Sussurri dal Registro di Classe

di Sherlocked_96
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1


«Prof Jérome, posso chiederti una cosa?»
«Ai professori si dà del “lei”. Cosa c’è?»
«Come vuoi… no, vuole, già, vuole, uhm. Non ho capito nulla su questa cosa dei prodotti notevoli»
«E tu saresti al terzo anno? Non puoi chiedermelo ricreazione? O durante la lezione? Adesso devo tornare a casa»
«C’è chi l’aspetta, prof?»
«Non dovrebbero essere affari tuoi. E comunque sì, quindi non posso tardare»
«È sposato?»
«Smettila con queste domande. Mi stai facendo perdere l’autobus. A domani, Daniel»
«A domani, prof!»
L’insegnante si allontanò dalla scuola e dallo studente riccioluto che lo stava importunando, avviandosi velocemente verso la fermata del bus. In quei giorni d’autunno Parigi era sferzata dai primi freddi venti taglienti, che tanto si divertivano a scompigliare i suoi capelli ingrigiti.
La città correva veloce oltre i finestrini dell’autobus. Il professore scese alla quarta fermata, proprio davanti ad un palazzino di periferia giallognolo. Sospirò, salendo fino al terzo piano con la scricchiolante ascensore.
La porta dell’appartamento si aprì accondiscendente.
Una donna dai lunghi capelli neri sorseggiava un caffè seduta al tavolino della cucina.
«Bentornato, Jérome. Giornata di merda anche oggi?»
«Non ho mai sostenuto di passare “giornate di merda”, Cendrine»
«È sottinteso. Allora, qualche studente ha fatto il coglione?»
«Modera il linguaggio, sorellina»
«In casa mia parlo come mi pare. Ti ricordo che ti sto ospitando »
«Solo fino a che non avrò trovato un appartamento»
«Tutte scuse».
L’uomo si gettò a peso morto sulla sedia davanti a quella della sorella e con un unico gesto si tolse gli occhiali rettangolari, che precipitarono sul tavolo.
«Su, che ti è capitato oggi?» domandò nuovamente Cendrine
«Bah… ho l’impressione di far lezione a un branco di idioti. Oggi un mio studente mi ha chiesto dei prodotti notevoli. I prodotti notevoli, capisci! È al terzo anno: potrebbe fare le elementari. Eppure dovrei star insegnando in un college*!»
«Che melodrammatico»
«Melodrammatico, dici?» Jérome osservò con occhi azzurri e spenti la finestra appannata. Aveva cominciato a piovere. «Quanto ti devo d’affitto?»
La sorella lo scrutò per qualche secondo.
«Lascia perdere stavolta. Cerca una casa. E trovati una ragazza. Hai 41 anni, non resterai giovane per sempre!»
«No, io…»
«No che cosa?»
«Davvero, non…»
«Muovi quelle chiappe flaccide e impegnati, su!»
«Cendrine, non m’interessa! Sono passati solo due anni da Anne e François!» Aveva alzato la voce, ma non se ne era reso conto. Prese un profondo respiro. «Scusa, non dovevo urlare. So che stai solo cercando di aiutarmi».
Cendrine tacque. Poi di scatto si alzò e, uscendo, disse solo: «Non puoi nasconderti dietro i fantasmi per sempre».
E l’insegnante rimase solo nel piccolo appartamento. Gettò uno sguardo alla montagna di compiti di matematica da correggere. Con rassegnazione rinfoderò gli occhiali e sfoderò la penna rossa.
Si svegliò alle 17 a causa di un fastidioso ticchettio, con il naso incollato a un prodotto notevole errato. Inclinò la testa verso la finestra, grattandosi la barbetta rada. Un ragazzino di colore sui dieci anni era come al solito dietro la porta-finestra del soggiorno, sulla scala antincendio.
«Claude! Quante volte ti ho detto di non venire qui?!» esclamò l’insegnate aprendo la porta-finestra.
«Grazie prof. Cominciava a far freddo»
«Non sono un tuo docente»
«Ma appena avrò l’età verrò a studiare da te, alla tua scuola»
«Non credo proprio, i tuoi ti manderanno a un istituto professionale»
«Questo lo dici tu. E io voglio essere tuo alunno, tu sei un grande»
«Lo dici solo perché ti do i biscotti. Comunque, seriamente, non devi più scendere in questo modo. Non vivrò da mia sorella per sempre. Pensa a cosa direbbe, trovandoti là, appiccicato al vetro!»
«Risalirei in fretta»
«Potrebbe denunciarti»
«Che scocciatura, si vede proprio che sei un prof»
«Siediti e taci»
«Appunto»
Jérome si passò una mano davanti agli occhi.
«Senti, Claude, tu mi sei simpatico. Ma devo correggere i compiti di tre classi. Quindi, o ti siedi e stai buono, o te ne vai»
«Va bene, va bene, mi siedo»
Obbediente, il bambino si accovacciò sul divano, mentre l’insegnante riprendeva a correggere i prodotti notevoli.
Ce ne fosse stato uno tra quegli idioti dei suoi studenti che avesse capito! Se era quella l’intelligenza media dei ragazzi, c’era davvero da preoccuparsi per le generazioni future.
«Se sei ingegnere, perché insegni matematica?» chiese Claude dopo un po’
«Non ti avevo detto di stare in silenzio?»
«Mi annoio»
«Come fai a sapere che sono ingegnere?»
«Me lo hai detto tu»
Jérome lanciò un’occhiata distratta al compito che aveva tra le mani, praticamente lasciato in bianco. Lentamente lo posò, si tolse gli occhiali e si andò a sedere davanti a Claude.
«Insegno matematica perché se quei caproni dei miei studenti non capiscono i prodotti notevoli, figurati se riuscirebbero a calcolare le migliorie nel guadagno apportabili ad un’utenza mediante cogeneratore o fotovoltaico. E fra l’altro ho una laurea in matematica»
«Quindi non sei un bravo ingegnere»
L’insegnante sgranò gli occhi.
«Perché non dovrei esserlo?»
«Perché altrimenti non saresti un prof»
«Sei un ragazzino sveglio. Comunque, a me piace insegnare»
«Perché?»
«Perché mi dà speranza».

Il giorno seguente il cortile era freddo. Jèrome era arrivato in quella scuola da appena tre settimane e ancora non riusciva a comprendere appieno l’ambiente e gli studenti, ma cominciavano pian piano ad essergli familiari.
L’edificio scolastico era estremamente elegante se confrontato a quello di periferia dove insegnava precedentemente. E lui si sentiva fuori luogo in mezzo ai colleghi con giacca, cravatta e ventiquattrore, mentre lui aveva i capelli perennemente arruffati, vestiti trasandati e gli occhiali storti sul naso fino.
Gli studenti sembravano tutti uguali con quelle monotone divise grigie e blu, ma lui sapeva che ognuno di loro era distante interi universi dal compagno vicino a lui, nonostante fossero vestiti allo stesso modo, avvero entrambi i capelli bruni e quell’aria distante.
Forse era la lontananza dal mondo reale che lo portava ad apprezzare alcuni suoi alunni, perché come loro si sentiva: lontano, irraggiungibile.
Controllò l’orario: in prima ora doveva far lezione in VII D. Non era andato molte volte in quella classe, ed era quella che sentiva più ostile al “nuovo prof di matematica”.   
Entrò a scuola, salì due rampe di scale e stava per svoltare nel corridoio della sezione D, quando sentì tre ragazze parlottare e ridacchiare dietro l’angolo.
«…no, cioè, davvero?»
«Sì sì, ti giuro, mi ha chiesto di uscire, ed è così carino!»
«Beata te!»

Stava per intimare loro di tornare in classe, quando qualcosa lo fece inchiodare sul posto.
«Invece, avete presente il nuovo prof di matematica?»
«Jérome Mereu?»

«Sì, lui. Mi è arrivata una voce che dice che prima aveva una moglie e tipo un figlio…»
«E ch’è successo? Ha divorziato?»
«No no: sono morti
– le altre due trattennero il fiato – In un incidente d’auto. E guidava lui! C’è chi dice che li abbia voluti ammazzare di proposito»
«No, non ci credo!»

«È incredibile!»
A pochi passi dalle tre, a un angolo di distanza, il professor Jérome si tappava la bocca con una mano tremante. Aveva ripreso ad insegnare, aveva cambiato città, scuola, eppure niente era bastato.
Prese un profondo respiro e tentò di ignorare il cuore che gli martellava nelle orecchie. Fece qualche passo indietro e ripartì spedito camminando il più rumorosamente possibile. Svoltato l’angolo vide le tre ragazzine che ancora parlottavano vicino alla cattedra della bidella lasciata vagante. Fingendosi stupito, intimò: «Cosa fate qui? Tornate subito in classe!»
«Scusi, professore!» squittì una, e subito tutte e tre corsero spaventate nella IV D.
Ottimo, si erano in qualche modo convinte che fosse un assassino. Ma non era quello il suo problema principale. Doveva riuscire a mantenere la sua integrità professionale, e la voce sul suo passato non si doveva diffondere assolutamente.
Con la fronte corrugata, entrò nella VII D. Gli studenti erano nel bel mezzo di una battaglia all’ultimo sangue con la carta straccia.  
«Se qualcuno se ne fosse accorto, anche per sbaglio, sono entrato in classe» disse dopo un po’, tra il caos generale. La confusione si placò e tutti si ricomposero fra le ultime risate.
«Ma bravi. E sareste al settimo anno, eh? Non vi tormenterò anch’io con la storia del “prossimo anno avrete gli esami”, perché so che non serve a niente e comunque alcuni di voi verranno sicuramente bocciati»
«È incoraggiante prof!» gridò una ragazza all’ultimò banco ridacchiando.
«Incredibilmente. Fate i bravi bambini, dai. Lasciatemi spiegare queste due cavolate così poi vi lascio tranquilli»
Il programma ricevette guaiti d’approvazione e, in un silenzio quasi fantascientifico, riuscì a spiegare.
«Sono rimasti dieci minuti. Come vi avevo promesso, vi lascio liberi, ma non fate confusione» disse a fine lezione.
«Lei è un grande, prof!» esclamò un ragazzino lentigginoso.
Jérome osservò con passivo distacco i suoi alunni alzarsi e accendere i cellulari. In quel momento, anche il suo vibrò. Inarcò un sopracciglio: che fosse sua sorella?

08 ottobre 12:13
Ciao Jérome, sono Amélie, la bibliotecaria della scuola. Ti andrebbe di pranzare insieme, domani?  

Questo sicuramente non se lo aspettava. Soppesò il telefonino da una mano all’altra, indeciso.
Poi, avvenne un’altra cosa che non si sarebbe mai aspettato: un ragazzo alto e bruno, Henri, si staccò dal branco di adolescenti per avvicinarsi a lui.
«Come sta, professore?»
«Non credo di potermi lamentare. C’è qualcosa che posso fare per te, Henri? Vuoi un chiarimento su qualcosa?»
«No, lo sa che non ho problemi in matematica. Volevo parlarle»
Il professore lo scrutò, indeciso se sorridere o mostrarsi perplesso. Alla fine posò il cellulare sulla cattedra e incrociò le braccia al petto.
«Sentiamo, allora, cos’ha da dirmi un diciassettenne che in questo momento dovrebbe soltanto star cazzeggiando con i suoi coetanei?»
Le labbra sottili di Henri si inclinarono in un sorriso che illuminò il suo volto pallido per un momento e subito sparì.
«Volevo sapere se erano vere le voci sul suo conto»
«Voci?» Jérome si fece rigido, mentre qualcosa di molto simile al panico gli montava nel petto.
«Sì, sa: quelle secondo cui ha fatto uccidere sua moglie e suo figlio».
Non era sicuramente un buon modo per cominciare un anno scolastico.
  

*Tipi di scuole francesi che racchiudono l’equivalente di medie e liceo italiani.

NOTE DELL’AUTRICE
Buongiorno, o buonasera, o buon qualsiasi altro momento del giorno abbiate letto questo primo capitolo.
Spero che vi sia piaciuta, è la prima storia originale che pubblico qui su efp,ho già tutta la trama in mente e se volete che cominci ad aggiornare regolarmente fatemelo sapere, altrimenti credo che lascerò questa storia nel dimenticatoio. Sappiate comunque che in questo periodo non potrò essere troppo regolare negli aggiornamenti, causa esami ._. (salvatemi please).
Comunque, sono ben accette critiche e consigli, questa è una storia senza pretese ma comunque ci tengo abbastanza, quindi fatemi sapere  =)
 
 
 


       

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2


«Professor Jérome, a cosa si deve quest’improvvisa richiesta di colloquio? Sarebbe il momento del pranzo…»
«Sì signor preside, mi dispiace davvero ostacolare la sua sopravvivenza, ma c’è una questione che desideravo ardentemente venisse sottoposta alla sua attenzione…»
«Troppi paroloni, può rivolgersi alla mia segretaria per faccende burocratiche!»
«Ma questa è una faccenda di ordine personale!»
Il preside Jean Canfin prese un profondo respiro per mantenere il controllo con quel dannato insegnante che, nonostante fosse appena arrivato, aveva già iniziato a dare problemi.
«Cosa c’è di così grave, insomma?»
Jérome fissò sbalordito il grasso omone in giacca e cravatta seduto dietro la cattedra verso la quale stava gesticolando da minuti. Quasi si era scordato cosa doveva dire.
«Sì, ecco. Vede, credo che lei sia a conoscenza di, insomma… della mia vita passata prima di venire ad insegnare qui, giusto?»
«Uh uh. Abbastanza deprimente, se lo lasci dire. Perfetta storia per un romanzetto d’appendice»
«…In ogni caso, sebbene io ignori come sia potuto succedere, alcuni studenti ne sono venuti a conoscenza. C’è qualcun altro che lei sappia che avrebbe potuto divulgare l’informazione?»
«Come siamo formali. Be’, sa, questa è una scuola. Le voci girano come niente. Qualcuno l’avrà scoperto in qualche modo e, insomma, immagino sia ovvio, lo sono venuti a sapere tutti. Davvero credeva che non sarebbe stato sgamato? Mi faccia il piacere e impari a conviverci, oppure vada da un bravo psicologo che la convinca ad ignorare i ragazzini coglioni che le fanno domande»
«Ma cos… Aspetti, preside, lei…»
«Io cosa? Cosa vuole che faccia? Che espella tutti quelli che nominano la cosa? Ci ritroveremmo con il college vuoto in un paio di giorni. Lasci in pace questo Henri qualcosa»
«Ma come, i…»
«Arrivederci, professore Jérome!»
E con queste parole il preside congedò definitivamente l’insegnante, che si ritrovò in corridoio prima che potesse accorgersene, travolto dalla fiumana di studenti impazienti di terminare la giornata scolastica al suono della campanella.
Tra quel fiumare di gente, Henri Léman attendeva paziente seduto fuori dall’ufficio del preside.
«È riuscito a farmi sospendere?»
«Purtroppo no. Su, alzati e segui quest’orda di adolescenti fuori dalla scuola»
Ubbidiente, lo studente si alzò e si unì alla folla verso l’uscita, ma qualcosa lo fece tornare indietro. Camminò controcorrente fino all’insegnante dallo sguardo spento che si stava allontanando dal lato opposto.  
«Professore!» chiamò, mentre alcuni ragazzoni dell’ultimo anno creavano una muraglia insuperabile per lo stretto corridoio.
Jérome, dopo un primo sussulto di stupore, girò la testa e, assottigliando gli occhi in mancanza di occhiali, notò con un certa fatica il profilo alto e magro di Henri sgusciare scompigliato tra due giganti dell’ottavo anno.
Guardò perplesso lo studente rialzarsi e passarsi una mano tra i capelli per riordinarli.
«Professore, volevo chiederle scusa. Non avrei dovuto farle una domanda del genere. Ma è importante che lei non si faccia impressionare da noi studenti»
«Importante?»
Dove voleva andare a parare Henri?
«A domani, professore»
Rapidamente lo studente si lasciò trascinare dalla folla fino all’uscita, lasciando Jérome solo con i suoi pensieri.

«Giornata di…»
«Dannazione, Cendrine, non sono giornate di merda!»
«Va bene, va bene, rilassati però, eh» esclamò la sorella alzando le braccia in segno di resa mentre il fratello si sedeva con rassegnazione.
«Però oggi sento che ti è successo qualcosa»
«Cendrine…» intimò Jérome sbuffando
«Sei di cattivo umore, hai quelle buffa piega in mezzo alla fronte solo quando sei confuso. E non si deve ignorare l’intuito. Ti è capitato qualcosa di sicuro»
L’insegnante restò in silenzio per alcuni istanti.
«Vedi… si è diffusa la voce su Anne e François» spiegò piano.
«Uhm. In effetti capisco che tu sia turbato…»
«Ma la cosa strana» la interruppe Jérome con un sorriso privo d’allegria «è che non mi dà affatto fastidio. Non ricordo neanche più le loro voci, non ci riesco. Ma non voglio che le loro vite vengano sintetizzate in un tentativo di nascondere le loro morti»
«Jérome, devi…»
«Tentare di andare avanti, sì. Ma non posso. Ci penso ogni giorno. Ogni mattina, ogni sera. L’altro ieri ho visto un negozio di modellini d’aeroplani e ho pensato di doverlo dire a François. Io non…» si fermò. Non aveva voglia di andare oltre.
I silenzio era pesante in quella piccola cucina.
«Quindi, sicuro di essere preoccupato per questo?» Cendrine non era convinta.
L’insegnante esitò.
«Be’, ho… quasi fatto sospendere un mio alunno per questa storia»
«Non sentirti in colpa, questi stronzetti devono imparare un po’ di rispetto»
«Mi ha chiesto scusa»
«E ci mancherebbe pure! Già maleducati sono questi caproni, se poi…»
«Henri va molto bene a matematica, è il primo della sua classe, forse dell’intero settimo anno, e non dubito che riuscirebbe a dare ripetizioni a quelli dell’ottavo»
«Uh, ma allora è di questo che si tratta»
Jérome si ricompose perplesso sulla sedia «Di cosa?»
«Che il tuo cocchetto ti ha in qualche modo tradito»
«Ma co… no, assolutamente, non faccio preferenze tra studenti»
«Invece sì, e lo sai benissimo»
«Ma ho fatto solo un paio di lezioni nella classe di Henri!»
«Ti ha colpito subito, infatti. E sei turbato perché ha tentato di stabilire un rapporto più profondo con te chiedendoti del tuo passato»
«Non è vero…»
«Si che lo è!»
«Per l’amor del cielo, sembriamo rimasti a trent’anni fa quando litigavamo per avere ragione!»
«E se ricordi bene, avevo sempre ragione io, alla fine»
«Perché eri prepotente»
Cendrine lo guardò incrociare le braccia divertita.
«Comunque, ho studiato psicologia, fidati, funziona così»
«Non ho molta fiducia negli psicologi. Sono ridicoli quanto i preti, se non di più»
«Certo, a te piacciono solo le cose concrete, somme, divisioni! Anche studiare la mente può portare a risultati precisi»
Jérome non sembrava convinto, pareva molto interessato al pavimento, che continuava a fissare, ma il suo sguardo era lontanissimo.
«In ogni caso, dai a questo ragazzo la possibilità di avvicinarsi a te, magari ti farà bene»
L’insegnante alzò gli occhi, ancora spaesato «Dici, eh?».

I corridoi erano pieni di gente durante l’intervallo. Jérome doveva entrare all’ora successiva, quindi non aveva classi da sorvegliare. Ma per qualche sfortunato motivo era arrivato in anticipo e doveva subirne le conseguenze: schiamazzi e grida adolescenziali ovunque andasse.
Trovò rifugio e silenzio solo nella biblioteca, ma ciò presentava un altro inconveniente.
«Jèrome!» lo raggiunse la voce allegra della bibliotecaria appena entrò.
«Amélie, buongiorno, scusa se non ti ho risposto ieri, dovevo risolvere una faccenda di carattere personale in quel momento e poi mi è passato di mente»
«Nessun problema, figurati» e un sorriso candido illuminò il volto della giovane donna.
Era carina, con lunghi capelli rossi e grandi occhi verdi. Doveva avere sui trent’anni, e quello della bibliotecaria era un lavoro provvisorio nell’attesa di trovarne uno più consono alla laurea in medicina che aveva preso, sapeva Jérome.
«E… la tua risposta?» chiese timidamente Amélie
«Risposta? Oh, all’invito a pranzo, certo» non riusciva a trovare le parole per rifiutare, davvero non gli andava di cominciare una relazione in quel periodo della sua vita; eppure, con un sorriso tirato, rispose solo: «Sì, credo si potrebbe fare»
«Oggi?»
«Mhm, no, avevo promesso a Cendrine che l’avrei accompagnata a fare la spesa prima di pranzo»
«Cendrine?»
«Sì, ehm, è mia sorella. Mi ospita finché non avrò trovato un appartamento. Ne ho visti alcuni da queste parti a basso costo, ma non mi convincono»
«Oh, capisco. Comunque potresti venire a dormire qui. A insegnanti e studenti è concesso, non dovresti neanche pagare»
«Ah davvero?» Quella in effetti non era una cattiva idea, si sarebbe dovuto informare meglio «Non sarebbe male»
Sperava di essere riuscito a sviare l’argomento “pranzo”. Ma aveva sperato troppo presto.
«Allora, magari… domani?»
«…Sì, domani si può fare, sono libero»
Avrebbe dovuto trovare una qualche scusa, dannazione. A salvarlo dagli imbarazzanti attimi di momentaneo silenzio, la porta si aprì di scatto lasciando entrare, o meglio “precipitare”, quello che doveva essere un insegnante, più meno.
«Alain, che ti è successo?» chiese preoccupata Amélie mentre il nuovo arrivato prendeva fiato appoggiandosi ad una parete.
Era un uomo sui trentacinque anni, abbronzato e muscoloso, forse italiano, o comunque marsigliese. Aveva i capelli corti e castani e gli occhi neri.
Ancora col fiatone, scoppiò in una fragorosa risata apparentemente immotivata. Jérome lo studiava con un sopracciglio sollevato.
«La portinaia, Amélie, la portinaia!» biascicò soltanto tra le risate.
«Ma è ubriaco?» sussurrò Jérome alla bibliotecaria
«No, be’, è soltanto un tipo un po’… particolare»
Ripreso il controllo, spiegò: «Sono arrivato in bici, ma ho salutato due studenti che stavano facendo sega e ho perso il controllo dei pedali. Sono precipitato dritto nella portineria della scuola, temo di aver rotto qualcosa, e la portinaia mi ha urlato e inseguito fino ad adesso»
«Non rischia una nota disciplinare?» chiese perplesso Jérome. L’altro sembrò notarlo solo in quel momento e rispose con entusiasmo: «Buongiorno! Io sono Alain Luchini, insegno letteratura francese, sono in questa scuola da un paio d’anni e se non ho avuto richiami fino ad ora non credo ne avrò più.  Invece, non mi sembra di averti visto prima da queste parti, chi sei?» 
«Sono il professor Jérome Mereu, piacere. Ma non ha partecipato ai consigli d’istituto? Penso che mi sarei ricordato di lei, se l’avesse fatto»
«Devo averli persi»
Jérome si sentiva fastidiosamente osservato da quegli occhi scuri, come se l’altro stesse tentando di studiarlo.
«Notevole che insegni letteratura, essendo italiano»
«Curioso che insegni matematica, essendo ingegnere»
«Come fa a saperlo?»
«Hai l’aria dell’ingegnere che insegna per ripiego. E, per favore, diamoci del tu, tra colleghi»
«Come preferisci» Jérome pensava quasi che lo stesse prendendo in giro, ma cominciava ad essere vagamente interessato. Sicuramente quello che si trovava davanti era un soggetto curioso.
Amélie sembrava intenzionata a dire qualcosa, ma venne preceduta dal suono acuto della campanella.
«Pare sia ora» disse risoluto Alain uscendo
«A domani, Amélie» salutò Jérome seguendolo.
«In che classe hai lezione?»
«II B, tu?»
«VI B, sembra che dovremo fare la stessa strada»
Così i due insegnanti si avviarono per le scale. Alain sembrava farsi molto più serio quando si avvicinava il lavoro.
«Esci con Amélie?» chiese poi, curioso.
«Mi ha chiesto di pranzare insieme, sì, ma non ci ho parlato quasi mai. Ti piace? Starebbe sicuramente meglio con te che con me, mi sento un po’ fuori età per lei»
«Oh, no no. Amélie è solo un’amica. E ho comunque 37 anni, forse dovrebbe uscire con il bidello Michel»
«Abbiamo un bidello giovane?»
«Incredibile, eh? Non sono solo donne vecchie e aspre» rise Alain «Fra l’altro, dovrò tentare di non farmi vedere dalla portinaia per un po’, è la peggiore di tutte, sarebbe capace di prendermi a randellate»
Jérome sorrise.
«Toh, eccoci arrivati» le otto classi della sezione B sfilavano eleganti nel lungo corridoio.
«Be’, io mi fermo in quarta, a presto Jérome, magari, quando finirai con Amélie, possiamo pranzare insieme anche noi»
«Con piacere» salutò Jérome entrando in seconda.
Fortunatamente erano ancora piccoli lì, i dodicenni erano molto più accondiscendenti a imparare, sicuramente più predisposti alla “purezza” in quei corpi ancora non nel pieno dell’adolescenza.
Forse fu proprio per questo che, quando l’insegnante entrò tranquillamente, i profili di quattro diciassettenni spiccarono sopra tutti gli altri. Erano di VII D. Tra loro c’era anche Henri Léman.
«Il professor Mathieu è assente, il nostro gruppo è stato diviso qui» spiegò serenamente.
Eppure, qualcosa a quella vista aveva paralizzato Jérome, con la mano ancora ferma sulla maniglia della porta aperta e lo sguardo azzurro indecifrabile. 

NOTE DELL’AUTRICE
Salve a tutti! Grazie per chi è riuscito a leggere fin qui. So che avevo promesso un aggiornamento poco regolare, ma tra un ripasso pre-esame e l’altro non ho resistito e ho scritto il secondo capitolo. Be’, se vi piace, fatemelo sapere, sono ben accetti critiche e commenti (anche negativi, mi interessano i punti che magari non vi piacciono) e comunque sono curiosa di sentire i vostri pareri; quindi, se vi va, se proprio non avete niente di meglio da fare, lasciatemi una recensione anche piccola piccola =)
Be’, non so più che dire per tediarvi, quindi al prossimo capitolo!

 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3
 
«Credo che andrò a stare al college, per un po’ almeno, forse cercherò una sistemazione migliore in seguito, ma non voglio esserti di peso adesso, Cendrine»
«Ma cosa stai dicendo? Non mi sei affatto di peso. Ma davvero si può dormire al college?» la donna alzò lo sguardo dal giornale per posarlo su suo fratello, abbandonato con rassegnazione ai compiti di matematica da correggere.
«Sì, me l’ha detto Amèlie. Sai, la bibliotecaria scolastica. Ci pranzo insieme domani»
«Uh uh, ma allora fai conquiste!»
Jérome posò bruscamente la penna rossa.
«Non ne ho alcuna intenzione e, soprattutto, avrà dieci anni meno di me! Ha preso da poco una laurea in medicina e sta cercando lavoro, diamine, non ho voglia di iniziare un rapporto del genere! E poi mi sembra timida, forse mi ha chiesto di uscire solo perché mi vede come un punto di riferimento, ma io non posso essere un buon sostegno proprio per nessuno, a malapena riesco ad esserlo per me!»
«Va bene, va bene, ma non ti arrabbiare»
Jérome riprese a correggere i compiti sbuffando.
«Fatto sta che domani ci pranzi»
Rialzò gli occhi. La piaga in mezzo alla fronte segnalava tutta la sua esasperazione per quella conversazione.
«Sì, domani ci pranzo, chiuso il discorso. Invece, non mi hai ancora detto cosa pensi del fatto che andrò a vivere al college»
«Bah, magari ti farà bene. L’importante è che tu non la usi come scusa per segregarti in un posto e dimenticarti di avere una vita. Non mi lascerai abbondata alla noia però, vero? Gestire una farmacia a lungo andare annoia. Quando ti trasferirai?»
«Tranquilla, ti verrò a trovare. La data precisa non la so, è una decisione che ho preso oggi. Domani m’informerò meglio in segreteria»
Seguirono diversi minuti di silenzio, finché il telefono di Jérome vibrò. Il professore inforcò gli occhiali per leggere il messaggio che era appena arrivato.
 
Vieni al consiglio d’istituto alle 17:30? È una gran seccatura… Alain
 
Certo che ci andrò, dovresti venire anche tu. Chi ti ha dato il mio numero?
 
Amélie. Va bene, vengo. So dove abiti (la bibliotecaria è una gran risorsa), ti passo a prendere alle 17:15.
 
D’accordo. Con i compiti di matematica ho quasi finito.
 
«Con chi messaggi, Jérome? Con Amélie?» lo punzecchiò la sorella
«No Cendrine, in realtà è un mio collega. Mi passa a prende tra mezz’ora, andiamo al consiglio di classe»
«Che cosa noiosa»
«Non lo è»
 
Non ho mai capito niente di matematica. Il professore al college mi tirava i cancellini quando sbagliavo i procedimenti risolutivi alla lavagna. Non farlo con i tuoi studenti, eh.
 
Non lo farò.
 
Devo prenderlo come un troncamento di conversazione?
 

 
Va bene, passo tra poco.
 
«I tuoi alunni sono davvero così negati come dici e vuoi far credere?» chiese Cendrine osservando i compiti costellati dalla drammatica impronta d’inchiostro rosso di 4 e 5.
«In realtà no, alla fine sono bravi. Stai vedendo quelli della pila degli irrecuperabili. Qui ci sono cose interessanti. Alcuni manifestano una certa fantasia, nonostante sia matematica, chissà»
«Mhm»
Jérome si tolse gli occhiali.
«”Mhm” cosa?»
«Da quando insegni in quella scuola, sei cambiato»
«Cambiato?»
«Sì, ma in meglio. Sei più… aperto, ecco, forse addirittura tenero»
«Ma smettila»
 
Il campanello della casa suonò.
«Deve essere Alain» disse il professore guardando l’orologio «Un po’ in anticipo, ma comunque» abbandonò i compiti da correggere e si infilò una giacca blu mentre usciva sul pianerottolo gridando: «A dopo, Cendrine!»
In strada c’era una sorpresa ad attenderlo.
«Prof Jérome!» esultò un ragazzino riccioluto.
«Claude? Cosa fai qui?»
«Sono rimasto chiuso fuori, prof»
«Non sono un tuo prof. E sto uscendo. Tua madre a che ora torna?»
«Tardi, dopo cena. Mi sono dimenticato di prendere le chiavi»
«Bravo, proprio un bello sbadato sei! E cosa avresti intenzione di fare?»
«Salire a casa sua!»
«Ma se ti ho detto che sto uscendo!»
«Sì, ma…»
«Jérome, cosa combini?» la sagoma alta di Alain parve sbucare dal nulla.
«Alain! Bentrovato. Ho un inconveniente, questo ragazzino…»
«Mi chiamo Claude!»
«…Claude, sarebbe…»
«Piacere Claude!»
«Piacere!»
«Qual è il problema?»
«Se mi facessi finire…»
«Volevo sentirlo dal ragazzino»
«Claude»
«Sì, da Claude»      
Jérome sbuffò mettendosi le mani nei capelli.
«Ecco, sono rimasto chiuso fuori, di solito in questi casi vado dal prof»
«Non sono un tuo professore!»
«Non scaldarti, Jérome» intervenne pacato Alain «Può sempre venire con noi, no? Al massimo aspetta fuori, in segreteria, con la portinaia. Con me è cattiva, ma con i ragazzi è simpatica. Dà anche la pizza»
«Non saprei…» l’insegnante di matematica osservò i grandi occhi scuri di Claude, poi quelli di Alain «E va bene! Ma fa’ il bravo»
 
Mentre per strada i due docenti commentavano le classi e i colleghi, il ragazzino riccioluto trotterellava allegro al loro fianco, senza dire una parola.
Quando l’imponente edificio scolastico si stagliò all’orizzonte, Jérome cominciò ad agitarsi.
«Dannazione, non lo faranno rimanere, ne sono sicuro…»
«Oh, ma quanto sei fiscale, Jér»
«“Jér”?»
«Non ti piace?»
Il professore di matematica guardò per un attimo quello di lettere.
«No, va bene»
Claude spostava lo sguardo dall’uno all’altro, incerto su dove avrebbe aspettato il ritorno di sua madre.
«Non ti preoccupare, Claude» disse Alain come se gli avesse letto nel pensiero «Troveremo un posto dove metterti».
In portineria, la portinaia – una donna massiccia e tarchiata, sulla sessantina – sbraitava come al solito, e il tema di quel giorno era “dove cazzo ha messo le chiavi il coglione di scienze?”.
«Soave come al solito, Brienne» salutò Jérome
«Salve ‘pressore, può dirlo lei al collega suo de scienze ‘ndo ha messo ‘e chiavi, che no’ ‘e trovo!»
«Vedrò di provvedere, appena lo vedo glielo chiederò. Potresti farmi un favore?»
«Be’, che ne so, dipende»
«Dovresti tenermi qua questo ragazzo, si può fare? Solo per la durata del collegio…»
«E chi è, tu figlio?»
«No be’, non proprio»
«Be’ ‘pressore, ‘n so mica se se può fa…»
«Per favore, Brienne» intervenne candidamente Alain «Non vorrai mica lasciarci nei guai? Se vogliamo rimorchiare qualche collega o bibliotecaria non possiamo certo farci vedere con un bambino…»
«Ma sta’ zitto, va, che ‘o sanno tutti che si’ frocio»
Jérome guardò il collega con le sopracciglia alzate «Seriamente?»
Alain annuì con un mezzo sorriso.
«Vabbe’, e dateme ‘sto ragazzetto, annate, va. Te piace ‘a pizza?»
Claude confermò con trasporto mentre i docenti salivano le scale.
Per un po’, l’unico rumore fu quello dei passi sugli scalini.
«Brienne… ti stava prendendo in giro, oppure…?» lo interruppe Jérome, schiarendosi la gola imbarazzato.
«Riguardo a cosa?» Alain sembrava non capire.
«Be’, a… insomma…»
«Che sono gay?»
L’insegnante di lettere si era fermato sulle scale e Jérome si voltò dai due scalini più in alto a cui era arrivato, tentando di guardare altrove per non dimostrare il suo imbarazzo.
«Certo che sono gay»
Gli occhi sgranati del professore di matematica incontrarono stupiti quelli del collega, che riprendendo a salire le scale commentò solo: «Caspita, Jér, non ti facevo omofobo»
«N-no, ovvio che… insomma, non sono omofobo, assolutamente!» biascicò confusamente seguendolo «È che ti immaginavo un tipo molto da donne, non so come spiegarmi, sei…»
«Virile?»
«Ehm, sì, be’…»
«In ogni caso pare che mi piacciano gli uomini, mi dispiace deluderti»
Alain sfoderò un sorriso candido prima di prendere a fischiettare nei pressi del secondo piano.
Qualcosa di strano cominciava a montare nel petto di Jérome, come un senso di fastidio; lui assolutamente non era omofobo, non lo era mai stato. Avvertiva però che la figura alta e abbronzata davanti a lui gli avrebbe creato parecchi problemi.
Arrivarono in silenzio fino all’aula del collegio, dove trovarono tutti gli altri docenti ad attenderli.
«Vi stavamo per dare dispersi!» brontolò il preside
«Come mai a fare la strada con te si arriva inevitabilmente in ritardo?» chiese tra i denti Jérome ad Alain
«Credo sia da apprezzare che sia venuto, piuttosto che sgridarmi; è una delle prime volte che partecipo» rispose l’altro in un sussurro mentre prendevano posto.
Il professore di matematica scosse la testa rassegnato, tirando fuori i suoi registri dalla ventiquattrore nera che si portava appresso.
Con un sonoro sbadiglio e una sorsata di caffè, Fabrice, il collega di arte, borbottò con una certa impazienza: «Allora, possiamo iniziare sì o no?»
«Giusto non perdiamo altro tempo, stasera c’è la partita» assentì il preside «Alain, visto che è la prima volta che ti degni di venire, farai tu da relatore»
Stava per protestare, ma Jérome fu più veloce: «Insomma, da che sezione cominciamo?» 
«Andiamo in ordine, su. La A tanto è facile, a me non dà problemi, a voi?»
«No, è una sezione fantastica, sono tutti molto partecipativi, ascoltano, studiano quasi tutti… insomma, belle classette»
«Voi dite? Io ho un problema con la II, in particolare con questo studente, Lucas, non so, non mi dà mai attenzione, non fa i compiti, risponde male!»
«Con me sta sempre zitto»
«Forse perché gioca col cellulare e non te ne accorgi, l’ho beccato almeno cinque volte!»
«Non credo che sia così, nella mia materia va bene»
«Però ha ragione la collega, anche nella mia materia è un disastro!»
«Scusate, scusate, potreste parlare un po’ più lentamente?» interruppe Alain mentre la sua penna percorreva velocemente il foglio del verbale del collegio docenti.
«Chi ha dato all’italiano il compito di relazionare?» sbraitò Fabrice
«L’italiano ci sente benissimo» ribatté Alain
«Allora, allora, calmiamoci tutti» intervenne prontamente Jérome «Questo Lucas con me personalmente ha un rendimento sufficiente. Poco costante, ma quando si applica riesce ad ottenere buoni risultati. Non penso sinceramente che si debba ricorrere a provvedimenti disciplinari»
Tra i professori calò il silenzio per qualche secondo, poi tutti assentirono e si passò alla sezione B, e sia quella che la C non causarono particolari discussioni.
«Adesso… la D, giusto?» disse il preside passandosi una mano sulla fronte, sollevando gli occhiali.
«Quella sì che è una sezione terribile» cominciò in tono grave la professoressa d’inglese, Marlene.
«È vero. Tranne la IV, le altre fanno completamente come pare loro!»
«E non credere che neanche quella sia proprio di angeli, eh…»
«Bah, a me la VII non è sembrata male, riescono a seguire tranquillamente le lezioni e ad apprendere con creatività, spesso. Alcuni prendono quasi più di quanto gli si dia» considerò Jérome con un cappuccino bevuto a metà stretto tra le mani, che le riscaldava dal freddo d’ottobre.
«A proposito di te, Jérome, e di quella sezione, c’è qualcosa che non mi torna» disse Frank, il consulente psicoanalitico a disponibilità della scuola. Tutti si voltarono nella sua direzione: solitamente non parlava mai e se lo faceva era solo per dire qualcosa di grave o importante.
«Sì?» incoraggiò Jérome con un sopracciglio alzato.
«Be’, l’altro giorno era il turno della VII D di fare consulenza psicoanalitica per coloro che lo desiderassero, e si sono effettivamente presentati alcuni»
«Chi?» Jérome aveva adesso le sopracciglia inarcate.
«Non posso rivelarlo e non è neanche importante. Il punto è che qualcuno ha detto di provare una certa… attrazione, per te. Ora, io so benissimo che i casi di transfert sono molto facili a verificarsi, soprattutto nell’età dell’adolescenza, ma visto che sei il nuovo arrivato qui, volevo chiederti: fai qualcosa in particolare per essere… “desiderato”?»
Un silenzio imbarazzato scese tra loro. Jérome sbatteva le palpebre, rifiutandosi di comprendere quella domanda fino in fondo.
«Frank, non sono un pedofilo. Non toccherei con un dito nessuno di quei ragazzi. I casi di transfert capitano, non è il caso di farne un dramma»
Alain aveva smesso di scrivere e spostava lo sguardo dal collega al consulente psicoanalitico.
Il docente di matematica si schiarì nervosamente la gola. Non avrebbe mai pensato che qualcuno potesse sospettarlo di una cosa simile.
«Va bene, scusa, ritenevo importante esserne certo» si capiva che Frank stava troncando la conversazione, ma non sembrava molto convinto.
Di lì a poco il collegio docenti finì, lasciando la mano di Alain libera dal verbale e la mente di Jérome affollata dai pensieri.  
«Non ascoltare Frank» disse l’insegnante di lettere al collega «È un frustrato che scopa poco e si diverte a mettere nei guai la gente, anche gli studenti»
Jérome annuì distrattamente scendendo le scale.
In portineria trovarono ad aspettarli Claude, che sbocconcellava fieramente un pezzo di pizza.
«Ciao prof! Mentre ti aspettavo ho fatto amicizia con questo ragazzo, dice di conoscerti!» esclamò il bambino appena li vide.
Solo allora Jérome si accorse della figura di spalle che subito si voltò, tirando fuori un impeccabile sorriso.
«Buonasera, professore»
L’insegnante lo squadrò per un attimo.
«Ciao Henri, cosa posso fare per te? Vuoi un chiarimento sugli esercizi che ti ho dato quando sei stato diviso nella mia classe?»
«In realtà no, volevo parlarle da solo, le va di fare due passi?»
Jérome guardò pensieroso Alain, che per tutta risposta disse a Claude che loro due avrebbero fatto meglio ad avviarsi in fretta.
«Pare che possa. Ma cerchiamo di non far tardi, Henri»
  
NOTE DELL’AUTRICE
Salve! Eccomi qui col terzo capitolo, finalmente libera dagli esami!
Be’, volevo farvi sapere che se la storia vi piace (o, nell’eventualità, non vi piaccia) gradirei che me lo faceste sapere con una recensioncina o un messaggio, altrimenti non sono sicura che la continuerò, nonostante abbia in mente la trama.
Detto questo, buone vacanze a tutti!    
 
  

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