oh … che pena mi fai! Piangi? Stai piangendo? Non farti prendere dal panico anche qui! Ah ah!» sghignazzò maligna.
“Tu non sei niente senza i tuoi voti. Non vali niente e sarai sempre una nullità per la tua famiglia e per tutti gli altri. Tu sei solo … una sporca secchiona”.
Queste parole risuonarono nella mia mente e come spilli andarono ad insinuarsi in me, ferendomi ancora.
Ricordai, mio malgrado, i giorni in cui quella stessa persona mi aveva promesso la sua amicizia, e ricordo poi quando tutte quelle promesse si erano infrante come un vetro troppo fragile ed effimero.
Poi era cominciato il mio calvario. Cattiverie di ogni tipo, isolamento forzato, sguardi infuocati, aggressioni a sorpresa e minacce.
Avevo ceduto, e la mia mente sovraccaricata dal dolore del tradimento e dalla paura di altre angherie da subire, non aveva più appreso nulla.
Nonostante ciò, i miei non credevano alle mie parole all’inizio, e continuavano a contestare il mio andamento scolastico mediocre, mettendomi sottopressione come mai prima di allora. La loro delusione era visibile come il sole attraverso il vetro, e i loro sguardi pieni di insoddisfazione e disprezzo erano spietati.
Tutto aveva avuto fine grazie ad una corsa in ospedale.
Quel giorno, dopo l’ennesima minaccia di percosse fuori da scuola e dopo l’ennesimo annebbiamento durante un test, ero svenuta.
Il mio petto era sprofondato in un baratro oscuro e senza fine e i miei polmoni si erano riempiti di disperazione, ansimando per ricevere un po’ di aria.
Ma mi sentivo il cuore pesante e impossibile da liberare, così ero collassata.
Il mio corpo ne aveva risentito, e avevo passato qualche giorno in ospedale.
Poi tutto era cambiato, avevo cambiato scuola e insegnanti, avevo cambiato posto e compagni, ma il mio problema non era cambiato affatto.
«Smettila! Sta’ zitta!» strillai, sentendo la familiare e oscura sensazione opprimermi il petto.
Ansimai, spaventata.
«Zitta! Hai paura che tutti scoprano il tuo punto debole, e scoprano quanto tu sia superficiale e sciocca? Sì, in effetti avrei paura anche io, ah ah!» mi schernì la bionda.
Annaspai, poi trasalii.
Era troppo tardi.
Non so perché in quel momento pensai a Lucius, ma mi sembrò stupido e importante allo stesso tempo quel pensiero.
Però forse, servì a qualcosa.
«Cosa diavolo le state facendo? Toglietele le mani di dosso bastardi! Non vedete che sta soffocando?» tuonò iraconda una voce profonda e allarmata.
Riuscii a sentire le sue mani liberarmi dalla presa dei ragazzi con il passamontagna e attirarmi a sé.
«Ania … calmati e respira» mormorò nervoso e preoccupato.
Feci di no con la testa. Non ci riuscivo, ero debole e sopraffatta da quel macigno che sentivo sul petto.
«Bell, sei sempre il solito guastafeste» Nick si tolse quella maschera e affrontò Lucius che mi teneva ancora tra le braccia.
Tentò di trascinarmi via da Yuki – sama, e con la forza rimastami, tentai di aggrapparmi alla sua giacca.
«Maledetto idiota! Vuoi proprio morire stanotte!» sbottò Lucius, lanciandogli un gancio con la mano libera. Nick lo incassò con un gemito, ma colpì me subito dopo in pieno viso, perdendo l’equilibrio.
«Ah ah … sei un pessimo angelo custode, sai?» lo schernì Nick, mentre Lucius digrignava i denti e mi depositava delicatamente vicino ad un albero.
Qualcosa di caldo e liquido scivolò lungo la mia guancia destra, e quando arrivò alla bocca, capii cos’era.
Intanto sentivo l’annebbiamento dovuto agli spasmi invadermi e intorpidirmi.
Avevo paura di soffocare.
Sentii solo voci arrabbiate, colpi e manrovesci.
Sentivo gli insulti poco educati di Lucius, che colpivano forte quanto i suoi pugni i bulli che mi avevano fatto quell’agguato.
Poi mi sentii venir meno.





-------------------------------------------------------------- angolo dell'autrice ---------------------------------------------------------

salve salvino! XD come va??
scusate il ritardo, ma non avevo ispirazione.
già, questa storia rischia di non trovare fine a causa di mancanza di idee ... dovete sapere che nelle ultime settimana mi sono venute in mente circa 5 trame diverse tra fantasy e verosimile, e ho avuto una sorta di calo di zuccheri mentale XD 
se avete idee o desideri su questa trama vi prego di illuminarmi tramite messaggio privato e recensione. 
naturalmente ringrazio chiunque abbia buone idee che possano risvegliare la mia fantasia per questa trama.
amiamo tutte lucius e ania no? bene, allora fate la carità XD grazie milleeeeeeeee. 

ora i ringraziamenti.

le meravigliose persone che hanno recensito lo scorso cap ...
onlyBooksandabitofCunning_LallyDeilantha.

grazie mille tesore. le vostre rec sono sempre molto emozionanti per me ^^

poi naturalmente coloro che mi seguono

1 - Alyxandra [Contatta]
2 - Aurora StylesMalik [Contatta]
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4 - CaliforniaLA [Contatta]
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12 - _Lally [Contatta]

grazie a tutti-e.
questa storia è nata come un esperimento, dal momento che ho sempre scritto fanyasy.
quindi è forse questo il problema del mio blocco.
accetto qualsiasi suggerimento, quindi vi prego di commentare.
un bacione a tutte e tanti cuoricini <3<3<3<3<3<3<3<3<3<3<3<3

Fiore
<3
 
 
 
 
 

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Capitolo 8
*** Grazie ***


 
Capitolo 8
 
 
Grazie

 
 
 
Le mie labbra vennero sfiorate da qualcosa di deliziosamente caldo e sensuale.
Era qualcosa di morbido e setoso.
Mi sentii bene all’improvviso, come se avessi ritrovato il mio equilibrio e come se fossi stata riempita dell’aria che mi era mancata per troppo tempo.
I miei polmoni non erano più compressi da un macigno di disperazione.
«Stupida ragazzina, sei troppo fragile per vivere in questo posto» sentii sussurrare.
Stavo sognando?
Cercai di aprire gli occhi e quando una fioca luce mi abbagliò, capii di non essere sola.
Mi trovavo in una camera da letto arredata signorilmente, con delle sfarzose lampade e un copriletto di seta ricamata blu intenso.
Al mio fianco, sdraiato a petto nudo su un fianco, c’era Lucius.
Trasalii, sentendomi imbarazzata e turbata dalla sua prominente bellezza, quasi surreale alla luce fioca della lampada.
Ero troppo debole per alzarmi di scatto, ma lui si accorse del mio disagio.
«Ania …» si avvicinò e mi avvolse tra le braccia.
Trasalii ancora, sorpresa dal gesto gentile e premuroso.
«… sei al sicuro qui, sta’ tranquilla e riposa. Ho temuto il peggio» sospirò.
Ricambiai l’abbraccio, prendendo quel gesto così intimo come un modo per tranquillizzare entrambi, me e lui stesso.
«Grazie» soffiai, osservando piccoli graffi e lividi sul suo corpo.
Chissà come aveva fatto ad affrontare tutti quei ragazzi da solo. Chissà se aveva recuperato il mio portfolio o se invece era ancora tra le mani di Jane e … chissà se aveva sentito la mia storia o se invece si era perso l’intero racconto di Jane.
«Non ringraziarmi, è colpa mia. Se non mi fossi avvicinato a te, loro ti avrebbero lasciata in pace. Ania … mi dispiace» mormorò.
Scossi la testa.
«Mi hai salvata così tante volte» dissi «dirti grazie è il minimo che io possa fare».
Lucius sciolse l’abbraccio e poi si ficcò sotto le coperte, insieme a me.
«Ora dormi, domani l’infermiera vuole vederti» mi informò.
«Mi hai portata in infermeria?» chiesi stupita. Non mi ero accorta di nulla.
«No, ho corrotto l’infermiera e lei mi ha raggiunto qui, anche se era terrorizzata che la scoprisse qualcuno» ammiccò.
Lo guardai in faccia. Aveva un livido sulla guancia, ma sembrava un’ombra appena accennata sulla sua pelle perfetta.
«Wow, sei pieno di risorse. E come hai fatto con … Jane e Nick?» chiesi.
«Credimi, non vorresti saperlo. Lei piangeva come una fontana invocando il mio perdono, lui … beh, gli è andata molto peggio» disse compiaciuto e divertito.
«Stavolta mi trovi completamente consenziente. Avrei fatto a botte anche io se …» mi bloccai. Non riuscii a finire la frase.
«Ania … ora puoi dirmelo. Soffri di attacchi di panico?» chiese serio e comprensivo.
Annuii mestamente. Ormai era chiaro come il sole, perché negarlo?
Annuì anche Lucius. Negli occhi sembrava dispiaciuto.
Sorrisi internamente: non avrei mai immaginato che un demone come lui potesse essere tanto gentile e dolce.
Provai ad alzarmi, avevo sete.
«Sicura di farcela?» chiese, sostenendomi con una mano dietro la schiena.
Mi girava un po’ la testa, ma per il resto, stavo bene.
Toc toc toc …
Sentii Lucius irrigidirsi, e il mio cuore perdere un colpo quando qualcuno bussò alla porta.
Quando questa si aprì, rimasi di stucco.
Delle gambe dritte e lunghissime, sensuali, apparvero muovendosi sinuosamente. Un corpo perfetto e slanciato, dalle curve invidiabili si protese in avanti, mostrando un seno prosperoso e un collo lungo ed elegante.
Il viso sembrava l’immagine di un angelo.
I suoi capelli non erano scuri e setosi come quelli di una donna orientale qualsiasi, ma mostravano qualcosa di esotico: un colore singolare, lucente ma solare. Sembrava castano dorato.
Gli occhi due diamanti neri.
Quella donna era giovanissima e dall’aspetto curato sembrava proprio essere una modella di classe A.
Era l’amante di Lucius? Era una delle tante con lui andava a letto?
«Come sta la tua amica?» chiese in modo illeggibile miss gambe lunghe.
«Meglio» rispose freddamente Lucius.
«Buonasera cara, io mi chiamo Yuri» sorrise, abbagliandomi.
«Salve. Ania» risposi meccanicamente.
«Perché …»
«Okay, discorso chiuso. Buona notte ad entrambe» disse burbero Lucius, interrompendo la ragazza che stava per rivolgermi una domanda.
Lo guardai di sottecchi e poi guardai lei.
Con grande meraviglia scoprii che si somigliavano tantissimo!
«È tua sorella?» domandai curiosa a Lucius. Lui sembrò irrigidirsi, e guardare la donna alla porta con occhi ancora più severi.
Mi si raggelò il sangue.
«No, non lo è» rispose cauto, poi sentii la porta chiudersi. Quella donna era sparita e immaginai che fosse andata a piangere da qualche parte lontana da lui.
«Lucius … perché …» non mi capacitavo del fatto che l’avesse trattata come una criminale, o come spazzatura di cui liberarsi.
«Ania … non chiedermi nulla adesso. Non risponderei e poi … non sono proprio in vena ora» mi avvertì.
«Ok» dissi. Poi si alzò, sciogliendo quel dolce contatto che si era creato poco prima. Stavo così bene e mi sentivo così leggera con lui accanto!
«Aspetta» dissi involontariamente. La mia voce suonò pateticamente disperata.
Avevo paura che il mostro dentro di me, tornasse a tormentarmi in sua assenza.
Sembrò trasalire, quando la mia mano si aggrappò alla camicia bianca aperta che si era infilato scendendo dal letto.
Si sedette accanto a me, dandomi le spalle.
Strinsi nel pugno la stoffa dell’indumento, e poi poggiai la testa sulla schiena slanciata e scolpita di Yuki – sama.
«Per stasera … per stasera possiamo avere una tregua? Essere rivali è stancante, e non voglio costringermi a farmi forza da sola. È imbarazzante ma … ti prego, non lasciarmi da sola!» mi costrinsi a dire.
Pensai a come sarebbe stato rimanere sola.
Quel silenzio mi avrebbe soffocata, appesantita e stremata.
«Sta’ tranquilla. Non avrai altri attacchi di panico. Non lo permetterò» mormorò alla luce di quelle eleganti abatjour.
«E come farai? Spesse volte sei proprio tu la causa della mia ansia, sai? La tua vicinanza crea uno strano affetto» dissi.
«E che effetto ti fa … adesso?» chiusi gli occhi. La sua voce suonava stranamente triste.
«Adesso sento il bisogno di stare così» sussurrai, stringendomi alla sua schiena.
In quel momento mi sembrò piuttosto scarna, e pensai a quanto forte doveva essere Lucius nonostante la scarna ma equilibrata costituzione.
Era straordinario.
«Allora restiamo così» concluse.
Non so perché, ma mi addormentai cullata dal suo respiro, desiderando di non essere solo un esperimento per lui.
Ricordo, che perfino nel sonno, avevo provato la scioccante sensazione di trovarmi insieme ad una persona totalmente diversa da mister Bell.
Quella notte dopo il salvataggio miracoloso, Lucius era stato dolce, gentile e … affettuoso. Forse mi considerava come una sorella, o semplicemente aveva avuto pietà di me, e aveva cercato di tranquillizzarmi come meglio poteva, lasciando da parte il suo lato “demoniaco”.
Era stato magico. Ma non capivo perché.
Al mio risveglio lui non c’era.
Sollevai un po’ il capo, accorgendomi che qualcuno mi aveva coperta premurosamente. Sorrisi come un idiota.
Lucius era stato davvero un gentiluomo quella notte.
Non mi aveva toccata, e non ci aveva neppure provato.
Si era semplicemente preso cura di me, come nessuno faceva da tempo ormai.
Mi venne in mente mia madre.
Ma non avevo tempo per pensarci. Sondai la camera, accorgendomi dell’ambiente quasi asettico, nonostante il buon gusto dell’arredamento.
La stanza era … solitaria.
I suoi vestiti sporchi erano abbandonati su una poltrona vicino alla finestra, e quelli puliti, scelti la mattina stessa, a quanto sembrava, erano adagiati ai piedi del letto, lontani da me.
Era domenica mattina, perciò Lucius non avrebbe indossato la divisa blu scolastica, ma un jeans nero e una T-shirt beige con degli strappi sul colletto, e un cardigan rosso.
Wow, pensai.
Poi mi alzai dal letto, cercando il bagno.
Mi sentivo bene. Ero un tantino debole, ma in fondo ero tornata stabile subito grazie a Lucius, perciò non mi sentivo devastava come succedeva di consueto.
Il salotto era deserto, quella donna era come scomparsa, così mi avvicinai all’unica porta chiusa rimastami.
Il bagno.
Entrai, senza curarmi di bussare, ancora assonnata e …
Lucius Yuki Bell, era dinnanzi a me, come un adone greco che stava in posa, una statua marmorea e perfetta … nuda.
Mi tappai gli occhi e corsi fuori, gridando istericamente … «Scusa, scusa, scusami, scusami!! Ti prego perdonami!».
La sua espressione non si era alterata affatto quando i aveva vista irrompere nel bagno a disturbare la sua privacy. Era rimasto solo serio, come se essere visto … ehm, come se mostrare le sue grazie fosse naturale e consueto per lui.
Cavoli! Pensai.
«Buongiorno anche a te, mia cara ficcanaso! Ero sicuro che stessi dormendo come un sasso, e invece … ti trovo a gironzolare in giro. Comunque … non dirmi che ti è dispiaciuto!» scherzò.
Divenni paonazza.
Dispiaciuto? A chi sarebbe dispiaciuto?
«Ra … razza di pervertito! Che dici? Vuoi davvero dirmi che ti senti orgoglioso delle tue … delle tue … grazie? Razza di … oh, non trovo le parole» strillai rossa di vergogna.
«Ehi ehi … calmati! Devo ricordarti che sei appena scampata ad una crisi respiratoria da ospedale? Non è niente, scherzavo! Sei proprio una ragazzina!» disse avvicinandosi e posandomi una mano sulla testa.
Perché era cambiato tanto?
«O … ok. Lucius, grazie per l’ospitalità. Sei stato gentile, anzi sei stato davvero un gentiluomo. Un …» mi bloccai. Poi però mi arresi «… amico».
«Ah sì? Beh, tu invece sei una rompiscatole! Non ho chiuso occhio. Russavi sonoramente, è stato uno strazio!» disse scoppiando a ridere.
«Brutto …» mi voltai, arrossendo ulteriormente. Aveva solo l’asciugamano legato in vita, ma non me ne importò. «… bruttissimo …».
«È questo che fanno gli amici no?» mormorò sorridendo, prendendomi il mento con due dita e avvicinandosi vertiginosamente al mio viso «Si aiutano a vicenda, e si insultano vicendevolmente e … aggiungerei, amorevolmente» concluse.
Sgranai gli occhi. Eravamo amici, eravamo amici che si insultavano amorevolmente, vicendevolmente … ero imbambolata a guardare il dio del desiderio erotico che mi diceva di essermi amico, e insinuava che avessi russato la notte precedente.
Fece un sorriso sghembo, e poi si allontanò, lasciandomi imbambolata davanti al bagno.
Entrai meccanicamente e poi chiusi la porta.
Il mio cuore stava uscendo dal petto.
 
 
 
Quando uscii dal bagno, non sapendo cosa mettere, mi infilai di nuovo la divisa. Non avevo altra scelta.
Intanto dalla cucina proveniva un buon odore di brioche appena sfornate.
«Sei davvero sorprendente» dissi entrando in quell’atrio, immaginando di trovarlo ai fornelli, intento a togliere dal forno super tecnologico le brioche.
Invece mi fermai di botto, notando che quella donna era tornata.
«Grazie cara. Ma scaldare delle brioche non è poi così straordinario» rispose, credendo mi stessi rivolgendo a lei. In realtà la sua voce nascondeva qualcosa di … strano. Sembrava spensierata e allo stesso tempo matura. C’era un non so che di losco in lei.
«Lucius …».
«Oh, lui si sta vestendo, arriverà a breve».
«Mi dispiace di aver disturbato ieri notte, e anche stamattina … magari voi due avevate altri programmi. Sono davvero …».
«Non avevamo alcun programma, per il semplice fatto che non programmiamo nulla insieme. Io e lei non abbiamo interessi comuni» Lucius subentrò nella stanza portando con sé l’inverno.
«Già» rispose la donna, senza battere ciglio, come se il comportamento deplorevole di Yuki – sama non le riguardasse.
«Buongiorno Lucius» lo salutai, guardandolo attonita mentre sbavavo sulla sua immagine sexy.
Mi guardò con trasporto e poi sorrise.
«’Giorno … come ti senti?».
«Bene, grazie … per ieri» sorrisi timidamente.
«Ho solo ricambiato un favore» rispose ammiccante. A cosa si riferiva?
Ero talmente imbambolata che non riuscii a rifletterci per bene sopra.
«Beh, io … io torno in camera, voglio cambiarmi e cominciare a studiare qualcosa. Da oggi siamo di nuovo rivali, mister stravaganza» lo schernii.
«Oh, la ragazzina fastidiosa è tornata all’attacco, ci sarà da divertirsi» rispose compiaciuto.
«Allora, grazie ancora e arrivederci» dissi grata fino al modollo.
Poi feci per andarmene, ma Lucius mi bloccò.
«Aspetta Ania. Se conosco bene Nick, a quest’ora sarà appostato davanti alla tua camera, perciò vengo con te» disse.
Rimasi impietrita. Ero davvero il bersaglio di quei bulli?
Oh mio Dio!
«O … ok».
 
Camminammo fianco a fianco, senza parlare.
I suoi capelli lunghi ondeggiavano a ogni passo, ed era meraviglioso.
L’andatura fiera e agile, il fisico smilzo e robusto al punto giusto.
Arrossii. Ormai ero completamente ammaliata da Lucius, e ciò mi rendeva inquieta.
Arrivati al dormitorio, davanti alla porta della mia camera, trovai un biglietto attaccato alla porta con dello scotch.
“L’agnellino che sta col lupo cattivo sarà sbranato senza pietà” diceva il messaggio.
Mi si accapponò la pelle. Era una frase orribile che presagiva qualcosa di davvero brutto.
La strappai e sorrisi, fintamente serena.
«Che sciocchezza, eh?».
«Ania, apri la porta, ma lascia che sia io per primo ad entrare» disse lui.
Annuii e poi aprii la porta introducendovi la chiave.
Lucius si fiondò dentro ma non fiatò, e quindi capii che la stanza era vuota, ma poi …
«Oh merda!» imprecò.
«Cosa c’è?» strillai, introducendomi nella camera. Trasalii.
Era tutto in disordine, tutto distrutto, come se fosse entrato un ladro pazzo e senza arte, o un maniaco che doveva trovare assolutamente qualcosa, anche a costo di dare fuoco a tutto. Sulle pareti poi, c’erano scritte in rosso molte frasi di minaccia.
“Crepa Bell, muori sgualdrina” e molte altre diciture poco educate sul sesso femminile.
Era la cosa più denigrante che avessi mai visto.
Un leggero tuffo al cuore mi fece trasalire e ansimare.
«Ania, usciamo di qui» mi dissi Lucius, prendendomi per le spalle.
«Continua a respirare e non distrarti, concentrati solo sul respiro, chiaro?» disse autoritario e rassicurante.
Una volta fuori dall’edificio, all’aria fresca del mattino, mi sentii meglio.
«Perché …» dissi affranta.
«Perché siamo amici» rispose tetro.
«Ma non è giusto».
«Lo so».
 
 
**************
 
 
 
Quel pomeriggio, dopo pranzo, io e mister Bell, andammo a parlare con il signor White, denunciando il brutto accaduto a partire dall’inizio.
«Lucius, credo che ignorerà le mie lamentele come ha sempre fatto, e anzi mi accuserà di aver lasciato incustodita la camera … o addirittura di aver messo in scena tutto! Già me lo immagino» dissi ansiosa. Lui si accorse del mio turbamento e allora cercò di tranquillizzarmi.
«Credi che glielo lascerei fare?» chiese ammiccante. Sorrisi. Si sarebbe messo nei guai ancora una volta … per me. Trasalii.
«No! Non devi metterti contro il preside. Potrebbe indispettirsi ed espellerti! Non voglio che tu ti metta nei guai per me!» protestai, immaginato l’imminente e furente futuro.
«Ania io non mi metto contro il preside, iosono contro il preside! Ciò cambia le cose, no? E poi … non mi metterò nei guai e nessuno mi espellerà. White non può farlo, o sarebbe lui a pagarne le conseguenze …» si bloccò. Stava di nuovo spifferandomi chissà cosa.
Lo guardai ma lui sembrò divenire repentinamente tetro.
«Ok» asserii semplicemente.
 
Appena entrati nell’ufficio del dirigente, Lucius cominciò la sua arringa.
«Signor White, siamo venuti a denunciare un’aggressione, una violazione del codice scolastico inerente alla privacy e una violazione di domicilio, aggravata da dei messaggi minatori che sono ancora in bella vista sui muri dell’alloggio della signorina Green» disse con disinvoltura.
Il preside rimase impassibile davanti a quelle parole.
«E che cosa si aspetta che faccia?» chiese passivo. Stavolta non mi sorpresi affatto. Non ne conoscevo il motivo, ma qualcosa di misterioso e grave si nascondeva nel passato di Lucius, tanto grave da trasformare il preside della scuola in un suo nemico.
Su tutti i fronti, a quanto sembrava.
«Mi aspetto che punisca i suoi aggressori. È inconcepibile che una ragazza venga presa di mira solo per il semplice fatto che mi cammini al fianco!» sbottò Lucius.
Ci misi qualche minuto per digerire le sue parole. Che volevano dire?
«È da maniaci aggredire in gruppo una ragazza, di notte per giunta! Era sola e a quest’ora avrebbe un caso di stupro nel collegio se non fossi intervenuto io!» strillò furibondo. Trasalii. Quei ragazzi avrebbero davvero cercato di … il mio respiro si fece pesante.
«Signor White, non riesco a credere che lei non prederà provvedimenti per tutelare Ania, solo perché lei mi è vicina! È totalmente immorale! Se le succedesse qualcosa …».
«Adesso basta. Ho sentito abbastanza» lo interruppe il preside. Io mi sentivo sempre più debole, ma strinsi i denti. Dovevo tenergli testa, che diavolo!
«Voi due siete venuti fin qui, per dirmi che non so come gestire i miei studenti? Le scorribande nel parco di notte sono frequenti e nessuno ci fa più vaso ormai. E poi non avete prove per accusare i vostri compagni» disse calmo White.
«Ce l’hanno e come!» subentrò nella stanza la professoressa Walter. Aveva l’aria di chi ha la vittoria in tasca.
Mise delle foto sulla scrivania, e poi inserì una videocassetta nel videoregistratore.
Le foto mostravano la mia camera con le scritte in rosso fiammeggiante.
E la video cassetta mostrava l’ora e il luogo di passaggio dei bulli che facevano vai e vieni dal parco all’edificio.
E una seconda videocassetta, mostrava invece il corridoio del mio dormitorio, violato dagli stessi ragazzi.
Bingo! Presi con le mani nel sacco, pensai.
Il preside, un po’ intontito, fulminò Lucius con lo sguardo.
«Darò a quei ragazzi un giorno di sospensione e dirò loro di non infastidire la signorina Green. In quanto a voi, non voglio più vedervi qui? Sono stato chiaro?» chiese paonazzo.
«Non ci rivedrà più quando Ania sarà lasciata definitivamente in pace.
«Fuori!» strillò White.
 
Lasciammo il suo ufficio, guardando con gratitudine la signorina Walter che annuii benevola.
Poi scendemmo le scale a andammo nel parco.
«Non devi più parlarmi, né guardarmi, né starmi vicina. Devi fare finta che io non esista» disse sotto il ciliegio, ormai spoglio.
Tutto era così triste in quel momento, tutto sembrava urlare “no!”.
«No» feci eco ai miei pensieri «Non voglio».
«Io non posso essere un buon amico Ania, lo sai anche tu, lo sai bene. Sono un ragazzaccio e tu dovresti starmi lontana» disse tetro.
«Non mi fai paura signor bullo buono, ho visto di peggio» asserii sicura.
«Non hai visto niente» controbatté lui, sfiorando la mia fronte ferita. Mi ero completamente scordata del taglio, perché Lucius me l’aveva medicato alla perfezione, pulendo il piccolo graffio.
«Lucius, non so se hai sentito ciò che leggeva Jane, ma se vuoi te lo ripeto … io ho affrontato un inferno nella vecchia scuola, ho …».
«Ania, non riesco a sopportarlo. La cosa mi irrita in modo straziante, ma sei l’unica persona a cui non spaccherei la faccia, perciò ti prego, stai alla larga da me» disse brusco.
«Lucius …».
«Non posso permetterti di rovinarti con le tue mani, non lo capisci? Io sono pericoloso! Perché credi che non abbia amici? Non posso averne! E tu non fai eccezione purtroppo» sbottò.
«Nemmeno io ho degli amici Lucius, ma sono consapevole che sia una mia scelta. Non voglio più essere fregata, è per questo che non mi fido più di nessuno, ma tu … sei diverso» arrossii.
«Ania … non ho detto che non voglio, ho detto che non posso» disse mesto.
Annuii. Odiavo quella sensazione di vuoto che mi divorava.
«E io ho detto che non condivido» ribattei energica.
«Sei davvero davvero testarda! Proprio tanto testarda» disse divertito.
«Siamo in due»
«Già».
 


------------------------------------------------ angolo dell'autrice ------------------------------------------

per farmi perdonare del ritardo ecco lìaltro cap. commentateeeeeee! baci. ^^

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Capitolo 9
*** Quasi amici ***


Capitolo 9
 
Quasi amici

 
 
 
Amici.
Cavoli, suonava davvero, davvero strano.
Naturalmente, conoscendomi e conoscendo Lucius, la nostra “amicizia” non sarebbe mai stata paragonabile a quella di qualsiasi altra coppia di ragazzi.
Di certo io e mister tenebra non avremmo mai parlato di hobby o di sport, non avremo mai detto niente di veramente amichevole.
Il nostro rapporto sarebbe stato legato solo dalle nostri solitudini.
Due persone problematiche e sole che stavano una accanto all’altra, in silenzio, nel lungo ed estenuante cammino dell’esistenza adolescenziale.
O mio dio … quando ero diventata tanto poetica?
Stavo percorrendo il corridoio che avrebbe portato alla mensa, che ormai  era deserto.
Ero rimasta in classe a finire un esercizio di fisica, volevo completare il lavoro prima di mangiare.
«Buongiorno» mi sentii soffiare da dietro.
Trasalii, colta di sorpresa. Quella mattina Lucius era uscito prima di me dall’aula, e non mi aspettavo affatto di trovarlo lì.
«Di’ un po’, ti diverti a terrorizzarmi?» chiesi acida.
Lucius sghignazzò.
«Sì» rispose sincero e divertito.
«Bene» risposi rassegnata. Ormai era palese: Lucius era davvero un tipo strano e … sadico. Godeva nel vedermi soffrire!
«Ha ha … sei davvero molto simpatico».
«Simpatico? Mi prendi in giro? Io non sono simpatico sono un tipo alquanto irresistibile!» asserì sensuale. Trasalii quando mi sentii avvampare.
Mi si avvicinò pericolosamente e poi si abbassò fino a far toccare, quasi, i nostri nasi.
«Non è vero, ragazzina?» chiese ammiccante.
Mi scansai e poi gli tirai un ceffone.
«Pervertito!» strillai, e poi cominciai a camminare verso la mensa … almeno credevo.
«Ania, la mensa è dall’altra parte!» sghignazzò. Mi fermai di colpo, e poi feci dietrofront.
«Ti detesto» sputai.
«Mm … lo prendo come un complimento, miss sono una suora» scherzò.
Divenni paonazza per la rabbia.
Ringhiai e mi allontanai, ma lui continuò a darmi il tormento.
«Ania … adesso che siamo … amici, dovresti cominciare ad assomigliare un po’ di più a me».
«Preferirei infilarmi due spilli negli occhi piuttosto che diventare rozza e violenta e arrogante come te» sbottai.
«Oh oh … fai progressi molto in fretta!» mi schernì.
Era incredibile. Che razza di amici eravamo? Era totalmente, assolutamente e irrimediabilmente un bullo, eppure era l’unica anima di cui mi fidassi davvero in quella gabbia di matti violenti dell’Orpheus.
Sorrisi internamente, ma continuai ad avanzare a grandi passi verso la mensa.
«Vieni a pranzo?» chiesi come se niente fosse appena varcata la soglia.
«Gli dei non mangiano con i comuni mortali, ragazzina» rispose fiero di sé. Eppure aveva uno strano sguardo negli occhi. Era tristezza o turbamento?
«Oh, allora la lascio sulla soglia del regno dei mortali, mio signore» lo schernii.
«Vieni al ciliegio, ti aspetto lì» disse, e poi se ne andò, con passo svelto ed elegante.
Era smilzo e alto, era bellissimo, ed era un mio amico, anzi, l’unico.
Pranzai con Mayu, continuando ad interrogarmi sullo strano rapporto che legava adesso me e Lucius.
E se fossi rimasta ferita ancora una volta? Che cosa avrei fatto se anche Yuki – sama …
Scrollai le spalle: no, non poteva succedere, non un’altra volta, dovevo essere positiva.
«Ehi Seira tu e Yuki – sama siete diventati … amici?» chiese la giapponesina.
«Ehm, in un certo senso» risposi evasiva.
«O-kay» rispose pacata lei.
«Mayu, ti va di parlarmi di te?» chiesi per sviare il discorso su qualcos’altro. Ormai era passato molto tempo da quando avevamo fatto conoscenza, ma di Mayu non sapevo ancora praticamente nulla, come lei di me del resto, ma per il momento preferivo non fare parola del mio passato, soprattutto dopo l’accaduto con Jane e suoi “gentili” amici.
«Beh, non c’è molto da dire. Mio padre è morto in un incidente d’auto, e mia madre si è dovuta trasferire qui per lavoro. La nostra famiglia è ricca, ma siamo comunque in crisi senza mio padre, così … eccomi qui» disse mesta.
«Mi dispiace Mayu, non immaginavo che la tua situazione fosse così …».
«Disperata? … Ah ah, sì» rise «ma non devi preoccuparti per me. Ormai è più di un anno che sono qui, e … ho raggiunto la mia stabilità mentale» scherzò. Povera Mayu pensai.
Lei non aveva problemi a parlarmi di lei, nonostante il suo passato fosse devastato quanto il mio.
La salutai e le sorrisi di cuore, poi sgattaiolai nel parco.
 
«Scusa il ritardo» dissi energica, fiondandomi a sedere al fianco dell’uomo orientale più fico che avessi mai abbracciato con lo sguardo.
Sorrise, togliendomi il fiato.
«Non puoi fare proprio a meno di me … vero?» sogghignò.
«Certo certo. Infatti mi sono autoinvitata nel tuo covo!» lo schernii.
«Ti ho chiesto di venire perché … se ti lascio sola, potresti cacciarti nei guai. Inoltre mi annoiavo e tu sei l’unica testa calda che riesce a tenermi testa … perciò, eccoti qui».
«Da dove viene tutta questa gentilezza? Credevo di essere una ragazzina irritante e superficiale».
«Beh, lo sei. Ma … va bene così».
Cos’era quella sensazione di appagamento, felicità, pienezza e serenità? Quando era stata l’ultima volta che mi ero sentita così … bene?
Non sapevo bene il perché, ma Lucius mi faceva bene, come una medicina dolce e benefica.
«Senti Ania, sei convinta della scelta che hai fatto? Mi riferisco a noi» parlò con voce ferma e sincera.
«Sto bene, staremo bene» risposi «so come la pensi, ma non preoccuparti per me, so badare a me stessa».
«Non sembrava davvero. Credi di poter tenere tutto sottocontrollo, ma non è così. Comunque è una tua scelta. Sarebbe inutile chiederti di tenere le distanze quando non è ciò che vuoi. Tutti si accorgerebbero della forzatura che si creerebbe tra noi, e ciò renderebbe le cose ancora più complicate».
«Non parlare come se non te ne importasse. Non voglio essere presuntuosa dicendo che so che tieni a me, perciò ti dirò soltanto questo: solo se anche tu lo desideri» dissi con fervore.
Lui trasalì visibilmente.
«Touché!» rispose poi sorpreso  «Lo sai che è così, ragazzina. Lo sai che, per un motivo inspiegabile, sei l’unica persona che vorrei proteggere … anche da me stesso».
Stavolta fui io a trasalire.
«Non mi serve essere protetta da te stesso, fin’ora sei l’unico che si è fatto pestare a sangue pur di difendermi. Sei il ragazzo di cui mi fido di più. Ecco perché non cambierò idea su di noi. Staremo bene» ripetei, e inspiegabilmente era la cosa più vera che avessi detto nella mia vita.
«Posso fidarmi di te, Ania?» il suo tono di voce mi colpì. Sembrava domandarlo a se stesso piuttosto che a me, e sembrava avere il bisogno struggente di potersi fidare di me. Non so perché, ma in quel momento ebbi voglia di abbracciarlo e rassicurarlo come lui aveva fatto con me.
«Se io mi sono fidata di un bullo, tu non puoi non fidarti di una come me» mormorai ironica.
Lui trasalì, e poi sorrise mestamente.
«Te lo concedo» mormorò.
 
 

**********

 
 
«Arigiathou!» esclamai, facendo ridere Mayu a crepapelle.
«Oh Ania, sei davvero testarda. È la terza volta che ti correggo: è “arigatou”, devi dirlo dolcemente, facendo la vocina piccola, così sembrerai una vera giapponesina. Yuki – sama resterà di stucco!» disse.
Sì, avete capito bene: avevo chiesto a Mayu di darmi lezioni di giapponese, perché, ne ero sicura, presto avrei dovuto dire di nuovo grazie  a Yuki – sama, e allora perché non farlo con stile?
«Arigatou!» azzardai. E lei si illuminò di un sorriso radioso.
«Kawaiiiiiiiii!» urlò «Sei davvero carina quando lo dici, a Yuki – sama verrà il batticuore».
«Sì, come no!» asserii.
«Senti Ania … tu sei … innamorata di Lucius?» era la prima volta che Mayu pronunciava il suo primo nome. La sua domanda arrivò come un proiettile.
«No!» urlai quasi «Siamo solo amici! Io e Lucius siamo … solo amici» perché la mia voce suonava così … triste?
«Ok ok … scusa. Sono stata troppo diretta. Gomen!» pigolò.
«Va bene» mormorai, capendo che mi aveva appena chiesto scusa nella sua lingua.
«Sai Ania, avrei tanto voluto … innamorarmi anche io del mio uomo» disse a fior di labbra.
Mi accigliai e lei continuò.
«Sai, sono arrivata in questa città e in questa scuola poco tempo fa, ma già da allora, mia madre aveva predisposto tutto per … me». Si fermò, e mi guardò negli occhi.
«Sei la prima persona a cui lo racconto, quindi ti prego, sii discreta» mi pregò. Io annuii comprensiva.
«Mia madre era uno dei membri dello staff di una grossa società di edilizia e designer. Mio padre invece era uno dei membri fondatori, ma quando è morto la mia famiglia sarebbe andata sul lastrico se mia madre non avesse preso le redini della situazione. Così prese il posto di mio padre l’anno scorso, a patto che sposassi il primogenito del capo supremo della società. Così, ora sono ufficialmente impegnata con un tizio che non ho mai visto» raccontò.
Wow, e io che credevo di essere una povera infelice rinchiusa in un mondo di carta e illusioni!
«Perché non ti sei ribellata? Perché non hai detto a tua madre ciò che provi?» chiesi.
«Ania, mia madre l’ha fatto per me, per garantirmi un futuro sicuro, e io l’ho fatto per lei, perché così avrà il posto di rilievo che ha sempre sognato. E poi … il mio sangue giapponese mi ordina di adempire ai miei doveri» disse.
«Capisco Mayu, spero che tu sia felice allora» era la cosa più superficiale, patetica e insulsa che avessi potuto dire, ma a lei sembrò giovare.
Mi abbracciò e mi disse: «Grazie amica mia».
Ricambiai l’abbraccio e intanto nella mia mente cominciò a formarsi una matassa di pensieri e domande.
Che tipo era il fidanzato di Mayu? Perché c’era bisogno di questo accordo prematrimoniale per far salire al vertice la vedova di un dirigente? E perché Mayu aveva accettato senza battere ciglio?
Uno strano presentimento mi prese il petto, poi sospirai stringendo a me Mayu.
 
*********
 
 
Gli strani pensieri che mi avevano assalita il giorno prima, mi affollarono la mente anche l’indomani, così inciampai come un’idiota nei miei stessi piedi, facendo cadere a terra tutti i libri che tenevo tra le braccia.
Naturalmente Jane mi passò accanto sorridendo e calpestandone parecchi, ma il mio cavaliere corse a salvarmi.
Lucius si abbassò e mi aiutò a raccoglierli. In un silenzio religioso ne prese la maggior parte, portandoli con sé fino alla mia camera.
Lo seguii stupita, e poi lo feci entrare.
«Grazie Lucius, oggi ho la testa tra le nuvole» dissi, sedendomi sul mio letto e facendogli cenno di seguirmi.
«L’avevo notato … perciò ti ho tenuta d’occhio» sorrise.
«Tu mi tieni sempre d’occhio, sono davvero lusingata» sorrisi a mia volta. Lui rimase di stucco.
«Riesci sempre a dire cose imprevedibili … non riesco ad anticipare le tue mosse» confessò.
«È lo stesso per me».
Lucius si piegò nella mia direzione e poi si avvicinò pericolosamente al mio viso.
Io indietreggiai.
«Sei l’unica donna che indietreggia, le altre mi saltano addosso» disse divertito. Ma nella voce notai una sfumatura di amarezza.
«E tu sei l’unico uomo che tratta le donne come oggetti! Non siamo tutte delle galline attratte dalle tue grazie!» sbottai acida, irritata dalla sua invadenza.
Lui sembrò cambiare pelle, sguardo, faccia. I suoi occhi vennero iniettati di odio e dolore.
«Voi donne siete tutte uguali. Risucchiate tutto nel vortice della vostra superbia e della vostra ipocrisia. Siete tutte delle traditrici» le sillabe serpeggiarono tra i denti, attraverso le sue labbra. Trasalii, capendo che quelle parole non erano mirate a ferirmi, ma erano solo il frutto di ciò che pensava nel profondo della sua anima.
«Non puoi pensarlo sul serio!» sussurrai.
Lui sembrò divenire ancora più arrabbiato ed esasperato.
«Io non lo penso, lo so» mormorò, e poi mi prese il mento e mi baciò.
All’inizio pensai “è un sogno” ma poi, quando mi accorsi che nel suo bacio c’era rabbia, arroganza e prepotenza, mi sentii fragile e tradita.
Tradita dal mio unico amico.
«Lucius!» pigolai in lacrime, spingendolo via con tutte le mie forze, e scappando via.
Lui aveva reagito in modo inaspettato.
Era rimasto sorpreso e devastato.  Con quel bacio, voleva dimostrare la veridicità delle sue crudeli parole, e voleva farmi cedere, convincendomi a dargli ragione.
Lucius però, non aveva calcolato … me.
Lo sentii seguirmi e gridare il mio nome, ma io corsi via più veloce che potevo.
Proprio lui che aveva salvato il mio primo bacio, adesso …
Mi sentivo tradita di nuovo, ma nello stesso tempo mi sentivo preoccupata per Lucius.
Che cosa nascondeva? Da quale esperienza traumatica scaturivano quei pensieri balordi?
Intanto le lacrime avevano appannato la mia vista, mentre crollavo sotto il ciliegio che aveva cullato e protetto i suoi sogni tormentati.
Il mio primo bacio era stato rubato con violenza dall'unica persona a cui avrei voluto regalarlo col cuore.


------------------------------------ angolo dell'autrice ---------------------------------------------------------------------------------------------------

SALVE DONZELLE COME VA?
spero che questo cap sia stato di vostro gradimento.
cosa succederà nel prossimo? beh, se vi piace la storia meglio non perderlo, perchè accadrà qualcosa di ... beh, importante ma anche shoccante a mio avviso.
per coloro che seguivano ali d'argento, ho buone notizie, sto scrivendo e mi piace, e credo che piacerà anche a voi, o meglio lo spero.
altra notizia! questa storia un amore di mostro, ha una copertina iniziale che però non so mettere, anche se spero nel prox cap di inserire, linea permenttendo.
ora i ringraziamenti!
GRAZIE ALLE RAGAZZE CHE RECENSISCONO CON PASSIONE E AMORE, VI ADORO:
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15 - _Lally [Contatta]

GRAZIE A TUTTE RAGAZZE, SPERO DI TROVARE TANTE RECENSIONI, VISTO IL PERIODO DI CRISI D'ISPIRAZIONE.
è vero, ho il prox capitolo, ma poi? avete idee, pensieri, critiche, o commenti? vi prego scrivetemeli, troverò sicuramente un degno proseguo. ^^

baciottoni a tutte e grazie di cuore per il vostro tempo e la vostra dedizione ^^

Fiore

<3
 

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Capitolo 10
*** Io per te ***


Capitolo 10
Io per te

 

 
Posai due dita sulle mie labbra tremanti, e poi lasciai che l’ultima lacrima rigasse la mia guancia destra.
Era difficile accettarlo, ma era così: l’unico ragazzo di cui mi fidavo, mi aveva rubato il primo bacio che tanto avevo protetto.
A pensarci bene, era stato proprio Lucius a proteggerlo a costo della vita, facendosi picchiare a sangue da un gruppo di bulli.
Poggiai la testa sul tronco possente del ciliegio, e poi mi alzai lentamente.
Non era ciò che nel profondo del cuore speravo da tempo?
Non era proprio Lucius il ragazzo che mi piaceva?
Sì, naturalmente. Purtroppo era così, ed era per questo che desideravo qualcosa di diverso da un bacio punitivo, un bacio che mirava solo a dimostrarmi quanto fossi superficiale.
“Voi donne siete tutte delle traditrici” aveva detto, e la sua voce mi gridava addosso, insieme alla consapevolezza che anche io appartenessi a quella categoria.
Però, non avevo fatto proprio nulla per tradirlo, non avevo nemmeno mai pensato che potesse essere possibile tradirlo.
Lui era … è …
Lo sapevo: l’avrei perdonato, e avrei cercato di farmene una ragione.
D’altronde non potevo avercela con mister tenebra, perché, ne ero sicura, era stato segnato da avvenimenti davvero gravi in passato.
Non sapevo cosa fosse accaduto a Yuki – sama, ma lui soffriva ancora oggi per questo.
Una donna, oppure una madre, oppure un’amante o qualcos’altro …
Costei, comunque, l’aveva condannato alla dannazione.
Incubi orrendi che finivano in un pianto addolorato, violenza incontrollabile, solitudine, un carattere lunatico, misoginia.
Non era del tutto colpa sua, lui non era del tutto cattivo, e non si era mai dimostrato crudele con me, non aveva mai fatto trapelare il suo odio per il mio sesso, se non quando parlava di ragazze facili che si portava a letto per capriccio, e che poi cominciavano ad odiarlo quando il loro amore non era ricambiato.
Stavo impazzendo.
Il mio cuore sanguinava ancora, ma la mia mente, ragionando, mi diceva di perdonare.
Lucius non conosceva i miei sentimenti, perciò non mi aveva baciata per ferirmi, lui l’aveva fatto solo per dimostrarmi ciò che pensava.
Sospirai.
Cosa avrei fatto se me lo fossi trovato davanti in quel momento?
Arrivata al limitare del parco però, le mie paure presero forma.
Lucius, di spalle rispetto alla mia posizione, guardava davanti a sé.
Cercai di non far rumore e mi nascosi dietro un tronco vicino.
Da lì riuscivo a vederlo, ma lui non poteva vedere me.
Ero così vicina che potevo sentirlo parlare, ma … la voce che sentii non fu la sua.
«Yuki» disse spavaldo un ragazzo alto e muscoloso, dai capelli color stoppa e dagli occhi azzurro ghiaccio. Era appoggiato alla sua decappottabile nera, e sembrava meravigliato di vedere Lucius.
Quest’ultimo non rispose, e rimase in silenzio, in una posizione rigida e tesa.
«Yuki» ripeté il ragazzo biondo e sconosciuto. Doveva avere più di vent’anni, e sembrava essere davvero ricco. Si avvicinò di qualche passo a Lucius e poi sorrise beffardo.
«Sono secoli che non ci vediamo! Hai tempo per una chiacchierata?» chiese, come se stesse parlando con un idiota. Lucius non rispose. Rimase rigido, teso e immobile, senza proferire parola.
Mi avvicinai, cercando di vedergli il volto.
Trovai un arbusto più a sinistra, e mi accovacciai lì dietro senza farmi notare, scorgendo l’espressione tesa e tetra di Yuki – sama.
Chi era quel ragazzo dalle fattezze nordiche? Perché Lucius non parlava?
Il viso del mio amico si fece cereo quando il biondo gli posò una mano sulla spalla. Sembrava scioccato e dolorante, come se attraverso quel contatto lo sconosciuto gli avesse dato una scossa elettrica.
«Riesci a capire la mia lingua? Ormai sono cinque anni che vivi in questa città, e ancora non riesci a capire bene un linguaggio fluente?» lo ammonì con arroganza il biondo. Sorrise malignamente. «Scommetto che ti ostini a parlare giapponese per quel tuo stupido, maledetto orgoglio!» ghignò.
Lucius non fece una piega. Lo fissò e non reagì in nessun modo.
«Sta’ tranquillo, non sono venuto qui come suo messaggero. Lui non sa niente. Sono venuto semplicemente a trovarti» disse, passando la sua mano bianca dalla spalla al  viso di Lucius.
Yuki – sama chiuse gli occhi, poi li riaprì lentamente, mostrando quanto gli pesasse quel contatto.
«Volevo solo informarti, è giusto che tu lo sappia. Lei vuole di nuovo dei soldi da mio padre» mormorò il ragazzo più grande. Lucius trasalì con un fremito.
«Già, è una gran seccatura: quella donna è senza scrupoli, lo capisci? Scommetto che è venuta anche da te, non è vero? Sei il suo bancomat personale, lo sai bene» parlò con voce tagliente e accusatoria, e accarezzò il viso esangue dell’altro.
«Sono venuto per ricordarti che puoi contare su di me» asserì poi il ragazzo sconosciuto. Il tono con cui disse quelle parole rassicuranti però, suggerì il contrario.
«La tua piccola, inutile esistenza è una immensa seccatura per tutti noi. Perciò …» lasciò cadere di proposito la frase, dopo aver detto quelle cose orribili a Lucius.
Quest’ultimo si lasciò sfuggire un fremito.
Il ragazzo muscoloso, si allontanò dando le spalle all’altro, e poi si mise in macchina.
«Mi hanno detto che ora stai con una ragazza! Sono contento per te! Spero che lei non capisca il giapponese» concluse minaccioso, come qualcuno il cui sguardo diceva “chiuditi la bocca o te la chiudo io”. Lucius abbassò il capo, e guardò l’auto nera sfrecciare via con una sguardo da zombie.
Aveva l’aria distrutta, esausta, come se avesse combattuto una battaglia senza fine.
Volevo avvicinarmi, anzi, volevo scappare via …
In realtà non sapevo che fare.
In quel momento arrivò il preside White, che prima di sparire dietro l’angolo dell’edificio, si sentì naturalmente in dovere di tormentarlo ancora di più.
«Bene, a quanto pare suo fratello le ha dato una bella lezione! Devo chiedergli di venire più spesso» commentò acido.
«Non è mio fratello» sussurrò Yuki – sama con lo sguardo perso nel vuoto, ma White aveva già girato l’angolo.
In quel luogo appartato della scuola, non passava nessuno, e l’unico rumore era quello del vento freddo della sera.
Lucius cadde al suolo in ginocchio poggiandosi sulle mani, e respirando affannosamente, come se tutto il tempo trascorso con quel ragazzo lo avesse passato in apnea. Si portò una mano sulla spalla che era stata toccata da quello che il preside aveva detto essere il fratello, e poi cominciò a graffiare convulsamente, ma la stoffa della divisa era spessa.
Così si strappò di dosso i vestiti, staccando così alcuni bottoni della camicia e della giacca. Respirava tra i denti, gemendo di disperazione.
Quando il suo petto fu nudo, cominciò a graffiare con violenza e lentezza le sue carni.
Le unghie penetrarono nella carne, e quei profondi graffi cominciarono a sanguinare copiosamente.
Il suo sguardo era fisso sul terreno e la sua espressione era terrificante mentre si lacerava la pelle con lentezza asfissiante.
Trasalii. Ero rimasta attonita a fissare quel dolore per tutto quel tempo …
Scattai in avanti, mettendomi a correre verso di lui.
La sua mano adesso si trovava sulla guancia che era stata accarezzata da quel ragazzo.
«No!» urlai, prendendogli il braccio «Fermo! Lucius stai fermo, smettila! Non devi farti del male! Smettila!» lo pregai.
Lui scansò le mie mani bruscamente, e poi mi ringhiò contrò.
«Non toccarmi!» sbottò in un mormorio smorzato «Vattene Ania, è meglio non avere a che fare con me ora!» mi avvisò tetro e minaccioso con una voce metallica che non gli avevo mai sentito, nemmeno quando prendeva a pugni Nick.
«No, non me ne vado» protestai.
«Ania, dico sul serio, lasciami solo!» ringhiò.
«No!» mi impuntai «Non lascerò che tu ti distrugga. Chiunque sia quel
 tizio …».
«Sta’ zitta!» urlò, prendendosi la testa tra le mani.
«Lucius …» cominciai, ma lui si raggomitolò su se stesso.
«Ania ti supplico, va’ via» mi pregò debolmente. Sembrava non avere più forze.
Gli gettai le braccia al collo, stringendolo a me, e trasmettendogli i miei sentimenti.
«Non andrò via, rimarrò qui, fin quando  tu non starai di nuovo bene» mormorai calma.
Lo sentii trasalire e poi piano piano cedere e abituarsi al mio tocco. Molto lentamente i suoi muscoli si rilassavano, molto lentamente anche il suo respiro si calmò.
Forse passarono diversi minuti, forse solo attimi, ma non ci staccammo.
Io accarezzai i suoi capelli e il suo viso, stringendolo a me come se fosse un bambino indifeso, un ragazzo solo, un guerriero ferito, un angelo caduto.
Semplicemente lo strinsi a me come se fosse la cosa più preziosa che avessi.
«Come ti senti?» chiesi. Avevamo sciolto l’abbraccio con un profondo sospiro, e ora eravamo seduti a terra, uno di fronte all’altra.
«Lucius …» azzardai, attirando la sua attenzione. Aveva gli occhi fissi a terra, ma li spostò debolmente su di me, con fare stanco «… cos’è successo prima? Chi era quel tizio?».
«Non mi va di parlarne … non voglio parlarne» mormorò con voce monocorde.
«Va bene» annuii.
«Perché sei qui? Perché ti prendi cura di me?» chiese, come se ciò fosse una cosa davvero brutta. Mi accigliai. «Non fare finta di niente, tu dovresti stare lontana da me, soprattutto dopo quello che ti ho fatto!».
«Lasciami decidere cosa fare, tu piuttosto … dovresti farti curare quello» puntualizzai, indicando la sua ferita.
«Sei la solita stupida.  Ti preoccupi per il lupo cattivo. Ania … odiami, ti prego. Se lo farai mi sentirò meglio» mormorò, sussultando quando posai i resti della sua camicia bianca sul profondo graffio della spalla.
«Non ti sentirai meglio, ti sentirai uno schifo» dichiarai mesta.
Si sentiva in colpa per il bacio rabbioso con cui aveva “inaugurato” le mie labbra.
Già, le mie labbra non erano più vergini, ma se da una parte soffrivo perché mi sentivo violata, dall’altra non potevo non concepire l’idea del perdono.
In fondo sapevo che Lucius non era cattivo, lui non conosceva i miei sentimenti, e ne ero certa, se li avesse conosciuti non mi avrebbe ferita in quel modo.
«Dobbiamo fasciare quella spalla. E dobbiamo anche aggiustare la tua giacca prima che White ti faccia una nota disciplinare per abbigliamento non idoneo. Quell’uomo farebbe di tutto per distruggerti …».
Lasciai cadere la frase. C’erano miriadi di interrogativi che riguardano Lucius, ma in quel momento non volevo assillarlo con le mie domande curiose.
Riportai alla mente il suo sguardo disperato e vuoto, mentre strappava via con le unghie i residui di quel contatto indesiderato col fratello.
«Perdonami» sussurrò «non avrei dovuto farlo, sono stato davvero uno stronzo» asserì mesto.
Ero una tipa tosta giusto? Avevo capito ciò che provavo giusto? Ora era chiaro, no?
Perciò avrei reagito come solo io potevo fare.
«No, non ti perdono» dissi. Lui trasalì, e mi guardò allibito.
Sorrisi.
«Ti perdonerò ad una sola condizione» annunciai.
«Sentiamo, farei di tutto per farmi perdonare. Sei l’unica pazza che riesce a domarmi, e l’unica donna che non mi desidera carnalmente. Ti preoccupi per  addirittura per me! Sarei un idiota se ignorassi il fatto che … sei importante per me» disse. Trasalii. Wow, quando si trattava di perdono ci sapeva fare, anche se, a quanto ricordavo dai suoi racconti su relazioni precedenti, io ero l’unico caso di scuse. Le altre ragazze erano e sarebbero rimaste a bocca asciutta.
«Va bene, te lo dirò. Voglio che tu ti faccia perdonare, voglio che trovi un modo per dimostrarmi il tuo pentimento» dichiarai.
Lui sembrò ritrovare un po’ del vecchio se stesso, non quello disperato e tetro che sedeva di fronte a me sul prato, ma quello ammiccante e seducente che era una droga per le donna.
«Allora, permettimi di cancellare quel bacio amaro … con un bacio … dolce» mormorò sensuale. Avvampai. Maledetto idiota. Come faceva a saperlo? Forse non lo sapeva!
Oddio.
Si avvicinò lentamente, e mi sentii immobilizzata, bloccata al suolo, eppure così elettrizzata e felice.
Stava davvero succedendo?
Voleva baciarmi?
I nostri respiri si amalgamarono, ma prima che potessimo far combaciare le nostre labbra, il suono di un allarme, delle urla, e passi che correvano verso di noi, ci fecero allontanare di botto.
Di quel momento non rimase altro che la magia di un ricordo.
 
 

********

 
La mensa era andata a fuoco.
I cuochi avevano dimenticato un fornello acceso, e un grembiule si era incendiato facendo scattare l’allarme. Tutti si erano riversati fuori, urlando come forsennati.
Ridicolo! Pensai mentre mi mangiavo le unghie per il nervosismo.
Porca miseria … proprio adesso? Non potavano incendiarsi i pantaloni di White in un altro momento?
Noi, io e Yuki – sama stavamo per …
La porta dell’infermeria si aprì, e Lucius ne uscì disinvolto con delle bende.
Aveva la camicia e la giacca sbottonate a causa della mancanza di alcuni bottoni, perciò immaginai la povera infermiera andare in iperventilazione dinnanzi ad Apollo (o forse Marte) in persona, e quindi concedergli le garze.
«Tieni» disse seccato, porgendomi le bende pulite e impregnate dell’odore di medicinale.
Sorrisi.
«Ora seguimi» ordinai. Lui alzò gli occhi al cielo ma obbedì.
Andammo nel parco sotto il ciliegio, almeno lì non ci avrebbe disturbati nessuno.
«Togliti la giacca» chiesi seria ma con cortesia.
«Non credevo fossi una donna così vogliosa …» sussurrò. Avvampai ma non gliela diedi vinta. Doveva cambiare carattere a atteggiamento, doveva farsi perdonare.
Lo schiaffeggiai. Non con eccessiva foga ma lo schiaffeggiai e ne fui fiera, perché trasalì arretrando.
«Sta’ a cuccia. Ti ricordo che devi ancora farti perdonare razza di gorilla!» sbottai stizzita.
«Gorilla? Ti sembro un gorilla?» chiese stupito. Non sembrava affatto un gorilla, il suo corpo era perfetto e sinuoso. Era un bel tenebroso, fico e persino intelligente più della norma.
«Sì, lo sei. Hai dei comportamenti davvero grotteschi a volte» commentai.
Lui si passò una mano tra i capelli.
«Perdonami» asserì tetro in un sussurro «grazie» aggiunse dopo una pausa. In quel momento mi venne una voglia convulsa di abbracciarlo e consolarlo come avevo fatto poco prima, quando avevo impedito che si sfregiasse il viso.
Mi intristii. Forse non voleva affatto cancellare il bacio rabbioso con un altro bacio che sapesse di scuse e amore. Lui si era semplicemente scusato, e io non avevo più voglia di aspettare l’impossibile.
Amici: questo doveva bastarmi, anche se il mio cuore sembrava frantumarsi.
«Va bene Lucius» sussurrai.
Inaspettatamente però, lui si avvicinò a me, e poi mi accarezzò piano la guancia.
«A quest’ora sarei nel mio appartamento vuoto a cercare di nascondere le ferite, se solo tu …» ammise mestamente.
«Perché riprendi l’argomento? Avevi detto di non volerne parlare» mormorai.
«Penso che tu abbia il diritto di sapere almeno … chi sono» biascicò pensieroso.
«Lucius, non voglio costringerti a fare nulla. Siamo amici ricordi? Mi fido di te, e se mi dici che è meglio non sapere …».
«Se non ti importa … tanto meglio» rispose brusco.
«Mi importa più di quanto dovrebbe, ma non voglio forzarti, non così» ribattei.
«Io non dovevo rubarti il tuo primo bacio in una maniera tanto bestiale, quindi … farò ammenda …».
«Io non sono Nick o White, Lucius. Devi essere te stesso con me, e non devi punirti per  nessun peccato, non devi fare ammenda. Non ho bisogno di questo, io ho bisogno …».
Mi baciò, zittendomi.
Stavolta fu magico, e tutta l’amarezza accumulata per quel gesto da traditore che aveva compiuto, si dissolse come neve al sole.
Era l’autunno dei miei diciotto anni, ma era l’estate del mio cuore, anche se sapevo quanto sarebbe potuta essere effimera e incostante.
Il sapore di Lucius era esotico, sensuale, e l’odore della sua acqua di colonia mi investì come un tornado prepotente.
Soave, pensai.
Il cuore accelerò le farfalle allo stomaco divennero sempre più agitate e tutto questo si trasformò nel mio primo, primissimo brivido di piacere, di vita.
Non seppi mai se in quel momento lui fosse preso quanto me dalla situazione, ma io lo ero di sicuro, con tutta me stessa.
Quando ci staccammo a malincuore, i suoi occhi mi aprirono una finestra sul suo cuore, un luogo raso al suolo dal dolore e desolato come una landa deserta, fredda e abbandonata.
«Lucius … vorrei tanto sapere chi sei» dissi, facendogli spalancare gli occhi per la sorpresa.


---------------------------------------- ANGOLO DELL'AUTRICE ------------------------------------
salve a tutte donzelle, come state? ed ecco che il mio esperimento-storia ha raggiunto le due cifre! volevo che questo cap fosse rivelatore e speciale allo stesso tempo. cosa ne pensate? avete domande? COMMENTI? critiche? li accoglierò tutto con immenso piacere.
nel prossimo cap, probabilmente, ma non ne sono ancora sicura, Lucius rivelarà qualcosa di sè ... cosa vi aspettate che dica?
XD bene ora passiamo ai ringraziamenti.
ho notato che le recensioni nello scorso cap sono cresciute.
causa linea non ho ancora risposto a 4 di voi, ma lo farò sicuramente presto.
intanto grazie alle dolci e gentili lettrici che hanno commentato, facendomi venire il magone XD
grazie a : iada93xd, Alyxandra, MandyCry, Laux, Ele_Terry, Deilantha, _Lally, gaccia,  talinasomerhalder_, Charlotte Atherton, GothicSoul.
grazie per i vostri commenti e complimenti. siete davvero gentili.
grazie a Deilantha che ha costruito la copertina della storia, che purtroppo non posso caricare visto che con la poca linea che ho, non mi apre facebook, su cui è caricata.
grazie a coloro che hanno messo la storia nelle seguite

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grazie di cuore amiche care. spero che continuerete a seguirmi così numerose e appasiionate.
un saluto anche da Ania e Lucius.
un bacione a tutte
Fiore
<3

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Capitolo 11
*** Solo un ricordo ***


Capitolo 11

 
Solo un ricordo

 

 
Aveva abbassato la testa con rassegnazione e poi aveva chiuso gli occhi.
Il suo respiro si fece calmo ma innaturale per la tensione che aleggiava su di noi, e a quel punto un senso di tristezza e attesa mi pervase come una scarica di adrenalina.
«Sono nato nello scantinato di una grande fabbrica, in Giappone. La donna che mi portava in grembo non si era accorta di essere incinta, perché era sempre fatta. L’uomo con cui aveva avuto rapporti sessuali era potente, ricco e sposato mentre lei era una modella che non riusciva a sfondare e una eroinomane depressa a causa del suo fallimento. L’effetto delle droghe che prendeva l’aveva stordita a tal punto che il giorno in cui partorì, in realtà doveva vedere lui, fare sesso, e nascondere al resto del mondo la loro relazione per non far scoppiare uno scandalo e non creare scalpore. Si sbarazzarono di me subito dopo la mia nascita, affidandomi ad un orfanotrofio. Passai lì i miei primi anni di vita, ma nel frattempo mio padre aveva lasciato il Giappone e anche la bella ragazza drogata che aveva messo incinta. Mia madre finì nei casini a causa di debiti di gioco, depressione e droga … così … venne a prendermi all’orfanotrofio, e ci trasferimmo insieme in Inghilterra, il centro base degli affari di mio padre. È da quel giorno che quell’uomo è praticamente incatenato ad una maledizione. Io però sono dannato quanto lui. La donna che mi ha messo al mondo, ha nutrito nel suo grembo il veleno della vendetta, perché attraverso me, si sta riscattando. Non posso dirti altro».
Aveva raccontato tutto mormorando ogni parola, senza mostrare alcuna emozione, e senza guardarmi.
Quella storia così triste e quasi inverosimile, sembrava non appartenergli. I suoi occhi non furono accesi da alcuna emozione e il tono della sua voce sembrava quello di un automa.
«Lucius …».
«Adesso mi dirai che ti dispiace, mi dirai che stai male per me e dirai anche che forse quella donna non cerca solo di riscattare se stessa, ma me. Mi dirai che mio padre è uno stronzo e che bastardi come lui accalappiano ragazze deboli e sole di continuo, mettendole nei guai e poi lasciandole sole. Mi dirai che nonostante tutto sono una splendida persona e che ti piaccio comunque, anzi di più».
«Non è vero! In realtà …» lasciai cadere la frase. Dove voleva arrivare?
«Lascia che ti spieghi come la penso» disse, alzando per la prima volta lo sguardo. Ora la freddezza era palese nei suoi occhi, così come la rabbia e l’odio nei suoi lineamenti.
«Non devi dispiacerti affatto per me, perché non è un problema tuo, e non lo sarà mai. Voglio che tu sappia che la donna che mi ha messo al mondo, per me non è altro che una sgualdrina astuta, che è riuscita e mettere in ginocchio un’intera famiglia ed ha usato come banca la sua creatura. Voglio dirti che mio padre non è affatto uno stronzo, ma solo un uomo normale che essendo lontano da casa ha cercato lo svago ed ha trovato una donna consenziente e disponibile. Non esistono donne deboli e sole, ma solo donne stupide e senza volontà, donne senza dignità. E non voglio piacerti, non più, perché se ti ho raccontato ciò che ho tenuto nascosto al mondo per anni, mi aspetto che tu non mi deluda e pretendo la tua completa fedeltà. Ania, credo che questo sia il gesto d’amore più grande che possa fare per te. Sta’ lontana da me e sarai al sicuro. Stavolta non posso darti scelta. Se rimanessi al mio fianco saresti costretta ad essere la donna di un misogino, saresti costretta a dimostrarmi che mi sbaglio, ti sentiresti in dovere di farmi cambiare idea e questo ti porterebbe all’infelicità. Se resti con me, se restiamo amici, o …» si fermò e posò lo sguardo sulle mie labbra «verresti imprigionata, e questo ti ferirà in un modo atroce» mormorò. Chiuse gli occhi, poi concluse. «Io non voglio questo per te. Mi dispiace».
Mi sentii montare dentro la rabbia, un’ira feroce, quasi violenta che mi portò strofinarmi le mani una contro l’atra per paura di spappolargli il naso.
«Cazzate!» sbottai «Ti rendi conto della valanga di cazzate che hai detto? Che mi hai detto? … Ti dispiace? Non vuoi questo per me? Ti preoccupi della mia felicità? Non esistono donne sole? Solo donne senza dignità?» ansimai, lui trasalì di fronte alla mia reazione «Ma che dici? Cosa speri di ottenere con questo discorso idiota? È vero possono esserci ragazze facili che si fanno abbindolare, ma se una donna si fa fruttare da un uomo come un tappetino da usare a convenienza, allora non è una donna, è una povera imbecille senza amor proprio! Credevi che avrei giustificato tua madre? Credevi che avrei condannato tuo padre? No Lucius! Niente del genere. L’unica vittima della situazione sei tu! E se mi credi diversa dello stereotipo che ti sei fatto delle donne … allora avresti dovuto intuire che non avrei mai condiviso il tuo pensiero. Dici che ci sono donne senza volontà … allora, io sono uguale a tutte le altre! Io  … io dovrei forse obbedire al tuo folle desiderio di allontanarmi da te solo … per essere al sicuro? Al sicuro da cosa, Lucius? È una vita che vengo minacciata, tradita e presa di mira! Credi che mi spaventi? Io ho una volontà, e sinceramente, con tutta franchezza, adesso la mia volontà è quella di strangolarti! Ti rendi conto che … ti sei appena sbarazzato di me con la scusa di avere un passato difficile e un presente da schifo!? Ti rendi conto che mi hai appena baciata? Se volevi allontanarmi, razza di pervertito, violento, tenebroso idiota … avresti dovuto farlo prima, subito. Non ho mai fatto nulla per tradirti, e credevo avresti fatto lo stesso … ma …» perché mi sentivo debole e disperata? Perché ero sul punto di piangere? «in questo momento … proprio tu …».
Le lacrime sgorgarono, intense e rivelatrici, mostrando a Yuki – sama - il ragazzo di cui mi ero innamorata e che mi stava allontanando dopo avermi baciata, il mio profondo dispiacere.
«Ania … » disse facendo sprofondare i suoi occhi nei miei «… è meglio che tu ti senta tradita piuttosto che bruciare nel mio stesso inferno. Non so perché ma è la prima volta che mi capita di pentirmi delle mie scelte. Non avrei mai voluto irretirti nelle mie fauci».
«Lucius … parlami, ti prego! Dimmi che cosa hai passato, dimmi cosa posso fare! Io vorrei starti vicino, vorrei sapere tutto di te e vorrei che continuassi a stuzzicarmi, vorrei che continuassi a salvarmi … però … se per te non è lo stesso …».
Solo allora la pesante, immonda, triste verità mi venne addosso.
Forse si stava semplicemente sbarazzando di me, raccontandomi una mezza verità, oppure solo una valanga di bugie.
«Sai Lucius … noi donne abbiamo orgoglio e carattere da vendere, perciò … addio» mormorai.
Mi allontanai di poco, quanto bastava per sentirlo ancora.
«Odiarmi ti sarà d’aiuto. Così riuscirai a dimenticare».
Dimenticare, certo! Come  …  se scordare tutto fosse stato facile come cancellare il mio stesso nome!

----------------------------------------------- ANGOLO DELL'AUTRICE ---------------------------------------------------------------------------

Eccoci giunti all'11mo capitolo care le mie lettrici. come state? è molto che nn ci sentiamo e ammetto che la colpa è mia e della mia mancanza di buone idee. si accettano suggerimenti e commenti buoni e cattivi, chissà che nn mi sbolcchi leggendo qualche vostra opinione!
so bene che il capitolo è un po' cortino rispetto agli altri, ma credo che visto che questo è un momento di stacco tra i due piccioncini, sia meglio un po' di ... cambiamento stilistico, diciamo così.
chiedo umilmente perdono per non aver risposto singolarmente a ogni recensione lasciatami, ma la settimana scorsa ho compiuto 18 anni.
( sì, fisicamente ho 18 anni, ma ho l'animo di una bambina di 9 anni massimo, e le preoccupazioni di una 40enne, perciò non fateci caso! XD)... quindi tra l'organizzazione della fasta, il terremoto che me l'ha rovinata, e la linea solita inesistente ... non ce l'ho proprio fatta. rimedierò qui e prometto solennemente di recuperare piano piano, o rispondendo alle vostre prossime rec, o recuperando le vecchie nel vero senso della parola.
la buona notizia è che ora, grazie al mio nuovo cellulare dono della mia classe di liceo, posso avere un internet più decente e supportato dal routor che ho sul cell.
bene ora passiamo ai ringraziamenti dovuti e importanti:
grazie a coloro che gentilmente hanno commentato con passione la mia storiella. 
grazie soprattutto a Deilantha che ha realizzato la bellissima copertina che proverò ad inserire ora ... speriamo bene!!!!

grazie a ...
Annaj, Flox_29, Ele_Terry, Alyxandra, Charlotte Atherton, ciccina 14, Deilantha, iada93xd, talinasomerhalder,GothicSoul, Liberty89, elenanina, IlGoticoKaname.

grazie a coloro che mi seguono <3


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allora donzelle ... grazie di cuore.
ricordatevi di scrivere un commento così che possa capire se sto lavorando bene.
chiedo scusa per le piccole sviste che sicuramente ci saranno, ma è stato un periodo un turbolento.
un bacione a tutte affettuosamente.
la vostra

Fiore <3

 

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Capitolo 12
*** Segreto ***


Capitolo 12


Segreto

 
«… quindi ragazzi, ricapitolando: un cateto è uguale all’ipotenusa per il seno dell’angolo opposto …».
La trigonometria era una materia molto utile. Concentrava tutta la tua attenzione sulla lavagna, impedendoti di guardare altrove o di pensare a cose accadute il giorno prima.
A proposito di ciò … il genio demoniaco dei miei stivali era seduto alla mia destra come al solito, e dormiva profondamente.
Avrei voluto urlare “dovete espellerlo dalla scuola!” ma le mie corde vocali erano come paralizzate.
La notte in bianco appena trascorsa però era stata rivelatrice.
All’improvviso il dolore si era trasformato in ragione.
Sì, avevo pensato a tutto ciò che riguardava Lucius e alle sue parole, ed ero giunta alla domanda fondamentale.
Perché?
Naturalmente questa domanda implicava una marea di altri interrogativi, ma come partenza era più che rincuorante, facendo presente che oltre alle circostanze della sua nascita e dei rapporti con la madre e il padre davvero precari, non conoscessi niente di Lucius che non fosse questo.
Perché mi aveva allontanata?
All’inizio avevo creduto volesse liberarsi di me … ma poi …
E se davvero avesse voluto solo proteggermi? Se fosse stato vero che viveva in un inferno?
Mi aveva salvata così tante volte senza chiedere nulla in cambio … non poteva essere così crudele.
Eppure non potevo far altro che sentirmi tradita.
Se eravamo amici era normale dirsi tutto, no?
Certo, era anche normale proteggersi a vicenda … quindi …
Avevo la testa nel pallone.
«Ania … se abbiamo il valore dell’angolo adiacente invece di quello dell’angolo opposto useremo …?!» chiese l’insegnate rivolgendomi uno sguardo d’intesa.
Trasalii. Mi ero distratta, perciò non conoscevo la risposta.
Era coseno? O forse tangente? Oddio … il mio cuore tamburellò nel petto sempre più velocemente.
«Coseno» sussurrò Lucius, facendomi trasalire ancora di più.
«I - il coseno» risposi velocemente, fingendo di aver avuto un’illuminazione improvvisa.
La lezione proseguì.
Mi voltai verso Lucius, che era sdraiato comodamente sul banco.
«Grazie» sussurrai imbarazzata.
Lui fece finta di niente come se a parlare non fosse stato lui.
Ma guarda guarda, pensai, non aveva detto che dovevo dimenticarlo? Questa era la prima prova a favore della mia tesi.
Lucius mi stava nascondendo qualcosa di losco riguardante la sua famiglia.
Yuki – sama, il ragazzo dagli occhi di ghiaccio, mi stava proteggendo.
Naturalmente un suggerimento in classe non poteva confermare i miei sospetti, ma avrei continuato comunque ad indagare.
Direte voi: ma perché non lasci perdere quella specie di idiota misogino che ti ha mollata senza tante cerimonie? Anzi, che ti ha solo illusa?
Beh, la risposta è chiara. Volevo scoprire la verità, perché una piccola parte di me sapeva che Lucius mi aveva mostrato una parte del suo passato e me ne aveva celata un’altra.
Quando la campanella suonò, mister tenebra sembrò volatilizzarsi, e scomparve più veloce della luce prima che potessi fargli qualsiasi domanda.
Uscii scontenta dall’aula, e mi incamminai verso l’atrio. Volevo andare in biblioteca.
Quando arrivai, mi fiondai nel reparto di scienze, e cercai un buon libro di matematica da cui prendere informazioni sulla lezione del giorno.
«Ma guarda chi abbiamo qui!» sentii soffiare alle mie spalle. L’odore nauseante della mostarda mi colpì, facendomi rivoltare lo stomaco.
«Ciao, Nick» asserii svogliata. Se stavolta avesse fatto qualsiasi cosa, gli avrei spappolato il naso, conficcandoglielo nel cervello.
«Ciao agnellino. Oggi sei tutta da sola? Il lupo mannaro ha smesso di proteggerti con le sue zanne affilate?» chiese in tono di scherno.
«Non ho bisogno della protezione di nessuno, Nick. Comunque sparisci devo studiare» mormorai seccata.
«Non agitarti, non ho intenzione di metterti nei guai oggi. Volevo solo stuzzicarti un po’».
«Le tue idee sono sempre meravigliose, Nick!» biascicai, facendo capire palesemente quanto mi seccasse comunicare con lui.
«Lo so» rispose compiaciuto, dimostrandomi per l’ennesima volta di essere davvero un deficiente.
«Bene, ora ti lascio» sospirai «devo studiare» ripetei.
«Come sei seria! Dovresti rilassarti di tanto in tanto. Di questo passo “lupo cattivo” si stancherà di te».
Colpita e affondata: a quanto pare, se la mia intuizione è solo l’ennesimo abbaglio, Yuki si è già stufato di me … proprio ieri, pensai.
«Di’ la verità agnellino, non vorresti saperne di più sul tuo ragazzo?» chiese ammiccante.
«Non è il mio ragazzo!» protestai, ma rimasi vicina a Nick. Che stesse per dirmi cose interessanti sul conto di Lucius?
«Cioè?» chiesi. Lui annuì.
«Sei curiosa! Dimmi Green, quante volte il demone dalla faccia d’angelo ha cambiato discorso quando si parlava di lui? Quante volte ti ha aggredita perché hai fatto troppe domande?» s’informò.
 
Rimasi di sasso.
«Ti ho sorpresa! Se volevi delle risposte bastava che venissi dal sottoscritto. Forse non lo sai, ma io sono il nipote del preside White, non so se mi spiego. Questo posto non ha segreti per me, visto che spesso vado a curiosare negli archivi» si vantò.
Già, e curiosando aveva trovato il mio curriculum.
«Lo sai per esempio … che è segregato in questa scuola, e che il suo unico rifugio è il suo appartamento solitario oltre il parco? Lo sapevi che il suo portfolio personale è privo di qualsiasi riferimento alla sua nascita? Da quelle pagine si potrebbero travisare molte informazioni. Per esempio all’inizio pensavo fosse orfano e che avesse vinto una sorta di borsa di studio, ma poi … ho visto sua madre. Allora mi sono domandato perché fosse qui e ho trovato una sola risposta: per essere nascosto. Non lo trovi davvero eccitante e misterioso?».
«Non m’interessa» mentii fermamente.
Queste cose avrei potute scoprirle da sola. Magari il padre di Lucius, essendo sposato, aveva preferito nascondere la polvere sotto il tappeto, per non rischiare scandali in famiglia o peggio.
Succedeva piuttosto spesso purtroppo.
«Anastasia … Anastasia … non mentire. Si vede lontano un miglio che sei cotta di lui. Ma chi non lo sarebbe? L’ottanta per cento delle ragazze di questa scuola sono state scottate da Bell, e il venti per cento rimanente è formato da lesbiche oppure da tizie davvero svitate!» mi impressionai del fatto che sapesse contare! «Svegliati Ania. Se prima eri una rarità, adesso sei una banale ragazzina che si è fatta abbindolare dalla sua bellezza» mi schernì Nick.
La voglia di strangolarlo mi fece prudere le mani.
«Nick mi piacerebbe rimanere ad ascoltare i tuoi complimenti, ma vedi … ho da fare» lo liquidai andandomene.
Lui mi seguì.
«Ania … Lucius è il figlio illegittimo del proprietario corrotto di una potente e ricca società di industrie. Non hai speranze con lui» ridacchiò prima di sparire.
Wow, pensai sorpresa.
Era forse questo il suo segreto?
Suo padre era il capo corrotto di una grande società … che Lucius avesse tentato di allontanarmi per proteggermi da questo?
Non dovevo fare altro che chiederglielo.
 
 
********
 
 
 
Ero giunta nel corridoio davanti al suo appartamento, e tenendo i pugni stretti, mi decisi ad avanzare.
Suonai il campanello, ma quando la porta si aprì, mi venne solo voglia di vomitare.
«Oh, ma guarda chi c’è! Ciao scarafaggio» mi salutò Jane in reggiseno e reggi calze, mezza nuda e con una capigliatura post coito.
«Chi diavolo è a quest’ora del pomeriggio?» sentii la voce di Lucius sbraitare dal salotto.
Non dissi nulla e corsi via.
Disgraziatamente, lo immaginai in boxer, a petto nudo, intento a sbarazzarsi dei preservativi usati.
Quei pensieri davvero disdicevoli seppur  eccitanti, mi fecero tremare, e distratta dal disgusto che provavo misto alla profonda tristezza, caddi dalle scale.
Feci un tonfo pazzesco, e prima che potessi anche solo urlare aiuto, persi i sensi.
Non so per quanto rimasi incosciente, ma al mio risveglio mi ritrovai sul divano di Yuki – sama.
«Ania …»  sentii la sua voce preoccupata che si faceva strada nella mia mente insieme alla luce che traforava i miei occhi che si schiudevano.
«Lucius, che è successo?» domandai spaesata.
«Sei un disastro assoluto, ecco cosa è successo. Possibile che tu non riesca a badare a te stessa nemmeno per un giorno?» sbottò sgarbato.
Un dolore lancinante mi pietrificò e gemetti sommessamente.
«Ania» trasalì lui.
Portai una mano da dove proveniva il dolore e quando toccai la mia nuca dolorante, venni a contatto con un liquido caldo e semirappreso.
Sangue.
«Ania» ripeté lui con più enfasi, sembrava preoccupato.
«Perché non mi hai portata in ospedale? Perché?» domandai.
Lui sembrò sbiancare. Era combattuto.
La ferita pulsava e faceva davvero malissimo, inoltre mi girava vorticosamente la testa.
«Mm» mi lamentai. Qualcosa sembrò scattare in lui.
Mi prese in braccio di slancio e poi corse verso la porta.
Non ebbi il tempo di protestare, eravamo già  al piano terra.
«Signor Bell, dove sta andando?» domandò la portinaia.
«In ospedale» disse sbrigativo lui.
«Ma non può …» provò a ribattere lei.
«Sta’ zitta» la ammutolì bruscamente lui, come se la ragazza in tailleur fosse una sua dipendente.
Lucius aprì la porta sul retro di un garage adiacente all’edificio, e poi mi caricò … su una moto.
Chiamarla moto era davvero riduttivo. Era uno di quei mostri giganti che producevano un rumore infernale, ma era davvero forte.
Si sedette a cavallo e poi accese il roboante motore.
«Tieniti stretta a me, sono stato chiaro?» ordinò austero.
Annuii.
Lo circondai, e le mie braccia vennero a contatto con la sua pelle calda e liscia.
Jane era stata avvolta da quella vellutata sensazione, e aveva raggiunto il piacere attraverso le braccia di lui. Sospirai pensando a loro stretti in un caldo e intimo abbraccio.
Sfrecciammo come pazzi per le vie della città, e ci fermammo con una frenata scioccante proprio di fronte al pronto soccorso.
Lucius mi riprese in braccio e gliene fui grata visto il pazzesco capogiro che mi attanagliava.
Non disse una parola, e si limitò a portarmi in braccio per il lungo corridoio bianco e asettico.
«Cosa le è successo?» domandò un’infermiera, ammaliata dall’aspetto di Lucius.
«Ha battuto la testa cadendo dalle scale» spiegò Yuki - sama.
«Non sembra grave, sta’ tranquillo» lo rassicurò la donna in camice. In effetti Lucius era parecchio nervoso, e i suoi occhi orbitavano concitatamente su di me.
«Bene» soffiò il biondo.
«Allora da questa parte, io medicherò la signorina, e tu dovrai compilare alcuni documenti, è la prassi» spiegò l’infermiera.
Sentii il corpo di Lucius fremere sotto di me.
«Va bene» mormorò tetro e preoccupato.
Tutto mi fu chiaro: ecco perché non poteva portarmi in ospedale. I suoi dati e il suo passato dovevano rimanere segreti, ma se avesse accompagnato me al pronto soccorso , sarebbe dovuto … uscire allo scoperto.
«No!» sbottai «Lui non può restare, ha un esame, ed è … già in ritardo. Vero? Yuki – sama?» lo guardai e per la prima sul suo volto vidi un’espressione indifesa. Non si aspettava che lo chiamassi in quel modo.
Lui stette al gioco.
«In realtà è così, ma sarò qui tra meno di un’ora!» promise «Ti aspetterò qua fuori».
Annuii, decisa.
Sgattaiolò via, con nello sguardo un sentimento di puro sollievo.
 
All’ uscita dall’ospedale, lo trovai fuori come promesso.
Era appoggiato alla sua modo con fare accattivante e, a braccia conserte, osservava imperturbabile il via vai dei passanti.
Mi avvicinai con fare deciso, perché grazie agli analgesici stavo decisamente meglio.
«Yuki – sama, eh? Da quando usi il mio secondo nome?» domandò  mormorando.
«Da quando ho capito che per te è davvero rischioso mostrare la tua identità» risposi.
«Sei perspicace … oppure hai semplicemente curiosato nei miei affari» asserì con tono accusatorio.
«I tuoi affari non mi interessano» mentii schietta « se proprio vuoi saperlo è stato Nick a farmi un resoconto completo della tua situazione contro la mia volontà. Cos’è questo tono distaccato? Se non sbaglio la mia trovata ti ha salvato il … fondoschiena!».
Perché me la prendevo sempre per ogni suo singolo attacco? Perché m’importava così tanto? Mi aveva detto chiaramente di non impicciarmi, e anche se l’avesse fatto per proteggermi, di certo era un chiaro segno di mancanza di fiducia.
«Fondoschiena! Oh mio dio Ania! Non riesci nemmeno ad imprecare come si deve! È vero, mostrarmi in pubblico potrebbe crearmi qualche problema … ad ogni modo non voglio che tu t’intrometta nella mia vita» asserì.
«Intromettermi? Lucius … ma cosa ti è successo? Eravamo amici, ricordi? Mi hai raccontato di te e non capisco perché sia cambiato tutto così improvvisamente» confessai.
Lui sembrò dispiacersi, ma durò un millesimo di secondo.
«Coraggio … sali. Ti accompagno» disse freddo.
«No, grazie. Non mi serve il tuo aiuto» sbottai, arrancando velocemente alla fine del marciapiede.
Stavo per mettere il piede sulla strada quando due braccia forti e protettive mi avvolsero, salvandomi dallo scontro mortale con le auto che aspettavano che il semaforo scattasse. Mi aveva salvata di nuovo.
Sapevo bene che era stato Lucius, l’avevo capito dal profumo inebriante dell’acqua di colonia, ma non mi aspettavo che mi cingesse con tanto trasporto.
«Sul serio Ania. Tu sei un pericolo pubblico. Quando non sono con te sei davvero un disastro» mormorò con voce serafica.
«Yuki – sama» sussurrai grata e un po’ infastidita. Lui si irrigidì un po’.
«Il mio nome significa neve»  disse  «sai, la notte  della mia nascita  nevicava» mormorò nostalgico «forse, il mio nome è l’unico gesto d’amore che mia madre mi abbia mai concesso» sussurrò triste.
Mi intristii anche io. Non sapevo cosa avesse passato, e nonostante il suo dolore fosse troppo grande da immaginare, lo aveva sempre nascosto, mostrando al mondo solo la sua rabbia.
Il suo carattere cangiante inoltre era davvero insolito, ma … a me andava bene così.
Sospirai. Poi lo seguii.
 





-------------------------- ANGOLO DELL'AUTRICE ----------------------------------------------------

salve scusate il ritardo ma ho avuto impegni ... ringrazio tutte voi immensamente e spero che commenterete in tante.
mi rifarò ragazze. vi voglio bene.

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Capitolo 13
*** Pericolo ***


Capitolo 13
 
Pericolo

 
 

Quando passai davanti all’atrio principale  mi accorsi con un fremito dell’auto parcheggiata davanti alle scale d’ingresso.
Era l’auto del “fratello” di Lucius.
Un brivido funesto mi travolse, e un bruttissimo presentimento s’impossessò di me.
Andai in classe, e mi sedetti accanto ad un Lucius… tetro e preoccupato.
«L’hai vista anche tu, vero?» domandò in un sibilo oscuro.
«Oh, buongiorno anche te! … Sì» mormorai.
«Lui è qui» rantolò.
«Ehi, lo so che mi hai chiaramente detto di farmi gli affari miei… ma sai bene che per te ci sono» lo rassicurai. Yuki – sama accennò un sorrisetto che non contagiò lo sguardo.
La lezione iniziò senza intoppi, ma nel bel mezzo della spiegazione sui composti del carbonio …
«Il signor Lucius Yuki Bell è pregato di raggiungere la presidenza» urlò l’altoparlante posto sulla porta della nostra aula.
Io e Lucius ci scambiammo uno sguardo teso. Lui sembrò irrigidirsi all’istante.
«Sta’ tranquillo» sussurrai. Lui non mi ascoltò. Si alzò con fare sfinito dalla sedia e raggiunse lentamente la porta.
Non andava affatto bene.
«Professor Darcy… potrei uscire un momento? È abbastanza urgente» pigolai.
Il signor Darcy mi fece un cenno di assenso, e così mi fiondai fuori, seguendo la scia dell’acqua di colonia di Lucius.
La porta della presidenza era socchiusa e dentro si stava svolgendo una discussione piuttosto accesa.
Sapevo bene che il bon-ton diceva che non era buona educazione origliare le conversazioni altrui, ma io ascoltai comunque.
«Quindi preside White, mi sta dicendo che non riesce a tenere a bada mio fratello! Le avevo espressamente chiesto, a nome di mio padre, di ammansirlo e renderlo più consapevole della sua situazione … ».
«Ma signor Magnus … lei comprende bene che essendo il preside devo almeno dare l’impressione di tutelare i ragazzi, se mi accanissi sul signor Bell si creerebbero problemi anche nel corpo docenti. Molti insegnanti simpatizzano per lui a causa della sua intelligenza fuori dal comune».
«E tu, Yuki? Non hai niente da dire in tua discolpa?».
«Vediamo  Ephram …  tuo padre, che biologicamente è anche il mio, mi tiene rinchiuso a forza in questo collegio pidocchioso, pieno fino alla nausea di figli di papà e spocchiose puttane, solo perché si è scopato mia madre all’insaputa della tua e per questo motivo teme eventuali scandali, e io dovrei avere colpa?» rispose Lucius amaramente ironico.
«Sei nato. Ecco quel è la tua colpa» mormorò Ephram.
Mi sentii gelare il petto, e una sensazione di malessere s’impossessò di me, trasformandosi pian piano in un’ira violenta.
Nessuno poteva dire una cosa del genere a Lucius, il mio pseudo amico, il ragazzo sensuale che mi metteva in soggezione con un solo sguardo, che mi superava in tutto, che mi aveva stretta a sé per farmi sentire protetta, e che mi aveva distrutta solo per proteggermi.
Strinsi i pugni, pazientando e aspettando con molto sforzo la risposta di Yuki – sama.
«Te lo concedo, Ephram» mormorò Lucius, facendomi rabbrividire «ma voglio dirti una cosa: per quanto mi consideri un fottuto tradizionalista giapponese, non immolerò mai la mia vita per una causa più grande come farebbe un coraggioso samurai. Io sono un balordo così vigliacco che ha persino rinnegato sua madre, credi veramente che arriverò al punto da permetterti di distruggermi? Quando uscirò da questo collegio, perché io uscirò di qui in un modo o nell’altro, ve la farò pagare. Il vostro incubo deve ancora iniziare» mormorò minaccioso Lucius.
«Mi stai minacciando fratellino? Lo stai davvero facendo? Credo che tu sia davvero uno sprovveduto. D’altronde la tua amichetta … la signorina Green è una fanciulla piuttosto delicata. Potrebbe andare in iperventilazione se ti accadesse qualcosa di brutto, o se … accadesse a lei. Fossi in te … starei attento».
Il silenzio piombò nella stanza. Poi passi veloci e furiosi si avvicinarono alla porta.
«Dove vai? Hai paura?» Ephram seguì Lucius fuori nel corridoio.
«Fottiti» sbottò l’altro.
Non si accorsero di me, mi nascosi dietro l’angolo che precedeva la presidenza.
«Vuoi batterti con me? Io non lo farei Yuki, ricorderai sicuramente cosa è successo l’ultima volta che ti sei messo contro di me».
«Lo ricordo, è per questo che ora ti farò vedere che anche un giapponese tradizionalista può parlare bene la tua lingua».
Mi domandai con terrore cosa potesse essere successo a Lucius l’ultima volta che aveva avuto un incontro ravvicinato col fratello.
Pensandoci bene, da quando io e Lucius eravamo diventati amici, lui non aveva più fatto a botte con nessuno … eccetto in quel momento.
I due ragazzi si guardarono in cagnesco per una manciata di secondi e poi cominciò lo scontro.
White, da codardo quale era, se la diede a gambe, temendo di essere coinvolto.
Ephram avanzò e prese l’atro per il collo con entrambe le mani, e non contento, lo scaraventò contro la parete  opposta.
Lucius si divincolò, scalciando come un cavallo imbizzarrito, e spingendo l’altro contro la parete.
Dopo ciò … pugni, spintoni e ceffoni, crearono un tornado di gemiti e schiocchi.
Sgranai gli occhi quando Lucius venne colpito in pieno stomaco dal pugno micidiale di Ephram, il ragazzo dalle fattezze nordiche e dalle bellezza fredda che sembrava voler disintegrare il fratello con lo sguardo.
Dovevo dividerli o uno dei due si sarebbe fatto male, e in entrambi i casi, Lucius non se la sarebbe cavata con poco.
«Fermi» urlai, ma in quel momento mentre mi mettevo in mezzo, Lucius mi colpì in pieno viso, con uno dei ceffoni destinati all’altro ragazzo.
Caddi a terra, con gli occhi gonfi di lacrime istintive.
«Ania!?» esclamò lui sorpreso e preoccupato.
Il silenzio calò.
«Vattene» intimai a Ephram «Vattene e lascialo in pace. Vi sembra questo il modo di comportarvi? So che questi non sono affari miei, ma vi ordino di smetterla, razza di scimmioni!» sbottai.
«Togliti dai piedi, ragazzina! Non vorrai batterti con me!?» mi sfidò Ephram.
Mi alzai debolmente.
«Cosa ne direbbe il mio fratellino se provassi a …» Ephram posò senza preavviso le sue labbra sulle mie, ed io nonostante la sorpresa, colsi l’occasione al volo.
Lo morsi così forte che riuscii a sentire fin da subito il forte sapore metallico del suo sangue.
«Aah! Brutta sgualdrina!» mugolò lamentoso il gorilla ferito. «Non finisce qui» minacciò, ma poi se ne andò.
Lucius cercò di riprenderlo, ma lo afferrai per la manica della sua giacca.
«No, non andare » mormorai, dolorante.
«Quel pezzo di ...».
«LUCIUS!» urlai «Calmati e ignoralo» lo supplicai.
Il suo volto era livido, e i suoi occhi vitrei di rabbia e dolore.
Si inginocchiò e mi prese in braccio. Non opposi resistenza.
Era davvero dispiaciuto e mi fissava con uno sguardo disperato.
«Ania ...» mormorò.
«Non importa, è stato un incidente» lo tranquillizzai.
«Ti verrà un livido, mi dispiace tanto» sussurrò.
«Tuo fratello è davvero un prepotente» sviai il discorso portandomi due dite sulle labbra gonfie.
«Mio fratello deve farsene una ragione: questa è l’ultima volta che la passa liscia. Questa è l’ultima volta che ti ha toccata» asserì, mentre mi portava a casa sua.
 
Arrivata in casa Bell, l’appartamento solitario e lussuoso di Lucius, venni depositata con delicatezza sul divano.
«Vado a prendere del ghiaccio» mi informò con aria sfinita.
Sembrava distrutto.
«Stai bene?» chiesi preoccupata.
«Io sì, è quello il problema» mormorò.
«Non dire così, anche tu devi sentire male all’addome. Dovresti usare il ghiaccio anche per te» dissi.
«Non serve» sospirò.
Ritornò in salotto con una bistecca.
Beh, sapevo che era utile da mettere su un livido fresco, ma vederlo con una fettuccina in mano fu... comico.
«Come sei buffo!» risi di cuore, ignorando il gonfiore sulla faccia.
Era imbronciato, dolorante e con una bistecca in mano.
Sospirò avvicinandosi, e accennando un sorriso freddo. Poi appoggiò delicatamente la carne fredda sulla mia faccia.
La parte lesa riguardava il lato sinistro: occhio, guancia e labbro.
Smisi di ridere, la sensazione era gradevole ma faceva comunque malissimo.
Chiusi gli occhi, ma le lacrime sgorgarono da sole.
«Coraggio piccola, sdraiati e calmati» mormorò dolce e dispiaciuto.
Mi sorresse per la nuca e mi aiutò ad appoggiare la testa sul morbido bracciolo.
Percepivo il mal di testa, ma non ci pensai.
La mia faccia doveva essere orribile.
Chissà come mi vedeva Lucius, ma stranamente non mi sentivo a disagio, mi sentivo... al sicuro.
Chissà se anche Jane provava i miei stessi sentimenti per lui, chissà se erano tornati insieme.
«Lucius... tu e Jane state di nuovo insieme?» domandai a bruciapelo.
«No, ieri... era... non c’è nulla tra noi. Mi ha fatto solo un favore» spiegò.
Mi sentii sollevata e mi irritai per questo.
«Scusa, mi avevi detto di non impicciarmi e nonostante l’abbia fatto, tu... ».
«Ania, ti ho chiesto di non farlo è vero, ma solo per tenerti lontana da tutto questo. Adesso che lo sai... ti prego, stammi alla larga o finirai per farti male... di nuovo».
Sbirciai la sua espressione, era davvero dispiaciuto. Si vedeva lontano un miglio che ce l’aveva a morte con se stesso.
«Non posso mollarti. Siamo amici, no?» chiesi. La mia voce sembrò così piccola...
«No» mormorò, poi mi baciò. Le sue labbra assaggiavano le mie, ed ebbi l’impressione che volesse purificarle dal tocco prepotente e balordo di Ephram.
Avvampai. Il mio respiro si fece pesante.
«Ehi... ti faccio effetto miss Green!» mi schernì.
«Razza di bullo» sbottai. Mi accarezzò la guancia buona con le nocche.
«Puoi restare qui, riposati, poi ti riaccompagno io» mormorò. Lo sguardo liquido.
Chiusi gli occhi e mi addormentai.
Lucius mi aveva appena detto che eravamo qualcosa di più?
 
 
 
********
 
 
 
Quando mi svegliai era ormai sera.
La faccia mi doleva ancora molto, ma si era sgonfiata un po’...  almeno speravo.
Tolsi la bistecca dalla mia faccia e andai in cucina per buttarla nella spazzatura.
Poi mi guardai intorno in cerca del biondo, fico e tremendo ragazzo che mi aveva accolta nel suo appartamento per l’ennesima volta.
Controllai nella camera da letto con le lenzuola alla rinfusa e abiti sparsi sul pavimento, controllai nel salotto asettico e nel bagno...
Aprii la porta di quest’ultima stanza con cautela ricordando il fisico statuario e scolpito di Lucius che mi appariva come una visione in maniera davvero troppo improvvisa.
Niente.
Sarà uscito a fare spese, pensai per tranquillizzarmi.
Uscii sul balcone dietro al divano, e guardai il panorama davvero singolare.
Si vedeva tutto il quartiere e la scuola con il parco.
Dal primo piano proveniva un acre odore di sugo pronto...
Guardai in strada.
«Signora Lockwood... venga, l’accompagno» era la voce di Lucius, dolce e gentile. Paziente. Vidi la sua mano sbucare dalla porta d’entrata del palazzo.
La mia visuale era coperta dal balcone del piano di sotto.
«Lucius caro... ma devo andare al supermercato!» protestò debolmente l’anziana signora dai capelli bianchi «Devo prendere quel tè che mi piace tanto!» spiegò.
Mi si strinse il cuore.
«Certo, il tè» disse Lucius «posso darglielo io» si offrì gentile, dal tono sembrava sorridere con cortesia.
«Ma... il supermercato...»  pigolò la signora.
«Vede... oggi è Lunedì, è chiuso e non aprirà fino a domani» spiegò paziente, come non l’avevo mai visto.
La vecchietta sembrò spaesata.
Era a piedi nudi nonostante l’aria fredda di quella sera d’autunno, e sembrava davvero sola e trascurata.
«Coraggio venga, le preparerò una buonissima tazza di tè, promesso» mormorò il ragazzo, le labbra distese.
Si avvicinò alla donna e le cinse le spalle, aiutandola a muoversi verso il portone.
L’assecondava e le dava forza come un nipote ad una nonna.
Mi sentii smontata, triste, distrutta.
Sentivo le lacrime pungermi gli occhi: era stato troppo commovente.
In pochi minuti Lucius fu alla porta dell’appartamento.
«Ciao mocciosa! Stai meglio a quanto vedo!» esultò non troppo convinto. Per un breve attimo i suoi occhi erano stati attraversati dal rimorso. Ma non lo diede a vedere.
Cominciò a preparare del tè in cucina.
Il profumo rilassante della bevanda si propagò per tutta la casa.
«Torno subito» mormorò scomparendo con una tazza di tè bollente tra le mani
 «la signora Lockwood, la mia vicina del piano di sotto ha bisogno di qualcuno che le ricordi che giorno è oggi».
Quando ritornò aveva l’aria abbastanza abbattuta.
«Sei stato davvero carino con lei. Ho scoperto un lato di te che non odia le donne! È stato... rincuorante» ammisi.
Alzò lo sguardo e sospirò come se non avesse respirato per anni.
«Mi dispiace tanto per lei. Ha impiegato tutte le sue forze per crescere i suoi figli da sola e senza un marito, e ora loro l’hanno abbandonata a se stessa. Nessuno si prende cura di lei» spiegò.
«Tu sì» puntualizzai. Lui annuì triste.
Una madre che per amore dei figli lavorava sodo e amava senza riserva: a Lucius era mancato questo, il tassello essenziale per ogni nuova vita che nasce.
Qualcuno che ti ami senza motivo, solo perché esisti.
«Mi stai idealizzando di nuovo, Ania? Non farlo potresti morire per la delusione» mormorò con voce graffiante.
«Lucius...» cominciai, ma non c’era niente d’intelligente che avrei potuto dire. Avrei potuto dirli che non potevo idealizzarlo. Mai.
Insomma... l’avevo trovato a letto con la mia peggior nemica perché gli doveva un favore! L’avevo visto fare a botte in maniera bestiale persino col suo fratellastro! Avevo la faccia irriconoscibile e gonfia per colpa sua!
Non potevo idealizzarlo, no! Ma... potevo... amarlo.
Mi avvicinai e gli accarezzai la guancia. Lui mi lasciò fare.
Chiuse gli occhi e si godette il mio contatto, come un leone mansueto che sa essere paziente e non ha paura di quel contatto.
Poi si sedette con un gesto fluido affondando nei cuscini del divano.
Mi trascinò con sé, afferrandomi per il polso.
Mi ritrovai seduta sulle sue ginocchia.
Risi sommessamente, felice di quel po’ di intimità.
Era dolce il modo in cui mi teneva la mano, mentre mi accarezzava i capelli scompigliati.
Mi fece appoggiare al suo petto, poi mi cullò.
«Ania, sto combattendo tra l’amore e il desiderio, ma sono troppo egoista per cedere al buonsenso... perdonami» mormorò sulle mie labbra.
«Che vuoi dire?» domandai. Sapevo perfettamente cosa intendeva, ma volevo lo dicesse.
«Voglio dire che il lupo cattivo ti vuole tutta per sé... e per questo motivo  non può più lasciarti andare via» sussurrò.
Rabbrividii. Era spaventoso come paragone ma era altrettanto appagante.
Sorrisi.
«Sai, l’amore e il desiderio posso coincidere facilmente» affermai.
Ne ero certa.
E lui?


--------------------------------------------------------- ANGOLO DELL'AUTRICE ------------------------------------------------------------------------

salve ragazze e ben trovate.
grazie per non avermi lasciata nonistante la mia storia proceda a rilento ma sono costantemente fuoricasa.
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         Grazie soprattutto però a chi ha lasciato un commento, vi adoro.
     Gothisoul, cardie9980, Ele_Terry, Deilantha( creatrice della copertina), Charlotte Atherton, Liberty89.

a presto.

Fiore

<3




 

 


 

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Capitolo 14
*** Emozioni ***


Capitolo 14
 
Emozioni
 
 
La mattina seguente mi risvegliai nel letto di Lucius.
Il bip insistente della sveglia aveva rotto il mio strano sogno in cui riuscivo a volare sulla città fino al mare, e mi aveva riportata alla realtà.
Yuki – sama era rimasto a dormire sul divano, e mi aveva consigliato di non farmi vedere in giro fuori dal suo appartamento, almeno per quella sera, con la faccia ridotta in quello stato.
Durante la notte l’avevo sentito venire a dare un’occhiata di tanto in tanto... e la consapevolezza che si preoccupasse per me, risaliva a scaldarmi il cuore, scacciando i brutti sogni.
L’orologio segnava le sei.
Strano, pensai assonnata, la mensa apriva alle otto, e le lezioni erano alle otto e tre quarti... perché Lucius si alzava così presto di solito?
Mi alzai malvolentieri, sentendo la faccia rigida e dolorante nel punto in cui la sua mano mi aveva colpita.
Il suo volto distrutto dal dispiacere era ancora impresso nella mia mente.
Andai in cucina, ma non trovai nessuno a dormire sul grande divano in pelle.
«Lucius?» chiamai, ma non ottenni risposta.
«Sei in casa?» ritentai. Niente.
Fu allora che notai un bigliettino sulla macchina dell’espresso.
“Buongiorno piccola mocciosa... scusami se non ti ho aspettata ma dovevo fare una cosa. Ci vediamo a scuola. Yuki”.
Yuki. Neve.
“Forse, il mio nome è l’unico gesto d’amore che mia madre mi abbia mai concesso” aveva detto mestamente.
Avevo a che fare con il figlio illegittimo di un potente esponete dell’economia mondiale, e come se non bastasse, la madre di Lucius aveva trattato suo figlio come un ostaggio indesiderato. Una carta di credito vivente.
Sospirai rassegnata, non perché vedevo quella situazione troppo complicata o perché avevo paura delle conseguenze... ma perché sapevo che in qualsiasi altra circostanza, scuola, vita, città, epoca, io mi sarei comunque innamorata incondizionatamente di lui.
E non mi stava bene essere così fragile. Inerme.
Non sapevo ancora se lui ricambiasse al cento per cento i mie sentimenti, e quel che era peggio era che solo pochi giorni fa si era portato a letto Jane per capriccio, voglia.
Come dovevo interpretare i suoi baci e le sue attenzioni?
Mi sentivo come un cervo ferito, insicuro, che vorrebbe fidarsi del cacciatore che si è pentito di avergli sparato e che tenta di irretirlo verso di sé per curargli le ferite.
E aggiungendo il fatto che quel cacciatore fosse dannatamente sexy, brillante, bellissimo e raro...
“Cosa farà alle sei del mattino?” mi chiesi assorta nei miei pensieri.
 
Arrivata a scuola mi fiondai in classe senza passare dalla mensa.
I miei compagni di classe si sarebbero accorti delle condizioni del mio viso, e sicuramente Nick o Jane avrebbero diffuso la notizia della mia disavventura, ma per il momento era meglio ritardare la cosa.
La nostra aula era una delle più esterne e dava sul parco.
Il mio sguardo si perse sulle ombre del primo mattino, quando... una deliziosa musica si diffuse nell’aria.
Un pianoforte.
Dolce.
Melodioso.
Sublime.
Nonostante la mia testardaggine e la mia avversione verso distrazioni che potessero intaccare il mio percorso scolastico, amavo la musica.
Avevo sempre voluto suonare uno strumento o saper cantare, ma continuavo a ripetermi che non sarebbe stato costruttivo.
Seguii quella melodia, come stregata dalla sua intensa tristezza.
Volevo catturarla, farla mia, assaporarla in ogni onda, in ogni accordo, in ogni sbavatura.
Raggiunsi l’aula di musica che in realtà era il retro del palco che padroneggiava nell’aula conferenze.
Non veniva frequentata spesso, per questo era un luogo polveroso e disordinato.
Il piano continuava la sua melodiosa canzone, sempre più vicino.
Mi nascosi dietro una colonna di gesso abbandonata e mai utilizzata che faceva capolino al centro della stanza.
Poi sbirciai.
Il pianoforte a coda, nero lucido e dal coperchio alzato, nascondeva il musicista.
Ma le sue dita le immaginavo, affusolate e velocissime, creare quella particolare melodia.
Poi la sua voce.
Cominciò a cantare con voce levigata, ovattata, profonda, sensuale, e consolante.
La tristezza del motivo riempiva il suo timbro di graffianti virtuosismi che abbellivano di tanto in tanto le parti finali di frasi in una lingua melodiosa e sconosciuta.
Giapponese.
Ne ero certa.
Ero sicura di chi fosse quella voce.
Mi sentii scoppiare il cuore.
All’improvviso la musica cessò, e Lucius si alzò dal piano.
Sbirciai da dietro la colonna.
Yuki – sama si era seduto a terra e teneva la testa tra le ginocchia come se si sentisse poco bene.
Teneva i pugni stretti e le nocche erano color avorio.
Mi si strinse il cuore: il mio petto si appesantì e la sgradevole sensazione che provavo a causa dell’ansia costante che mi corrodeva le viscere, si fece largo su per la gola.
Sospirai sonoramente cercando di respirare.
«Sei davvero una ficcanaso, ragazzina» mormorò evitando di guardarmi «ti ho sentita arrivare, ho sentito il tuo profumo» arrossii.
«Lucius... stai bene?» chiesi uscendo allo scoperto.
«Sono io che dovrei preoccuparmi per te. D’altronde il tuo viso è tumefatto a causa mia» soffiò.
«Io sto bene, e se stai così male perché ti senti in colpa... allora smetti di farlo!» mormorai avvicinandomi a accovacciandomi di fronte a lui.
Gli misi una mano sulla testa come spesse volte aveva fatto lui con me.
«Sai Ania... in questi giorni non riesco a darmi pace» confessò. La voce rotta per il dispiacere «ti sei fatta male così tante volte per causa mia... eppure non riesco a lasciarti andare, sembra impossibile per me» rantolò. Trasalii. Mi stava davvero dicendo quelle parole? Il mio cuore poteva essere più felice e più straziato allo stesso tempo?
«Io non vado via. Io rimango qui» promisi.
Lui alzò lo sguardo e mi avvolse in un abbraccio con slancio e disperato bisogno.
Lo strinsi a me, promettendo dieci, cento, mille volte, che sarei rimasta per lui.
Quando ci staccammo il suo volto era più sereno.
«Mi avevano detto che suonavi, ma non che cantavi come un angelo!» mi complimentai.
«Perché ti sorprendi? D’altronde mi frequenti da molto tempo e la mia voce soave ti ha incantata spesse volte» ammiccò.
Alzai gli occhi al cielo.
«L’unica cosa che mi ha sorpresa o incantata è stata la tua capacità di dire tante sciocchezze con tanta naturalezza e decisione» lo schernii.
Mi arruffò i capelli stando attento a non toccare i lividi sulla faccia.
«Sei un esserino davvero insopportabile» mormorò con falso astio.
«Canta ancora per me» chiesi «dimmi cosa significa quella canzone di prima».
Sorrise, ne canto il ritornello a cappella.
La sua voce ovattata, perfetta, profonda e sensuale penetrò nella mia anima e risuonò per l’aula deserta.
«Veglierò sui tuoi sogni come un angelo, cara, perciò dormi, buonanotte... troppo smielato, vero?» tradusse con aria incerta.
«È una tua creazione? L’hai scritta tu?» chiesi.
«Purtroppo no, ma l’ho imparata nel periodo trascorso in Giappone. Nell’istituto in cui sono cresciuto c’era una radio e ognuno di noi poteva ascoltarla per mezz’ora. Questa canzone era la mia preferita» raccontò «tutte le altre erano di gruppi punk-rock e tutto quel rumore non faceva per me anche se molto probabilmente era ciò che rispecchiava di più il mio umore».
In quel momento pensai che non sapevo proprio niente di Lucius.
Il suo passato, i suoi problemi, i suoi dolori, erano solo un riassunto striminzito della sua vita.
Non sapevo niente di lui.   
«Raccontami di più... voglio sapere tutto di te. Voglio conoscere tutto» lo pregai.
Si appoggiò al muro e m’invito a sedermi tra le sue lunghe gambe.
Mi raggomitolai sul suo petto e m’inebriai al profumo intenso dell’acqua di colonia.
«Ho trascorso dieci anni nell’orfanotrofio in Giappone» mormorò «era uno degli istituti migliori, perlomeno per il cibo e l’igiene. Ma gli insegnanti, i collaboratori e i volontari erano corrotti. Ci picchiavano, ci punivano per un nonnulla, e spesso ci sfruttavano per lavori davvero faticosi» si fermò. Io gli misi una mano sul petto e ascoltai il suono del suo cuore aspettando che continuasse.
«Ricordo che una volta mi picchiarono così tanto che persi i sensi per alcuni giorni e                 mi risvegliai in infermeria. All’epoca le ragazzine mi facevano tutte il filo, nessuna esclusa, e me le ritrovai tutte intorno con dolcetti e fiori. Sembrava il paradiso!» sorrise «Direi che sin dalla tenera età ho sviluppato un grande ed incommensurabile fascino. Voi donne non potete starmi lontane» scherzò. Io non ci trovavo nulla da ridere. Un bambino picchiato con tanta brutalità, magari senza un motivo. Ora capivo molte più cose. La violenza era stata infusa nella sua persona attraverso il dolore.
Era l’unico modo di risolvere i problemi che gli avessero mai insegnato.
«Mi sembra terribile» sussurrai.
«Sì, immaginavo fossi gelosa, chi non lo sarebbe!?» continuò a scherzare.
«Lucius... mi dispiace» cominciai.
«Non dirlo. Non voglio sentirtelo dire. Ti prego» mormorò «volevi sapere di più... te lo sto raccontando, ma non provare pietà per me nemmeno per un minuto. Io sono diventato questo uomo grazie a quelle esperienze. Ho imparato a difendermi grazie a quelle situazioni. È grazie alla mia forza e al mio buon senso se sono riuscito a proteggerti e poi a farti avvicinare. Ti ho protetta con i mezzi di cui ero a disposizione. Perciò non dispiacerti» parlò come se fosse vecchio e saggio, come se la sua impulsività fosse solo una risorsa per i momenti di pericolo o di estremo fastidio.
«Non posso fare a meno di dispiacermi, ma non dirò altro. Continua pure» dissi stringendomi a lui.
Ricambiò con slancio.
«Mi avevano raccontato spesse volte la storia di mia madre, anzi la usavano come scusa per spronarmi a reagire... perciò non riuscii mai a prendere il discorso con lei quando venne a prendermi, né riuscii ad instaurare un rapporto. Lei per me era la donna che mi aveva abbandonato, era la donna che non si era nemmeno resa conto di avermi concepito, era la donna che non aveva esitato a scegliere la droga invece di me. La odiavo. Quando poi qualche settimana dopo capii cosa aveva in mente, la disprezzai con tutto me stesso. Sì, è vero, mi trattava bene, aveva rinunciato alla sua carriera per mantenermi, ma io ero la sua gallina dalle uova d’oro. Mio padre continuava a passarle soldi e droga, ma presto si stancò e allora ci mise alle calcagna Ephram, allora appena ventenne. Ephram stava con noi, sorvegliava mia madre e... tentava di farmi fuori» la sua voce si spense. Io trasalii. Il terrore si insinuò in me. ora sapevo la verità.
«Ha attentato alla tua vita quando eri ancora un bambino?» chiesi incredula e schifata.
Lucius si limitò ad annuire.
«Mia madre era ignara di tutto. Non parlavamo mai, e di certo non sarei corso in lacrime da lei per dirle ciò che mi stava facendo Ephram» spiegò.
Lo guardai in faccia.
Nessuna emozione solcava il suo volto, nessun pensiero velava i suoi occhi.
«Che accadde?» sussurrai.
«Oh, ci sarebbero un sacco di aneddoti su Ephram che potrei raccontare. Ma non voglio renderlo interessante ai tuoi occhi. Piuttosto... quando mia madre mi trovò accasciato al suolo privo di sensi, con un trauma cranico e contusioni dappertutto... minacciò mio padre di rivelare tutto alla polizia. Ephram aveva passato il limite con quel gesto. In realtà mi aveva fatto subire cose ben peggiori ma mia madre non sapeva niente, e di sicuro non avrebbe preso provvedimenti. Ephram continuò a sorvegliarci, ma smise di tormentarmi, anche se la sua sola presenza mi faceva scoppiare la testa. Il desiderio di picchiarlo mi pervadeva, e nello stesso tempo la sensazione di annullamento mi atterriva. Era... spaventoso» rabbrividì, svegliandosi da quell’incubo.
«Lo odio» sospirai forte. Lui mi strinse ancora.
«Devi stare lontana da lui. Assolutamente. Non sappiamo cosa abbiano in mente» l’espressione corrucciata di poco prima tornò ad invadergli il volto. Quel bellissimo e particolare volto che ormai amavo.
«Ehi» gli presi il viso tra le mani «sono qui. Devi stare tranquillo. Ok?» chiesi sommessamente.
Lui sospirò disperato con occhi lucidi. «No, Ania. È impossibile. Non posso. Sei in pericolo per causa mia» sembrava sul punto di piangere, non l’avevo mai visto così.
«Penso che se ti amassi davvero, ti lascerei andare, ma... mi sembra di impazzire se non sei al mio fianco. Perché non scappi via da me, dal mio passato, da Ephram... perché? Rischi la vita e lo sai anche tu. Se non vai via...» mi scostò di botto, e si alzò repentinamente raggiungendo lo sgabello del piano. Si sedette dandomi le spalle.
La testa tra le mani, la schiena muscolosa ma scarna curva.
«Lucius... non puoi decidere per me. Io ho deciso di restare al tuo fianco. Non mi importa di nient’altro» dissi con fermezza.
L’unica luce nel mio tunnel era Yuki – sama.
Persino i miei genitori si erano dimenticati di me dopo avermi scaricata qui, tra i lupi mannari. Né una telefonata, né una lettera.
Sembrava gli interessasse solo il mio profitto. Solo i voti.
A Lucius interessavo io.
E lui era un mio interesse.
L’unico.
«Che stupida, che grandissima stupida» rantolò... la voce rotta.
Gli andai incontro.
«Non sono stupida. Sono solo innamorata di te» mormorai abbracciandolo da dietro. Lo sentii irrigidirsi, mentre una sensazione di calore raggiungeva i nostri cuori martoriati.


------------------------------------------- ANGOLO DELL'AUTRICE -------------------------------------------------------------------

SALVE BIMBE! LO SO, SONO IN ATROCE RITARDO... MA HO PRESO LA PATENTE, E POI SONO STATA MALATA ECC ECC...
CMQ SONO DI CORSA, QUINDI VI RINGRAZIO BREVEMENTE SE NON MI AVETE DIMENTICATA (ME E I MIEI PERSONAGGI)... PERCIò SPERO VI SIA PIACIUTA LA LETTURA E SPERO ANCHE CHE MI FARETE SAPERE IL VOSTRO PREZIOSISSIMO PARERE.
VI ADORO.

FIORE

<3

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Capitolo 15
*** Resta con me ***


Capitolo 15
 
Resta con me
 
 
«Innamorata? No...» si era alzato di scatto facendomi perdere l’equilibrio e poi si era voltato verso di me con fare febbrile.
«Che problemi hai?» chiesi offesa. Lui sembrò rinsavire un po’, ma comunque disse: «Potrei anche accettare che tu mi voglia bene, ma... amarmi... tu non puoi esserti innamorata di me! Non puoi avermi fatto questo!» sbottò disperato.
Rimasi allibita.
«Scusa tanto! Non era mia intenzione crearti problemi!» sbottai a mia volta stizzita, offesa, ferita. «Avrei dovuto immaginarmelo! Sei solo uno stupido scimmione senza sentimenti! Ed io che mi chiedevo se ricambiassi! Che stupida!» ingoiai le lacrime che volevano uscire. Lui lo notò e mi venne incontro con uno sguardo indecifrabile.
«Ricambiare...».
«No, Lucius! Taci! Non voglio sentire la tua maledetta voce!» strillai «Di cosa hai paura, eh? Che possa chiederti di non andare più a letto con Jane o con qualcun’altra delle tue puttane? Eh? È questo? Vuoi le tue libertà? Non mi vuoi tra i piedi ogni minuto della tua vita? È questo? Oppure è un altro modo stupido e totalmente inutile di proteggermi? Dal modo in cui hai reagito però, direi che è il primo motivo! Sai che ti dico? Va’ all’inferno...» stavo piangendo, ma lui mi venne incontro con negli occhi il doppio della mia tristezza. Mi abbracciò, impedendomi di fuggire.
«Ci sono già, Ania. Vorrei solo che tu non mi amassi, perché in questo modo troverei la forza di mandarti via, di chiamare i tuoi genitori e di farti portare via... ma se anche tu provi quello che provo io... non sarà affatto facile» mormorò al mio orecchio. La voce flebile e sofferente.
«Sono stanca dei tuoi rifiuti, delle tue scuse, dei tuoi piani cervellotici... per un momento non possiamo solo essere un ragazzo e una ragazza che tentano di capire ciò che provano l’uno per l’altra? È chiedere troppo avere un po’ di normalità?» singhiozzai. Avevo ingoiato troppe cose negli ultimi giorni per riuscire a contenerle.
«Io sono l’ultima persona al mondo che può darti la normalità che cerchi, Ania» mi fece notare. Il brutto della situazione era che lo capivo perfettamente.
Annuii. Poi corsi fuori. Non volevo più parlarne.
 
In classe andò meglio del previsto.
Tutti notarono il mio occhio nero, ma solo pochi fecero battute idiote e totalmente inappropriate.
Lucius fremeva accanto a me, ed io cercavo di ammansirlo tenendogli la mano. Non parlammo più della nostra conversazione, né della mia confessione.
«Dovrei alzarmi e spaccare la faccia a tutti, così non sarebbe poi così strano che tu sia tutta un livido. Dio, Ania! Quanto vorrei donare la mia violenza anche a coloro che osano ridere di te!» mormorò tra i denti con uno sguardo allucinato.
«Lucius, non è necessario, e poi non servirebbe a nulla» risposi senza guardarlo.
«Ania, quel brutto livido te l’ha fatto il tuo ragazzo? Sai, dovresti dirgli di essere meno violento mentre si... sfoga» rise una delle amiche di Jane. Lei mi passò a fianco ma non disse nulla, si limitò a sghignazzare.
Lucius si alzò «Prova a ripetere tutto senza strafogarti con la tua fottuta lingua, troia!» urlò Lucius alzandosi di scatto. Trasalii guardando i suoi occhi. Stava per cedere alla violenza... con una ragazza.
«Stai calmo! Non vorrai batterti con una donna! Adesso capisco come mai l’agnellino è messo così male. Se continui così non farai altro che distruggerla!» lo sfidò una seconda ragazza.
Jane continuò a non dire nulla.
Presi la manica della giacca  di Lucius e la tirai «Datti una calmata» mormorai «non vorrai colpire una donna sul serio?».
«Lucky... sei proprio caduto in basso. Non esiste che quello scarafaggio ti dia ordini, figuriamoci stare con te! Non venire a piangere da me quando ti mancherò!» sogghignò Jane.
«Sparite!» ringhiò lui senza troppe smancerie.
Le ragazze rimasero allibite quando Lucius decise di darmi ascolto.
Sospirai e unii le mani sul banco.
Yuki – sama non sembrò curarsi di loro, mi prese una mano con dolcezza e mi sospinse verso la porta come se fossi fragilissima e indifesa.
«Andiamo Ania... ho sentito abbastanza» mormorò. Sorrisi e annuii.
Le tre arpie si fecero da parte con uno sguardo di fuoco.
Anche Lucius se ne accorse e probabilmente si accorse anche dello sguardo dei ragazzi.
Ridevano, indicavano la mia faccia e poi Lucius. Nick, nascosto nel gruppetto mi guardava con astuzia e malizia.
Lucius non si fece intimidire. Mi condusse in mensa e poi si sedette al tavolo con me.
Non l’aveva mai fatto prima, aveva sempre lasciato che mi sedessi con Mayu, ma oggi lei non c’era, oppure era semplicemente seduta con le sue amiche.
«Cosa ti va di mangiare?» domandò come se niente fosse. Lo scrutai.
Gli occhi circondati da ombre profonde, il viso provato, i capelli arruffati...
Da quanto non dormiva?
«Perché sei venuto in mensa oggi?» chiesi.
«Beh, il cibo di voi comuni mortali non è poi così male, e poi... non avevo voglia di lasciarti sola... » rispose «allora, cosa ti prendo?».
«Qual è il vero motivo, Lucius?» chiesi piccata.
«Non mi piacevano le loro espressioni in classe, volevo essere sicuro che ti lasciassero in pace» rispose sincero.
Sorrisi.
Gli presi la mano, poi le guardai. Anche lui le osservava con aria mesta.
Le sue mani erano grandi, ma possedevano delle dita affusolate da pianista.
Erano delle belle mani.
Le mie erano minuscole al confronto, ma avevo dita più paffute delle sue, rosee e delicate.
Era buffo: le sue mani d’artista non sapevano fare altro che picchiare duro, le mie non avevano mai fatto male ad una mosca. Lo spessore della debolezza e la sottile eleganza della forza.
«Grazie» sussurrai.
«Ania... per quanto riguarda prima...» cominciò.
«No! Non ricominciare. Ti prego, non potrei affrontare anche questo ora. Non ce la faccio» mormorai.
Lui sembrò intristirsi.
«Va bene... avremo altre occasioni per riparlarne» accettò.
«Bene».
«Allora, cosa vuoi mangiare, piccola?» si alzò e si protese verso di me.
Ripensai al nostro bacio e arrossii.
«Insalata e macedonia» balbettai.
«Cosa? Come minimo qui ti ci vuole un hamburger con ketchup e formaggio!» constatò divertito.
«Mm... non me la sento... è troppo impegnativo» ammisi. Avevo lo stomaco sottosopra e avrei accettato solo qualcosa di leggero.
«Insisto Ania... uno scricciolo come te deve mangiare se vuole crescere!» scherzò.
«Lucius... non saprei, ho un po’ di nausea» dissi ad occhi bassi. Si irrigidì.
«Senti ansia?» chiese premuroso e preoccupato.
«No» mentii «solo... voglio qualcosa di leggero» sospirai. Mi guardai intorno. Tutti gli occhi erano puntati su di noi, o meglio su Lucius.
Non si presentava mai in mensa, e tutte le ragazze erano in fibrillazione.
«Vada per l’insalata e la macedonia!» accettò con un sospiro rassegnato. Non sembrava dare peso all’ammirazione e all’attenzione che avevano le ragazze per lui «Torno subito» promise. Andò verso il bancone visibile perfettamente da dove mi trovavo.
Mi accasciai sul tavolo mettendo la testa sulle braccia.
Avevo mal di testa, tachicardia, male al petto... tutti sintomi negativi.
Lucius non mi perdeva d’occhio nemmeno per un attimo, mi osservava contrito e attento da lontano.
«Allora scarafaggio, come ti sei procurata quel livido?» chiese con malizia Nick seduto al tavolo accanto al mio. Non lo degnai di uno sguardo.
«Lascia perdere Nicky... sappiamo tutti com’è successo, no? Scommetto che l’anno fatto e lei non ha voluto compiacerlo. Lui si è arrabbiato e l’ha colpita!» rise malefica Jane.
«No no... aspetta senti questa... » rise a crepapelle l’altro «lei non voleva... e lui allora...».
«E lui allora ti spacca quella faccia di cazzo che hai, razza di porco bastardo. Perché non fai silenzio, pezzo di merda?!» subentrò Lucius con i vassoi  in mano.
Era la prima volta che una frase piena di ingiurie, parolacce e insulti mi sembrava sexy, minacciosa e stranamente rincuorante.
Troneggiava su quei due come un gigante arrabbiato e invincibile.
Posò i vassoi sul nostro tavolino, e poi tornò a fissare i due malcapitati.
«Cos’è... ti rode, Bell?» lo sfidò con poca decisione l’altro.
«Lascia stare Nick, non ne vale la pena. Lucius si è rammollito da quando sta con lo scarafaggio» cantilenò Jane.
Lucius irrigidì la mascella.
«Lascia perdere» sussurrai prendendogli la mano «ti prego, vieni a sederti e mangia con me».
«Sì mangia con lei. Non vedi che sta per svenire? Se non la sorreggi subito farà una brutta fine» sogghignò Jane.
Lucius mi guardò repentinamente.
In effetti facevo fatica a respirare.
«Ania, respira. Calmati» mormorò, venendo a sedersi al mio fianco.
Feci un lungo respiro spezzato, poi cercai di ricompormi.
«Va tutto bene, era una sciocchezza» sdrammatizzai.
Lui mi accarezzò uno zigomo con il pollice, e poi sorrise mestamente.
«Va bene, mi fido di te. Ma se stai male voglio saperlo subito!» chiese.
Annuii.
Il pranzo fu tranquillo. Mangiai tutta l’insalata, comprese le carote che a Lucius non piacevano e che lasciava sul bordo del piatto.
Io invece gli cedetti volentieri i chicchi di melograno che non mi andavano giù facilmente.
Quando uscimmo dalla mensa però, trovammo il mio armadietto ricoperto di bigliettini di minacce e insulti vari.
Questo non sarebbe stato niente se non fosse stato per la terra e la sporcizia che ci trovai ancora una volta dentro.
Sospirai, e cominciai a ripulire.
«Ania... che significa?» chiese tra i denti.
Non risposi.
«Questa non è la prima volta che ti succede, vero?».
Silenzio.
Nelle ultime settimane avevo subito questo ed altro, ma finché non toccavano né me né Lucius andava bene.
«Anastasia Maria Luce Green, guardami!» mormorò.
«Ho un nome orrendo. Potresti evitare di urlarlo al mondo intero? Sai, ho una reputazione da difendere» scherzai.
Mi prese il volto con la mano.
«Dimmi che sta succedendo. Che vuol dire questo?» chiese furibondo.
Scossi la testa abbassando lo sguardo.
«Bene» sbottò. Si voltò e si diresse verso la presidenza. Lo seguii allarmata.
«Che intendi fare?» strillai «Vuoi farti espellere?».
«Magari avessi questo potere. Ti porterei via di qui».
«Lucius, fermati! Non respiro!» squittii. Si fermò e mi corse incontro. Crollai tra le sue braccia in preda agli spasimi.
Quella era la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Annaspai.
Lui mi strinse forte.
«Respira piccola, respira. Ania...» era preoccupatissimo.
Ci provai, ma era inutile. Strinsi gli occhi.
In un attimo la sua bocca fu sulla mia, e la sua aria entrò a refrigerare i miei polmoni.
Piano, lentamente, dolcemente mi calmai cullata dalle sue forti braccia.
«Sei... davvero un bullo» sorrisi sollevata.
«E tu sei davvero troppo delicata per un tipo come me» la sua voce era così triste che mi si strinse il cuore.
«No, è una bugia. Io sono più forte di te» gli feci notare.
Appoggiò la fronte sulla mia e fece sfiorare i nostri nasi.
«Allora salvami, Ania».
 
 
 
*******
 
 
Lucius aveva insistito per giorni: dovevo trasferirmi da lui finché le acque non si fossero calmate.
Mi aveva dato una copia della chiave del suo appartamento, e mi aveva dato una mano con i bagagli.
Quando misi piede in quel posto ormai così familiare, trovai la solita atmosfera solitaria e asettica.
Aveva fatto grandi pulizie prima del mio arrivo e ne fui davvero sorpresa, soprattutto quando lo immaginai tutto indaffarato, impolverato e sudato...
Arrossii.
«Ehi ragazzina, non dirmi che una brava suora come te si fa problemi a dormire per qualche notte con un ragazzaccio come il sottoscritto?!» sogghignò «Oh sorella, perdonami perché ho peccato!» cantilenò.
Lo spinsi alzando gli occhi al cielo.
«Caro figliolo... sarai costretto a redimerti!» lo schernii.
Mi liberò un intero scomparto nel suo armadio e improvvisò un letto sul divano nero del soggiorno.
«Lucius... credi che sia meglio...» cominciai.
«Ania, non ti avrei lasciata sola in quel dormitorio neanche un minuto di più. A meno che tu non voglia farmi andare in galera per omicidio di massa... ti prego, resta» mormorò.
Annuii.
«Hai fame?» chiese dopo un po’.
Si era fatto tardi e il frigo era completamente vuoto. Mi domandai cosa mangiasse Lucius, e quando mi ricordai che non veniva mai a mensa con noi ragazzi mi chiesi se mangiasse!
Era sempre stato così solo!
Annuii.
Si illuminò «Bene! Allora vado a fare un salto al supermercato qui vicino. Stavolta però niente insalate!» si passò una mano tra i capelli e poi si frugò nelle tasche della giacca accertandosi di avere denaro.
«Ti aspetto con ansia» sorrisi.
«Torno subito» promise apprensivo.
Accesi la tv a schermo piatto nel salone e poi mi sedetti sul divano-letto improvvisato di Lucius.
Era stranissimo.
Casa sua, il suo divano, la sua tv, il suo odore, la sua aria, lui.
Era una sensazione disarmante.
Ormai faceva parte di me, il suo essere, lui stesso scorreva nelle mie vene insieme al sangue e quando questa consapevolezza si fece largo nel mio spirito mi sentii stranamente in pace.
Avevo letto decine di classici che parlavano di amori fortissimi, distruttivi e la sensazione di aver trovato quello che cercavo da una vita mi fece sorridere.
Detestavo ammetterlo ma ne ero completamente dipendente.
Yuki – sama accompagnava ogni mio pensiero, ogni mia azione, ogni mio sentimento.
Era la parte di me che avevo perso a causa delle ferite riportate nel corso della vita.
Lucius c’era sempre stato sin dal primo momento.
Lui mi aveva protetta, sempre.
Ormai non potevo fare a meno di accoglierlo in me: si era fatto pestare a sangue per me, rischiando il collasso. Aveva massacrato i miei aggressori. Era andato contro il fratello che aveva tentato di ucciderlo. Mi aveva mostrato chi fosse nonostante questo significasse riaprire ferite mortali, atrocemente dolorose.
Lui, bellissimo, giovane, forte ragazzo dal passato difficile mi aveva fatto entrare in un maniero inaccessibile a chiunque.
Io ero l’unica donna di cui si fosse mai preso cura.
I miei pensieri furono interrotti dal suono del citofono.
Non può essere stato così veloce! Pensai sorpresa.
«Sì?» risposi titubante.
«Dov’è Yuki?» chiese una voce all’apparecchio. L’avrei riconosciuta tra mille.
Ephram.
«Ehm... non è in casa al momento» risposi, cercando di mantenere un tono neutro.
«Ah no? E dove sarebbe?».
«Non lo so». Cominciavo ad agitarmi, ma respirai profondamente e attesi la sua reazione.
«Tu sei Green... non è vero?» chiese dopo una manciata di secondi. La sua voce suonava sorpresa e divertita.
Non risposi.
«Sì... ! Tu sei la ragazzina che gli sta tanto a cuore!» esclamò. Il nomignolo con cui di solito mi chiamava Lucius con dolcezza e sana malizia, sulle labbra di Ephram suonò... agghiacciante.
Il mio cuore perse un colpo.
«Cos’è? Non parli più? Guarda che non ho dimenticato ciò che hai fatto alle mie labbra... sai, mi fanno ancora molto male!» mormorò minaccioso.
«Vattene!» sussurrai.
«Non ci penso nemmeno. Devo parlare con il mio fratellino di un affare urgente e non posso rimandare. Quindi... che ne dici di farmi salire?» chiese come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Non era giusto.
Questo luogo era l’unico in cui Lucius potesse essere al sicuro! Perché dovevano portargli via tutto ciò che possedeva? Perché dovevano profanare i suoi spazi con una prepotenza così viscerale?
«Non lo farò» risposi risoluta. La mia voce però suonò incerta.
«Bene... vorrà dire che appena tornerà mi troverà quaggiù ad attenderlo, e stavolta non ci sarai tu a proteggerlo. Ascoltami bene piccola, se non apri questa maledetta porta giuro su chi vuoi che stavolta lo ammazzo sul serio. Lo ridurrò talmente male che non lo riconoscerai» minacciò con una serietà pungente.
Trasalii. Ricordai l’odio negli occhi di Lucius e ricordai la pura malvagità in quelli di Ephram.
Non stava bleffando.
La madre di Lucius aveva chiesto ancora soldi per tenere la bocca chiusa sull’esistenza del figlio ed Ephram non avrebbe battuto ciglio.
Si sarebbe sbarazzato del motivo di tanto fastidio con il sorriso sulle labbra.
«Ti prego no!» gemetti.
Lo sentii sogghignare dall’altra parte della cornetta.
«Oh sì! Ti sei mai chiesta perché il tuo ragazzo mi odia tanto? Non è perché lo perseguito - anche se è uno dei motivi! Io gli ho offerto un volo in prima classe per l’inferno! Gli ho fatto così male che anche la mia sola presenza lo innervosisce fuori misura!» spiegò, spudoratamente orgoglioso di sé.
Trasalii.
Cosa aveva potuto fare un mostro del genere ad un bambino? Cosa aveva dovuto subire Lucius fino all’incidente che aveva fatto rinsavire sua madre almeno in parte?
«Sono armato» m’informò «perciò aprimi subito» ordinò.
Obbedii.
Intanto il mio cellulare squillò.
«Pro... pronto?» risposi.
«Ehi mocciosa! Cioccolato o nocciola?» chiese Lucius allegramente.
«Lucius...» annaspai.
«Ania? Che succede?» chiese cambiando immediatamente tono di voce. Ora sembrava la lama affilata di un rasoio.
Non riuscii a dire altro che «Ephram».
«Ho capito. Sta’ tranquilla. Arrivo» chiuse la comunicazione come un guerriero che ha appena ricevuto l’ordine di una nuova e temibile missione.
Intanto il campanello suonò.
«Anastasia apri questa maledetta porta!» tuonò Ephram.
Lo feci.
«Bene» disse trascinandomi verso il divano «ti prometto che non gli farò del male, ma tu devi collaborare, ok?».
Sussultai.
«No, ti prego...» gemetti, ma lui mi era già addosso.
Sapevo cosa stava facendo.
Stava distruggendo l’ennesima cosa cara a Yuki – sama, ed io non ero abbastanza forte  per impedirglielo.
«Shhh... vedrai ci divertiremo!» ammiccò. Aveva un’espressione vomitevole sul volto.
Aveva uno sguardo perverso e totalmente malefico.
Tentai di dibattermi ma fu tutto inutile.
I miei polsi erano bloccati dalla sua mano sinistra, le mie gambe erano sotto tutto il suo peso, bloccate anche dalle sue ginocchia corpulente.
Il sorriso sulle sue labbra si allargò.
La sua mano destra si insinuò sul mio viso accarezzandolo con avidità.
Mi prese il mento e lo sollevò con forza, mentre le sue labbra si avventavano sul mio collo.
Erano viscide, avide, insistenti, ripugnanti.
La sua mano esplorò il mio petto, abbandonando il mento, e si attaccò al mio seno, palpandolo così forte da farmi urlare di dolore.
Ero totalmente alla sua mercé.
Solo quando raggiunse l’elastico dei calzoncini capii di stare piangendo in silenzio.
Il tutto era iniziato solo da qualche minuto ma io mi sentivo imprigionata da un’eternità.       
«EPHRAM!» sentii urlare. Era l’urlo più arrabbiato, disperato, potente e graffiante che avessi mai udito.
Mi sentii subito più leggera, non più oppressa dal peso del mio molestatore.
«Grandissimo pezzo di merda!» urlò ancora la voce, fregandosene delle buone maniere «Io ti ammazzo! Ti ammazzo!».
Riaprii gli occhi rimasti chiusi ormai da un pezzo, e vidi Lucius affrontare Ephram.
Yuki – sama sembrava stremato, straziato, tormentato, come se gli avessero inflitto pene indicibili.
Sembrava sul punto di piangere, di crollare... ma io sapevo bene che non l’avrebbe fatto.
I pugni stretti sul colletto della camicia dell’altro che annaspava per respirare.
I due erano riversi al suolo e si dimenavano furiosamente.
Il primo tentava di strangolare l’altro mentre il secondo tentava di liberarsi.
Ephram assestò una ginocchiata potentissima alla bocca dello stomaco dell’avversario, che si raggomitolò su se stesso per il dolore.
Prima che potesse mandare a segno un altro colpo però, Lucius si scagliò contro di lui sganciando uno dei suoi pugni più potenti.
Fu allora che l’altro gli prese il polso e lo attirò a sé facendolo finire con lo sterno sul suo ginocchio alzato.
Lucius sputò sangue, ma non si diede per vinto.
Portò a segno un altro pugno micidiale.
Lucius prese Ephram per i capelli biondissimi e lo fece sdraiare al suolo senza troppa delicatezza.
Poi gli assestò una gomitata all’addome. Ephram non batté ciglio e fu allora che estrasse un coltello.
Lucius gli acchiappò il polso, ma Ephram fu più veloce.
Gli ferì gravemente il braccio e in questo modo ebbe il tempo di avventarsi ancora... su di me.
Mi dimenai cercando di scacciarlo, intanto guardavo Lucius che stringendo i denti e gemendo sommessamente estraeva il coltello insanguinato dal suo braccio.
«Adesso facciamo una piccola pausa» ansimò Ephram sicuro di sé.
«Bastardo! Toglile di dosso quelle cazzo di mani o ti ammazzo!» serpeggiò Lucius più minaccioso che mai.
Nick se la sarebbe svignata al solo sguardo, pensai.
«Yuki, Yuki, Yuki» scosse la testa «se vuoi che me ne vada e che vi lasci in pace per un po’... dobbiamo far vedere alla tua amichetta il nostro gioco. Ti va?» chiese con sguardo perverso.
Lucius sembrò irrigidirsi.
«Fottiti» sbottò il mio difensore.
«Sai bene che se non ottengo ciò che voglio non cedo» minacciò «perciò togliti i vestiti e metti le mani dietro la schiena. Farò in fretta, anzi mi fermerò prima che tu possa svenire, lo prometto» assicurò ammiccante.
Era davvero un pazzo. Un pazzo che andava fermato.
«Tu sei fuori di testa» gemetti «vattene e lasciaci in pace...» non abbi il tempo di finire la frase perché tirò fuori un secondo coltello.
«Ora sta’ zitta piccola» mi intimò puntandomi l’arma contro.
Ammutolii.
«Su Yuki, facciamo ciò che va fatto e me ne andrò. Consideralo un avvertimento per tua madre!» disse il fratellastro di Lucius «Prova a indovinare quanto ha chiesto a mio padre stamattina? Non ci crederesti: il doppio!» tuonò.
Poi tornò a minacciarmi con il coltello.
«Coraggio, spogliati e porta le mani dietro la schiena» lo esortò ancora.
Lucius sembrò diventare un automa.
Si sfilò giacca e camicia, poi allacciò le braccia dietro la schiena come ordinato dal re dei bastardi.
La sua espressione era di pura disperazione mista a rassegnazione.
Assuefazione.
Altre lacrime fuoriuscirono dai miei occhi.
Ephram si avvicinò a Lucius che stava immobile, rigido.
Poi cominciò ad affondare la punta del coltello nelle sue carni.
Solo la punta.
Il coltello cominciò a muoversi verso il basso tracciando una linea scarlatta sul petto di Yuki – sama, che tremava e respirava tra i denti ma non emetteva un suono.
Il coltello continuò a procedere ancora, sempre più in basso.
Il respiro di Lucius si fece affannoso... o forse era il mio?
Stavo per mettermi ad urlare, stavo per scagliarmi addosso all’aguzzino, stavo per svenire, ma prima che potesse succedere almeno una delle tre cose Ephram si fermò.
Tolse il coltello dal corpo sanguinante di Lucius, si protese nella sua direzione e gli posò un bacio sullo zigomo.
«I miei complimenti. Come sempre sei il mio avversario preferito. Come sempre sei stato impeccabile» mormorò con dolcezza.
«Di’ a tua madre che la prossima volta non sarò così buono» sorrise al fratello minore. Poi si dileguò, chiudendo la porta alle sue spalle.
 
Lucius sospirò sonoramente gemendo di dolore. Poi raccattò la camicia buttata a terra e cominciò a tamponarsi il sangue. Il braccio e il petto erano sfregiati.
I suoi occhi erano vuoti come quelli di un involucro senza anima e i suoi movimenti erano deboli e incerti come se stesse davvero per svenire.
Trovai la forza di andargli al fianco. Ero scioccata per ciò che mi era appena successo ma io non stavo sanguinando, io non ero stata torturata, io stavo bene.
Quando entrai nel suo campo visivo i suoi occhi si illuminarono di nuovo, come se l’anima avesse ripreso il suo posto.
«Ania» sussurrò disperato attirandomi a sé «concentrati e respira» ordinò piano.
Non mi ero accorta di essere rimasta in apnea per così tanto tempo. Anche io ero rimasta pietrificata mentre la persona più importante per me veniva ferita con tanta crudeltà.
Gli spasmi dei miei polmoni mi scombussolarono ma trovai le sue braccia a sostenermi mentre riprendevo fiato.
«Mi dispiace tanto. Mi dispiace di essere arrivato tardi» mormorò distrutto.
«Non sei arrivato tardi, sei arrivato in tempo. Non mi ha toccata Lucius. Sei arrivato giusto in tempo per permettergli di ferire te invece di me» risposi tra le lacrime.
«Ti ha toccata, Ania. Ti ha ferita, Ania. Ed io non ho potuto fare niente per fermarlo. Niente» gemette disperato.
«Lucius io sto bene. Non è successo l’irreparabile solo grazie al tuo straziante sacrificio» gli feci notare.
«Ania... è successo tutto quello di cui avevo più paura al mondo da quando ti conosco. Sei stata presa di mira perché tutti sanno cosa ci lega. Ti ha fatto del male perché sei l’unica cosa buona della mia vita e vuole distruggerti come ha fatto con qualsiasi altra cosa» mormorò.
Sapevo che stava dicendo la verità e sapevo quali pensieri gli solcassero la mente in quel momento.
Perciò non potevo cedere.
«Sono intatta» dissi «non mi ha toccata, perciò sto bene» ammisi.
«Non è questo il punto. Non sono stato in grado di proteggerti... io...» lo baciai.
Posai una mano sulla sua guancia e mi alzai sulle ginocchia perché anche seduto a terra era altissimo. Assaggiai le sue labbra con tutta la dolcezza di cui ero capace e poi mi avvinghiai ancora di più a lui.
Lui ricambiò con tutta la dolcezza, la forza e la disperazione che aveva in corpo.
Fu un bacio lento, lungo, viscerale, atroce.
«Lucius... ti amo» sussurrai. Non c’era niente che potesse impedirmi di farlo.
Lui era parte di me, e le nostre vite distrutte erano legate da un filo rosso e invisibile.
Rosso passione o rosso sangue... non mi importava.
L’unica cosa che volevo era essere completa... con Lucius Yuki Bell al mio fianco.
«Ti amo anche io, povero il mio piccolo, fragile, sciocco scricciolo» soffiò al mio orecchio.
Sorrisi.
Avevo sventato una violenza, avevo visto torturare il ragazzo del mio cuore, sapevo di essere in pericolo, ma non potevo essere più felice.
Ero forse pazza?
 
 
 
 ------------------------------ ANGOLO DELL'AUTRICE ----------------------------------------------------------------
 
salve! lo so sono sorpresa anche io... ma che volete farci? la notte di natale mi ha sempre ispirato.
chiedo scusa per il linguaggio scurrile di questo cap, ma è stato necessario (immaginate Lucius calmo ed educato mentre vede Ephram molestare Ania) ecc ecc, inoltre spero che la crudeltà delle scene non vi abbia scioccate ( a me si sinceramente. il mio povero Lucky>.<)
inoltre ci terrei a sapere il vostro parere visto che non ho mai affrontato temi come la violenza sulle donne e sui giovani. spero di non essere stata banale o esagerata... insomma non sarei.
ringrazio di cuore le solite anime pie che recensiscono sempre ogni cap via efp e non.
siete i miei angeli.
buone feste ... con affetto dalla vostra
Fiore
<3
 

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Capitolo 16
*** Le parole che non ho detto ***


Capitolo 16
 
 
Le parole che non ho detto
 
 
 
Rimanemmo a terra per un tempo che sembrò infinito.
Lui era appoggiato al muro con la schiena e teneva le ginocchia piegate, mentre io mi ero rifugiata tra le sue braccia e avevo posato la testa sulla parte sinistra del suo petto.
Il braccio e la parte destri del tronco di Yuki – sama sanguinavano ancora.
La linea rossa e lunga che gli attraversava il corpo sembrava averlo diviso a metà ed io che mi ero tenuta lontana dal suo sangue e dalle sue ferite ora sentivo una sorta di muro tra me e la parte distrutta di Lucius.
Scostai il viso cercando i suoi occhi, ma trovai un nuovo e inaspettato sguardo.
Somigliava molto allo Yuki che si era straziato la pelle della spalla su cui Ephram aveva posato la mano, ma era molto più disperato.
Nei suoi occhi rivedevo me stessa intrappolata dalla prepotenza di Ephram, me stessa tremante sotto quel tocco volgare e indesiderato, me stessa mentre guardavo con sbigottimento e pura impotenza la punta di quel maledetto coltello che torturava senza pietà il petto del ragazzo che mi aveva ghermito il cuore.
E poi vedevo Lucius... vedevo tutto ciò che aveva passato prima di incontrarmi.
Le violenze in orfanotrofio, l’odio verso la madre, i supplizi inflitti dal fratello... tutti quei ricordi dolorosi erano affiorati quella sera a causa del ripetersi di uno dei traumi.
Tra le lacrime silenziose che rigavano il mio volto, mi chiesi che tipo di trattamenti Ephram avesse riservato a Lucius.
Cosa gli aveva fatto ancora? Quali ferite si nascondevano dietro la bellezza disarmante ed algida di quel ragazzino cresciuto troppo in fretta che dimostrava al mondo solo la sua rabbia? Quanto doveva essere grande la disperazione di qualcuno che non si sente dire altro che è un peso, un fastidio, una vita da sradicare?
Mi scostai dal suo petto, e mi misi in ginocchio accanto a lui.
Lucius allora lasciò la posizione di “rifugio” che aveva assunto per tenermi con sé, e lasciò andare le testa che si appoggiò al muro.
Il suo sguardo non si posò su di me, non mi sfiorò nemmeno.
Ero ancora sotto shock... non saprei dire se per quello che era accaduto a me o a lui... ma non faceva differenza.
Mi guardai il corpo.
Le calze erano sfilate e bucate, la gonna era un po’ alzata, la camicetta era aperta per metà, e lasciava intravedere parte del mio reggiseno color carne.
Tutto sommato stavo bene, ma quando mi accorsi che sulla mia pelle candida si stata formando un livido sul seno toccato dalla furia di Ephram, cominciai ad abbottonarmi freneticamente la camicetta per evitare che Lucius vedesse.
Mi ricomposi come meglio potevo, e poi tornai a guardarlo.
Lo trovai ad osservarmi con disperazione.
Sembrava sul punto di piangere, o di crollare, o di svenire... dovevano fargli molto male le ferite! Pensai.
«Lucius...» cominciai, decisa a convincerlo a chiamare un dottore oppure a permettermi di fare un salto in farmacia a prendere garze e disinfettante.
Ma lui mi interruppe gemendo come per il dolore.
«Il tuo collo... » sussurrò. Poi alzò il braccio buono e si passò una mano tra i capelli, e rimase lì, nascosto dalla mano con gli occhi chiusi e l’espressione così tormentata da farmi preoccupare.
Mi alzai lentamente cercando di capire fino che punto potessi spronare il mio equilibrio.
Stavo bene, fortunatamente, a parte il livido sul petto non avevo nient’altro.
Camminai verso il bagno e mi specchiai con attenzione.
Ora capivo la reazione di Lucius.
Il mio collo era arrossato e due succhiotti violacei facevano capolino sulla parte destra. Erano disgustosi.
Il livido sul petto era ben nascosto ma mi misi  meglio la camicia e risistemai i capelli facendoli cadere sul collo a nascondere il resto.
A parte gli occhi rossi di pianto... ero sempre io.
Tornai da Lucius.
Non aveva cambiato posizione ma si era chiuso ancora di più su se stesso come per nascondersi o come in preda a un dolore lancinante.
Mi inginocchiai vicino e gli toccai il braccio.
«Lucius» chiamai, la lui scostò l’arto.
«Non toccarmi, ti prego Ania... non toccarmi» sussurrò esausto.
È normale. Mi dissi. Ha appena subito una violenza, è assolutamente normale che si senta... male.
«Va bene. Starò lontana... ma ti prego... alzati!» cercai di essere dolce, ma la mia voce suonò insicura e piccola.
«Lasciami solo. Lasciami qui. Ti prego, vai a riposare e lasciami qui» sussurrò in maniera così impercettibile che feci fatica a capire.
«Non ti lascerò mai solo. Anche se tu dovessi pregarmi, anche se tu facessi di tutto per farti odiare, io non me ne andrei. Mai» promisi.
Sospirò, e spalancò gli occhi ancora nascosti per metà dalla mano.
Erano angosciati e lucidi. Stava cedendo al dolore.
«Ho bisogno di un minuto, non voglio che tu mi veda così... ti prego, vai» mi pregò.
Si voltò verso il muro dandomi le spalle. La sua schiena, ancora nuda dopo l’ordine dato da Ephram, sembrava poco muscolosa e ossuta.
La sottile eleganza della forza. Ripensai alle nostre mani unite.
Non avevo mai guardato la sua pelle con attenzione, anche perché le uniche volte che l’avevo visto seminudo eravamo nella penombra della sua camera da letto, o nella luce accecante del bagno, mentre la mia faccia diventava rossa come un pomodoro perché ero entrata senza bussare, o in altri momenti imbarazzanti in cui mi sentivo sprofondare dalla vergogna per essere arrossita copiosamente.
Adesso che potevo studiarla e guardarla bene, mi accorsi con orrore delle cicatrici.
Altre lunghe cicatrici, sottilissime e bianche che nessuno avrebbe mai notato guardandole di sfuggita o al massimo avrebbe pensato di aver visto male.
Bruciature come di sigaretta o altro, e piccoli taglietti ormai invisibili.
Ok, era troppo.
«Mi dispiace...» sussurrai correndo in bagno, ma non mi sentii neanche io.
Fui preda di conati e spasmi, ma cercai di calmarmi.
Quello che non riusciva ad alzarsi e non riusciva neanche a rendersi conto delle sue condizioni era Lucius.
Respirai profondamente, cercando di fermare anche le lacrime.
Il mio Yuki – sama, così forte... così debole... così...
Ok. Basta Ania. Tu sei forte, sei più forte di Ephram e puoi essere più forte... per Lucius.
Uscii di nuovo in salotto trovandolo raggomitolato di nuovo su se stesso.
Qualche lacrima scorreva ancora sulle mie guance ma la ignorai.
«Lucius... il pavimento sarà gelido... perché non provi a sederti sul divano?» mormorai.
Rimase immobile, silenzioso, indifferente.
Mi avvicinai e mi inginocchiai di nuovo accanto a lui.
Si irrigidì, e io capii che non voleva che lo toccassi.
Mi concentrai sui suoi capelli morbidi e lucenti come la criniera di un leone, obbligando i miei occhi a non posarsi sulla sua schiena.
«Lucius... guardami! Perché non mi guardi?» chiesi triste.
Le sue spalle ebbero un tremito.
Mi si strinse il cuore.
In quel momento si udì lo squillo di un cellulare.
Era quello di Lucius, il quale non sembrava intenzionato a rispondere.
Così glielo sfilai dalla tasca facendo attenzione a non toccarlo troppo.
«Rispondo io, ok?» chiesi.
Nessun segno.
«Pronto?» mormorai «Questo è il cellulare di Lucius, adesso lui non può rispondere... perciò dite pure a me» dissi, sentendomi come la vocetta metallica della segreteria telefonica. Patetico.
«Ehm... Ania, dico bene? Sono Yuri... ti ricordi di me, vero?» la voce incerta all’altro capo dell’apparecchio mi fece trasalire.
La madre di Lucius.
«Certo! Signora Yuri...» cominciai.
«Come sta Lucius?» chiese con troppa apprensione nella voce tremante.
Doveva sapere.
«Metto il vivavoce e provo a convincerlo a parlarle, va bene?» chiesi nervosa.
La sentii annuire.
«Lucius... è tua madre... che devo fare?» gli sussurrai all’orecchio.
Lui sospirò profondamente, scostò un po’ il viso dalla parete e mi porse la mano aperta.
Il telefono era ancora in vivavoce, così ebbi l’onore di sentire la conversazione.
«Che cosa vuoi da me?» la voce di Yuki – sama era provata, debole e roca.
«Yuki... stai bene?» chiese Yuri, incerta.
«Sai tutto Yuri, perché ti ostini a fingere che vada tutto bene?» mormorò Lucius.
I suoi occhi erano spenti, non aveva la forza di imprecare o di insultarla come avrebbe voluto fare. Probabilmente la madre di Lucius sapeva bene cosa accadeva al figlio ogni volta che importunava il padre di Ephram per soldi.
Ma lo faceva comunque.
«Tesoro... è l’ultima volta. Te lo giuro. Dimmi che stai bene...» la  donna  lasciò cadere la frase.
«Se conosco bene Ephram ti avrà raccontato tutto nei particolari, e magari ti avrà anche detto che cosa ha fatto ad Ania! Perciò se sai tutto non chiedermi come sto, perché non lo so nemmeno io» la sua voce cominciò ad alterarsi ma era ancora strozzata dal dolore e dallo shock.
«Yuki...» Yuri non sapeva che dire.
«Vuoi sapere come sto? Bene... ho una ferita profonda al braccio destro che sanguina in maniera preoccupante. Ho due costole incrinate se non peggio. Ho un lungo taglio che Ephram ha saggiamente scolpito dal petto all’addome. E sai un’altra cosa? Dovrei chiamare un medico ma non posso farlo perché se scoprissero la mia identità tu verresti uccisa! Ecco come sto, mamma!» sbottò Lucius esausto.
«Mi dispiace tanto tesoro. Lo so, sbaglio sempre... ma lo sai che... io ti vo...».
«No! Non voglio sentire niente del genere dalle tue schifose labbra. Non provare a dire una cosa del genere! Sai che ti dico? Tu avrai anche dovuto rinunciare alla tua carriera, ma ricordati che sono io che mi sono fatto addirittura torturare per proteggerti. Quante volte ho desiderato non essere mai nato! Lo sai anche tu! Ma tu eri troppo fatta per accorgertene prima, perciò forse l’unica cosa di cui non ho colpa è del fatto che sei solo una donna senza volontà e senza cervello. Non dire che mi vuoi bene, non farlo. Dopo quello che ho fatto per te mi merito almeno la tua onestà».
«Yuki...» singhiozzò Yuri, ma Lucius aveva riattaccato.
Riabbassò il braccio e posò il telefono accanto a lui. Era debole.
Abbassò un po’ le palpebre e girò di nuovo la testa.
«Lucius...» tentai ancora.
«Lasciami solo Ania, ti prego» mormorò ancora.
«No! Dobbiamo curare quelle ferite o si infetteranno e allora...» cominciai allarmata.
«Morirò. Morirò dissanguato qui, respirando la tua stessa aria. Grazie per avermi regalato una così bella fine» mormorò. Trasalii per la serietà della sua voce, e un tremito mi trapassò il petto.
«Non fare l’idiota e voltati» gli andai incontro e lo presi per il braccio buono.
Era troppo forte e pesante.
«Maledizione, Lucius!» strillai.
Ritentai, ma ricaddi sulle ginocchia.
«Porca miseria, vuoi farmi uscire un’ernia? Sei pesante, razza di scimmione insensibile! Sei alto due metri, non puoi pretendere che ti porti di peso! Il vigoroso della coppia sei tu!» cercai di sdrammatizzare. Era a pezzi.
«Vigore, da vis, roboris. In latino significa forza. Io non sono forte Ania. Ti sbagli» lo sentii dire.
«Tu sei sempre stato forte per me. Tu sei la mia forza, ma se ora non mi guardi e non parli con me, io non potrò salvarti, Lucius» mormorai.
«Non c’è nulla da salvare, Ania. Io sono solo il lupo cattivo, ricordi? Il cacciatore è passato di qui e mi ha appena ucciso. Fuggi piccola, finché puoi. Fuggi da me» gemette.
«Adesso basta» lo presi per le spalle. Sapevo cosa stava facendo.
Mi aveva detto ti amo, e ora stava cercando il modo più doloroso – per lui – di farsi odiare.
Lo costrinsi a voltarsi.
Il viso cereo, provato, un ombra sullo zigomo, gli occhi pesti, arrossati.
Aveva pianto?
«Amore mio» gli presi la testa fra le mani «ti amo» mormorai «perciò ti prego non guardarmi come se fossi la cosa più sbagliata della tua vita, non buttarti giù così perché quel mostro l’ha avuta vinta stavolta! Io sono qui!» i suoi occhi sul collo, sul seno... mi facevano sentire sporca.
Era come se facendomi toccare da qualcun altro per lui avessi perso il mio valore. Questo non sarebbe stato uno shock per me, visto che conoscevo bene le sue riserve verso il mio sesso, ma non era quello il punto.
Lui si dava la colpa di tutto, e guardando i miei lividi non faceva altro che accrescere il suo senso di colpa. Si stava punendo, non guardandomi, non toccandomi,  e nelle sue condizioni non andava bene.
Trasalì. I suoi occhi si accesero.
«Io sono la cosa più sbagliata della tua! Io! Non sono riuscito ad impedirgli di toccarti. Pensi che non abbia visto il tuo seno, le tue calze, il tuo collo?! Sei ferita! Ed è tutta colpa mia» parlò con disperazione e rabbia. Era proprio come immaginavo! Si voltò totalmente verso di me, mostrandomi senza censure il rosso del sangue delle ferite e i lividi violacei sul costato.
Strisciai ancora più vicina a lui.
Sbottonai la camicia e raccolsi i capelli.
Ecco. Eravamo uguali. Niente barriere.
«Lucius... guardami, e poi guarda te stesso. Un livido non è grave, ma le tue ferite sì! Se non puliamo subito quei tagli e non ci mettiamo una fascia sopra... si infetteranno e allora saranno guai!» dissi cercando di convincerlo.
«Ania... non m’importa niente di queste sciocchezze...» cominciò ma lo bloccai.
«Ma a me sì. Importa e come! Potresti permettermi di toccarti? Io non sono Ephram, e non mi sognerei mai di farti del male! Piuttosto sbaglierei un compito di proposito per te, ma non riuscirei mai e poi mai a ferirti! Perciò...» mi bloccai.
Lucius aveva chiuso gli occhi e una lacrima gli aveva solcato il viso.
Era questo che voleva nascondermi più di ogni altra cosa.
Tentò di voltarsi per celarmi di nuovo il suo tormento, ma io lo bloccai.
Lo presi per i polsi, con delicatezza, e poi lo raggiunsi, stringendolo tra le mie braccia come se fosse tornato ad essere il bambino abbandonato da tutti che aveva subìto troppe angherie.
Gli baciai le lacrime, le asciugai con le mie labbra e poi gli baciai gli occhi.
Delicatamente.
Gli occhi.
La fronte.
Il naso.
Il mento.
Gli zigomi.
Le tempie.
I capelli.
Le labbra.
Baci casti, piccoli, leggeri, affettuosi.
Le lacrime erano sparite.
Gli baciai le mani, le dita affusolate e scarne, piene di cicatrici bianche dovute alle molteplici risse.
Aprì le palpebre.
Eravamo fronte contro fronte ora e riuscivo a vedere da vicino i suoi occhi color ghiaccio così intensi e particolari.
Se il taglio ricordava il fascino del Sollevante, con la tradizione ricca di personaggi forti e leggendari e i ciliegi rosa in fiore , il colore riportava alla mente il mare del Nord, o il cielo di Londra in estate, o il grigio brillante ed elegante dei grattacieli.
«Alzati e vieni con me, ok?» chiesi commossa.
Lui annuì esausto, e con un sospiro fece leva sulla gambe.
Io lo seguii.
Quando però si chinò a prendere il cellulare ancora in terra, fece una smorfia di dolore, bloccandosi goffamente.
«Lucius...» squittii «fa’ piano! Te lo raccolgo io!» promisi, ricordando che aveva qualche costola incrinata grazie alle ginocchiate del re dei bastardi!
Lo aiutai ad adagiarsi sul divano, e poi mi parai dinnanzi a lui.
«Allora, in casa hai qualcosa? Disinfettante, garze, una pomata per i lividi... ?» chiesi.
«Credo siano in bagno» mormorò.
Non avevo reagito in alcun modo alla vista del suo sangue sul pavimento.
Sapevo che ce n’era tantissimo, sapevo che poteva essere pericoloso, ma sapevo anche che non potevamo chiamare nessuno. Perciò la salute di Yuki – sama era nelle mie mani.
Corsi in bagno e frugai tra la roba di Lucius.
Era ossessivamente ordinato per certe cose.
Negli scomparti in bagno c’erano sistemati in ordine: asciugamani, salviette e spugne; schiuma da barba, rasoio e una costosa acqua di colonia, quella che mi faceva girare la testa; preservativi, slip e... cassetta del pronto soccorso.
Bingo!
Bagnai delle asciugamani con l’acqua calda, riempii una piccola bacinella con dell’acqua tiepida, presi la cassetta e corsi in salotto.
Appena mi vide Lucius alzò un sopracciglio.
«Sembri sul punto di trasformarmi in Frankenstein. Ti mancano solo i bisturi in mano!» scherzò.
Sospirai sollevata.
Posai tutto sul tavolino, e gli andai incontro.
«Bentornato Lucius. Non lasciarmi più sola con la tua parte depressa o ti giuro che ti pesto a sangue» mormorai, baciandolo dolcemente.
Lui ricambiò.
Finalmente.
«Mi sembra impossibile... non arriveresti al mio viso nemmeno salendo su una sedia. Dovrai accontentarti di prendermi a calci... ma anche in quel caso direi che è improbabile. Nessuno corre più veloce di me» ammiccò.
Non sembrava del tutto tranquillo, ma almeno aveva ripresa la sua aria da “Sono un dio greco, baciami il culo baby”.
Saranno stati i miei bacini? Mi chiesi.
Sorrisi.
«Perdonami... è che... credevo di aver affrontato quella parte della mia vita, ero convinto di avermela lasciata alle spalle, invece... nonostante lui non faccia più parte della mia vita come prima... è sempre la solita merda» ammise con voce roca.
«Non buttarti giù così. Io... ti proteggerò. Non gli permetterò ti toccarti così. Mai più» mi sentii dire.
Lui sgranò gli occhi.
«Ania... mi stai suggerendo la battuta? Oppure sei uscita completamente di senno? Sono io che devo prendermi cura di te, non il contrario!» mi fece notare.
«Perché no?».
«Perché sei uno scricciolo e perché non faresti male ad una mosca neppure provandoci. Mi sono lasciato andare alla disperazione, mi hai visto crollare e non doveva succedere, lo sapevo! Solo dio può sapere cosa ti è frullato nella testa quando mi hai visto in quelle condizioni! Lo so come sei. Ti conosco. Ma adesso sto bene... se ti muovi a prendere le vesti di mia infermiera personale, ovviamente!» sorrise, e a me si spalancò il cuore.
Presi le asciugamani e cercai di pulire il sangue intorno senza fare male al mio paziente.
Si vedeva che provava dolore, ma non emise un suono.
Il braccio fu più difficoltoso da curare perché la ferita era profonda.
«Ahi... fa’ piano! Con delicatezza!» si lamentò per la prima volta. Dovevo avergli fatto proprio male.
«Scusa... non è colpa mia però!» pigolai.
Ci misi sopra il disinfettante e poi la fasciai saldamente.
Feci la stessa cosa per il torace, ma stavolta Lucius mi aiutò a farsi avvolgere tutto.
Bene!
«Sei stata davvero brava, infermiera Green!» ammiccò «Ora saresti così gentile da somministrare al tuo paziente un antidolorifico!?» annuii.
«Primo cassetto del mio comodino. Prendi la scatola con scritto ibruprofene, ok?».
Obbedii.
«Sei sicuro che vada bene così? Magari possiamo farci aiutare dall’infermiera della scuola!» proposi, preoccupata soprattutto per la ferita al braccio.
Se si fosse infettata...
«Certo! Così ci denuncerebbe subito al preside che ci tormenterà fino alla nausea e poi chiamerà i tuoi genitori» disse contrariato.
Annuii rassegnata. Eravamo completamente soli.
 
Dopo qualche ora ci addormentammo sul divano, stretti l’una nelle braccia dell’altro.
La testa di Lucius sopra la mia.
Feci un incubo tremendo.
Sognai Ephram e Lucius da bambino.
Lucius piangeva in silenzio mentre l’altro lo trafiggeva ancora e ancora. Poi il sogno cambiò e mi trovai davanti il mio Yuki – sama.
“Non posso proteggerti Ania, non posso. Perciò addio” mi sussurrava all’orecchio.
«No!» mi svegliai di soprassalto tra le lacrime, mentre la sensazione di ansia mi invadeva annichilendomi.
«Ania... era solo un sogno» mormorò Lucius, che probabilmente era sveglio da un po’ visto il tono di voce limpido e vivace.
«Lucius... io... tu...» mi strinsi a lui, ricordandomi di non fargli male alle ferite.
«Ania qualsiasi cosa tu abbia sognato... non era la realtà. Sei al sicuro qui. Ci sono io. Sono qui con te» mormorò dolce.
«Ho sognato che mi lasciavi, che dicevi che non potevi proteggermi e mi lasciavi» singhiozzai, faticando a respirare.
«Shh, sono qui e non me ne vado. Chi ha detto che non riuscirò a proteggerti? E poi non posso vivere senza di te. L’ho capito solo oggi, quando dandomi i tuoi piccoli baci hai guarito il mio dolore» ammise.
Mi calmai.
Poi lo guardai negli occhi e sussurrai: «Yuki – sama... ti prego, promettimi che non mi lascerai mai! Tu sei la mia aria» confessai commossa.
«Lo giuro su ciò che di più caro ho al mondo» disse sincero baciandomi la fronte, e sapevo che aveva giurato proprio su di me.
 


-------------------------------------------------ANGOLO DELL'AUTRICE -----------------------------------------------------------------
ciao ragazze come state? approfitto di questo angolino per fare a tutte voi i più sinceri auguri di buon anno ^^
sì, le feste mi donano nuovo vigore e ispirazione, ma direi che sospetto sia solo un bellissimo periodo.
quest'anno ho gli esami di stato quindi credo che prossimamente non avrò più molto tempo da dedicare alla scrittura, perciò vi sta ingozzando di capitoli, spero ben graditi.
ringrazio tutti coloro che recensiscono e che seguono la mia storia.
davvero non so come farei senza di voi. ogni volta che vedo una nuova recensione scoppio a piangere di felicità XD
allora, questo capitolo... che dire? l'ho scritto cercando di essere Lucius e Ania. non so come ci si possa sentire dopo una cosa del genere, ma l'ho visto con gli occhi della mente e ho cercato di renderlo il più reale possibile e il più fedele possibile ai caratteri dei personaggi.
lo so, sono maledettamente sadica con Lucius, questo ragazzo potrebbe aver subito qualsiasi cosa nella sua vita, ma l'ho partorito così proprio perchè avevo voglia di guadare e riflettere più da vicino su questo tipo di problematiche che a mio avviso non sono né inventate o irreali, né lontane da noi. anzi... mi accorgo sempre più spesso di quanto siano vicine e tangibili.
detto questo... spero commenterete e mi sosterrete come feta sempre.
buon 2014 pieno di emozioni, soddisfazioni, salute... e felicità.
ps credo che aggiornerò di nuovo per l'Epifania, perciò non sprite ok?
un grande bacio dalla vostra
Fiore
<3





 

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Capitolo 17
*** Non lasciare la mia mano ***


Capitolo 17
 
 
Non lasciare la mia mano
 
 
Mi svegliai cullata dal suono della sua voce ovattata e profonda.
Riconobbi subito la canzone in giapponese che aveva cantato al piano nell’aula musica.
Ero stata coperta con premura da un plaid caldo che portava il suo profumo, ed ero rimasta rannicchiata in quella posizione per tutta la notte, segno che dopo aver avuto l’incubo avevo dormito tranquillamente tra le braccia di Lucius.
Mi tirai su e mi stiracchiai un po’.
Lucius era di spalle, intento a preparare il caffè e a riscaldare delle brioche...
Mi alzai e lo raggiunsi in punta di piedi.
«Buongiorno» mormorai con la voce impastata dal sonno. Lo abbracciai da dietro e lo sentii irrigidirsi per la sorpresa.
Poi si rilassò, ridendo sommessamente.
«Ehi... bella addormentata! Hai dormito bene?» chiese gentile, posandomi un bacio sulla fronte.
Lo affiancai a annuii.
«Vuoi una tazza del mio caffè speciale?» chiese.
Aveva indossato un maglione di lana blu scuro, con tre bottoni giganti in cima, slacciati a mostrare parte del petto.
I pantaloni della divisa erano spariti, e ora indossava dei jeans scuri.
I piedi nudi.
Annuii arrossendo.
«Come ti senti stamattina?» domandai apprensiva. Notai che utilizzava il braccio e la mano sinistri e il destro era abbandonato lungo il fianco.
«Meglio» rispose. Solo allora mi accorsi del rossore sulle sue gote smunte e gli occhi un po’ lucidi.
Allungai una mano per toccargli la fronte ma lui si scansò.
«Tu non stai meglio! Hai la febbre?» chiesi agitata.
Silenzio.
«Lucius... devi farti vedere da un medico» affermai contrita.
«Non posso. Passerà comunque... ho visto di peggio e ne sono sempre uscito. Scommetto che deriva dal fatto che ho passato un’ora buona disteso sul pavimento. Un raffreddore, nulla di più» spiegò.
«Insisto... magari possiamo corrompere l’infermiera della scuola affinché ti copra! Tu le piaci... magari non dirà niente al preside!» tentai di convincerlo.
«Ania... conosco bene Ephram. Quando ci recheremo a scuola più tardi, il preside, Nick e l’infermiera saranno tutti a conoscenza delle mie condizioni e faranno di tutto per smascherarmi. Sotto l’ordine di Ephram il preside, o Nick stesso farà uscire chissà quale storia nel quale sei coinvolta e allora potranno succedere due cose: o chiameranno i tuoi genitori che si preoccuperanno così tanto che ti porteranno via da me, o sarò costretto a sorbirmi un rimprovero umiliante davanti a tutti, e sarò sospeso per qualche giorno. Allora non potrò mettere piede a scuola per un po’ e tu sarai facilmente ricattabile, o peggio» prese un lungo respiro. Quell’eventualità in particolare sembrava turbarlo.
«Quindi cosa proponi di fare?» chiesi mesta.
«Se restiamo uniti e non attiriamo l’attenzione su di noi, non potranno farci niente. Il trucco sarà ignorare qualsiasi provocazione» spiegò pratico. Sembrava davvero padrone delle sue azioni e delle circostanze. Aveva vissuto troppo a  lungo in quell’ambiente corrotto e per questo sapeva bene come muoversi.
«E se restassimo a casa? Potremmo darci per malati!» proposi in extremis.
«No. In quel caso sarebbe come andare alla fucilazione di nostra spontanea volontà. Il preside manderà un controllo, ti troverà qui da me, si insospettirà e allora gireranno brutte voci su di te e a quel punto nessuno si salverà» parlò con voce fredda.
«Nessuno si salverà... che intendi?» chiesi titubante.
«Che sarò costretto a spaccare la faccia a chiunque oserà insultarti in mia presenza e non» rispose serissimo.
Rabbrividii.
«Mi prometti che starai attento a te? Non sei in gran forma» ero davvero preoccupata.
«Ehi scricciolo... ho affrontato dieci bulli per te, e ne sono uscito vivo. Vuoi davvero farmi credere che hai paura che possa sentirmi male? È solo un graffio, e inoltre a tutti capita di avere la febbre» sorrise «io sono indistruttibile, cara la mia infermiera».
Non mi convinse ma annuii comunque. Non avevamo scelta.
 
 
*******
 
 
I primi fiocchi di neve aveva imbiancato il parco, rendendo il paesaggio luminoso e magico. Anche la scuola era innevata e ogni finestra aveva un cumulo di neve.
Quando Lucius se ne accorse sospirò mestamente, incupendo lo sguardo.
Yuki.
Secondo Lucius il suo nome era l’unico gesto d’amore della madre, ma ora che ci pensavo bene... lo rispecchiava.
Luminoso e bellissimo all’esterno, ogni fiocco di neve nascondeva una storia e portava con sé una minuscola scaglia del gelido ed impietoso inverno.
Yuki.
Neve.
Arrivata in classe, seguita a ruota da Lucius, trovai un bigliettino sul mio banco.
Traducendolo in una lingua meno volgare, il vocabolo scritto riportava il titolo di “donna di facili costumi”.
Non ebbi nemmeno il tempo di ignorarlo.
Lucius lo prese e lo accartocciò con foga tra le mani.
Jane, che aveva assistito all’intera scena, scoppiò a ridere sguaiatamente.
«Jane... » la chiamò Lucius «hai sbagliato banco» mormorò soddisfatto e tetro allo stesso tempo, posando il foglietto sul banco della ragazza.
Tutti ammutolirono.
«Come osi?» strillò quell’oca dirigendosi verso Lucius «Non sai con chi stai parlando!» minacciò, tentando di prendere Lucius per la manica...
«Lucius lo sa eccome, non credi Jane? Lui ti conosce meglio di chiunque altro... almeno credo, viste le voci che girano su di te!» mi parai davanti a Yuki – sama a mo’ di scudo «Non toccarlo, perché ora non ti appartiene più» conclusi.
Tutti ammutolirono, come se avessi urlato a squarciagola in una chiesa durante la funzione funebre di una persona cara.
«Non metterti contro di me, scarafaggio. Non farlo o ti schiaccerò e poi ti strapperò quelle minuscole, schifose zampette che hai» minacciò.
Rabbrividii, ma non mi mossi.
«Jane... ora sparisci prima che perda la pazienza e le buone maniere» si intromise Lucius. Il suo tono di voce spaventò anche me.
La campanella suonò, e tutti prendemmo posto.
«Buongiorno ragazzi» entrò sorridendo la signora Walter.
La lezione cominciò senza intoppi, ma quando alla seconda ora entrò il professore di matematica...
«Lucius... vieni alla lavagna» disse con  lo sguardo  basso dietro gli occhiali. Nick sghignazzò.
Lucius si alzò.
«Prendi il gesso, e scrivi questa equazione» ordinò il prof, porgendo il libro al ragazzo.
Oh no! Pensai. Non può usare il braccio destro!
Lucius però obbedì coraggiosamente.
Svolse l’esercizio velocemente e con pochi passaggi, e anche se il bracciò tremò un po’, non batté ciglio.
«Bene. Ora svolgi la successiva» disse l’insegnante, gli occhi bassi e fermi sul registro.
Alzai la mano.
«Professore mi scusi... ci sarebbe un esercizio in cui ho trovato difficoltà... potrei mostrarglielo?» chiesi, prima che Lucius cominciasse a scrivere.
I suoi occhi color ghiaccio si posarono benevoli su di me.
«Suki desu» minò con le labbra. Aggrottai le sopracciglia, ma non ebbi il tempo di chiedergli cosa significasse.
«Più tardi miss Green, ora devo occuparmi del signor Bell» disse il prof impacciato.
Tramava qualcosa.
L’ora passò così.
A metà del sesto esercizio, Lucius lasciò cadere il braccio al suo fianco.
«Il risultato è ics uguale a sette mezzi» mormorò Lucius, la voce provata.
Mancavano ancora dieci minuti.
«Scrivilo allora!» intimò l’insegnante.
Lucius lo fece.
Prima che potesse dargli l’ennesimo esercizio, mi alzai e andai alla cattedra.
Il professore sbuffò ma poi fu costretto ad ascoltarmi, e alla fine ci mandò ai nostri posti.
«Come ti senti?» mormorai al mio compagno di banco.
«Sta’ tranquilla... non devi preoccuparti di niente» sussurrò affannato.
Durante le altre ore di lezione Lucius venne interrogato o mandato alla lavagna, ma lui non batté ciglio e non sbagliò neanche una risposta.
Uscimmo insieme dall’aula salutando Mayu che non si era accorta di nulla.
Ma nel cortile...
Un secchio d’acqua gelata mista a neve mi sommerse appena mi affacciai fuori.
Mi sfuggì un urlo di sorpresa e di disagio per la temperatura impietosa dell’acqua.
Una finestra si chiuse di scatto sopra la mia testa e riconobbi la risata maligna di Jane.
«Ania!» esclamò Lucius che non era stato bagnato dalla cascata di neve.
Mi prese le mani.
«Sto bene, non è niente» balbettai tremante.
«Merda, sei gelata!» sbottò preoccupato «Maledizione! Quella volgare...».
«Lucius, ti prego andiamo» lo fermai. Aveva lo sguardo di chi avrebbe cercato Jane in lungo e in largo per farle mangiare la neve che ricopriva il parco fino all’ultimo fiocco.
«Vieni» mi disse. Mi portò in un angolo appartato.
«Togliti la giacca e la camicia» ordinò preoccupato e autoritario.
Io lo fissai perplessa.
«Ania, se non ti togli quei vestiti bagnati congelerai prima di raggiungere l’appartamento» mi sgridò.
Eseguii. Le dita però erano bianche e intorpidite. Brutto segno.
Le mani mi tremavano e non rispondevano bene ai miei comandi.
«Lascia fare a me» sospirò apprensivo. Mi sbottonò la giacca e poi fece lo stesso con la camicia, ma non sfiorò mai la mia pelle, neanche quando si tolse la giubba e me la mise sulle spalle. Quello era il suo modo di rispettare i miei spazi.
Abbottonò saldamente la sua giacca fino al mio collo, e poi mi circondo le spalle per proteggermi dal vento e mi sospinse verso casa sua.
Mi tremavano le ginocchia e per poco non caddi a metà strada.
Lucius mi prese di peso con un gemito ed io protestai.
«Mettimi giù, sei forse impazzito? Il tuo povero braccio ha già sopportato abbastanza, non credi?» strillai battendo i denti. La voce era roca.
«Sta’ zitta. Ho detto che va tutto bene» mi sgridò ancora.
«Lucius...» continuai ma lui mi zittì con un bacio.
Piccolo, casto, ma lungo e rigenerante.
«Potresti per favore tenere ferma la tua splendida lingua blu ghiaccio?» chiese ironico e preoccupato al tempo stesso.
Ammutolii.
Arrivati a casa sua, mi depositò sul divano.
«Ecco... accendo i termosifoni e prendo dei vestiti asciutti» m’informò allontanandosi.
Tornò dopo una manciata di secondi con alcuni dei suoi indumenti in mano.
Pantaloni della tuta neri, una maglietta a maniche lunghe e una felpa di lana.
Sulla spalla aveva il plaid con cui mi aveva coperta proprio la notte prima.
«Ora io mi volto e tu ti cambi, ok?» chiese. Annuii.
Tolsi tutto tranne gli slip, l’unica cosa rimasta asciutta. Poi infilai i vestiti di Lucius.
La tuta era felpata dentro, e la felpa era caldissima, ma tutto era... gigantesco!
«Pu... puoi voltarti» concessi. Si avvicinò e vedendomi praticamente immersa nei suoi indumenti scoppiò a ridere, tornando serio immediatamente quando mi sentì tossire.
Mi avvolse nella coperta e mi posò un bacio veloce sulla fronte.
«Prendo il phon» mormorò.
Una volta tornato con l’aggeggio, lo accese e mi investì con quella dolce e calda brezza.
Passò le sue lunghe dita tra i miei capelli fradici,  accarezzandomi la testa con estrema dolcezza.
Dopo pochi minuti anche i capelli furono asciutti.
«Grazie» mormorai debolmente.
Lui si sedette accanto a me.
«Hai ancora freddo?» chiese, ignorando spudoratamente la mia gratitudine.
In risposta da parte mia arrivò un profondo brivido.
Sospirò tristemente: «Come devo fare con te? Sei talmente indifesa che a volte  mi fa paura persino toccarti!» sussurrò al mio orecchio. «Cosa posso fare?» chiese, come se ne avesse la necessità.
«Tienimi... le mani» sussurrai a mia volta.
Le tolsi fuori dalla coperta. Erano ancora bianche come quelle di un cadavere.
«Stai gelando!... Oh Ania... se non ti fossi esposta così prima... è colpa mia!» mormorò e una punta della disperazione del giorno prima tornò nei suoi bellissimi occhi grigi.
«Non potevo permettere a quella strega di toccarti il braccio ferito. Tu sei sotto la mia tutela» biascicai.
«Ti ricordo che è il contrario» mi fece notare.
Mi prese le mani e le strinse tra le sue. Se le portò alle labbra e ci soffiò sopra.
Dopo averlo fatto ancora e ancora... le tenne in una sola delle sue, e con quella libera si sbottonò la camicia.
La fasciatura era ancora al suo posto, ma lui non ci badò.
Prese le mie mani e le posò al centro del suo petto a contatto con la pelle e parte della fascia bianca.
Gemette a causa del gelo che emanavano le mie dita, ma continuò a stringerle sul suo petto.
Il calore del suo corpo era come un fuoco che mi bruciava dentro riscaldandomi il cuore.
Mi avvicinai ancora a lui, e posai il capo nell’incavo del suo collo.
«Lucius... ti amo» mormorai esausta e dolorante.
«Ti amo anche io piccola» soffiò sorridendo.
Mi addormentai nel tepore delle sue braccia.
 
 
*******
 
 
«Fuori da casa mia ho detto!» una voce arrabbiata proveniva dalla camera da letto.   Nessuno urlava ma era un mormorio piuttosto acceso.
«Tesoro... ascoltami ti prego!» rispose un sussurro disperato.
«La sveglierai! Vuoi andartene? Non voglio più avere niente a che fare con te e la tua merda. Devi sparire dalla mia vita!» riconobbi la voce di Lucius.
«Ma tesoro... lascia che ti spieghi...».
«No! Vattene Yuri. Non ti voglio qui!» intimò Lucius.
«Yuki... io sono tua...».
«Cosa? Mia madre?» domandò ironico «Mi hai guardato bene? Guardami! Chi credi che mi abbia conciato così? Eh? Ti rendi conto che potevo morire se solo Ephram, quel bastardo, l’avesse voluto?» chiese disperato.
Yuri? Quando era arrivata?
«Yuki... mi dispiace tanto» scoppiò in lacrime la donna «io non sono stata una brava madre, lo so. Ti ho solo dato un sacco di problemi» singhiozzò «è solo che... è solo che... avevo paura!» spiegò.
«Paura di cosa, mamma? Di non poterti comprare la roba? Di questo avevi paura mentre...?».
«Sono malata, Yuki» rivelò tra le lacrime.
«Cosa?» Lucius aveva cambiato espressione di voce. Era incredulo.
«Sono malata... ho il cancro» disse Yuri.
Lucius non rispose.
«Ormai sono mesi che non mi drogo più. Ho un lavoro onesto e ho un piccolo appartamento nella città vicina. Ma... quando ho scoperto di essermi ammalata, ho avuto paura e ho cercato tuo padre. Gli ho detto che stavo male e che avrei preso l’ultima mazzetta e che sarei sparita. Non pensavo che ti avrebbero fatto questo! Perdonami per non averti protetto, perdonami per avergli permesso di farti tutte quelle cose... in passato e ora... io mi odio per questo... io... io davvero... non volevo che soffrissi tanto! Yuki...».
La porta della camera da letto si aprì e ne uscì un Lucius sgomento e disperato.
Si passò una mano nei capelli con fare nervoso, e poi raggiunse il divano.
Mi sollevò di poco e poi mi strinse tra le sue braccia per cercare un po’ di consolazione.
«Lucius... mi dispiace tanto» mormorai, stringendolo a mia volta.
«Che cosa devo fare? Dimmelo tu Ania... perché io non lo so. Non lo so proprio» sussurrò provato.
«Se quella era davvero l’ultima richiesta di denaro... allora vuol dire che lei si è pentita. Lucius è il tuo cuore che devi seguire... ma... stalle vicino» mormorai.
«Una volta Ephram mi picchiò a sangue davanti ai suoi occhi... ma lei era completamente fatta, e continuò a rimanere seduta a bere del vino... io...» una lacrima scese sulla sua guancia.
La baciai, guardando quegli occhi disperati con un nodo al cuore.
«Tu sei sempre stato più forte di chiunque altro. Perciò saprai cosa è giusto fare» dissi sincera e sicura delle mie parole.
«Sono sempre stato come un demone, Ania. Ho perso il mio altruismo la prima volta che hanno abusato di me in orfanotrofio... perciò... cosa ti fa pensare che la mia scelta sarà giusta? Ho bisogno che tu mi dica... tu cosa faresti?» chiese con voce rotta.
Io trasalii a quelle parole, ma strinsi i denti e strinsi ancor di più il mio Yuki – sama.
«Perché vuoi saperlo proprio da me?» chiesi trattenendo le lacrime.
«Perché tu sei la cosa più simile ad un angelo che abbia mai visto, perché tu sei la mia donna, la mia amata donna, la mia rispettabile donna, la mia fragile donna, la mia buona e amabile donna. Tu sei la parte buona di me che non è ancora stata distrutta» pronunciò quelle parole con uno spasmo.
Anche io scoppiai in lacrime.
«Allora, mio straordinario, forte e bellissimo uomo, non abbandonare la donna che mi ha permesso di incontrarti!».
A quelle parole ci baciammo disperatamente, come se volessimo entrare uno nel corpo dell’altra per completarci del tutto.
Asciugammo le lacrime l’uno dell’altra e viceversa, fino a che anche esse non finirono come un brutto incubo.

----------------------------------- ANGOLO DELL'AUTRICE --------------------------------------------------------------------

come promesso ecco a voi un nuovo capitolo! buona epifania a tutte ragazze.
allora... che cosa credete succederà d'ora in avanti?
si accettano suggerimenti e spunti.
ho scritto un altro cap e mezzo, ma la situazione nel mio cervello sta diventando più complicata del previsto.
^^ grazie a chi recensisce... grazie di cuore, e grazie anche a chi si ferma a leggermi. spero che la mia storia vi piaccia.
ora vi saluto. alla prossima (presto, promesso).
la vostra
Fiore
<3
 

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Capitolo 18
*** Istinto ***


Capitolo 18
 
 
Istinto
 
 
 
Yuri era rimasta a casa di Lucius quella notte.
L’avevamo lasciata dormire nella camera da letto e noi ci eravamo stretti l’uno all’altra sul divano.
Più restavo a contatto con Lucius e più il mio sentimento cresceva insieme all’attrazione.
Lui era la mia calamita personale, la mia droga.
La mattina seguante dopo aver preso del paracetamolo, visto che non avevo febbre o altro e mi sentivo piuttosto bene, decisi di andare a scuola e affrontare un nuovo giorno di disavventure al fianco del mio... sì insomma... di Lucius.
Arrivata all’entrata della scuola però... trovai mia madre.
I capelli raccolti in uno chignon, il viso tirato e preoccupato, l’abbigliamento sobrio di sempre.
«Ania! Tesoro!» mi corse incontro e mi abbracciò, non notando forse che tenevo la mano di Lucius.
La lasciai momentaneamente per abbracciare mia madre e poi finalmente capii di essere agitata.
Ringraziai il mio buon senso per avermi fatto decidere di mettere del fondotinta sul livido ormai quasi sparito del mio viso e realizzai immediatamente che doveva esserci un motivo se mia madre era lì. Doveva esserci un motivo. Per forza.
«Mamma... che ci fai qui?» chiesi perplessa ma anche felice di vederla.
«Oh cara... mi hanno chiamato dicendo che eri caduta nelle neve e che sembravi davvero star male!» dichiarò lei, seriamente preoccupata.
«Sì... è... è stato un incidente. Lo sai come sono fatta...».
«Sì, lo so... la solita sbadata» disse accigliandosi.
«Già... grazie» risposi ironica.
Lucius intanto era rimasto in silenzio accanto a me.
Mia madre lo squadrò da capo a piedi, posò lo sguardo su di me, poi di nuovo su di lui. Alla fine si decise.
«Lui chi sarebbe?» chiese con un tono accusatorio.
«Mamma... lui è Lucius Bell... è un mio compagno...» cominciai.
«Buongiorno signora, piacere di conoscerla, io sono il ragazzo di Anastasia. Il mio nome è Lucius» mormorò con aria cortese ed educata, aggiungendo charm alla sua performance con un lieve sorriso.
Aveva detto che era... il mio ragazzo!
Vidi mia madre sgranare gli occhi davanti alla bellezza e alla gentilezza del... mio... ragazzo!
Oddio! Quanto mi piaceva dirlo, anche solo mentalmente!
Lucius l’aveva detto in maniera schietta e naturale, come se me lo fossi aggiudicata per sempre. Inoltre aveva reso la cosa ancora più forte pronunciando il mio nome per intero.
«Piacere di conoscerti, giovanotto. Mia figlia non mi aveva detto che si era impegnata con un giovane così aitante e di buone maniere» sorrise mia madre, ammirando l’altezza di Yuki – sama e beandosi del suo fascino disarmante.
«Non ci siamo sentite molto ultimamente, mamma» dissi io.
«Vero. Ma ditemi ragazzi... non starete trascurando lo studio, vero? Ascoltami bene... Lucius, giusto? Mia figlia è qui grazie alle sue sole forze, e non voglio che si distragga» puntualizzò mia madre.
«Mamma... guarda che Lucius è il genio della scuola!» rivelai, fiera per una volta che lo fosse.
«Cosa?» chiese sbigottita.
«Ha i voti più alti, è un genio in tutti i campi, è bravissimo negli sport, commenta ricerche scientifiche, dà una mano in laboratori rinomati, ed è perfino un eccellente musicista. Inoltre mi protegge... direi... direi che devi approvarlo per forza!» dichiarai con determinazione.
Lucius trattenne un sorriso, e mia madre ammutolì.
«Se è così che la metti... non posso che approvare» sorrise.
«Inoltre è lui che mi ha salvata ieri. Se non fosse stato per Lucius a quest’ora avrei una febbre di cavallo» rivelai.
«Oh... ma che ragazzo premuroso! Allora vi auguro di essere felici» mia madre porse la sua piccola mano a Lucius.
«Proteggerò sua figlia e la custodirò come un tesoro prezioso. Grazie» mormorò il mio ragazzo (ancora non riuscivo a credere di poterlo dire!) prendendo la mano della mamma tra le sue.
Una volta che lei se ne fu andata – soddisfatta e fiera della mia scelta aggiungerei -
io e Lucius ci recammo in classe.
Prima di entrare, poco lontano dalla porta lo presi per la manica.
«Giurami che non farai niente» mormorai con bisogno nella voce.
Lui annuì: «Mi costerà davvero tanto, ma non farò nulla. Lo giuro sui miei meravigliosi  e irresistibili capelli biondo scuro» ironizzò.
Alzai gli occhi al cielo.
Lui sorrise ammiccante e si piegò per raggiungere il mio orecchio.
«Come mai hai alzato gli occhi al cielo? Non li trovi irresistibili forse?» chiese.
«Ma certo! Sono davvero... dei normalissimi capelli!» esclamai, cercando di irritarlo.
Lui rimase sbigottito e divertito mentre lo superavo impettita e ridente.
Mi raggiunse con due sole delle sue falcate.
Mi bloccò contro il muro, imprigionandomi a destra e a sinistra con le mani tese.
Abbassò il capo fino a portarlo allo stesso livello del mio.
Io ridevo di gusto, e lui era... bellissimo.
«Non ho capito bene poco fa, miss Green. Quando il prof di inglese arriverà chiederò anche a lui se è d’accordo con me riguardo ai capelli» disse.
Io risi ancora più forte.
«Sono solo capelli» ribadii divertita.
«I don’t think so, miss Green» mormorò in un perfetto inglese.
«Ah no?» lo sfidai.
«Ania…» i suoi occhi nei miei «... suki desu» mormorò sensuale.
Solo allora ricordai di averlo già sentito pronunciare quella frase giapponese.
Me l’aveva sussurrata mentre era alla lavagna e io aveva tentato di guadagnare tempo chiedendo al prof un esercizio.
«Anche ieri l’hai detto... che cosa vuol dire?» chiesi.
«Può essere tradotto in vari modi... ma di sicuro è un modo efficace per dire ad una persona che lei è importante per te, che ti piace, che la ami» spiegò «ma in realtà è solo un metodo… veloce» confessò.
«Veloce?» ero perplessa.
«In giapponese, se ami una donna, la rispetti, e la veneri come se fosse la cosa più importante per te... allora devi dirle aishiter’u» mormorò. Si avvicinò al mio orecchio «Aishiter’u… Ania» sussurrò.
«Non prometto di dirlo correttamente ma ci provo anche io... aishiter’u Yuki – sama».
Ci baciammo.
Un bacio di fuoco nel corridoio deserto, un bacio che mi pervase come se le labbra di Lucius potessero accarezzare il mio cuore. Lui mi tenne la testa con una mano dietro la nuca e l’altra al centro della mia schiena.
Io mi aggrappai ai suoi capelli color bronzo accarezzandoli e tirandoli con le dita.
Sì, avrei potuto continuare all’infinito.
 
*******
 
 
 
 
«Ehi Ania... hai un minuto?» chiese Mayu dopo le lezioni.
Guardai Lucius.
«Ti aspetto fuori» mormorò serio, lo sguardo di chi non vorrebbe allontanarsi troppo.
Mayu seguì Yuki – sama con lo sguardo, e quando fu abbastanza lontano...
«Oh mio dio Ania! Perché non me l’hai detto subito? State insieme!!!!! Voi – state –insieme! Ed io non lo sapevo!» esclamò.
Arrossii.
«Mayu... io...» ero imbarazzata.
«Ania, ma cosa hai fatto? Io ho sempre ammirato Yuki – sama, ma... beh lui ha fama di essere un donnaiolo con i fiocchi! Tu sei mia amica, non voglio che tu soffra» disse piano abbassando lo sguardo.
«Lo so, Mayu. Ma andrà tutto bene» quello che lega me e Lucius è più grande di una semplice scappatella. Aggiunsi mentalmente.
«Ania sono preoccupata. Sul serio! Jane e Nick sembrano davvero intenzionati a tormentarti finché non deciderai di lasciar perdere Lucius. Ti prego... prima che tu possa legarti troppo a lui... lascialo andare. Lui... lui... non è fatto per stare con una brava ragazza come te» il suo tono era pacato e cortese, i suoi occhi sinceri e amichevoli, ma le sue parole per me erano vuote.
«Grazie Mayu. È davvero bello sapere che ti preoccupi per me, ma il tuo caro Yuki – sama ha bisogno di me. Io lo amo Mayu. Non posso tornare indietro» mormorai.
«Ma Ania... ti ferirà!».
«E sia» risposi.
L’abbracciai. Poi tornai da Lucius.
Se c’era una cosa che mi feriva era stare lontana da lui.
 
«Cosa voleva Mayu?» chiese prendendomi per mano e incamminandosi verso l’atrio. Ultimamente ci spostavamo sempre così, attaccati, uniti, legati, come se il nostro corpo dovesse essere sicuro di avere la sua parte mancante il più vicino possibile.
Avevo sempre immaginato che sarebbe stato un modo stupido di dichiarare il possesso dell’altra persona al mondo, ma il tenersi per mano invece si rivelò una cosa molto più profonda della generica diceria “marcare il proprio territorio”.
Era solo un modo per non perdersi. Era uno splendido legame tra la mia pelle e la sua pelle.
«Era preoccupata per me» confessai.
«Preoccupata?» alzò un sopracciglio «Stai con me! Tu sei la ragazza del demone, del bullo, del bastardo...».
«Del pieno di sé, dello stronzo, del ragazzo terrificante e maledettamente sexy, sì, lo so» conclusi.
Sorrise.
«Insomma, cosa mai potrebbe succederti stando con un guerriero come me!?».
«Ciò che la preoccupa è proprio questo: sto con te. Ha paura che tu... mi spezzerai il cuore» dissi piccata.
«Di tutte le buone ragioni che poteva tirar fuori, proprio questa? Insomma, potresti essere rapita, torturata, violentata, ricattata, ferita, incastrata in chissà quale losco affare... e lei si preoccupa... della mia parte di puttaniere? Pazzesco!» sorrise amaro.
Mi aggrappai al suo braccio con la mano libera.
«Io non sono preoccupata» mormorai «e tu?».
«Oh Ania... lo sono fin nel midollo» disse.
Socchiusi gli occhi e sospirai.
La nostra relazione era stata stravolta da un avvenimento dietro l’altro.
Ogni nuova situazione mi aveva mostrato un nuovo Lucius e una nuova me stessa.
Ripensando al passato e rivedendo Lucius con gli occhi di chi ormai lo conosceva bene, si ci poteva accorgere di come già mesi fa sembrasse arrabbiato, distrutto, solo e disperato.
Era violento, scontroso, furioso, irritabile, solo, era un donnaiolo senza speranza, era un misogino senza alcuna riserva, e usava le donne come sua madre aveva usato lui, vedeva le donne come fotocopie dell’impotenza e dell’imprudenza di sua madre.
Poi si era trasformato.
Era diventato ironico, brillante, amichevole, divertente, sensuale... combattuto tra l’idea di farmi entrare e quella di lasciarmi fuori dalla sua vita incasinata.
Poi avevo scoperto quanto potesse essere dolce, protettivo, attraente, romantico, disperatamente bisognoso di amore.
Lucius era stato un’esperienza a strati.
Ogni gusto era stato favoloso e inaspettato, all’insegna del mistero e della sorpresa, del dolore e dell’amore.
Ora che stavo gustando il cuore però, non potevo far altro che custodire gelosamente i tasselli che lo avevano condotto da me.
Ogni Lucius sarebbe sempre stato il mio Lucius.
Sempre.
«Ehi Lucius» sentimmo dietro di noi.
Ci voltammo all’unisono e ci trovammo davanti un ragazzo mingherlino.
Lo riconobbi subito: era il giovanotto che Yuki - sama aveva salvato da Nick e la sua banda il primo giorno di scuola, era il ragazzino che aveva chiamato il preside durante la rissa che aveva quasi ucciso il mio folle, violento, protettivo ragazzo.
Aveva chiamato Lucius con indecisione ma si era avvicinato con movenze pacate e gentili.
Si sistemò gli occhiali e si grattò la nuca facendo svolazzare i capelli castani.
«Oh... salve Luca» salutò educatamente Lucius.
«Scusami... forse vi ho disturbati...» disse Luca arrossendo un po’.
«No, tranquillo» rispondemmo all’unisono, scoppiando a ridere subito dopo.
«Dimmi pure Luca» Lucius sembrava a suo agio «ancora matematica?» chiese alzando le sopracciglia.
Il ragazzino annuì.
«Vieni andiamo a mensa» lo invitò il biondo.
Trovammo un tavolo vuoto.
Lucius mi lasciò in compagnia di Luca e andò a prendere i nostri vassoi.
«Allora Luca... tu e Lucius siete amici?» chiesi per rompere il ghiaccio.
«Oh mi piacerebbe, ma io non so battermi e ho una fifa matta di Nick. Perciò non posso considerarmi un suo amico. Se lo fossi sul serio dovrei battermi con lui, guardargli le spalle, ma... io sono qui grazie ad una borsa di studio e se non mi faccio gli affari miei finirà molto male» spiegò mesto. Si vergognava ma lo ammetteva con sincerità disarmante.
«Capisco. Però puoi sempre stargli vicino, non ti pare?» proposi in tono gentile.
Lui annuì.
Lucius tornò con i vassoi, poi si dedicò a Nick.
Il ragazzo aveva problemi con i polinomi, ma Lucius con aria annoiata e un po’ ironica gli spiegò in maniera facile alcune regole base da tenere a mente.
«Il segreto comunque è esercitarsi... perciò prova a fare gli esercizi e se non ne capisci qualcuno vieni da me» consigliò Lucius.
Luca ringraziò e gli strinse la mano, poi mi salutò con un cenno e si dileguò.
«Sei davvero un ottimo insegnante» mi congratulai.
«Già» rispose imperscrutabile.
«Lucius... è vero che non hai frequentato le medie?» chiesi, ricordando una conversazione barra pettegolezzo con Mayu nei primi giorni di scuola.
Lui si irrigidì.
«Ehm... sì è vero» mormorò cupo.
Non volevo forzarlo perciò stetti in silenzio. Se voleva parlarmene doveva farlo liberamente.
Come sempre.
«In orfanotrofio... se non studiavo sodo e con costanza... mi picchiavano. Però dovevo anche pulire, riordinare, cucinare, spalare la neve, raccogliere le foglie, trasportare in soffitta i pesanti pacchi che arrivavano e tante altre cose... così ogni tanto non riuscivo ad imparare tutto e bene. Più crescevo però, più riuscivo ad organizzarmi e presto dovettero inventare altre scusanti per punirmi.
Negli ultimi due anni passati lì arrivò un’insegnate proprio brava... ci spiegava le cose e ce le faceva ripetere finché non le memorizzavamo. Peccato che fosse una depravata» pausa.
Aveva detto qualcosa in proposito nei giorni precedenti, ma ci era passato sopra come se stesse parlando del tempo.
Trasalii. Allora non avevo capito male! Era successo davvero!
Maledizione.
«Quando mia madre venne a prendermi avevo già studiato da solo buona parte del programma delle medie. Rimanevo sveglio la notte, svolgevo esercizi ossessivamente finché non risultavano corretti e imparavo a memoria più nozioni che potevo di geografia, storia, scienze, astronomia e inglese. Mi aiutava. Meno dormivo, meno pensavo, meno incubi avevo.  In più nessuno poteva rimproverarmi... almeno per lo studio» spiegò.
Nessuno sapeva queste cose.
Lui le stava raccontando per la prima volta a qualcuno.
«Quando arrivammo in Inghilterra frequentai la scuola per soli due mesi, ma mi annoiavo terribilmente. Inoltre ero stato preso di mira dai bulli della scuola.
In quel periodo Ephram venne a vivere con noi. Mi accompagnava, mi veniva a prendere. Mia madre non c’era quasi mai, così una volta rimasti soli...» si bloccò.
«Lucius...» cosa voleva dire? Mi picchiava? O altro?
Sospirò sonoramente esausto, e chiuse gli occhi.
«Scusa... non mi va di parlarne» mormorò cupo.
Annuii preoccupata.
Era lì il nocciolo della questione tra lui e il fratellastro.
Cosa accadeva a Lucius? Cosa subiva?
Rabbrividii pensando alle molteplici e macabre possibilità.
Gli presi la mano.
«Va bene così. Grazie» sorrisi.
Lui si alzò scostando delicatamente la mia mano.
«Dammi cinque minuti, ok? Arrivo subito» sussurrò.
Lasciò la mensa.
Sospirai.
«Lasciati salvare Lucius» sussurrai tra me e me.
Mi alzai.
In quel momento passò Jane.
«Oggi sei sola scarafaggio? Si è già stancato di te?» chiese ghignando.
«Non credo siano affari tuoi» sibilai arrabbiata.
«Mm... io invece credo di sì. Una volta che si sarà stancato di farti da balia, allora tornerà da me. Ciò che gli importa è il sesso. E credi di essere migliore di me?» chiese pungente.
Beh, io ero vergine. Quel metro di paragone non poteva essere fatto.
Il mio silenzio probabilmente le suggerì la verità.
«Non dirmi che non l’avete fatto?» chiese ridendo sguaiatamente «Allora non hai speranze».
«Oh beh, non accetto di essere giudicata da una che non ricorda neanche il numero dei ragazzi a cui l’ha data. Però hai ragione, l’esperta in quel settore sei tu» risposi con voce affettata «buona giornata meretrice, se non sai che vuol dire trovalo sul dizionario» salutai, e mi dileguai seguendo la scia di Lucius.
Lo trovai appena fuori dalla mensa.
Si era lasciato cadere a terra e aveva messo la schiena contro il muro.
Non passava nessuno, il corridoio era deserto.
«Lucius» gli andai incontro preoccupata.
Gli sfiorai il bracciò e lui espirò l’aria a singhiozzo dalle narici dilatate.
Aveva trattenuto un gemito.
«Ti senti male?» chiesi. L’urgenza nella mia voce fece spaventare anche me.
«Sto bene» mi tranquillizzò «sono solo un po’ indolenzito» spiegò.
Aveva gli occhi socchiusi, stanchi, e la pelle più pallida del solito.
Solo le guance erano arrossate.
«Hai ancora la febbre! Ti prego, andiamo in infermeria» lo supplicai.
Lui scosse il capo debolmente.
«Non posso» mormorò.
Posai la mia fronte sulla sua.
Scottava davvero tanto.
«Allora stai a sentire il mio piano: ti porto nel mio dormitorio, ti nascondo nella mia stanza, svaligio l’infermeria e torno da te. Che te ne pare?» chiesi.
«Tu non vai da nessuna parte da sola. Sono stato abbastanza chiaro?» chiese severo.
Era affannato.
«Oh senti tu! Non darmi ordini o ti faccio un occhio nero! So badare e me stessa, sai? Mi prenderò cura di te e se ti azzardi a contraddirmi di prendo a pugni... sul serio!» scoppiai.
I suoi “non puoi”, “non devi senza di me”, “è pericoloso”, eccetera, mi avevano seccato.
Un sorriso aleggiò sulle labbra secche e rosee.
«Non eri tu quella che non mi avrebbe mai fatto del male?» domandò ironico «Certo che stando a stretto contatto con me stai diventando proprio una donna violenta! Degna di me direi» scherzò.
«Coraggio, tirati su» ordinai, prendendogli il braccio buono e tirandolo un po’.
Come avevo potuto sottovalutare le sue condizioni? Sembrava stare bene e io mi ero fatta fregare dalle apparenze.
Lucius si appoggiò al muro.
«Come va?» chiesi «Ti gira la testa? Hai le vertigini?».
«Ti preoccupi troppo infermiera Green» mormorò.
«Appoggiati a me... razza di irresponsabile e totalmente folle scimmione» intimai.
«Mi offendi molto spesso ultimamente... si può sapere che ho fatto di male?» se aveva ancora la forza di scherzare...
«Coraggio muoviamoci. E non ti azzardare più a dirmi che sono una donna violenta! Io sono solo una scema che ti corre appresso evitandoti di ucciderti» sbottai.
Sorrise ancora.
«Allora menomale che ci sei!» rise amaro.
 
Quando arrivammo al dormitorio, Lucius crollò sul mio letto con un gemito.
«Maledizione» imprecò silenziosamente.
«Coraggio, togliti la giacca e sdraiati, io sarò di ritorno presto, lo prometto» dissi, coprendolo con il piumone fino alle spalle.
Lui inspirò il cuscino e poi aprì gli occhi.
«Resta» mormorò «non ho bisogno di quelle medicine... dormire mi farà bene, vedrai!» cercò di convincermi.
«Cosa ti ho appena detto? Non darmi ordini!» risposi fintamente stizzita.
«Non era un ordine, ma... una richiesta» confessò.
«No Lucius... è colpa mia se stai così male, ho trascurato la gravità delle ferite e ora devo rimediare» dissi risoluta.
«Non è colpa tua, sciocca ragazzina! Tu non mi hai conficcato un coltello nella carne solo perché sei un maniaco perverso e sadico. Tu non hai fatto nulla del genere! Non dire mai più una cosa del genere in mia presenza se non vuoi che cambi idea e che vada a cercarlo! Giuro su queste stesse mani che lo ammazzo» parlò con estrema lucidità e sincerità.
Rabbrividii.
«Ok. Ricevuto. Ora posso andare?» chiesi un po’ commossa.
«Ania...» sembrava davvero difficile per lui.
«Starò attenta, mi muoverò nell’ombra e nessuno saprà mai che sei qui. Te lo giuro su... sul prossimo compito di fisica in cui prenderò più di te!» esclamai.
«Continua a sognare piccola» rispose esausto.
Sospirò stancamente, affannato e dolorante.
Doveva stare proprio male.
Gli posai un bacio sulla fronte febbricitante e poi sgattaiolai via.
«Ania... sta’ attenta» lo sentii mormorare prima che crollasse.
Lucius, resisti! Pensai.
L’infermeria si trovava vicino all’atrio, nel secondo corridoio.
Feci attenzione, come avevo promesso a Lucius e cercai di essere invisibile.
Quando passai vicino all’atrio però, rimasi pietrificata.
L’auto di Ephram era parcheggiata proprio ai piedi delle scalinate dell’entrata.
Sbirciai prima di attraversare lo spiazzo e... lo trovai lì, fermo al centro di esso.
«Miseriaccia» alitai.
Parlava con la receptionist della scuola.
Sembrava affascinante e intelligente, visto da lontano, mentre parlava con quella donna.
Lei sorrideva civettuola. Lui invece aveva un sorriso sornione.
Cercai di ascoltare la conversazione, aiutata dal fatto che tutti gli studenti fossero ancora in mensa, e che quindi il silenzio regnasse sovrano.
«Allora... signor Magnus... che programmi ha per questo pomeriggio?» chiese la donna battendo le ciglia.
«Mm... vediamo... credo che andrò a trovare un mio vecchio compagno di giochi, e spero tanto che lui abbia voglia di giocare un po’ con me» ghignò ammiccante Ephram passandosi una mano tra i capelli biondi.
Cominciai a tremare.
«Oh» rise la sua interlocutrice «e che tipo di giochi intende fare?».
«Al momento il primo che ho in mente è il tiro a segno» rispose lui divertito.
Merda! Stava proprio parlando di Lucius.
«Dimmi Freya... c’è qualche nuovo pettegolezzo qui a scuola? Sai mi manca spesso l’atmosfera scolastica. Il caos, le bravate, le ragazze, il football, le risse... capisci?» Ephram cambiò subito argomento.
«Oh sì certo! Io ho la fortuna di lavorare qui, quindi spesso assisto a cose del genere... per esempio l’altro giorno una ragazza è stata presa di mira da un’altra e quest’ultima le ha gettato addosso un secchio d’acqua gelata!» scoppiarono a ridere all’unisono.
Che simpatici! Pensai irritata.
Poi me la diedi a gambe.
Non potei passare dall’infermeria, e tornai in camera.
Io e Lucius dovevamo fare qualcosa.
Lo trovai addormentato, ma il suo sonno era agitato, tormentato.
«Lucius... Lucius devi svegliarti!» lo chiamai.
«Ania!» mormorò sofferente. Stava male, lo si capiva.
«Ho visto Ephram...».
Lui non mi diede il tempo di terminare, fece per alzarsi, ma perse l’equilibrio e ricadde sul letto con un gemito.
«Calmati!» intimai «Non mi ha vista! Però ha detto che sarebbe andato a trovare un suo vecchio compagno di giochi, per giocare insieme... era davvero terrificante!» spiegai rabbrividendo.
«Quel bastardo! Perché non mi ammazza una volta per tutte invece di torturarmi!?» mormorò esasperato e arrabbiato.
«Non dire stupidaggini!» lo ammonii rabbrividendo di nuovo «lo sai anche tu che può farlo! E sai anche che non devi mai, in nessun caso, permetterglielo!» gli feci notare un po’ ansiosa.
«Arriva al punto Ania!» disse fermo.
«Adesso c’è tua madre in quell’appartamento. Ed è sola!» esclamai.
Lui alzò lo sguardo. I suoi occhi erano diventati più freddi.
«Porca miseria!» imprecò, si passò una mano sugli occhi arrossati dalla febbre.
«Andiamo»ordinò.
 
Il cuore mi batteva forte mentre correvamo mano nella mano verso casa.
Un presentimento mi batteva sul cuore come per sfondarlo, e la paura di finire in pezzi tornò a perseguitarmi.
Eravamo usciti di nascosto senza passare dall’atrio ma solo quando arrivammo a destinazione ci accorgemmo di essere arrivati tardi.
L’auto di Ephram era parcheggiata sotto l’appartamento.
«Merda! Lui è qui» mormorò Lucius.
Ci precipitammo su per le scale, poi entrammo in casa.
Dapprima regnò il silenzio, poi una voce sommessa e disperata proveniente dalla camera da letto attirò la nostra attenzione.
Lucius corse nella stanza e io lo seguii.
Rimasi scioccata.
Yuri era a terra, sanguinate e singhiozzava silenziosamente soffocata da un bavaglio che le tappava la bocca.
Ephram incombeva su di lei e con un pugnale già insanguinato era pronto a darle il colpo di grazia.
«Ephram!» la voce di Lucius suonò ferma e fredda. Era devastante il modo in cui tentava di mantenere la calma.
Sapevo che se c’era una persona al mondo in grado di turbarlo malgrado tutto il male e i traimi subiti fossero indicibili... quella persona era proprio uno dei  suoi aguzzini: Ephram.
Eppure Lucius lo stava fronteggiando senza remore.
Intanto l’altro aveva abbassato l’arma, e si era voltato ghignando verso il fratello minore.
«Yuki! Sei sempre stato uno dal tempismo perfetto. Stavo per far fuori il motivo del tuo tormento e tu arrivi e salvi questa maledetta sgualdrina dalla fine che si merita.
Yuki... Yuki... sei proprio uno stupido sentimentalista!» rise.
«E tu sei proprio un vigliacco bastardo! Sembra che sia diventata una tua prerogativa prendertela con le donne indifese» rispose Lucius con tono fermo e sicuro.
«Oh... già l’avevo dimenticato!» parlò l’altro con falso dispiacere. Poi si rivolse a me: «Anastasia non temere! Prima o poi riusciremo a finire ciò che abbiamo iniziato!» ghignò.
Rabbrividii e strinsi ancora di più la mano di Lucius.
Lui ricambiò la stretta e mi portò dietro di sé, al sicuro oltre la sua schiena asciutta.
«Ephram... te lo chiederò con le buone maniere: vattene e non farti più vedere. Yuri ha chiuso con voi, quindi io ho chiuso con te. Non sono più la tua bambola di pezza» dichiarò. Non l’avevo mai visto così sicuro, fiero e deciso.
«Tu non potrai mai chiudere con me. Tu sei mio! Tu porti i miei segni sul tuo corpo, e lo sai... io possiederò sempre una parte di te. Io sono sempre con te. Ti tormenterò finché non porrò fine alla tua  vita inutile. Tu sei mio» sentenziò Ephram. I suoi occhi non nascondevano più l’oscurità della sua anima e la lasciavano filtrare come la luce attraverso un vetro. Il possesso, il sadismo, la crudeltà, l’ossessione, la pazzia trasparirono dai suoi occhi color ghiaccio, facendomi rabbrividire.
Che cosa aveva potuto fare un soggetto del genere ad un bambino indifeso?
«Tu sei solo un pazzo» proruppe Lucius tra i denti con disgusto.
«Sei tu il pazzo se credi che me ne andrò senza prima aver chiuso il nostro piccolo conto in sospeso» ghignò.
«L’atra volta è stata l’ultima. Adesso basta. Basta così» mormorò Yuki – sama.
«Basta lo dico io» disse l’altro avvicinandosi.
Sentii Lucius irrigidirsi.
Ephram avanzò e lanciò un fendente con la mano armata, ma Lucius gli prese il polso, fermandolo.
Gli girò il braccio ed Ephram lasciò cadere il coltello, poi però afferrò il bicipite ferito di Lucius.
Quest’ultimo urlò di dolore, ma si gettò addosso all’altro facendolo cadere al tappeto.
Gli assestò un potente pugno in pieno viso, e poi un altro e un altro ancora.
A quel punto Ephram lo spinse con tutte le sue forze, ribaltando la situazione.
Lucius non si diede per vinto.
Continuò a intralciare i movimenti dell’altro che non perdeva occasione per contrattaccare o per imprigionarlo a sua volta.
Mi feci coraggio e corsi da Yuri.
Le ferite erano superficiali, dei graffi appena accennati.
Probabilmente aveva cercato di lottare salvandosi da morte certa.
La liberai dal bavaglio e poi la sostenni.
Era terrorizzata, tremava come una foglia e non riusciva a smettere di piangere.
«Forza Yuri! Lucius è qui per proteggerti, fai almeno lo sforzo di uscire da qui!» cercai di spronarla.
Lei annuì tremando, e poi si appoggiò a me. Sembrava stare bene.
«Ania! Portala via da qui! Portala a scuola! » urlò Lucius. Adesso stava tenendo Ephram per il collo.
«Lucius... io non ti lascio qui!» protestai in preda al panico.
«Vai!» urlò. La sua espressione e la sua voce non ammettevano repliche.
Mi sentii le ginocchia pesanti e il respiro si fece frenetico.
«Coraggio cara. Facciamo come dice. Mio figlio sa quello che sta facendo» mormorò Yuri.
Le scoccai un’occhiata.
«Ah sì? Ne sei certa? Tu per caso eri con lui mentre veniva torturato da quel bastardo?» chiesi furiosa con lei.
Yuri abbassò lo sguardo.
La sospinsi verso la porta.
Poi andai al piano di sotto.
La signora Lockwood aprì la porta dopo pochi secondi.
«Buongiorno signora Lockwood... scusi tanto il disturbo. Io sono un’amica di Lucius e lui ha bisogno che lei gli faccia un favore. Può nascondere questa donna finché non vengo a riprenderla? La prego, è per Lucius!» dissi con una certa urgenza nella voce.
La donna ci studiò, e poi, capendo l’urgenza della situazione, sorrise e annuì.
«Certo cara. State attenti» raccomandò.
Corsi di sopra.
La camera da letto era diventata un terreno di guerra.
Mi affacciai cauta, sperando che Lucius l’avesse già tramortito in qualche modo.
In realtà il loro combattimento era diventato una danza.
La velocità dei movimenti era disarmante, e la potenza dei colpi era precisa e letale, ma mai efficace. I due contendenti schivavano e attaccavano a ritmo, ma nessuno dei due era in grado di portare a segno un colpo.
Stavano facendo sul serio.
Guardai Lucius.
Era debole per via della febbre, aveva il braccio ferito e dolorante, ma nonostante tutto stava tenendo testa ad Ephram ed ai suoi muscoli gonfi.
Ad un tratto il più grande dei due diede un forte calcio ai piedi dell’altro.
Lucius cadde a terra sul braccio ferito.
Gemette, e tentò di rimettersi in piedi, ma Ephram lo colpì al petto.
Lo prese letteralmente a calci.
Lucius era stremato e non riusciva più ad opporsi alla furia distruttiva di Ephram.
I colpi di quest’ultimo non gli davano respiro e diventavano sempre più forti.
«Non avresti dovuto sfidarmi fratellino, sai bene che vinco sempre io» mormorò con uno sguardo da pazzo, infliggendo a Yuki altri colpi crudeli e forti.
Lucius tossì sangue.
«Hai anche le febbre e sei ferito, credevi davvero che sarebbe stato così facile? Mi rendi solo più comodo il lavoro» sogghignò l’aguzzino, rinforzando i suoi colpi per quanto possibile.
Sentii un rumore macabro e scricchiolante e subito dopo Lucius cominciò ad ansimare. Le sue costole...
Non so come feci, ma andai in cucina e presi una padella.
Ephram era di spalle, non se ne sarebbe nemmeno accorto.
Mi avvicinai coraggiosamente, decisa a tramortirlo.
L’adrenalina mi regalò nuova energia. Mi sentivo Super Woman!
Lo colpii con tutte le mie forze alla nuca.
Il tonfo sordo mi sorprese, come la reazione della mia vittima.
Forse non avevo colpito abbastanza forte.
«Brutta sgualdrina schifosa!» mi urlò addosso, portandosi una mano alla nuca dove si stava già formando un livido.
«Smettila!» gli urlai contro a mia volta «Gli stai facendo male!» la mia voce sembrava così arrabbiata e disperata che mi stupii.
«Davvero? Questo è niente in confronto a quello che gli farò adesso!» minacciò.
Recuperò il coltello dal pavimento.
«No!» urlai «Non farlo!» lo supplicai aggrappandomi al suo braccio.
Lui mi scrollò di dosso, recuperò anche la padella e mi colpì alla spalla facendomi cadere.
A quel punto si diresse verso Lucius. Yuki – sama era immobile, tremava e probabilmente aveva qualche costola rotta.
I suoi occhi erano socchiusi e stavano perdendo la loro luce. Stava per svenire e in quelle condizioni non avrebbe potuto difendersi.
Mi stupii di me stessa quando mi accorsi che la voglia di salvare il mio ragazzo era diventata più forte della mia stessa paura.
L’attacco di panico che avrebbe dovuto attanagliarmi, non si presentò nemmeno e al suo posto  trovai soltanto quella inquietante sensazione di sicurezza e sangue freddo.
Mi allontanai velocemente dai ragazzi, e poi chiamai la polizia.
La famiglia di Lucius poteva aver insinuato le sue radici negli ospedali, nella scuola, nella finanza... ma un tentato omicidio con testimone non poteva essere lasciato al caso. Un ragazzo era stato torturato e picchiato a sangue da uno psicopatico sadico e perverso davanti ai miei occhi.
«Come posso aiutarla?» rispose una voce all’altro capo del telefono.
«Mi trovo in un appartamento vicino alla scuola privata Orpheus. Zona residenziale. Vi prego fate in fretta il mio ragazzo sta molto male e il suo aguzzino è ancora qui» dissi con una voce così fredda che mi feci paura da sola.
«Capisco, non si preoccupi, insieme alla pattuglia arriverà anche un’ambulanza» m’informò l’uomo.
«La ringrazio. Vi prego, fate in fretta!».
Riportai lo sguardo sui due contendenti.
Ephram aveva già tagliato via la camicia di Lucius il cui petto era ricoperto di graffi e lividi scurissimi e gonfi. Ansimava in maniera straziante in preda alla febbre alta e all’atroce dolore al costato martoriato.
Quando Ephram affondò il coltello nelle carni di Lucius, per la seconda volta davanti ai miei occhi spiritati, le sirene squarciarono quel macabro silenzio fatto di sofferenza.
Mi alzai per aprire la porta ai soccorsi.
Lucius... guardami. Pensai. Ti sto salvando. 

------------------------------------------------------- ANGOLO DELL'AUTRICE ----------------------------------------------------------------------

Salve donzelle. come promesso ecco un nuovo capitolo sfornato dalla vostre pseudoscrittrice.
allora sono proprio curiosa di sapere che pensate ... quindi commentate numerose!!!!!!
ehm nn aggiungo altro vista la gravità della SITUAZIONE, perciò visaluto.
alla prossima spero presto.
baci
dalla vostra
Fiore
<3


 

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Capitolo 19
*** Speranza ***


Capitolo 19
 
 
Speranza
 
 
 
L’ambulanza sfrecciava per le vie della città a sirene spiegate.
Tre persone in uniforme avevano messo Lucius sulla barella e lo avevano portato sulla vettura.
Ephram era stato arrestato dai poliziotti, ammanettato e portato via.
Aveva ghignato per tutto il tempo guardando nella mia direzione, e passandomi vicino aveva sussurrato: «Stupida ragazzina».
Quel bastardo aveva il diritto di rimanere in silenzio. Se avesse detto qualcosa, qualsiasi cosa, essa gli si sarebbe potuta ritorcere contro.
Lui aveva diritti. Lui, che aveva tormentato un ragazzino già condannato dalla vita per anni, facendogli chissà cosa e torturandolo fino a renderlo simile ad un demone.
“I miei segni sono sul tuo corpo. Tu sei mio” aveva detto a Lucius.
L’immagine del mio Yuki – sama riverso a terra in preda al dolore per i colpi forti e inesorabili del re dei bastardi mi ritornò in mente.
Lucius soffriva, era evidente, ma la luce che brillava fievolmente nei suoi occhi portava la terrificante consapevolezza che il suo essersi abituato a quelle punizioni
e a quel dolore fosse diventato assuefazione e rassegnazione.
Una lacrima mi rigò il volto mentre gli tenevo la mano fredda e affusolata.
Yuri mi diede una carezza sulla spalla.
«Fatti coraggio, lui è forte» mormorò ancora scossa ma totalmente consapevole della situazione.
Non risposi. Non ne avevo la forza.
«Il battito è debole» annunciò un’infermiera. Trasalii stringendo la presa sulla mano di Yuki.
«Ha le costole spezzate, ferite di media profondità sul petto, e lividi preoccupanti» aggiunse un uomo che tastava con delicatezza ma precisione il petto martoriato di Lucius.
«Dobbiamo sbrigarci... le ossa rotte potrebbero aver causato un’emorragia interna» concluse un terzo collaboratore.
«Lucius... resisti. Ti prego resta con me!» sussurrai disperata. Stavo andando in pezzi.
Ultimamente gli attacchi di panico erano stati sventati o prevenuti da Yuki – sama... ma ora era lui ad aver bisogno di me.
«Coraggio tesoro» singhiozzò silenziosamente Yuri. Era davvero in pena.
«Signora... mi servono i dati del ragazzo» chiese l’infermiera.
Yuri annuì «Lucius Yuki Bell, nato l’otto dicembre del 1994. Gruppo sanguigno AB. È allergico alle noccioline e ai frutti di mare... io... non merito un figlio così...» Yuri scoppiò in lacrime. L’infermiera le diede una pacca gentile sulla spalla.
«La ringrazio signora. Va bene così» sorrise comprensiva e un po’ commossa.
Lucius era stato attaccato ad un respiratore e le sue braccia erano intricate in mezzo a fili lunghi collegati chissà dove.
Ero così scossa che non mi accorsi nemmeno di essere arrivata in ospedale.
Quando lo trascinarono via da me, le mie mani rimasero vuote.
«Non preoccuparti cara» mi disse l’infermiera «sei stata brava e grazie al tuo intervento sono certa che sopravvivrà» tentò di tranquillizzarmi.
Annuii, ma non riuscii a trattenere le lacrime.
Seguii la barella fino ad un lungo e tetro corridoio.
I medici si accalcarono attorno al lettino, cominciando a scambiarsi informazioni e consigli sul da farsi.
Parole come “emorragia interna”, “valori troppo bassi”, “coma”, “organi interni perforati” e altro mi trafissero come lame.
Portai le braccia attorno al petto e mi raggomitolai su una sedia.
Dovevano operarlo.
Cominciai ad ansimare, a sentirmi pesante, a sentirmi sprofondare.
«Lucius... resta con me» ripetei tra le lacrime di disperazione.
Lo immaginai mentre mi veniva vicino e mi stringeva a sé ordinandomi di respirare.
Ma lui non c’era.
Sembrava che tutto potesse ferirmi in quel momento.
Non avevo più il mio scudo, il mio compagno, il mio amico, il mio ragazzo, il mio amore, il mio cavaliere, il mio cuore.
Lucius stava lottando tra la vita e la morte a causa di Ephram.
Il mio odio sembrava scorrere nelle vene accanto al dolore.
Ero avvelenata da quei sentimenti e non sapevo come uscirne.
Annaspai.
Non sentii nemmeno Yuri sedersi accanto a me.
«L’infermiera ha detto che l’operazione sarà piuttosto difficile ma che durerà per un paio d’ore al massimo. Se ce la farà allora avremo buone possibilità di salvarlo» m’informò.
Appena si accorse che stavo ansimando mi cinse le spalle.
«Coraggio tesoro. Andrà bene. Lui pesterà a sangue persino l’angelo della morte pur di ritornare da te. Sai, non l’ho mai visto così... così... disperatamente innamorato. Il modo in cui si muoveva per proteggerti da Ephram, il modo in cui ti guarda, ti segue, ti tocca, ti protegge... tu sei davvero importante per lui. Direi... essenziale» disse accarezzandomi la schiena.
Tremavo.
«Lui è l’unica persona che mi abbia mai  visto dentro. Nonostante tutta la rabbia e tutto il dolore che aveva è stato in grado di creare un vero legame con me. Io... non so se riuscirei a vivere senza di lui!» mormorai tra le lacrime.
«Lo so, cara. Lo so» annuì.
«Perché hai chiesto altri soldi pur sapendo che Ephram gli avrebbe fatto del male? Perché hai permesso che gli facessero quelle cose? Perché lo hai abbandonato? Perché? Perché sei rimasta sempre a guardare mentre Ephram lo torturava e non hai fatto niente? Ma come fai?» sbottai arrabbiata, rendendo concrete le parole che avevo dentro e che avevo sempre temuto di rivolgerle.
Lei sorrise amara.
«Sai... Lucius si è sempre accontentato della versione degli altri, e per quanto non cambi molto... non ha mai voluto ascoltare la mia» disse mestamente.
«Beh, spiegala a me, Yuri. Spiegamela, ho due ore di tempo e ho bisogno di distrarmi» mormorai.
Lei giocherellò con le mani, poi cominciò a raccontare.
«Diciannove anni fa, quando avevo sedici anni, la mia vita cambiò radicalmente.
I miei genitori morirono in un incidente d’auto ed io andai a vivere con mia nonna materna. La scuola non mi era mai interessata poi tanto, così  mi dedicai al mondo della moda. Facevo lavoretti miseri come truccare modelle, rattoppare stoffe da sfilata, pubblicizzare gli eventi... in Giappone quel mondo è palpabile, concreto, eppure così brillante e magico! Quelle bellissime donne sembravano trasformarsi e diventare tutte principesse, vamp, bambole, fate. Anche io volevo essere così, così un giorno chiesi allo stilista per cui lavoravo cosa ne pensasse di me» i suoi occhi erano luminosi e saturi di quei memorabili ricordi. Parlava della moda - cosa da me molto lontana a causa delle mie scelte di vita e delle vicissitudini che mi avevano assorbita - come qualcosa di meraviglioso, come una forma d’arte tra le più nobili.
La guardai. Lei era davvero molto bella. D'altronde Lucius le assomigliava moltissimo.
Gli occhi dal taglio sottile, le labbra piene al punto giusto e rosee, gli zigomi nobili... erano fattezze particolari e bellissime.
«Sembrò illuminarsi» continuò «era come se mi vedesse per la prima volta. Mi sembrava un sogno, e la prima sfilata fu una delle emozioni più grandi della mia vita. Fu allora che conobbi Charles Magnus, capo supremo di una catena di industrie e società mondiali. Ha sempre blaterato tanto sul suo lavoro, ma non ho mai ben capito cosa facesse realmente nella vita!» rise amara «Mi venne a trovare dietro le quinte, congratulandosi per “la mia radiosa e assolutamente preziosa bellezza” disse. Io rimasi ammaliata. Era alto, spalle larghe, fianchi stretti, braccia forti, profumo inebriante... il tipo d’uomo con cui vorresti avere una storia eterna. Il suo viso era il mio paradiso. Perfetto, luminoso, dallo sguardo peccaminoso. Gli occhi grigi a volte si scurivano fino a diventare malva. I capelli biondissimi erano ondulati, setosi...
Me ne innamorai perdutamente. Sentivo di dovergli stare accanto» fece una pausa.
Nei suoi occhi potevo vedere la bellezza e il fascino dell’uomo descritto, e mio malgrado, potevo capire ciò che aveva provato.
«Cominciammo a frequentarci. Lui diceva di essere libero, di essere single e di volersi sistemare. Diceva di volermi sposare, diceva che mi avrebbe resa felice ed io gli prestai fede Ania. Accettai quindi di andare a letto con lui. Prima di ogni notte di passione lui mi dava da bere un drink, e dopo mi sentivo così felice che non mi preoccupavo neanche di chiedergli se avesse con sé dei preservativi. Stavo con lui, vivevo per lui, e piano piano mi accorsi che mi stava drogando. Ma a me non importava. Lo amavo, cosa c’era di male nel fatto che lui fosse più contento se io ero un po’ brilla? Niente, mi ripetevo. Passò un anno, io compii diciassette anni. Qualche mese dopo tutto andò a rotoli. L’agenzia di moda che mi aveva assunta non mi chiamò più, diceva che ero ingrassata troppo e che i vestiti non potevano essere indossati da me, che ero diventata enorme. Intanto Charles mi ricopriva di regali, e mi manteneva, rendendomi ogni giorno sempre più felice... finché una sera...» si bloccò.
«Hai messo al mondo un bambino senza sapere di essere incinta. Eri sempre fatta e non ti eri accorta delle condizioni del tuo corpo» conclusi io.
Lei annuì, le lacrime agli occhi.
«Era così piccolo! Ed io ero così... impreparata! Charles urlava di lasciarlo morire in un cassonetto dell’immondizia. Diceva che con quel freddo non sarebbe sopravvissuto! Inoltre era troppo piccolo, probabilmente prematuro! Continuò a blaterare cose del genere mentre io avevo bisogno di un medico perché avevo partorito tutta da sola mentre aspettavo che arrivasse a prendermi. Ormai la droga faceva parte di me e il dolore mi arrivava ad ondate incostanti e confuse. M’imposi.
Era nostro figlio, lui voleva sposarmi ed io ero troppo giovane e inesperta per occuparmi da sola di un neonato prematuro. Doveva prendersi le sue responsabilità» prese un profondo respiro guardandomi negli occhi.
«Fu allora che capii tutto. Mi rise in faccia dandomi dell’ingenua e mi strappò Lucius Yuki dalle braccia deboli. “Non vuoi avere la sua morte sulla coscienza? Posso anche capirlo. Allora lo porterò in un orfanotrofio. Lì crescerà sano, potrà essere adottato, nessuno saprà che è figlio mio, potrò continuare la mia vita di sempre e tu potrai ritornare ad essere una modella. Inoltre se te lo lasciassi morireste entrambi di fame” mi disse. Non potevo crederci. L’unica persona al mondo che amassi più di me stessa, mi aveva tradita in quel modo orribile! Nonostante tutto aveva ragione. Non potevo tenere Yuki. Così lo lasciai fare» raccontò mesta e con rimorso.
«Lo sai anche tu che cosa è successo poi, no? Sono caduta in depressione e per dieci anni ho provato a rifarmi una vita, ma la droga e il dolore erano diventati una costante della mia realtà. Non riuscivo a dimagrire, perciò la mia carriera di modella finì miseramente e inoltre m’indebitai talmente tanto che venni minacciata spesse volte.
La mia unica ancora di salvezza rimaneva quel bambino, bellissimo e forte che avrebbe potuto riscattarmi. In quegli anni non avevo mai pensato a lui come a una vittima, ma quando lo andai a prendere in orfanotrofio mi si spezzò il cuore. La direttrice mi disse che era di salute cagionevole e che soffriva di crisi asmatiche, che era molto intelligente ma che era diventato violento e per questo avevano dovuto punirlo. Quando lo portai a casa e vidi il suo corpo pieno di cicatrici e lividi, non potei far altro che sentirmi in colpa.
I suoi occhi inoltre, erano limpidi e sinceri e da essi traspariva il suo odio verso di me» singhiozzò sommessamente. Mi si strinse il cuore a pensare a Lucius. Non sapevo che da piccolo fosse stato di salute cagionevole, e questa cosa brutta si aggiungeva a tutte le altre cose crudeli e inaccettabili che gli si erano scagliate addosso.
«Cercai Charles e lo minacciai di raccontare tutto alla moglie, ai giornali, ai suoi clienti... lui mi offrì denaro sufficiente per mandare avanti una regione, ed io accettai. L’unica clausola era sopportare la presenza di un sorvegliante che si sincerasse per conto di Charles che non facessi pazzie. Ephram venne a vivere con noi dopo un mese. Si occupava di Lucius ed io...» si bloccò e abbassò lo sguardo «io pensavo... a me. Probabilmente le punizioni, le torture col coltello, e tutto il resto cominciarono sin da subito, ma io me ne accorsi solo quando, tornando a casa da una festa, trovai Yuki steso a terra, ansimante e sanguinante. Lo portai in ospedale ma Ephram mi fermò prima che potessi metterci piede con Lucius in braccio. Chiamò un medico, lo pagò profumatamente e fece curare Lucius a casa. Il mio bambino stava morendo, ed io ero furiosa con Ephram e con Charles. Chiesi altri soldi e pretesi che quando Lucius fosse stato in età da liceo avrebbe potuto iscriversi ad una buona scuola che gli permettesse di restare lontano da Ephram. Ma... ciò non servì... ora...» cominciò a piangere come una dannata.
«Sono stata crudele con il mio bambino! Sin dal primo istante non ho fatto che ferirlo avvelenandomi, e poi abbandonandolo, e poi non proteggendolo, e poi... e poi...» le diedi una pacca sulla spalla.
«Andrà tutto bene. L’hai detto anche tu. Lucius è forte. Tu non devi più tradirlo, devi usare il resto della tua vita per rimediare, credi di poterlo fare?» chiesi severa.
Yuri alzò la testa e mi fissò con gli occhi rossi.
«Lui è mio figlio, farei qualsiasi cosa per rimediare» singhiozzò e capii che diceva sul serio.
«Bene, allora ascoltami. Ho un piano».
 
 
 
*******
 
Dopo tre ore la porta bianca si aprì e ne uscì un’infermiera. Ci venne incontro con aria affannata e il mio cuore perse un battito.
Lucius…
«Infermiera!» l’aggredimmo all’unisono io e Yuri, disperate per il troppo tempo che avevano impiegato ad operarlo.
«Signore calmatevi» sbuffò stanca la donna «l’intervento è andato bene e non ci sono state complicanzioni» spiegò.
«Le sue condizioni?» soffiai in preda al panico.
«Le costole spezzate avevano perforato alcuni organi e l’emorragia era molto estesa. Ha perso molto sangue, troppo. Purtroppo questa mattina abbiamo avuto sei incidenti stradali e la scorta di sangue è finita, ma ne sta arrivando dell’altro. Tra un’ora sarà…» cominciò.
«Un’ora?» urlai isterica «Si rende conto che potrebbe morire?».
«I valori sono stabili, ce la farà» assicurò la donna.
«No! La prego, usi il mio. Sono zero positivo!» la pregai.
«Ma non ce n’è bisogno!» protestò l’infermiera spazientita.
«Io ho bisogno di sapere che sta bene, perciò prendete il mio sangue! Che vi costa? Ve lo sto offrendo spontaneamente e poi sono maggiorenne e in passato ho già donato il sangue» mentii.
«Signora lei è d’accordo?» chiese esasperata a Yuri. La madre di Lucius annuì.
Mi portò nella stanza dove Lucius riposava.
Il bip della macchina, i tubicini che lo avvolgevano come un nido, le bende insanguinate sul suo corpo straziato ma comunque perfetto…
Trasalii.
Il suo viso era sofferente, spento, pallido, smunto.
Sembrava così indifeso e debole che quando mi avvicinai al letto immacolato per prendergli la mano, utilizzai tutta la mia delicatezza perché avevo paura che potesse andare in pezzi.
Era stato coperto fino alla vita da un lenzuolo bianco, e il resto del corpo era semicoperto dalle bende.
Ma anche sotto di esse potevo vedere i lividi, le ferite, il sangue.
«Ecco, puoi sederti qui signorina» mormorò l’infermiera che aveva assistito Lucius nell’ambulanza.
«Grazie» sussurrai.
Presi posto dalla parte destra del letto.
«Dovresti compilare questi documenti. È la prassi per coloro che donano il sangue» disse gentile.
Annuii.
Yuri era rimasta fuori a compilare le carte che riguardavano Lucius, a lei non era stato permesso di entrare.
«Ne sei certa, cara?» domandò la donna con in mano l’ago che mi avrebbe portato via del sangue.
Deglutii.
Guardai Lucius.
Respirava attraverso quei tubicini, lui non aveva più forza.
«Certo» risposi risoluta.
Il mio sangue passò dal mio corpo al suo.
Era una comunione, una condivisione, una rinascita.
Quel pensiero mi rese felice.
Ovunque saremmo andati, con chiunque ci saremmo trovati in futuro, io e Lucius avremmo condiviso per sempre lo stesso sangue.
In quel momento mi sentii in pace.
Gli dovevo così tanto!
Aveva salvato il mio primo bacio facendosi pestare brutalmente e rischiando il collasso, mi aveva salvata da una tentata violenza due volte e da innumerevoli pericoli centinaia di volte.
Aveva versato il suo sangue per me.
Io, in quel momento, stavo semplicemente facendo ammenda.
Un bacio sarebbe andato via col vento, una notte di passione si sarebbe dissolta col venire del giorno, una lettera d’amore sarebbe andata perduta, una frase dolce avrebbe risuonato nell’aria per poi dissolversi e lasciare un ricordo.
Il mio sangue invece sarebbe rimasto nelle sue vene per sempre.
 
Dopo un tempo che mi sembrò lunghissimo e faticoso, l’infermiera tornò e mi staccò da quei tubi.
«Lei è sicura che può bastare così?» chiesi con urgenza.
Lei annuì gentile.
«Certo. Devi amarlo davvero tanto!» disse comprensiva spostando la sua attenzione su di Lucius.
Avevo evitato di guardare il suo corpo devastato mentre gli davo il mio sangue e quando le mie pupille si posarono di nuovo su di lui, le lacrime mi appannarono la vista.
«Non doveva subire anche questo» singhiozzai. Ero crollata dopo tanto dispiacere e non riuscii a fermarmi «ha sofferto abbastanza, ha sopportato cose orribili, non è giusto!» pigolai. La donna al mio fianco si commosse capendo la situazione. Mi accarezzò la schiena e mi aiutò ad avvicinarmi di più a letto.
Mi poggiai vicino alla testa di Yuki – sama e accarezzai piano i suoi capelli setosi e ondulati.
«Facciamo così cara… vi lascio soli, ma se si sveglia chiamami, capito?» annuii.
«Starà bene, vero?» le chiesi.
«Grazie a te è fuori pericolo ora. Sembra forte, guarirà» sorrise benevola.
La stanza tornò nel silenzio più totale, coperto di tanto in tanto dai miei sospiri disperati e dal bip della macchina.
Presi di nuovo la mano affusolata, fredda e bianca di Lucius.
«Sai, non avrei mai immaginato che un giorno mi saresti sembrato tutto fuorché uno scimmione indemoniato. Adesso somigli tanto ad un principe leggendario sotto un malvagio incantesimo, che non riesce a ridestarsi per tornare dalla sua bella» mormorai.
Immaginai di vederlo scoppiare a ridere. Una risata fragorosa e sensuale che finiva in un ghigno ammiccante e super sexy.
Bip, bip, bip.
Non so quanto tempo passò, ma all’improvviso quel silenzio, che non era mai esisto tra di noi, mi parve troppo gravoso da sopportare.
Così lo colmai.
«Sai, all’inizio mi irritavi parecchio. Eri sempre al top con i voti ed eri sempre nei guai. Facevi a botte con chiunque e mi spaventava starti vicino. Però mi attiravi allo stesso tempo… penso di aver provato amore per te sin dal primo istante. Pensa che vedendoti dormire sotto il ciliegio ho creduto fossi un angelo! Un angelo! Ti rendi conto? Tu, che a scuola sei quello stronzo, donnaiolo, pieno di sé, terrificante e sexy ragazzo che tutti detestano o desiderano in base al sesso… un angelo! Ho sempre pensato di aver avuto un abbaglio. La classica svista da “l’apparenza inganna”… invece… avevo visto proprio bene, Yuki – sama» le lacrime scorrevano inesorabili sulle mie guance e ringraziai l’infermiera di essere uscita.
Il mio Lucius era stato sempre buttato giù e maltrattato dal destino, da tutti, ma si era sempre aggrappato alla vita, sopravvivendo e combattendo con tutte le sue forze. Aveva cercato di adattarsi e aveva cercato di chiudersi dietro una muraglia che impedisse alla gente di ferirlo ulteriormente.
Poi ero arrivata io, e la sua corazza si era distrutta.
«Sei il mio angelo custode, Yuki» sussurrai al suo orecchio riportando alla mente, non so perché, gli angeli che da piccola disegnavo nella neve «perciò ti prego, torna da me» soffiai senza fiato.
Le sue dita si mossero impercettibilmente.
Forse poteva sentirmi!
«Lucius… svegliati, apri gli occhi, ti prego! Ho bisogno di te!» continuai a mormorare.
Le sue dita si mossero ancora.
Il suo viso sofferente si contrasse in una smorfia appena accennata.
«Yuki – sama… aishiter’u» dissi commossa, posando un piccolo bacio sulle sue labbra pallide.
Sospirò.
Le sue palpebre tremarono e le ciglia si mossero disegnando ulteriori ombre sui suoi zigomi.
Aprì gli occhi di pochissimo, e li richiuse subito con forza, come se la luce li avesse feriti.
Poi ci riprovò più lentamente.
Il grigio mi pervase, il ghiaccio mi pervase.
«Yuki – sama!» sorrisi tra le lacrime «Ben tornato» mormorai.
Lui inspirò a fatica, tenendo gli occhi puntati nei miei.
Li socchiuse di poco e poi tentò di tirarsi su.
«Ania…» si bloccò immediatamente, gemendo e ansimando per il dolore.
«Sta’ giu. Non vorrai farmi venire un infarto, vero?» dissi prendendolo per le spalle scarne ma cesellate e aiutandolo a rimettersi sdraiato.
«Dove sono?» sussurrò debolmente. Parlare sembrava stancarlo.
«Sh… sei al sicuro. Non devi preoccuparti» risposi. Lui strinse la presa sulla mia mano.
«Lui dov’è?» chiese in un gemito.
«In questo momento è in carcere. E credo che ci resterà per un bel po’» lo rassicurai. Ma a lui non sembrò importare.
«Ania… sei stata davvero imprudente…» cominciò a sgridarmi con una serietà disarmante negli occhi sofferenti.
«Ascoltami bene! Ti ho già spiegato che odio quando mi dai ordini, e che sarei capace di pestarti a sangue se fossi in salute invece che mezzo morto… perciò riprenditi. Sono stata abbastanza chiara?» chiesi piccata.
«Avrebbe potuto fare del male anche a te!» mormorò con voce rotta dal dolore.
Respirare doveva costargli un grande sforzo, per non contare che ad ogni respiro muoveva tutte le ossa rotte che avevano straziato i suoi organi feriti.
«No, non avrebbe potuto!» sbottai «Era troppo impegnato a romperti le ossa e a torturarti per accorgersi di me! Non si è fermato nemmeno quando… » mi bloccai.
Non dovevo esagerare, si era appena svegliato!
Era debolissimo e sofferente, dovevo chiamare l’infermiera.
«Chiamo l’infermiera» l’informai.
«Ania» mi chiamò piano, stringendo ancora la mia mano.
«Sì Lucius, che c’è?» chiesi triste.
«Mi dispiace» sussurrò «non volevo che vedessi» confessò socchiudendo gli occhi «sapevo che sarebbe riuscito a battermi e che mi avrebbe ferito di nuovo, e non volevo che vedessi» spiegò tra i sospiri di dolore «dovevi andare via, dovevi correre lontano da lui. Non volevo che…» rantolò. Si stava agitando troppo.
«Va bene. Okay, ho capito. Ma non potevo e tu lo sai. Non ti avrei mai lasciato solo con lui. Mai!» lo tranquillizzai.
Lui strinse gli occhi.
«Mm» si lamentò.
«Chiamo l’infermiera adesso. Parleremo con più calma quando ti sarai ristabilito» assicurai accarezzandogli il viso pallido.
L’infermiera arrivò seguita a ruota dal medico.
«Allora, signor Bell, come si sente?» chiese l’uomo in camice, brizzolato e con gli occhiali spessi a nascondere il vero colore degli occhi.
«Bene» gemette Lucius.
«Signor Bell… lei è stato vittima di un’aggressione che definirei brutale, se non disumana!» sentenziò il medico «Il fatto che si sia addirittura svegliato dopo un’operazione tanto complessa ha del prodigioso! Ma naturalmente il merito è della sua fidanzata» dichiarò.
Lucius mi puntò con lo sguardo liquido ed esausto.
Il dottore continuò:«La signorina Green le ha dato un bel po’ del suo sangue, lo sapeva?» chiese l’uomo con voce addolcita.
«No, non lo sapevo. E come mai voi  le avete permesso di fare una cosa del genere?» chiese pungente il mio ragazzo.
Il medico rimase interdetto.
«Sono stata io a chiederlo insistentemente. La scorta di sangue tardava ad arrivare così...» spiegai arrossendo.
«Ania…» Lucius tentò di ribattere qualcosa ma respirò troppo a fondo. Impallidì di colpo, trattenendo un lamento straziante.
«Dobbiamo sedarlo» ordinò il medico preoccupato.
«No. Non voglio» sussurrò Lucius senza fiato.
«Signor Bell lei ha rischiato di morire, e le sue ferite risalgono a qualche ora fa. Ha perso troppo sangue e le sue condizioni non sono ancora stabili. Vuole farmi credere che non prova il minimo dolore?» lo sfidò l’uomo occhialuto.
«Anche la signorina Green ha perso molto sangue! Per giunta lei è una delle vittime. Prima di dissanguarla… l’avete visitata per accertarvi delle sue condizioni?» sbottò Lucius, irrigidendo la mascella e parlando attraverso i denti.
I suoi occhi fulminarono il medico.
«Sono d’accordo con il dottore, Lucius. Si vede che provi molto dolore, fatti aiutare!» mormorai gentile accarezzandogli il viso teso.
«Sto bene. Ho sopportato di peggio. Lo sai» disse piano e respirando lentamente.
«Non capisco cosa ti sia passato per la mente» continuò tristemente «ultimamente fai una pazzia dietro l’altra… stavolta non sono stato in grado di fermarti. Sei… sei davvero impulsiva… stupida mocciosa. E la colpa è tutta mia» rantolò.
«Lucius…» mormorai preoccupata.
«Non voglio dormire» confessò trafiggendomi con gli occhi disperati.
Allora capii.
Aveva il timore di fare uno dei suoi incubi.
«Io rimarrò qui con te, te lo prometto» lo rassicurai in un sussurro.
Lui chiuse gli occhi e mi strinse la mano.
L’infermiera mise una sostanza nuova nella flebo e piano piano il respiro affannato di Lucius si fece tranquillo e lento.
«Signorina Green, c’è un agente della polizia che vorrebbe parlarle. L’aspetta fuori appena è pronta» m’informò l’infermiera.
Annuii.
Era arrivato il mio momento.

------------------------------------------------- ANGOLO DELL'AUTRICE -------------------------------------------------------------

Ehi ragazze! come va? ecco a voi il nuovo cap, come promesso ho pubblicato presto (mi sento potente >.<).
allora, cosa credete succederà da adesso in poi? perchè non mi proponete le vostre idee, magari si avvicinano alla verità!! inoltre... Lucius è quasi morto... Ania è quasi collassata!... non uccidetemi XD commentate bimbeeeeeee

baci dalla vostra
Fiore
<3

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Capitolo 20
*** Il piano ***


Capitolo 20
 
Il piano
 
 
 
 
Il corridoio dell’ospedale aveva assunto un’atmosfera ancor meno rassicurante quando uscii dalla stanza di Lucius.
Ora lui dormiva tranquillo, fuori pericolo, ed io sentivo una strana sensazione di torpore, che non era spiacevole ma mi faceva sentire come sotto anestesia, come se anche io dopo aver superato il peggio avessi avuto diritto ad una dose di morfina.
Le sedie del corridoio erano vuote, fatta eccezione per due di esse, occupate da due uomini in divisa.
Parlavano tra di loro in tono piatto e bisbigliavano come se stessero ponderando la situazione.
Riuscii a carpire alcune frasi.
«Non capisco, gli agenti di questo distretto sono irraggiungibili» sussurrava uno.
«Non è affar nostro» rispondeva il secondo, come se fosse impaziente di cambiare argomento.
«Ma pensaci! Come è potuto accadere? Quel ragazzo sarebbe potuto morire nelle mani di quel pazzoide!» commentò il primo. Aveva l’aria di essere un brav’uomo. Alto, paffuto, dalla faccia pulita. Brizzolato ma con degli occhi marroni sinceri e limpidi.
«Siamo arrivati in tempo, no? Di che ti preoccupi Dean?» chiese scettico e di sottecchi il secondo. Carnagione olivastra e fisico snello. Il suo sguardo di smeraldo non mi convinceva.
«Buonasera» li salutai.
Si alzarono appena si accorsero di me, ricambiando il saluto con un cenno del capo.
I loro distintivi mostrarono i loro nomi.
Agente Jim Anderson e agente Dean Still.
«Io sono Anastasia Green» mi presentai. Jim annuì mentre Dean mi guardò con costernazione.
«Ci dispiace disturbare signorina, ma è il nostro lavoro» spiegò il signor Still.
«Certo» concessi.
«Quali rapporti legano lei e il signor Bell?» chiese Jim.
«Lucius è il mio ragazzo» risposi tranquillamente.
«Come mai si trovava nel suo appartamento a quell’ora?».
«Ho visto Ephram, l’aggressore di Lucius, e mi sono preoccupata, perciò siamo andati insieme a controllare l’appartamento visto che Ephram aveva detto che sarebbe andato a trovarlo. In quel momento nell’appartamento c’era la madre di Lucius, così ci siamo allarmati» spiegai.
«Mi sta dicendo che conoscevate già l’indole violenta dell’indiziato?» chiese in tono accusatorio.
«Certo» risposi risoluta.
«E cosa vi ha impedito di denunciarlo prima?» continuò Jim.
«Il fatto che Lucius sia il figlio illegittimo di una persona in vista e che questa persona sia davvero influente. Inoltre Ephram minacciava la vittima e me» spiegai turbata.
«Quindi avete lasciato un pazzo a piede libero per non creare uno scandalo nella famiglia del signor Bell?» chiese piccato, con sguardo furbo.
«Credo sia molto più complicato di questo, agente Anderson».
«Me lo spieghi allora! Da ciò che mi ha raccontato fin’ora potrei dedurne che lei e il signor Bell avete protetto il signor Magnus Ephram, lasciandolo in libertà, finché la cosa non vi è sfuggita di mano!» tuonò minaccioso.
«Datti una calmata Jim, non vedi che è distrutta? Ha visto massacrare il suo fidanzato sotto i suoi occhi da uno psicopatico… smettila di aggredirla!» mi difese Dean. Gli sorrisi grata. «Ora Anastasia, la prego, cominci dall’inizio» mi esortò.
Raccontai la storia di Lucius, quella di Yuri, la mia storia.
Naturalmente non andai nei particolari, ma raccontai ogni sopruso, ogni ingiustizia, ogni attacco.
Ero consapevole che molta gente sarebbe stata chiamata in ballo, forse agli di qualcun altro sarei sembrata avventata, stupida e imprudente.
Ma la verità avrebbe spazzato via tutto il male che aveva travolto Lucius.
«Questa volta però, non ho dato ascolto a Lucius e invece di pensare alle conseguenze ho deciso di porre fine a tutto questo. Vi prego, aiutateci» conclusi chinando il capo, come in preghiera.
«Bene, domani torneremo a trovarla, si renda reperibile per altri accertamenti» disse Jim, indifferente.
«Certo» risposi.
«Senti Anastasia» mormorò Dean, mentre Jim si avviava all’uscita «voglio aiutarti. La storia che hai raccontato è raccapricciante quanto crudele. Il tuo ragazzo deve davvero essere un tipo che ce l’ha col mondo dopo ciò che ha passato!» commentò incredulo e dispiaciuto per Lucius.
«Può succedere quando vieni picchiato a sangue senza un motivo tutti i giorni, o quando vieni torturato per puro capriccio dal tuo fratellastro» commentai a mia volta acuta.
Lui annuì mesto.
«Contattami se ti viene in mente qualcosa, qualsiasi cosa. Da ciò che hai detto ho capito che tipo è questo Magnus. È un re, un intoccabile...  e sarà difficile incastrarlo. Avrà contatti dappertutto» disse.
«È proprio questo il punto! Non dobbiamo incastrarlo! Ci sono testimoni, ed io sono disposta ad andare in tribunale per Lucius. Sono disposta a descrivere tutto nei particolari, io…».
«Lo so, Anastasia, lo so. Tutti faremmo l’impossibile per le persone che amiamo.
Ma concorderai con me che in questa circostanza ci serve un piano davvero efficace» mi fece notare.
Annuii.
«La verità, questa è la schifosa verità. Perché non può bastare per salvarlo?» sussurrai.
«Perché questo è un mondo schifoso» rispose lui.
 
 
******
 
 
Il bip della macchina era l’unico segno di vita di Lucius.
Il suo corpo era immobile, il suo respiro troppo sottile e il petto martoriato non poteva alzarsi e abbassarsi come al solito. Il movimento era così impercettibile che sembrava davvero morto.
Rabbrividii a quel pensiero.
Sospirai e mi guardai intorno. C’eravamo solo io e lui.
Soli.
C’ero solo io per lui, e lui era l’unica cosa che contasse davvero per me.
«Viviamo proprio in simbiosi io e te, eh?» sussurrai a fior di labbra.
Sorrisi, ma ero distrutta.
Ero stanca, sporca, debole, affamata e indolenzita.
Solo in quel momento me ne resi conto.
Mi misi comoda sulla poltrona e poggiai la testa sul bracciolo.
Morfeo non tardò ad arrivare e mi regalò un sonno profondo, buio e senza sogni.
Mi sembrava di sprofondare sempre di più.
Giù, giù, giù...
Una mano si posò sulla mia, ridestandomi.
Mi sembrava di essere ancora più distrutta di prima mentre aprivo gli occhi con fatica.
Sospirai come se non lo avessi fatto per anni e poi mi accorsi a chi appartenesse la mano.
«Vuoi farmi l’immenso piacere di respirare?» mormorò debolmente Lucius.
Mi osservava con preoccupazione, come se quella che aveva visto la morte in faccia fossi io.
Obbedii. Inspirai ed espirai con calma, fino a ritrovare un po’ di sollievo.
«Buongiorno» lo salutai, sorridendo.
«Sono le quattro di notte, direi buonanotte piuttosto, ma a quanto pare qualcuno ha problemi a dormire serenamente» mi fece notare apprensivo.
«La colpa non è mia se sono quasi morta d’infarto» sbottai con falsa irritazione.
«Sei davvero incorreggibile» mormorò. Sentii chiaramente il singulto che gli spezzò il respiro.
«Lucius...».
«Sto bene» assicurò, vedendomi preoccupata «e starò ancora meglio se ti ricordi di respirare, mocciosa ipersensibile!».
Lo baciai, zittendolo.
«Come ti senti? Vuoi che chiami l’infermiera? Senti molto dolore?» domandai. Sentivo il bisogno pressante di prendermi cura di lui, come nessuno aveva mai fatto, come nessuno avrebbe mai potuto fare.
«Va bene così. È sopportabile» sussurrò.
«Ma non devi sforzarti! Se senti dolore dobbiamo avvisare qualcuno... potrebbe  trattarsi di chissà cosa... e se fosse grave?».
«Ania... calmati. Sto bene. Davvero!» assicurò accennando un lieve sorriso e stringendo la sua mano sulla mia.
«Magari fosse vero! A quest’ora saremmo fuori di qui, e ti porterei in giro per la città a ingozzarci di schifezze, gelati, nutella... potremmo fare un giro sulla ruota panoramica del parco giochi, o fare una cenetta romantica al lume di candela, oppure andare a vedere il mare, o magari...».
«Ania...» il mio sogno ad occhi aperti fu interrotto da un sospiro spezzato «ti prego, non parlare più di queste cose, perché noi... non potremo farle» mormorò con voce rotta. Non mi guardava ma sembrava ferito dalle mie parole, come se avessi provato a toccargli le costole rotte, o come se avessi tentato di riaprirgli le ferite.
«Che dici? Certo che le faremo... non appena starai meglio!» promisi.
«Io non starò mai meglio. Io non voglio stare meglio!» la sua voce era divenuta sottile, fragile e triste come i suoi occhi trasparenti.
«Lucius... che stai dicendo?» domandai.
«Quando lui uscirà di galera, perché uscirà, metterà a ferro e fuoco la città pur di trovarci» spiegò affranto come non l’avevo mai visto.
«No, io ho un piano! Io non gli permetterò di farti ancora del male...» tentai di tranquillizzarlo, ma lui mi zittì, fissandomi con occhi vuoti.
«Ephram non è affatto pazzo» disse a fior di labbra «l’odio che prova nei miei confronti gli ha annebbiato la mente sin dal primo momento. Il suo obbiettivo è distruggermi, non uccidermi. Suo padre non potrebbe coprire anche un delitto, ma Ephram farà di tutto per  farmi  impazzire di dolore. Ha sempre usato ogni mezzo a sua disposizione per rendermi la vita impossibile, un vero calvario, ma... arrivati a questo punto non m’importa più» spiegò risoluto, con un vuoto negli occhi da far paura «non m’interessa più che cosa farà a me... ma m’importa di te. Ti cercherà Ania, ti pedinerà, ti farà sentire piccola, indifesa e sola, coma ha fatto con me, e poi ti farà del male, tante, troppe volte fino a convincerti che è lui il più forte. La tua vita perderà significato... e io non voglio che accada. Perciò ti prego, va’ via di qui. Torna a casa, di’ a tua madre che le vuoi bene e che ti serve aiuto. Dille che non vuoi più andare all’Orpheus, dille che vuoi stare con lei e con tuo padre. Prenditi cura di loro e lascia che loro si prendano cura di te. Capiranno. Sono i tuoi genitori!» mormorò.
«E poi dimenticami. Ti prego, lo so che puoi farlo!  Sei la ragazza più forte e in gamba che conosca! Io lo so, ti ho vista mentre impugnavi una padella perché stavo per collassare sotto i colpi di quel bastardo, ti ho vista mentre chiamavi la polizia, ti ho sentita mentre dormivo, ti sento sempre, anche quando siamo lontani, e so che tu puoi uscirne! Ti prego! Va’ via da me, salvati almeno tu... amore mio» una lacrima riuscì a sfuggirgli, e scivolò lenta sulla guancia pallida e smunta.
Ero stata in silenzio ad ascoltare la sua preghiera, il suo desiderio.
Non mi ero accorta di essermi messa a piangere anche io, ma appena me ne resi conto asciugai le lacrime con forza, quasi graffiandomi le guance.
«Vorrei tanto riavere quella padella!» dissi «Vorrei tanto spaccartela in testa, vorrei...» mi bloccai.
Lui era sorpreso dalla mia reazione, dalla mia enfasi e dalla mia rabbia.
Mi avvicinai al letto e gli presi la testa tra le mani.
«Non dire mai più una cosa del genere, mai più!» lo sgridai tormentata, distrutta.
«Io non posso lasciarti, mai! E tu non puoi chiedermi di farlo» mormorai.
«Posso e come. Questo non è un gioco. Potresti morire» mi avvertì cupo.
«Anche tu. Visto? Siamo sempre pari io e te» risposi.
«No. La mia vita non fa per te, devi andartene finché sei in tempo!».
«Lo decido io cosa fa o non fa al caso mio. Sono sempre stata padrona di me stessa, almeno per quanto riguarda il lato sociale. Ero io che non volevo amici, soprattutto dopo ciò che era successo nella mia vecchia scuola. Ero sempre io che sceglievo i libri invece delle persone, e ora sono io che decido cosa fare» dissi risoluta.
«Tu mi devi dimenticare, è l’unico modo che ho per proteggerti! Mi hanno portato via persino il mio corpo, non posso difenderti in queste condizioni, lo sai meglio di me» mi fece notare.
«E chi ti ha chiesto protezione? So badare a me stessa, pratico autodifesa. E poi non sono così stupida da farmi mettere nel sacco».
«Ti farà del male e la colpa è solo mia!» gemette debolmente trattenendo un altro singulto.
No, la colpa non era sua. Affatto.
Non era colpa sua se era nato, se era stato violentato e picchiato in orfanotrofio, se era stato torturato dal fratellastro e se ci eravamo innamorati di un amore assoluto, puro, vero. Mi sollevavo da terra al solo pensarlo, e sarei stata capace di uccidere per proteggerlo. Lui mi ricambiava a pieno.
Questa non era una colpa, ma un miracolo.
«Sai Lucius, questa cosa non mi ferirà. Non può più farlo» confessai a mezza voce.
Aveva il diritto di saperlo.
«Che vuoi dire? Può farlo eccome, non lo capisci?» chiese esasperato.
«No. Non può perché io ci sono già passata» rivelai.
Lucius rimase attonito a fissarmi.
«Nella mia vecchia scuola se non aiutavo i miei sedicenti amici loro mi mettevano in disparte e mi minacciavano, ma la cosa peggiore fu quando mi rinchiusero in uno stanzino. Due ragazzi tentarono di violentarmi, ma io fui più forte. Non so come feci, ma li spinsi via e mi misi ad urlare. Il bidello accorse ma prima che arrivasse io li avevo già respinti e allontanati da me» raccontai «la cosa peggiore era che uno di loro era il mio migliore amico, nonché il ragazzo che mi piaceva. Si era dimostrato sempre gentile ed io mi ero fidata» ricordai con tristezza quel momento.
“Perché l’hai fatto? Mi fidavo di te!” avevo chiesto.
“Non avresti dovuto farlo!” era stata la risposta, indifferente quanto il suo sguardo.
«Quei ragazzi sono stati espulsi ed io sono finita in ospedale. Il primo attacco di panico di molti. Credi davvero che abbia paura di Ephram? L’ho visto farti di tutto, ti ho visto subire di tutto pur di proteggermi e non mi spaventa, non più, perché noi siamo nel giusto, e non dobbiamo temere. Insieme ce la faremo» assicurai.
Lucius strinse i pugni convulsamente.
«Non lo sapevo. Non me ne avevi mai parlato prima. Ma se credi che questa situazioni sia uguale a quello che mi hai raccontato... ti sbagli, Ania. Stavolta non sarà così facile» mormorò tetro.
«Ti fidi di me?» chiesi guardandolo negli occhi.
«Mi fido solo di te» disse come se fosse una cosa ovvia. Sorrisi commossa.
«Allora non disperare, e soprattutto non cercare mai più di convincermi che sarei in grado di stare lontana da te. Non ti serve a nulla. Lo sai».
Sospirò sonoramente.
«Maledizione» imprecò, un po’ per il dolore e un po’ per la frustrazione.
Sorrisi mesta.
«Hai bisogno di qualcosa, Yuki – sama?» chiesi poi.
«Sì.  Avrei un estremo bisogno di vederti assumere calorie sotto i miei vigili occhi» sorrise appena.
Il peggio era passato.
Almeno per il momento.
Non mi piaceva affatto lo sguardo di Lucius, sembrava vuoto e cupo, come un condannato a morte che non aspetta altro che la fine.
Il suo disperato bisogno di allontanarmi non aveva altre motivazioni se non quella di salvarmi.
Non sapeva come farlo, visto che immaginava glielo avrei impedito con ogni mezzo, perciò lo vedevo sgretolarsi sotto i miei occhi, consumato dalle pene più dolorose.
«Non ho fame» ammisi.
«Beh, allora lascia che mi alzi e ti serva io, miss donatrice universale totalmente irresponsabile. Aspetta, credo di dover aggiungere anche avventata, impulsiva e fuori di testa» disse frustrato. Provò davvero ad alzarsi, e la cosa mi scioccò.
«Fermo!» urlai come una matta vedendolo sbiancare e stringere i denti.
Lo aiutai a risistemarsi per bene e poi gli diedi un buffetto sulla fronte.
«Senti da che pulpito! Fuori di testa sarei io? Mister “sono sempre al top anche quando sono quasi morto!”. Vuoi davvero farmi venire un infarto!? Razza di alieno idiota!» sbottai.
Sorrise.
«Mangerai allora?» chiese senza fiato per lo sforzo.
«Sì, te lo giuro sui miei amatissimi libri» promisi.
«Bene. Allora va’. Ti aspetto con ansia» disse.
«In realtà... la colazione arriverà tra meno di qualche ora e io sono troppo stanca per mangiare adesso» ammisi, sperando che non reagisse ancora in maniera esagerata.
«Quegli incapaci non ti anno nemmeno offerto da bere dopo la donazione di sangue. Vero? Dovrei denunciarli per negligenza» mormorò cupo. Sembrava davvero provato.
«Lucius... cerca di riposare ancora un po’, ti prego» sussurrai. Gli sistemai i cuscini e lo coprii meglio che potevo.
«Prima mi hai fatto paura. Eri immobile e non respiravi. Sembravi... » pausa «poi ho visto il tuo petto che tremava per l’apnea e mi sono reso conto che era solo ansia» raccontò. I suoi occhi erano tristi.
«Sto bene. È solo che ultimamente non ho trascorso giorni propriamente sereni. È normale per un caso patologico come me» sorrisi.
«È per questo motivo che vorrei allontanarti. È per questo motivo che sono arrabbiato... perché tu non mi permetti di farlo. Nelle ultime ventiquattro ore sei stata il mio angelo custode, e hai rischiato più di chiunque altro» disse guardandomi intensamente.
«Non più di te. E comunque non ho fatto nulla di ché, ho solo ricambiato. Ora sento di essermi messa in pari con te» risposi risoluta.
«Sono io che sono in debito, miss padella di fuoco!» mi prese in giro.
«Se mai rivedrò quel bastardo, devo proprio picchiare più forte quella benedetta padella!» esclamai.
Rise, poi tossì, poi gemette, infine respirò affannosamente.
«Ok, ok... adesso smettila di farmi ridere, o salteranno in aria anche le costole buone» sussurrò sofferente.
Sorrisi mesta.
«Dov’è Yuri?» chiese dopo un po’ di silenzio.
«Non lo so. Non l’ho più vista» risposi irritata quanto lui era fintamente indifferente.
«Proprio tipico di lei. Come sempre se la dà a gambe lasciando tutte le grane a me» rise amaro.
«Forse è rimasta... vuoi che vada a controllare in corridoio?» chiesi, sentendo la sua tristezza invadere anche me.
«No, non m’importa» disse «l’unica persona che vorrei al mio fianco è qui».
 
 
*******
 
 
 
 
Il mattino seguente, Lucius si sottopose a degli esami di routine, per controllare l’andamento dei medicinali, e poi gli avrebbero cambiato le fasciature.
Io non potevo restare ancora in ospedale, avevo bisogno di una doccia.
«Ci vediamo dopo, Yuki – sama» gli sussurrai all’orecchio. Lui mi baciò la guancia, e mi guardò allontanarmi.
Non volevo lasciarlo solo, visto che Yuri era sparita, ma visto che non potevo comunque seguirlo per tutto l’ospedale, decisi di rimettermi in sesto.
Alle sette e un quarto del mattino le strade erano ancora deserte perciò passai inosservata e grazie alla chiave personale regalatami da Lucius, sgattaiolai nel suo appartamento.
Delle poche cose che avevo portato lì riuscii a racimolare un pantacollant, un vestitino di lana e il cappotto.
Dopo una bella doccia mi cambiai e poi uscii a fare la spesa.
Volevo portare qualcosa a Lucius, ma poi mi venne in mente che era attaccato a delle flebo, e che probabilmente il suo stomaco era messo male, perciò mi limitai a comprare un pacchetto di cracker per me, e dei fiori.
Un bel mazzo di rose blu, le mie preferite.
Tornata in ospedale, mi diressi nella camera di Lucius.
Prima di entrare però, sentii delle voci.
«Credevo fossi sparita» mormorava Lucius.
«Ho dovuto sistemare delle cose» rispose una voce familiare: Yuri.
«Spero che siano cose che non mi riguardano stavolta».
«Ho finito di darti problemi, tesoro. Te lo giuro» promise la donna.
«Certo» rispose freddo Yuki.
«Come ti senti oggi?» chiese sua madre.
«Bene» asserì lui.
«Posso fare qualcosa per te? Qualsiasi cosa» chiese tristemente lei.
«Una cosa puoi farla» cominciò Lucius «se Charles vorrà tirare fuori Ephram dai casini, allora mirerà a me. Se dovesse succedermi qualcosa, prenditi cura di Ania. Puoi farlo?» chiese serio. Mi si accapponò la pelle.
«Non ti accadrà più niente di male tesoro.  Comunque sia... te lo prometto. Sono in debito con quella ragazza» assicurò Yuri.
Bussai.
«Permesso?» chiesi.
«Entra» disse Lucius, abbozzando un sorriso forzato.
«Come sono andati gli esami?» domandai, sedendomi di fianco a Yuri e guardandola con la coda dell’occhio.
«L’infermiera ha toppato due volte. Alla fine però ci è riuscita, anche se ora ho un livido viola sul braccio» raccontò ironico. Io non ci trovavo nulla di divertente.
Era solo un altro livido, l’ennesimo.
«Incapace!» sibilai.
«Non dire così! La povera donna era rimasta incantata dal sottoscritto» spiegò.
«E il sottoscritto le ha detto che è impegnato a vita con “padella di fuoco”?» chiesi piccata.
«Mm... era carina!» mi sfidò.
Lo ignorai. Posai le rose sul comodino.
«Cos’è? Hai un ammiratore segreto?» chiese meno ironico.
«No, sono per te zuccone!» sorrisi di gusto accorgendomi del pizzico di gelosia nel suo sguardo.
«Oh» disse soltanto.
Osservò le rose con attenzione e poi mi sorrise mesto.
«Grazie, mocciosa».
Sorrisi a mia volta.
Ne usciremo, pensai, tutto andrà per il meglio e potrai sorridere di cuore...
… insieme a me.



-------------------------------------------- ANGOLO DELL'AUTRICE -----------------------------------------------------------
Eccomi ragazze, come promesso non ci ho messo poi tanto!! allora come va? ne approfitto per ringraziare tutte le persone che hanno commentato il cap precedente e che spero vivamente continueranno a seguirmi, ringrazio inoltre tutti i coraggiosi che sono arrivato a leggere fin qui.
questo capitolo è stato difficile da scrivere perchè succedono abbastanza cose... che ve ne pare? spero vi sia piaciuto.
e ora? che succederà?
lo scoprirete presto, spero XD
un bacione dalla vostra
Fiore
<3

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Capitolo 21
*** Convalescenza ***


Capitolo 21
 
Convalescenza
 
 
 
 
 
Erano passate due settimane.
Mi ero alternata tra la scuola e l’ospedale, e intanto passavo a Lucius i miei appunti.
«Sei davvero una ragazzina impossibile? Sono malato, dolorante e infermo e tu mi assilli con gli appunti di astronomia? Sii seria e dimmi che cosa ho fatto di male!?» si lamentò un giorno.
«Oh, smettila di fare il bambino, io leggo e tu assimili, cosa c’è di sbagliato o di seccante?» chiesi.
Lui sbuffò piano, ormai si era abituato a non far muovere troppo le ossa rotte.
«Su, coraggio... vediamo...» spulciai nel librone e domandai: «dimmi il nome dei due pianeti del sistema solare che si differenziano dagli altri per il moto retrogrado» chiesi.
«Venere e Urano sono i pianeti dal moto retrogrado, cioè ruotano in maniera oraria. Al contrario il resto dei pianeti del sistema solare ha un moto di rotazione antiorario... dimmi Ania, vuoi che ti elenchi gli esperimenti fatti nel seicento e ai giorni nostri per dimostrare il moto della Terra? O magari potrei farti la reazione chimica dell’idrogeno che si ionizza nel sole creando l’elio! Che te ne pare?» chiese ammiccante.
«Senti genio, nonostante tu sappia tutto, è necessario ripassare per mantenere nella mente le nozioni, sai? E ora rispondi: quale studioso dell’antichità ipotizzò per primo che la Terra fosse sferica?» lo sfidai.
«Fu Aristotele a perfezionare questa teoria, signorina “so tutto io”. In seguito gli studiosi del diciassettesimo secolo teorizzarono lo schiacciamento ai poli, dimostrato dallo studioso Richer tramite l’esperimento del pendolo di Parigi e di La Caienna. Perciò si passò a definire la Terra un ellissoide. Ai giorni nostri, invece, grazie alle nuove tecnologie, alla terra si è attribuito il nome di geoide piriforme, a causa dei rilievi, delle pianure e delle vallate che rendono la sua superficie irregolare. Il geoide inoltre è classificato come superficie equipotenziale» rispose brillantemente.
«O-kay» mormorai basita. Non era stato a lezione eppure conosceva le risposte in maniera approfondita. Ripensai a ciò che mi aveva raccontato sulla sua vita all’orfanotrofio.
«Okay, ho capito che non ti servo» dissi soprappensiero.
«Non dirlo neanche per scherzo!» mi sgridò «Certo che mi servi! Io ho bisogno di te!» asserì serio.
Arrossii.
Poi sorrisi.
«Sono contenta di sentirtelo dire» affermai.
«Come va a scuola? Qualcuno ti ha infastidita in mia assenza?» chiese apprensivo.
«No, mi ignorano come al solito» risposi senza il minimo risentimento.
«Tra una settimana me ne andrò, lo giuro. Mi sono stancato di stare a letto» asserì.
«Tu non vai da nessuna parte finché non lo dice il dottore. Discorso chiuso» lo ammonii.
«Affatto. Mi sono stancato. Sto bene, perché mi tengono ancora qui? Non mi permettono di alzarmi, né di andare in bagno da solo, mi sento un relitto affondato!» si lamentò.
«Hai ragione, ma prima devi rimetterti in forze. Inoltre vengo a farti compagnia tutti i giorni, quindi non preoccuparti, ok?» sorrisi.
«Mm» mugugnò lui, capriccioso.
Gli scompigliai i capelli.
Il suo viso era così sciupato, pallido, magro.
Il suo petto non riempiva affatto il camice immacolato dell’ospedale, e le sue braccia cesellate e armoniose, muscolose al punto giusto, erano costellate di lividi neri.
Lui si accorse che lo stavo osservando e mi prese la mano.
«Starò di nuovo bene. Non fare quella faccia, o mi sentirò come un deportato ad Auschwitz!» scherzò.
Lo abbracciai di slancio.
Lui ricambiò gentilmente.
«Scusa, è che... non ce la faccio più a vederti così. Mi sento debole anche io» confessai triste.
«Ania...» mi chiamò. Lo guardai.
Mi baciò.
 
 
*******
 
 
 
 
Tre giorni dopo, quando entrai nella sua stanza d’ospedale lo trovai quasi in piedi.
Era a piedi nudi sul pavimento freddo e asettico e si reggeva convulsamente alla sbarra di ferro del letto, respirando affannosamente.
«Lucius!» urlai, correndogli incontro e sorreggendolo.
Quando lo circondai con le braccia, lo sentii sussultare e capii che nel tentativo di non farlo cadere avevo stretto un po’ troppo.
Naturalmente avevo usato tutta la delicatezza possibile ma non era bastato.
«Scusa» mormorai alleggerendo la presa.
Respirava tra i denti e stringeva i pugni attorno al ferro della sbarra.
«Coraggio, rimettiti a letto. Adesso» ordinai austera.
«No» si rifiutò sommessamente.
«Ma sei forse impazzito? Credi che con sole due settimane le tue costole...» cominciai ma lui mi bloccò.
«Voglio solo darmi una ripulita... è da tre giorni che non lo faccio, l’infermiera è sempre di corsa e mia madre... beh non voglio chiederlo a lei» spiegò.
Annuii comprensiva mentre il mio cuore si stringeva in una morsa dolorosa.
Non avevo mai mostrato a Lucius la mia sofferenza e il mio dispiacere nei suoi confronti, ma di questo passo sarei scoppiata.
«E non potevi aspettare che arrivassi io? Ti aiuto io, sta’ tranquillo Yuki – sama».
«Arigatou gozaimasu, Ania – chan» mormorò dolce.
«Di niente».
Ci trascinammo piano fino al bagno della stanza, composto da una doccia minuscola, un lavabo e la tazza.
Lo portai fino al lavabo e poi lo feci appoggiare al bordo.
Tremava per lo sforzo, doveva essere davvero debole, ma non emetteva un suono.
«Allora, ascolta il mio piano» dissi «tu cerchi di mantenerti ed io...» arrossii «io penso al resto» conclusi in un sussurro.
«Ania... non sei costretta a farlo» mormorò serio.
Respirava velocemente ma silenziosamente per non farmi capire quanto fosse debilitato.
«Coraggio, sbrighiamoci, così potrai tornare a letto» mormorai di rimando.
Presi una salvietta, la inumidii con acqua e sapone e poi... mi fermai.
«Come faccio? Dovrei togliere le garze!» notai.
«Prima di pranzo passerà l’infermiera, ci penserà lei a rifarmi la medicazione. Ormai i tagli non sanguinano più, me li medicano solo per precauzione» spiegò calmo.
Annuii.
Tolsi le bende, lentamente, sfiorandolo appena come se potesse rompersi sotto le mie dita.
Quando mi trovai davanti il suo busto completamente nudo, mi pentii immediatamente di aver accettato di aiutarlo, ma poi tutto mi scivolò addosso in un vortice di emozioni contrastanti.
Volevo piangere perché aveva l’addome completamente ricoperto di lividi neri e violacei e tagli cicatrizzati rossi. I muscoli cesellati sussultavano di tanto in tanto mentre respirava . Una ferita lunga gli attraversava tutto il torace partendo dalla clavicola destra fino ad arrivare alla fossetta del fianco sinistro.
Avevano ricucito quel taglio troppo esteso e ora sembrava un enorme cicatrice rossa e dolorosa.
Aveva perso peso, ma restava sempre bellissimo e sensuale, armonioso come il David di Michelangelo, anzi ancora più perfetto.
Aveva segni impietosi sul suo bel corpo, ma rimaneva comunque fiero e maestoso.
Sembrava un nobile cavaliere ferito.
«Comincio dalla schiena, va bene?» la mia voce sembrò così malferma che temetti di turbarlo. Sembravo sul punto di piangere ma il sentimento che mi avvolgeva i sensi in quel momento era rabbia allo stato puro, non tristezza.
Anche sulla schiena c’erano lividi violacei, ma la cosa che spiccava di più sotto la luce bianca e accecante della lampadina del bagno erano le cicatrici bianche a forma circolare, quelle che assomigliavano a frustate e quelle strane a forma di rettangolo.
Sulla schiena erano più rade e biancastre, ma di certo non meno strazianti.
Poggiai il panno tiepido sulla sua pelle candida e cominciai a massaggiarlo piano, delicatamente.
Dovetti allungarmi sulle punte per raggiungere le spalle nonostante fosse curvo, e quando scesi nella zona lombare lo sentii sussultare impercettibilmente, in un singulto strozzato.
Quando ebbi finito lui si voltò lentamente e si appoggiò al muro, per permettermi di fare il resto.
Non riuscivo a guardarlo negli occhi, come se facendolo sarei potuta scoppiare a piangere.
Cominciai ancora una volta dalle spalle, ma quando raggiunsi il petto mi bloccai.
Non potevo passare su quei lividi, quei tagli. Non potevo.
Lucius sospirò.
Mi prese la mano che non reggeva la salvietta e fece passare delicatamente le mie dita su tutto quel male.
Tremai. Avevo sempre immaginato di accarezzargli il petto, ma le mie fantasie avevano sfondi meno macabri, meno disperati.
Capii ciò che voleva dirmi.
Non avrebbe sentito male, potevo toccarlo.
Lo feci con la massima delicatezza possibile, sfiorandolo.
Passai alle braccia poi presi una nuova asciugamano e gliela passai lui viso.
Quest’ultima fu più una dolce carezza che altro.
«Grazie» sussurrò tenero e mesto.
Lo abbracciai e poi lo condussi a letto.
«Adesso riposati. Promettimi che non proverai più ad alzarti da solo» sussurrai.
«Mm» assentì mentre crollava in un sonno profondo e, come al solito, tormentato.
 
 
*******
 
«Ho delle buone notizie e delle cattive notizie» mi informò Dean Still, agente della polizia con vent’anni di servizio.
«Prima le cattive» dissi, sedendomi su una delle sedie del corridoio dell’ospedale deserto.
«Beh, non si parla ancora di processo, e Magnus ha già contattato i migliori avvocati della zona» m’informò «sembra però che i suoi tentacoli siano stati tranciati» mormorò soddisfatto.
Sussultai.
«Che vuoi dire? È questa la buona notizia?» chiesi speranzosa.
«Sì, è proprio questa» annuì l’uomo «ho indagato sugli avvenimenti accaduti in città il giorno dell’aggressione. Volevo scoprire se Ephram avesse tralasciato qualcosa prima di divertirsi a tormentare il tuo ragazzo. E ho scoperto... che i poliziotti che avrebbero dovuto essere di pattuglia quel giorno, sono risultati irreperibili, è per questo che hanno chiamato me e il mio collega. Ho scoperto che quei poliziotti stavano coprendo un giro di droga, e che gli spacciatori sono stati arrestati due giorni dopo» raccontò.
«Arriva al punto».
«Gli spacciatori hanno vuotato il sacco, e sono usciti dei nomi, nomi corrispondenti ai poliziotti che avrebbero dovuto rispondere alla chiamata della caserma» rivelò.
Continuavo a non capire, ma poi Dean arrivò al punto.
«I poliziotti hanno fatto il nome di un certo Jim Russell. Hanno preferito la libertà ai soldi, e questo gioca a nostro vantaggio».
«Jim Russell? E chi sarebbe?» chiesi confusa.
«Il segretario, non ché braccio destro di Magnus Charles Senior» ammiccò.
Mi illuminai.
«Oddio» saltai in piedi «devo dirlo a Lucius!» strillai contenta.
«No!» mi bloccò Dean «Lucius sa che è pericoloso, e ti direbbe di lasciar perdere, inventerà qualcosa per farti smettere di indagare. Lui conosce bene la pericolosità dei suoi parenti... vorrà tenerti lontana da tutto ciò» mi mise in guardia.
«Ma...».
«Ascoltami bene. Conosco bene questi mafiosi corrotti, se qualcuno gli intralcia il cammino loro l’ammazzano. Lucius lo sa. Sa anche che ora è lui ad essere in pericolo. Sa che attenteranno alla sua vita. Perciò vorrà tenerti alla larga da tutto questo» disse.
Capii.
Capii perché Yuki mi avesse detto di stargli lontana, di lasciarlo, di lasciare l’Orpheus...
Lui si sentiva davvero come un condannato a morte.
«Cosa dovrei fare allora io?» chiesi.
«Due parole: cerca testimoni» disse.
Annuii.
 
 
 
*******
 
 
A scuola era un tormento.
Senza Lucius sembravo completamente indifesa, inerme di fronte alla cattiveria violenta dei miei compagni di scuola.
Dovevo scendere le scale avvinghiata alla ringhiera, perché avevo paura che qualcuno mi spingesse troppo forte, facendomi cadere rovinosamente.
Dovevo controllare il mio armadietto per bene prima di aprirlo, perché avrei potuto trovarci di tutto, da un topo morto, al fango, da lettere minatorie a insulti indecenti.
Nei bagni dovevo chiudermi bene. Le ragazze davano calci alla porta, bussavano fastidiosamente senza ritegno, mentre spalancavano le loro bocce rosse di rossetto per insultarmi e per dire cose davvero indecenti su Lucius.
In mensa ero rimasta a digiuno parecchie volte, visto che gli amici di Jane passavano e gettavano a terra il mio vassoio colmo di roba.
La mia stanzetta era buia fredda, e persino Mayu si era allontanata.
Il momento della giornata che preferivo di più quindi, era rivedere Lucius nel pomeriggio tardi.
Era per lui che subivo tutto questo.
Era lui che aveva la capacità unica di farmi dimenticare ogni dolore.
Il problema grande però, era che il suo doveva essere davvero immenso.
Intanto cercavo di elaborare un piano.
Dovevo trovare testimoni disposti a parlare in tribunale a favore del mio ragazzo, ma chi sarebbe stato tanto coraggioso da mettersi contro il proprietario di società mondiali e potentissime?
Comunque chiedendo non avrei perso niente così mi recai dall’unica persona che mi ispirava fiducia in quel momento.
La professoressa Walter.
«Dimmi cara» sorrise, facendomi cenno di sedermi accanto a lei nel suo studio.
Accanto e non di fronte.
Adoravo quella donna, riusciva sempre a metterti a tuo agio.
«Ha saputo di Lucius, vero prof?» chiesi, sicura che fosse informata.
«La versione che conosco è che è caduto rovinosamente dalle scale di casa sua... ma qualcosa mi dice che la trasposizione del preside non sia poi così attendibile. Dico bene?» rispose preoccupata.
Annuii. «No, non lo è affatto» confermai.
«Dimmi tutto cara. Cosa è successo al mio allievo preferito?» domandò affranta.
Respirai profondamente. Lei avrebbe capito. Lei avrebbe fatto qualcosa.
No?
«Lei conosce Ephram Magnus?» chiesi.
Lei annuì. «È il figlio di uno dei può importanti finanziatori della scuola. Inoltre svolge una sorta di tutoraggio, aiutando il preside in alcuni affari diplomatici. La scuola è prestigiosa, perciò molto spesso il dirigente chiede consiglio e aiuto a gente esperta e di spicco» spiegò.
«Beh vede... Ephram è il fratellastro di Lucius. Ephram è la persona che ha fatto del male a Lucius per molto, troppo tempo. Ephram è la causa dello stato disumano in cui versa Lucius. Ephram è uno psicopatico che ha torturato Lucius sotto i miei occhi per ben due volte, e che l’ha fatto all’oscuro da tutti per anni» raccontai, le lacrime agli occhi.
«Ania... tesoro calmati! Raccontami tutto dall’inizio, raccontami tutto nei particolari» chiese affranta. Sembrava scioccata da quelle rivelazioni, ma sembrava anche desiderosa di sapere.
L’accontentai, e quando ebbi finito di raccontare tutto, anche i suoi occhi si velarono di lacrime.
«Povero il mio ragazzo! Quanto ha dovuto soffrire! Ma ora è finita, no? Quel pazzo è stato imprigionato. L’hai detto tu stessa!» notò.
Scossi il capo.
«Magari fosse così semplice prof. Per fermarlo del tutto, e farlo condannare del tutto, ho bisogno di testimoni» cominciai.
Lei annuì.
«Purtroppo la situazione è critica e nessuno si esporrebbe tanto, visto con chi abbiamo a che fare. Ma io voglio comunque chiederglielo prof. Vuole aiutare Lucius?» chiesi disperata.
Lei sembrò pensarci per un po’. Mi guardò negli occhi.
«Naturalmente. Conta su di me» sorrise.
C’era ancora speranza.
 
 
 
*******
 
 
Sei settimane. Sei lunghe settimane.
Ero al limite.
A scuola mi prendevano di mira senza pietà, e all’ospedale vedevo Lucius deperire sempre di più.
Il suo aspettare era come un’agonia pressante.
Mi guardava con disperazione, come se fosse straziato da una colpa senza via d’uscita.
Avevo capito che temeva per me più di qualsiasi altra cosa.
In fondo l’aveva detto chiaramente: non gli importava più di se stesso.
Yuri spariva e ricompariva, ma lui non faceva domande, non le diceva niente.
Si lasciava addirittura accarezzare i capelli da lei, come un leone distrutto che si lascia toccare dolcemente dal bracconiere dopo essere stato sparato dritto al cuore.
Faceva finta di dormire e di non accorgersi di nulla, ma io sapevo che l’unica cosa che lo assillava era l’attesa della fine.
Tra lui e Yuri c’era una promessa legata fatalmente a me. Forse era per questo che Lucius le lasciava fare a modo suo. Forse era per questo che le permetteva di fare la madre dopo quasi diciotto anni di assenza.
Era venerdì quando il medico ci disse che Lucius sarebbe potuto tornare a casa lunedì.
Naturalmente sarebbe dovuto tornare per dei controlli periodici e obbligatori, ma poteva lasciare finalmente l’ospedale.
Non doveva affaticarsi, non doveva assolutamente compiere gesti bruschi o pericolosi, doveva prendere gli antibiotici per le ferite degli organi interni ancora fresche e doveva cambiare la fasciatura ogni giorno per almeno altre tre settimane.
Ero così felice di portarlo via da lì!
Fuori da quel posto deprimente di sicuro avrebbe ritrovato se stesso.
Io volevo rivedere il suo sorriso.
Lunedì mattina lo aiutai a rimettersi in piedi, a darsi una rinfrescata e a vestirsi.
Tutto si svolse in silenzio religioso, e quando arrivammo alla reception dell’ospedale, tutto il dolore precedente sembrò essere solo un brutto ricordo.
Lucius camminò appoggiato a me per tutto il tempo. Mi aveva messo un braccio intorno alle spalle e camminava lentamente e con prudenza.
Quando trovammo un taxi e si sedette al mio fianco però, cacciò un piccolo singulto.
«Forse è ancora presto. Forse è stato azzardato da parte del medico farti uscire così presto!» sussurrai allarmata.
«Sto bene. Sta’ tranquilla presto ritornerò a prendere a calci qualche fondoschiena. Inoltre ho intenzione di spaccare la faccia a chi ha osato farti un livido sullo zigomo destro, a chi ha messo della terra nel tuo armadietto e a chi ti ha turbato mentre non potevo proteggerti. Saranno puniti senza pietà» sentenziò con sguardo cupo.
«Non credo proprio che avverrà mai ciò che prospetti, razza di alieno bullo che non sei altro! Tu non potrai usare i tuoi possenti muscoli per un bel po’» affermai decisa.
«Possenti muscoli, eh? Ti piacciono così tanto i miei possenti muscoli? In verità sono davvero possenti! Possenti... mi piace questa parola. Io sono possente...».
«Okay, smettila o scendo» lo minacciai rossa in viso come un pomodoro.
In realtà i suoi muscoli non erano possenti, e dopo il soggiorno in ospedale era dimagrito molto.
Quando lo avevo aiutato a cambiarsi mi ero resa conto di quanto si fosse assottigliato il suo corpo. Non che prima fosse stato imponente! Ora però le sue bellissime linee aggraziate, che rendevano ogni suo movimento elegante e armonioso, sensuale e felino, si erano trasformate in angoli.
Gli abiti che prima lo fasciavano alla perfezione rendendolo un dio del pianeta feromone, ora cadevano troppo, mostrando un ragazzo magro, debole e distrutto.
Ripensai alla mia ricerca di testimoni in quelle ultime settimane. Ripensai alla reazione di ogni singola persona e poi ritornare a guardare Lucius, che tenendomi la mano osservava la città scorrere sotto i suoi occhi dal finestrino del taxi.
Lui sarebbe guarito. Avrei leccato tutte le sue ferite, guarendole per sempre.
 
Arrivati a casa lo aiutai a sedersi sul divano. Poi portai le sue cose dalla reception all’appartamento.
«Certo che è proprio deprimente.  La mia ragazza che porta su cose pesanti al posto mio. Sono proprio un buono a nulla» mormorò triste.
«Lucius... sei solo debole. Non sei un buono a nulla. E poi se non ti aiuto io che sono la tua ragazza! Io lo faccio davvero col cuore» risposi sorridendo.
Mi guardò intensamente  e sprofondai in quel mare ghiacciato.
Mi avvicinai e mi sedetti accanto a lui.
Poi gli circondai le spalle e poggiai la testa sul suo petto, facendo attenzione a non fargli male.
«Ania, ti devo parlare» mormorò, non ricambiando il mio abbraccio. Era strano ma io sapevo già cosa avrebbe fatto.
In quel momento mi venne in mente il viso di Dean, l’angente di polizia tanto gentile che mi aveva aiutata.
La situazione si sarebbe risolta grazie a me e grazie a lui.
Quando gli avevo chiesto perché si fosse esposto tanto, l’uomo mi aveva risposto tristemente che la moglie gli era morta tra le braccia per un affare losco molto simile al nostro. La povera donna si era trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato ed era stata tolta di mezzo perché sapeva troppo. Dean mi diede un buffetto sulla guancia e mi sorrise. Mi ringraziò perché si sentiva meglio grazie a me.
Era stata una fortuna, ma pensai che ogni tanto anche il fato doveva schierarsi dalla nostra parte dopo tante, troppe disgrazie.
Il processo si sarebbe tenuto tra un mese esatto, e stavolta i Magnus non avrebbero potuto corrompere nessuno.
Scacciai quei pensieri per concentrarmi su Lucius, l’unica vittima della situazione, che ancora credeva di potermi allontanare da lui.
«Ti ascolto» concessi.
«Grazie infinite per tutto ciò che hai fatto per me, ma...» si bloccò e mi guardò intensamente.
«Prima che tu possa dire cose come “non ti amo più” oppure “non sei la persona giusta per me”... lascia che ti dica una cosa» sgranò gli occhi e un respirò spezzato gli si fermò in gola.
«Ania...».
«Ci sarà un processo, Lucius. Il mese prossimo. Finalmente Ephram finirà all’inferno» dissi fiera.
«Non può essere» sussurrò incredulo.
«Oh, si che può!» sorrisi.
«Ania, Ephram uscirà di prigione in un modo o nell’altro e poi mi spedirà sotto minaccia in un istituto di detenzione in Giappone. Me l’ha promesso. Se fosse accaduta una cosa del genere lui si sarebbe vendicato così. In quegli istituti vengono imprigionate persone come piccoli criminali, vagabondi e mafiosi pentiti. Mi uccideranno in quella topaia e tu non potrai fare niente perché sarai lontana da me. Ci separeranno per sempre» spiegò. Rabbrividii pensandolo in un posto simile.
Lo abbracciai più forte.
«Mentre eri mezzo morto in ospedale ho cercato testimoni disposti a collaborare con noi. Testimonieranno per te in tribunale» spiegai con voce rotta per la commozione.
«Cosa? E chi sarebbero questi folli?» chiese incredulo.
«La professoressa Walter, Mayu, Luca, io, tua madre... » gli elencai i nomi.
«Nessuno farebbe una cosa tanto pericolosa per me» mormorò pensieroso.
«Beh tua madre racconterà tutta la storia, io confermerò le ultime violenze e minacce subite e aggiungerò la tentata violenza sessuale. La professoressa, Mayu e Luca spiegheranno che persino a scuola eri vittima di ingiustizie. Sono addirittura venuta a sapere che Ephram veniva spesso per controllarti e per...» mi bloccai.
Quando Lucius era ancora al secondo anno, Ephram lo aveva chiuso nell’ufficio del preside e ne era uscito ricoperto di lividi.
«Ania, che cosa hai fatto?» chiese accigliato «Non capisci che in questo modo verranno arrestate molte persone? In questo modo molta gente dei piani alti si arrabbierà parecchio. Se io sono morto mi spieghi come farò a proteggerti?» chiese disperato.
Rabbrividii.
«Tuo padre non può corrompere la commissione, né tantomeno il giudice. È successa una cosa che ha fatto sì che si prendessero precauzioni a riguardo. Alcuno poliziotti hanno fatto il nome di tuo padre per salvarsi la pelle. Erano impelagati in un giro di droga sotto il comando di tuo padre e loro hanno preferito la libertà ai soldi. Lucius è una cosa grossa, ma per loro ormai è impossibile uscirne puliti» spiegai. Lui continuava a fissarmi ma il suo sguardo era cambiato. Adesso sembrava serio.
«Tuo padre ha drogato tua madre, l’ha costretta ad abbandonare suo figlio, minacciandola di uccidere il bambino. Ha incaricato Ephram di sorvegliarti e quest’ultimo ha continuato a fare violenza su di te per anni. La prova? Il tuo stesso corpo Lucius! Credi veramente che una cosa del genere possa essere lasciata da parte o ignorata?» chiesi mentre lui abbassava gli occhi «Ephram finirà in galera a vita o in qualche ospedale psichiatrico, e tuo padre avrà grane a vita. La sua reputazione crollerà e forse riuscirà ad avere i domiciliari ma comunque crollerà nella vergogna!» dissi. Lui annuì. «Sì. La vergogna di avere un figlio bastardo» mormorò «ti rendi conto del casino in cui ti ho messa? Ti ho costretta a giocare alla piccola detective pur di stare insieme. Avrei dovuto lasciarti molto tempo fa. Il problema è che non ho voluto. Perdonami Ania, perdonami se ti ho messa in pericolo sin dall’inizio. Sarebbe stato meglio se non fossi mai nato!» sorrise mesto, amaro.
Trasalii.
Lo schiaffeggiai.
«Credevo fossi un po’ meno idiota, sai? Come ti è venuto in mente di pensare una cosa del genere? Ti rendi conto di quello che hai appena detto? Vergognati!» sentivo le lacrime pungermi gli occhi.
Feci per alzarmi ma lui mi bloccò.
Mi prese il polso e mi attirò a sé, stringendomi tra le sue braccia come se fossi una bambina disperata.
«Hai ragione, scusa tanto Ania» sussurrò al mio orecchio «in effetti non ti ho mai detto che rinascerei e sopporterei mille e mille volte ancora questa merda, solo per rincontrarti di nuovo».
Rimanemmo abbracciati per un tempo che sembrò infinito mentre singhiozzavo come un’idiota. Tutto quello che fino ad allora avevo represso per nasconderlo a Lucius, uscì fuori come un fiume.
Lui era tutto per me.
Io ero tutto per lui.
 
------------------------------------------------ ANGOLO DELL'AUTRICE --------------------------------------------------

salve donzelle! rieccomi qui, spero puntuale. sto cercando di aggiornare ogni settimana chissà se rieuscirò a mantenere questo ritmo... le cose si stanno complicendo ulteriormente a quanto pare (in fondo stiamo cmq parlando di due adolescenti e non di due extraterrestri. ogni persona ha le sue debolezze, i suoi chiodi fissi ecc ecc).
spero cmq che il cap vi sia piaciuto e apsetto con ansia i vostri commenti.
^^ ringrazio tutte le buone anime che come sempre si fanno vive e ringranzio anche i lettori silenziosi.
un bacio alla prossima...
dalla vostra 
Fiore
<3 
 

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Capitolo 22
*** Minaccia mortale ***


Capitolo 22
 
Minaccia mortale
 
 
 
Quando ci staccammo dall’abbraccio barra rifugio avevamo un espressione commossa.
«Non posso credere che qualcuno abbia fatto tutto questo per me» mormorò incredulo guardandomi negli occhi.
«L’ho fatto perché ti amo. E comunque se ti interessa ho fatto anche la spesa» sorrisi, poi gli baciai la guancia.
Lui guardò verso la penisola della cucina sulla quale c’erano tante buste colme di roba.
«Oh» disse soltanto.
«Oh? Ehi, visto che non conosco bene i tuoi gusti in fatto  di cibo, ho preso di tutto!» spiegai.
«Beh, grazie, ma quanto hai speso?» chiese abbassando lo sguardo. Rimasi basita.
«Non è affar tuo» risposi falsamente irritata, gli feci la linguaccia.
«Ania, ti ho permesso di stressarti e fare avanti e indietro tra scuola e ospedale solo per due motivi: perché non ero in grado di alzarmi, figuriamoci fermarti, e perché mi sono sentito così solo che la parte preferita della mia giornata era la tua visita» disse.
«Anche la mia» sussurrai arrossendo.
«Non sono riuscito a proibirti di mettere a repentaglio la tua vita, ma ora non ho intenzione di dipendere da te così tanto. Ti prego, per me è importante. Quanto hai speso? Non voglio sentirmi in debito con te. Sei l’unica persona che non voglio lasciare indietro. Per favore» sembrava che non si capacitasse del fatto che l’amavo e che era naturale che facessi cose così per lui. Aiutarlo, sostenerlo, fare la spesa, amarlo... sembrava troppo. Come se non lo meritasse.
«Lucius... io farei qualsiasi cosa per te, e non mi sento affatto indietro, mi sento bene.
Quando due persone si amano si aiutano a vicenda, si prendono cura l’una dell’atra e fanno il possibile per rendere felice e non far soffrire l’altra. All’inizio eri tu a prenderti cura di me, a salvarmi, ricordi? Ora ho solo fatto ciò che sentivo. Inoltre da quando sono innamorata di te mi sento così strana, ma così... viva! È come se avessi costantemente paura di non rivederti mai più, ma ogni volta che ti penso... è magico, è... non so descriverlo. Sono completamente dipendente da te» arrossii così tanto che credei di morire, ma dovevo dirgli ciò che significava per me.
«Per me è lo stesso» mormorò mentre sulle sue labbra aleggiava un sorriso.
«Inoltre sei davvero dimagrito! Perciò quel cibo non può farti altro che bene!» ammiccai.
«Già i miei possenti muscoli! Ti mancano?» chiese cupo.
«Hai solo perso peso, i tuoi muscoli ci sono ancora, perciò non mi manca nulla» risposi.
«Ricordi quando ti ho detto che mi sentivo come un deportato ad Auschwitz? Beh, ora ci sembro anche. Basterà rasarmi i capelli e sembrerò un ebreo» disse amaro.
Gli presi il viso tra le mani.
«Punto primo: ultimamente dici una marea di idiozie. Se sei depresso dimmelo, ti compro un gelato. Punto due: i tuoi capelli sono di mia proprietà, mi piacciono molto e non sei autorizzato a tagliarli. Punto terzo: sei il ragazzo più bello che abbia mai visto. Sei così irresistibile che spesso non riesco a credere che tu sia vero. E anche se ora non sei nel pieno delle tue forze, il tuo viso rimane sempre il mio paesaggio preferito. Perciò non sembri un ebreo. Inoltre ti ingozzerò così tanto che i tuoi vecchi vestiti ti riandranno alla perfezione tra qualche settimana» promisi.
Sorrise mesto, poi mi baciò.
Quello era il suo modo di dirmi grazie.
 
 
*******
 
 
Il ritorno di Lucius a scuola non fu dei migliori.
Il testardo ragazzo che mi aveva ghermito il cuore con la stessa violenza con cui picchiava gli altri bulli, aveva deciso che era giunto il momento di ritornare all’Orpheus, ma naturalmente era troppo presto.
Stare seduto a lungo su una sedia di legno non era il massimo della comodità per uno che avrebbe dovuto rimanere a letto per almeno altre tre settimane, ma ovviamente non ci fu modo di convincerlo del contrario.
I professori lo salutarono con un “bentornato” ma non aggiunsero altro.
Persino la professoressa Walter aveva mantenuto un comportamento normale, tenendo nascosto ciò che ci eravamo dette.
Nella pausa di metà mattina, Jane e il suo gruppo si avvicinarono.
Lei lo abbracciò restando alzata, mentre lui era ancora seduto.
«Oh Lucky... ero così preoccupata! Dimmi stai bene ora? Avrei voluto venire a salutarti in ospedale o a casa, ma avevo paura di disturbare» disse fintamente dispiaciuta, guardando me con disprezzo subito dopo.
«Non toccarmi» mormorò soltanto Lucius.
La ragazza sembrò allibita «Ma siamo vecchi amici, non dirmi che hai paura che la tua “ragazza” diventi gelosa! In fondo il nostro legame è più vecchio del vostro, no?» starnazzò «Noi saremo sempre due pezzi della stessa anima, il nostro rapporto...».
«Jennifer» la interruppe Yuki – sama «basta così. Il nostro rapporto è malato, prettamente carnale e soprattutto non è alla pari. Non ricambio affatto, e lo sai da sempre. Inoltre la mia anima potrà anche bruciare all’inferno, ma la tua è molto più immonda. Credimi» mormorò.
Lei sembrò diventare viola... poi scomparve.
Sorrisi a Lucius. Non avrei mai immaginato che potesse sbarazzarsi di una tale sciacquetta in quel modo così... sexy.
 
Dopo le lezioni ci dirigemmo a mensa. Camminavamo piano, mano nella mano e accanto ai muri per permettere a Lucius di sostenersi.
Arrivato al centro del corridoio Lucius si fermò.
«Ania... fermiamoci un attimo» chiese provato.
Lo assecondai guardandolo con preoccupazione. Stava bene?
Si portò una mano all’addome, e cercò di respirare a fondo senza procurarsi dolore.
Chiuse gli occhi e si appoggiò con la spalla destra al muro.
«Ehi, va tutto bene?» chiesi preoccupata.
«Sto bene, ho avuto solo un capogiro» disse tremando leggermente.
«Vedrai, appena metterai qualcosa sotto i denti...» ma non ebbi il tempo di finire la frase.
«Ehi Bell, bentornato demone bastardo!» ridacchiò Nick, dando a Lucius una pacca sulla spalla davvero troppo forte.
Fu così violenta che il corpo di Yuki - sama si sbilanciò dolorosamente, facendolo ansimare e stringere i denti.
«Mm» si lamentò piano cercando di mantenere il controllo.
«Lucius!» pigolai. Gli misi una mano sulla spalla libera cercando di dargli sostegno.
«Mi avevano detto che ti eri fatto male, ma non pensavo ti fossi rammollito fino a questo punto! Sembri uno zombie» sghignazzò seguito a ruota dai suoi scagnozzi.
«Nick, ti prego lasciaci in pace... Lucius non può rischiare di farsi ancora del male...» cominciai, tentando di calmare le acque.
«Oh oh Bell! Adesso ti fai anche proteggere dalla tua ragazza – moscerino!? Che bel quadretto!» sbraitò.
«Nick... te lo chiedo per favore» mormorai.
Lui sorrise sornione «Pregami in ginocchio scarafaggio, magari avrò voglia di ascoltarti!» suggerì subdolo. Sentii Lucius irrigidirsi e contrarre la mascella.
«Sai Nick... mi sei mancato in fondo... non avevo nessuno a cui spaccare la faccia! In questo momento avrei proprio bisogno di sfogarmi con qualcuno!» lo ammonì Lucius, scoccandogli un’occhiata truce.
«Come al solito sei troppo pieno di tè, Bell» asserì il grassone, preparandosi a colpire Lucius proprio al costato.
«No!» urlai. Mi frapposi tra i due.
«Ania!» trasalì Lucius, tirandomi a sé e parandosi davanti al posto mio.
Sentii perfettamente il rumore sordo del colpo che si scagliava sulla schiena del mio Yuki – sama, e trasalii vedendolo ansimare mentre si accasciava al suolo.
«Lucius!» urlai, cercando di sostenerlo. Lui poggiò la testa sulla mia spalla, mentre tremava e cercava di reggersi in piedi.
«Si può sapere che cavolo vuoi da lui? Ma non lo vedi che sta male? Sei davvero così cieco? Sei davvero tanto crudele?» chiesi incredula.
«E va bene, e va bene. Allora facciamo così. Sono curioso di vedere le tue ferite Bell. Voglio prendere spunto! Poi vi lascerò in pace» sogghignò con uno sguardo disgustoso.
Il silenzio calò su di noi e sui curiosi che si erano fermati a guardare.
Lucius annuì con un’espressione indecifrabile, si appoggiò al muro e si voltò verso Nick.
Si sbottonò la giacca, poi la camicia. Si strappò le bende di dosso e le lasciò cadere a terra.
Tutto sembrò fermarsi.
L’espressione beffarda, malefica e arrogante di Nick e dei suoi congelò, tramutandosi in incredulità.
Sorpresa, poi turbamento, poi compassione, poi disgusto e infine consapevolezza.
«Bell... ma chi ti ha ridotto così?» chiese Nick spaesato, costernato, incredulo.
«Vuoi davvero saperlo?» lo sfidò Lucius. «È stato un bastardo come te, di’ ti piace?» chiese amaro il mio angelo caduto.
I presenti mormorarono a bassa voce, con sguardi increduli e impietositi.
«Lucius... io non... il tuo corpo è... tu sei... !» cominciò il ragazzo. Era la prima volta che lo sentivo chiamare Yuki per nome.
«Cosa?» tuonò Lucius «Distrutto? Ferito? Sfregiato? Disgustoso? Deperito? Dimagrito?... Un mostro?» sbottò Lucius. Era davvero amareggiato.
I presenti avevano lanciato gridolini di sorpresa alla vista del suo corpo. Chissà come doveva essersi sentito! Era stato costretto a mostrarsi al mondo, a mostrare la sua croce.
«Debole» mormorò Nick davvero scioccato. Non sembrava un insulto, non stavolta. Né un modo di vendicarsi.
«Debole? Andiamo Nick! La persona che mi ha fatto questo non aveva l’obbiettivo di rendermi debole... dovresti saperlo! In fondo non sei tu che sai sempre tutto perché sei il nipote del preside? Non sei tu che hai il monopolio delle informazioni?» lo sfidò Lucius. Nick indietreggiò.
«Che cosa c’entra mio zio con questo?» domandò perplesso e intimorito indicando le ferite, i lividi e le cicatrici di Lucius.
«Mi deludi, Nick. Eppure tuo zio è in stretti rapporti con questa persona! Anzi, è proprio tuo zio che la copre ogni volta che viene proprio qui per farmi cose come questa» mormorò Lucius, gli occhi fissi in quelli del ragazzo.
«Non ci credo» sussurrò con gli occhi sbarrati «io non ti credo Bell. Mio zio non può essere una persona del genere. Lui protegge i suoi studenti, lui...» si accorse da solo della falsità delle sue parole «… non lo sapevo! Davvero!» scosse il capo in preda al panico.
Ripensai al signor White e al modo in cui aveva sempre cercato di mettere Lucius con le spalle al muro.
«Certo che non lo sapevi! Non lo sai? I corrotti come tuo zio mostrano solo la schifezza alle persone che gli stanno vicino, la vera merda è sempre sotto il tappeto» spiegò Lucius.
«Io... credevo ti avessero spinto giù dalle scale!» disse Nick.
«Beh credevi male» rispose risoluto il mio ragazzo.
«Bell...» cominciò l’altro.
«Basta così ora. Quando mi sentirò meglio la farò pagare a te, a Jane e a tutti i vostri amichetti per aver molestato Ania in mia assenza. Ma per ora lasciami in pace. Ti conviene» minacciò Lucius.
Mi circondò le spalle e appoggiandosi un po’ a me mi condusse lontano da tutto quel trambusto.
 
 
*******
 
 
 
 
«Non eri costretto a mostrarglielo» affermai seria, mentre gli fasciavo l’addome con delle nuove bende «lui non merita spiegazioni... se penso che ti ha colpito comunque nonostante abbia visto le tue condizioni...».
«Ania, va bene così» assicurò con voce monocorde «tu stai bene?» chiese, guardandomi con la coda dell’occhio.
«Sono parecchio incazzata ma sto benone! Lo sai non so come sia successo ma questa situazione mi ha resa più forte, e non sto avendo attacchi di panico da un bel po’» l’informai raggiante.
«Sono davvero felice per te» sorrise mesto.
Poi si voltò di nuovo di spalle.
Seguii la linea della sua spina dorsale con le dita, delicatamente, sfiorandolo.
Passai alle scapole davvero evidenti, e poi circondai le spalle scolpite.
Si voltò con un’espressione indecifrabile sul viso, e lo sguardo interrogativo.
Me lo trovai davanti a torso nudo, coperto solo dalle bende.
Un sorriso mi solcò le labbra.
Passai le dita sulla clavicola buona, quella ancora immacolata. La muscolatura della spalla era cesellata e armoniosa, in una simbiosi perfetta con il bicipite elegante.
I muscoli dei pettorali erano una vista sublime, e gli addominali perfetti e scolpiti erano una visione.
Sui fianchi aveva le tipiche fossette di un bel corpo maschile, un adone greco con linee perfette e sinuose.
Sfiorai tutto questo con le mie dita, e aiutata dalle bende tralasciai il fatto che la pelle color alabastro fosse sfregiata da cicatrici e ferite impietose.
Il fatto di aver perso peso lo aveva reso soltanto più smilzo e delicato alla vista, ma rimaneva comunque qualcosa di sconcertante.
Lucius Yuki Bell dal pianeta feromone.
Lui alzò il braccio e mi sfiorò lo zigomo con le dita lunghe e affusolate, mi mise una ciocca di capelli dietro l’orecchio, e poi mi sollevò il viso con un dito sotto il mento.
I suoi occhi metallici, profondi, liquidi si inoltrarono nei miei.
Mi sospinse verso il muro dell’appartamento e poi mi bloccò con le braccia, come se mi avesse rinchiusa in una gabbia.
Si abbassò lentamente, prudentemente.
Poi posò la sua fronte sulla mia.
Io gli carezzai le guance e successivamente intrecciai le mie dite ai suoi capelli di sole.
Stavo coccolando un angelo. Il mio.
Le nostre bocche si trovarono, si sfiorarono, respirarono la stessa aria.
Il bacio divenne intenso, bruciante, mi prese la testa tra le mani e la fece appoggiare al muro per continuare a sostenersi con i gomiti.
Le mie mani si insinuarono nella foresta dei suoi capelli e accarezzarono la sua nuca sottile.
La sua bocca scese sul mio collo, baciando la vena pulsante appena sopra la clavicola.
Un sospiro squarciò il silenzio, e mi accorsi di stare ansimando.
L’emozione che cresceva nel mio stomaco stava risalendo alla gola, alle guance, fino alla punta dei capelli.
Portai le mani sulle sue spalle e sentii sotto la pelle i muscoli tesi e la sua stessa pelle vellutata.
Lucius risalì, prendendo di mira la zona di collo sotto l’orecchio destro.
Un altro sospiro mi uscì di bocca, facendomi trasalire.
Lui si accorse che mi ero irrigidita e si scansò di poco, fermandosi.
Non volevo si fermasse, ma non volevo nemmeno spingermi oltre.
Era un territorio inesplorato.
«Sei proprio una mocciosa» sorrise raggiante e con un po’ di fiatone.
«Non voglio che ti stanchi troppo» sorrisi a mia volta.

«Mm... che ragazza previdente» si compiacque.
«Già, mi devi la vita» ammiccai.
«Potrei ripagarti mostrandoti quante doti nascoste e meravigliose possiede il sottoscritto» propose sensuale.
«Credimi, mi bastano e avanzano quelle ben visibili» risposi rossa in volto.
Sghignazzò piano, tenendosi la pancia.
«Ah certo, dimenticavo: i miei possenti muscoli» sorrise. In quel momenti desiderai che non smettesse mai di farlo.
«Già» concessi.
Si raddrizzò piano, poi mi accarezzò la guancia sinistra.
«Ania... qualsiasi cosa succeda, ricordati che ti amo» mormorò.
Lo guardai intensamente.
«Ti amo anche io».
 
 
*******
 
 
Quella mattina stavamo camminando lungo la strada che portava a scuola quando una grossa macchina nero metallizzato, si fermò in mezzo alla strada.
Il mio cuore cominciò a battere fortissimo quando un uomo in smoking grigio e cravatta nera ci raggiunse.
Portava un cappello e un foulard che gli copriva metà volto.
Lucius mi si parò davanti.
«Signor Lucius Yuki Bell?» chiese, la voce minacciosa ma anche diplomatica e ferma.
«Sì, sono io. Lei chi è e cosa vuole da me?» rispose Lucius risoluto e serio.
«Il signor Magnus Charles Senior desidera incontrarla. Si tratta di sua madre, la signora Yuri Bell» l’informò l’uomo misterioso.
«Che cosa avete fatto a mia madre?» chiese Lucius torvo. Ora anche lui sembrava minaccioso.
«La signora sta bene, ma il mio padrone ha bisogno di sincerarsi della situazione» asserì l’uomo.
«La situazione è questa amico: io non ho nessuna voglia di incontrare mio padre. Anzi portagli questo messaggio da parte mia: preferirei conficcarmi degli spilli negli occhi piuttosto che respirare la sua stessa aria anche solo per un minuto. Addio!» sbottò Lucius, cominciando a camminare.
«Aspetti signore. Il padrone ha sotto la sua protezione Yuri Bell, questo per lei non vuol dire niente?» chiese l’uomo, con l’aria di chi sa di avere il coltello dalla parte del manico.
«Di’ un po’, chi ha cercato chi?» chiese palesemente seccato Lucius.
«Il padrone ha preferito prendere delle... precauzioni» ammise ghignando l’uomo in smoking.
Lucius sorrise mesto e ironico allo stesso tempo.
«Quella stupida» mormorò. Poi si voltò portandomi per mano.
«Se vuole parlare con me, sa dove trovarmi» disse all’ uomo senza guardarlo.
Charles aveva fatto la sua prima mossa.


--------------------------------------- ANGOLO DELL'AUTRICE -----------------------------------------------------
salve donzelle, fin'ora sono riuscita a postare un cap a settimana spero di riuscire a proseguire con questa velocità.
nel frattempo ringrazio tutti coloro che si sono fermati a leggere e a recensire. grazie davvero di cuore <3
cosa ne pensate??
alla prossima baci baci
Fiore
<3

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Capitolo 23
*** Attesa ***


Capitolo 23
 
Attesa
 
 
 
La cena si era freddata e nessuno di noi aveva toccato cibo.
«Credi le avranno fatto del male?» chiesi ancora una volta dopo un silenzio lunghissimo.
«Non lo so» rispose, rigirando il cibo nel piatto.
«Devo fare una telefonata» dissi alzandomi dallo sgabello della penisola della cucina di Lucius.
Lui non mi guardò nemmeno. Sembrava davvero superconcentrato su qualcosa.
Mi chiusi in bagno e poi composi il numero.
Dean rispose dopo il primo squillo.
«Buonasera Ania. Novità?» chiese repentino.
«Salve Dean... questa mattina uno scagnozzo di Magnus ha fermato Lucius per strada. Ha detto che Charles aveva in pugno la madre di Lucius e che voleva incontrarlo» spiegai in breve.
«Qualcuno ha visto la scena?» chiese apprensivo.
«No, la strada era deserta a quell’ora. La cosa terrificante di cui mi sono accorta, è che sono informati sugli orari di scuola di Lucius, sanno dove abita e conoscono bene i modi di intimidirlo» spiegai preoccupata.
«Lui dov’è? Sta bene?» chiese il poliziotto.
«Non direi.  Sembra teso come una corda di violino. Sta riflettendo su qualcosa ma non so cosa, e ciò mi spaventa. Ho paura di ciò che potrebbe fare»  dissi «come dovrei comportarmi?».
«Non perderlo d’occhio» mi avvertì Dean.
Quando ritornai in cucina Lucius era ancora immobile, fermo nella stessa posizione in cui l’avevo lasciato.
Mi risedetti al suo fianco.
«Tu e quel poliziotto vi metterete nei guai» mi ammonì con voce fredda.
«Sto solo cercando di darti una mano. E anche Dean vuole farlo» assicurai.
«No. Stavolta non posso permettertelo. Stanne fuori Ania. A questo penso io. Non ti devi preoccupare per Yuri. La troverò» disse serio.
«Hai deciso di incontrare tuo padre?» chiesi incredula.
«Non ne sono ancora sicuro, ma è l’unico modo che mi resta per capire dove la tengono» spiegò.
«Parli come se l’avessero rapita» sussurrai.
«Quando una persona tiene in ostaggio un’altra persona per usarla come esca... direi che si tratta di sequestro» affermò amaro.
«Allora non dovremo denunciare tuo padre alla polizia?» chiesi.
«Hanno mia madre! E di sicuro hanno qualcuno che mi sorveglia... chi mi garantisce che non la uccideranno nel momento in cui alzerò la cornetta per chiamare la polizia?» mi fece notare. In effetti più scoprivo cose sul conto di Charles e più mi rendevo conto che Lucius conosceva bene i suoi nemici.
«Lucius... promettimi che non farai nulla di stupido» supplicai a occhi bassi.
«No, Ania. Promettimelo tu. Promettimi che ne resterai fuori. Questa è una faccenda tra me e mio padre» asserì.
«Lo so, ma so anche che non potrai farcela da solo. I rischi sono enormi» affermai.
«Lo so. Ma non posso fare altrimenti. È pur sempre mia madre» mormorò.
L’abbracciai.
 
Quando arrivò il momento di andare a letto, mi sistemai sul lato sinistro e mi raggomitolai su me stessa.
Avevamo dormito insieme già altre volte, ma quella era la prima in cui mi sentivo a disagio.
Nelle notti predenti Lucius si era sentito male a causa dei farmaci e dei traumi allo stomaco, e avevamo trascorso la nottata sul pavimento del bagno, mentre nelle notti rimanenti eravamo così stanchi dopo scuola che crollavamo sul divano.
In definitiva, quella era la prima notte in cui avrei dormito consapevolmente nel letto del mio ragazzo.
Lucius, pantaloni lunghi della tuta e petto nudo, si sistemò sul lato destro voltandomi le spalle.
«Buonanotte, Lucius» dissi.
«Buonanotte» rispose esausto.
Mi girai anche io dandogli le spalle, ma non so per quale motivo in quel momento sentii le lacrime agli occhi.
Ne avevo passate davvero tante in quei giorni, e tutto era sempre stato accantonato in un angolo della mia mente, perché superfluo o meno importante.
In quel momento mi sentii fragile, sola, piccola e indifesa, e percepii la disarmante sensazione che qualsiasi cosa potesse ferirmi.
Lucius mi aveva salutata freddamente, dandomi le spalle, e non si era girato, lasciandomi sola nel mio buio.
La mia parte razionale capiva perfettamente che fosse sconvolto e tormentato a causa della preoccupazione per Yuri, per sé e per me. Capiva anche che fosse esausto a causa delle sue condizioni di salute ancora molto precarie. Ma il mio lato emotivo... era distrutto.
Cominciai a singhiozzare sommessamente, in silenzio.
Io e le mie lacrime.
Piansi per il buio solitario in cui stavo, piansi per Lucius, per Yuri, per mia madre e mio padre che non avrebbero mai capito, piansi per le cattiverie dei compagni a scuola e per Mayu che non mi degnava più di uno sguardo.
Sentii un movimento impercettibile provenire dal lato di Lucius.
Ma non riuscii a fermare le lacrime né a controllare che non si fosse accorto di nulla.
«Ania!» lo sentii trasalire.
Si avvicinò a me strisciando tra le lenzuola, poi mi attirò a sé racchiudendomi in un bozzolo protettivo.
Mi fece posare la testa sul suo braccio, e mi fece poggiare la schiena al suo petto.
Mi guardava preoccupato e nel contempo mi stringeva dolcemente accarezzandomi i capelli.
«Mi chiedevo quando saresti crollata. Sei davvero forte ragazzina» si congratulò.
Mi voltai poggiando piano la testa al suo petto ferito e mettendo le mani sui pettorali scolpiti. Mi meravigliai del fatto che stesse attendendo un mio cedimento e mi resi conto che nonostante fosse circondato da cose così terribili e complicate, Lucius pensava sempre a me. Come io avevo nel cuore sempre lui.
«Ehi... ti prego sfogati con me» chiese dolce, mentre mi baciava la testa.
«Mi dispiace tanto» riuscii a dire soltanto.
Continuai a ripeterlo tra le lacrime, ma quando il dolore al petto sembrò scoppiare ansimai forte e mi strinsi di più a lui.
Mi maledii per la mia debolezza. Mi sentivo come una busta della spesa troppo piena di roba, che tentava in tutti i modi di non rompersi nonostante il peso, ma che poi...
La vittima era Lucius. Non io. Era lui quello quasi morto, quello in pericolo, quello distrutto, quello che si era portato sulle spalle il peso di tutta una vita di sofferenze e tradimenti. Lui doveva piangere ed essere consolato. Non io.
Non io!
«Ania, mi stai facendo preoccupare» disse tormentato «parlami, te ne prego!».
«Quando i miei verranno informati che resto qui da te di notte, mi porteranno via» singhiozzai. Era la cosa meno importante per la quale piangessi, ma la tirai fuori per prima perché mi sembrava la maniera giusta per riuscire a buttare fuori anche le altre cose.
«No, non lo faranno. Parlerò io con loro. Dirò a tua madre che mi hai assistito durante la mia convalescenza e le dirò quanto sei stata coraggiosa» cercò di tranquillizzarmi.
«Se gli raccontassi la verità mi porterebbe via come hai detto tu» ansimai.
«Allora saremo più prudenti d’ora in avanti» assicurò.
«Ma io non voglio più rimanere sola!» pigolai.
«Non lo sarai mai» promise.
«Lucius... ho paura!» confessai stremata.
«Anche io» rispose commosso «ho paura che tu ti faccia male, ho paura di perderti, ho paura per mia madre... ma una cosa è certa. Io ti proteggerò con la mia vita» mormorò stringendomi.
Ci addormentammo così, stretti e tremanti, cercando di dimenticare tutto almeno per un po’.
Lucius ebbe un incubo quella notte. Dopo essersi agitato e lamentato nel sonno, ripetendo senza sosta il nome di Ephram, si era svegliando di soprassalto.
«No, fermo!» aveva urlato mettendosi seduto e sbarrando gli occhi, e poi si era portato le mani ai capelli.
Lo avevo stretto a me, come aveva fatto lui, e poi avevo asciugato le sue lacrime invisibili.
I nostri crolli nervosi erano avvenuti a affetto domino, ma a mio parere fu meglio così.
Eravamo solo due ragazzi. Noi contro tutti e tutto.
Ma non eravamo soli.
In quel momento più che mai sentii di aver trovato il mio posto e non l’avrei mai lasciato.
 
 
 
*******
 
 
Caro Lucius Yuki
Tua madre sta bene e non corre pericolo. Se vuoi sincerarti delle mie parole, incontriamoci alla fabbrica abbandonata dietro il centro commerciale della periferia tra sei giorni alle sedici.
Gradirei venissi da solo, e che mantenessi la massima discrezione!
Salutami tanto Anastasia
M. C. S.
 
 
Rileggemmo quelle righe un milione di volte.
Sembrava una lettera asettica, ma allo stesso tempo così insidiosa da costituire un rompicapo intricato e irrisolvibile.
Il pezzo di carta era scivolato sotto la porta dell’appartamento, e la consapevolezza che uno degli adepti del rapitore di Yuri fosse giunto fino qui, mi provocò un brivido lungo la schiena.
«Maledetto pezzo di merda! Ha scelto un posto fuori dal mondo per farmi fuori. Sotterrerà il mio cadavere nei campi e si libererà delle prove della mia esistenza senza il minimo sforzo» sbottò Lucius, passandosi una mano tra i capelli.
«Ehi, ma che dici? Saremo noi a liberarci di lui» constatai.
Al processo mancavano poche settimane, e tutto era pronto.
«Ma non lo capisci, Ania? Rovinerà tutto prima che Ephram possa essere condannato per sempre. Se la vittima non esiste, non esiste alcun carnefice» spiegò.
«Ma ci sono una marea di testimoni!» dissi scossa «Non è così facile dimenticarsi di te» mormorai con voce tremante.
«Hai mai sentito parlare di soldi e minacce? La gente tende a salvarsi la vita a questo mondo, e l’unico modo di farlo bene è assecondare queste due cose, in modo particolare la seconda!» mi zittì.
«Sì, ma se la vittima scompare tutti i sospetti cadranno sui sospettati. Questo è un dato di fatto e tuo padre mi sembra molto furbo. Non farà un errore simile. Tu gli servi» spiegai. Lui annuì serio.
«Che intenzioni hai?» chiesi dopo un po’.
«Devo andare» mormorò. Feci per ribattere ma lui mi bloccò «da solo, Ania. C’è il tuo nome su quella maledetta lettera e non voglio rischiare. Non accetto nessun tipo di discussione» sentenziò austero.
«C’è anche il tuo!» gli feci notare. Ma lui non batté ciglio. Sei giorni.
Sei. Giorni.
«Non preoccuparti. Andrà tutto bene. Riporterò a casa Yuri e tornerò anche io. Te lo prometto» mormorò accigliato.
Non avevo risposto. Ero rimasta in silenzio ad osservare la sua espressione.
Sembrava sul punto di crollare, ma allo stesso tempo la luce nei suoi occhi era ferma e perpetua.
Mi raggomitolai contro il suo petto, e poi gli baciai proprio il centro di esso.
Lui mi strinse piano e rimanemmo incastrati così per lungo tempo.
 
A scuola non avevamo pace, la situazione era degenerata in una maniera impensabile e imprevedibile.
Sembravamo due prigionieri senza diritti, due persone diverse da allontanare, tormentare e distruggere.
Quel giorno scendemmo nella gigantesca palestra della scuola per una lezione – torneo tra squadre.
Naturalmente Lucius si rifiutò di giocare ma io e le altre ragazze dovemmo seguire la professoressa per una lezione di ginnastica correttiva. Odiavo mettermi la tuta, e infatti avevo sempre preferito un abbigliamento più elegante possibile.
Ma quel giorno dovetti adattarmi, e dopo aver eseguito tutti gli esercizi possibili, dallo stretching alla corsetta sul posto, mi sedetti accanto a Yuki – sama per riprendere fiato.
«Sei davvero molto atletica!» si congratulò divertito. Mi aveva osservata per tutto il tempo e il suo sguardo era così profondo, concentrato e liquido, che spesso avevo distolto il mio per paura di arrossire davanti a tutti.
«E tu sei davvero irritante a volte» gli feci la linguaccia.
«Dovresti indossarla più spesso, valorizza le tue forme» mormorò ammiccante al mio orecchio riferendosi alla tuta. Divenni rossa come un pomodoro, ma mi girai comunque nella sua direzione.
«Io invece potrei valorizzare i tuoi regali lineamenti gonfiandoti la faccia di cazzotti» risposi piccata.
Lui sorrise ammaliato, e poi mi baciò il naso.
«Sì, l’abbigliamento sportivo ti fa proprio sembrare una dura» sorrise «anzi, sei ancora più violenta di me, questo ti dà il diritto di essere la mia ragazza a tutti gli effetti» ammiccò. Volevo strozzarlo, ma mi trattenni.
In quel momento sentii il mio nome per intero seguito da una losca risata. Jane.
Il colpo che diede alla palla diretta alla mia faccia, riecheggiò per la palestra, ma prima che potesse colpirmi in pieno, la mano di Lucius l’afferrò prontamente, salvandomi.
Il contraccolpo fu così forte che il dorso della sua mano colpì la mia fronte.
Lucius si alzò.
«Lucius... non importa, vieni qui e ignorala come faccio io» lo pregai. I suoi occhi erano socchiusi, alienati, esausti.
Lanciò la palla nella direzione da cui era arrivata e poi fulminò Jane con lo sguardo.
«La rete è da quella parte» mormorò rivolto a lei, indicando la rete di pallavolo dall’altra parte del campo.
Lei sorrise perfida e ignorò la minaccia implicita lanciata da Lucius.
 
Quando mi recai nei bagni della palestra per farmi una doccia, percepii uno strano presentimento. Mi asciugai in fretta e indossai l’intimo nell’angolo più estremo del bagno, così da non attirare troppo l’attenzione.
Quando però andai a riprendere i miei vestiti... non li trovai.
«Hai perso qualcosa, scarafaggio?» chiese Jane, attorniata dalle sue amichette.
«Potresti ridarmi i miei vestiti per cortesia? Avrei fretta!» chiesi gentilmente.
«No, non posso. Mi dispiace, dovrai andare fuori in reggiseno e mutandine» m’informò.
«Jane, dammi i vestiti» parlai fermamente.
«Se no? Mi sguinzagli dietro la tua bestia ammaestrata?» chiese acida «Perché non cominci ad urlare il suo nome? Sentirà l’odore della tua paura dalla palestra!» rise sguaiata.
«Io non ho paura di te, ma gradirei riavere indietro i miei abiti, per favore» ripetei educata.
«No» sogghignò. Tutte le ragazze scoppiarono a ridere.
«Jane, perché ti diverte tanto tormentarmi?» domandai seccata.
«Perché ti odio. Perché Lucky non ha occhi che per te. Perché nonostante tu sia così mediocre lui non ama che te. Perché sei solo una piccola, sporca pezzente» rispose come se fosse una cosa ovvia.
«Sai, il mondo è bello perché è vario» sospirai esausta. Come avevo fatto a cacciarmi in quella situazione imbarazzante?
«Ehi ragazze, che ne dite se aiutiamo Ania a trovare l’uscita?» strillò perfida. Sbiancai.
Non ebbi neanche il tempo di realizzare la situazione che tutte le ragazze mi afferrarono e spinsero verso la porta che dava sul corridoio.
Ed io ero mezza nuda!
La porta si richiuse alle mie spalle, lasciandomi fuori in mezzo al corridoio, in intimo e mezza stordita dalle risate fragorose dietro la porta del bagno delle donne.
«Osservate signori e signore! Cellulite, smagliature e imperfezioni a volontà!» strillavano dal bagno, attirando l’attenzione di chi passava.
Alcuni ragazzi dall’aria annoiata mi guardavano con la coda dell’occhio per poi sghignazzare. Altri mi ignoravano, ma purtroppo altri ancora si fermarono ad osservarmi.
Mi sentivo talmente esposta e inerme che non mi accorsi neanche di essere scoppiata in lacrime.
I maschi facevano commenti sul mio corpo, mi insultavano senza ritegno e mi impedivano di andare via a nascondermi.
Ero accovacciata a terra, raggomitolata su me stessa nell’intento di nascondermi il più possibile, ma non potevo.
Ero circondata da occhi cattivi e indiscreti.
Le loro parole di disprezzo verso il mio corpo imperfetto mi si stamparono nella mente, ferendomi.
L’aria iniziò a mancarmi.
Anche Lucius avrebbe detto le stesse cose? A lui sarebbe importato?
Cominciai a tremare per il freddo, dato che nei corridoi non c’erano i riscaldamenti e dato che eravamo a fine autunno.
I ragazzi continuavano a osservarmi divertiti, sputando cattiverie.
Lucius... dove sei?
In quel momento sentii qualcuno coprirmi con una giacca.
Alzai gli occhi e vidi Lucius rimettersi dritto dopo avermi coperto per bene con la sua divisa.
Infilai le braccia nelle maniche e abbottonai la giacca.
Mi arrivava al ginocchio. Perfetto.
Mi rimisi in piedi e trovai le sue braccia. Mi strinse a sé, baciandomi la testa per tranquillizzarmi.
«Sparite bastardi!» intimò. La piccola folla di curiosi si dileguò sghignazzando e Lucius fremeva di rabbia.
«Ania... stai bene?» mormorò senza guardarmi «Che è successo esattamente?» chiese rabbioso.
«Sto bene. Non è niente» tentai di scostarmi da lui, ma Lucius me lo impedì.
Mi costrinse ad alzare gli occhi ancora umidi e poi mi trafisse con il suo sguardo indagatore.
«Chi è stato a farti questo?» parlò con così tanta rabbia da farmi paura.
In quel momento una risata fragorosa scoppiò in bagno.
«Chissà se miss cellulite e smagliature è ancora fuori!?» sbraitò una vocetta femminile.
Lucius trasalì, e poi mi fece appoggiare al muro prima di lasciarmi.
Aprì la porta con un calcio, facendo strillare le oche all’interno.
Camminò in mezzo alle ragazze e poi raggiunse Jane.
«Lucius!» lo salutò la ragazza «Ti ho fatto un favore, no? Ora conosci il motivo per il quale la tua ragazza vuole farlo al buio!» rise.
Lucius, con una strana luce negli occhi, si protese verso il suo viso. Sembrava volesse baciarla, invece le sussurrò nell’orecchio.
La ragazza sgranò gli occhi e ammutolì.
Lucius si allontanò mentre i suoi passi sovrastavano il silenzio. Recuperò i miei vestiti e poi si chiuse la porta alle spalle.
Mi asciugai gli occhi con le maniche della sua giacca.
«Coraggio, andiamo» mormorò, prendendomi ancora tra le sue braccia.
Lo strinsi forte sperando che non mi avesse vista svestita, che non avesse visto il mio corpo.
Non guardarmi!, avrei voluto urlare. Non guardare.
 
Arrivati a casa mi fiondai a letto e feci finta di dormire, ma lui non gettò la spugna.
«Ania, sono solo le sette. So che non stai dormendo» mormorò tetro sedendosi sul letto. Rabbrividii.
«Ania... se non rispondi lo prenderò per un sì. Vuoi che vada a prendere per il collo tutti i bastardi che ti hanno riso addosso? Senti questa: li legherò agli alberi del parco e li spoglierò completamente lasciandoli al freddo per tutta la notte dopo averli pestati a sangue. Il giorno dopo verranno a chiederti scusa in ginocchio e ti diranno che sei la loro dea. Che te ne pare?» non vedevo il suo viso, ma il tono della sua voce era così agghiacciante e grave che non facevo fatica a credere che l’avrebbe fatto sul serio.
Il mio silenzio si protrasse a lungo così Lucius si alzò.
«Bene. Avevo proprio bisogno di sfogarmi un po’... non muoverti da qui, torno presto» mormorò allontanandosi.
«No!» ansimai togliendo la testa da sotto le coperte. Sentii i suoi passi fermarsi.
Guardai nella sua direzione.
I suoi occhi erano così freddi da sembrare vuoti e alla penombra della stanza sembravano neri come pozzi.
Trasalii.
Lui se ne accorse e li chiuse raggiungendomi con sguardo basso.
Si risedette accanto a me e stavolta mi abbracciò, tirandomi a sé.
Non riuscii a reggermi e finii con troppa foga sul suo petto. Lucius ebbe un sussulto ma non si mosse continuando a tenermi stretta.
«Scusami se sono arrivato tardi» mormorò.
«Lucius...» cominciai, ma mi vergognavo.
«Ania... le cose che ti succedono a scuola sono causate dalla nostra relazione. È colpa mia se devi affrontare tutto questo e comprendo che tu sia arrabbiata. Non ti biasimo!» si scusò.
Sgranai gli occhi.
«Di cosa parli? Io non sono arrabbiata per niente!» protestai, meravigliandomi delle sue convinzioni.
Come poteva pensare una cosa del genere?
«Allora perché sembri così... distante?» chiese mesto «Lo so, un giorno ti stancherai e mi abbandonerai, troverai qualcuno che sia onesto, buono, gentile, tranquillo e con una vita davvero serena. Ma io sono egoista e spererò sempre che lui non ti renda mai felice, così che tu ripenserai a me e mi vorrai di nuovo con te» disse senza il minimo trasalimento.
Si stava sfogando e mi stava dicendo la cosa di cui aveva più paura.
Lui che era in pericolo di vita, aveva paura di essere abbandonato.
«Sei un idiota, Lucius» gracchiai «se sopporto questo tipo di cose è perché voglio stare con te. Inoltre non sono distante perché sono arrabbiata o altro...» cominciai.
Lui credeva fosse per questo perciò non avevo altra scelta che sfogarmi a mia volta.
«Io... mi sono vergognata. Non volevo che vedessero il mio corpo. Jane ha ragione! Ho una marea di imperfezioni, la mia pelle non è per niente perfetta, anzi! Non sono una ragazza che guarda molto all’estetica di se stessa, non ho tempo per queste cose! Non fanno parte di me! Ma... ho passato dei brutti periodi in cui riuscivo a mangiare in continuazione, scaricando lo stress nel cibo, oppure non mangiando affatto e il mio corpo ne è rimasto rovinato. Non che mi importasse, ma non volevo che la gente guardasse la mia cellulite e le mie smagliature. Soprattutto...» sentii le lacrime salire agli occhi «soprattutto volevo nascondermi da te! Io... avrei sopportato e dimenticato le cattiverie dette da quei ragazzi, ma... tu... non volevo che mi guardassi. Ho immaginato il tuo sguardo schifato come quello di quei ragazzi e...» pausa.
Lui mi strinse forte.
«Sei davvero una sciocca! Era per questo che hai evitato il mio sguardo per tutto il tempo?» chiese incredulo.
Annuii piangendo.
«Ania! Ma ti senti quando parli? Sguardo schifato? Io? Io ti guarderei con affetto anche se pesassi il triplo, ti guarderei con amore anche fossi pelosa come una scimmia e piena di brufoli come una drogata di dolciumi» disse serio. Io risi tra le lacrime «quei ragazzi non erano schifati, erano letteralmente ammaliati, ma sono così deficienti che hanno osato insultarti in mia presenza. Inoltre... sei... bellissima» il suo tono di voce scemò.
Lo guardai.
«Non è vero» dissi.
«Certo! Credevo di morire quando ti ho vista in quello stato. Loro che dicevano calunnie su di te, tu in lacrime e... in intimo. Wow!» rise.
«Che intendi per “in intimo. Wow!”?» chiesi accigliata.
«Beh mia cara, le imperfezioni di cui parli potranno non piacerti, ma... ecco ho un debole per le cose naturali! Se devo scegliere tra una curva e un angolo... scelgo una curva e se devo scegliere tra te e una ragazza senza cellulite... scelgo senza alcun dubbio te» sorrise imbarazzato «inoltre... li avrei uccisi tutti quei bastardi solo per il fatto che stavano guardando la mia ragazza in intimo» confessò tornando tetro.
Mi prese il mento e si portò il mio orecchio alle labbra.
«Tu sei solamente mia, e solo io posso godere della tua pelle, delle tue membra e del tuo cuore. Tutto di te  mi appartiene. Il lupo cattivo potrebbe diventare molto cattivo se succederà di nuovo una cosa simile. Allora sarò costretto a cavare gli occhi di tutti coloro che ti hanno vista senza vestiti, perché questo privilegio è solo mio» mormorò serio, sensuale e con voce serafica.
Un brivido sconosciuto e viscerale mi trapassò il ventre.
Scostai con le mani un ciuffo di capelli troppo lungo che gli scendeva dolcemente sulla guancia, e poi...
Mi baciò appassionatamente, mangiandomi.
Era un contatto necessario, disperato, essenziale, inarrestabile.
«Vorrei tanto fare mie le tue meravigliose smagliature da donna. Vorrei essere l’unico uomo sulla terra a godere delle tue forme. Vorrei tenerti tra le mie braccia pelle a pelle, perché non c’è altro modo per placare il mio dolore» mormorò dolce, sensuale, meraviglioso come un sogno.
Arrossii, ma mi sentivo così in estasi da poter superare anche quell’imbarazzo.
«Io sono qui» mormorai sospirando, mentre lui mangiava con gusto la pelle del mio collo.
Mi morsicava piano, senza farmi male, anzi! La sensazione che provavo era l’opposto del dolore ma proveniva dallo stesso inferno.
Assaggiare.
Il verbo giusto per quella sensazione era assaggiare, cioè provare senza rimanere appagati. Mai.
«Ania...» si fermò un attimo. Mi guardò negli occhi.
La mia improvvisa disponibilità lo aveva colto di sorpresa.
Solo in quel momento, ritornando in me e ritrovando un po’ di razionalità, mi accorsi di aver chiesto implicitamente a Lucius di farmi sua. Le due cose fondamentali che mi erano totalmente passate di mente erano due:  lui era ancora convalescente e senza forze e io... ero vergine.
Abbassai lo sguardo improvvisamente imbarazzata ed impaurita dalla sua possibile reazione.
«Mi dispiace».
«Mi dispiace».
Parlammo all’unisono, ammutolendo un attimo dopo.
Eravamo rimasti stretti ma i nostri corpi si erano irrigiditi e contratti.
Lucius sopirò.
«Vado a preparare qualcosa di caldo, ok? Tu cosa preferisci?» chiese cercando di aggiustare la situazione.
«Fai tu. Mi va bene qualsiasi cosa» risposi piano.
«Okay» mormorò in un soffio, alzandosi.
Quando finimmo di sorseggiare il tè Lucius si fiondò a letto, ma prima di crollare in un sonno profondo mi prese la mano.
 
 
 
*******
 
 
 
«Allora signorina Green, in quale sua opera Seneca parla del concetto di tempo?» chiese la prof di latino.
Seneca, Seneca, Seneca...
«Il tempo per Seneca è come il denaro, cioè è prezioso ed inestimabile. Il tempo scivola via, ci viene rubato oppure viene semplicemente perso, e in questo ultimo caso è l’uomo ad esserne responsabile, perché ha rimandato e rimandato le cose importanti» risposi.
«Esatto, ma ancora non mi ha detto l’opera» ribadì la prof.
Cominciai ad agitarmi. La mia mente sembrava come svuotata. Tutti gli occhi erano puntati su di me e la memoria mi stava abbandonando.
«Signorina, sa rispondere a questa semplicissima domanda?» chiese indispettita.
«De brevitate vitae» sussurrò Lucius.
«De brevitate vitae!» esclamai. Lo sapevo maledizione! Ma perché invece della risposta mi era venuto davanti solo il vuoto totale?
La campanella suonò.
«Grazie genio» mormorai a Lucius sorridendo.
«Figurati, non ho fatto niente di ché» rispose pacato.
«Non so... ho avuto un vuoto di memoria» spiegai imbarazzata.
«Ania... ti stai davvero giustificando con me? Siamo rivali a scuola, ricordi? Inoltre non ti giudico male, sta’ tranquilla. So quanto hai studiato nonostante tutte le preoccupazioni che hai per la testa. Credo che tu sia fantastica. Non c’è bisogno di essere imbarazzati» disse serio.
«Non mi imbarazzo, è solo... anche tu sei incasinato... ma hai sempre tutte le risposte» mormorai frustrata.
«Già» asserì mesto. In quel momento ricordai che per lui lo studio era stato essenziale in orfanotrofio se non voleva essere picchiato, e quindi mi pentii subito di essermi lamentata di una cosa tanto futile.
«Ehi Lucius» lo chiamai. Lui mi guardò e io entrai nei suoi occhi «sai, non mi importa più. Non voglio più essere tua rivale. Non mi sto arrendendo o altro... solo... non voglio più. Ho deciso che non è la cosa più importante» annunciai sorridendo.
Era vero: dalla scuola dipendeva il mio futuro, ma era anche vero che vivevo nel presente e che non avevo nulla da rimproverarmi se non di essermi chiusa troppo in me stessa.
C’erano cose più importanti dei voti! Tra cinque giorni la mia persone del destino si sarebbe trovata faccia a faccia con il suo aguzzino numero due, e io non potevo concentrare la mia vita su una cosa tanto inutile come i numeri sul mio portfolio.
Lui accennò un sorriso mesto, che divenne sghembo quando mi sedetti sulle sue ginocchia.
«L’unica cosa in cui voglio essere la migliore... è...» lo baciai.
Lui ricambiò dolcemente.
«Wow... che cosa ho fatto!? Ho trasformato una mocciosa zelante in una mocciosa focosa... perché devo sempre migliorare tutto?» si congratulò con se stesso.
Scoppiai a ridere, dandogli un buffetto sulla guancia.
Sei giorni.
Cinque giorni...
In questo brevissimo tempo avremmo fatto finta di essere felici e spensierati.
Solo inutili bugie, necessarie per non smettere di sperare.
 
 -------------------------------- ANGOLO DELL'AUTRICE ---------------------------------------------------------

salve donzelle!!! le cose si sistemeranno prima o poi per i nostri eroi?? che ne pensate?? sono curiosa di sapere che cosa vi aspettate.
ringrazio di cuore chi ha recensito, seguito, preferito, ricordato o semplicemente letto.
ora scappo a studiare Quasimodo XD
baci.
la vostra Fiore
<3

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Capitolo 24
*** Istinto materno ***


 
Capitolo 24
 
Istinto materno
 
 
 
 
 
«Quindi... ricapitoliamo Ania: tu vorresti pedinare il tuo ragazzo, andare nel luogo dell’incontro senza farti notare e filmare tutto? Ho capito bene?» domandò Dean incredulo all’altro capo del telefono.
«Sì. Hai capito perfettamente. È l’unico modo che ho di aiutare Lucius» spiegai.
«Certo! Ma lui lo sa? Immagino, da quel poco che so di lui, che ti abbia almeno minacciato di legarti mani e piedi all’armadio se solo proverai a seguirlo. E tu vuoi addirittura pedinarlo e filmare il tutto? Sei forse impazzita?» mi sgridò.
«Dean, ascoltami. Lo so che è pericoloso, ma devo farlo. Inoltre Lucius non chiamerà mai la polizia in caso di estrema necessità perché sa bene che farebbero subito fuori Yuri. Secondo lui lo stanno pedinando e controllando per conto di Charles. Perciò...» cominciai.
«Ania» mi interruppe Dean «so che vuoi salvare il tuo ragazzo a tutti costi. Questo ti fa onore, ma non puoi mettere a repentaglio la tua vita» parlò serio «punire quei bastardi non è compito tuo nonostante tu lo voglia ardentemente» spiegò.
«Lo so. Ma io devo farlo lo stesso. Ti prometto che se le cose si metteranno male fuggirò...».
«No, Ania» mi bloccò ancora «se le cose si mettono male devi chiamarmi. Arriverò con i rinforzi e allora se non sarai riuscita a raccogliere le prove che volevi, saremo io e i miei colleghi a documentare la cosa» promise.
Sorrisi raggiante.
«Grazie infinite, Dean! Starò attenta, promesso» squittii.
Chiusi la chiamata e uscii dal bagno delle ragazze diretta in classe.
Quando ritornai era già suonata la campanella dell’ora successiva.
«Tutto bene?» domandò apprensivo Lucius. Temetti si fosse accorto di qualcosa, ma poi mi tranquillizzai. Ero stata superattenta.
«Certo» sorrisi.
«Ciao Ania» riconobbi quella voce e mi voltai.
«Mayu» la salutai.
«Posso parlarti?» chiese seria.
«Va bene» asserii.
Lucius fissò la ragazza giapponese intensamente, i suoi occhi erano tetri e minacciosi.
«Non posso aiutarti al processo» mormorò quando ci appartammo in un angolo.
«Cosa? Ma avevi promesso...» cominciai.
«Mi rimangio la promessa. Mi spiace» affermò fredda.
Trasalii.
«Mayu, ti hanno forse minacciata? Dimmelo ti prego, Lucius può aiutarti, confidati... io...».
«Ania» mi fermò «non ho ricevuto alcuna minaccia. Voglio solo essere lasciata in pace. Tutto questo è troppo grande e pericoloso per me» spiegò senza il minimo rammarico.
«Ah sì? Tutto era così gravoso anche quando Lucius è corso a salvarti quando ti sei trasferita qui? Per te era così pericoloso quando ti ha rassicurata e protetta? La tua testimonianza serviva come cuscinetto per smentire le cattive voci che sarebbero probabilmente girate su di Lucius. La tua posizione e la tua deposizione non avrebbero danneggiato nessuno e tu saresti stata comunque al sicuro. Dimmi perché vuoi abbandonarlo proprio ora? Perché? Per te Lucius non era una bella e brava persona?» sbottai furiosa.
«Mi dispiace. Questi sono i fatti» rispose fredda.
Dov’era la mia amica Mayu? Dov’era andata finire?
«Mayu...» la voce di Lucius risuonò nelle mie orecchie.
Era posata e calma ma nascondeva una tagliente freddezza mista a indifferenza.
«Lucius – san...» lo salutò lei. Sembrava totalmente cambiata, come se la vecchia Mayu fosse solo una farsa per ingannare gli occhi di tutti.
«Ti sei scelta le tue amicizie da un pezzo, ed è ovvio che tu sia di parte. Non preoccuparti. Capisco le tue ragioni» mormorò Lucius in tono diplomatico, distaccato e terrificante.
Mayu annuì seria e un po’ insicura stavolta.
«Andiamo» sussurrò Lucius prendendomi per mano.
Quando raggiungemmo il cortile mi bloccai.
«Che cosa sai che io non so?» chiesi preoccupata.
«Potrei farti la stessa domanda. In questo periodo sparisci di continuo e quando torni non mi dici mai cosa sei andata a fare. Ovviamente io so che chiami quel poliziotto, ma non so bene cosa stiate tramando» rispose risoluto.
«Lucius, che voleva dire?» chiesi, riferendomi alla conversazione avuta con Mayu.
«Non avvicinarti più a lei, e non fidarti. Mai» mi avvisò serio.
«Perche?» chiesi esasperata.
«Perché lei è la futura sposa di Ephram» rivelò amaro.
Trasalii.
Ricordai la conversazione avuta con Mayu qualche mese addietro. Il suo sguardo triste nel rivelarmi che era promessa sposa di uno sconosciuto per far sì che la madre potesse avere un posto di rilievo nella società in cui lavorava il suo defunto padre.
Ricordai i suoi sorrisi e le sue lusinghe e solo in quel momento realizzai la falsità di quella ragazza.
Lei sapeva chi fosse Lucius, e quest’ultimo di sicuro era all’oscuro di tutto fino ad allora.
«Come puoi esserne sicuro?» chiesi incredula.
«Sono un ottimo osservatore, e tra le altre cose ho sentito pettegolezzi che la ritraevano in personali conversazioni con un ragazzo più grande che non era della scuola. L’unico che mette piedi in questo buco... è il mio amato fratello» spiegò «inoltre, il fatto che abbia detto chiaramente che non ci appoggerà nel processo conferma perfettamente la mia ipotesi» concluse.
Abbassai il capo.
Mayu era stata la cosa più simile ad una amica che avessi mai avuto.
«Ania» mi chiamò Yuki – sama.
Lo guardai triste.
«Mi dispiace tanto» mormorò mesto. Posò la sua fronte sulla mia.
«Non è colpa tua» dissi soprappensiero.
«Sì invece! È proprio questo il punto. È tutta colpa mia!» ammise tremante.
Sembrava disperato, spiritato.
«Lucius, le persone ti deludono, ma non è colpa di nessuno, credimi!» gli feci notare.
Lui annuì mesto.
Ricordai la notte del mio crollo nervoso, e poi ricordai il suo incubo.
Mi chiesi quando sarebbe crollato lui, e quando sarebbe arrivato il mio turno di asciugare le sue lacrime.
 
 
*******
 
 
«Iniziate» sorrise la professoressa Walter dopo aver consegnato i test di latino.
La prova era composta da dieci domande, cinque aperte e cinque multiple.
Nelle volte precedenti avevo sempre preso il secondo voto più alto della classe, ma in passato i voti erano la mia priorità. Ora le mie necessità primarie erano rappresentate da un ragazzo biondo, bullo, bellissimo e complicato che si portava sulle spalle il peso della violenza e della sofferenza. Era proprio lui che aveva sempre superato i miei voti, e la cosa che in passato mi faceva ribollire di rabbia era che non gli importasse di essere il migliore. Era annoiato e disinteressato e svolgeva i compiti perfetti con nonchalance.
«Buona fortuna Lucius» sussurrai prima di concentrarmi.
Solo perché gli avevo detto di non volerlo più sfidare non voleva dire che dovevo fare un brutto compito.
Mi sentivo più leggera.
«Anche a te, miss the second» mi fece l’occhiolino.
Io trasalii. Ma che gli era preso? Adesso era lui a sfidarmi?
«Mm... vedremo» gli scoccai un occhiata furba.
Sorrise.
Mi si bloccò il cuore.
Distolsi lo sguardo.
«Adesso che non siamo più rivali non mi diverto più mocciosa. Promettimi che non smetterai mai di provare a battere i miei standard!» chiese lamentoso e saccente.
Un brivido di eccitazione mi corse lungo la schiena.
Io adoravo le sfide!
«Promesso. Lo prometto sui tuoi possenti muscoli» sussurrai.
Lui rise di nuovo.
 
Dopo dieci minuti Lucius consegnò il compito. Non mi meravigliai e continuai a concentrarmi sul mio lavoro, finendolo mezz’ora dopo.
«Brava Ania. Ci hai messo proprio poco!» mi prese in giro. Gli feci la linguaccia.
«Sta’ zitto scimmione!» lo ammonii.
Seguimmo le lezioni successive in silenzio e poi prendemmo i nostri zaini e ci dirigemmo all’uscita.
La strada a quell’ora era molto trafficata perciò camminammo sul marciapiede.
Sembrava tutto tranquillo quando sentimmo le ruote di un auto stridere sull’asfalto.
Il motore rombante e impazzito veniva proprio verso di noi, ma prima che me ne potessi accorgere, Lucius mi prese per le spalle e mi fece rotolare tra le sue braccia tra due edifici, all’interno di un vicolo strettissimo.
L’auto deviò il muro per pochissimo e noi per meno di un metro, poi sfrecciò via.
Il silenzio piombò tra di noi, fatta eccezione per il respiro accelerato e affannoso di entrambi.
In strada le auto erano tante, ma nessuno sembrava essersi accorto di nulla perché il tutto si era svolto in maniera velocissima e anche perché non c’erano altri pedoni in giro e il luogo del quasi incidente era più nascosto rispetto al resto della strada.
«Stai bene?» chiese Lucius provato. Probabilmente rotolarsi per terra con me stretta al petto non doveva avergli fatto troppo bene.
«Sì, e tu?» chiesi spaventata.
Lui annuì.
Si alzò e mi aiutò a fare lo stesso.
«Lucius...» provai.
«Chiama il tuo amico Dean. Ho bisogno di parlargli» disse soltanto.
Non era spaventato, né insicuro.
Era solo molto preoccupato e pensieroso.
 
Dean non tardò ad arrivare all’appartamento e ci trovò seduti sul divano, uno di fianco all’altra. Lucius mi circondava le spalle e io tenevo una mano sul suo ginocchio.
«Grazie per essere venuto tanto tempestivamente, signor Still» lo salutò cordialmente Lucius «sono Lucius Yuki Bell, e...».
«Lo so chi sei figliolo. E non preoccuparti, non c’è bisogno di essere tanto formali. So tutto sul tuo caso. Ania non è entrata nei particolari ma le condizioni in cui versavi qualche settimana fa in ospedale la dicono lunga sulla tua situazione» disse Dean affabile.
Si sedette sulla poltrona a fianco al divano.
«Bene. Allora non sarà necessario raccontare tutta la vicenda. Meglio così» mormorò Lucius.
«Avete visto la macchina? La targa? Ricordate qualcosa di utile?» Dean arrivò immediatamente al punto.
«La macchina era una quattro per quattro, nero metallizzato. La stessa che ci ha fermati tre giorni fa per darci la notizia del rapimento di mia madre» raccontò Lucius.
«Capisco» annuì Dean «qualche idea sul movente? Te lo chiedo perché sembra strano che abbiano mirato ad uccidere l’unica persona in grado di scagionare Ephram Magnus. A questo si aggiunge il fatto che tra tre giorni ci sarà l’incontro tra te e Charles. Perciò...» indagò Dean.
«Era un avvertimento. Lui vuole incontrarmi a tutti i costi. Questo era per farmi decidere ad andare. Non miravano a me... ma ad Ania. Sanno che la proteggerei ad ogni costo» spiegò serissimo Lucius.
«Concordo» annuì Dean.
«In ogni caso, l’ho fatta venire qui perché voglio chiederle un favore personale» cominciò Lucius. Scoccò un’occhiata fiera e speranzosa verso l’agente «la prego, protegga Ania in mia assenza» chiese chinando il capo a mo’ di inchino «pagherò qualunque somma, ma la prego faccia questo per me. Non ho nessuno di cui possa fidarmi» la voce di Lucius era disperata, provata e triste.
«Non c’era bisogno di chiederlo, figliolo. E puoi stare tranquillo. Di me puoi fidarti ciecamente» promise, guardandomi male.
Capii che Dean si stava riferendo al mio piano di pedinamento e al fatto che non fosse affatto d’accordo con me.
Lo ignorai.
«E chi proteggerà te?» chiesi con premura e rabbia insieme.
«Lui non mi farà del male. Se lo facesse il caro dolce Ephram non avrebbe scampo» spiegò pratico.
«Certo, è chiaro!» ammisi «Ma sarai solo di fronte all’uomo che ha distrutto la tua vita con tua madre presa in ostaggio. Non credo avrai tanto sangue freddo da rimanere buono buono a farti fare o dire cose crudeli. Potrebbe ricattarti, potrebbe minacciarti di chissà cosa...» asserii.
«Ania» mi bloccò «andrà tutto bene. Il massimo che possa chiedermi è ritirare le accuse» disse.
«E allora che farai? Cosa dirai quando ti metterà di fronte la vita di tua madre e la liberazione del tuo aguzzino?» chiesi esasperata.
«Non lo so» ammise mesto.
«Ragazzo mio, da agente della polizia ti consiglierei di non andare da solo, ma da civile che ha visto la moglie morire sotto i suoi occhi per una cosa del genere, ti consiglio di non sottovalutare il tuo nemico, e di andarci con i piedi di piombo. Questi folli sono pericolosi» mormorò Dean. La tristezza e la rabbia nei suoi occhi erano quasi tangibili.
Lucius Annuì.
 
*******
 
 
 
 
Il sesto giorno.
Dire che avevo aspettato questo giorno come una condannata a morte sarebbe stato un eufemismo bello e buono.
Mi alzai prestissimo e preparai la colazione con cura.
Dopo un’ora circa sentii il fruscio delle lenzuola che venivano spostate e capii che Lucius era sveglio.
Vidi la sua figura smilza trascinarsi fuori dalla camera e dirigersi verso il bagno.
«Buongiorno mocciosa. L’odore del tuo caffè è quasi buono quanto quello del mio. Ehi... ho detto quasi» mormorò. Sorriso impeccabile, sguardo sereno e malizioso, movenze sensuali e tranquille.
Una maschera perfetta.
Sospirai.
Non ero una bambina da proteggere, ma lui sembrava non importarsene.
Gli andai incontro e mi lascai cadere tra le sue braccia.
«Ania» mormorò.
«Stringimi e sta’ zitto, idiota!» pigolai.
Obbedì.
«Andrà tutto bene» mormorò tra i miei capelli. Tutto bene. Certo.
«Non puoi saperlo» gli feci notare.
«Lo so perché io gli servo, te l’ho spiegato» disse sicuro.
«E io mi ricordo ogni cosa. Ricordo anche quando ti ho quasi perso per sempre a causa di quelle persone» asserii.
Mi strinse più forte.
«Non mi accadrà nulla di male» soffiò di nuovo.
Io mi aggrappai disperatamente a lui.
Ero scalza e dovetti salire sulle punte dei piedi per arrivare al suo mento.
Lui dovette abbassarsi per baciarmi.
«Sei davvero uno scricciolo minuscolo» sorrise angelicamente.
«E tu sei proprio alto» sospirai.
Mi piaceva però. Mi sentivo protetta e al sicuro.
«Dean ha promesso di proteggerti, ma tu devi promettermi che non farai pazzie» disse d’un tratto.
«Io...» cosa potevo dire? Qualsiasi cosa avessi detto sarebbe servita solo per turbarlo ancora di più.
Optai per una bugia.
«… lo prometto» mormorai.
Sorrise beato e felice della mia risposta e io mi sentii una traditrice.
«Senti principessa, che ne dici di divertirci un po’ stamattina? È domenica, perciò possiamo... non so, guardare un film, giocare alla playstation, o... potresti fare un romantico e dolce bagno insieme a me» le ultime parole, mormorate con sapiente sensualità, suonarono idilliache e allo stesso tempo peccaminose.
Divenni rossa come un pomodoro, e mi allontanai di qualche passo distogliendo lo sguardo.
«Sei proprio un dannato pervertito» mormorai balbettando.
Scoppiò a ridere fragorosamente, tenendosi la pancia.
«Scherzavo! Non prenderla così seriamente! Sei proprio una bambina!» continuò a ridere cercando di riprendere fiato tra una parola e l’altra.
«Smettila di burlarti di me, sembra proprio che tu lo trovi così divertente da farti saltare via tutte le costole!» mi arrabbiai.
Lucius zittì, rendendosi conto di avermi fatta rabbuiare.
«Ania» mi chiamò serio.
«Lo so che sono indietro. Non c’è bisogno di ricordarmelo. Credimi, vorrei essere più intraprendente, vorrei fare l’amore con te prima che tu te ne vada, prima che possa accadere l’irreparabile, ma... io...» mormorai.
Io lo desideravo, lo volevo davvero. Però sembrava così difficile.
Ricordavo ancora con orrore i miei compagni di scuola ed Ephram, e non sapevo bene come muovermi.
Inoltre ero sempre stata timida da quel punto di vista e non riuscivo a non sentirmi in soggezione per certi argomenti.
Ero fatta così, ma avrei tanto voluto amare Lucius, amare la persona del mio destino, fino in fondo.
«Baka» mi diede un buffetto sulla testa. Sorrise mesto «non sei affatto indietro, sei la persona più avanti che conosca. Le altre mi pregavano, Ania. Volevano solo quello, volevano il mio corpo, la mia faccia, le mie labbra... tu invece riesci a starmi accanto e a starmi lontana contemporaneamente. Ti confesso che ciò mi fa impazzire. Ma è proprio per questo che ti amo così tanto. Per te non sono il solito ragazzo vuoto e sexy che piace alle donne superficiali. Tu sei andata oltre già dal primo istante» spiegò.
Mi baciò dolcemente.
Mi accarezzò la nuca, poi la schiena, poi risalì alle spalle, poi ridiscese sulla schiena.
Si fermò lì.
L’altra mano teneva gentilmente la mia guancia e si spostava di tanto in tanto sui capelli, per poi ritornare alla base.
Sentivo una strana energia crescermi dentro, e non sapevo come contenerla.
Sarebbe bastato lasciarmi andare per riuscire a sentirmi finalmente in paradiso, ma poche ore mi separavano dall’avvenimento più preoccupante della mia vita.
Mi allontanai.
«Se ritornerai sano e salvo... io...» mormorai arrossendo.
«Non ho bisogno che tu mi prometta niente. Non mi serve Ania. Io ti amerò per sempre, posso darti tutto il tempo del mondo» disse con un sorriso sublime.
Il mio cuore perse un colpo.
Gli saltai addosso, allacciandomi al suo collo.
«Ah, piano, piano! Sono ancora mezzo rotto!» rise, addolcii la presa.
«Hai preso le medicine ieri?» chiesi premurosa.
«Sì, infermiera Green» ammiccò.
Lo abbracciai di nuovo.
«Ho paura» mormorai triste.
«Non devi averne. Andrà tutto bene, piccola».
 
 
*******
 
 
 
Le tre e mezza erano giunte troppo in fretta quella domenica.
Lucius mi aveva baciata con disperazione, poi aveva sorriso e mi aveva detto che non ci avrebbe messo molto.
Avevo chiuso l’appartamento e mi ero precipitata fuori a seguirlo senza farmi notare.
Dean aveva provveduto a tutto. Una video camera minuscola con la quale avrei potuto riprendere tutto, un registratore ultra silenzioso – “non si sa mai”, aveva detto, e una ricetrasmittente che mi avrebbe permesso di contattarlo subito.
Dean sarebbe rimasto nei paraggi con tre dei suoi colleghi più fidati, e sarebbe intervenuto al mio segnale se qualcosa fosse andato storto.
Il posto era una vecchia fabbrica abbandonata, e Lucius, prima di entrare, si fermò davanti al gigantesco cancello arrugginito e prese un lungo respiro.
Mi guardai intorno in cerca di guardie, sentinelle o roba simile, ma non notai nessuno.
Probabilmente Magnus aveva concentrato i suoi adepti nel vero e proprio luogo dell’incontro: all’interno.
I passi sicuri di Lucius risuonavano sul pavimenti umido e scuro, mentre luci fioche illuminavano quel corridoio angusto e freddo.
«Da questa parte» sentii una voce profonda e maschile provenire dal fondo e notai un uomo incappucciato guidare Lucius verso la fine del corridoio.
Girando a sinistra si arrivava ad una stanza piuttosto grande che probabilmente era un disimpegno che collegava il corridoio alla sala macchine.
Lì la luce era più intensa perciò mi nascosi dietro una pila di scatoloni ammassati e inumiditi dal tempo.
L’odore di muffa impregnava l’aria, ma ciò che mi fece sentir male fu la scena alla quale assistetti.
Le mie armi silenziose erano già in azione, e per fortuna nessuno si era accorto della mia presenza.
Per una volta ringraziai la mia bassa statura. Potevo rimanere comodamente in piedi senza rischiare di farmi notare e attraverso le fessure tra gli scatoloni potevo riprendere la scena e registrarne le battute.
Lucius ne dominava il centro.
Di fronte a lui c’erano sette uomini e Yuri, seduta su una sedia di legno. Sembrava stare bene eppure aveva un’aria stanca e spenta, come una foglia morta.
Uno dei sette uomini era attorniato dagli altri sei come se fosse un vip, e aveva l’aria di essere davvero ricco.
La vista di Lucius sembrava averlo sorpreso, e sul viso abbronzato e dai lineamenti felini si allargava poco a poco un sorriso sornione che ben presto divenne un ghigno.
La barbetta grigio scuro diventava più folta sul mento e gli zigomi alti facevano risaltare gli occhi azzurrissimi.
Le sopracciglia folte ma eleganti erano lucide come i capelli biondissimi pettinati all’indietro.
Il completo elegante di alta classe fasciava il corpo statuario, e il grigio chiaro del tessuto risaltava il colore degli occhi pieni di compiacimento.
In lui rividi la crudeltà di Ephram e la bellezza nordica di Lucius.
I suoi scagnozzi rimanevano immobili e incappucciati, ma i loro occhi sembravano quelli di assassini incalliti.
Un brivido mi pervase. Lucius era solo dinnanzi a tutto questo.
Yuri teneva gli occhi bassi, mentre l’ex compagno, l’uomo bellissimo e sulla quarantina al suo fianco, ghignò ancora.
Lucius reggeva il peso del suo sguardo con coraggio, sicurezza e fermezza.
Solo io sapevo che nel suo sguardo c’era anche tutto il dolore causato da quegli occhi color del cielo e quei capelli di grano.
«Benvenuto, Lucius Yuki... davvero non so a cosa stesse pensando tua madre quando ti ha dato questo nome» la voce dall’accento inglese proruppe nel silenzio assordante.
Era ironica e maliziosa. Vomitevole.
Lucius non si mosse né emise un fiato.
«La tua bellezza è davvero notevole! Degno di me, vero Yuri?» chiese spavaldo.
La donna abbassò ulteriormente il capo, senza rispondere.
«Allora Lucius... so che non te la sei passata bene ultimamente. Spero che tu possa riprenderti presto» biascicò Charles.
«Arriviamo al punto. Non ho tempo da perdere. Dimmi che diavolo vuoi da me!» sbottò Lucius, stringendo i pugni lungo i fianchi.
«Notevole! Davvero notevole!» rise l’uomo biondo, applaudendo come se stesse assistendo ad uno show «Sei sicuro di te, bello, tremendamente intelligente e coraggioso. Sei proprio un ragazzo notevole!» continuò.
Un brivido mi percorse la schiena.
«Vorrei sapere se ho nutrito abbastanza il tuo ego!» lo fulminò Lucius «In quel caso vorrei conoscere il tuo obiettivo» asserì.
«Bene, Lucius» concesse Charles «allora te lo dirò».
Tre degli uomini che lo circondavano andarono ad attorniare Lucius.
Yuki non batté ciglio.
«Se rivuoi indietro questa sgualdrina, dovrai fare due piccole cose per me» cominciò l’uomo ghignando «innanzitutto durante il processo dovrai ritirare ogni accusa contro mio figlio Ephram, dichiarando che hai iniziato tu la rissa» disse con naturalezza ed estrema tranquillità Charles. Lucius irrigidì la mascella e chiuse gli occhi. «inoltre... dovrai allontanare da te la dolce Anastasia. Quella ragazzina ha smosso troppa terra per amor tuo. Se le dirai che non la ami più e che ti sei stancato di lei... non troverà più alcun motivo per continuare a mettermi i bastoni tra le ruote. Se avrò altri problemi sarò costretto a risolverli alla radice, capisci?» ghignò Charles «Allora, Lucius, lo farai?» chiese Magnus.
Lucius tremava visibilmente. Il dolore sul suo volto era ormai palese e la rabbia stava scemando per lasciare il posto alla disperazione.
«Io...» mormorò Lucius, ma Yuri lo interruppe.
«Tesoro» lo chiamò, alzando il volto rigato di lacrime «guardami» pigolò la donna.
Lucius lo fece, sembrava anche lui sul punto di piangere ma il tremore del suo corpo sembrava essere il suo unico problema.
«Quando mi penserai... ti prego, ricordati dei ciliegi rosa in fiore. Ricordati i ciliegi, amore mio» singhiozzò. Poi si gettò su Charles, e tra le mani aveva una scheggia di vetro grande quanto un pugnale.
«Noo!» urlò Yuki – sama. Era un ringhio di dolore, un urlo di paura e risuonò in quel luogo freddo ancora più forte del rumore dello sparo che ne seguì.
Yuri cadde al suolo.
 
Il silenzio si protrasse per pochi secondi, ma parvero ore.
La mia mente si era fermata.
Lucius ancora al suo posto, un dei tre uomini che lo circondavano mirava ancora.
Charles sorpreso e impaurito.
Yuri a terra in una pozza di sangue.
Lanciai il segnale a Dean, e mentre le sirene della polizia riecheggiavano nel silenzio di tomba, Magnus si riebbe.
«Alle macchine!» urlò agli uomini «E tu!» indicò Lucius con uno sguardo furioso «Fa’ ciò che ti ho ordinato, oppure anche la tua preziosa Anastasia morirà sotto i tuoi occhi» minacciò crudele, senza degnare di uno sguardo il corpo esanime di Yuri.
I nemici si dileguarono come fumo dalla parte opposta attraverso una porta secondaria, e nella stanza calò il silenzio.
Lucius cadde in ginocchio, e poi gattonò per qualche metro fino al corpo esanime di Yuri.
La prese delicatamente, se la portò al petto, stringendole la testa tra la mano e la spalla.
«Che donna stupida» mormorò con lo sguardo allucinato «che stupida» ripeté.
Le accarezzò il viso con la mano libera e poi le posò un bacio sulla guancia.
«Sei sempre stata una stupida».
Una lacrima.
Poi un ringhio.
Poi...
Lucius si alzò barcollando, prese la sedia sulla quale era seduta Yuri e la fracassò al suolo con un gemito, poi afferrò dei ferri vecchi buttati nell’angolo e li lanciò lontano ringhiando a denti stretti. Sfondò la porta che divideva quella stanza e la successiva e rovesciò i tavoli luridi sui quali c’erano degli scatoloni pesanti.
Ancora col fiatone si lanciò contro il muro, dandogli una spallata così potente da farlo risuonare...
Le lacrime mi solcarono il viso.
«Fermi! Polizia!» urlarono gli agenti, entrando di botto nella stanza. Non li avevo neanche sentiti arrivare.
Recuperai registratore e videocamera, e decisi di andare a raggiungere Lucius.
«No! Ania, non farlo» mi bloccò Dean.
Lo guardai, ma non lo vedevo. Non riuscivo a realizzare.
«Che... che stai dicendo? Io devo... andare da lui!» mormorai stordita.
«Pensa a Lucius» mi fece notare «pensa a come si sentirebbe se sapesse che non eri al sicuro ma che eri a due passi dall’assassino di sua madre!» disse guardando il corpo di Yuri. Anche Dean aveva  sentito tutto grazie alla ricetrasmittente e aveva capito. «Sarebbe troppo per lui a questo punto. Sei l’unica persona che gli sia rimasta e devi fare di tutto per proteggerti, o ne rimarrà distrutto più di quanto non lo sia già» spiegò.
Io capivo le sue parole, e gliene davo atto, ma...
Il mio ragazzo aveva visto morire la madre davanti ai suoi occhi per mano del padre... io potevo far finta di nulla? No, ovvio.
«Ma io... non posso lasciarlo» pigolai.
Nel frattempo due agenti avevano bloccato Lucius, impedendogli di fracassarsi una spalla con l’obiettivo di sfondare il muro.
«Lasciatemi! Io l’ammazzo!» urlava disperato, fuori di sé, indemoniato come non mai.
Mi si strinse il cuore quando vidi il sangue sulla sua camicia.
Era il sangue di Yuri o di qualche ferita riaperta?
«Ania, ora sistemiamo le cose qui, chiamiamo rinforzi e cerchiamo di calmare Lucius. Prima o poi dovrai dirglielo, ma per ora non farti vedere. Se siamo fortunati, arriverai a casa prima di lui e finché non starà meglio tu non dovrai dirglielo» disse Dean. Annuii mestamente.
Lucius si era zittito e lacrime silenziose avevano cominciato a bagnargli le guance.
«Lucius» gli andò incontro Dean «ragazzo, coraggio. Fatti coraggio» mormorò abbracciandolo.
Yuki – sama tremava e respirava affannosamente.
«Tra poco ti porto a casa» promise Dean.
«Non ce la faccio più» sussurrò Lucius mettendosi una mano tra i capelli.
«Lo so, lo so figliolo. Ma vedrai che andrà tutto bene da adesso in poi» cercò di tranquillizzarlo Dean.
Intanto un altro agente dichiarava l’ora del decesso della madre di Lucius, mentre le copriva il volto con un telo bianco.
 
 ----------------------------------------- ANGOLO DELL'AUTRICE -----------------------------------------------------------------------------

 ciao ragazze e buona domenica a tutte. eccovi qui questo nuovo e straziante capitolo. vi confesso che porre fine all'esistenza di Yuri mi è costanto molto, anche perchè era un personaggio complesso e da capire.
bene detto questo, spero che abbiate montagne di cose da dirmi e spero che non mi odierete se ho fatto soffrire ancora di più il nostro amato Lucius.
bene, ci sentiemo presto, tanti bacini a tutte voi e grazie perchè leggete, seguite e commentatte sempre.
Fiore
<3

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Capitolo 25
*** Separazione ***


Capitolo 25
 
Separazione
 
 
 
Dean mi aveva riportata a casa come promesso.
L’appartamento era buio e non c’era nessuno rumore a parte quello delle auto che passavano in strada.
Mi ero rannicchiata dietro la porta d’ingresso e aspettavo che Lucius tornasse.
Volevo abbracciarlo, supportarlo, consolarlo, amarlo.
Perdere un genitore, per quanto scellerato sia stato nella sua vita, era comunque una ferita.
Per Lucius, l’ennesima.
Forse piangevo, forse respiravo e basta, stando immobile a fissare la porta.
Non mi accorsi nemmeno di essermi addormentata tanto ero scioccata e confusa e spaventata e triste.
Un’accozzaglia di sentimenti che stonavano come una manciata di colori sgargianti messi insieme, creando in me solo un forte timore nel petto.
Mi sentii sollevare, mi sentii baciare la fronte, ma non riuscii a ridestarmi, come se il mio corpo si rifiutasse di uscire dallo stato di catarsi  in cui si era rifugiato.
Poi un colpo sordo mi fece svegliare di soprassalto.
Mi ritrovai nel letto di Lucius, e ricollegai il mio spostamento al suo ritorno.
Il sonno era sparito in un battito di ciglia, e perciò mi precipitai nel salone.
Era deserto.
Allora corsi in bagno.
Aprii la porta di scatto.
L’acqua della doccia scorreva, ma una delle due ante di vetro era aperta e lasciava intravedere i fiotti di sangue che scendevano nello scarico.
Il liquido rosso, diluito dall’acqua sembrava scorrere copiosamente e quando intravidi anche il corpo di Lucius seduto sulle piastrelle della doccia e seminascosto dal vapore che aveva appannato il vetro dell’anta chiusa, il mio cuore perse un colpo.
«Lucius!» chiamai a gran voce, avvicinandomi alla doccia.
Sbirciai dentro, infischiandomene del fatto che potesse essere svestito.
La vista del suo corpo emaciato mi paralizzò.
Indossava solo i pantaloni ed era seduto sotto il getto caldo dell’acqua insieme agli indumenti che aveva indossato per l’incontro con Charles. La giacca della sua divisa era insanguinata, ed era da lì che il sangue scorreva nello scarico.
Anche il suo petto era imbrattato di rosso e la cosa più scioccante era che non riuscivo a capire se fosse sangue suo o meno.
La cicatrice sembrava apposto però. La spalla con la quale aveva tentato di sfondare un muro di cemento era violacea e le nocche delle mani graffiate.
«Lucius» lo richiamai piano.
Non si mosse, non alzò il capo, si limitò solo a rispondere.
«Sta’ tranquilla, non è mio» disse riferendosi certamente al sangue.
Cosa avrei potuto dire? Lui credeva che io fossi all’oscuro di tutto! Che fossi rimasta al sicuro, lontana da tutto l’orrore che aveva visto lui!
Dean aveva ragione, ero stata imprudente.
Tolsi le pantofole e la maglia, rimanendo in canottiera e pantaloni.
«Lucius» mormorai «mi dispiace tanto» gemetti, entrando nella doccia «ti prego, alzati e vieni con me, vieni da me» dissi.
«Non preoccuparti per me, volevo solo lavare via il sangue» spiegò con voce monocorde.
«Okay. Ti aiuto e poi usciamo da qui, va bene?» proposi.
Notai il flacone di bagnoschiuma caduto a terra dalla piccola mensola sul muro, e capii che era stato quello a farmi svegliare.
Presi una salvietta e la insaponai, poi mi avvicinai a Lucius, venendo investita dal getto caldo dell’acqua.
«Ania, non sei costretta a farlo, posso farlo da solo» mormorò. Ero estremamente vicina e solo ora mi accorgevo del tremore delle sue mani, del respiro spezzato e affannato che gli faceva sussultare il petto, e della tumefazione della sua spalla.
Sospirai silenziosamente.
Lavai via il sangue di Yuri dal suo petto, dalle braccia, dai capelli e dal viso.
E poi allontanai i vestiti insanguinati in modo che non sporcassero più il corpo di Lucius. L’odore di sangue che prima impregnava l’aria rendendola pesante ora si era dissolto lasciando spazio ad un odore mascolino e rigenerante, quello del bagnoschiuma.
Chiusi l’acqua e poi presi un accappatoio e un telo grande.
Infilai l’accappatoio e poi posai la grande asciugamano sulla testa di Lucius, cominciando ad asciugargli i capelli.
«Tocca sempre a te rimettermi in sesto, eh?» chiese mesto «Ultimamente mi sento un vaso da collezione che si frantuma in continuazione e tu sei la caparbia collezionista che ogni volta mi rimette insieme i pezzi con pazienza e amore. Patetico, vero?» mormorò amaro.
«No, non è patetico. Mi sento allo stesso modo. Se non ci fossi stato tu, credo che avrei accettato la mia rottura molto tempo fa» confessai.
Ci alzammo e uscimmo dalla doccia.
Lucius sembrava essere tornato in sé ed era intento ad asciugarsi, ed io lo osservavo senza capire in che stato d’animo versasse.
«Sto bene. Non c’è bisogno che mi fissi come una psichiatra» parlò pacatamente e con tristezza.
«Io non ti fisso, solo... non voglio che tu ti tenga tutto dentro. Tua madre è morta sotto i tuoi occhi Lucius, mi aspettavo perlomeno che fossi incazzato nero!» confessai.
«Ho già avuto modo di sfogarmi» rispose, tenendosi la spalla ferita con una mano.
«Capisco. Vuoi che te la bendi?» chiesi.
«Non serve, ti ringrazio» era diventato improvvisamente pensieroso «come sai di mia madre?» chiese poi.
«Me... me lo ha detto Dean» mentii «mi ha telefonata».
«Davvero? Strano!» si accigliò. Una luce tetra gli velò gli occhi quando continuò «Gli avevo chiesto di non dirti che avevo assistito alla scena. Avevo paura ti preoccupassi ulteriormente per me... ma tu sapevi comunque che avevo visto tutto» ragionò. Il sangue mi si gelò nelle vene. Probabilmente Dean mi aveva mandato dei messaggi o mi aveva chiamata, ma io mi ero addormentata come una sciocca.
Merda.
«Lucius...» che scusa potevo inventare? A questo punto era necessario continuare a mentirgli?
«Tu eri lì!» sbottò in un impeto di rabbia. Non era una domanda.
«Lucius...».
«Eri lì! Eri a due passi dall’assassino di mia madre!» tuonò. Mi prese per le spalle e mi spinse senza troppa delicatezza contro il muro.
«Mi dispiace, te l’avrei detto...» mormorai.
«Ania! Ti rendi conto di cosa hai fatto? Ti rendi conto che se ti avessero scoperta adesso avrei due lutti da piangere? Come puoi aver rischiato tanto? Come puoi avermi mentito così spudoratamente!? Ti avevo pregato, scongiurato, supplicato di rimanere qui, ma tu sei sempre la solita testarda! Cazzo Ania! Maledizione!» urlò disperato.
Mi imprigionò ponendo un braccio teso a destra e uno a sinistra della mia testa.
«Perdonami» mormorai tra le lacrime.
«No. Non posso, non ci riesco. Voi donne siete delle stupide masochiste. Vi credete delle martiri, ma non capite che col vostro comportamento ferite le persone che vi circondano?» chiese paonazzo.
«Perdonami» ripetei «volevo solo aiutarti» dissi.
«Anche Yuri voleva solo aiutarmi, peccato che per farlo si sia suicidata. Bel modo di aiutarmi. Non mi ha dato niente per tutta la sua vita e proprio stasera ha deciso di ripagarmi di botto tutto il conto» parlò con voce roca e provata.
«Grazie al suo sacrificio abbiamo la vittoria in pugno» lo informai «ho filmato e registrato tutto. Tra due settimane, al processo, quei video incastreranno non solo Ephram, ma anche Charles e i suoi scagnozzi. È un uomo finito» dissi fiera.
«Io sono finito» mormorò di rimando «se qualcuno di loro ti ha vista o sentita...».
«No» lo bloccai, prima che potesse cadere nella disperazione più nera «nessuno mi ha vista né sentita» assicurai.
Sospirò profondamente, con l’aria di un uomo stanco e distrutto.
Poggiò la fronte tra la mia testa e la sua mano sinistra, che teneva aperta sul muro.
«Tu mi porterai alla tomba prima che possano farlo Charles o Ephram» mormorò.
«Scusa» sussurrai accarezzandogli i capelli, che ancora umidi avevano assunto un colore più scuro, quasi castano.
«Ti perdonerò solo se riuscirai a proteggere te stessa fino al giorno del processo. Charles vuole separaci... e avrà ciò che desidera per due settimane, e tu dovrai collaborare» disse severo con un tono che non ammetteva repliche.
«Che cosa vuoi che faccia?» chiesi mesta. Sapevo cosa stava macchinando .
«Devi giurarmi che sarà come se non fossi mai esistito per te. Devi andare via  e dimenticarmi... per due settimane» rispose serio. Era accigliato come se si stesse sforzando di far uscire dalla sua bocca quelle parole tanto spaventose.
 Sospirai.
«Va bene» concessi «ma sia chiaro, quando vinceremo il processo voglio fare l’amore con te» mormorai decisa.
Lui si scostò con espressione divertita ma riuscivo ancora a vedere nei suoi occhi la rabbia che aveva provato nei miei confronti.
 
 
*******
 
 
 
Io mantenevo le promesse, sempre.
Quella volta però, nel periodo prima del processo mi sentii morire dentro molte volte.
Non avrei mai immaginato che essere fedeli alla parola data potesse essere tanto difficile e doloroso.
Io e Lucius sedevamo vicini, passavamo negli stessi corridoi e conservavamo le nostre cose in armadietti identici senza mai degnarci di uno sguardo.
Allo stesso tempo però pensavamo all’altro ogni momento nel tentativo di non dimenticare che tutto dipendeva da noi.
Agli occhi degli altri dovevamo sembrare distanti, schivi, come una coppia che non si ama più  e che si è arresa da tempo, dovevamo ignorare tutto dell’altro... anche il suo dolore.
Quest’ultima risultò essere la cosa più difficile.
Quella mattina nevicava e mentre mi recavo a scuola cercavo di non pensare al fatto che il giorno prima Lucius avesse detto addio per sempre a Yuri.
Aveva fatto cremare il suo corpo come da tradizione giapponese e poi aveva pianto la sua morte da solo, in silenzio.
Io non avevo potuto fare nulla per lui, non ero stata in grado andare da lui, e non avevo nemmeno potuto abbracciarlo quella mattina, quando sotto gli occhi curiosi e maligni di tutti aveva attraversato il corridoio.
Non indossava la divisa scolastica, quella macchiata dal sangue di sua madre, ma solo dei jeans scuri e una maglia leggera e nera, con uno scollo strano che lasciava intravedere la spalla fasciata dalle bende. Le maniche arrotolate fino ai gomiti lasciavano scoperte le garze del braccio.
I mormorii e il brusio che riempirono il corridoio al passaggio di Lucius mi fecero rabbrividire e chiudere i pugni di botto.
«Avrà fatto di nuovo a botte con qualcuno» diceva un ragazzo.
«Guarda la sua faccia... questa mattina sembra proprio un mostro indemoniato!» sghignazzava un altro.
«Il preside lo sospenderà quando lo vedrà vestito così... ma cosa avrà fatto al braccio?» sussurrava una ragazza.
Lucius si fermò di fronte al suo armadietto e ignorò deliberatamente i bigliettini pieni di frasi orribili che tappezzavano lo sportello.
Il suo viso era teso, contratto, gli occhi stanchi e le occhiaie marcate.
Il fatto che avesse solo una maglietta a coprirlo dava la sensazione che il suo corpo statuario fosse debole e debilitato perché il tessuto sottile marcava crudelmente il deperimento del suo fisico e le bende nascoste in malo modo non facevano altro che accentuare quella fragilità tanto forte quanto straziante.
«Ehi, Bell...» la voce di Nick ruppe quel vociare. Il ragazzo si diresse verso Yuki – sama.
«Oggi no, Nick» lo incalzò Lucius sfinito, cupo.
«Senti amico...» continuò l’atro, ma Lucius lo prese per il colletto della camicia e lo scaraventò contro l’armadietto vicino.
«Ho detto... oggi no!» sbottò Yuki.
«Ti fa sentire meglio? Eh?» chiese incredulo il secondo «Ho saputo di tua madre, mi dispiace!» disse serio e con nello sguardo una comprensione che non gli avevo mai visto prima. In quel momento Nick sembrò addirittura maturo.
Lucius lo mollò subito, allontanandosi.
Fece qualche passo scuotendo la testa, poi rise amaramente, tristemente, stancamente.
«Ti dispiace? Sono colpito!» ironizzò amaro Yuki – sama.
«Lucius... dico sul serio! Mi dispiace di aver fatto il coglione fin’ora! Ma io... io non avevo mai capito nulla e ora  mi sembra tutto così schifoso!» il ragazzo sembrava davvero consapevole e finalmente sembrava aver aperto gli occhi «Non sono qui per infastidirti come al solito, né per fare a botte. Volevo solo dirti che mi dispiace tanto, davvero» mormorò mesto.
Lucius annuì in un sospiro esausto, stremato.
I mormorii ricominciarono, sempre più insistenti e crudeli, e a quel punto non poteva che spuntare White.
«Che cosa sta succedendo? Perché c’è tutto questo chiasso?» sbottò paonazzo, gesticolando come un matto.
Quando si accorse di Lucius rimase immobile.
Chiunque si sarebbe aspettato che si rivolgesse a Lucius con parole di costernazione e conforto, invece...
«Signor Bell... come al solito dove c’è disordine c’è lei! Sembra che la sua stessa persona, respirando, tiri fuori il caos» dichiarò infastidito.
Era normale che volessi picchiarlo? Strangolarlo? Torturarlo a morte?
Lucius non rispose, probabilmente non ne aveva la forza.
Ogni volta teneva testa alle sciocchezze di White con frasi sottili e taglienti, impertinenti al punto giusto.
«Non parla stamattina? E che fine ha fatto la sua divisa? Conosce il regolamento, la divisa va portata sempre! Allora sentiamo... dov’è la sua?» chiese burbero.
«Non potevo metterla» mormorò Lucius.
«Lei doveva metterla!» urlò isterico White.
«Era... era sporca, preside» rispose Lucius con un singulto nella voce spezzata.
«Allora doveva assicurarsi di portarla in lavanderia!» tuonò l’altro.
«Zio... ora basta» sorprendentemente Nick si parò dinnanzi a Lucius.
«Nicolas... non ti permetto di rivolgerti a me in questo modo! È inammissibile!» lo sgridò White con falsa stizza.
«So bene cosa sia inammissibile, zio» continuò Nick senza battere ciglio «trattare così uno studente che ha perso da poco sua madre e che è reduce da un soggiorno in ospedale... questo è a dir poco bestiale» rispose secco.
«Nicolas!» sbraitò White, ma tutti gli occhi degli studenti erano su di lui, e lo fissavano, finalmente consapevoli della realtà in cui viveva Lucius.
«Vuoi che dica altro? So tutto preside White, e potrei spifferare chissà cosa davanti a tutti» minacciò Nick.
Sembrava un’altra persona, sembrava cambiato profondamente.
«Nick... basta così» lo fermò Lucius con un filo di voce «ci sono state troppe vittime e troppe persone si sono fatte male. Credimi, non ne vale la pena».
Abbassò il viso e si dileguò dopo aver sussurrato al suo difensore un debole “grazie”.
Tutti tornarono ai loro pettegolezzi mentre il mio cuore finiva in mille pezzi.
Nemmeno una disgrazia come la morte di Yuri era riuscita a far redimere White, che opprimente quanto l’afa aveva tormentato Lucius senza remore e senza pietà.
Invece sembrava aver colpito Nick il quale si era addirittura esposto per Lucius.
Ero rimasta stupita ma altrettanto sospettosa.
Che fosse cambiato? Che la vista del petto martoriato di Lucius lo avesse scosso davvero?
Non potevo saperlo.
Dovevo solo aspettare.
 
 
*******
 
 
 
La prima settimana era passata lentamente, troppo lentamente.
Lucius non metteva più piede nella mensa e dubitavo mangiasse decentemente.
Sembrava aver recuperato una divisa nuova, probabilmente aiutato dalla signorina Walter che in classe non lo interpellava mai, e lo lasciava in pace persino quando dormiva sul banco in piena spiegazione.
Nick non si era fatto più vivo e quando eravamo in classe non faceva che lanciare occhiate nella mia direzione per scrutare me oppure Lucius.
La cosa peggiore di quel periodo furono i bulli: altri ragazzi non appartenenti al gruppo di Nick che prendevano Lucius di mira e approfittavano della sua momentanea debolezza per adescarlo in imboscate a dir poco cruente.
Ciò che mi spezzava il cuore però era l’espressione sul viso di Lucius, così vuota da risucchiare ogni speranza.
Subiva, sopportava e soffriva in silenzio senza mai lamentarsi, senza mai cedere.
Portava tutto il peso del suo dolore da solo e con coraggio inumano.
“Ricordati i ciliegi” aveva detto Yuri prima di morire... ma cosa mai poteva significare?
Quale conforto potevano dare i ciliegi ad un ragazzo distrutto e torturato dalla vita come Lucius?
«Ehi...» in quel momento mi sentii chiamare da dietro, e lasciando nel piatto la mia insalata mi alzai e mi voltai verso la voce.
Nick.
«Ania, mi spieghi che diamine vi è preso ad entrambi?» chiese Nick incredulo senza introdurre il soggetto della sua domanda.
Io capii comunque e ricollegai la sua domanda agli sguardi di fuoco che ci lanciava di tanto in tanto.
«Non so di che parli» risposi fredda, risiedendomi e continuando a rigirare il cibo nel piatto.
Si sedette accanto a me con uno sbuffo poco delicato e grugnì.
«Lo sai eccome!» mi attaccò «Sua madre è morta e tutta la situazione in cui si trova ora è difficile e dolorosa. Perché l’hai mollato così? Perché non hai aspettato? Capisco che tu sia spaventata ma potevi almeno stragli vicino ora! Che razza di ragazza innamorata sei?» tuonò con voce accusatoria.
«Tu non sai niente!» risposi mesta e irritata. Nessuno faceva caso a noi, perciò continuai «Tu non hai il diritto di venirmi a dire certe cose! Pensi che non lo sappia? Pensi che io me la sia svignata per paura? No, Nick. Sto solo facendo ciò che mi ha chiesto lui: stargli alla larga fino al giorno del processo» confessai, sperando che il cambiamento repentino di Nick non fosse solo una messa in scena.
«Quindi state solo fingendo?! Non vi siete lasciati davvero!» sorrise beffardo.
Annuii.
«Beh almeno una cosa buona... comunque Ania, ti stavo cercando perché volevo chiederti un favore» asserì.
«Sentiamo» sospirai.
«Voglio testimoniare anche io al processo, e costringerò mio zio a fare altrettanto».
«Sarebbe fantastico, ma anche molto stupido da parte tua» dissi «indubbiamente ci servono testimoni ma... posso fidarmi di te dopo tutti i precedenti?» chiesi afflitta.
«Certo che puoi. Voglio fare qualcosa per aiutarlo. Ho sempre pensato brutte cose sul suo conto senza sapere la verità. Ora non posso fare altro che scusarmi» mormorò dispiaciuto.
Non so come ma mi convinse, d’altronde dopo tante disavventure mi sentivo terribilmente sola e vulnerabile senza Lucius e l’aiuto di Nick mi sembrava una specie di miracolo.



------------------------------------------------------ ANGOLO DELL'AUTRICE ------------------------------------------------------------

ciao ragazze come state! lo so che stavolta ci ho messo più del solito ma sto studiando per i test imminenti dell'università.
certa di leggere presto i vostri commenti, vi mando un grosso e affettuoso bacio.
vi adoro.
Fiore
<3
 

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Capitolo 26
*** La resa dei conti ***


Capitolo 26
 
La resa dei conti
 
 
Quando il mio telefono squillò sonoramente nel silenzio della mia fredda camera, il mio cuore perse un colpo. Il display del cellulare mostrava chiaramente il mittente.
«Lucius» ansimai, soffocando quasi.
Erano due settimane che non pronunciavo il suo nome, e ridirlo mi sembrò davvero un miracolo.
Yuki – sama non rispose, e rimase in silenzio.
Ascoltavamo i nostri respiri affannati e soli, come i nostri cuori.
Poi parlò.
«Ania... »la sua voce sembrava essersi assottigliata, come se la debolezza avesse inciso anche sulle sue corde vocali.
Provai comunque un brivido al suono di quella melodia, la mia preferita, e ricordai con nostalgia la volta in cui aveva cantato con voce calda e potente, la canzone più dolce che avessi mai udito.
Attesi che continuasse.
«… vieni al ciliegio, ti prego» mormorò così piano che dovetti sforzarmi per sentire tutto.
«Arrivo subito, aspettami» promisi.
Era il tramonto e il freddo si insinuò nelle mie ossa appena fuori dalla stanza.
Per fortuna avevo portato il cappotto e la sciarpa, e così mi incamminai velocemente verso l’esterno.
Quando raggiunsi il ciliegio mi bloccai.
Lucius, o meglio, ciò che rimaneva di lui, stava seduto tra le radici dell’albero.
La schiena poggiata al tronco, la testa riversa tra le ginocchia alzate e scarne, ai suoi piedi una lettera macchiata di rosso.
Indossava soltanto la camicia nonostante il freddo pungente, e sembrava si trovasse in quel luogo da tempo, perche qualche fiocco di neve della nevicata pomeridiana era ancora impigliato tra i suoi capelli.
«Lucius» mormorai. Sembrava dormisse, e con rammarico riportai alla mente la prima immagine che avevo di lui.
Bello, sano e spensierato – per quanto possibile – dormiva sereno sotto lo stesso albero, un tempo in fiore, ma la versione che mi trovavo davanti agli occhi in quel momento sembrava essere uscita da un incubo.
Mi avvicinai cauta e poi mi inginocchiai vicino a lui.
«Lucius» ripetei piano.
Aveva gli occhi socchiusi, vuoti e persi, così tristi e disperati che pensai che da un momento all’altro ne sarebbe uscita una lacrima.
«Mi dispiace averti disturbata, ma... » sospirò stancamente «ho trovato questa» disse riferendosi al foglio di carta macchiato ai suoi piedi.
Lo presi e cominciai a leggere.
Trasalii.
Era una lettera di Yuri, firmata col sangue per impedire a chiunque di dubitare dell’autenticità della prova.
Lo diceva lei stessa nelle prime righe, rivolgendosi ad un giudice immaginario.
Proseguiva presentandosi e raccontando la stessa storia che aveva raccontato a me in ospedale.
Lo spazio finale era per Lucius.
“So che ti sarà difficile farlo, amore mio, ma credimi: sei stata la cosa migliore di tutta la mia vile esistenza. Ogni volta che guardavo la neve mi sentivo sola, come se mancasse alla mia vita la lucentezza del fiocco più bello, tu Yuki. Ma sono stata così ingenua da credere che dimenticandomi di te sarei riuscita a brillare di nuovo come la neve al sole. Mi sbagliavo, davvero. Perdonami se puoi, e sii felice. Vorrei che facessi entrambe le cose, ma preferisco la seconda in particolare, tesoro. Addio”.
Una lacrima mi sfuggì e ricadde sulle mie dita.
Lasciai la lettera per terra e poi afferrai Lucius per le spalle e lo strinsi a me.
Lui ricambiò con uno spasimo, come se fino a quel momento avesse trattenuto il respiro e teso i muscoli.
Anche io mi sentivo sul punto di scoppiare, come se la distanza ci avesse privato dell’aria che finalmente potevamo respirare di nuovo riallacciando il contatto.
Il corpo di Lucius era freddo in maniera preoccupante e le sue dita erano rosee per il gelo.
Mi tolsi la sciarpa con la mano libera e gliel’avvolsi al collo e alle spalle.
Lui rabbrividì leggermente cacciando un singulto impercettibile e poi sospirò.
«Si è uccisa per rendermi le cose più facili. Lei sapeva sin dall’inizio che cosa sarebbe successo, sapeva che provando a ferire Charles avrebbe trovato la morte, ma l’ha fatto comunque. Un omicidio con testimoni e prove non può essere nascosto sotto il tappeto insieme alla polvere. Non si trattava più di me, né di lei. Mia madre ha messo fine a tutto» mormorò cercando di capacitarsene.
«Lo so» annuii affranta.
Mi strinse ancora di più, come se avesse paura che anche io l’avrei abbandonato.
Dopo quel pensiero ne arrivò uno ancora più triste: ero l’unica persona che gli fosse rimasta al mondo.
 
 
*******
 
 
La mattina del processo era scura e fredda e la pioggia non aveva mai smesso di cadere sin dalla sera prima.
Avevo indossato un tailleur nero, preso in prestito dal guardaroba della signorina Walter.
Lucius era in smoking.
Non ci vedevamo né parlavamo da giorni, dopo l’episodio delle lettera, e quando ci incontrammo davanti all’aula del processo trasalimmo all’unisono vedendo quanto l’altro sembrava distrutto e debilitato dalla distanza.
Ma dovevamo resistere fino alla fine.
In fondo c’erano prove schiaccianti contro Magnus e suo figlio e nessuno dei due ne sarebbe uscito pulito.
I giornali erano ormai venuti a conoscenza dell’accaduto e un fiume di giornalisti aspettava  fuori dall’aula per tempestare di domande i protagonisti della storia.
«Ania, tu siederai dietro Lucius e quando verrai interpellata ti alzerai e seguirai le guardie che ti porteranno accanto al giudice» spiegò Dean.
Il nostro avvocato era un suo vecchio amico, molto in gamba  e a quanto sembrava aveva preso subito a cuore il caso di Lucius e aveva promesso al poliziotto una vittoria schiacciante.
Incrociai le dita mentre una guardia annunciava l’entrata del giudice.
I Magnus non si erano ancora fatti vivi.
Da dietro vidi Lucius irrigidire la mascella e le spalle, allora mi sporsi e gli sussurrai: «Ti amo Yuki – sama».
Lui annuì, allungò una mano e prese una della mie.
In quel momento Charles Magnus fece la sua comparsa in sala posizionandosi proprio dietro a suo figlio, scortato da due guardie alte e minacciose.
Lui era un detenuto.
Il giudice Alfieri diede inizio al processo.
Il nostro avvocato, il signor Sabati si alzò in piedi.
«Il processo di oggi, Vostro Onore, vede come protagonista il mio assistito, il signor Lucius Yuki Bell. Egli è appena maggiorenne ma la sua giovane persona ha dovuto subire e sopportare angherie di ogni genere e il suo spirito ha già agonizzato nelle pene più dolorose dell’inferno» cominciò Sabati in maniera teatrale.
Il silenzio aleggiava nell’aula, e il giudice sembrò incuriosirsi ulteriormente.
«Vada avanti, avvocato» lo esortò infatti.
Sabati annuì. «Il mio assistito ha passato più di un mese in ospedale, rischiando di morire a causa del qui presente signor Ephram Magnus. Le percosse subite dal mio cliente e causate dall’accusato sono perfettamente riscontrabili sia nelle cartella clinica sia sul corpo del signor  Bell. Inoltre il mio cliente ha da poco subito un grave lutto. Sua madre, la signora Yuri Bell è stata uccisa sotto in suoi occhi e...».
«Obiezione! Vostro Onore! Le accuse sulla morte della madre del ragazzo non hanno alcun fondamento» rispose l’avvocato della difesa.
Charles sorrise impercettibilmente. Era certo che non ci fossero prove sufficienti.
«Accolta» dichiarò il giudice.
«La signora Bell  aveva la fama di essere un’alcolizzata nonché una tossicodipendente, quindi si suppone si trovasse nel luogo del delitto per un motivo ben preciso e credo evidente, Vostro Onore. Probabilmente non avendo i soldi necessari la signora ha trovato il suo destino cercando una... bustarella!» concluse ammiccando l’avvocato.
Lucius fremette.
«Avvocato Sabati?» il giudice ridiede la parola a noi.
«Noto con profondo dispiacere che la difesa sta cercando di arrampicarsi su specchi molto scivolosi, Vostro Onore. Visto che il mio cliente è in possesso di un video che riprende la scena dall’inizio alla fine, mostrando come uno degli adepti del signor Charles Magnus, abbia sparato deliberatamente alla madre del mio assistito». Sabati parlò piano e pacatamente, con una tranquillità inimmaginabile. Sembrava sicuro che qualsiasi cosa avessero in mente i Magnus, noi ne saremmo comunque usciti a testa alta.
«Obiezione Vostro Onore!» la difesa si fece di nuovo avanti.
«Respinta» disse il giudice, strappandomi un sorriso. «Continui Sabati. Prego».
Il nostro avvocato annuì e proseguì.
«Il video mostra chiaramente la scena in cui il mio cliente viene minacciato dal signor Magnus, padre dell’aggressore del mio assistito, davanti alla madre. Quest’ultima con un gesto estremo, cercando di riscattare il figlio, ha aggredito lo stesso Magnus, ma non l’ha neppure sfiorato in quanto uno dei suoi subordinati le ha sparato a sangue freddo, senza pietà» spiegò l’avvocato.
Lucius si irrigidì.
Gli misi una mano sulla spalla.
«Mi spieghi le dinamiche dell’incontro, avvocato» chiese il giudice.
«Molto bene, Vostro Onore. A questo proposito interrogherò il mio cliente» premise Sabati.
Lucius fu scortato fino al banco dei testimoni. Nel suo completo sembrava ancora più debilitato e stanco.
Fece il giuramento di verità e si sedette.
Sabati iniziò. E fu un botta e risposta.
«Signor Bell, perché si trovava nella fabbrica abbandonata della zona periferica della città il giorno della morte di sua madre?».
«Giorni prima mi era arrivata una lettera in cui il signor Magnus mi intimava di raggiungerlo lì. Dalle parole sulla lettere si capiva chiaramente che avesse in mano mia madre».
«Che intende dire con la frase “si capiva chiaramente che avesse in mano mia madre”?».
«Non so bene come definirlo, ma credo che si possa chiamare rapimento».
«Obiezione!» la difesa riattaccò.
«Respinta» il giudice fece cenno a Sabati di continuare.
«E quale movente ci sarebbe dietro questo presunto rapimento?» Sabati continuò tranquillamente.
«Mia madre era solita chiedere denaro a Charles Magnus, sono convinto che volesse sbarazzarsi di lei».
«Obiezione!Il mio cliente...».
«Respinta».
Sabati sorrise e proseguì. «E come mai sua madre chiedeva soldi al signor Magnus?».
Lucius abbassò lo sguardo, poi lo rialzò e fissò l’uomo che gli aveva distrutto l’esistenza.
«Perché io sono suo figlio biologico» rispose secco, con amarezza, come se tutto ciò fosse una crudele maledizione.
Si alzò un vociare irritante in aula e gli occhi di tutti balzavano da Magnus a Lucius.
«Silenzio in aula» urlò il giudice, colpendo il tavolo con il martelletto di legno.
«Perciò, signor Bell, Ephram Magnus è suo fratello?» chiese Sabati. Ma sapeva già la risposta.
«Fratellastro» rispose Lucius con disgusto.
«Quindi ricapitoliamo signor Bell: suo padre biologico ha rapito sua madre e uno dei suoi sottoposti l’ha uccisa. Mentre il suo fratellastro mirava a uccidere lei? Dico bene, signor Bell?».
«Esatto» confermò Lucius.
«Obiezione! La signora Bell non può confermare la versione del ragazzo, perciò non c’è alcuna prova!» intervenne la difesa.
«In realtà c’è» disse Lucius e tutti ammutolirono.
«Ci mostri la prova allora!» lo esortò il giudice.
Dean si alzò e portò al banco dei testimoni la lettera di Yuri chiusa in un cellofan e la cartella clinica che attestava che il sangue analizzato sulla lettera, il sangue della vittima e il sangue prelevato per fare gli accertamenti in ospedale - il giorno dell’aggressione a Lucius, quando anche Yuri era stata ferita, corrispondevano alla stessa identica persona.
Charles sembrò agitarsi, si sfregava le mani con movimenti febbrili, mentre Ephram guardava Lucius con sguardo assassino.
Dopo che il giudice si fu sincerato dell’autenticità della prova, Sabati procedette alla lettura della stessa.
Lucius ascoltò in silenzio le ultime parole della madre, con lo sguardo basso e mesto. La difesa sembrava presa in contro piede e l’agitazione sui volti dei Magnus si scontrò violentemente con la sensazione di vittoria sui volti degli amici di Lucius.
La signora Walter, Nick, Dean, io... tutti eravamo commossi e fieri allo stesso tempo.
«Bene» asserì il giudice, cercando di nascondere la commozione.
Aveva capito la storia di Yuri, il trauma di Lucius da piccolo, il trauma di Lucius in quel momento. La verità dietro quella morte.
«Ammettendo che questa prova sia autentica come già dimostrato e prendendo in considerazione l’ipotesi che l’accusa abbia tutte le carte in regola... signor Bell, perché il signor Magnus ha voluto incontrarla se aveva già in pugno la donna che voleva eliminare?» chiese il giudice.
«Charles Magnus mi ha fatto un’offerta, Vostro Onore. Quel giorno, in cambio della libertà di mia madre, che per giunta aveva riscontrato da poco di essere malata di cancro, voleva che ritirassi ogni accusa nei confronti di Ephram Magnus e che... lasciassi la mia ragazza, oppure anche lei sarebbe stata in pericolo» rispose risoluto Yuki – sama.
Il giudice annuì.
«Avete parlato di video... mi spieghi come ha fatto a procurarsi una prova tanto schiacciante!» si incuriosì il giudice Alfieri.
«Anastasia, la mia ragazza... è stata lei. Ha rischiato tutto per me» mormorò con preoccupazione e affetto nella voce.
Il giudice mi guardò per un attimo.
«Può mostrarci la prova, signorina?» si rivolse direttamente a me.
Arrossii di botto, ma poi annuii e due guardie azionarono un proiettore nel quale c’era il frutto della mia fatica.
Magnus si lanciò verso il proiettore ma fu presto bloccato da due uomini in divisa.
«Questa è una lurida menzogna! Quel video è un falso! Quella troia l’ha manomesso! Maledizione!» urlò al giudice che scosse il capo.
Mi tremavano le mani.
«Chiudi quella feccia bastardo! Chi hai chiamato troia?» Lucius scattò in piedi ma le guardie lo fermarono prima che corresse ad aggredire Charles.
Il mio cuore si era fermato.
«Il video è perfettamente autentico Vostro Onore, ecco qui l’analisi completa e dettagliata di ogni spezzone. Ma se vuole accertarsene possiamo anche rimandare il processo, ciò non cambierà il risultato dell’analisi» intervenne Sabati.
Il giudice annuì. «Procediamo con la visione» disse, mentre nell’aula tornava l’ordine.
Il video cominciò e quei momenti affiorarono di nuovo nella mia mente, risvegliando tutte le sensazioni che avevo provato quel giorno.
Il distacco, la preoccupazione, quel presentimento che non mi abbandonava, la paura di essere scoperta.
Ciò che in quel momento di panico mi era sembrato un’eternità, si rivelò invece essere di brevissima durata nel video.
Una manciata di minuti per mettere fine ad una vita.
Sabati bloccò il video solo quando la scena mostrava Lucius e Yuri chini a terra.
La madre morta tra le braccia del figlio.
Guardai Lucius. Aveva una sguardo pieno di rabbia e dolore e fissava i Magnus con l’odio più profondo che gli avessi mai visto sul volto. Gli occhi arrossati.
«Va bene, basta così» affermò il giudice, quasi disgustato dalla vista di quella prova schiacciante.
«Vostro Onore i miei clienti dichiarano di non aver avuto niente a che fare con Yuri e Lucius Bell... i signori Magnus...».
«Avvocato Lorens, si risparmi la prego. È inutile e anche degradante per lei e i suoi clienti» lo ammonì Alfieri.
«Per quanto riguarda Ephram Magnus, Vostro Onore...» intervenne ancora Sabati.
«Sì avvocato. Sentiamo pure la signorina Green».
Mi alzai e venni scortata al banco dei testimoni. Lucius mi passò accanto sfiorandomi la spalla e soffermandosi al mio fianco per un secondo.
Avevo sempre sognato di giurare di dire la verità, nient’altro che la verità, e fu davvero emozionante: grazie al mio piccolo aiuto, Lucius avrebbe potuto trovare la pace.
«Signorina Green» cominciò Sabati avvicinandosi «dove si trovava il giorno dell’aggressione al signor Bell?».
«Nell’appartamento di Lucius Bell».
«Sa descrivermi le dinamiche dell’accaduto?».
«Certo! Io e Lucius sapevamo che Yuri, sua madre, si trovava sola nell’appartamento, e dato che avevo visto nelle vicinanze il signor... Ephram Magnus» deglutii «andammo a controllare che fosse tutto apposto».
«Come mai eravate preoccupati della vicinanza dell’accusato?» chiese Sabati.
«Perché... perché qualche tempo prima io e Lucius avevamo subito un’altra violenza... meno grave. Per fortuna».
«Quindi mi sta dicendo che non era la prima volta?».
«No, non lo era. Lucius è vittima del signor Ephram da anni. E il signor Charles ne è consapevole» confessai, carica di adrenalina.
«Obiezione! La ragazza non ha risposto...».
«Respinta».
Sorrisi.
«Si riferisce al contenuto della lettera? Quello in cui la vittima parla degli anni trascorsi sotto l’occhio vigile del signor Magnus Ephram?».
«Esatto» annuii «Lucius mi ha raccontato tutto».
«Perciò signorina, tornando al giorno dell’aggressione, come si sono svolti i fatti? Siete arrivati nell’appartamento, e...?».
«Abbiamo trovato Yuri accasciata a terra e ferita, e Ephram Magnus che la sovrastava. Lucius ha cercato di difendere sua madre, ma era debilitato per l’aggressione precedente ed Ephram... ha avuto la meglio» mormorai l’ultima parte.
Le immagini che mi ritornarono alla mente erano spaventose.
Lo scricchiolio delle ossa di Lucius, i suoi gemiti disperati, quel maledetto coltello, la mia padellata non andata in porto... il suono delle sirene della polizia e dell’ambulanza.
«Potrebbe descriverci nei dettagli l’accaduto?» indagò più affondo l’avvocato.
«Ehm... Lucius era a terra, ed Ephram... lui... l’ha preso a calci finché non ho sentito le sue ossa scricchiolare sotto quei colpi...» le lacrime cominciarono a scendere.
«Ho cercato di fare qualcosa ma...» mi bloccai. Le lacrime mi bruciavano la gola.
«Va bene, basta così» mi fermò Sabati sorridendomi amichevolmente e con comprensione.
Tornai al banco e trovai le braccia di Lucius.
Ci sostenemmo a vicenda fino al verdetto.
Quando Alfieri rientrò, il mio cuore sembrò fermarsi.
«In nome dei poteri conferitimi dalla legge, dichiaro Charles Magnus colpevole di omicidio premeditato e minacce» Charles si divincolò dalle guardie e raggiunse il nostro banco.
Lucius mi si parò davanti, temendo che mirasse a me ma era lui il bersaglio.
Lo colpì all’addome ancora ferito, ma mentre Lucius si accasciava a terra tra le mie braccia, Magnus venne riacciuffato.
«Avrei dovuto ucciderti con le mie mani quella notte di dicembre! Quante volte ho desiderato che non fossi mai nato! O che fossi morto in quel buco in cui ti avevo rinchiuso, piccolo bastardo. Se non fosse stato per te mi sarei sbattuto tua madre ancora per molto! E poi me ne sarei andato libero da ogni vincolo! Invece sei sopravvissuto come un verme che striscia nella terra!».
Sentii Lucius tremare tra le mie braccia, e aggrapparsi a me come per trovare un appiglio.
Non aveva più la forza di combattere ormai.
Ma io sì.
«Chiudi quella cazzo di bocca!» strillai isterica e adirata come non mai. La voglia di picchiare a sangue quell’uomo mi aveva fatto perdere il senno.
Tutti ammutolirono e fissarono me.
Io strinsi Lucius al mio petto cercando di riprendermi.
Ci alzammo, poi, mentre Magnus veniva trascinato via tra imprecazioni e grida disumane, io e Lucius riprendemmo posto, stavolta l’uno accanto all’altra.
«Stai bene?» sussurrai. Lui fece una smorfia di dolore e mi strinse la mano.
«Non è ancora finita» rispose.
Il giudice riportò l’aula all’ordine e continuò con la sentenza.
«Inoltre dichiaro Ephram Magnus colpevole, per aggressioni ripetute, minacce, abusi e tentato omicidio. Infine sia Charles che Ephram Magnus alla fine della loro detenzione, non potranno stabilire alcun contatto con i signori Bell e Green. Pena la detenzione a lungo termine. La seduta è tolta».
Il suono del martelletto fu sovrastato dalla risata grottesca di Ephram che risuonò nell’aula facendo rabbrividire i presenti.
«Hai vinto Yuki» disse lentamente «ma ricordati, tu sei e rimarrai sempre... mio» sorrise beffardo e con lo sguardo da pazzo.
«No Ephram. Sbagli su tutto. Io non ti appartengo affatto» mormorò tetro Lucius.
E mentre veniva portato via, l’altro rispose: «Lo vedremo. Arrivederci mia dolce Ania».
Lucius si scagliò nella sua direzione, ma lo fermai prendendogli la mano.
«Amore, è finita. Lascialo andare. Abbiamo vinto noi».


---------------------------------------------- ANGOLO DELL'AUTRICE --------------------------------------------------------
ciao bimbe sono secoli eh? cmq in occasione del mio compleanno ho postato questo capitolo. vi confesso che è stato il più difficle e nn sono sicura che sia buono. spetta a voi dirmi che ne pensate e accetto ogni suggerimento per migliorarlo. un grosso abbraccio a presto! <3

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Capitolo 27
*** Per sempre ***


Capitolo 27
 
Per sempre
 
 
 
La musica di quel piano riecheggiava nell’aria, riempiendomi il cuore di emozione.
I virtuosismi da vertigine e gli accordi profondi rimbombavano nella mia mente.
Entrai.
Sapevo che l’avrei trovato lì, sapevo che se spariva di tanto in tanto era lì che andava a nascondersi.
Niente, oltre alla musica, aveva il potere di allontanarlo da me ormai.
 
«I have died every day waiting for you
Darling don’t be afraid I have loved you
For a thousand years
I’ll love you for a thousand more».
 
L’ultimo accordo fu pieno e profondo, mentre un sorriso spontaneo affiorava sulla mia faccia inebetita. Applaudii.
«Non riesci proprio a starmi lontana! Vero, ragazzina?» chiese ammiccante.
Sul suo volto c’erano ancora i segni del dolore passato, della malattia e della tristezza immensi. La rabbia e la paura apparivano a sprazzi ma sapevo che il mio Yuki – sama  le nascondeva solo per non farmi preoccupare.
«Il brano era per me ovviamente» non era una domanda e lui sorrise.
«Siamo modesti!» rise.
Arrossii.
Mi avvicinai e gli baciai la guancia: «Per chi dovrebbe essere altrimenti?» chiesi fintamente timorosa.
«Sai sto prendendo in considerazione la poligamia... ».
Gli pizzicai il dorso della mano.
«Brutto...».
«Che donna violenta! Non smetterò mai di ripeterti che stai diventando un ragazzaccio a furia di starmi dietro».
Sorrisi.
«Allora smettila di farmi girare i nervi» lo minacciai.
«Non posso farlo. Mi dispiace. È troppo divertente» spiegò ridendo.
«Divertente? Certo! Magari nei tuoi sogni» protestai fintamente offesa.
Mi attirò a sé, guardandomi con uno sguardo improvvisamente serio e concentrato.
«Adesso non sto scherzando, perciò ascoltami attentamente» mormorò.
Annuii.
«Tutto ciò che faccio è per te. Io esisto per te. Dovresti saperlo» disse.
Io trasalii, sorpresa dal repentino cambio di tonalità della conversazione.
Poi lo abbracciai.
In quel momento mi sentivo felice.
Ma...
«La signorina Green è pregata di recarsi nell’ufficio del preside. Grazie» tuonò la voce dell’altoparlante.
Forse non sarebbe durata.
Lucius mi accompagnò e quando arrivammo trovammo mio padre e mia madre in ufficio.
«Ma signora Green, le ripeto che io non sapevo nulla! Sua figlia vedeva il ragazzo in segreto! Glielo assicuro!» diceva White.
«Mia figlia mi aveva presentato quel ragazzo, dicendo che era un genio nello studio, ma nessuno mi ha mai detto che era una persona con problemi familiari tanto gravi!» lo ammonì mia madre con stizza.
«Crede che sia stato piacevole scoprire che nostra figlia, appena maggiorenne, abbia partecipato ad un processo di grosso calibro senza che noi ne sapessimo niente?» intervenne mio padre.
«Ma signor Green le ripeto che io non sapevo nulla di tutto questo!».
«Beh allora devo ammettere di essermi sbagliata sull’efficienza di questa scuola nel tutelare i suoi studenti» sbottò mia madre.
Guardai Lucius.
«Non l’avevi detto ai tuoi, vero?» aveva l’aria preoccupata ed esausta. Il suo tono sembrava canzonatorio ma non eccessivamente arrabbiato.
«Scusa, ma loro mi avrebbero detto di non farlo» dissi.
«Allora non avresti dovuto farlo» mormorò.
Abbassai lo sguardo.
«Ma signora Green, non dica così! Quel ragazzo è un caso perso, non è possibile gestirlo! Ci sto provando da anni, con tutti i mezzi, ma sembra indemoniato!» proseguì il preside, allora entrai.
«Ciao mamma. Ciao papà» dissi fredda.
Tutti si voltarono verso me e Lucius.
«Oddio! Ania!» la mamma corse ad abbracciarmi.
Papà restava immobile vicino a White e mi fissava impassibile.
«Ti ho vista in tv, ho visto sprazzi del processo e i giornalisti che ti seguivano mentre andavi via con quel poliziotto. Oh Ania, sei stata così imprudente! Quei tizi erano pericolosi e molto potenti! Perché non hai detto nulla? Perché?» si commosse lei, stringendomi a sé.
«Mi dispiace» mi limitai a dire.
Lei si staccò da me, poi si rivolse a Lucius.
«Sarai contento di aver vinto! In fondo tu non hai mosso un dito! Hai lasciato che una ragazzina come mia figlia ignara di tutto facesse tutto il lavoro sporco!» insinuò mia madre. Come al solito non capiva mai la situazione.
«Mamma» la fermai, prima che potesse aggiungere altro.
«Cosa, Ania?» sbottò allora lei «Questo ragazzo è un volgarissimo bullo, un ragazzo pieno di problemi fino al collo, come se tu non ne avessi già abbastanza. Credi che ti permetterò di rovinarti la vita? No tesoro, mi dispiace» mi canzonò.
«Non mi sembra di avertelo chiesto. Tu scegli sempre per me. Ora no. Non più. Io lo amo mamma» esplosi irritata e sull’orlo delle lacrime. Ero arrabbiata per le parole che aveva rivolto a Lucius. Anche lui era un ragazzino come me. Un ragazzino che era dovuto crescere troppo in fretta e nella maniera più dolorosa.
«Non dire sciocchezze. È una cotta, passerà» sminuì.
«No! Tu non puoi dirlo! Non sai niente di lui... di noi» risposi.
«Adesso basta!» tuonò mio padre.
Non aveva parlato fino a quel momento e ora sembrava fuori di sé.
«Ti ho fatta venire in questo collegio perché ho sempre preteso il meglio per te. Non volevo che arrivata ad età adulta, guardandoti indietro ti fossi pentita di aver scelto strade sbagliate. Io e tua madre abbiamo una vita mediocre, non cattiva ma mediocre, e questo a te non deve succedere» disse.
Il solito discorso.
«Lo so papà, e ti ringrazio per questo, ma Lucius...».
«Quel ragazzo non andrà mai bene, Ania» sentenziò «ammettilo: è violento con gli altri studenti, ha la fama di essere un donnaiolo, è stato vittima di violenze ed è orfano. Non possiede nulla se non se stesso, e in un rapporto di coppia ci vuole sacrificio e fiducia, tesoro» spiegò nella sua analisi assurda.
«Ma papà...».
«Fammi finire. Se ti avesse amata davvero, non ti avrebbe trascinata in tutto questo. Sappiamo del video, delle aggressioni... il signor White ci ha detto tutto, e noi non approviamo. Ti ha usata e quel che è peggio è che ti ha presa in giro. Non è amore».
«Papà... sono stata io a fare quelle cose, Lucius... lui non lo sapeva! Mi ha sempre protetta, davvero! Qui a scuola...».
«Basta così» mi bloccò la mamma. Come al solito poter spiegare i fatti era un optional. «Tu non frequenterai più questo ragazzo. Se continuerai ti riporteremo a casa. Questo te l’assicuro».
Rimasi di sasso.
Cercai lo sguardo di Lucius, ma lui non si era mosso di un millimetro e non aveva mai aperto bocca nonostante le cattiverie sputate dai miei.
I suoi occhi erano bassi e vuoti.
«Volevano violentarmi mamma» mormorai, le lacrime agli occhi «Lucius mi ha salvata, e sì, ha fatto a botte con tutti, ma per proteggermi da quegli animali».
«Cosa?» chiesero all’unisono. White si strozzò con la saliva.
«Sono entrati nella mia camera e l’anno distrutta, scrivendo frasi volgari sulle pareti. Lucius c’è stato anche in quel caso» continuai.
«Cos’è questa storia?» chiese mio padre a White.
«Inoltre, le mie compagne di corso mi hanno rubato i vestiti dopo educazione fisica, e mi hanno lasciata mezza nuda nel corridoio in balia dei passanti. Anche in quella circostanza, Lucius è accorso in mio aiuto. Ho avuto attacchi di panico e lui c’era, sono stata insultata e lui c’era» raccontai.
Mamma e papà si guardarono.
«Il preside vi ha detto anche questo? Non mi sono mai chiesta perché lo facessi, ma ogni volta che aiutavo lui, mi sentivo bene io. Da quando sto con lui, non ho più avuto attacchi di panico, né crisi respiratorie. Mi sento al sicuro e sto bene... con lui» parlavo ferma e pacata, ma piangevo e mio padre guardò prima Lucius poi me.
Mia madre guardava il preside.
«Lei sa niente di tutto questo, preside White?» chiese accusatoria.
«La ragazza mente!» si difese vigliaccamente.
«Non credo proprio» rispose secco mio padre.
«Ania, tesoro, davvero hai passato tutto questo?» lo sguardo di mia madre si era fatto liquido. Annuii.
«Sì, e Lucius era sempre con me» ripetei.
«Ho capito, ma noi siamo i tuoi genitori, e sappiamo che cosa è meglio per te» rispose la mamma.
«Davvero? E dov’eravate quando avevo bisogno di voi? L’ultima volta che sei venuta a scuola era perché temevi che fossi calata nei voti. Sono sei settimane che non ti sento mamma. Né una chiamata, né un messaggio» sbottai.
Mio padre sembrò adirarsi di nuovo e mi venne incontro minaccioso.
Non capitava spesso, ma a volte mi schiaffeggiava se ero insolente.
Lucius mi si parò davanti.
«No» disse. Mio padre si fermò.
Lo squadrò da capo a piedi e si accorse della sua aria malaticcia, della cicatrice che partiva dal collo e spariva nello scollo della camicia chissà fino a dove, si accorse degli occhi stanchi.
«Dimmi ragazzo, è vero che hai aiutato mia figlia in tutte queste circostanze?» chiese mio padre.
Lucius annuì flebilmente.
Mio padre guardò me, poi di nuovo lui, e dopo un eternità di silenzio parlò.
«Grazie» disse.
«No, non deve ringraziarmi. Io amo Anastasia, e non permetterei mai che le accadesse nulla di male, signore. Ma è così testarda e coraggioso che spesso non riesco a fermare le sue pazzie. Ma le devo la vita e le sarò debitore per sempre. Può credere a tutte le voci sul mio conto, ma creda anche a questa, la prego» sembrava un uomo, il mio uomo.
Mio padre rimase interdetto.
Mia madre abbassò lo sguardo.
«Ho seguito la tua storia in tv, e tutti i quotidiani parlano di tuo padre!» mormorò mio padre inchiodando Lucius con lo sguardo. «Ti rendi conto di ciò che ha rischiato mia figlia? Sei consapevole che rischia ancora nonostante tutto?» chiese serio poi.
«Lo so. È per questo che vorrei tanto che si allontanasse da me, che tornasse a casa con voi...» cominciò Lucius ma lo zittii.
«Lucius! Smettila!» strillai.
«Ania... io...» Yuki abbassò lo sguardo.
«Tutti sanno cosa hanno fatto i Magnus, sono stati umiliati, distrutti e finalmente fermati. Nessuno di noi corre più alcun rischio!» spiegai severa.
«Non puoi saperlo» disse soltanto lui.
«Lo so, perché dopo tutto questo non può esserci ancora dolore! Non può! Sarebbe troppo crudele!» singhiozzai.
Lucius sospirò esausto.
«Signor Green» mormorò rivolto a mio padre «Ania è l’unica persona che mi è rimasta, l’unica sulla faccia della Terra. Perciò la prego, prenda lei la giusta decisione. Ma la supplico, faccia in modo che la mia Ania sia sempre felice e al sicuro. Non chiedo altro» sussurrò tetro.
Mio padre gli mise una mano sulla spalla, quella ancora contusa, e a Lucius sfuggì un singulto.
«Conta su di me, ragazzo. E grazie per aver capito» disse mio padre.
Il mio corpo tremava convulsamente, il mio respiro si destabilizzò e la distruttiva sensazione di peso e malessere s’impossessò di me.
Erano settimane che non soffrivo così, e l’atmosfera da separazione che si respirava nella stanza era deleteria.
Lucius voleva che fossi felice, che fossi al sicuro, e aveva parlato come se lui non fosse in grado di fare le due cose che fino a quel momento aveva sempre fatto.
Lui mi rendeva felice e mi proteggeva da sempre, perché completava il puzzle desolato della mia vita, riempiva il mio vuoto e la mia solitudine e faceva traboccare d’amore il mio cuore.
Tutti gli avvenimenti accaduti, l’avevano distrutto e avevano fatto in modo che si arrendesse alla crudeltà del destino.
Per farmi stare bene e al sicuro era pronto a rimanere solo con le sue pene, ma sottovalutando così tanto se stesso, aveva perso di vista il fatto che per me era davvero impossibile essere felice e al sicuro senza di lui.
Mio padre mi sospinse verso la porta.
«Ti portiamo a casa, Ania» mormorò, seguito dalla mamma che intanto aveva minacciato il preside di denuncia.
«No» riuscii a soffiare debolmente prima che il mio petto fosse squarciato da spasmi incontrollabili.
«Ania!» sentii la voce preoccupata di Lucius.
Intanto l’aria faticava ad entrare e la testa mi scoppiava.
«Yu - ki...» annaspai.
Mi sentii avvolgere dalle sue braccia, mentre cadevo al suolo.
Lucius mi aveva sorretta facendomi accoccolare tra le sue braccia, seduti sul pavimento.
I miei genitori erano ammutoliti e non sapevano che fare.
«Ania, respira!» ordinò agitato Yuki – sama, accarezzandomi i capelli.
Scossi la testa. Non ci riuscivo.
«Chiamate un ambulanza!» urlò mia madre.
Io mi agitai ancora di più. L’ultimo ricordo che avevo di un ospedale era Lucius mezzo morto immerso in un nido di fili.
«No!» sbottò Lucius.
Mentre stavo per perdere i sensi, due labbra si posarono sulle mie, aiutando i miei polmoni a riempirsi.
Tutti ammutolirono.
Più tornavo in me e più mi sentivo stanca, più tornavo in me e più avevo paura.
«Non voglio... andarmene. Voglio... restare qui» gemetti tra i sospiri.
Mi aggrappai a Yuki – sama.
«Ania» mormorò lui.
«So... quello che pensi. Credi che non sarò al sicuro... con te, credi che non sarai... mai abbastanza per me. Ma... sei solo ferito da tutto ciò che è capitato, e la paura di perdere... anche me, ti fa credere che allontanarmi sia la scelta più giusta. Ma sbagli su tutta la linea perché... se oggi siamo qui e siamo liberi da tutto quel male, lo dobbiamo alla nostra forza... e al nostro amore. Abbiamo affrontato tutto insieme. Perché non dovremmo continuare a farlo?» parlai affannata ma decisa.
«Perché io non sono qualcosa che puoi aggiustare per sempre. Io sarò sempre un po’ difettoso. Mi sento così debole che non potrei proteggere nemmeno me stesso... perciò non posso permetterti di continuare a sacrificarti per me» rispose provato.
«Io non mi sacrifico, Yuki – sama. Sei tu che hai fatto tutto ciò che potevi per proteggermi» gli feci notare.
Farsi picchiare dai bulli per proteggere le mie labbra vergini, fare a botte per me, farsi torturare per fermare Ephram dal violentarmi, nascondermi le cose per non farmi preoccupare, posare lo sguardo ansioso e protettivo su di me e ricordarmi sempre di respirare... lui mi aveva dato tutto se stesso.
«Coraggio Ania, alzati. La macchina è qui fuori» disse mia madre.
Mio padre si avvicinò e cercò di sollevarmi e di allontanarmi dalle braccia di Lucius.
Cominciai ad ansimare di nuovo.
Il petto tremava e la vista si annebbiava.
«Ania! Respira, ti prego».
Nell’annebbiamento causato dall’ansia riuscii comunque a sentire la voce straziata e implorante di Yuki.
«Papà... lasciami» avevo provato ad opporre resistenza, divincolandomi.
Ma ero troppo debole e stavo soffocando.
Andavo giù, giù, giù...
«Ania...».
Stavolta non avevo la forza di rispondere e il buio mi catturò nella sua morsa.
 
 
*******
 
Quando mi svegliai mi resi conto di essere nell’infermeria della scuola.
Dalla stanza accanto provenivano mormorii sommessi e sconosciuti.
Mia madre sedeva al mio fianco.
«Come stai, tesoro?» chiese accarezzandomi la testa.
Sospirai.
L’ansia non mi aveva abbandonata del tutto, e ora uno strano torpore mi irrigidiva il petto.
Il peggio però era passato, almeno fino a quando fossi stata all’Orpheus.
«Dov’è... Lucius?» chiesi lentamente, terrorizzata dalla risposta.
Mia madre sospirò, visibilmente rassegnata. Un velo di irritazione sulle labbra.
«Sta’ tranquilla. Lui è nell’altra stanza» rispose in un sospiro.
«Voglio vederlo. Voglio dirgli...».
«Ania» mi ammonì mia madre «rilassati ti prego».
«Come faccio a rilassarmi? Tu e papà... volete portarmi via, ma...».
«Tu non vuoi» m’interruppe.
«Già. Non voglio» asserii.
«Quel ragazzo ti ama davvero» dichiarò a brucia pelo mia madre.
«Come?» chiesi incredula.
«Ha riempito di botte il preside e per poco tuo padre non gli dava manforte. Ora capisco quello che hai provato. Eri in pericolo e lui... ha dato tutto se stesso. Peccato sia un modo davvero rude, ma l’ho apprezzato, perché stavolta proprio...».
«Cosa ha fatto?» la interruppi incredula.
«Il preside White non voleva che ti portassimo in infermeria. Voleva che ti portassimo via definitivamente. Ma avevi urgente bisogno del respiratore e di alcuni farmaci calmanti. Così il tuo ragazzo gli ha rotto gli occhiali e l’ha preso per il colletto della camicia. Non avrei mai immaginato che quel ragazzo fosse tanto forte e tanto... persuasivo. Il preside insisteva e tuo padre stava perdendo le staffe, così Lucius ha schiaffeggiato quel pover’uomo chiamandolo pallone gonfiato. A quel punto White si è trovato costretto a farci strada e a elargire scuse e complimenti» raccontò con ironia.
Sorrisi.
«Non voglio perderlo, mamma» mormorai guardandola negli occhi.
«Lo so».
«No. Non lo sai. Non è solo per me. Lui ha bisogno di me e io di lui. Ha sofferto abbastanza, si è sacrificato abbastanza e ha perso abbastanza» dissi commossa.
La mamma distolse lo sguardo portandolo sulla porta che dava sull’altra stanza.
«Non sta bene. È debole e disperato. E io non posso lasciarlo. Lui è l’anti ansia migliore al mondo. Quando sto con lui sono tanto tranquilla e allo stesso tempo tanto viva. Lui mi ha dimostrato quanto fosse forte, non puoi nemmeno immaginare cosa abbia passato. Ma ora sono forte anche io».
«Lo vedo. È solo che tu sei così piccola e delicata...» mi accarezzò.
«Lui mi protegge da tutto, mamma. Mi ama davvero» dissi.
In quel momento qualcuno entrò nella stanza.
Lucius e mio padre.
Mio padre venne a baciarmi sulla testa, Lucius si bloccò, mantenendo le distanze.
Sembrava a disagio vedendomi circondata dai miei genitori che mi coccolavano.
La mamma sorrise.
«Grazie Lucius. Sei stato davvero fantastico» mormorò gentile.
Mio padre annuì.
Io allungai una mano verso Yuki – sama.
Lui addolcì i lineamenti e si avvicinò di poco.
Mamma e papà si alzarono dirigendosi alla porta.
«Ci vediamo dopo tesoro. Ora White dovrà sorbirsi le nostre lamentele senza fiatare. Ci assicureremo che tu sia trattata come una principessa» disse mia madre.
Sembrava diversa. Consapevole.
«In caso contrario, possiamo contare su di te. Giusto figliolo?» ammiccò mio padre.
Diede una pacca a Lucius.
«Certo, signore» mormorò Lucius, facendo un debole sorriso di riconoscenza.
Non ci avrebbero separati.
Quando la porta si chiuse Lucius venne a sedersi accanto a me.
Mi accarezzò la guancia con le nocche e poi me la baciò.
«E così tuo padre ha scelto di fidarsi di me» non era una domanda.
«Già. È fantastico. Non erano mai stati tanto comprensivi. Il tuo bel faccino è irresistibile» risi.
«Che io sia maledetto per il mio bel faccino!» biascicò, sembrava combattuto.
«Volevi che andassi via?» chiesi dura.
«No, certo che no! È solo...».
«Cosa?» sbottai.
«Sei sicura di voler rimanere? È questo il tuo desiderio?» chiese guardandomi negli occhi.
«Se non fosse così a quest’ora sarei in viaggio invece che nel letto dell’infermeria».
«Scusami. È solo che non mi sento all’altezza. Voglio essere buono, voglio essere premuroso, voglio essere gentile. Ma sembra che l’unica cosa che riesca a fare sia cadere. Mi sento talmente...».
Lo baciai.
Non potevo sentire altro.
Lui si aggrappò a me e mi strinse forte.
«Ti amo» dissi.
«Grazie» sussurrò.
Poi mi aiutò ad alzarmi. I miei ci aspettavano nel corridoio.
«Voglio essere tenuta informata su tutto da ora in poi, oppure se la vedrà con il nostro avvocato preside. Qualsiasi problema... e le giuro che la rovino» minacciò la mamma, uscendo dall’ufficio di White.
Mio padre annuì: «Si considerati avvertito» minacciò. Era la prima volta che vedevo i miei tanto coinvolti.
Ci avviammo tutti e quattro alla fine del corridoio. Io sorretta da Lucius.
«Io e tuo padre non siamo passati solo perché eravamo preoccupati, ma anche perché tra qualche settimana è Natale e volevamo chiederti se volevi tornare a casa. Ma immagino che vorrai stare con Lucius».
Non potevo credere alle mie orecchie.
«Beh si possono fare entrambe le cose, no?» subentrò mio padre, sorprendendo tutti noi.
La mamma annuì.
«Ma certo! Ania... puoi portare anche Lucius. Ma ti prego torna a casa per Natale».
Li abbracciai e li ringraziai, era la prima volta che capivano i miei sentimenti e non potevo passarci sopra.
Li vidi andare via con il cuore in gola per l’emozione.
Era stato un repentino cambio di atteggiamento e modo di pensare, ma anche intenso.
In fondo erano proprio mamma e papà che erano immensamente preoccupati per la mia salute, e i numerosi attacchi di panico che mi attanagliavano a casa erano terribili e facevano preoccupare oltremodo i miei genitori.
Vedere come mi riprendevo velocemente grazie a Lucius, come stavo a mio agio e al sicuro tra le sue braccia...
Forse non si occupavano molto di me, ma stavano migliorando.
Lucius mi abbracciò da dietro con dolcezza e subito venni investita dall’odore potente della sua colonia.
Mi bacio i capelli
Sapevo che sarebbe stata dura e che altre sfide ci avrebbero messi alla prova, ma dopo tanto dolore, meritavamo entrambi di stare bene.
«Vorrei rimanere per sempre così» sussurrai appoggiando la schiena al suo petto.
Mi baciò di nuovo i capelli e poi rispose dolcemente.
«Adesso abbiamo tutto il tempo che desideri, ragazzina».
Yuki – sama mi strinse a sé, e in quel momento desiderai davvero di congelare il tempo, per rimanere per sempre in quella bolla privata e calda, tra le sue braccia.
«Promettimi che non penserai mai più quelle cose» mormorai ancora stordita e triste.
«Ho capito che hai bisogno di me, e la sola idea di separarti da me ti fa star male... perciò non oserò più metterti pressione. Quando ti stancherai di me... sarai tu stessa a decidere di andartene» sussurrò.
«Io non me ne vado. Sono qui e non vorrò mai allontanarmi. Mai!» gli dissi prendendogli la testa tra le mani.
Mi abbracciò, mi strinse forte a sé, quasi con disperazione.
«Sai, mia madre mi ha raccontato che hai fatto a botte con White» sorrisi contro il suo petto.
«Che esagerazione!» esclamò. «Ho solo fatto notare al preside che aveva torto marcio, invogliandolo a muovere il suo regale fondoschiena» spiegò ammiccando.
«Sei un mostro!» scoppiai a ridere.
Lui mi prese la testa tra le mani.
«Sei un tantino confusa, ragazzina. Prima mi hai detto che avevo un bel faccino. Ora mi insulti chiamandomi mostro, il che è impossibile visto che sono bellissimo. Non sono un mostro!».
«Infatti» concessi «sei un amore di mostro» sorrisi.
Lucius Yuki – sama Bell fece lo stesso.
Il baciò che seguì le mie parole fu straordinario.
 
 
 
 
FINE



amici lettori sono lieta di annunciarvi che sto scribacchiando altro su questi due pasticcini, e spero che il cap modificato sia meno sbrigativo e più profondo di quello precedente! per cui ci sentiamo presto <3
ringrazio tutti quelli che hanno seguito la mia storia, l'hanno amata e sostenuta.
siete una forza!
Fiore
<3





 

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