Breathlessly

di reby
(/viewuser.php?uid=4071)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo uno ***
Capitolo 2: *** capitolo due ***
Capitolo 3: *** capitolo tre ***
Capitolo 4: *** capitolo quattro ***
Capitolo 5: *** capitolo cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei ***
Capitolo 7: *** capitolo sette ***
Capitolo 8: *** capitolo otto. ***
Capitolo 9: *** capitolo nove ***
Capitolo 10: *** capitolo dieci ***
Capitolo 11: *** capitolo undici. ***
Capitolo 12: *** Capitolo dodici. ***
Capitolo 13: *** Capitolo tredici ***
Capitolo 14: *** Epilogo. ***



Capitolo 1
*** capitolo uno ***


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La caffetteria all’angolo del parco di Odaiba era affollata più del solito quella sera di fine Novembre.

La pioggia infuriava fitta fuori dalle ampie vetrate appannate del locale, sommerso dal vociare pressante della gente seduta ai tavoli in legno massiccio o al bancone.

La porta in stile texano, proprio come il resto della caffetteria si aprì facendo entrare una folata di vento gelido e qualche goccia, bagnando il tappeto ormai fradicio dell’ingresso.

Un ragazzo avvolto da un lungo impermeabile beige di ottima fattura ma del tutto zuppo d’acqua fece il suo ingresso guardandosi intorno.

Una volta individuato ciò che cercava o meglio, chi, sospirò largamente passandosi una mano tra i capelli biondo cenere bagnati.

Appese l’impermeabile all’attaccapanni colmo e con sguardo basso si avviò verso il tavolo più isolato ed in ombra del locale, occupato già da un altro ragazzo.

Si sedette in silenzio, osservando l’altro occupante rigirare la sua tazza di cioccolata bollente tra le mani.

-Non sono felice di vederti. Ogni volta porti solo cattive notizie.- esordì il ragazzo appena arrivato, con un triste sorriso sulle labbra.

Dal canto suo, l’altro si limitò ad un’alzata di spalle. Indossava un cappello in lana nero che gli copriva la fronte fin sopra gli occhi e un maglione a tinta unita dello stesso colore.

Passarono parecchi minuti, durante i quali nessuno dei due osava proferir parola quasi come sotto un tacito accordo.

Il ragazzo con i capelli biondi si accomodò meglio sulla poltrona in tessuto scuro, osservando la moltitudine di persone.

Il locale fremeva di vita quella sera. I baristi non si fermavano un attimo, preparando bevande calde di continuo e versandole nei bicchieri dei clienti chiacchiericci.

Con lo sguardo ceruleo vagò alla ricerca del proprietario, che individuò facilmente per via della possente stazza. Stava servendo anche lui quella sera, con espressione soddisfatta pensando al promiscuo guadagno che avrebbe fruttato quella serata. Lo vide che posava due calici di birra di malto e con una mano lo salutò cordiale mentre quello si avvicinava sorridente.

-Matt! Era da un po’ che non ti vedevo da queste parti!- lo salutò con una pacca sulle spalle.- Come vanno le cose su a Pechino?-

Matt sorrise incoraggiante.- Non mi lamento. Per fortuna sembra andare tutto bene.-

-Te lo sei meritato ragazzo mio. – rispose con aria più seria, stringendo la presa sulla sua spalla.- Ne è passato di tempo dall’ultima volta che vi ho visti seduti insieme, a voi due!- esclamò poi, guardando anche l’altro ragazzo che non fece una piega nemmeno alla venuta del proprietario. L’uomo scosse la testa triste osservandolo, e passò lo sguardo nuovamente su Matt che guardava nella sua stessa direzione.- Il solito?-

-Grazie Yuri.- annuì con un sorriso di circostanza.

Continuò a guardarsi intorno nella speranza di riconoscere qualche volto, tuttavia non si stupì del contrario. Era da troppo tempo che mancava.

Gettato sul tavolo libero accanto a loro c’era una copia del quotidiano di Tokyo di quella mattina. Sgualcito e malandato per le troppe mani che l’avevo toccato precedentemente. Stava per allungarsi ad afferrarlo quando la voce dell’altro ragazzo lo fece bloccare.

-Quando sei tornato?-

Matt si stupì di quella domanda e si riaccomodò meglio.- Abbastanza in tempo da sapere del tuo nuovo successo.- Si fermò, aspettando che la cameriera che lo aveva servito del suo caffè extra si allontanasse.- Sei riuscito ad ottenere quello che volevi, fama e popolarità Taichi. Complimenti.-

Il castano ignorò il tono beffardo di quello che un tempo era stato il suo migliore amico, portandosi alla bocca la cioccolata che aveva fatto freddare.

-Hai visto il telegiornale di oggi?- gli domandò, non alzando lo sguardo dalla sua tazza.

Matt aggrottò le sopracciglia bionde.- No. Perché me lo chiedi?-

A quel punto Taichi ridacchiò, una risata triste e persa. Lasciò la sua bevanda e estrasse dal suo piccolo zaino Nike una copia identica del giornale che prima aveva tentato di recuperare Matt.

Lo gettò sul tavolo.- Ecco perché.-

In prima pagina, stampato a caratteri cubitali c’era un unico titolo:

 

“Incidente stradale: coinvolta la sorella ventisettenne del famoso detective della polizia di Tokyo, Taichi Yagami e il suo fidanzato, Takeru Ishida. Entrambi ricoverati in prognosi riservata al Tokyo Central Hospital.

 

Gli occhi di Yamato parvero perdere tutta la loro brillantezza. Meccanicamente, lo sguardo cadde sulle due foto poste proprio sotto di essa lo fecero quasi gridare.

Restò immobile a guardare le facce sorridenti di Kari e suo fratello in bianco e nero.

Non poteva crederci.

Non…poteva…

-Da quanto non vedevi tuo fratello?-

Matt alzò la testa, incredulo.-Un…un anno credo.-

Taichi rise nuovamente, con la stessa espressione di pochi minuti prima.- Kari mi aveva chiesto di accompagnarla quella sera. Ed io…- accentuò la presa sul tazzone ormai freddo, e le nocche divennero subito bianche.- Io ero troppo occupato a pensare a quel fottuto caso per farlo.-

-Li hai visti?- domandò Yamato, ignorando quasi quello che Tai aveva rivelato.- Sei andato in ospedale?-

-Si.- Il castano abbassò il capo, nascondendo gli occhi dietro al cappello.- Matt…-

-Come sta Tk?-

-Matt, calmati…- ripetè Tai ma l’altro si agitò ancora di più.

-Dimmi come cazzo sta mio fratello!- sbraitò all’improvviso facendo per un attimo zittire l’intero locale. Si voltarono tutti nella loro direzione, ma dopo un richiamo di Yuri, il proprietario, tutti ritornarono alle loro chiacchere. Che senza farlo apposta, riguardavano proprio quell’accaduto.

Tai era diventato molto famoso in città, e tutto il quartiere di Odaiba ne vantava i natali.

Era entrato nella polizia alcuni anni prima, troppo scosso dall’avvenimento che aveva diviso le strade del vecchio gruppo.

-E’ uscito dal coma stamattina. E’ stabile.- mormorò alzando per la prima volta il capo verso l’unico vero amico che avesse mai avuto, e dopo quasi cinque anni i loro sguardi si incrociarono di nuovo.

Matt era stato molto sorpreso quando la sua segretaria lo aveva informato di chi l’aveva cercato, solo due mattine fa.

Quando aveva sentito il nome di Taichi e il messaggio che gli aveva lasciato, subito aveva capito che era successo qualcosa.

Prendi il primo aereo disponibile per Tokyo.

E così aveva fatto. Si era precipitato subito lì, nella città che l’aveva visto nascere, crescere e…scappar via.

-Sta bene?- chiese dopo alcuni minuti, continuando a guardare gli occhi profondi di Taichi.- Non mentirmi.-

-Sta bene, anche se i medici non hanno ancora sciolto la prognosi. Ma è solo la prassi, Tk è salvo.- rispose tutto ad un fiato, e Matt sembrò tranquillizzarsi. -Tua sorella sta bene, vero?-

Quando vide che Tai abbassò nuovamente il capo sul tavolo, fu di nuovo tentato di urlare.- Kari…sta bene non è vero?- ripetè, sperando di sentire un si fuoriuscire dalle labbra del castano.

Che non arrivò.

-E’ in coma.-

Il sangue gli si gelò nelle vene all’improvviso. Sentì lo stomaco vuotarsi completamente, e le voci del locale si annullarono. Cosa stava succedendo li?      In coma…

-E’ in coma capisci?- riecheggiò Tai, gettando le mani sul suo viso quasi a volersi schiaffeggiare da solo.- Ed è solo colpa mia…-

-Tai…- mormorò il biondo e per un attimo sembrò quasi che l’altro si fermasse. La prima volta dopo anni che lo chiamava per nome. Ma improvvisamente si accorse che non sapeva cosa dirgli.

Improvvisamente tutto il tempo che erano stati lontani sembrò piombare tra di loro come invisibili macigni, inducendolo quasi a credere di trovarsi un estraneo davanti agli occhi.

La colpa in verità non era affatto sua, e Matt lo sapeva bene. La spirale che gli aveva portati a separarli era stata iniziata da lui.

Lo sapevano tutti, e bene.

Ma due mattine prima, quando Tai l’aveva cercato in ufficio aveva capito quanto fosse migliore di lui. Lui, che aveva rovinato la vita del suo migliore amico spezzando il rapporto con la persona che amava…

Anzi, che entrambi avevano da sempre amato.

Il destino aveva voluto fargli rincontrare in quelle circostanze orribili, ponendogli di fronte la più grande e triste verità.

La realtà non aspetta mai.

Restarono nuovamente in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri che portavano alla situazione creatasi.

-Vuoi andare al Central Hospital?- domandò Tai improvvisamente, sorprendendo Matt per l’ennesima volta nel giro di pochi giorni.

Lui esitò un attimo.- Te la senti?-

Il detective lo ignorò, segno di evidente convinzione nella sua domanda.

-Certo che voglio andare.-

-Bene.-

Senza altre parole pagarono il conto, offerto da Matt, e uscirono dal locale.

Non appena fuori l’aria gelida li investì in pieno. Tai alzò lo sguardo castano sul cielo ancora plumbeo ma che aveva smesso di versare pioggia.

-Andiamo con la mia macchina.- annunciò poi, facendo segno a Matt di seguirlo sul retro del locale. Ad attenderli c’era, con grande sorpresa del biondo, una Porsche Carrera. E nonostante la tragedia in atto, Matt quasi sorrise appurando che uno dei sogni del suo amico si era realizzato.

Si, decisamente mancava da troppo tempo.

 

 

 

 

 

La chiamavano “sadica Reby”!

Ragazze mie, da quanto tempo!Volete linciarmi non è vero?! Calme, calme! Ammetto che anche questa volta il tema non è dei migliori, ma vi prometto che farò di tutto per non far piangere nessuno questa volta! ;D

Primo capitolo. Si capisce poco e niente e vi dirò che il mio obiettivo era proprio questo!

Come potete vedere dalla categoria è anche “romantica”. Anzi, principalmente nei prossimi capitoli sarà essenzialmente quella l’unica! A meno che l’idea centrale non scoppi ehm…

Forse –e dico forse!- più in la nella storia inserirò anche qualche capitolo che tratterà di fatti precedenti a questo(si proprio come Drop of memory…e se non l’avete letta correte!xD)

Vi dico da subito però che non sarà lunga come quella, cercherò di far entrare tutto in massimo 9-10 capitoli…(seeee!)

Aspetto di sentirvi, spero accoglierete questo ultimo mio parto di follia con lo stesso entusiasmo con cui mi avete lasciata!

Un saluto,

Sabry

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** capitolo due ***


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il viaggio in macchina fu silenzioso.

Ne Tai ne Matt aprirono bocca, il primo apparentemente concentrato sulla sua guida più che spericolata, e il secondo con lo sguardo di ghiaccio fisso fuori dal finestrino, immerso nei ricordi.

Due anni.

Era strano ritrovarsi catapultati da un giorno all’altro nel paese che per tanto tempo si era cercato di dimenticare, con il peso schiacciante di sapere gli unici due che non si erano mai lasciati trasportare dagli eventi in ospedale.

Kari e Tk nonostante fossero i più piccoli si erano dimostrati i più maturi sotto diversi aspetti. Avevano cercato di farli ragionare, di far tornare tutto alla normalità, senza però riuscirci. Ma non si erano mai lasciati, loro due.

-Siamo quasi arrivati.- annunciò Tai, decelerando visibilmente e svoltando in una strada secondaria.

Le luci del Tokyo Central Hospital illuminavano tutta la zona, rivelandone l’imponente e moderna struttura-

Scesero dalla macchina l’uno di fianco all’altro, senza guardarsi ne parlarsi. Come due estranei.

Come se la vita avesse deciso di renderli tali senza il minimo sforzo.

L’infermiera dell’ingresso riconobbe subito Tai e con fermento li fece passare senza trattenerli oltre.

Deve essere proprio importante ormai, pensò Matt mentre lo seguiva.

-E’ l’ultima porta a destra.- lo avvisò Tai, rimanendo indietro.

-Tu non vieni?- chiese il biondo, voltandosi a guardarlo. Ma Tai si era già incamminato nella direzione opposta alla sua.

Sospirando e facendosi coraggio, Matt avanzò fino alla porta, che aprì lentamente quasi scottasse.

La prima cosa che notò fu suo fratello, immobile sul primo letto. Una flebo attaccata sul braccio e il bip regolare della macchina accanto a lui. L’unica cosa che rassicurò Yamato fu il colore delle guance: rosee, un buon segno.

Si avvicinò lentamente, osservandolo più attentamente.

Nonostante i numerosi graffi che riportava in viso, poteva facilmente dire che era cambiato parecchio dall’ultima volta che si erano visti, il Natale scorso.

Aveva accorciato i capelli, notò carezzandogli il capo dolcemente. Il fisico non era più quello esile di un ragazzino, ma i pettorali si intravedevano da sotto il camice anonimo che indossava.

Sospirò.

Per fortuna stava bene.

Come un macigno però, lo sguardo cadde sul letto accanto.

Kari..

Rimase pietrificato nel vederla così.

Pallida, molto pallida.

Con una maschera per l’ossigeno che le copriva circa metà del viso, il fisico esile di sempre e le guance scavate.

-Mio dio..- mormorò a se stesso.

 

 

Tai era seduto in sala d’attesa quando vide Matt raggiungerlo.

Non si sedette vicino a lui, ma rimase in piedi poggiato al muro. –Chi altro lo sa?-

-Solo tu.-

Matt storse le labbra: l’aveva immaginato.

Istintivamente chiuse la mano in un pugno serrato, colpevolizzandosi per quello sciocco gesto che anche se a distanza d’anni continuava a bruciare.

Ci sono cose nella vita che non si cancellano. Errori, che niente e nessuno può eliminare.

Osservando quello che rimaneva del vecchio Tai sorridente e solare, capì che gli anni passati lontani non avevano cambiato proprio niente.

Anzi, semmai avevano peggiorato tutto.

-E’ il caso di avvisarli.- suggerì, alzando lo sguardo verso il soffitto dai colori pastello.

Tai ghignò per l’ennesima volta, e Matt capì che forse era diventata una sua nuova abitudine farlo.

-E chi credi che verrà?- domandò quasi beffardo, sollevando il capo e fissandolo negli occhi.- Eh, amico mio…- aggiunse, soffermandosi ironicamente su quell’ultimo appellativo –credi che qualcuno sia disposto a venire?-

Il biondo ignorò quel piccolo scherno, dicendosi che infondo lo meritava.- Verranno per loro due. Chiamala.-

L’espressione di Tai cambiò radicalmente in una frazione di secondo. Il suo sguardo divenne vitreo e il cozzare improvviso dei suoi denti fece quasi sobbalzare l’altro.

-Chiamarla?- riecheggiò quasi sfidandolo.

-Si.- rispose deciso Yamato.- Verrà.-

Tai non rispose, distogliendo lo sguardo e alzandosi in piedi. Si avvicinò lentamente al distributore, inserì alcune monete che risuonarono nel silenzio della stanza, e pigiò il pulsante per un caffè forte.

-Sai Matt,- esordì poco dopo –ho chiamato te solo perché c’è anche tuo fratello in quella fottuta camera. Altrimenti non l’avrei mai fatto.-

-Non dormo da non so quanti giorni, ed ogni volta che mi stendo nel mio letto, solo- calcò sull’ultima parola, guardandolo sopra le spalle- non c’è notte in cui non penso al motivo per cui io sia…solo.-

-Tai io…-

-No no. Non dire niente per favore.- lo interruppe il castano, distraendosi per un attimo dal rumore della macchinetta che annunciava il suo caffè.- Ti chiedo solo di non venire qui a farmi la predica su cosa devo fare.- e detto questo lo lasciò solo, dirigendosi verso la camera di Kari e Tk.

 

 

Matt però aveva deciso.

Lo faceva per loro. Perché era sicuro che non si erano mai dimenticati l’uno dell’altro durante quei due anni.

Glielo doveva.

Frugò nella tasca dell’impermeabile alla ricerca del suo cellulare. Trattenne il fiato mentre premeva le cifre sulla tastiera del telefono dell’ospedale.

Spero solo non abbia cambiato numero, pensò quando premette l’ultima cifra.

Dall’altro lato del mondo, un telefono squillava insistentemente.

-Tesoro vai tu!-

Una voce di giovane donna uscì ovattata dall’interno della doccia, e pochi istanti dopo il telefono smise di squillare.

-Pronto?-

Matt rimase basito nell’appurare che realmente il numero esistesse ancora. Ma era un inglese quello che gli aveva risposto?

-Pronto?- ripetè nella sua lingua madre.

-Sei del Giappone?- domandò la voce dall’altro lato del telefono, nella stessa lingua di Matt. Rimase doppiamente basito. Ma era un bambino?

-Posso…potrei parlare con la signorina Takenouchi?- chiese con un filo di speranza.

-Oh, la mamma è sotto la doccia!Però posso avvisarla io, tu chi sei?-

Quasi gli cadde la cornetta dalla mano.

Mamma…

Sora aveva avuto un bambino?Era riuscita a dimenticare Tai e tutto quello che era successo addirittura avendo un figlio?

-Pronto?Pronto signore?- continuava a ripetere il bambino, aumentando il tono di voce.

-Puoi dire alla tua mamma di chiamare…- si bloccò nuovamente. Infondo, Sora gli aveva detto di non farsi risentire mai più…ma doveva farlo. Per suo fratello e Kari, ma soprattutto per Taichi.- di chiamare Matt in Giappone appena possibile?E’ urgente.- concluse, e il bambino lo salutò allegramente promettendogli che l’avrebbe fatto.

Riagganciò, notando con un sospiro che Tai non era ancora uscito dalla camera.

Anche se non era la situazione che avrebbe sperato, forse era arrivato il momento di riunirsi e ripartire…insieme.

 

 

 

Dopo un’abbondante mezz’ora la neo trentenne Sora Takenouchi uscì dalla doccia con l’accappatoio e i capelli ancora bagnati.

-Chi era tesoro?-

Il bambino, troppo occupato a giocare davanti ad un gioco di calcio alla Play Station nemmeno la sentì.

Sora scosse la testa divertita.- Taichi…- lo richiamò, avvicinandosi di soppiatto e balzandogli addosso investendolo di solletico.

-Mamma…mamma basta!- implorava il bambino, contorcendosi tra le braccia della madre.

-Allora…-iniziò Sora lasciandolo andare,- chi era al telefono?-

Il bambino di nome Taichi si illuminò subito, ansioso di riferire la strana telefonata.- Era un signore che parlava in giapponese!Mi ha detto che devi chiamare in Giappone presto!- spiegò, felice di essersi ricordato tutto.

Ma Sora taceva. Taceva e rimaneva immobile davanti a quello che suo figlio innocentemente le aveva comunicato.

-Mamma?- la richiamò, vedendola ferma.- Ti sei arrabbiata?Non ci gioco più se vuoi…-mormorò sconsolato lasciando il joystick.

-Ti ha detto come si chiamava?- gli domandò, carezzandogli tremante i capelli.

-Si…Ma...- il bambino crucciò la fronte nello sforzo per ricordare.- Matt!- saltò su poco dopo.

Sora rimase allibita. Se da un lato aveva sospirato sentendo quel nome, convinta che a cercarla fosse stato qualcun altro, dall’altro lato era seriamente preoccupata.

Cosa voleva Matt dopo quasi cinque anni? Non gli era bastato rovinare la vita di tutti loro?

Si alzò dal tappeto, e dopo aver dato il permesso a Taichi di giocare ancora per un po’ si affacciò alla finestra.

Londra si stendeva sterminata davanti ai suoi occhi.

La grande metropoli che nei primi tempi aveva odiato, ma che poco a poco era riuscita ad apprezzare.

Sospirò, guardando furtivamente il telefono. Forse era davvero successo qualcosa.

 

 

Salve ragazze!

Spero di non avervi fatto aspettare troppo^^

In realtà questo capitolo l’ho scritto abbastanza presto perché non so con quanta velocità potrò aggiornare d’ora in avanti.

Tra poco meno di due settimane diventerò maggiorenne…ehm, ebbene si! E quindi sono impegnata con l’organizzazione della mia festa che vi dirò, non immaginavo così caotica O.o

Spero che questo capitolo sia di vostro gradimento, ed ecco che la storia prende un po’ più forma ;)

Mando un bacio a due delle lettrici ritrovate, Smartgirl(addirittura tra gli autori preferiti,grazie mille!!) e la veterana DarkSelene89Noemi!

Che piacere risentirvi :D

Inutile aggiungere anche il mio desiderio di risentire tutte le altre!

Alla prossima,

Sabry!

 

 

 

 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** capitolo tre ***


 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ps. Ennesimo caos con le date…i digiprescelti non si vedono ne frequentano da cinque anni e non due, come ho scritto nel precedente capitolo. Sorry!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quando Taichi aprì gli occhi dapprima non riuscì a focalizzare bene l’ambiente estraneo in cui si trovava. Si strofinò le palpebre e dopo averle sbattute più volte riconobbe la stanza d’ospedale dove si trovavano sua sorella e Tk.

Si alzò silenziosamente dalla sedia e si avvicinò al letto di Kari. Rimase a guardarla per alcuni minuti, immobile, poi prese ad accarezzarle i capelli ed infine le posò un piccolo bacio sulla fronte liscia.

Fece per andarsene quando si bloccò vedendo Matt fermo sulla soglia con due caffè in mano.- Vuoi?-

Non rispose, chinandosi per prendere il cappotto e dopo aver lanciato un ultimo sguardo a sua sorella e Tk, gli passò accanto senza guardarlo.

-Allora che farai?- chiese Matt sospirando.

-Assolutamente niente.- rispose il castano, rimanendo di spalle nell’infilarsi il soprabito.- Se vuoi prova tu a chiamare gli altri.- aggiunse poi con un tono beffardo che all’altro non sfuggì.

E detto questo si incamminò verso l’uscita senza voltarsi.

Il biondo trentenne sospirò, gettando il secondo caffè nel cestino ed entrando nella stanza. Lanciò uno sguardo carico di preoccupazione in direzione di Hikari e poi si sedette accanto al letto di suo fratello.

Chissà cosa pensa di me, si ritrovò a chiedersi guardandolo dormire.

Che sei un vigliacco, rispose per lui la sua coscienza facendolo sorridere mesto. E non aveva nemmeno tutti i torti.

 

 

Tai era appena uscito dall’ospedale sistemandosi il cappello di lana sul capo, e stava per accendersi la prima sigaretta della giornata quando il cellulare squillò.

Sbuffando, rimise il pacchetto da dieci in tasca e afferrò il telefono.

Sconosciuto, recitava il display lampeggiante.

Aggrottò le sopracciglia castane e pigiò il tasto verde.-Pronto?-

Dall’altro lato del mondo, Sora Takenouchi trattenne il fiato sentendo la sua voce uguale a come se la ricordava. Chiuse la chiamata dandosi della stupida e allontanò l’apparecchio telefonico da se, quasi scottasse.

Taichi dal canto suo, più perplesso che altro, chiuse a sua volta la comunicazione, riprendendo le sigarette e ne accese una inspirando profondamente.

Allora che farai?

La domanda che Yamato gli aveva posto poco prima gli ritornò in mente.

Già…che devo fare?, si chiese gettando fuori il fumo dai polmoni.

Di certo non verrebbe nessuno. Non posso pretendere che dopo cinque anni corrano tutti qui per Kari e Tk. Anche se loro due se lo meriterebbero..

Alzò lo sguardo castano verso il cielo ancora nuvoloso di Tokyo, ed improvvisamente il viso di Sora gli tornò in mente.

Chissà se sta bene…

Scosse la testa castana e gettò la sigaretta a terra, pestandola con le sneaker scure che indossava. Guardò l’orologio da polso e si accorse di essere per l’ennesima volta in ritardo a lavoro. Però ormai poteva permetterselo, visto che il capo adesso era lui stesso.

Ghignò tristemente, incamminandosi verso la sua Porsche.

 

 

 

A Londra intanto, Sora continuava ad osservare il cordless impietrita. L’aveva davvero chiamato…aveva risentito la sua voce dopo anni di assenza totale.

Non aveva mai smesso di amarlo. Mai. Nemmeno per un secondo l’aveva pensato né aveva rimorsi per il passato trascorso con lui.

Poi c’era il suo piccolo Taichi…

-Mamma!- urlò proprio in quel momento il piccolo, sull’ingresso di casa.- Farò tardi a scuola!-

La ex digiprescelta dell’amore si riscosse dai suoi pensieri, ed un piccolo sorriso incorniciò il suo volto sempre giovane e fresco.- Arrivo piccola peste!-

Nonostante Taichi avesse quasi cinque anni, aveva deciso di iscriverlo già alle elementari per le grandi doti che aveva notato in lui.

Ha preso proprio da me in questo, pensò Sora mentre scortava il piccolo in ascensore, ricordandosi di come fosse diligente e spigliata nello studio.

-Ciao mamma!- la salutò con un sonoro bacio sulla guancia una volta arrivati davanti all’istituto.

Ricambiò il bacio stringendolo forte, e dopo averlo guardato correre dai suoi amici con lo zaino più grande di lui, rimise in moto la piccola utilitaria e partì.

Non aveva dimenticato la telefonata di Yamato del giorno prima. Ma la verità è che aveva paura…paura di scoprire se davvero fosse successo qualcosa.

Ecco perché aveva azzardato la chiamata a Tai, quella mattina. Voleva accertarsi che stesse bene, sperando che lui in tutto quel tempo non avesse cambiato numero.

Se Tai sta bene… allora cosa vuole Matt da me?, non potè fare a meno di chiedersi mentre rientrava in casa. Gli avevo detto di non farsi più risentire dopo quel giorno.

Posò la borsa sul piccolo tavolo quadrato e lo sguardo cadde involontariamente sul telefono.

Forse però è successo qualcosa agli altri…altrimenti non mi avrebbe mai cercata.

Si gettò sul divano e afferrò il telefono decisa. Scorse i pochi numeri della rubrica, arrivando alla M.

Guardò la voce posta sotto Matt: Mimi.

Sospirò. Da quanto tempo non si sentivano ne vedevano?

-Cinque anni Sora…-mormorò a se stessa abbandonando la testa sullo schienale, quasi per ricordare il grande baratro di tempo che gli aveva divisi.

Chissà se lei era riuscita a dimenticare. Chissà se si era costruita una vita serena, in America.

Senza perdere altro tempo schiacciò il tasto e la chiamata venne inoltrata in Giappone.

Squillava.

Il suo cuore iniziò ad accelerare i battiti, furioso ed impaurito al tempo stesso.

Non rispondere, non rispondere..., continuava a ripetersi.

Purtroppo per lei però, non servì.

-Si?-

La voce pacata di Yamato Ischida la raggiunse come una cannonata. Improvvisamente gli piombarono i ricordi dell’ultima volta in cui aveva sentito la sua voce. Urla, pianti gli riaffiorarono nella mente.

Taichi furioso ed in lacrime al tempo stesso…

-Pronto?- mormorò flebile, aspettando una risposta.

-Sono Matt, lei chi è?- le domandò il biondo, mentre dal canto suo usciva dalla stanza di suo fratello e camminava in corridoio.- Pronto?- insistette, non ricevendo nessuna risposta.

-Matt sono Sora.-

Il biondo si fermò di botto in mezzo al corridoio che iniziava ad affollarsi di medici ed infermieri.

L’aveva richiamato davvero…

-Sora- riecheggiò con voce spezzata alla cornetta,- scusa non ti avevo riconosciuta.-

La londinese sospirò bassamente.- Non c’è problema.-

Passarono parecchi secondi di silenzio, durante i quali nessuno dei due interlocutori osò proferir parola.

Alla fine, fu Matt ad interrompere il silenzio.- Come stai?-

Non ricevendo nessuna risposta, temette d’aver commesso un passo falso. Stava per ripetere la domanda quando Sora rispose quasi atona.

Perché i ricordi le riaffioravano così violentemente ora?

-Tutto bene, grazie. Tu?-

-Io bene. Ti ho cercata per un motivo preciso. Scusa non so se hai gradito...-

-Cos’è successo?- lo interruppe la ragazza, con ansia crescente.

Matt sospirò profondamente prima di rispondere. Tentando di dosare le emozioni, cercò le parole più adatte.- Pochi giorni fa, Kari e Tk hanno avuto un brutto incidente stradale.- esordì, sentendo la ragazza trattenere il fiato dall’altro lato del telefono.- Mio fratello è stabile, anche se ancora non si è svegliato. Mentre Kari…-

-Kari…- ripetè Sora, col cuore in gola.

-Sora, Hikari è in coma.- concluse, sentendo l’angoscia premere anche su di lui. Nonostante ormai sapesse tutto, ancora non gli sembrava vero.

La cornetta le cadde di mano, rimbalzando sul divano morbido del salotto. Le parole di Matt bruciavano. Tanto.

Kari…la nostra Hikari..

Si riscosse sentendo la voce preoccupata di Matt richiamarla dal telefono.

-E’…va tutto bene Matt. Sono scossa...- ammise, incapace di nascondere quello che provava in quel momento.

-Lo capisco perfettamente. Io ancora non ci credo.- sospirò il biondo, poggiandosi al muro freddo.

-Dove sei adesso?-

-A Tokyo. Tai mi ha chiamat…-  ma si bloccò, conscio d’aver pronunciato l’ultimo nome che avrebbe dovuto.- Scusa, non volevo..-

-Capisco.- commentò fredda Sora, celando i battiti che il suo cuore aveva perso nel sentire quel nome.

-Lui ha bisogno di te adesso.-

Trattenne il fiato dopo aver pronunciato quella frase, che gli era costata molta più fatica di quanto avrebbe pensato. Ma doveva farlo.

-Cosa dovrei fare?-

Il biondo si stupì di quella domanda. Non si aspettava una simile reazione da parte di quella che era stata la sua migliore amica un tempo.

-Vieni qui.-

Sora non rispose, fissando il televisore spento con occhi persi.

Tornare in Giappone…tornare in quella nazione che per tanto tempo aveva cercato di rimuovere dalla mente per ripartire da zero.

-Non so se posso.- rispose dopo un paio di minuti, con voce apparentemente concisa ma che in realtà celava tanta insicurezza.

-E per via di tuo figlio?-

Sobbalzò nel sentire quell’accenno al suo Taichi, ma non se ne stupì più di tanto. Sapeva che ormai Matt era a conoscenza di lui, visto che per una sfortunata coincidenza era toccato proprio a suo figlio rispondere il giorno prima.

Ma sentirselo domandare in quel modo…

Fu allora che decise. Spinta dall’angoscia della notizia appena saputa, prese la sua decisione.

-Prenderò il primo aereo disponibile. Ti terrò informato.-

Yamato quasi rimase scioccato da quelle parole. Non si aspettava che avrebbe ceduto in così poco tempo.

Ma infondo, Sora aveva sempre avuto un grande cuore quando si trattava dei suoi amici e non poteva certo rimanere impassibile ad una notizia tanto grave.

Erano come una grande famiglia, un tempo. E certe cose non si dimenticano mai.

-D’accordo aspetterò tue notizie.- asserì deciso.

-Ah Matt…- lo richiamò a bassa voce.

-Dimmi.-

-Lui lo sa?-

Quasi sorrise nel sentire quella domanda mormorata a bassa voce. Se l’era aspettata…

-No.-

-Ci sentiamo, ciao Matt.- concluse frettolosamente Sora, e pigiò il tasto rosso.

Matt fissò il display con lo sguardo soddisfatto. Forse era arrivato davvero il momento di ritrovarsi. E forse, doveva chiamare anche lei, adesso. Perché si impara dai propri errori, e Yamato Ischida in quei cinque lunghi anni l’aveva capito.

Perché dopo i suoi errori, era certo che lei era davvero la donna della sua vita. Ed anche se probabilmente aveva costruito la sua vita con qualcun altro, doveva vederla. Aveva il diritto di sapere anche lei di Kari e Tk.

Così come Izzy e Joe.

Forse i digiprescelti si sarebbero davvero ritrovati.

-Signor Ischida?-

Alzò lo sguardo ceruleo e vide il dottore del reparto guardarlo sorridente.- Venga, suo fratello si è svegliato.-

Con un sorriso che pian piano si allargava sempre di più, si diresse verso la stanza con un macigno in meno sul cuore.

E quando vide Tk con gli occhi azzurri aperti, fu anche meglio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ragazze care!

Si lo so, forse vi ho fatto aspettare troppo! Mea culpa!

Come al solito vi ringrazio tutte dal profondo del cuore!

Padme Undomiel

Kymyit

Smartgirl

kari 89

E poi DarkSelene89Noemi o Roe che dir si voglia, perché ha pubblicato una storia in occasione del mio compleanno!Grazie ancora!!:)

Ed anche chi l’ha solamente aggiunta tra i preferiti!Non sprecatevi nei commenti eh ;)

 

Mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate di quest’altro capitolo! Un abbraccio,

Sabry

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** capitolo quattro ***


Quando l’aereo atterrò sulla pista numero sei dell’International Tokyo, l’aeroporto più grande di tutta la capitale, Sora non poté far altro che sospirare tristemente. Durante tutto il viaggio, lunghissimo e interminabile, non aveva fatto altro che domandarsi se quello che stesse facendo fosse giusto. Ma, una volta atterrati con il suo Taichi ancora frastornato tra le braccia, capì che era la cosa giusta. Per Kari e Tk, per la loro amicizia, e soprattutto per suo figlio. Lui doveva conoscere il Giappone. Doveva conoscere..suo padre.

Si era sentita nuovamente con Matt il giorno prima, e si erano accordati di vedersi di fronte all’ospedale. Era in ansia per quell’incontro perché sapeva che avrebbe risvegliato in lei tutto quello che per cinque lunghi anni aveva sotterrato nella parte più recondita della sua anima.

-Mamma quando arriviamo?-

Voltò il capo nella direzione di suo figlio, che la guardava con gli occhi misti di curiosità e stanchezza, sballottolato su e giù per  via della metro.

-Presto.- gli rispose, abbassandosi per stampargli un breve bacio sulla fronte liscia.

Taichi le sorrise, stringendole di più la mano.

 

Matt, davanti all’ingresso del Central Hospital, camminava avanti e dietro nervoso, con le mani nelle tasche del lungo impermeabile, girando il capo a intervalli regolari nella direzione della fermata della metro a pochi passi da lui. Come sarebbe stato rivedere Sora dopo cinque anni? Con che coraggio l’avrebbe guardata di nuovo negli occhi?

E..con che coraggio avrebbe guardato il suo bambino? Bambino che a stento credeva fosse di Sora. La loro Sora sempre gioiosa era diventata mamma. E il padre chi era? Sarebbe venuto anche lui? Troppe, davvero troppe domande affollavano la mente del maggiore Ischida, e quando vide spuntare una chioma rossiccia dalle scale della metropolitana, quasi sentì il sangue gelarsi nelle vene.

Veniva nella sua direzione, guardandosi intorno con aria sperduta e tenendo in braccio il bambino addormentato. Non lo guardava, forse nemmeno l’aveva visto ne tantomeno riconosciuto  ma per lui, per Matt, Sora sarebbe rimasta sempre la stessa, anche con qualche anno in più.

Arrivata a pochi metri da lui, lo sguardo profondo della ormai londinese cadde su quell’uomo biondo in piedi davanti all’entrata che la guardava preoccupato. E..timoroso?

Continuarono a fissarsi, mentre Sora involontariamente aveva decelerato la sua andatura e stringeva con più forza il piccolo Taichi tra le braccia. Vederlo non era stato come aveva immaginato. Anzi, più lo vedeva e più si rendeva conto di aver  totalmente superato quello che era successo anni prima. Lei..lei voleva  solo rivedere il suo Tai.

-Sora..- esordì Matt con la voce impastata quando furono ormai l’uno di fronte all’altra.

-Matt. Ne è passato di tempo.- rispose lei, accennando all’ingresso dell’ospedale.- Ti spiace se entriamo?Taichi prende freddo.-

-Taic..- iniziò Matt perplesso, ma poi lo sguardo si posò nuovamente sul bambino.- Certo.-

Ha chiamato suo figlio Taichi..allora non ha dimenticato ancora Tai. Chissà se il padre del bambino lo sa..

-Come stanno?- riprese Sora, quando giunsero nell’atrio. –Com’è cambiato questo posto..- aggiunse poi tra se e se,  ma la frase non sfuggì al biondo.

-Tk è stabile, anche se dorme per la maggior parte del giorno. Kari..- si bloccò per un istante, non riuscendo a pronunciare ad alta voce quella triste realtà.- non si è ancora svegliata.-

Sora cozzò i denti. –Capisco.-

Continuarono a percorrere il lungo corridoio e si fermarono solo davanti all’ascensore. Si aprì con un breve suono metallico, ma la donna si fermò.

-Matt senti..- esordì, non guardandolo negli occhi.

-Lui non c’è. E’ ancora a lavoro.- l’anticipò con un sorriso triste, ben sapendo dove volesse arrivare la sua vecchia amica.

Sora non rispose, limitandosi ad annuire piano con il capo e ad entrare nel vano con Taichi ancora beatamente addormentato.

-E così sei diventata mamma…-

Si pietrificò all’istante per quella domanda e il biondo se ne accorse immediatamente. Si pentì di averle fatto quella domanda, ma non aveva resistito. E poi quel bambino..era così simile a..

-Già..- rispose Sora con un sospiro. –Mamma da quasi cinque anni.-

-Ah.- non riuscì a trattenere quella esclamazione di stupore. Cinque anni..proprio il tempo che li aveva divisi.

-Tu invece?- domandò la ragazza, tentando di sviare il discorso e poggiando la schiena alla parete fredda dell’ascensore che continuava a salire lentamente.

-Non vivo più a Tokyo. Ho comprato una casa a Pechino e lavoro stabilmente lì.- le riassunse in poche parole,mentre si spostava per far entrare altra gente.

-Mum..- mugugnò il piccolo Taichi, stropicciandosi gli occhi assonnati e agitandosi tra le braccia della madre.

-Ben svegliato,- lo tranquillizzò Sora con un bacio sulla fronte liscia- parla in giapponese tesoro.-

-Dove siamo?- domandò innocentemente, guardandosi intorno e notando altre persone.

- In ospedale. Stiamo andando da degli amici della mamma che non stanno molto bene.- gli disse, continuando a sorridergli incoraggiante.

Matt intanto assisteva alla scena ammutolito. Era..così strano vedere Sora alle prese con un bambino. Con il suo,bambino.

-Taichi devo presentarti una persona.- La frase di Sora lo riscosse e vide che il bambino lo guardava incuriosito.

-Ha gli occhi identici ai tuoi..- si trovò a mormorare e Sora sorrise mesta. –Si lo dicono tutti..Taichi, lui è Matt.-

Il bambino sorrise improvvisamente allargando gli occhioni. –Tu sei il signore che ha telefonato!- esclamò contento,- Piacere signore!-  aggiunse proprio mentre le porte dell’ascensore si aprivano all’ultimo piano, il loro.

Anche Matt sorrise, contagiato dallo slancio di gioia di quel bambino. –Piacere mio Taichi.- e allungò la mano verso quella piccola e morbida che il bambino gli tendeva.

Era strano ripetere quel nome davanti a lei..era strano pensare che dopo tanto tempo erano di nuovo lì..

-Ora che sono state fatte le presentazioni possiamo andare direi.- disse Sora forse un po’ troppo distaccata di quanto volesse, lasciando suo figlio a terra e prendendogli la mano.- Matt fai strada?-

-Certo, seguitemi.- rispose il biondo, non lasciandosi sfuggire la vena triste della sua ex migliore amica. Intanto Taichi continuava a parlare allegro.- Allora signore..-

-Matt.- lo corresse Ischida e il bambino allargò il sorriso sul viso simpatico,- tu sei un’amico della mamma?-

-Taichi..- lo riprese Sora, scambiandosi un’occhiata di sbieco con l’altro che intanto storse la bocca con una nota amara.

-Si..andavamo a scuola insieme,sai?- ammise, distogliendo lo sguardo e continuando a camminare nel lungo corridoio.

-Wow!Davver..- ma si interruppe sbuffando  e pensando un piede a terra,togliendosi l’ennesima ciocca di capelli castani dalla faccia.- Mum, mi leghi i capelli?- aggiunse implorando guardando sua madre che sorrise sorniona quasi fosse abituata a quella richiesta.

Anche Matt sorrise, fermandosi ad aspettare mentre legava i capelli ribelli al bambino. Improvvisamente però, il suo sorriso si spense. Lui aveva già visto quella scena,l’aveva già vissuta tante, tante volte..

Gli stessi capelli ribelli..

-Ecco fatto,possiamo andare.- esordì Sora voltandosi a guardarlo. Ma lo sguardo che di rimando Matt le rivolse, la fece quasi congelare. Era lo sguardo di chi..

-Certo.- rispose duro come la pietra, e riprese a camminare dandogli le spalle.

..di chi aveva capito tutto.

 

*********

 

 

Ragazze!Mi scuso per la grande,grandissima attesa!

So  che non è granchè come capitolo,ma ho reputato giusto dare uno spazio solo a queste scene..mh,mh!

Non temete tornerò presto perché voglio portare a termine questa storia :D  Spero continuerete a seguirmi!

Un grande bacio, Sabri

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** capitolo cinque ***


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quel giorno a lavoro Taichi non riusciva a rimanere concentrato.

Non sapeva come ne perché, ma c’era qualcosa che lo faceva sentire quasi…ansioso.

Chiuse lentamente il fascicolo aperto davanti a se e poggiò i gomiti sulla scrivania dell’ ufficio.

Era inutile.

Una delle mattine in cui i pensieri non gli davano tregua, dove i volti di Tk e sua sorella si rincorrevano nella sua mente.

Aprì il primo cassetto e dopo aver rovistato tra alcuni documenti le sue dita sfiorarono un pezzo di carta più liscio. Una foto.

Prova che lui non aveva mai dimenticato. Mai smesso di amarla. Non ebbe il coraggio di tirarla fuori e osservare loro due innamorati persi alcuni anni prima. Non aveva voglia di soffrire maggiormente quel giorno.

Fu così che decise di alzarsi, afferrare cappotto e chiavi dell’auto e dirigersi all’ospedale.

 

 

Intanto nel Central Hospital l’atmosfera quel giorno pareva essersi congelata.

Dopo aver passato la notte in albergo e aver fatto rifocillare per bene il piccolo Taichi che mangiava per quattro persone, a detta di Sora, madre e figlio si erano recati nuovamente in ospedale.

Matt era alquanto silenzioso da quando erano arrivati.

Erano davanti al letto di Tk, che cominciava nuovamente a parlare anche se ancora troppo frastornato per intraprendere alcun tipo di conversazione.

Aveva solo chiesto di Kari, in continuazione.

Taichi si era addormentato sul letto libero della stanza, e Sora non sopportando le occhiate insistenti di Matt uscì dalla camera silenziosamente.

Non appena fu fuori in corridoio si sentì afferrare per un braccio.

-Ma cos…-

-Dimmi che non è vero.- La voce gelida di Matt la colpì in pieno petto.

Ma non si fece spaventare.- Lasciami subito.-

Lui si staccò velocemente, quasi ricordando una scena già vista. Tuttavia riuscì a frenare i ricordi e a concentrarsi sul presente.

Presente che pullulava di domande inespresse.

-Dimmi che mi sto sbagliando Sora.-

-Non so di cosa tu stia parlando.-

Erano di fronte, si guardavano negli occhi furenti.

-Lo sai benissimo invece.-

Rimasero in silenzio. Sora stringeva convulsamente i pugni.

Come osa rivolgersi a me in questo modo…

-Come mai quel nome?Abbastanza insolito per un bambino inglese non trovi?- disse sarcastico il biondo non staccandole gli occhi di dosso.

Sora si irrigidì.- Non…volevo dimenticasse le sue origini.-

-Le sue?-

Capì d’aver commesso un passo falso quando ormai era troppo tardi.

-Le mie…le mie origini!- rispose freneticamente sentendo l’agitazione crescere e osservando il petto di Matt che si alzava e abbassava più velocemente.

-Tu…non puoi averlo fatto davvero!- sbraitò il ragazzo, perdendo completamente le staffe.

-Cos…cosa dici?Io non ho fatto niente!- ormai era terrorizzata, al limite.

Non poteva dirglielo, nessuno doveva sapere!

-Mentimi avanti!- si avvicinò a lei prendendola per le spalle. Qualcuno si era girato nella loro direzione.

-Dimmi che Taichi non è figlio di Tai!Avanti dimmelo guardandomi negli occhi Sora!-

Tremava.

Tremava come quella notte di cinque anni fa, stessa situazione.

Lui…quelle mani…l’alcool e la paura..

Ma era cambiato tutto, ora.

-Lasciami stare!-

Lo allontanò prepotentemente e con tutta la forza che aveva in corpo tanto da farlo arretrare pericolosamente.

-Tu non sai niente della mia vita!E’ tutta colpa tua se è finita così!Tua e solo tua dannato Matt!-

Lacrime silenziose cominciarono a solcarle il volto ma le spazzò via con una mano.

Lui la guardava incredulo.

-Non hai nessun diritto…nessuno.- sibilò tra i denti.- Taichi è mio figlio e non è affar tuo.-

-Io…- cominciò lui, ma spostò lo sguardo dietro Sora allargando gli occhi.

Taichi Yagami era appena uscito dall’ascensore e li stava fissando.

O meglio, fissava la schiena di una ragazza.

Ragazza, che aveva l’impressione di conoscere fin troppo bene.

-Tai..-

Il sussurro di Matt fu ben udibile.

Fu un attimo. Sora si voltò istintivamente e trattenne il respiro.

La giacca che aveva in mano cadde a terra. La osservava incredulo, respirando a fatica.

-Sora…- mormorò facendo scorrere il suo sguardo su di lei.

Non riusciva a muoversi.

Dopo cinque anni…cinque…

Non riuscì a trattenere le lacrime, continuando a guardarlo a distanza.

-Mamma…-

Fu come ricevere una pugnalata in petto.

Abbassò di poco lo sguardo e vide suo figlio tirarle la gonna, stropicciandosi gli occhi. Sollevò la testa e vide Taichi sconvolto.

Osservò prima il bambino, poi di nuovo lei.

Poi, diede loro le spalle e sparì.

 

 

 

 

 

 

Sono imperdonabile.

So anche che questo capitolo è osceno, per quant’è corto! Non ho tempo per dilungarmi in altre spiegazioni, sappiate solo che ho scritto parecchio di questa fanfic, quindi non sparirò di nuovo(togliendo cause di forza maggiore!).

Questo è per dirvi “ehilà sono tornata”!

Spero apprezzerete e sarei curiosa di sentire le vostre idee a riguardo ed anche ipotetiche soluzioni all’enorme intrigo uhuh!

Con la promessa di non scomparire,

a presto!

Sabri

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo sei ***


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Avete presente quei momenti in cui tutto perde improvvisamente di significato?

Quando ti guardi intorno e non vedi niente, niente che possa distrarti, niente che possa interessarti?

L’unica cosa che puoi fare, in situazioni del genere, è fare i conti con quello che ti porti dentro.

Erano passati due giorni da quando Tai aveva rivisto Sora.

La sua Sora…e il suo bambino.

Strana la vita, vero?

Proprio quando il suo cuore sembrava essere diventato leggero come il vento avendo incrociato dopo cinque interminabili anni il suo sguardo, un peso ancora più grande ed ancora più insormontabile era piombato su esso.

Si mise a sedere sul divano che anche quella notte aveva fatto da letto e subito poggiò la mano sulla testa che girava vorticosamente.

Si alzò in piedi barcollando, inciampando nelle bottiglie di birra vuote sparse sul pavimento e raggiunse il piano della cucina per versarsi un po’ di caffè freddo.

Bevve tutto ad un sorso, sedendosi malamente sullo sgabello.

Mamma…

Sora…

Strinse il contenitore di plastica con tale forza da farsi male.

Mamma di un figlio non mio.

Le lacrime che la sera prima l’avevano invaso ripresero ad uscire copiosamente all’improvviso, senza dargli nemmeno il tempo di provare a frenarle.

E Tai pianse. Lacrime amarissime, lacrime di rimorso, lacrime di ricordi, lacrime di..rabbia.

Non poteva sopportare che lei avesse amato qualcun altro. Amato a tal punto da avere un figlio, legarsi per tutta la vita a quell’uomo.

Ma infondo…come poteva aver creduto per tutto quel tempo che non l’avesse fatto?

Si alzò meccanicamente, passando il braccio sugli occhi bagnati e arrossati.

E’ meglio vivere nell’illusione dorata o ferirsi con la realtà tagliente?

Ormai non aveva più importanza.

Si era trascinato in bagno con l’intento di farsi una doccia ma mentre gettava la maglia madida di sudore nel cesto della roba sporca, il suono del suo cellulare lo distolse dai suoi propositi.

Tai si pietrificò. Dopo due giorni di totale silenzio, anche il suono del telefono era assordante.

Lesse il nome sul display dopo essersi precipitato verso la direzione della suoneria anonima.

Un nome lampeggiava:Matt.

Pigiò il tasto verde e portò l’apparecchio all’orecchio senza dire niente.

-Tai.-

Il biondo sussurrò il nome dell’ex migliore amico con il cuore in subbuglio.

Era letteralmente scomparso in quei due giorni, anche a lavoro non l’avevano visto. Aveva paura di chiamarlo ed infatti non ci aveva minimamente provato.

Non dopo quello che era successo..

Ma ora c’era una novità. Una bella novità.

Non ricevendo nessuna risposta dall’altro capo del telefono, continuò lui stesso.- Kari è uscita dal coma.-

Tai spalancò gli occhi, il battito del cuore accelerato. Chiuse la comunicazione e senza pensarci due volte corse in camera sua a vestirsi.

La mia sorellina..finalmente.

 

Matt sorrise sentendo il rumore di via libera dal cellulare, pensando alla gioia provata da Tai in quel momento.

Sora piangeva lacrime di gioia vicino al letto di Kari che, ancora frastornata sbatteva le palpebre circondata dai medici.

Conservò il cellulare nella tasca dei jeans e si diresse verso il piccolo Taichi che era seduto fuori dalla camera.

Appena lo vide avvicinarsi si aprì in un sorriso.- Matt!-

Anche il biondo sorrise, mesto.- Ciao Taichi.-

Si sedette accanto a lui.

Era strano. Sembrava quasi un déjà vu per lui, ritrovarsi accanto ad un bambino con quel nome. Solo che quella volta non era suo coetaneo.

Quella volta beh… era tutto diverso.

-L’amica della mamma sta meglio vero?- chiese impaziente il piccolo con gli occhioni spalancati.

Matt allargò il sorriso, passandogli una mano tra i capelli castani indomabili.

-Si.-

-Che bello!- esclamò allora Taichi battendo le mani ed iniziando a correre su e giù per il corridoio.

Ma il sorriso di Yamato si spense così com’era apparso.

Ormai aveva capito.

Aveva capito tutto.

Il nome non era una semplice coincidenza, non era un ricordo che Sora non voleva cancellare: era una realtà.

E sapendo questo, si sentì ancora più verme di quanto già si sentisse.

 

 

 

Mezz’ora dopo Sora scese nell’atrio con l’intento di comprare un panino per suo figlio che si lamentava per la crescente fame.

Era divisa in due.

Schiacciò il tasto dell’ascensore che indicava il piano terra e si appoggiò alla fredda parete della cabina metallica.

Chiuse gli occhi, assaporando il silenzio in quelle quattro pareti deserte.

Sentimenti contrastanti l’agitavano. Era felicissima per Kari, certo…ma l’angoscia..

L’angoscia d’aver rivisto Tai in quel modo la stava logorando.

Chissà adesso cosa penserà di me…lui..che non sa niente..

Si riscosse sentendo le porte dell’ascensore aprirsi e riaprì gli occhi.

Aveva lo sguardo basso e non si accorse dell’uomo impalato fuori, davanti a lei.

Gli stava passando accanto quando si sentì sfiorare il braccio.

Aggrottò le sopracciglia e finalmente alzò lo sguardo.

Il tempo si fermò.

Sembrò quasi che tutta l’aria fosse stata risucchiata in quell’istante.

Tai la guardava non credendo ai suoi occhi, scrutando ogni centimetro del suo viso e lei allo stesso modo lo fissava spalancando di poco le labbra.

-Permesso…scusate..-

Un infermiere li distolse per un attimo dalla reciproca contemplazione e Tai accentuò la presa sul suo braccio trascinandola da parte.

Gli occhi di Sora divennero improvvisamente lucidi.

-Tai…- mormorò il suo nome con una tale intensità che il ragazzo chiuse gli occhi per un lungo attimo.

-Da quanto tempo sei qui?-

Sora deglutì.- Qualche giorno…-

-Ti ha chiamata Matt?-

Era freddo, gelido. Da quelle domande non lasciava trapelare niente. Nessuna emozione, nessun…sentimento.

Forse mi ha dimenticata totalmente..

-Si.-

Fece forza contro se stessa e si divincolò dalla sua presa che in quel tempo non aveva perso l’intensità iniziale.

Tai ghignò, voltandosi e dandole così le spalle.

-Stavi andando via.-

Non era una domanda.

-No. Ero diretta al bar.-

Sembravano due perfetti estranei. Dialoghi distaccati, non da loro.

I cinque lunghi anni avevano innalzato un muro così insormontabile?

Rimasero in silenzio per qualche secondo che parve infinito, entrambi persi nell’ascoltare i battiti del cuore impazziti.

-Non sei cambiata per niente…-

Sora trattenne il respiro sentendo quelle parole.

Erano come pugnalate. Pugnalate ad un cuore che per troppo tempo era stato sepolto sotto strati di dolore.

Il suo tono di Tai era totalmente cambiato. Ma non si voltò.

-Nemmeno tu.- rispose con un filo di voce.

Lui non rispose.

Le porte dell’ascensore si riaprirono davanti a lui e senza voltarsi vi entrò, scomparendo.

 

 

 

 

 

New York.

Una ragazza con indosso un costoso tailleur nero entrò ansimando in una berlina dello stesso colore.

-Dannati giornalisti.- sbuffò, ravviandosi i capelli.

Volse lo sguardo al passeggero accanto a lei, mentre l’auto ripartiva.

-Buongiorno eh, l’educazione dov’è finita stamattina?- rise lei, notando che il ragazzo non l’aveva degnata di uno sguardo.

Anzi, era totalmente immerso nella contemplazione dello schermo del suo Iphone.

-Izzy va tutto bene?-

Il tono di voce della ragazza mutò completamente.

Solo allora il ragazzo di nome Izzy sollevò lo sguardo su di lei facendole perdere un battito nel constatare le lacrime silenziose che scendevano dai suoi occhi scuri.

-Izzy…- mormorò terrorizzata.

Il ragazzo le passò il telefono.

Lo schermo le mostrava una pagina del quotidiano più famoso di Tokyo risalente a qualche giorno prima.

A caratteri cubitali, la stessa notizia che aveva fatto spalancare gli occhi a Yamato Ischida nel bar di Odaiba.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non ci credete vero?

Ebbene,ho aggiornato. Non scrivo su questo sito da molto tempo ormai, avevo deciso di abbandonare tutte le mie storie…ma alla fine non l’ho fatto.

Ho riletto i vecchi capitoli di questa fanfic e mi sono rimboccata le maniche!

Sparirò ancora?Non so dirvelo..in cuor mio spero sempre di portare a termine i lavori cominciati J

Un piccolo anticipo: il prossimo capitolo sarà un balzo indietro nel tempo!

Non temete, lo sto già scrivendo quindi rimanete sintonizzate care perché questa volta non si scherza!

Un bacione a tutte,

spero di cuore di ritrovarvi!

Sabri

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** capitolo sette ***


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Niente.

Ecco cos’è il tempo in confronto ai ricordi.

Puoi fingere d’andare avanti, puoi dire a te stesso che presto passerà tutto e che la vita si preoccuperà di seppellire sotto strati di polvere quelle sensazioni, quelle immagini, quei visi… ma in realtà sono tutte fandonie.

E sapete qual è il problema più grande?

Che lo sai anche tu.

Sora si rese conto dopo quella mattina che i suoi sacrifici, i suoi tentativi erano stati vani e che sopratutto la mera illusione d’essersi creata una vita nuova era crollata in un battito di ciglia.

E non era una metafora, no.

Era bastato un solo sguardo di Tai, del suo Tai, a farla arretrare.

Piangeva Sora, poggiata alla parete fredda ed umida del bagno dell’hotel in centro che ospitava lei e suo figlio da alcuni giorni.

La piccola camera era immersa in una cappa di vapore denso, lo specchio era totalmente appannato e l’aria era satura ma lei non ci faceva caso: sedeva a terra, avvolta nell’accappatoio e con i capelli che le gocciolavano sulle spalle, confondendosi tra le sue lacrime.

Lo sguardo allegro di una volta ora era fisso nel vuoto.

Non più sorrisi ad inondargli il volto liscio.

Già, i sorrisi. Da quanto tempo ormai non sorrideva più?

Non sorrideva completamente…

Perché c’era suo figlio, il suo Taichi che ogni giorno le regalava sorrisi su sorrisi, baci su baci ed affetto che apparentemente colmavano il vuoto lasciato dal suo unico amore.

Il suo unico e –ora ne aveva la certezza assoluta,- mai dimenticato amore.

Matt aveva capito tutto.

Strinse i pugni convulsamente, nascondendo la testa tra le gambe.

Piano piano i singhiozzi cessarono e così le lacrime.

Ma dentro no.

Dentro era tempesta.

Sospirò, pensando a quella mattina. Poche parole e un tocco di fuoco sulla sua pelle che da troppo tempo non veniva sfiorata da nessuno.

Sorrise, pensando poi alla sua vigliaccheria.

Era salita pochi minuti dopo di lui e aveva afferrato Taichi così velocemente che il piccolo era rimasto confuso.

Matt l’aveva vista. Impacciata, rossa in volto…ansiosa d’andare via.

E Matt aveva visto anche lui, il suo ex migliore amico.

Sconvolto.

Ma non era un’espressione negativa, perché era chiaramente visibile che l’ombra scura presente sul suo viso quella sera al bar era più chiara.

 

 

 

 

-Sta squillando.-

Izzy annuì ansioso dopo quella constatazione.

New York.

Nell’attico che affacciava direttamente sulla  Fifth Avenue, Mimi Tachikawa teneva saldo tra le mani il suo cellulare.

Il cuore era in fibrillazione, mentre camminava avanti ed indietro di fronte al divano in pelle nera sul quale era seduto il suo amico d’infanzia.

Infanzia…e di vita.

Già, perché ormai da ben cinque anni Mimi ed Izzy erano inseparabili. Lei, diventata una famosa e ricca modella e lui, suo fidato manager ed amico.

Soltanto amico, esatto.

Perché lui era sempre lì a ricomporla dopo l’ennesimo fallimento di un flirt con un modello, o dopo un innamoramento fasullo e lei a raccogliere i cocci dell’amico che puntualmente s’invaghiva di una ragazza senza cervello che non lo meritava.

Ma soprattutto Izzy era lì quando quelle sere, quelle dannate sere, Mimi cedeva ai ricordi ed il volto di Matt riaffiorava in mezzo agli altri.

Infondo, cinque anni non erano passati per nessuno di loro. Nessuno dei digiprescelti aveva mai dimenticato, nemmeno per un attimo, la loro amicizia salda.

Mai.

E quella chiamata ne era la dimostrazione.

-Ancora non risponde?- chiese Izzy, guardandola.

Mimi scosse il capo, tuttavia non interrompendo il tentativo di chiamata.

 

Dall’altro capo del mondo, Sora uscì fuori dal bagno ancora in accappatoio sentendo Taichi chiamarla a squarciagola dalla camera accanto.

-Amore cosa…-

Il piccolo la bloccò, mettendole in mano il cellulare che continuava a vibrare silenzioso.- Mum, please…i’m very tired…- mugugnava il piccolo ancora assonnato stropicciandosi gli occhi nocciola e gettandosi di nuovo sul letto, sprofondando nel sonno lasciato poco prima.

Sora sorrise a quella scena e senza guardare il display schiacciò il tasto verde.

-Hello?-

Mimi scostò il telefono dall’orecchio in modo impercettibile. Alzò lo sguardo su Izzy e lui capì.

-S..salve…- ripetè Tachikawa incerta e poi rivolgendosi all’amico sul divano – credo abbia cambiato numero..-

Sora taceva, le sopracciglia aggrottate. In meno di due settimane, quella era la seconda chiamata alla quale rispondeva una persona giapponese.

-Chi cerca?- domandò allora nella sua lingua natia, facendo sobbalzare Mimi.

-Chiedo scusa, cerco la…- prese fiato, prima di pronunciare il nome di quella che era sempre stata la sua migliore amica.- Cerco Sora Takenouchi.-

Silenzio.

Mimi si sedette. La mano tremava nervosa in attesa di una risposta.

Izzy la guardava dall’altra parte della stanza, ansioso.

Sora deglutì più volte prima di continuare, la consapevolezza d’aver riconosciuto quella voce a lei tanto cara che si formava dentro lei. -Sono io.-

Silenzio, di nuovo.

Gli occhi di Mimi si fecero improvvisamente lucidi ed Izzy capì che quello era il numero giusto.

-Sora…- mormorò la ragazza in America, il cuore gonfio di gioia improvvisamente.

-Mimi…Mimi sei tu?-

Sora sentì un singhiozzo dall’altro capo del telefono, seguito da altri e per lei non ci fu certezza migliore: dopo cinque lunghissimi anni la sua migliore amica l’aveva chiamata.

Si ritrovò a piangere anche lei, gli occhi ancora rossi per le lacrime versate pochi minuti prima e ritornò in bagno per non svegliare il piccolo Taichi.

-Sora…io…scusami così all’improvviso…e scoppio a piangere come un’idiota…- balbettava Mimi tra i singhiozzi e Sora non potette fare a meno di sorridere tra le lacrime.

-Non sei cambiata vedo..- mormorò, sentendosi contenta.

Mimi si ricompose, tentando di far calmare i singhiozzi mentre anche Izzy tentando di non farsi vedere si asciugava gli occhi con la manica del maglione che indossava.

Si stanno parlando sul serio…è incredibile.., pensava il ragazzo osservando Mimi ridere e piangere insieme.

Infondo, lo sapevano che la loro amicizia sarebbe continuata per sempre…

-Affatto..- rispose la modella, lanciando uno sguardo ad Izzy.

-Beh come…- iniziò Sora ma si fermò.

Non si parlavano da cinque anni…non poteva cominciare con una frase così banale.

-Sora,- riprese Mimi al posto suo sentendo un brivido nello stomaco nel sentirsi pronunciare di nuovo quel nome- io e Izzy abbiamo letto…-

-Izzy?- questa volta fu Sora stessa ad interromperla. Izzy era con lei?

Il ragazzo in questione si mise una mano sugli occhi, rassegnato.

Eppure le aveva detto di non dirle niente di lui!

Lo scopo della telefonata al momento era uno solo: accertarsi delle condizioni di Kari e Tk.

E trovandosi di fronte al rifiuto categorico di Mimi di chiamare Tai o peggio ancora Matt, l’unica soluzione era stata quella.

Sora.

L’amica che spesso la modella chiamava nel cuore della notte alternando il suo nome a quello del suo ex fidanzato.. .

-Ecco…si è qui con me. In realtà lo è sempre stato da quando…beh…-

-Si ho capito,- tagliò corto Sora.- Allora salutalo da parte mia.-

-Lo farò,- le promise la Tachikawa strizzando l’occhio al suo manager che la guardava affranto.

Non cambierà proprio mai…

 

 

 

Tai guidava ad alta velocità la sua Porsche Carrera nella periferia di Tokyo, scaricando le emozioni accumulate in quelle ore.

Aveva rivisto sua sorella con gli occhi aperti. L’aveva riconosciuto, l’aveva chiamato e le aveva regalato la cosa più preziosa in quel momento: un suo dolce sorriso.

Non aveva degnato Matt di un solo sguardo quel giorno. Sentiva il suo sguardo addosso però, lo avvertiva pesante ed acuminato.

Ma non voleva dargli corda. Perché non poteva cancellare il dolore sofferto in quegli anni nato per colpa sua.

Lui, che aveva distrutto la sua vita, la vita di Mimi e…

Strinse le mani sul volante spingendo sull’acceleratore.

…e quella di Sora.

Ma ormai lei è andata avanti Tai, ha voltato definitivamente pagina. Dovresti farlo anche tu, sai?

La voce pungente dentro lui lo pizzicò forte proprio lì, sul cuore.

E lo farò.

Chi vuoi prendere in giro Taichi…

Il piede divenne più leggero sul pedale, e decelerando piano accostò. Il motore rombava ancora sotto di lui, ma non lo ascoltava.

-Maledizione!- sbattè il pugno sul volante con tutta la rabbia che possedeva.

Devo sapere…devo sentirmelo dire da lei.

Uscì dall’auto sbattendo la portiera e si poggiò alla fiancata.

Era calata la sera.

Osservò le stelle e ripensò a quella mattina, a quando l’aveva rivista.

Per lui sarebbe rimasta sempre la stessa. La stessa ragazza che giocava con lui a calcio sporcandosi nel fango, la stessa ragazza che si sbucciava le ginocchia quando cadevano dalla bici durante le loro gare improvvisate…

La stessa donna che aveva da sempre amato.

Estrasse il pacchetto delle sigarette dalla tasca dei pantaloni e se ne ficcò una tra le labbra rosee.

Già, la stessa alla quale aveva dichiarato il suo amore con un bacio improvviso piuttosto con le parole.

Non sono mai stato bravo con le parole…

La fiamma dell’accendino l’illuminò il viso per un breve attimo, mostrando i suoi occhi troppo stanchi, troppo lontani nei ricordi per essere gli stessi occhi di quel periodo.

Chi vuoi prendere in giro Taichi. Tu, non l’hai mai dimenticata.

Ghignò, alla voce della sua coscienza che per tutto quel tempo non aveva voluto ascoltare.

Un solo suo sguardo, ecco cos’era bastato.

E i pomeriggi passati a giocare insieme, quelli in cui Sora lo costringeva a studiare… e poi i loro baci ed il loro amore erano tornati a galla.

Con un solo sguardo, Sora.

Aspirò forte dalla sigaretta e la gettò a terra.

Non aveva voglia nemmeno di fumare quella sera.

Tornò in macchina stringendosi nel cappotto e avviò il motore.

 

 

 

 

In un vecchio pub nel quartiere di Odaiba quella stessa sera Yamato Ishida consumava un alcolico seduto ad un rotondo tavolo, solo.

Rigirava il bicchiere mezzo vuoto facendo spostare il ghiaccio con gli occhi fissi sul piccolo palco di legno.

Immagini, ricordi, gli riaffioravano alla mente affollandola.

Luci basse, puntate sul vecchio che suonava una malinconica melodia alla armonica.

Matt era rapito.

-Ne vuole un altro?- la cameriera si avvicinò a lui provocante, ma il ragazzo scosse il capo senza guardarla e quella si defilò affranta.

Solo pochi tavoli erano occupati, non era molto conosciuto quel posto. Ma lui da bambino ci andava spesso e fu proprio il proprietario del posto a regalargli la sua prima armonica.

-Dai non fare il bambino!Apri la bocca su!- rise una ragazza snella e con una cascata di capelli rossicci sporgendosi sul tavolo in legno con l’intento d’imboccare il suo biondo compagno.

-Ma sei tu che fai la bambina!E poi ascolta. Ti ho portata qui per ascoltare la armonica…-

La ragazza sbuffò, tornando a sedersi composta ma un sorriso le increspò le labbra osservando Matt totalmente rapito da quella melodia.

Pagò il conto pochi minuti dopo, lasciando anche una mancia alla cameriera provocante, ed uscì all’aria aperta.

Il tavolo era lo stesso.

Il freddo di quella sera lo colpì in pieno volto e sistemandosi la sciarpa attorno al collo si diresse verso il suo hotel non molto distante da lì.

L’aveva scelto apposta.

Sono stato un vero stupido.

 

 

 

 

 

-E così ora stanno meglio.-

Osservò Izzy, sollevando lo sguardo dalla sua porzione di cibo giapponese che ordinavano quasi ogni sera e guardando l’altra commensale seduta davanti a lui.

Mimi annuì, muovendo le bacchette tra gli spaghetti ancora intatti.

Il ragazzo sospirò.

Era stata euforica, così come lui, dopo la telefonata di Sora –durata per circa un’ora- ma adesso tutta la gioia aveva lasciato il posto alla malinconia.

Che purtroppo nemmeno lui aveva la forza di scacciare.

Gli mancavano, tutti.

-Vorresti accettare la proposta di Sora ma hai paura,- le disse Izzy con un sorriso amaro e solo allora la ragazza alzò lo sguardo su di lui, per niente sorpresa che l’amico sapesse leggere dentro di lei così bene.

-Già.-

Il manager sospirò, versando altro sakè nel suo bicchiere e mandandolo giù tutto ad un sorso. – Allora prepara la valigia. Sora è tornata sapendo bene di rivedere Tai e Matt ma l’ha fatto ugualmente. Dobbiamo tornare anche noi-.

Dopo alcuni minuti di assoluto silenzio, Mimi si alzò di scatto facendolo sobbalzare.- Chiama il mio agente, digli di cancellare ogni mio impegno fino a data da destinarsi.- e detto questo sparì di corsa nella sua stanza.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

---

 

Ho tentato di mantenere la mia promessa di non sparire ed ho aggiornato più in fretta che potevo!

La scorsa volta vi avevo detto che questo sarebbe stato un balzo nel tempo. Come avrete sicuramente notato non è stato così^^

Ma spero che questo capitolo non vi abbia deluso!Per quanto riguarda il rew ci sarà, non so ancora se dopo di questo o più in là ma lo leggerete ;)

Ora rispondo alle recensioni, cosa che questa volta mi sento obbligata a fare:

kymyit: ahahah, ebbene si Tk è ancora vivo e vegeto!;P Non preoccuparti, pian piano il mistero verrà svelato!Grazie e al prossimo capitolo spero!

marghepepe: Cara, non sai che emozione è stata leggere la tua recensione. Lo dico sul serio!Il fatto che ti piacciano così tanto le mie fic Taiora al punto da definirle le migliori mi ha riempita di gioia(e non nascondo il fatto della lacrimuccia scappata…). Perché non scrivo da tanto e trovare una recensione del genere mi ha stesa…specie su questa storia.

Sono cresciuta con i Digimon ed ho sempre sperato di vederli insieme, Tai e Sora e non essendo stata accontentata(no comment) cerco sempre di riuscire a dare mie personali versioni del loro “futuro”.

Che altro dirti se non un grazie sincero e spero di ritrovarti al prossimo capitolo!:D

Maximillian Granger: Davvero grazie a te per la recensione. Sono davvero contenta che ti piaccia il mio stile che personalmente non sempre riesco a mandar giù proprio perché ho sempre il timore che non riesca ad esprimere bene le sensazioni…Grazie per i complimenti e spero che anche questo capitolo sia stato all’altezza delle tue aspettative^^ a presto!

 

 

Un saluto ed un grazie anche a chi ha aggiunto la storia tra i preferiti!

Un bacione,

Sabri

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** capitolo otto. ***


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non si era mai chiesto realmente il perché dell’assenza di suo padre, il piccolo Taichi. Non che non gl’importasse, certo…ma l’unica volta che aveva chiesto spiegazioni a sua madre gli aveva risposto talmente fredda, talmente perentoria che ci aveva rinunciato.

Tuo padre non c’è Taichi. Questo è un dato di fatto e devi accettarlo.

Non era nella sua indole arrendersi, Taichi era un bambino caparbio e molto sveglio per la sua età. Ma la cosa che lo aveva fatto desistere era aver sentito sua madre rifugiarsi sotto la doccia e piangere, dopo il loro breve dialogo.

E da allora il piccolo aveva lasciato le proprie domande a se stesso.

Gustava il suo sushi in silenzio in uno dei mille take-away della grande Tokyo, guardando sua madre che contemplava la strada fuori dalla finestra, assorta.

Ultimamente era sempre così.

Erano stati in ospedale quella mattina e i suoi amici stavano davvero bene –aveva osservato vedendoli sorridere e palare tra loro- e addirittura sua madre l’aveva presentato loro.

Anche se quella Kari mi ha guardato davvero male..e ha guardato male pure mamma. Chissà se è per quello che siamo andati via presto…

Vide Sora chiedere il conto e guardarlo teneramente.- Sei sazio?-

Il piccolo annuì contento.

-Allora sei pronto per andare in aereoporto?-

-Si!Mi piacciono gli aereoporti!- esclamò il piccolo, facendo ridere Sora.

E scese dallo sgabello prendendole la mano e sorridendo quando la sua giovane mamma si piegò per baciarlo sulla fronte.

Si, se c’era una cosa che il piccolo Taichi odiava era proprio veder piangere Sora.

E non sapeva che questa era una delle tante cose che aveva in comune con suo padre.

 

 

 

-Dovresti calmarti, lo sai?-

-Si lo so.-

Izzy alzò un sopracciglio.- E allora perché non cominci da subito?-

Mimi sbuffò, girando e rigirando le mani con il cuore a mille.

Erano scesi dall’aereo da circa mezz’ora, ed erano fermi con i loro trolley vicino l’uscita dell’edificio.

Aspettavano.

Izzy guardò l’orologio per l’ennesima volta.- Non è da Sora essere in ritardo.-

La ragazza gli schioccò uno sguardo di rimprovero.- A Tokyo c’è traffico. Sempre.-

Il manager sorrise. L’aveva sempre difesa, in ogni occasione.

Beh, tranne una.

Ma quella era un’altra storia.

Alzò lo sguardo su di lei e la vide assorta nella contemplazione di un taxi che si avvicinava sfrecciando verso di loro.

Ci siamo.

Si fermò proprio davanti a loro due e subito dopo la portiera si spalancò.

Sora con mano tremante e senza alzare lo sguardo aiutò suo figlio a scendere dall’automobile e quando anche lui fu fuori, trattenendo il fiato sollevò gli occhi.

Silenzio.

Le due ragazze si guardavano così, a pochi metri di distanza e con lacrime che minacciavano d’uscire da un momento all’altro.

Il piccolo Taichi starnutì.

Sora sbattè le palpebre riprendendosi e si mise a cercare nella sua borsa un fazzoletto senza dire una parola.

Aveva afferrato il pacchetto quando si sentì circondare da due braccia esili e arretrò quasi vista l’intensità con la quale Mimi la stava abbracciando.

La borsa cadde a terra con un tonfo sordo, e mentre il mondo attorno a loro continuava a scorrere ricambiò l’abbraccio con la stessa intensità.

Izzy le guardava con gli occhi lucidi e le mani in tasca.

Stentava a credere ai suoi occhi.

Ma infondo, l’avevo sempre saputo che si sarebbero riviste. Una vera amicizia come la loro non si può disintegrare.

Un’altra cosa però aveva catturato la sua attenzione: il bambino con una caterva di capelli marroni all’apparenza indomabili che ora  si strofinava il naso con la manica del giubbotto, guardando a terra imbarazzato.

Mentre le ragazze piangevano e ridevano e continuavano ad abbracciarsi ignorando tutti, Izzy si avvicinò a quel bambino.

-Senti vi devo aspettare ancora per molto?- il taxista lo guardò, sbuffando spazientito.

-Può andare, ci scusi- e quello partì sgommando.

Taichi sollevò lo sguardo verso di lui, curioso.

-Ciao-, gli disse Izzy abbassandosi alla sua altezza.- Io sono Izzy.-

Taichi si aprì in un sorriso, felice di conoscere un altro amico della sua mamma.- Ciao signor Izzy, sei l’altro amico della mamma vero?Lei mi ha detto che tu sei bravo con i videogiochi!-

Izzy si pietrificò all’istante.

Sora trattenne il respiro sentendo la frase di suo figlio ed anche Mimi s’irrigidì.

Silenzio, di nuovo.

Il piccolo Taichi spostava lo sguardo confuso da Izzy alle due donne.

Perché tutti mi guardano adesso?Forse ho detto qualcosa di brutto…

Dopo aver lanciato uno sguardo veloce a Sora che abbassò lo sguardo, il ragazzo tornò a fissare il bambino ma con una luce diversa negli occhi.

-Si sono proprio io infatti,- si sforzò di apparire il più naturale possibile, guardandolo con un sorriso tirato.-Piacere di conoscerti. Tu ti chiami…?- lasciò la frase in sospeso, curioso di sentire la riposta.

-Taichi!- esclamò innocente, allungando la mano per poter stringere quella di Izzy.

Ma lui non la prese.

Mormorandogli uno scusami si rimise in piedi e si avvicinò al marciapiede in cerca di un taxi.

Taichi lo guardò triste e si rifugiò tra le braccia di Sora che era rimasta immobile per tutto il tempo.

Mimi guardò la scena con espressione dura.- Andiamo in albergo,- si limitò ad aggiungere e Sora annuì sospirando raggiungendo Izzy.

 

 

Arrivarono in hotel immersi nell’assoluto silenzio. Avrebbero pernottato nello stesso posto, sotto decisione di Mimi e della stessa Sora.

Quest’ultima quando aveva sentito che i due avrebbero condiviso la stessa camera, aveva pensato subito ad una loro relazione.

Forse lei ha davvero voltato pagina…

Ma vedendoli ora la certezza che aveva avuto stava vacillando pericolosamente.

Dopo aver portato il piccolo Taichi in camera sua e avergli rimboccato le coperte, una Sora affranta si avviò verso la camera dei nuovi arrivati, poco distante dalla sua.

Bussò due volte, con il cuore in gola.

-Avanti!- la voce ovattata di Mimi le giunse dall’interno.

Entrò e strabuzzò gli occhi davanti al caos che regnava libero dopo non appena un’ora dal loro arrivo.

Mimi sembrò accorgersene e la guardò imbarazzata.- Beh…lo sai che l’ordine non è mai stato il mio forte.-

Sora sorrise.- Ricordo…-

Si guardarono sorridendosi e solo dopo pochi minuti Mimi si voltò dandole le spalle per non far vedere i suoi occhi nuovamente lucidi.

Sora si schiarì la voce.- Izzy?-

-E’ sotto la doccia,- le rispose Mimi, sistemando le camicie del ragazzo nell’armadio.- Queste è meglio se le appendo, altrimenti mi ammazza.-

La castana si sedette sul’unica poltrona non occupata dai vestiti dell’americana con una sola, pressante domanda in mente.

-Quindi tu e lui…- cominciò, lasciando la frase in sospeso.

Mimi si voltò nella sua direzione.- Cosa?-

Sora si mosse a disagio sulla poltrona.- Tu ed Izzy intendo…-

Mimi dapprima aggrottò le sopracciglia ma poi si lasciò andare ad un sorriso.- Oh no, no- ammise gesticolando con le mani,- siamo rimasti i soliti amici di sempre. Ed anche colleghi di lavoro a dire il vero…è il mio manager.-

Il cuore di Sora si distese.

Allora forse non ha dimenticato Matt..

-Oh, capisco.-

-Davvero pensavi che fossimo fidanzati?- le chiese Mimi, sedendosi sulla sponda del letto di fronte a lei.- Io non mi vedrei mai con uno come Izzy,- ammise ridacchiando e venendo imitata poi anche da Sora.

-In effetti nemmeno io vi vedrei insieme.-

Calò un silenzio imbarazzante che nessuna delle due sapeva rompere.

Perché entrambe sapevano che c’era una sola domanda a cui dover rispondere, ancora.

Una risposta che sia Mimi che Izzy temevano più di qualunque altra dopo quella mattina.

Il rumore della porta del bagno che si apriva le fece sobbalzare ed Izzy ancora in accappatoio uscì tranquillo.

Si bloccò, quando vide Sora a pochi metri da lui.

Non disse niente.

Gli passò davanti, andando a recuperare gli indumenti ancora nella valigia e si richiuse in bagno.

Per poi uscirne poco dopo.

Prese posto accanto a Mimi nell’assoluto silenzio. L’atmosfera pareva essersi congelata.

Il ticchettare dell’orologio da parete scandiva il ritmo della mente dei tre presenti, che vagava lontana nei ricordi.

Anzi, verso un solo ricordo.

 

Cinque anni prima, Odaiba.

Appartamento Takenouchi.

-Io dico che son meglio i fiori rosa pallido, s’intonano di più alla sua carnagione!-

Izzy roteò gli occhi sentendo l’ennesima frase sconclusionata di Mimi. - Ma basta su!Che differenza c’è poi tra rosa pallido e rosa scuro?La noteresti solo tu.-

-Come sei poco romantico!Sora, diglielo anche tu. Il giorno del matrimonio deve essere perfetto, caro Izzy. P-e-r-f-e-t-t-o!- esclamò indignata Mimi, sventolandosi la mano per farsi aria.

Intanto Sora taceva, continuando a preparare il the freddo in silenzio.

Era una torrida mattina d’estate quella.

Il sole batteva fuori dalle finestre e l’appartamento della digiprescelta dell’amore ne era esposto praticamente sempre.

Si asciugò una goccia di sudore. L’ennesima.

-Sora ti prego, accendi l’aria condizionata?Sembra di stare in una serra.- biascicò Izzy andandole vicino e lasciando Mimi immersa nei suoi giornali pre-matrimoniali.

Già, perché tutto il gruppo si stava preparando alla celebrazione del primo matrimonio che li riguardava da vicino.

-Scusa Izzy, l’accendo subito,- rispose la padrona di casa ma nel girarsi urtò contro il vassoio facendo cadere tutte le tazze a terra che si ruppero in mille pezzi.

Fu la goccia che fece traboccare il vaso.

Sora s’inginocchiò a terra e scoppiò improvvisamente a piangere.

I due ospiti si guardarono per un lungo attimo e Mimi corse dall’amica aiutandola ad alzarsi.

Ecco la conferma che aspettavano.

Era strana da quella mattina, poche parole, muso lungo e zero sorrisi. Il tutto era stranissimo, soprattutto in quel periodo.

 Sora Takenouchi nell’ultimo mese regalava sorrisi radiosi a tutti. Il perché? Semplice: l’anello con diamante che splendeva al suo dito.

-Sputa il rospo avanti.-

Fu Izzy a rompere il ghiaccio quella volta, pragmatico come sempre.

 

 

-Sembra uno strano dejavue.-

Izzy le guardò, ed entrambe annuirono in silenzio.- Stavolta però non serve girarci intorno o arrivare a strane conclusioni. Sora, sai benissimo cosa vogliamo chiederti.-

La ragazza sospirò.

Mimi tremò guardandola così…indifesa. E la risposta fu già chiara.

-E’ come pensate voi. Il figlio è suo.-

 

 

-Stamattina…sono arrivati i risultati di un normale controllo che faccio ogni anno…- biascicò Sora tremante, mentre i due la portavano di peso sul divano.

Sbiancarono, pensando al peggio.

-Cos…cosa vuoi dire?- chiese tremante Mimi accentuando la presa sull’amica.

La ragazza sospirò, tacendo.

-Sora cosa cazzo sta succedendo?!- urlò allora Izzy perdendo la pazienza.

-Sono incinta!- urlò con tutto il fiato che aveva nei polmoni.

Contemporaneamente sentì le mani di Mimi che le stavano stritolando il braccio, perdere forza e la ragazza svenne.

Izzy la guardava come se stesse vedendo un alieno.

-Ora capisci?- biascic lei, abbassando il capo.

Izzy tacque. Cominciò ad andare avanti ed indietro nel piccolo ma accogliente salotto mentre Sora cercava di far aria alla sua migliore amica ancora priva di sensi.

La situazione era tragicomica...

Il ragazzo le lanciava occhiate di tanto in tanto e senza farsi vedere sorrideva, con il cuore colmo di gioia.

Mimi si destò pochi minuti dopo.

-Sora…- mormorò, apparentemente ancora confusa.

-Come stai?- le chiese lei apprensiva ma la ragazza le mise una mano sulle labbra.

La guardò per pochi istanti e poi si aprì in un sorriso radioso.- Sarai la mamma più fashion del mondo!!- e detto questo la ragazza scoppiò in lacrime abbracciandola di slancio.

Izzy scoppiò a ridere. Lacrime di gioia, di stupore, di pura felicità.

Si gettò sulle due ragazze abbracciandole entrambe e piansero tutti e tre nella loro bolla di gioia.

-Sora, devi promettermi una cosa,- disse Koushiro pochi minuti dopo, improvvisamente serio.

La ragazza incinta lo guardò attenta.- Cosa?-

-Riprendi Tai quando glielo dirai!-

 

 

-Lo sapevo!- sbraitò Izzy alzandosi in piedi.- Ci hai mentito!Hai nascosto la verità a lui per tutto questo tempo!-

Sora scoppiò in lacrime.- Non potevo dirlo a nessuno, non dopo quello che è successo!Io non…-

-Scommetto che lui non sa ancora niente, vero?- continuò Koushiro, rosso di rabbia.

Sora scosse il capo.

-Vergognati Sora!- e detto questo uscì dalla camera sbattendo la porta.

Mimi piangeva lacrime silenziose. Si alzò meccanicamente e si accucciò accanto alla sua migliore amica di sempre, abbracciandola.

-Io ti capisco…shh..ora ci sono io…non sei più sola…- le mormorava tra i singhiozzi accarezzandole il capo.

 

 

 

 

 

 

Rieccomi ragazzi!

Spero abbiate passato una serena Pasqua^^ 

Passo subito all’angolo delle recensioni perché sono abbastanza di fretta:

Maximillian Granger: Già, sono ritornati anche loro!Per quanto riguarda i personaggi, tratterò solo quelli della prima serie…li sento più vicini a me e quindi non voglio allargarmi in un campo più vasto con il pericolo di perdermi in caratterizzazioni troppo banali;) Per la durata della storia…boh!ahah!Non lo so ancora con certezza, ma credo che il finale sia intorno all’undicesimo capitolo. Ma posso sempre cambiare idea!Grazie mille per la recensione,alla prossima!

Mimi18: Innanzitutto grazie mille per i complimenti!^^ Sono contenta che la storia ti piaccia, anche se mi rendo conto non sia delle più rosee(come del resto quasi tutte le mie storie…sarà un vizio! o.O) Alla prossima allora! Ps. W il thè al limone!

Marghepepe: ho fatto del mio meglio per aggiornare in fretta e non deludervi!Sia la telefonata che la scena di Yamato al bar mi hanno fatta pensare parecchio perché non sapevo come rendere i momenti che ritenevo centrali per tutta la storia…sono contenta che ti abbiano colpita!Inoltre leggendo la tua recensione ho preso spunto per i flashback anche in questo capitolo,che aiuteranno a capire un po’ il passato nei nostri digiprescelti ;) E figurati mi piacciono un sacco le tue recensioni!:D a presto!!

 

 

Non mi resta che ritrovarvi al prossimo capitolo!

Un saluto ed un grazie a chi ha aggiunto la storia tra i preferiti e tra le storie seguite!

Alla prossima,

Sabri

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** capitolo nove ***



 
 
 
 
 
 

 
 
 
 
 
 
 
Whatever happened to truth
Lost without a trace
Whatever happened to the mirror
That showed me a happy face
Gary Go – Open arms
 
 
 
~
 
 
Il cielo era plumbeo quella mattina.
Nuvole cariche di pioggia aspettavano l’istante giusto per cominciare a rigettare milioni di gocce fredde su Tokyo, ancora assopita.
Sora era già sveglia nonostante fossero le cinque del mattino. Osservava dalla finestra dell’hotel la strada circostante assorta nei suoi pensieri.
La sera prima si era addormentata in camera di Mimi ed Izzy. Il ragazzo dopo la sfuriata non era più rientrato ed al suo risveglio aveva trovato suo figlio schiacciato tra lei e la modella.
Sorrise, pensando a quella scena che solo qualche settimana prima le sarebbe parsa impossibile.
Facendo attenzione a non far rumore per non svegliare i due ancora tra le braccia di Morfeo si diresse in bagno.
Contemporaneamente, Izzy aprì la porta della camera con cautela.
Rimasero immobili a guardarsi, fin quando il ragazzo con un sospiro le fece cenno di seguirlo fuori.
Con il cuore in gola, Sora lo seguì.
La luce anonima del corridoio era tenue, ed il silenzio pareva parlargli di troppe, ingombranti cose.
Izzy si sedette sulle scale deserte imitato poco dopo da Sora.
Silenzio.
Quanto può essere assordante un silenzio quando è saturo di domande?
-Ti chiedo scusa per ieri,- esordì Izzy, tenendosi la testa tra le mani.
La ragazza sospirò. -Avevi tutte le ragioni per reagire in quel modo. Non preoccuparti.-
Nuovamente furono inghiottiti dai loro pensieri.
Fu Izzy a spezzare di nuovo quella corrente silenziosa.- Come hai fatto ad andare avanti?- le domandò con un sussurro, voltando il capo nella sua direzione ed incontrando la sua espressione addolorata.- E’ questo che non riesco a spiegarmi. Certo, sei sempre stata forte ma…- deglutì, prima di continuare - …la maternità, Sora…è una cosa troppo grande anche per te.-
Lei sorrise, amara.- Non è stato facile. Per niente. Non sai quante volte ho composto il numero di Tai in quei nove mesi d’inferno ma alla fine non ho mai inoltrato la chiamata. Mi sentivo svuotata.-
-Penso che l’unica ragione che mi ha evitato la pazzia era il bambino che mi cresceva in grembo,- continuò poco dopo.
Izzy si passò le mani tra i capelli, nervoso.- Mi dispiace così tanto…noi eravamo tuoi amici, io ero tuo amico…e ti ho abbandonata.-
Sora istintivamente gli posò una mano sulla spalla, per poi ritirarla immediatamente quasi scottasse.- Non…non devi dire certe cose. Non devi nemmeno pensarle, Izzy. Nessuno ha ragionato molto dopo…- si fermò per un attimo con lo sguardo fisso e la mente che correva veloce a quella maledetta sera di cinque anni prima,- dopo l’accaduto.-
Improvvisamente, Izzy l’abbracciò di slancio e Sora si lasciò andare ad un pianto liberatorio tra le braccia di uno dei suoi più cari amici. Lo abbracciò stretto mentre continuava a singhiozzare sulla sua spalla e sentendo le lacrime del ragazzo bagnarle la spalla.
Fu così che li trovò Mimi, affacciandosi fuori dalla porta. S’inginocchiò vicino a loro e li circondò entrambi con le braccia.
C’era solo una cosa che tutti e tre avevano chiara: non si sarebbero lasciati più.
 
 
La mattina dopo erano diretti in ospedale.
Sora sapeva del risveglio di Kari, il giorno prima Matt in una brevissima telefonata l’aveva avvisata.
Arrivarono di buon ora, l’orario delle visite era appena cominciato infatti non c’era molta gente nel reparto.
-Volete andare prima voi?- chiese Sora, con in braccio il piccolo Taichi che si era nuovamente addormentato.
Mimi ed Izzy si scambiarono una veloce occhiata. Sapevano perché la loro amica era timorosa: non sapeva come l’avrebbe riaccolta Kari dopo tutti quegli anni.
-Andiamoci tutti insieme piuttosto,- le rispose Mimi trascinandola dentro con loro.
Era sveglia.
Tk non era in stanza, l’avevano trasferito al piano di sotto perché ormai le sue condizioni erano del tutto stabili e la sua uscita era prevista per la settimana dopo.
Le tende erano alzate e Kari guardava, stesa nel suo letto e con la flebo al braccio, la città muoversi da dietro le vetrate.
Quando si voltò dalla loro parte, sentendo la porta aprirsi, sgranò gli occhi.
Passò in rassegna i tre venuti in silenzio, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime e Mimi ed Izzy corsero da lei, abbracciandola e Mimi la sommerse di baci.
Solo Sora rimase indietro. Il cuore le batteva furiosamente in petto, non riusciva a neppure a guardarla perché era come se guardasse Tai.
Si voltò intenta ad andarsene quando una flebile voce la richiamò, facendola fermare.
-Resta..- le mormorò Kari.
Izzy si staccò da lei. –Dammi Taichi, lo tengo io in braccio,- le mormorò all’orecchio – va da lei.-
Tremando Sora le tese il bambino che continuava a dormire beato e si voltò verso la sorella di Tai, che la fissava con un dolce sorriso che mai si sarebbe aspettata.
Ma infondo, lei è Kari…
-Buona chiacchierata,- disse Mimi dopo averle accarezzato la fronte e con un cenno del capo d’incoraggiamento verso Sora, uscì dalla stanza chiudendo la porta.
-Spero solo che Kari non dica niente a Tai del bambino,- sussurrò Mimi una volta fuori.
Izzy scosse il capo, mentre carezzava i capelli ribelli di Taichi.- Non lo farà-.
 
Kari batté la mano sul letto, facendo capire a Sora d’avvicinarsi.
In silenzio, lo fece e si sedette accanto a lei.
Era cambiata dall’ultima volta in cui si erano viste. Portava i capelli lunghi adesso e sembrava avesse preso qualche kilo anche se il viso a causa dell’incidente era molto scavato.
Gli occhi però, emanavano la dolcezza di sempre.
Sora le prese la mano e sorrise di rimando.
-Non ci credo ancora che tu sia tornata.- mormorò la secondo genita dei Yagami.
-Non ci credo nemmeno io…- fu la risposta della ragazza prima di abbracciarla.
Rimasero in silenzio, assaporando quel momento che entrambe avevano da sempre sperato.
-L’hai visto?-
La domanda improvvisa di Kari la fece trasalire ed un brivido freddo le percorse la schiena.
Non rispose.
-Lo prendo come un si-, disse con un accenno di risata la ricoverata.
-Sora…-
Lei alzò lo sguardo.- Dimmi.-
-Il bambino che stringevi poco fa, di chi è?-
Le lasciò la mano di scatto, facendola sobbalzare dall’improvviso cambiamento. Cominciò nuovamente ad agitarsi, senza trovare le parole adatte.
Ma infondo lo sapeva che l’avrebbe chiesto, lo sapeva che entrare in quella stanza avrebbe comportato la verità.
E Kari capì tutto. Non c’era bisogno di parole.
-E’ mio nipote.-
Non era una domanda.
Sora annuì, distogliendo lo sguardo.- Ti prego non dirglielo-.
Kari cominciò a piangere ma, a differenza di quanto si sarebbe aspettata la ex digiprescelta dell’amore, non erano lacrime di rabbia.
Ma lacrime di gioia. Cominciò a ridere tra le gocce salate che scorrevano sul suo viso liscio sotto lo sguardo di Sora, incredula.
Lentamente, la risata cessò, lasciando spazio ad una espressione assorta. -Io non gli dirò niente. Ma dovrai farlo tu, il più presto possibile. Lo sai, vero?-  
Sora annuì con un sospiro nervoso.
-Non ti lascerò partire senza avergli detto la verità Sora. Per lui è troppo importante.-
La maggiore tra le due perse un battito nel sentire quell’affermazione.
Allora forse…non mi ha dimenticata…
-Tu mi hai confessato un segreto. Anche io ne ho uno e finora nessuno ne è a conoscenza,- proseguì Kari facendola preoccupare.
-Kari cosa è successo?-
La ragazza si aprì in un sorriso. -Sono incinta.-
 
 
 
 
 
 
Quella mattina Tai non era andato a lavoro. La sera prima era uscito con alcuni suoi colleghi d’università con i quali non aveva perso i rapporti ed avevano passato la nottata a bere in un pub in pieno centro di Tokyo.
Si svegliò con un forte mal di testa e dopo aver ingoiato alcune aspirine si era vestito di fretta, notando l’ora tarda, e si era diretto in ospedale.
Quando l’ascensore si aprì sul piano dov’era sua sorella, notò subito due figure adulte davanti alla porta chiusa della sua camera.
Aumentò la velocità e solo quando era a pochi metri da loro, alzarono lo sguardo nella sua direzione.
Tai non riusciva a credere ai suoi occhi: Mimi ed Izzy erano lì davanti a lui. Il suo sguardo poi, come attirato da un’invisibile calamita si puntò sul bambino addormentato in braccio all’informatico che ora lo guardava sorridendo.
-Ciao Tai.-
Gli occhi del digiprescelto del coraggio si spostavano da Mimi –che lo guardava senza sapere come comportarsi- ed Izzy che continuava a sorridergli.
-Che ci fate qui?- fu l’unica domanda che riuscì a formulare, ancora troppo preso da quel bambino che aveva immediatamente riconosciuto.
Cosa ci fa in braccio ad Izzy?
Izzy, che aveva colto la sua tensione per via del piccolo, pragmatico come sempre si affrettò a precisare.
-Abbiamo letto la notizia su internet qualche giorno fa,- cominciò ed intanto Mimi con un sospiro si sedette accanto a lui.
-Mimi ha chiamato Sora e ci siamo precipitati qui. E, nel caso te lo stessi chiedendo, questo non è mio figlio-, concluse poi, calcando l’attenzione sull’avverbio di negazione.
Colto in flagrante, Tai si limitò ad annuire.
Mimi intanto lo fissava, nervosa.
Pensava alla sua migliore amica, che sarebbe uscita da un momento all’altro e l’avrebbe visto lì davanti a lei.
Accidenti..
Le si gelò il sangue nelle vene quando sentì la porta aprirsi.
Sora uscì con un sorriso radioso sul volto, asciugandosi gli occhi ancora umidi.
Ma quando sollevò lo sguardo, il sorriso scomparve immediatamente.
 
 
 
Because maybe
You're gonna be the one that saves me ?
And after all
You're my wonderwall
Oasis - wonderwall
 
 
Proprio come alcuni giorni prima, il mondo pareva essersi fermato improvvisamente. Nessuno dei due aveva perso in tutto quel tempo che li aveva visti lontani, la facoltà di perdersi l’uno dell’altro.
Passare un’intera vita insieme non è cosa da poco, e l’amore non conosce limiti temporali.
-Sei qui..- mormorò Tai, scorrendo lo sguardo sul suo corpo magro che ancora immaginava di toccare, baciare…fare suo.
Sora deglutì. –Sono…sono venuta a trovare Kari.-
Distolse lo sguardo con le guance in fiamme e si rivolse ad Izzy.- Dorme ancora?-
-Si, non si è nemmeno mosso.-
Mimi li guardava in silenzio. Rivide nei loro sguardi l’amore che trapelava ogni giorno, ogni secondo cinque anni prima.
La felicità e la loro semplicità d’amarsi, di scoprirsi e crescere insieme proprio come avevano fatto d’adolescenti.
E Mimi osò.
-Sora senti,- cominciò richiamando l’attenzione della sua migliore amica mentre Tai la sorpassava velocemente entrando nella camere di sua sorella.
Sora la guardò, con ancora lo sguardo ancora perso.
-Dovete parlare,- l’anticipò Izzy.
Mimi annuì, guardandolo. –Aspettare oltre non serve a niente.- Si alzò in piedi e la raggiunse, abbracciandola dolcemente.- Vi amate ancora, è evidente. Lui deve sapere.-
Sora la strinse forte, mormorandole l’unica cosa che in quel momento si sentiva in dovere di dirle.
-Grazie.-
Mimi sorrise, facendo scorrere la sua mano su e giù per la sua schiena. – Faccio solo il mio dovere d’amica.-
 
 
Tai aveva chiuso la porta e si era poggiato contro di essa chiudendo gli occhi.
Perché ogni volta è come tornare indietro?
Il cuore non smetteva di battere furiosamente dentro il suo petto. In quel momento si sentì di nuovo il ragazzino innamorato segretamente della sua migliore amica e che ogni qualvolta per caso si sfioravano, andava in fibrillazione.
-L’hai vista, eh?-
La domanda di sua sorella gli fece aprire gli occhi.- Sei sveglia!- esclamò avvicinandosi e baciandole la fronte.
Kari sorrise.- Chissà perché rivedo lo stesso sguardo perso che hai sempre avuto davanti a lei.-
Tai indurì la mandibola.- Non è vero.-
-Oh, certo che no,- ironizzò sua sorella stringendogli la mano.- Non sprecate quest’occasione, va da lei. Avete tante cose di cui parlare.-
-Per esempio cosa?!- sbraitò Tai improvvisamente.
-Abbassa la voce..- sussurrò Hikari per niente stupita dalla reazione del fratello.
-Kari io la vedo ancora in quel cazzo di letto con quello che era il mio migliore amico il giorno prima del nostro matrimonio…- biascicò Taichi, stringendo i pugni convulsamente.
La ragazza sospirò.- Non è stata colpa sua. In questo, lei è vittima quanto te.-
Tai si zittì.
Sapeva che Kari aveva ragione. Sapeva che la colpa era anche sua, era del suo orgoglio spezzato.
-Va da lei. Metti da parte il passato, avete una vita davanti a voi.-
-Kari lei…lei ha avuto un bambino..- mormorò Tai, tentando di frenare le lacrime che ancora una volta chiedevano d’uscire.
Sua sorella si morse il labbro. Non poteva dirgli la verità.
-Parlale allora, così risolverete tutto.-
In quell’istante un timido bussare li fece interrompere e Sora si affacciò timida sull’uscio.
Lo guardò per un lungo istante.
-Tai…-
-Arrivo.-
Non le lasciò nemmeno il tempo di finire la frase. Si avvicinò a Kari e dopo averle baciato la guancia, afferrò la giacca e uscì.
Mimi ed Izzy li videro allontanarsi nel corridoio, Tai faceva strada e Sora lo seguiva. Silenziosi.
Entrarono da Kari e si sorrisero.
-Mamma…- biascicò il piccolo Taichi, stropicciandosi gli occhi addormentati.
-No tesoro, la mamma non c’è adesso,- rispose Mimi con un sorriso carezzandogli la guancia calda.
Il piccolo le sorrise.
Kari lo guardava a corto di parole. Tai doveva esser stato proprio cieco per non riconoscere la sua esatta copia in miniatura.
 
 
 
 
 
 ~
 
 
 
 
 
 
 
Rieccomi di nuovo qui, ragazzi.
Lo so, con un mese di ritardo. Vi chiedo perdono per l’attesa ma purtroppo il periodo esami per me è già cominciato e ne sto preparando due contemporaneamente...
Ma vi avevo fatto una promessa, dunque la storia continuerà!Spero di poter postare il prossimo capitolo il weekend prossimo(prima mi è impossibile), perché di solito la domenica mi concedo un po’ di relax(dannato studio!).
Ringrazio  marghepepe, Mimi18 e  Maximillian Granger per aver recensito lo scorso capitolo e per il sostegno che mi date ogni volta e senza il quale non riuscire a continuare :) .
Spero che questo capitolo sia degno dell’attesa che vi ho fatto patire.
Un abbraccio a tutti i lettori e chi ha aggiunto la storia tra le preferite/seguite(spero di sentire presto qualcuno di voi!)
Ps. Non ho riletto il capitolo prima della pubblicazione, perciò mi scuso per eventuali sviste.
Alla prossima,
Sabrina
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** capitolo dieci ***



 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
-Quindi è confermata la sua uscita?-
-Certo signor Ischida. Entro la fine della prossima settimana suo fratello potrà benissimo tornare a casa- concluse il primario del reparto e Matt sentì il cuore alleggerirsi d’un peso che aveva sopportato in tutte quelle settimane.
Annuì, stringendo la mano al dottore. –La ringrazio di cuore.-
Il medico sorrise, sfogliando la cartella clinica di Tk.- E’ solo il mio lavoro. Certo dovremo tenerlo sotto controllo per un paio di settimane, quindi credo che sarà opportuno che il paziente venga qui per dei prelievi…-
Ma Yamato aveva smesso di ascoltarlo. Aggrottò le sopracciglia riconoscendo il piccolo Taichi mano a mano con una ragazza.
Ragazza, che non era affatto Sora.
-Mi scusi…- mormorò al medico che lo sguardo perplesso mentre il biondo avanzava verso quelle due figure.
-Allora, dovrebbe essere questa…- sussurrò tra se e se Mimi una volta davanti alla porta di Tk, che tuttavia era chiusa.
Si morse il labbro, indecisa sul da farsi.
-Non entriamo?- domandò curioso Taichi ed abbassando lo sguardo sul piccolo vide che la guardava con il solito sorriso.
Il sorriso però è di Sora…è uguale a lei..
Solo quando rialzò lo sguardo notò l’uomo che li guardava a pochi metri di distanza.
I loro sguardi s’incrociarono.
Yamato spalancò leggermente le labbra dallo stupore che non riusciva a contenere ed il bicchiere con dentro il suo caffè gli sfuggì di mano finendo a terra.
Il piccolo Taichi si voltò nella direzione del rumore.- Matt!- urlò contento e corse ad abbracciarlo.
Ma ne Matt né Mimi guardavano il piccolo.
Si fissavano, ognuno con un’espressione diversa sul viso. Mimi deglutì.
-Matt è caduto il caffè!Ora ti sgrideranno…- il piccolo non si era accorto di niente. –Matt..?- lo richiamò, notando l’indifferenza dell’uomo.
Improvvisamente, Mimi si riprese dallo stato di stupore in cui era caduta.
Infondo, sapeva che prima o poi l’avrebbe incontrato. Era solo questione di tempo.
-Taichi vieni qui, torniamo da Izzy.-
Matt sbattè le palpebre più volte sentendo quel nome.
-Mimi…- mormorò a bassa voce, ma la ragazza lo sentì.
-Taichi dai forza, torniamo su.- ripetè allora alzando la voce ed il bambino la guardò con un cipiglio perplesso ma la raggiunse.
-A…aspetta..- la pregò Matt, ma la ragazza prese subito in braccio il bambino e si allontanò a grandi passi nel corridoio.
-Mimi!- sentì Matt che urlava il suo nome e poco dopo una mano sulla spalla la costrinse a fermarsi.
Si voltò, e lo sguardo che rivolse a Matt riuscì a farlo indietreggiare di qualche passo.
Freddo. E furibondo.
-Non osare toccarmi, stronzo- sibilò gelida e con uno strattone si liberò della presa del ragazzo continuando ad incedere verso l’ascensore.
 
 
 
Amarti m'affatica mi svuota dentro
Qualcosa che assomiglia a ridere nel pianto
Amarti m'affatica mi da' malinconia
Che vuoi farci è la vita
E' la vita, la mia.

Gianna Nannini – Amandoti.
 
 
Una volta nel parcheggio Sora lo seguì verso la sua auto sportiva.
Spalancò gli occhi quando appurò il modello della stessa.
E’ sempre stata la sua preferita…
Salirono in silenzio, si allacciarono la cintura e Taichi mise in moto, stringendo convulsamente il volante.
-Dove andiamo?- le domandò, evitando di guardarla.
-Fa lo stesso…- mormorò lei, con la gola improvvisamente secca.
Tai allora uscì dal parcheggio schiacciando sull’acceleratore e diretto chissà dove.
Quando si fermò davanti alla loro caffetteria ad Odaiba, Sora perse un battito.
Senti l’ondata dei ricordi investirla in pieno ed il cuore pompare più sangue. Così, solo vedendo quel posto.
Tai spense il motore.
Il silenzio era un macigno enorme che entrambi non sapevano come spostare.
Due estranei. Ecco cosa sembravano.
Una volta dentro il proprietario, Yuri, la riconobbe immediatamente.
-Non ci credo…Sora Takenouchi!-
La ragazza sobbalzò, sentendo il suo nome urlato in quel modo. Alzò lo sguardo e vide l’uomo avvicinarsi a grandi passi.
-Yuri?- mormorò incerta.
Lui sorrise.- E chi sennò?Non riesco a crederci, sei tornata!- esclamò ancora abbracciandola.- E sei sempre più bella!-
Ricambiò l’abbraccio energico dell’uomo e con la coda dell’occhio vide Taichi che la fissava. Non appena incrociò lo sguardo però, lui distolse immediatamente il suo.
-Allora siete tornati insieme?Oh, sono contento per voi ragazzi!Finalmente questo qui la smetterà di essere depres…-
-Yuri.- Il tono duro che aveva usato Tai lo fece zittire di colpo.
Capì, dal suo sguardo e da quello vuoto di Sora d’aver preso un granchio enorme.-Il tavolo laggiù è libero. E’ anche il più appartato.-
-Grazie- rispose mesta Sora, seguendo Tai che si era già incamminato.
Si sedettero l’uno di fronte all’altra.
-Odio il silenzio, mi parla di troppe cose.*-
Sora alzò lo sguardo, sentendo la frase mormorata da Tai. Anche lui la stava guardando.
Fisso, con gli occhi magnetici di sempre che avevano il potere d’ammaliarla.
Era come nell’antica storia della falena e la luce: non importa per quanto tempo la falena resisterà alla luce, non importano i pensieri che farà per distrarsi…alla fine, inevitabilmente, finirà per bruciarsi.
Sospirò, prima di parlare.- Non è cambiato per niente questo posto…-
Tai distolse lo sguardo, con un sorriso amaro.- No, infatti.-
Perché chiarirsi era così difficile?
Il loro rapporto, prima d’amicizia poi come coppia, era sempre stato caratterizzato dal dialogo. Sempre, in ogni occasione.
Eppure…
Tai indurì la mandibola.- Io devo chiederti una cosa prima di continuare.-
Sora annuì, tremando. Conosceva bene la domanda che stava per porle.
-Quel bambino…-
-Risponderò alla tua domanda. Ma non ora Tai…-
Pronunciare nuovamente il suo nome fu come l’ennesimo brandello strappato dal suo cuore.
Il ragazzo la fissò per un lungo attimo. –Non serve a niente rimandare. La domanda è semplice…è tuo?-
La voce gli tremò. Non poteva farci niente.
Sora pensò alla conseguenza di quello che stava per rivelargli. Aveva ragione Kari, aveva ragione Izzy…tutti loro.
Aspettare non sarebbe servito a niente.
-E’ nostro.-
Non riuscì più a frenare le lacrime. Dopo cinque, lunghissimi anni, l’aveva detto.
Tai sbiancò. Il cuore impazzito nel petto e nella mente quello che Sora gli aveva appena detto.
Ma è impossibile…
Senza pensarci due volte, si alzò in piedi e l’afferrò per un polso trascinandola fuori.
Si fermarono sotto un albero nel parco che circondava la caffetteria.
Alcune gocce scendevano timide dal cielo grigio.
-Dimmi che non è vero- disse con la voce spezzata.
Sora non rispose, scossa dai singhiozzi.
-Sora dimmi che non è vero!-
-Non posso!- sbraitò allora la ragazza, alzando gli occhi vitrei su di lui.- Non posso dirtelo Tai perché quello è nostro figlio!-
Urlò.
Tai urlò con tutto il fiato che aveva nei polmoni, alzando il visto contro il cielo che scaricava ormai acqua in grande quantità.
Si mise le mani tra i capelli e cadde in ginocchio, a peso morto, sulla terra fradicia.
Pianse.
Pianse tutte le lacrime che aveva cercato da sempre di trattenere. Perché lui era il coraggioso, il forte, quello che non si spezzava ma che seguiva il vento piegandosi dolcemente.
Ma dentro qualcosa era spezzato, invece.
Spezzato da troppo tempo. Da cinque anni.
Artigliò la terra con le mani, sporcandosi di fango e continuando a singhiozzare coperto dalla pioggia.
Un uomo distrutto. Ecco cos’era Tai Yagami in quel momento.
Sora non poté fare a meno di seguire le sue lacrime, poggiata al tronco dell’albero vicino al quale si trovava.
Troppa rabbia, troppa amarezza in quei gesti. Per due persone che non avevano mai smesso d’amarsi.
Mai.
Nonostante i kilometri che li separavano, nonostante il tempo, nonostante il passato.
-Perché…-
La ragazza alzò il capo, sentendo il mormorio di Tai.
Il ragazzo alzò il capo mostrando gli occhi gonfi.- Perché non me l’hai mai detto…?-
Non c’era rabbia in quella domanda, né rancore.
Per quanto si sforzasse, per quanto lo preferirebbe, Tai non riusciva a provare niente di simile nei confronti della ragazza che ora gli stava di fronte condividendo il suo dolore.
-Avevo paura Tai…io non…non potevo trascinarti in tutto questo senza sapere se tu volevi entrarci..- mormorò, accasciandosi piano a terra seguendo il profilo del robusto tronco.
Si guardarono, attraverso la moltitudine di gocce che li separavano, sfumando i bordi dei loro corpi fradici.
-Come puoi aver pensato una cosa simile Sora…- biascicò Tai, guardandola con tutto l’amore che aveva nascosto dentro se per tutto quel tempo. -Come puoi averlo pensato per un solo attimo…-
Sora singhiozzò, più forte.- Perché pensavo che tu mi odiassi!Che non volessi mai più vedermi Tai, ed io mi odiavo, mi odio così tanto per quello che è successo…-
Ora urlava.- Perché io non ti ho mai dimenticato Tai, MAI!- il petto le sussultava violentemente e si coprì il viso con le mani sporche di fango per tutta la vergogna che provava in quel momento.
Per Tai invece, la pioggia sembrava cessata.
Gli occhi si persero nel contemplare quella figura rannicchiata a terra. Sembrava la ragazza che aveva lasciato anni prima, la stessa che stava per portare all’altare, la stessa, che quando aveva visto l’anello di fidanzamento aveva urlato a squarciagola nel locale e si era gettata fra le sue braccia facendoli cadere rovinosamente a terra.
-Nemmeno io ti ho mai dimenticata….- mormorò il castano, e a gattoni, sporcandosi tutto inevitabilmente, si avvicinò piano a lei vedendola bloccarsi alle sue parole.
-In verità…io ti amo ancora come il primo giorno..- sospirò una volta davanti a lei, vedendola alzare lo sguardo su di lui con la bocca spalancata.
Basto un attimo a cancellare la distanza, i ricordi, il rimorso, la nostalgia.
I suoi occhi avevano sempre avuto il potere di stregarlo, non importa da quanto tempo non si sfioravano con i suoi, perché nei ricordi erano la cosa più vivida di lei.
Si era perso in quelle iridi da quando era bambino ed ora, dopo una vita intera, ancora non aveva trovato vie d’uscita.
Dimenticò tutto il passato con il battito delle sue ciglia così vicine, dimenticò il figlio che aveva scoperto d’avere…anche se una parte di lui l’aveva sempre sperato..
L’afferrò per il suo esile polso attirandola a sé con forza, quasi con violenza, e in istante le loro labbra si unirono.
Sora circondò il suo torace con le braccia, stringendolo a sé furiosamente mentre il bacio era febbrile, violento, sprigionava tutto quello che due amanti inconsapevoli avevano provato, sognato, in tutto quel tempo.
Non si può mettere freno alle passioni. Non ci si può imporre di dimenticare qualcuno quando non si vuole. Il cuore non conosce ragioni, non vuole farlo.
Tai la trascinò a terra con sé, stringendola, spostando le labbra sul suo viso, sul suo collo.
A nessuno dei due importava del mondo esterno, non vedevano i passanti sotto i loro ombrelli guardarli stupiti, anche ironici.
Non vedevano niente, a parte loro.
Sporchi di fango, com’erano da bambini quando giocavano a calcio. Complici.
 
 


 
~
 
Rieccomi, ho tenuto fede alla promessa di aggiornare questo weekend^^
So che il capitolo non è lunghissimo, infatti volevo aggiungere un’altra parte dopo questa ma alla fine ho deciso d’inserirla all’inizio del prossimo capitolo che penso proprio sarà il penultimo.
Non so se scriverò un capitolo extra come rewind. Avevo già cominciato la sua stesura ma alla fine l’ho accantonato…voi che dite?
Spero che questo non vi abbia delusi, ho tentato di trasmettere le emozioni del momento…spero d’esserci riuscita. Inutile dirvi che quindi aspetto le vostre opinioni, anche ovviamente, quelle negative.
Rispondo a chi ha recensito lo scorso capitolo:
martnyny: Grazie mille per i complimenti, sono contenta che la storia ti piaccia J Per quanto riguarda Hikari beh, ottima osservazione ihih! Mimi ed Izzy non si metteranno insieme(penso risulti chiaro dopo la lettura di questo capitolo). Li ho intesi come migliori amici che si sono sostenuti a vicenda negli anni “difficili”. Spero questo capitolo ti sia piaciuto, alla prossima un bacio!
Sarugaki92: Grazie anche a te per i complimenti, non so proprio cos’altro dire in questi casi, anche a costo di sembrare banale^^’. Per Mimi e Matt, aspetta il prossimo capitolo ;)
Alla prossima, bacio!
 
Naturalmente ringrazio tutti i lettori e tutti quelli che l’hanno inserita nelle storie preferite ed in quelle seguite, grazie di cuore!
Inoltre vi ricordo la mia one-shot Like my fire decisamente più leggera di questa fan fiction e pubblicata qualche giorno fa in questa sezione.
Il prossimo capitolo non so quando potrò pubblicarlo. Uno dei due esami che sto preparando si avvicina e quindi ho sempre meno tempo a disposizione, spero di riuscirci entro martedì, altrimenti temo non prima della prossima settimana.
Un saluto a tutti,
Sabrina
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** capitolo undici. ***



 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Se guardandoti negli occhi
sapessi dirti basta
ti guarderei.

Se telefonando – Mina.
 
 
 
 
 
 
Tokyo Central Ospital.
Mimi era corsa sul tetto, dopo quell’incontro.
Tremava, ancora.
Quando aveva lasciato il piccolo Taichi con Izzy, lui non le aveva fatto nessuna domanda.
Aveva capito, solo guardandola, cos’era successo.
Aspirava irrequieta la nicotina dalla sigaretta, poggiata alla ringhiera coperta dalla tettoia, osservando la pioggia che lavava Tokyo.
Non doveva fumare, lo sapeva.
Fumare rovina la pelle ed i suoi denti perfetti signorina Tachikawa.
Rise tra se e se ricordando le parole del suo curatore d’immagine. Era cambiata molto negli ultimi cinque anni. Certo, solo chi la conosceva davvero poteva notare la differenza. Non era più capricciosa o la ragazzina abituata ad avere tutto e subito.
Il tempo l’aveva modellata in una nuova Mimi, con un passato da dimenticare.
-Non sapevo che adesso fumassi.-
La sigaretta le sfuggì dalle sottili dita, finendo sotto la pioggia. Non rispose.
La sua voce…aveva il potere di destabilizzarla anche a distanza di cinque anni.
Cominciò a sudare freddo, fissando prepotentemente davanti a sé ma senza osservare davvero qualcosa.
-Non sai molte cose di me, adesso- sibilò velenosa la ragazza.
Lo sentì sospirare. -Lo so-.
Passarono diversi minuti, immersi nel ticchettare prepotente delle gocce di pioggia. Mimi non si muoveva né aveva intenzione di girarsi.
Sapeva che quel momento sarebbe arrivato, lo sapeva fin da quando aveva accettato di tornare.
Ed ora doveva essere forte.
Doveva dimostrare a sé stessa di non essere più la capricciosa ed arrendevole ragazzina con la quale si era rapportato Matt.
Ora era una donna.
-Stai con Izzy?-
Sgranò gli occhi a quella domanda così diretta. Ignorò il suo cuore e si concentrò sulla rabbia che sentì montarle dentro poco alla volta.
Si voltò furiosa, stupendosi però di trovare Matt con il capo chino ed i pugni serrati lungo i fianchi.
Era…fragile.
-No!E mi chiedo per quale motivo t’interessi la mia vita privata!- sbraitò contro di lui, sentendo la mole di rancore e dolore che scalpitava chiedendo d’uscire.
Lo spinse con entrambe le mani, facendolo barcollare pericolosamente e lui alzò lo sguardo di ghiaccio su di lei.
Mimi era furiosa.
-Tu hai tradito la mia fiducia!Stavi per andare a letto con mia migliore amica approfittando della sua sbronza il giorno prima del suo matrimonio e della sua insicurezza!Perché sai che sarebbe successo se Tai non fosse arrivato!- gli rigettò contro tutti i suoi pensieri con il petto che violentemente si alzava ed abbassava assecondando il ritmo incessante del cuore.
Tuttavia, sentì gli occhi farsi lucidi.
Ma non doveva piangere. Non di nuovo, non davanti a lui.
-Mi odio profondamente, Mimi.-
La ragazza rimase colpita da quel sussurro. Ma la rabbia era ancora troppo forte per poterla sostituire con i sentimenti che aveva nascosto nel profondo.
-E’ il minimo che tu possa fare, Ischida.-
Matt si sentiva completamente impotente. Era come se stesse affogando circondato da una marea di gente senza nessuno desideroso d’aiutarlo.
-Mimi io non avevo capito quanto in realtà tenessi a te…-
Si fermò, guardandola con le pupille sgranate. Si portò la mano sulla guancia offesa, sentendola pulsare.
L’aveva appena schiaffeggiato…
-Non osare rifilarmi una cosa del genere, Matt. Non dopo cinque anni d’inferno che ho passato a causa tua. Tu non immagini cosa ho patito in tutto questo tempo…- si fermò, lasciando cadere la frase nel suono incessante della pioggia.- A causa tua non riuscivo più a fidarmi di nessuno!Se tu, il mio migliore amico, il mio primo vero ragazzo, mi avevi presa in giro, cosa avrebbero potuto farmi gli altri?Eh?Ti rendi conto adesso?-
Yamato non rispose.
Aveva ragione lei. L’aveva sempre saputo.
-Oh, senza contare che hai rovinato la vita al tuo migliore amico. Ma l’hai visto, Matt?Ti sembra forse Tai il ragazzo che ci siamo trovati di fronte ora?Rispondi!-
Il biondo sospirò, sentendo il cuore cadere a pezzi.- No, affatto. Hai ragione Mimi, sono stato un vero stronzo. Ho rovinato la vita a tutti voi e merito la vostra rabbia ed il vostro rancore. Specie il tuo.-
Mimi non riuscì più a frenare le lacrime.
Aveva ceduto.
-E sai perché mi odio anch’io?- sussurrò, abbassando il capo evitando così di guardarlo negli occhi.
Matt rimase in attesa, colpito da quel cambio repentino.
La sentì ridacchiare prima che alzasse nuovamente lo sguardo sul suo viso. - Perché nonostante il dolore che hai provocato a tutti noi, nonostante la delusione, non sono mai riuscita a dimenticarmi di te. E credimi, mi odio dal profondo del cuore per questo.-
Non riuscì a credere alle sue orecchie.
Dopo cinque anni, gli aveva confessato d’amarlo ancora. Nonostante tutto..
Mimi lo scostò con violenza precipitandosi all’interno dell’ospedale senza aggiungere altro.
Aveva confessato.
Non ce l’aveva fatta a mantenere il distacco e la freddezza che si era imposta. Non era servita a niente la distanza perché nel suo cuore sapeva che c’era una sola verità. E non sarebbe mai cambiata.
-Mimi aspetta!-
Sentì Yamato urlare concitato nella sua direzione e, nonostante ogni singola fibra del suo essere urlava, sbraitava di non fermarsi, ascoltò l’unica parte che le ordinava l’esatto contrario: il cuore.
Non si voltò.
-So che è tardi per le scuse. E’ tardi per dirti che ho sbagliato. Ma ho capito quanto in realtà ti amassi solo quando ti ho persa.-
Le lacrime di Mimi aumentarono,e scossa dai singhiozzi com’era voleva correre via il più presto possibile.
-E da quando l’ho capito è stata la mia unica certezza,- concluse Matt con un sussurro.
Alzò lo sguardo sulla figura minuta che gli dava le spalle e non poté fermarla quando la vide correre via.
 
 
 
 
 
 
 
 
Il sole si affacciava timido dietro la grande finestra della camera da letto di Tai Yagami.
Il ragazzo era sveglio da qualche minuto e, sollevato sul gomito e con il viso poggiato sulla mano, osserva Sora dormire.
Non riusciva a crederci.
Le scostò delicatamente i capelli che le coprivano in parte la guancia e la sentì mugolare nel sonno.
Sorrise.
Le carezzò delicatamente la guancia, chiudendo gli occhi.
Ispira, Tai.
Il suo profumo lo inebriava completamente. Non l’aveva mai dimenticato: la sua pelle fresca, con quell’odore di pesca…non era cambiata affatto.
Lentamente si alzò e si diresse in cucina per preparare la colazione.
Il giorno prima era stato a dir poco meraviglioso. Si erano ritrovati dopo tanto tempo ancora più innamorati, ancora più bisognosi l’uno dell’altro.
E con un figlio da crescere. Insieme.
Avevano parlato a lungo, di tutto e di niente, di quello che si erano persi ma soprattutto avevano parlato del piccolo Taichi.
Sora pianse quando gli raccontò di quanto gli somigliasse, di come nei suoi occhi spesso vedesse i suoi…di quando, presa dallo sconforto, si trovasse a piangere di nascosto.
Tai scoprì che suo figlio –gli faceva balzare il cuore in gola ogni volta che ci pensava- aveva ereditato da lui la passione per il calcio. E il cuore gli si riempì d’orgoglio.
Non vedeva l’ora di poterlo conoscere realmente, di poter recuperare tutto il tempo che aveva perso.
Poi beh…sorrise, pensando alla foga con la quale erano finiti sul letto.
Si erano amati, nuovamente. Con passione, con disperazione, con amore.
Sora aveva chiamato Mimi per chiederle di badare a Taichi per qualche ora ma poi si erano addormentati, stretti in un dolce abbraccio.
Non si sarebbero divisi mai più, pensò fermamente Tai mentre portava il vassoio con le tazze di caffè in camera.
Mai più.
-Tai…- Sora mormorò il suo nome con la voce ancora impastata, toccando la parte del letto accanto a lei, vuota.
La vide allarmarsi immediatamente e tirarsi a sedere, guardandosi intorno. Poi, non appena lo vide fermo davanti alla porta con il vassoio in mano, la sua espressione crucciata si distese in un sorriso.
-Non vado da nessuna parte-, le disse semplicemente ricambiando il suo radioso sorriso. Poggiò il vassoio sul comodino e si chinò a darle un lieve bacio.
Il cuore di entrambi martellava furiosamente.
Si può dimenticare il sapore delle labbra della persona che ami anche dopo tanto tempo?
E’ possibile cancellare via il ricordo dei momenti trascorsi, delle emozioni?
No.
Si allontanarono solo di qualche centimetro, per guardarsi negli occhi con tutto l’amore che avevano conservato in tutti quegli anni.
Non si può.
 
 
 
Lo puoi vedere anche nei film
che per amore non puoi morire,
ma puoi soffrire anche cent'anni
senza capire perché.

Gianni Morandi – L’amore ci cambia la vita
 
 
 
 
 
Mangiarono la colazione tra baci e sorrisi silenziosi.
Non c’era niente d’aggiungere a quel momento. Sora aveva chiamato Mimi ma, con gran sorpresa della ragazza, il telefono era spento.
Compose il numero di Izzy in fretta, preoccupata, ma il ragazzo la tranquillizzò assicurandole che il piccolo dormiva ancora e che si era comportato benissimo.
E aggiunse che Mimi aveva bisogno di lei.
-Ci sono problemi?- domandò Tai, scrutando la sua espressione crucciata non appena chiuse la chiamata.
-No…o almeno credo. Izzy ha detto che Mimi ha bisogno di me-.
Il ragazzo la guardò, carezzandole dolcemente una guancia.
Era ancora più morbida di quanto non ricordasse.
-Credo sia per via di Matt. Si saranno incontrati.-
Lo disse semplicemente, senza nessuna inclinazione strana nella voce, nessun tentennamento.
Ma Sora s’irrigidì ugualmente. Si sistemò in imbarazzo le coperte sulle gambe, mentre distoglieva lo sguardo.
Ma Tai le prese il viso con entrambe le mani, costringendola a guardarlo.- Anni fa, il mio orgoglio ferito mi ha impedito di perdonarti e d’andare avanti. Non farò più lo stesso errore Sora-.
-Tai io…- si ritrovò la gola secca. Non sapeva che dirgli. Un semplice mi dispiace sarebbe risultato solo banale.
-Shh…non dire niente ora. Non serve. Siamo insieme, siamo…- sorrise, prima di continuare- ..una famiglia. Non conta nient’altro.-
Lo abbracciò con tutta la forza che possedeva, circondandogli le spalle larghe ed affondando il viso nell’incavo della sua spalla.
-Ti va di conoscerlo?- gli chiese titubante.
Non sapeva ancora ben definire le emozioni che aveva visto passare negli occhi di Tai il giorno prima, quando parlavano di Taichi.
Ma la risposta che le diede quella mattina, cancellò ogni dubbio.
-Non aspetto altro di conoscere mio figlio, ora che ho riavuto te.-
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Eccomi qua!
Con più di un mese di ritardo, aggiungerete giustamente voi. Che dirvi, tra esami e ispirazione lontana non ho potuto fare di meglio.
La parte di Mimi e Yamato mi ha dato fin troppi problemi…non so come vi sembrerà, inutile dire che aspetto critiche e consigli!
Avevo detto che questo sarebbe stato il penultimo capitolo ma rettifico: credo lo sia il prossimo. Dunque in linea di massima e se non cambio nuovamente idea, vi aspettano ancora altri due capitoli!
Non mi resta che ringraziare martnyny, mijen(sono contenta che la storia ti piaccia e che tu l’abbia seguita!:D)Maximillian Granger, Selhin(Nuova lettrice anche tu, grazie mille per la recensione!Avevo gli occhi a cuore quando l’ho letta!).
E tutti quelli che l’hanno aggiunta nelle varie categorie(preferite,seguite,da ricordare)!Spero di leggere qualche vostra recensione, ad una povera scrittrice fa sempre piacere!
A presto, vi prometto di non farvi aspettare così tanto,
Sabrina
 




Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo dodici. ***


  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Il piccolo Taichi dormiva ancora quando Sora e Tai giunsero all’albergo di Izzy e Mimi.
L’aria frizzante dell’inverno si agitava per le strade, facendo stringere i passanti nei loro cappotti ed il sole faceva capolino con i suoi raggi -che tuttavia non riuscivano a riscaldare come avrebbero dovuto- dietro le nuvole cariche di neve.
Tai si fermò sulla soglia, stringendo con più forza la mano di Sora mentre Izzy li guardava con un sorriso.
-Ha il sonno lungo, eh?- sussurrò Izzy e Sora si ritrovò ad annuire, sentendo il cuore leggero ma completamente saturo di emozioni.
Emozioni forti, di quelle che ti lasciano a terra. Carezzò piano le dita di Tai strette tra le sue, mentre entravano lentamente nella stanza: era con lei. Di nuovo.
Tai senior aggirò il letto per sedersi sulla sponda dove il piccolo dormiva beato con i ciuffi castani che coprivano il volto, senza staccare gli occhi da lui.
Era come ipnotizzato.
Per la prima volta, dopo tutti quei giorni, si soffermava davvero a guardare quel bambino.
Lentamente avvicinò la mano a quel viso paffuto e delicatamente scostò la ciocca di capelli che gli coprivano il volto.
A quella scena Sora sentì scoppiarle il cuore.
Per quanto tempo l’aveva immaginata?
Da quanto sperava in un miracolo del genere?
Tai alzò gli occhi e le sorrise. Un sorriso dolce, colmo di parole non dette e di amore.
La ragazza si guardò intorno, vedendo Izzy che trafficava nella valigia alla ricerca di qualcosa.
Gli si avvicinò- Mimi dov’è?-
Lo sentì sospirare.- Nella hall.-
-Non l’abbiamo vista…- mormorò Sora, mettendo a fuoco l’ambiente visto qualche minuto prima.
-Forse non avete visto all’angolo bar-.
Duro, come una pietra.
La ragazza sobbalzò a quella frase.- All’angolo…-
Izzy si voltò e dopo aver scoccato un’occhiata a Tai che contemplava suo figlio, la prese delicatamente per un polso trascinandola in bagno.
Accostò la porta.
-Ieri ha incontrato Matt,- mormorò finalmente e la ragazza sbiancò- hanno parlato da quanto ho capito.
Diciamo che le cose non sono andate come Mimi sperava.-
-Che intendi Izzy?- chiese, poggiandosi al lavandino.
Il ragazzo si passò una mano tra i capelli corti.- Beh lei.. un po’ come te riguardo Tai credo, si è sempre sforzata di dimenticarlo. Io le sono stato vicino e credimi, non la riconoscevo più. Non mangiava né voleva parlare con nessuno i primi tempi dopo il trasferimento. L’aveva piegata in due.-
Sora tremò a quelle parole, sentendosi dannatamente in colpa.
L’aveva abbandonata.
Si erano abbandonate entrambe, chiudendosi nel proprio dolore.
-Naturalmente poi il primo ingaggio come modella l’ha salvata,- riprese Izzy – ma non l’ha mai dimenticato. Si era ripromessa però prima di tornare qui, che non l’avrebbe mai ammesso. Era convinta di tenergli testa, ma…-
-Ma non ce l’ha fatta,- concluse Sora. Infondo, nemmeno lei era riuscita ad arginare tutte le emozioni che l’avevano investita quando aveva rivisto Tai.
Izzy sospirò, tuttavia con un piccolo sorriso.- Già-.
-E se la conosco come credo, adesso si starà odiando a morte.-
Nuovamente, Izzy annuì.
-Vado a parlarle,- concluse la ragazza avviandosi verso la porta.
-No Sora aspetta,- la bloccò il ragazzo trovando il suo sguardo perplesso.- Di là c’è la tua famiglia. Il tuo posto è con loro.-
Sora si aprì in un radioso sorriso.- Ho una vita da trascorrere con loro. Adesso c’è la mia migliore amica che ha bisogno di me-.
 
 
 
 
 
La trovò seduta da sola ad un tavolino appartato, con una tazza da cappuccino vuota ed un bicchiere con un liquido incolore tra le mani sottili.
Lo girava e rigirava, senza berne nemmeno un sorso.
La sala era abbastanza piena: uomini d’affari in giacca e cravatta parlavano concitati tra loro oppure ad una auricolare discreta, coppiette si scambiavano effusioni dolci al di sopra di cornetti e caffè.
Sora ordinò un caffè ristretto al cameriere e si diresse verso la sua migliore amica.
Quando si sedette al tavolo Mimi sobbalzò, guardandola dritta negli occhi. Poi, sorridendo mesta, riabbassò il capo.- Izzy non riesce mai a tenera la bocca chiusa.-
Sora ridacchiò.- No, a quanto pare proprio non ci riesce.-
Mimi rialzò lo sguardo su di lei, scrutandola in silenzio.- Sei radiosa-, concluse semplicemente.- Allora, hai sistemato tutto con…?-
-Si-, annuì l’altra con gli occhi pieni di allegria.
Senza una parola Mimi si sbilanciò verso di lei abbracciandola. Senza parole, senza bisogno d’aggiungere altro.
Quando pochi minuti dopo si allontanarono, trovarono il cameriere imbarazzato che le guardava e dopo aver posato il caffè di Sora sul tavolo si allontanò immediatamente.
Rimasero in silenzio per un po’.
Sora girava il cucchiaino nella tazza e Mimi rigirava il bicchiere pieno di vodka tra le mani.
-Tu vai più sul forte- sentenziò Sora, accennando all’alcolico.
Non rispose.
-Mimi..- la richiamò dolcemente, sfiorandole una mano con la propria.
-Cosa vuoi sentirti dire Sora?- sbottò improvvisamente la modella, riavviandosi i capelli con la mano tremante.
Sora aggrottò le sopracciglia ma non disse niente.
Ora doveva ascoltarla.
-Che sono ancora innamorata di lui?Che non l’ho mai dimenticato in tutto questo tempo nonostante il male che mi ha fatto?Si, è vero. Lo amo ancora- concluse la ragazza scuotendo il capo e sentendo improvvisamente qualcosa premere dietro le palpebre.- E gliel’ho anche detto.-
Sora sgranò gli occhi. Allora era vero, aveva confessato davanti a lui.
-Cosa..cosa ha dett..- mormorò incerta poi, ma Mimi la interruppe.
Alzò le spalle.- Che ha scoperto d’amarmi. Buffo, eh?Se n’è accorto adesso dopo cinque anni-.
Sora sorrise. Inconsciamente, ma lo fece.
Era convinta di questo.
Nessuno poteva dividere loro due, nemmeno il passato, nemmeno il tempo.
Proprio come lei e Tai.
Sentì un fremito nel pensare a lui, che ora era di sopra con loro figlio.
Arginò quei pensieri e si concentrò sulla sua migliore amica, che ora ingoiava un sorso di vodka e quasi contemporaneamente una lacrima solitaria scendeva dall’occhio destro.
-Mimi non devi sopprimere niente di tutto questo. Non puoi, semplicemente. Ed odiarti non è la soluzione-.
La vide tremare e pensò di non averla mai vista in quello stato.
-Il perdono non è facile..-
-Io ricordo quando me lo disse. Non ci credevo…non volevo crederci…non con te..- disse Mimi, ormai tra i singhiozzi.
Qualche altro cliente del bar si voltò verso di loro ma non ci fecero caso.
-T..tu eri incinta e..e stavi per sposarti..l..lui diceva di amarmi ed invece…-
-Mimi devi dimenticare queste cose. Se vogliamo ricominciare dobbiamo cancellare tutto il male che ci ha distrutte.-
Mimi allora sollevò lo sguardo offuscato su di lei.- Tu ci sei riuscita perché Tai ti ha sempre amata…sempre, lo sappiamo entrambe.- Tirò su col naso, tamponando il mascara che colato con un tovagliolino.- Ma Matt…mi ha tradita. Ha tradito la mia fiducia, il mio amore..-
Sora sospirò. Aveva ragione.
Anche se non avevano consumato, l’intenzione di Matt era stata chiara a tutti.
Il dolore, l’orgoglio…avevano portato alla divisione delle loro strade.
-Lo ami come dici?-
Mimi strabuzzò gli occhi a quella domanda. Era l’ultima che si aspettava.
-S..si, certo.-
La vide sorridere, mentre rispondeva.- Allora vai da lui. Digli tutto questo, digli tutto Mimi. Nell’amore ci vuole coraggio e bisogna dimenticare l’orgoglio. Non è facile dimenticare, non lo è mai..- sospirò Sora, massaggiandosi le tempie, come a ricordare il suo di dolore,- ma bisogna volere ardentemente per ottenere la felicità che in cuor nostro ci auguriamo. Volere semplicemente non basta.*-
Mimi non rispose.
Si limitò a fissarla in silenzio, soppesando ogni parola che l’amica le aveva detto.
Aveva già rimesso tutto in gioco quando si era decisa a tornare in Giappone, infondo.
Non avrebbe più avuto un’altra occasione, lo sapeva bene.
Poteva continuare a piangere nel suo letto, a sognarlo, a ricordare ogni momento insieme oppure…
Fu un istante: si alzò, afferrò la borsetta e dopo aver mormorato nell’orecchio di Sora un grazie, fuggì via.
 
 
 
 
Si può piangere per tante cose.
Una canzone, un film, un ricordo, un’emozione.
I sogni fanno piangere.
I sogni che si realizzano fanno piangere di più.
Sora guardava suo figlio e Tai che parlavano allegramente.
Ferma sulla soglia della camera si asciugò lentamente le due lacrime che erano sfuggite al suo controllo con la manica del maglione.
I due non si erano nemmeno accorti di lei. Tai senior gli scompigliava i capelli ed il bambino era come ipnotizzato sentendolo parlare di calcio e del suo passato da attaccante provetto.
Poco più tardi erano tutti e tre nella solita caffetteria, a sorseggiare cioccolata calda.
O meglio, il piccolo ne ingurgitava in quantità industriali mentre i genitori lo guardavano in silenzio.
Tai carezzava lentamente il dorso della mano di Sora.
Il piccolo Taichi alzò il capo dal tazzone, guardando le mani intrecciate di sua madre e quel nuovo amico.
Gli stava simpatico. Molto.
Era decisamente più allegro di Yamato.
-Tai..- lo richiamò, con la vocina bassa, tipico di quando stava per chiedere qualcosa che lo imbarazzava. Ed era tutto dire, vista la sua sfacciataggine.
Suo padre lo guardava incuriosito e con un sorriso dolce che nascondeva molto più di quello che il bambino riusciva a cogliere.
-Dimmi, Taichi.-
-Tu e la mamma vi volete bene?- riuscì infine a chiedere il piccolo.
Tai e Sora si guardarono per un attimo. Sora rigirava il tazzone tra le mani in difficoltà. Sapeva che il momento di dover affrontare il tutto sarebbe arrivato, ma non pensava così presto.
Come l’avrebbe presa Taichi?Avrebbe accettato Tai come suo padre?
Fu l’affermazione di Tai a distoglierla dai suoi pensieri.
Si era alzato in piedi e tendeva una mano al piccolo.- Andiamo campione, facciamo una passeggiata tra maschi.-
Il bimbo subito scattò in piedi, contento di quella proposta- vista la sua indole dinamica-.
E così, dopo aver afferrato cappotto e sciarpe sparirono oltre la porta del locale.
Tai sorrise a Sora prima di uscire e lei, come sempre del resto, si fidava completamente di lui.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Molto probabilmente non riceverò nessuna recensione e credo di meritarmelo..Sono imperdonabile, lo so!
Mesi di ritardo nonostante le 6 bellissime recensioni ricevute lo scorso capitolo..beh, in questo non c’è nessun colpo di scena ma nel prossimo si.
E’ agli sgoccioli davvero,proprio non mi decido a finirla questa fan fiction =.=
Che altro dirvi se non..alla prossima e ingenuamente,spero di sentirvi!
Sabrina

 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo tredici ***


  
 
 
Nota: questo capitolo va a tutte voi che leggerete e che avete continuato a credere in questa storia nonostante i ritardi. Grazie di cuore!
 
 
 
 
 
 
 
~
 
 
 
 
 
 
Mimi correva.
Sperava di trovarlo ancora in camera sua visto che solitamente era già in ospedale fin dall’inizio dell’orario di visita.
Non pensava.
Non pensava a niente in quel momento. Rivedeva il loro primo bacio, tanti anni prima.
Un bacio allo stesso tempo deciso ed impacciato. Rivedeva lui che le carezzava i capelli prima di impossessarsi delle sue labbra.
Quando l’aveva portata in quel bar ad ascoltare un suonatore d’armonica.
Rivedeva loro e rivoleva tutto indietro.
Ma una volta arrivata davanti alla sua porta tutta la sua sicurezza vacillò pericolosamente.
Alle immagini felici si sostituirono quelle tragiche di quando le confessava di desiderare la sua migliore amica, di come avesse rovinato tutto in un’unica serata.
Matt la trovò impalata e con lo sguardo vacuo quando aprì la porta con indosso cappotto e sciarpa pronto ad uscire.
Si fissarono.
Occhi dentro occhi.
Poi Mimi si riscosse da quell’effetto che le pozze di ghiaccio di lui le facevano e si voltò decisa ad andarsene.
Ma la ferrea presa di Yamato le bloccò il polso.
-Vai già via?- le mormorò, rimanendo immobile alle sue spalle.
-Non sarei dovuta venire…- sussurrò la ragazza quasi a se stessa.
Tentò di divincolarsi ma con scarsi risultati. La mano di Matt non intendeva lasciare la presa.
-Perché sei venuta qui stamattina?-
-Lasciami Ishida- rispose glaciale lei, tentando d’ignorare il battito del suo cuore e tutte le mille sensazioni che solo quel tocco le stava dando.
-Perché sei venuta qui, Mimi?- ripeté il ragazzo, tradendo un tono che non era più deciso.
Yamato stava sperando.
Aveva aperto la porta e l’aveva vista lì, indifesa, con lo sguardo perso identico a quando si erano visti per l’ultima volta.
E non l’avrebbe lasciata andare via senza una risposta.
-Ho detto lasciami!-
Urlò.
Meccanismo di difesa.
Lui allentò di poco la presa a quella reazione e la ragazza ne approfittò. Tuttavia non fece un passo. Rimase ferma, dandogli le spalle.
Una lacrima sfuggì ai suoi occhi ma subito la spazzò via con la mano.
Ora o mai più.
-Mi ami sul serio, Ishida?-
Involontariamente, Matt fece un passo verso lei per poi tornare al posto di prima.
Abbassò il capo, giocando con le chiavi che aveva in mano.
La sentì voltarsi per guardarlo.
-Allora?Eri sincero?-
Le trema la voce…pensò il biondo, alzando il capo.
Erano lì, l’uno davanti all’altro con i loro sentimenti in mano.
Bastava un passo in avanti e tutto sarebbe tornato come prima.
Bastava un passo falso e tutto sarebbe stato distrutto.
-Non sono mai stato così sincero in vita mia, Mimi- disse piantando gli occhi color ghiaccio nei suoi.
E Mimi tremò.
Tremò a quelle parole, a quello che comportavano. Tremò per la consapevolezza che il muro che aveva eretto si era sgretolato non appena l’aveva rivisto in quello spoglio corridoio d’ospedale.
E dall’effetto che le faceva il suo nome pronunciato da lui.
-E allora non lasciarmi più…- singhiozzò non riuscendo a bloccare due lacrime solitarie.
Un tonfo, le chiavi che Yamato aveva in mano caddero a terra mentre lui annullava completamente la distanza tra loro.
Le premette le mani sulle guance e con i pollici cercava di asciugare le lacrime che ora la ragazza non riusciva più a controllare.
Poi l’abbracciò stretta. Mimi si aggrappò con tutte le sue forze a lui, piantando le unghie nella sua schiena.
-Non farmi più passare l’inferno…m-mai più..- continuava a singhiozzare con il capo poggiato nell’incavo tra collo e spalla, con la fronte solleticata dai capelli biondi del ragazzo.
-Shh… non lo farò Mimi..non sarò più così stupido…- replicò lui, carezzandole i capelli.
Forse davvero tutto stava tornando come prima.
Forse alla fine è vero che i sentimenti non muoiono.
Forse, anche a distanza di anni, due persone possono accorgersi che nonostante tutto il dolore, vale la pena credere ancora nell’amore.
Forse in due è più facile raccogliere i cocci di un passato da ricostruire.
 
 
 
 
 
 
 
Le nuvole si stavano diradando poco a poco sospinte dal vento, lasciando al timido ma imponente Sole campo libero.
L’inverno tuttavia regnava ancora padrone. Le panchine del parco erano quasi tutte libere visto che la gente preferiva rintanarsi al caldo in qualche bar piuttosto che gelare a causa del vento spinoso.
Nonostante quest’ultimo però, due passanti camminavano mano nella mano e sembravano non curarsene affatto.
Il viale ciottoloso del parco che circondava il bar dal quale erano appena usciti si snodava attraverso gli alberi spogli e gelidi sui quali qualche uccellino avventuriero si posava per qualche istante.
A guardarli da lontano la somiglianza era abbagliante, nonostante i centimetri d’altezza fossero così diversi così come la differenza d’età.
Taichi senior camminava con passo cadenzato, stringendo forte nel suo grande palmo la mano piccola e paffuta, protetta dal guanto rosso fuoco, di Taichi junior.
Di suo figlio.
Due settimane prima si sarebbe fatto una grassa risata se qualcuno gli avesse raccontato tutta la situazione. E forse magari si sarebbe scolato anche una bottiglia di vodka per rimuovere la possibilità del tutto dalla sua mente.
Ma adesso era diverso. Adesso tutto quello che aveva da sempre e segretamente sperato era realtà.
Stava pensando e ripensando sul come cominciare il discorso con il piccolo Taichi ma la verità era che non lo sapeva nemmeno lui.
Quel bambino aveva vissuto per cinque anni senza un padre al suo fianco che gli insegnasse a tirare in porta, che lo accompagnasse agli allenamenti pronto a tifare per lui.
Ed adesso da un giorno all’altro, se lo sarebbe ritrovato nella sua vita.
Come avrebbe reagito?
Abbassò lo sguardo castano su di lui e lo vide intento a guardarsi intorno con gli occhi vispi identici a quelli di Sora.
I capelli ribelli che erano una fotocopia di quelli suoi.
Sorrise, una punta di malinconia sul suo volto.
Si sarebbe per sempre colpevolizzato del fatto di non essere presente alla sua nascita. Per Sora doveva essere stato terribile affrontare tutto da sola.
Strinse più forte la sua mano attorno a quella del bambino attirando la sua attenzione.
-Tai cosa c’è?Sei triste?- gli chiese innocentemente con lo sguardo crucciato.- Se sei triste possiamo tornare da mamma…-
Tai si fermò e si piegò sulle ginocchia per arrivare faccia a faccia con il piccolo.- Non sono triste piccola peste,- rispose scompigliando ancora di più i suoi capelli castano scuro- ma sai, devo parlarti di una cosa. Una cosa important…-
Il bimbo s’illuminò tutto.- Riguarda te e la mamma?Voi due vi volete bene?Verrai a Londra con noi?Quand…-
E fu vedere l’innocenza, la genuinità dipinta sul viso di Taichi che lo fece scoppiare a ridere. Lo sollevò da terra e lo prese in braccio non perdendo il sorriso.
Il bimbo lo guardava senza capire.
Ma Tai senior rivedeva in lui se stesso, era come un ritorno al passato in presa diretta.
Si accomodò sulla prima panchina libera con Taichi ancora sulle gambe che lo guardava attento.
Sapeva che le risposte stavano arrivando.
-Si, io e la mamma ci vogliamo molto bene. La vita degli adulti non è sempre facile Taichi. Molte volte anche se due persone si vogliono bene sono costrette a separarsi..-
-E perché?- intervenne il piccolo, con lo sguardo orripilato.- Non è giusto!-
Suo padre sospirò.- No, non lo è. Ma a volte succede. Sai però..nel caso di me e tua madre le cose si sono risolte infatti adesso siamo di nuovo insieme- concluse con un sorriso, vedendo che anche l’altro sorrideva.
-Adesso starai sempre con noi?- mormorò il bambino, guardandolo attraverso le ciglia folte e scure, timoroso.
Sempre con noi…
-Si Taichi-.
Il bambino cominciò ad agitare le braccia contento.- Così adesso la mamma forse non piangerà più da sola!- esclamò facendo venire inconsciamente un colpo al cuore a suo padre.
Chiuse gli occhi, abbracciandolo.
Avrebbe recuperato tutto il tempo perduto con Sora e quello che non aveva mai avuto con quel bambino, sangue del suo sangue, frutto del loro amore.
-Non è tutto..- continuò Tai, e Taichi junior lo guardò attento.- Vedi, io e la mamma ci vogliamo bene già da tanto tempo anche se in questi anni non siamo stati insieme.-
Il piccolo pendeva dalle sue labbra.
Era totalmente rapito da Tai.
Forse inconsciamente già conosceva la verità, perché si sa che i bambini capiscono molto più di quanto non facciano vedere.
Tai fece un grosso sospiro prima di continuare. Lo guardò fisso negli occhi, carezzandogli una guancia. - Taichi, io sono il tuo papà.-
Il bambino rimase immobile. Poi con entrambe le mani gli tirò entrambe le guance.
-Taichi!- esclamò Tai del tutto sorpreso da quella reazione.
-E’ vero?- domandò il piccolo, allentando la presa e guardandolo crucciato.- Mi prendi in giro signor Tai?-
Signor Tai..
-No Taichi, no..- rispose lui, guardandolo con dolcezza.
Una dolcezza che solo un padre può provare.
-Quindi tu mi vuoi bene?- chiese ancora, guardandolo.
L’innocenza dei bambini.
A volte non ci rendiamo conto ti quanto in realtà arrivino al punto della situazione senza sforzo alcuno.
-Si. E ne voglio un sacco anche alla mamma.-
-Ma voi non siete sposati!-
Tai senior ridacchiò.
Quel bambino era troppo sveglio. Decisamente quel tratto l’aveva ereditato da Sora.
-Hai altri problemi a parte questo?-
Tai junior sembrò pensarci su. Poi, inaspettatamente, sorrise, mostrando i denti da latte ed alcuni spazi vuoti.- No. Mi piaci come papà!- esclamò sicuro ma mentre il padre si sporgeva verso di lui per abbracciarlo, il piccolo lo fermò puntando il dito contro il suo volto.- Però se ci lasci soli a me e mamma ti prenderò a calci!-
E allora Tai si lasciò andare ad una fragorosa risata, rivedendo in suo figlio il tratto della sua personalità che più amava: il coraggio.
 
 
Poco più distante Sora, seminascosta dietro un albero li osservava con un sorriso stampato il volto e un enorme macigno in meno sullo stomaco.
Non si curava di tamponare le lacrime.
Tai alzò lo sguardo proprio in quel momento.
Si fissarono da lontano, mentre suo figlio gli si aggrappava al collo con forza.
Un futuro davanti a loro che aspettava solo di essere vissuto.
 
 
 
Qualche kilometro più distante.
-Hikari cosa vuoi dirmi?-
Takeru la fissava, seduto sulla sponda del suo letto. Lui era completamente guarito, non lo avevano ancora dimesso solo per concludere i soliti accertamenti.
Kari aveva le flebo attaccate e richiedeva maggior controllo.
Soprattutto per il miracolo che portava in grembo.
Il feto non aveva subito danni. I medici, come appunto le avevano detto, parlavano quasi di miracolo.
Hikari gli sorrise, con il suo modo dolce di sempre. Non disse niente, si limitò solo a prendergli una mano e a posarla sul suo ventre, ancora quasi piatto.
Tk aggrottò le sopracciglia, non capendo.- Kari..-
-Shh…- lo zittì lei, non riuscendo a nascondere una piccola risata nel vederlo così confuso.
Con la mano di Takeru sul suo ventre e la sua su quella di lui, lo guardò negli occhi.
Quegli occhi azzurri che aveva amato fin dai tempi della scuola elementare e che ora erano solo suoi.
-Qui dentro, Tk, batte il cuore di nostro figlio-.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ebbene,
credo che gli insulti si sprechino per questo ritardo. Sono passati circa 7 mesi dall’ultimo aggiornamento(imperdonabile davvero).
Ahimè, ogni volta che aprivo Word mi si bloccava il cervello e alla fine lo richiudevo sconsolata. Solo recentemente, complice la pausa estiva dall’Università, ho ripreso in mano questa storia.
Vi avviso che questonon è l’ultimo capitolo ma da un lato è come se lo fosse. Il prossimo infatti sarà l’epilogo, ambientato qualche tempo dopo questo che tirerà(finalmente direte voi) le fila conclusive di tutta la vicenda. E’ già in fase di scrittura, quindi vi avviso che prima del 20(spero molto prima ma su questo non posso assicurarvi nulla) sarà online.
Spero di non avervi deluso: ho cercato di descrivere al meglio le emozioni dei nostri protagonisti. Ci sono andata con i piedi di piombo sia sulla scena delicatissima dei “due Taichi” sia su quella Mimi/Yamato visto che era la prima volta che trattavo direttamente una scena del genere con questi due personaggi. Inutile dire che aspetto i vostri pareri ed io sarò felice di rispondervi!
Un grandissimo abbraccio a tutte/i voi,
Sabrina

 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Epilogo. ***


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Epilogo.
 
 
 
~         
 
 
Un mese dopo.
 
 
                                                               ♬Cousteau - The Last Good Day Of The Year♪
 
 
 
Che strana cosa l’ultimo giorno dell’anno.
Se ci fermiamo un attimo a rifletterci su, arriviamo all’ovvia conclusione che in realtà non esiste.
Non c’è nessuna fine e nessun inizio reale, nessun nuovo giro di corsa o cambiamento imminente che non sia un numero in più sul calendario.
Pura convenzione che ci fa credere di poter quantificare il tempo, inamovibile padrone delle nostre piccole vite.
La neve aveva ricoperto le strade di Tokyo ed il quartiere di Odaiba non era sfuggito al suo tocco candido. Alcuni ragazzi per strada, ebbri di gioventù e probabilmente anche di alcool, ridevano e si abbracciavano a vicenda sulla soglia di un rinomato locale.
Luci di qualsiasi colore in lampadine di qualsiasi forma illuminavano l’intera strada donandole un tocco magico.
Era tutto quello che ci si aspettava dalla notte del 31 Dicembre.
La caffetteria all’angolo del parco di Odaiba era quasi vuota, quella sera.*
Nessuna folla all’ingresso, nessuna calca per accaparrarsi i posti al bancone. Le persone presenti nell’accogliente locale si potevano contare sulle dita di due mani: nove.
Il più piccolo di loro, - cinque, arruffatissimi anni- in quel momento era intento a cercare di mandar giù in un solo boccone un enorme pezzo di panettone, scatenando l’ilarità della sua copia più grande seduta proprio davanti a lui.
Tai senior osservava suo figlio con un’espressione ebete in faccia che, a detta di Matt, aveva solo quando fissava Sora.
Izzy era al bancone, un bicchiere di liquido ambrato frizzantino tra le dita e un sorrisone a trentadue denti mentre parlava con una ragazza bionda che aveva invitato lì con loro quella sera.
In realtà era stata la ragazza con l’abito rosso -che era felicemente cullata dalle braccia di Yamato in quel momento-, a convincerlo a farsi avanti: alla fine l’informatico aveva ceduto e aveva invitato Yuuki, che per l’appunto era la receptionist del loro albergo, a quella serata speciale.
Perché lo era davvero speciale.
Avevano chiesto Yuri, il paffuto proprietario, quel favore speciale: avere la caffetteria tutta per loro almeno per una sera.
Era stato talmente felice della loro proposta nonché della loro riappacificazione che non aveva lasciato a Taichi nemmeno il tempo di completare la frase.
In quel mese di tempo tutti i tasselli lentamente erano andati a posto: Mimi e Yamato erano più affiatati che mai, Tk toccava in continuazione il pancione –ancora pressoché invisibile- di Kari, che puntualmente sorrideva dolce come solo lei sapeva fare e Tai e Sora…
Beh, avevano un componente in più nella loro ormai non più coppia.
Un componente energico che pendeva letteralmente dalle labbra del padre.
-Taichi puoi anche mangiarlo un po’ per volta, non scappa mica dal piatto!- Sora riprese suo figlio che era lì lì per strozzarsi.
Tai senior le lanciò un’occhiata divertita che lei colse al volo.
Déjà vu, ecco cosa sembrava.
La donna si avvicinò a quello che adesso era più che mai il suo compagno mantenendo l’espressione sorniona. Gli arrivò alle spalle e si abbassò all’altezza del suo orecchio.
-Almeno da me ha preso l’interesse per lo studio.-
Taichi si lasciò andare ad una grossa risata, prima di afferrarle la mano e baciarne il dorso.- Tranquilla, grazie a me non gli servirà visto che diventerà un giocatore di calcio professionista- mormorò, facendole scuotere la testa.
Ad un tavolo più distante, Mimi osservava la scena sognante. Ritmicamente carezzava il palmo della mano di Yamato, impegnato in una conversazione con suo fratello e la sua futura cognata.
Era talmente assorta che non si accorse che il biondo aveva smesso di parlare e la stava fissando da alcuni minuti.
-Sono stupendi insieme-, ammise, e la modella annuì voltandosi verso di lui.
-E’ una scena che da tanto tempo avevo sognato di vedere…- sospirò lei.
Yamato posò un bacio tra i suoi capelli.- Lo so-.
 
 
Erano tutti lì, gli occhi pieni di promesse e speranze e finalmente senza nessun peso da ingoiare in silenzio ogni giorno.
-Ragazzi, è quasi mezzanotte!- esclamò Izzy, osservando il suo orologio da polso.
-Dai, prendiamo tutti i calici!- incalzò Tai, prendendone uno per lui e porgendo a Sora uno identico mentre al piccolo Taichi allungò un bicchiere colmo di un analcolico.
-A cosa brindiamo?- sorrise Mimi, quando furono tutti in cerchio.
Matt si schiarì la voce.- Innanzitutto, brinderei al piccolo o alla piccola che tra qualche mese sarà qui con noi…- e si voltò verso suo fratello e Hikari che gli sorrise riconoscente.
-Grazie, Yamato – rispose, per poi scorrere il suo sguardo su tutti gli altri. –Volevo…dire due parole..- mormorò, ma Tk si accorse che stava per emozionarsi e le posò una mano sulla spalla, facendole capire che avrebbe continuato lui al posto suo sapendo bene ciò che la sua compagna avrebbe voluto dire.
-Quello che Hikari vorrebbe dire è che…il regalo più grande per noi due è avervi di nuovo tutti qui con noi.- Fece una pausa per poi riprendere con un sorriso enorme,- la cosa che vogliamo dire è che siamo contenti che nostro figlio potrà contare su una famiglia come la nostra, ecco tutto-.
Sora e Mimi corsero ad abbracciare i prossimi genitori, mentre Tai senior si voltava con discrezione per nascondere gli occhi lucidi.
Si sentì toccare una spalla e riconobbe la testa bionda di Yamato.-Emozionato a diventare zio?-
Tai lo guardò, un sorriso mesto dipinto in volto.- Papà, zio.. ormai sono circondato dai marmocchi-.
Yamato ghignò.- Non penso ti dia fastidio o sbaglio?- osservò, indicando con il capo il piccolo Taichi che toccava la pancia di Hikari esclamando di voler subito conoscere suo cugino.
Chissà perché era convinto fosse un maschio.
-No,- rispose Tai deciso, -non mi dispiace affatto-.
Il sorriso del biondo si allargò di più, prima che questi abbassasse il capo con fare mesto.- Tai, senti..-
-Ehi,- lo fermò quest’ultimo, posandogli una mano sul braccio.- Non c’è bisogno di dire più niente.-
E senza aggiungere altro lo abbracciò.
Lo abbracciò stretto così come si riabbraccia un migliore amico dopo anni, quando capisci che a prescindere da tutto, andare avanti e ricominciare è possibile.
Yamato ricambiò la stretta con forza mentre finalmente entrambi si lasciavano andare ad un sorriso sincero dopo anni per entrambi.
Poco più in là, Sora e Mimi li guardavano complici.
-Dovremmo preoccuparci?- disse la prima.
-Mhh, non lo so. A me sembrano due amanti, più che due amici…- mormorò Mimi, fingendosi pensierosa.
-La vendetta sarà spietata, giusto?- continuò Sora, alzando il calice verso la sua sorella di sempre.
Mimi fece tintinnare il suo con un’occhiolino- Ovviamente!-.
 
 
E così, con una felicità ritrovata ed un futuro roseo da scrivere a più mani, salutarono il nuovo anno.
Un inizio, simbolico, verso la loro nuova avventura.
Insieme.
 
 
 
 
 
 
                                                                                             The End.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
*Ho usato la stessa frase dell’inizio della storia, capitolo 1.
Insomma, eccoci qua.
Avevo pensato di farvi un regalo di Natale ma ahimè, non ce l’ho fatta.  E quindi eccovi qui l’ultimo capitolo di questa storia che si chiude insieme al 2011.
Ringrazio davvero tutti voi per la pazienza che avete dimostrato per tutti i miei ritardi(^^’) e per l’affetto con cui avete seguito le vicende di questi poveri digiprescelti.
Vi avevo promesso l’happy ending stavolta et voilà!
Un ringraziamento particolare a chi ha recensito lo scorso capitolo ovvero coco1994, Narniana95, Sarugaki145, milichituli, martnyny, an1m3(alla quale dico..Joe avevo da subito pensato di non inserirlo..sinceramente me ne sono pentita, ma ormai la storia era già avviata. Mi rifarò!)
Spero di non avere deluso nessuno per questo finale e che valga l’attesa.
Che altro dirvi se non GRAZIE e BUON ANNO A TUTTI VOI!
A presto(nuova fan fiction in corso!),

Sabrina.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=264844