Impariamo a bastarci, impariamo ad amarci.

di _eutevivo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Troppe partenze. ***
Capitolo 2: *** Allenamenti, amici e ossa. ***
Capitolo 3: *** Sempre 'mbecille resti. ***



Capitolo 1
*** Troppe partenze. ***


Troppe partenze.

Sono le otto del mattino a Roma e mia madre già urla come una dannata, cosa c’avrà da urlare a prima mattina non lo so.
Oggi, prenderò il mio primo aereo, andrò in Brasile, a Rio. Voi direte “Ma non sei contenta? Non sembra!”
No, non sono contenta, anche a me sarebbe piaciuto farci una vacanza, ma poi sarei voluta tornare a casa e invece no… rimarrò lì per molto, con mio fratello Thiago e mio padre, nemmeno lo  ricordo quanto tempo sia  passato dall’ultima volta che ho visto entrambi, ero piccina, avevo otto anni e quel che ricordo è che sono stata chiusa nella mia cameretta rosa di Barbie fino a che non sono spariti da lì, mia madre però continua a vivere mio fratello tramite i giornali, internet e le sue mille odiosissime pubblicità. Mio fratello… Thiago, è un calciatore, di quelli importanti ed è andato via da qui anche per questo, in realtà è andato via da qui solo per questo, i miei hanno divorziato poco dopo e così mio padre l’ha seguito essendo anche lui brasiliano, sì, qui siamo tutti brasiliani anche se in realtà io il Brasile neanche me lo ricordo, ero troppo piccola quando sono arrivata a Roma e conosco meglio l’italiano che il portoghese, così come mio fratello sono stata adottata. Siamo stati adottati entrambi, lo stesso giorno, dalla stessa famiglia, una famiglia di brasiliani che però erano qui da molto, capaci di darci tutto l’affetto del mondo…  ma poi sono arrivati i problemi e alla fine io mi sono trovata a Roma con mia madre, Luisa, e Thiago è andato via seguito da papà, Adriano.

Questa storia la sanno tutti ma io fingo di ignorarla perchè mi da tremendamente fastidio e così tranne i professori di scuola e forse qualcuno che lo sa “per sentito dire” ignoro la faccenda, voglio dire a chi importa di una diciasettenne quando per sbaglio nomina Thiago da Silva Santos?
A nessuno, ve lo dico io. Ai ragazzi iniziano a brillare gli occhi e alle ragazze partono gli ormoni, allora stai zitta e fai meglio.
Il mio aereo partirà alle tre del pomeriggio e arriverà chissà quando a destinazione, scenderò nella parte riservata, circondata dai fotografi perchè ovviamente il compito di venirmi a prendere è stato affidato a mio fratello.
-Mà?-
-Sì, meu amor?-

Mia madre mescola ancora un po’ di portoghese quando parla e a volte qui faticano a capirla.
-Sei pronta? Io sì, andiamo?- Sono veramente nervosa, ieri ho salutato tutti e non sono mancate le lacrime, promesse, ci vederemo, ci sentiremo, già so come finisce ma ho lasciato fare.
-Sì, chiamo Thiago e andiamo! Nervosa?-
Rido nervosamente e prendo le valigie, gli occhiali da sole e le sigarette, dall’ansia di stamattina nel pacchetto ne sono rimaste tre.
Mia madre sa di questo vizio e ha provato a farmi smettere ma non ci è riuscita e ci ha rinunciato.
Terminata la chiamata, prende la macchina e ci dirgiamo all’aereoporto sono già l’una e mezza, in macchina mia madre non fa che parlare di quanto sia bello il Brasile, di quanto sia bella Rio, di mio fratello, del mare, che mi troverò bene e mi farò tanti amici… a me gira solo la testa.
Dopo estenuanti controlli sono su quest’aereo e fra dieci minuti sono arrivata, mia madre stava per piangere, mi ha stretto forte come quando ero bambina e io quasi non volevo più partire ma fare i capricci non serve a nulla.
Arrivata a destinazione, attraverso un lungo corridoio e migliaia di fotografi scattano ovunque, al mio fianco c’è Thiago che mi ha sorriso appena scesa da lì e mi ha accompagnato alla macchina, e che macchina! Una Porsche Panamera grigia che Dio solo sa quanto costa. In macchina cala il silenzio fino a che il mio telefono squilla, Thiago è prudente quando guida e ogni tanto gira lo sguardo verso di me. E’ davvero bello, la carangione scura, gli orecchini di brillanti, il sorriso candido e gli occhi verdi, sembra uguale a molti anni fa, solo un po’ cresciuto.
-Mà?-
Sorride lui, io sono davvero stanca.
-Tesoro, sei arrivata? Come stai?-
Dall’altro capo del telefono mia madre sembra davvero raggiante.
-Stanca-
-Ah, ti chiamo dopo?-
-Sì, ci sentiamo domani, mà, ti voglio bene- Sbadiglio e lui sorride ancora, cosa c’avrà da sorridere?
-Anche io, meu amor, a domani-
Metto giù e Thiago entra in un cancello gigante, in una casa gigante, con una piscina gigante, è tutto gigante, Dio.
Parcheggia e prende le valigie, portandole su con un gesto rapido, sono alquanto confusa… dov’è papà?
Sembra strano che una come me, non riesca a parlare, mi viene così difficile anche solo aprire bocca, sembra uno sconosciuto eppure io so che lui è mio fratello.
-Ehm…- tossisco - ...Ehm, scusa, Thiago ma p-papà?- Si volta di scatto e mi guarda, poi scoppia a ridere.
-Non ti mangio mica eh, papà è a casa sua, tu starai qui, noi non viviamo più insieme, sei sotto la mia tutela.-
Incurvo un sopracciglio confusa mentre con le dita rigiro le lunghe ciocche nocciola.
-Ah ok.- Esco fuori una grande terrazza e mi accendo l’ultima sigaretta della serata e fa anche freddo qui, mi raggiunge Thiago che mi poggia la sua felpa sulle spalle, mi giro e gli sorrido.
Restiamo a fissarci per dieci minuti senza dire nulla, è assurdo non riconoscersi più.
-Mamma lo sa che fumi?- continua a fissarmi con le sue iridi verde smeraldo, hanno tante piccole increspature d’oro, sono degli occhi bellissimi.
-S-sì, lo sa, sei tu che non sai nulla di me, notte.-
Deluso? Dispiaciuto? E chi lo sa, io mi sono già stancata di stare qui.
Butto via la cicca e vado via.
-Ciao stellina, notte.-
Stellina, così mi chiamava da piccola. Colpo basso.
-’Mbecille.-

Se saranno così queste bellissime serate, non oso immaginare la mia vita qui. 
 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Allenamenti, amici e ossa. ***


Allenamenti, amici e ossa.

Dopo una fantastica notte fra singhiozzi e fazzolettini, posso dire che è un buongiorno.
Dalla mia fantastica camera, mi costa ammetterlo ma è bellissima, entrano tanta luce e in casa c’è tanto silenzio.
Sul tavolo del salone c’è un bigliettino di Thiago:
“Sono andato agli allenamenti, torno alle dodici.”
Bene, sono le undici, quindi, fra un po’ arriverà. Devo ammettere che sebbene non riesco ad avere una conversazione sensata e che vada oltre dieci parole con lui, saperlo in casa mi tranquillizza, insomma, non è casa mia e da sola non mi va di uscire, non saprei nemmeno dove andare.
So che siamo a Rio, fine, questa è la mia conoscenza del Brasile.
Dopo essermi lavata ed aver indossato uno short grigio e una canotta bianca inizio a svuotare le valigie, ne sono tre e non basterà un giorno solo.
Dopo mezz’ora suona la porta e non entra solo Thiago ma anche altri cinque ragazzi che fanno sorrisi e occhiolini. Tutti con la stessa divisa, la stessa borsa degli allenamenti e tutti veramente belli, io non posso stare in questa casa se la situazione è questa, i miei ormoni impazziranno!

-Bea, loro sono: Andres, Luca, Joao, David e Salvador.- Cordialmente mi salutano tutti con un bacio sulla guancia e Luca mi fa posto accanto a lui, in realtà anche Thiago me l’aveva fatto un po’ di posto ma non gliela do la soddisfazione di sedermi accanto a lui, eh no.
-Beh, mangiate qui?-
-No- risponde David, dobbiamo andare a casa -sai cucinare bene?- sorride allegramente mentre io scuoto la testa.
-Nono, a casa cucinava mia madre, avremmo ordinato delle pizze!- Sono davvero in imbarazzo, avranno pensato la classica viziata che non sa nemmeno cucinare a diciasette anni. Ebbene sì, non sono viziata ma in casa mia hanno sempre fatto tutto Olga, la domestica, e mia madre, non è colpa mia.
-Allora, salgo su, ciao, è stato un piacere!- saluto velocemente e salgo in camera mia, finendo il lavoro che avevo iniziato. Dalle scale sento varii commenti su di me ed a ogni commento mio fratello sbuffa sempre più forte.
-E’ mia sorella Luca, permettiti e finisce male.-
-Oh, calma, stavo scherzando eh.-
Ehm… ok.
Dopo un paio ore, Thiago bussa in camera e senza nemmeno darmi il tempo di rispondere entra, mettendosi a sedere di fronte a me, ci separa una valigia.
-Hai fame?- chiede cordialmente mentre io piego e spiego magliette.
-No, tu?-
-Ho mangiato con loro prima di venire, perchè non hai fame? Sei magrissima.-
sorride osservando quanto io davvero sia magra, la verità è che questo è stato un anno difficile, sono finita in ospedale varie volte per degli svenimenti e anche in un centro riabilitativo per i disturbi alimentari, ora sto meglio ma non mangio comunque molto…
-Perchè non ho fame, posso non averla?- sorride e mi carezza una mano.
-Sei sicura? Non mangi da ieri mattina… so cucinare, non ti avveleno giuro!- abbozzo un sorriso, non so se mia madre gli ha raccontato tutta questa storia, non lo voglio sapere e tanto meno non voglio raccontargliela io.
-No, Thiago, davvero.- Si alza e si avvicina alla porta ma dalle mia labbra, ancor prima che io possa farci caso esce un flebile “Grazie…”
Sorride con gli occhi e le labbra carnose si stendono in un sorriso, poi sparisce dietro la porta.
Inizio a credere che forse qualcosa debba cambiare, ormai viviamo insieme e io sono sotto la sua tutela ma lui mi ha abbandonato, eravamo piccoli, doveva restare e invece no, mi ha lasciato tra una madre e un padre in guerra fino a trascinarmi anche a me in questa “guerra”, solo che io ho combattuto con me stessa.
Mio padre è andato via e allora sono iniziati i casini.
Dopo una breve chiacchierata con mia madre (che se la passa davvero bene) mi stendo sul letto lentamente, quando mangi poco sei sempre stanca e ti trovi a riposare ogni quattro ore.
Ogni volta che mi stendo ho la strana abitudine di contare le ossa delle costole, sono ventiquattro, lo so, ma stare lì a contarle mi fa stare bene, sono molto sporgenti e in realtà si riesce a sentirne meno di ventiquattro ma credo che sia un ossessione che mi porto dietro da bambina, l’ho sempre fatto, prima mi si vedevano poco e dovevo scavare nella pancia per sentire, a Thiago invece mi ricordo che si sentivano bene, è davvero magro, ora poi anche muscoloso per via del suo lavoro. Ad ogni modo questa piccola ossessione mi permette di chiudere gli occhi ogni sera e così mi addormento a pancia in sù, con le lenzuola posate sul mio ventre piatto.

Alle nove circa mi sono svegliata intorpidita, avrò dormito in una posizione sbagliata e così dopo aver passato un’ora a letto mi sono alzata lentamente andando in cucina per cercare qualcosa da mangiare, prima o poi avrei dovuto ingerire qualcosa.
Nella grande cucina che è collegata da un mezzo muro al salotto vedo Thiago che vede la tv in un portoghese parlato così velocemente da essere incomprensibile per me.
Prendo una mela e mi siedo affianco a lui, cerco di capire cosa dice questo programma ma riesco a capire: cucina, comprare, soldi, firma. Cosa ci trovi di divertente? Non saprei.
-Hey-
-Hey Bea- mi risponde distrattamente e poi torna a guardare la tv, dopo pochi secondi si rigira, fissa la mela e poi sorride, ritorna a guardare la tv.
Inarco un sopracciglio e lascio correre. Continuo a fissare lo schermo apaticamente fino a che gli occhi non mi si chiudono lentamente, trovo riposo sulle gambe di Thiago che mi carezza dolcemente i capelli.

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Capitolo 3
*** Sempre 'mbecille resti. ***


Sempre 'mbecille resti.

Mi sono trovata nel mio letto, ancora vestita come ieri e sembro una superstite a non so quale guerra. Stamattina Thiago mi porta da nostro padre, non sono davvero così entusiasta di andarlo a trovare ma mi tocca e Thiago ha detto che dopo andremo in barca!

Il fatto è che io cerco di sforzarmi, cerco di andargli vicino ma m’imbarazza, non sembra mio fratello, quando è andato via sono diventata “figlia unica” e allora il solo andargli vicino mi manda in panico, sia chiaro: ho avuto esperienze con altri ragazzi, sono abbastanza sveglia ma lui… non lo so, è mio fratello ma contemporaneamente uno dei calciatori più bellli e tra l’altro il ragazzo che mi ha vista crescere, o almeno fino ad otto anni.
Ad ogni modo in macchina non c’è lo stesso silenzio tombale di qualche giorno prima anzi…
-Ce l’hai il ragazzo Bea?- mentre si aggiusta gli occhiali sul naso dice così, buttandola lì come se fosse una cosa da niente.
-Eh?- sbotto, arrosso di colpo, sento il sangue affluire nelle guance.
Ride -Sì, il ragazzo. Che c’è di male?-
Faccio silenzio, ma cosa gli devo dire? Certo che ce l’ho avuto, ho diciasette anni.
-Allora no.-
Perchè ho detto “no”? Devo imparare a tenere la lingua a freno.
Si gira e mi fissa attentamente, io faccio altrettanto. Una cosa che ho imparato col tempo è reggere lo sguardo, di chiunque, non importa chi sia, nessuno è tanto importante da indurti ad abbassare gli occhi verso il basso, nessuno.
-Nemmeno un bacio?-
Questa volta rifletto attentamente prima di dare la mia risp…
-No.- Io non posso dirgli sì, ma che vergogna, solo al pensiero arrossisco. Non oso chiedergli se lui ha dato un bacio a qualcuna, se è stato fidanzato, come se poi nemmeno lo sapessi.
Sorride e ritorna con lo sguardo sulla strada mentre entriamo in un vialetto, pieno di case tutte uguali, parcheggia lì e rimane fermo, mi fa segno di scendere.
-Eh? E tu?-
-Io l’ho visto due mesi fa, non ho bisogno di rivederlo.-

Ah, e io? Cosa avrei da condividere con un uomo che è andato via, di cui nemmeno ricordo l’aspetto. Mi faccio forza e scendo dall’auto, voltandomi ogni quattro passi verso l’auto ma trovando sfortunatamente un Thiago molto immerso in un demenziale gioco per Iphone.
Scorro fra i citifoni fino a che non trovo “Santos Ribeiro”, il mio cognome e un altro mai sentito prima. Non sento spesso la mancanza di mio padre, non ho nemmeno mai sentito la mancanza di una presenza maschile in casa, devo essere sincera, mia madre mi ha fatto da madre e da padre, da migliore amica e mai da “nemica”... spesso cerchiamo semplicemente di allontanare chi vuole il meglio per noi.
Al citofono risponde una voce femminile, giovane, fresca, potrebbe essere una diciasettenne proprio come me, appena pronuncio il mio cognome apre senza indugiare, sa chi sono?
Ma mio padre sa che io sarei tornata lì? Che dal cielo di Roma, dai Parioli sarei tornata a Rio?
C’è chi la chiama rivincita: dalle favelas ai Parioli e da lì ad una mega villa. Io la chiamo semplicemente fortuna, essere scelti fra centinaia di bambini provenienti da baracche e palloni sgonfi è solamente fortuna, il resto è solamente un dono di Dio…. la bravura di mio fratello, una madre presente, tanti amici.
Mentre attraverso il lungo corridoio che collega alla porta di casa un buon odore mi attraversa le narici, sto bene, non l’avrei mai detto. Mi precede una donna che mi invita cortesemente dentro dal suonare il campanello.
-Tuo padre dorme, sei Beatriz vero?- è davvero cordiale da parte sua mostrarsi gentile, ma chi è? La compagna? La figlia? Un’altra?
-Sì e tu? Chi sei?-
-Piacere, Rosa, la sua fidanzata.-
Annuisco e le porgo la mano, qui nel salutare qualcuno sono sempre molto espansivi, baci, strette calorose, abbracci ma io di questo posto ricordo ben poco e queste cose le ho imparate da mia madre e da: “Viaggio in Brasile, costumi, tradizioni e cucina.” Come se il mio fosse un viaggio e poi sono poco espansiva, questo è il minimo, con tutto il rispetto.
Stringe confusa e mi fa strada, tra le foto appese su queste pareti, tra paesaggi del mondo e vecchie foto di famiglia (presumo) ci sono due foto mie e di Thiago, in una spinge il carrozzino dove all’interno ci sono io e in un’altra mangiamo il gelato sul divano.
Rimango estasiata dalla bellezza della semplicità, sì, non sapevo di aver vissuto questi momenti in tutta sincerità.
Mi metto a sedere nella loro cucina, è piccola e accogliente, probabilmente lo sfarzo e il lusso non fa per loro, dopo pochi minuti mi raggiunge mio padre, è invecchiato, qualche ruga in viso ma è sempre uguale.
-Papà!-
-Bambolina! Sei bellissima!- mi stringe forte a se mentre mi fa piroettare per la stanza, mio padre è sempre stato un uomo affettuoso -Come stai? Thiago?-
Sospiro -Bene, non la sapevo questa storia che la tutela fosse data a lui, comunque a me sembra che viva bene qui!- Annuisce e poi batte le mani come un bimbo.
-Non riesco a credere che tu sia qui! E tu come stai?-
-Io bene, da Roma a Rio eh… ma andrà meglio.-
-Hai preso peso? E i tranquillanti? I fianchi?-
Sospiro abbassando lo sguardo, la pressione che mi fanno è assurda…
-Sìsì, ho preso due kili ora peso 45kg, i tranquillanti… li ho buttati e fianchi, beh, cicatrizzeranno…-
In verità i tranquillanti li ho in borsa, non li uso più ma li tengo in caso possano serivire e i fianchi potranno anche cictrizzare ma i segni continueranno ad esserci.
Mio padre è commosso, mi stringe forte.
-Te lo meriti, bambina mia, te lo meriti.-
Ricambio la sua stretta, abbandonandomi al suo affetto, quest’uomo è andato via da mia madre, è vero, ma ora ama questa vita e il modo in cui guarda questa donna è stupendo, guardava così mia madre quando io ero piccina e quindi sono contenta per loro… non so cosa sia l’amore, ho diciasette anni e le mie relazioni sono durate tre mesi, quattro se vogliamo esagerare.
Dopo aver conversato con mio padre sulla scuola, su questo posto, su Thiago, su Roma, sono già le dodici e così mi accompagnano alla porta entrambi, Rosa è molto simpatica, devo ammetterlo, è di buona compagnia e poi è giovane. Saluto velocemente e inizio a percorrere il corridoio di casa loro mentre sento la porta richiudermi alle spalle.
Arrivata alla macchina, busso contro il finestrino per farmi aprire e così ci dirigiamo verso il porto.
-Com’è andata? Simpatica Rosa?-
-Sìsì, tu cos’hai fatto?-
-Ho giocato ad un gioco per sto coso, mi si è scaricato.- Rido di gusto.
-E’ così importante?-
-Sì, ne ho bisogno.-
-Ah allora…- Faccio un gesto teatrale con la mano e ride.
Siamo sulla superstrada che collega al porto, Rio è bellissima, il mare, i grattacieli, il Cristo, Ipanema, è stupenda, stupenda e le favelas… pensare che anche io sono nata lì, è assurdo, sento di essere destinata a questo posto, sebbene è come se lo vedessi per la prima volta.
La voce di mio fratello mi distrae dai miei pensieri, -Ti piace?-
-...Molto.-
Arrivati al porto, dopo molti controlli, strette di mano e sorrisi fra potenti, mi fa salire su questa barca, che barca non è, Thiago ci ha pensato subito a correggermi: -E’ uno yacht.-
Capirai, è bellissimo uguale, mette in moto e il vento inizia ad accerezzarmi il viso.
Rimango in canotta e shorts fino a che Thiago non rimane in costume, bello come un Dio, intanto io mi sento sempre più piccina in confronto a lui.
Decido di entrare dentro e inizio a spogliarmi lentamente. L’immagine allo specchio mi lascia delusa, è ancora troppo poco ma può bastare per ora.
Un costume giallo su una pelle dorata come la mia, che non è ancora abbronzata, dice mia madre: E’ un dono di Dio! Io la penso diversamente, sono poco più chiara di Thiago e molto più scura per una che viveva in Europa.
Esco lentamente da lì dirigendomi verso Thiago che guarda il mare, perso in chissà quali pensieri -Eccomi…- Si gira estasiato, neanche avesse visto Adriana Lima (e forse l’avrà davvero vista qualche volta ma lascio correre…) -Sei bellissima stellina.-
Sorrido imbarazzata, la voce con cui l’ha detto mi ha provocato un turbine di sensazioni dentro, è così calda, bassa, che nemmeno io so descriverla.
Non mi consolano questi sensazioni, sono nuove e non ho intenzione di sperimentarle con mio fratello, questo è certo, mi consola, e consola anche lui, che essere chiamata stellina non mi da noia ma l’imbecille se lo prende comunque, non mi ero mai sentita così attratta verso qualcuno e lui non può giocare così… con la sua bellezza, ci rimetterò io.
-Sempre mbecille resti-
Ride e mi tiene stretta.

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