Isabella e Roberto

di SoGi92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


1

 

Nell’Italia del diciannovesimo secolo, in un territorio confinante con il Regno di Sardegna, il conte Giuseppe Miroglio attendeva con impazienza la nascita del suo primo erede. Che fosse maschio o femmina poco gli importava. Desiderava solo la sua salute.

-Conte!Conte!...- urlò Caterina  -Conte…  il momento è giunto, vostra figlia è nata!-

Il conte, al colmo della gioia, corse più veloce che poteva per andare dalla sua adorata moglie.

Amore mio- disse appena arrivato –Come stai? Va tutto bene?- la contessa sorrise affettuosamente al consorte e gli ripose

Sì mio caro…- e puntando lo sguardo verso una piccola culla con un gran fiocco rosa sopra disse – La nostra piccola … prendila in braccio per favore… vorrei vederla…-.

Il conte, un po’ agitato, si avvicinò alla culletta e ciò che vide gli riempì il cuore di felicità… c’era una piccola testa che spuntava fuori da una copertina rosa… la contessina aveva la testolina piena di capelli biondi e degli occhietti spalancati blu oceano…

Il conte, nel vederla, si commosse e, mentre la stava portando a sua moglie, disse – Isabella…-

Come caro… cosa stavo dicendo?- chiese la contessa, mentre il marito le porgeva il fagottino

-Il nome della piccola sarà Isabella.- Il conte non scelse a caso quel nome, volle chiamare cosi sua figlia perché essa aveva portato luce nella sua vita: dopo anni di tentativi falliti e dopo aver quasi perso le speranze di avere un erede, il miracolo era accaduto e la contessa rimase incinta della piccola creatura che ora stringeva fra le braccia.

La contessa posò lo sguardo prima sul marito e dopo sulla principessa –Isabella… Isabella è un bellissimo nome per la nostra piccola… tu che ne dici eh…- disse mantenendo sempre lo sguardo sulla bimba che sorrise nel sentire il nome.

-Così sia! - esclamò il conte – tu ti chiamerai Isabella.-

La contessina, già al momento della nascita, mostrava sul viso una straordinaria bellezza, non quella tipica delle principesse, ma una particolare, che fece restare ammaliati tutti i nobili che la videro. La piccola Isabella aveva gli stessi occhi del padre: verdi, come i prati delle loro terre, e i capelli della contessa, biondi, quasi come il colore dell’oro… il viso era tondo e roseo, con le guance di un salutare rossore, pareva quasi avesse le tonalità che hanno le mele mature…

***

Intanto nelle cucine del palazzo la servitù stava festeggiando la nascita della contessina… -Sono molto felice per il conte e la contessa- disse Anna, una delle loro più fide domestiche, - Dopo tanto tempo anche loro hanno un piccolo angelo.-

- Non capisco cosa ci sia da agitarsi tanto- disse il piccolo Roberto, il figlio di Anna, - È solo nata una bambina… non è niente d’eccezionale!-.

Roberto era un bambino magrolino, malgrado, però, il suo aspetto gracile possedeva una forza inviabile per la sua età. I suoi occhi erano come quelli del padre, che purtroppo era morto a causa di una polmonite poco dopo la sua nascita, avevano una tonalità compresa tra il blu mare e il verde delle foglie in primavera, i capelli, invece, erano quelli della madre Anna, donna molto forte che si fece coraggio dopo la morte del marito per il figlio e si mise al servizio del conte per assicurargli una casa e un pasto ogni giorno, li aveva neri come la pece. Roberto era un tipo molto solare, adorava scherzare ed era simpatico a tutti quelli che incontrava, ma sapeva, malgrado avesse solo quattro anni, anche quando era il momento di smettere di scherzare ed essere seri.

 - Hai ragione amico mio- lo appoggiò  Diego, della stessa età dell'altro bambino, e da sempre suo migliore amico. Fin da quando la madre del altro venne a lavorare al castello. Diego e Roberto avevano passato ogni singolo giorno insieme fino a diventare come fratelli.

Diego era il nipote della signora Caterina, la governante della casa, alla quale era stato assegnato il compito di fare da balia alla principessa appena nata. Era anch’egli magrolino, aveva i capelli neri con dei riflessi blu alla luce e gli occhi color smeraldo, entrambe qualità avute dalla madre, mentre somigliava al padre nell’aspetto fisico e nel carattere, molto solare e scherzoso, aveva sempre una battuta divertente e adatta all’occasione. Purtroppo era a conoscenza di ciò solo tramite sua nonna: i genitori morirono quando lui era ancora in fasce e non aveva avuto occasione di conoscerli.

  - Chiudete il becco entrambi!- li rimproverò il cuoco Maffeo, un uomo sulla quarantina burbero e molto severo; non perdeva occasione per rimproverare i due ragazzini o per criticare i suoi sottoposti – Se vi sentisse il conte… sareste in guai serissimi!-

- Scusaci Maffeo.- dissero all’unisono i due bambini, non in tono molto pentito, – Non lo diremo più.-

-Sarà meglio…- e con questa frase Maffeo mise la parola  fine al discorso.

-Comunque continuo a trovare tutto questo esagerato...- sussurrò Roberto, non appena l'uomo voltò l'angolo.



La piccola contessina cresceva e si stava lentamente trasformandosi in una piccola lady, ma i sovrani, temendo per la sua incolumità, decisero di non farla uscire di casa per nessun motivo, a meno che non fosse in loro compagnia o, comunque, con qualcuno di cui si fidassero ciecamente.

All’età di tre anni la piccola si avventurò per la prima volta al di fuori del castello, ritrovandosi nell’immenso giardino reale, composto da un considerevole numero di querce centenarie, piantate in quel luogo dagli antenati del conte, da molti cespugli di rose e di altri fiori. Anche se non molto esteso, il giardino sembrava una giungla in miniatura, proprio a causa di questo la contessina prese la strada e non riuscì a tornare indietro.

Presa dallo sconforto e dalla paura, dopo aver corso per un po’ cercando di tornare a casa, s’inginocchiò e si mise a piangere –Mamma... Papà... dove siete...- disse, tra le lacrime.

Agli occhi della piccola la foresta sembrava piena di mostri…. All’improvviso udì uno sfruscio di foglie da lontano…. Poi uno strano rumore provenire dall’altro…. Le parve di sentire l’ululato di un lupo e il rumore dei suoi passi… ad un tratto non sentì più niente, dal troppo spavento svenne.

Non si riprese che dopo alcune ore, a svegliarla fu la voce di un bambino, la quale non le fu del tutto estranea, perché, anche se non era mai uscita dalle stanze reali, aveva già avuto modo di udire la sua voce all’interno del castello.

Aprì lentamente gli occhi… da prima vide tutto sfocato… poco a poco la vista divenne nitida e vide un ragazzino dai capelli neri, che la guardava preoccupato.

-Contessina... contessina… dite qualcosa… State bene?- disse il ragazzino,mentre la stava delicatamente scuotendo per le spalle, nel tentativo di ottenere una risposta.

La piccola, che si stava lentamente riprendendo, riuscì solamente a fare cenno di sì con la testa e a dire- Mmhh...-.

Il ragazzino, sentendosi sollevato, la prese in braccio e la riportò al castello, dove i sovrani erano preoccupatissimi e stavano quasi per ordinare alle guardie di andare e cercare la contessina, quando sentirono bussare alla porta…

Toc…...toc….

-Chi è?- chiese il conte, con tono preoccupato.

-Sono Roberto Vostra maestà… vi prego di farmi entrare…- rispose il ragazzino, con tono rispettoso.

-Spero che sia una cosa importante ragazzino… oggi non ho tempo da perdere e…… Santo Cielo!- esclamò il conte vedendo il ragazzino entrare con in spalla qualcosa, anzi per meglio dire qualcuno…

Alla contessa vennero le lacrime agli occhi –La mia bambina…. – disse- dove l’hai trovata Roberto?-  chiese mentre si precipitava a prendere la sua piccola,

-Era in giardino… quando l’ho trovata era svenuta… non so cosa sia successo…- rispose il piccolo intanto mentre consegnava la contessina tra le braccia della contessa.

Roberto sei il salvatore di mia figlia…- disse il conte per ringraziarlo – Ti sarò infinitamente grato per questo tuo gesto… chiedi ciò che vuoi e ti sarà dato!- aggiunse, infine, il conte.

Il ragazzino, lusingato dalle parole dette dal conte, disse –Vostra maestà... sono lusingato dall’onore che mi concedete, ma non desidero nulla che non abbia già. Non ho salvato la contessina per ottenere una ricompensa, ma solo perché era mio dovere per la bontà con cui avete trattato mia madre prendendola a servizio da voi, quando n’aveva bisogno… sono io a dover ringraziare voi piuttosto.- alla fine del suo discorso il bambino fece un inchino ai padroni.

Che ragazzino ben educato…- disse la contessa al piccolo – tua madre deve essere molto fiera di te… sei un vero gentiluomo- concluse la donna accarezzando affettuosamente i capelli del bambino, che divenne rosso dall’imbarazzo.

V-Vi ringrazio contessa…. C-così mi fate arrossire-  disse Roberto, sempre più rosso e imbarazzato al punto da non riuscire a guardare la regine in faccia. Lei sorrise affettuosamente e portò la piccola contessina nella sua stanza, lasciando il conte in compagnia di Roberto.

Quando furono soli il sovrano disse al ragazzino – Roberto le tue parole mi hanno colpito… mi sarei aspettato una richiesta tipica da bambino e, invece, mi hai dimostrato di essere quasi un adulto… anzi nemmeno gli adulti avrebbero resistito alla tentazione di soddisfare un capriccio… ricordati ciò che ti sto per dire: se in futuro ci sarà qualcosa che desideri domanda a me e ti verrà concesso!- il conte rivolse lo sguardo al ragazzino, che fece ceno di sì con la testa.

Vi ringrazio per la vostra bontà conte… - il ragazzino sapeva che la parola del conte valeva più di qualsiasi garanzia, essendo il conte un uomo che non si rimangiava mai la parola data e con un eccezionale memoria per le promesse fatte al suo personale.

Il conte si avvicinò a Roberto e gli stinse la mano, proprio come avrebbe fatto con un uomo adulto. Il piccolo ricambiò la stretta – Scusate Maestà… ma ora devo proprio andare… la mamma mi starà aspettando - disse inchinandosi al sovrano per congedarsi.

-Bene.. puoi andare.. e grazie ancora piccolo…-  disse il sovrano con un dolce sorriso sulle labbra, trasmettendo al piccolo uno stano calore, ma anche uno strano senso di tristezza, forse perché quel sorriso sarebbe stato uguale a quello che gli avrebbe fatto suo padre se fosse stato ancora vivo e avesse saputo quello che aveva fatto. Il piccolo, quando uscì dalla stanza per avviarsi dalla madre, aveva le lacrime agli occhi.

 ***

Giunto in cucina trovò sua madre intenta a sbucciare le patate per la cena… - Roberto, ma dove sei stato?… sei sparito per delle ore… cos’è tu e Diego avete fatto di nuovo arrabbiare Maffeo e siete scappati per nascondervi?- disse la donna, usando un tono non preoccupato, in quanto abituata alle sparizioni del figlio, ma dolce, quello che solo una madre sa fare, non appena lo vide entrare nella stanza.

Anna era una donna non molto alta e di corporatura normale, gli occhi erano castani, mentre i capelli erano neri come la pece, una delle poche qualità che aveva trasmesso al figlio, in quanto somigliante al padre sia nell’aspetto fisico sia nel carattere.

Il piccolo corse ad abbracciare la madre... – No questa volta Maffeo non c’entra… avevo voglia di fare un giretto nel giardino… e per fortuna che l’ho fatto perché se no era ancora là per terra…- rispose il piccolo alla madre, che fu confusa quelle parole e smise il lavoro.

-Chi era ancora lì?... C’era qualcuno?- chiese, con un poco di preoccupazione mista a molta curiosità, Anna al figlio.

Mamma……. Non mi hai sempre detto di non essere troppo curioso? Che non era educato?- disse il piccolo con un sorrisino sul visetto simpatico, che si tramutò ben presto in una smorfia di dolore… La madre gli aveva tirato un pugnetto sulla testa

Come ti permetti di rivolgerti a tua madre in questo modo ragazzino!?- disse la donna, con ancora il pugno alzato accanto al viso, mentre il piccolo si era piegato sulle ginocchia e si teneva la testa con le mani..

Ahi..Ahi… Mamma….Mi hai fatto male…. Ahi ahi ahi…- si lamentò il piccolo, sempre nella stessa posizione – Va bene!- esclamò, terminando la sua piccole scena e tornando serio - Era la contessina.. si era persa nel giardino, io l’ho trovata e l'ho portata dai conti… pensa un po’ il conte voleva offrirmi una ricompensa….Ma io...-

-Una ricompensa!- lo interruppe Maffeo, che era appena entrato, perciò aveva sentito solamente l’ultima parte del discorso, - Spero che tu abbia chiesto al conte di potertene andare… così da non fare più disperare il povero Maffeo- Malgrado queste parole, Maffeo amava sia Diego che Roberto come se fossero suoi figli. Mai avrebbe creduto di poter provare simili sentimenti per dei mocciosi.

-No… ho chiesto al conte di mettere sia me che Diego alle tue dipendenze, così dovremmo stare insieme a te ogni singolo minuto di ogni singolo giorno, per il resto della tua vita…- disse sorridendo Roberto a Maffeo, mentre si stava prendendo un biscotto da mangiare, il quale gli fu sottratto a due centimetri dalla bocca proprio dall’uomo.

-Questo lo potrai avere dopo che avrai finito il tuo lavoro … invece di bighellonare tutto il giorno tu e il tuo amico dovreste pensare a lavorare… - disse il capo al piccolo – La vita è dura e si deve iniziare a darsi da fare fin da piccolo. Quando sarai grande non potremmo sempre esserci noi a darti da mangiare, dovrai guadagnartelo con il sudore della fronte. Mi ricordo che ai miei tempi il cuoco mi avrebbe frustato o inseguito con la scopa se non avessi obbedito ai suoi ordini. Al giorno d’oggi, invece, i ragazzini non hanno più rispetto per nulla: giocano senza ritegno tutto il giorno trascurando il lavoro e non capendo il privilegio di poter, in un mondo di ladri come il nostro, trovare ancora una persona gentile pronta ad offrirtelo...- Maffeo aveva iniziato a fare la paternale a Roberto, il quale, appena se ne accorse, sgattaiolò fuori dalla cucina e andò in cerca di Diego per raccontargli ciò che gli era accaduto.





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Capitolo 2
*** 2 ***


2

 

Diego passava molto del suo tempo, quando scappava da Maffeo, davanti al laghetto a pochi chilometri dal palazzo.  Sua nonna gli raccontava spesso che, in quel luogo, suo padre aveva conosciuto sua madre. Quando si trovava davanti a quel laghetto tutti la sua allegria e tutta la sua felicità sparivano e lasciavano posto alla tristezza, che però scomparve quando sentì una voce famigliare che  lo chiamava…

- Diego……. Diego…... Ahi.. stupide radici…. Ah… Diego…... sapevo di trovarti qui…- disse, sorridente, il ragazzino, con la faccia sporca di terra a causa della caduta.

-Ehi… Roberto, ma dove eri finito? Ti ho cercato dappertutto?- chiese all’amico, mentre si stava asciugando le lacrime che gli venivano fuori ogni volta che pensava ai suoi genitori,

-Diego… lo sai che con me puoi piangere liberamente… siamo amici no?- disse Roberto, sedendosi accanto all’amico.

-Sì siamo amici… solo che non mi va d’essere triste…. – rispose Diego – Insieme a te preferisco organizzare gli scherzi per fare infuriare Maffeo!- esclamò Diego, nuovamente con il sorriso sulle labbra, il quale contagiò anche Roberto e così tutti e due scoppiarono a ridere e si rotolarono per terra.

Ad un certo punto Diego smise di ridere, si rimise seduto, e disse – Sei venuto a cercare per dirmi qualcosa?- L’amico si tirò su di scatto e mettendosi una mano sopra la fronte disse

–È vero... mi è successa una cosa incredibile!- dicendo questo saltò in piedi per poi lasciarsi nuovamente cadere seduto, mentre fissava il cielo a pecorelle.

-Allora? Si può sapere cosa aspetti a dirmela?- disse Diego, incuriosito, ma Roberto fece finta di niente e disse

–Sarà meglio che ce ne andiamo… tra un po’ verrà giù un bel acquazzone…-. 

-Va bene, però dopo mi racconti!- disse Diego, un poco scocciato dall'atteggiamento misterioso dell'amico ed alzandosi in piedi.

-Va bene, va bene… andiamo nel vecchio capanno, lì saremo tranquilli..- detto ciò si avviarono e in men che non si dica giunsero alla meta.

 

Il capanno era usato in passato come tenuta di caccia dai sovrani, un tempo era una residenza di lusso, ma l’abbandono lo aveva reso invivibile, almeno per gli standard dei nobili. I due bambini si accampavano spesso in quella vecchia casetta, anche se ormai il tetto presentava diversi buchi e gli infissi fossero praticamente inesistenti, quello era il loro luogo di ritrovo. Quando scappavano, dopo qualche marachella, avevano deciso di ritrovarsi lì, oppure era un luogo adatto per parlare senza avere paura di essere ascoltati da qualcuno. Nessun abitante di quella zona si sarebbe mai avvicinato a quella costruzione, in quando si narrava che fosse abitata dal fantasma del Marchese Ranieri...

 Narrava la leggenda che un dì estivo, il sovrano Edmondo, un antenato del conte, andò a caccia con la sua squadra, nella quale c’era un certo Marchese Carlo Ranieri, il quale nutriva rancore nei confronti del conte, perchè egli aveva sposato una giovane duchessa, della quale il Marchese Ranieri era innamorato. A nulla servì il corteggiamento del Marchese alla duchessa, essa era profondamente innamorata, ricambiata, del conte, e in breve tempo si sposarono. Ranieri, Allora, decise di uccidere il conte, e volle tentare di mettere in atto il suo piano proprio in quella giornata…. Purtroppo i suoi piani non andarono come sperava e il conte lo fece uccidere proprio nel capanno. Si sostiene che poco prima di morire giurò che la sua discendenza, egli, infatti, aveva avuto due figli illegittimi, ma li volle riconoscere, avrebbe ostacolato la felicità della prima discendente femmina della famiglia reale.

 

Ovviamente per Diego e Roberto tutte queste erano solo favole, e non avevano problemi ad entrare nel capanno sia di notte che di giorno.

Entrarono nel capanno e si sedettero su di una vecchia coperta, Allora Roberto inizio a raccontare..

-Stavo facendo una passeggiata nel giardino del palazzo, quando ad un certo punto sento la voce di una bimba che piange… seguo le urla ed inizio a correre… arrivo davanti ad un cespuglio e dietro questo trovo una bimba svenuta…- Roberto si interrompe un momento

-Ma cosa ci faceva una bambina nel giardino!? Maffeo da sempre ordine di chiuderlo a chiave, come avrà fatto ad entrare?- chiede Diego, molto preso dal racconto.

–Era la contessina…- disse, lasciando Diego si stucco

–La contessina… proprio quella contessina… la nostra contessina….- riuscì a dire il piccolo.

-Sììììììì…... ma si può sapere quali altre contessine possono entrare nel giardino del palazzo!!!???.... Comunque mi sono assicurato che stesse bene e l’ho riportata dai padroni. Non hai idea di come fossero felici… il conte mi ha detto che potevo avere quello che volevo… ma io non ho bisogno di niente, ho già una mamma dolcissima ed un amico fidato, cosa posso volere di più?- disse il ragazzino, con un’espressione serena sul volto, mentre Diego sorrideva per le belle parole che il suo amico aveva appena finito di dire,

-È vero… quando hai un amico come me cosa puoi desiderare di più?- disse Diego, mettendosi le mani sui fianchi e alzando il mento, a mo’ di superiore. Vedendolo, Roberto prese un cuscino polveroso e glielo diede in faccia facendolo cadere – Sì soprattutto un amico modesto, vero?- disse all’amico a terra, che, per vendicarsi,gli diede a sua volta una cuscinata. Questo fu l’inizio di una tremenda guerra con i cuscini, che si concluse verso l’ora di cena…

Intanto al castello il conte…- Piccola mia... non fare mai più una cosa del genere… la prossima volta che vorrai uscire dillo a mamma o a papà, mi raccomando non farlo mai da sola.- disse il sovrano alla figlia.

-Ma papà perché non posso uscire da sola fuori, sono grande ormai, me lo dite sempre tu e la mamma…- replicò la piccola, senza capire che colpa avesse, - Potevi farti del male… o-oppure essere rapita da qualcuno…. O-o peggio ancora potevi essere punta da un insetto e prenderti qualche malattia…- disse la contessa, il suo stato d’animo non era ben definibile… era scossa dall’accaduto del pomeriggio, arrabbiata con se stessa per non essere stata attenta alla figlia e agitata il solo pensiero di ciò che le poteva capitare.

-Cara… calmati.. non è successo niente… per fortuna Roberto l’ha trovata, quel ragazzino è molto responsabile per la sua età!- disse il conte per tranquillizzare la contessa, che sembrò meno agitata, e, mentre prendeva in braccio la figlia per metterla a letto, disse al marito – Hai ragione.. Roberto è il nostro piccolo salvatore, se non fosse stato per lui... non voglio pensare a ciò che sarebbe potuto accadere...- si lasciò scappare una lacrima nel dire quelle parole, che non sfuggì alla piccola.

–Mamma… cos’hai? Perché piangi?- disse mezza addormentata nel suo lettino.

-Niente piccola mia. Adesso dormi… è tardi.- spense la luce e lasciò che la piccola scivolasse nel regno dei sogni, mentre il conte e la contessa si stavano avviando nella loro stanza.

“Quel bambino... mi sta molti simpatico...”pensò Isabella, prima di scivolare in un sonno profondo.

 ***

Nelle cucine…

-Argh... dove sono finiti quei piccoletti...Argh... dovevano sistemare i piatti puliti a posto e lavare quelli sporchi...Argh...Lo sapevo quei due sono dei lavativi... Ma aspetta che tornino a casa e...- Maffeo era davvero infuriato con Diego e Roberto, mentre Anna e la signora  Caterina  erano tranquillamente sedute e gustarsi un buon, e meritato, tè…

-Ohhhh… Maffeo…. – disse la signora Caterina- ...non devi prendertela con quei due poveri piccoli, sono solo bambini, hanno il diritto di giocare non devono ancora pensare a lavorare- li giustificò l’anziana signora, mentre Anna era di diversa opinione

–Io invece credo che ai bambini debba essere affidato qualche lavoro-

 Maffeo fece cenno di sì con la testa e mise su un sorriso soddisfatto – Grazie al cielo qualcuno che mi da retta… grazie Anna- le disse.

-Sì ma…- aggiunse la giovane donna, facendo decadere il sorriso di Maffeo e trasformandolo in una smorfia, - … i bambini sono pur sempre bambini... è giusto che lavorino, ma non puoi pretendere che lo facciano tutto il giorno.- concluse Anna, scambiando uno sguardo di intesa con la signora Caterina , il povero cuoco cadde in ginocchio in preda alla disperazione, non si accorse nemmeno che, dietro di lui, due piccole figure si erano avvicinate e lo stavano per prendere di soprassalto….

-Aaaaaahhhh!!! Toglietemeli di dosso!! Toglietemeli di dosso!!!- iniziò ad urlare Maffeo, facendo sobbalzare le due donne, che si girarono di scatto

-Lasciate immediatamente Maffeo!- urlarono all’unisono le due donne ai birbanti, che si erano aggrappati al collo del povero cuoco facendolo spaventare, quasi, a morte…

-Piccole pesti… se vi prendo….- urlò Maffeo appena i due furono scesi, che incominciarono a correre, ma, purtroppo la loro corsa durò poco, perché furono presi entrambi, uno dalla madre e l’altro dalla nonna, che diedero loro una bella sculacciata, e furono spediti diritti a letto, senza cena, sotto gli occhi soddisfatti di Maffeo.

 

 

 

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Capitolo 3
*** 3 ***


3

Il giorno seguenti i due furono messi in castigo per la birichinata combinata a Maffeo la sera prima, Diego fu costretto ad occuparsi dei piatti da lavare e da sistemare, mentre Roberto dovette aiutare il vecchio stalliere, l’anziano signor Guido: un uomo sulla settantina che ormai a causa dell’età faceva sempre più fatica nello svolgere il suo lavoro, seppur lo amasse,  con gli animali e con i cavalli.

Il vecchietto non aveva avuto né figli né tanto meno nipoti, per cui era felice quando Roberto lo andava a trovare e passava del tempo con lui, voleva un gran bene a quel bambino, lo considerava come il nipote che non aveva mai avuto, e anche Roberto si era affezionato al vecchietto, lo considerava una specie di sostituto al nonno, che non aveva mai conosciuto e si divertiva ad aiutarlo nel suo lavoro e sognava un giorno di diventare anche lui uno stalliere, proprio come suo “nonno”.

-E così tu e Diego ne avete combinata un'altra delle vostre eh?- chiese Guido al bambino, mentre cercava un forcone che andasse bene per lui.

-Sì, ma ha avuto una reazione esagerata!- replicò – Noi volevamo solo dimostrargli il nostro affetto.-

-Saltandogli addosso e facendogli venire un infarto?- rise il vecchio – Spero che non mi vogliate bene come a lui, se no ho i giorni contati!- continuò, e Roberto si aggiunse a lui, scoppiando a ridere. -Bando alle ciance, abbiamo molto lavoro da fare oggi!- terminò Guido, dando un forcone al ragazzino e dirigendosi con lui nelle stalle.

 ***

Quel giorno la contessina si era svegliata con la voglia matta di andare a fare un giro fuori, e così…- Mamma ti prego…- implorò la piccola.

-Tesoro non posso accompagnarti, sono occupata, e tuo padre ha un importante incontro con il Governatore che durerà tutto il giorno e non può mancare assolutamente… mi dispiace…- disse la contessa, mentre stava indossando il suo abito migliore, di tessuto pregiato rosso, ornato con due piccoli fili di perla che partivano dai fianchi e cadevano lungo i lati.

La contessina stava quasi per mettersi a piangere, quando la contessa, guardando fuori dalla finestra, vide il vecchio Guido in compagnia di Roberto, allora le venne l’idea di farla stare con loro, magari seduta in un angolo, mentre loro lavoravano, così fece convocare Guido…

-Contessa…mi avete fatto chiamare?- disse il vecchio inginocchiandosi al cospetto della contessa.

-Si, Guido- la contessa, avendo molto rispetto per quel uomo, in quanto molto saggio e gentile con tutti, si rivolgeva all’anziano dandogli del “voi” e non del tu, come faceva con il resto della servitù, - vi ho fatto chiamare per chiedervi un favore..- disse la donna, facendo cenno al vecchio di alzarsi,

-Farò del mio meglio per accontentarvi.- rispose Guido, tenendo il cappello di paglia dalla parte superiore, appoggiato al petto, con la mano sinistra e grattandosi il capo con l’altra confuso. Cosa poteva volere la contessa da lui?

-Bene…- continuò la contessa, sorridendo all’anziano, - Vorrei che oggi voi e il vostro piccolo aiutante teneste con voi la mia piccola… oggi sono molto impegnata e mio marito è via per lavoro, in voi ho molta fiducia e anche il ragazzino è nelle mie grazie… vi chiedo: accettate di badare alla contessina per questo pomeriggio?- aggiunse, in fine, la contessa, sperando in una risposta positiva da parte del vecchietto, il quale parve molto sorpreso. Mai e poi mai avrebbe pensato che la contessa avesse così tanta fiducia in lui da affidargli il suo bene più prezioso...

Il vecchio Guido titubò per qualche minuto, e poi rispose – Contessa … voi mi fate una grande onore… sarei felice di poter passare un po’ di tempo con la contessina e sono più che sicuro che anche a Roberto farà piacere!- esclamò il vecchio, sorridendo e drizzando la schiena più che poté dal tanto orgoglio che provava.

 La contessa sorrise, e sembrò anche sollevata: sua figlia sarebbe stata al sicuro in compagnia di Guido e si sarebbe anche potuta divertire con Roberto

-Bene potete tornare al vostro lavoro, tra un istante la contessina sarà da voi…- disse la contessa facendo cenno con la mano a Guido di andare, per poi incamminarsi verso una gigantesca porta blu con la maniglia in oro, che la condusse nella sala da gioco della piccola Isabella, la quale stava giocando con una bambola di stoffa regalatale dalla Duchessa di Como. La bambola aveva i capelli fatti con lana gialla, il vestitino era azzurro e ornato di pizzi bianchi alle estremità della gonna e delle maniche, gli occhi erano due perline azzurre, con le quali avevano rimpiazzato gli occhi originali, cucite dalla signora Caterina. Malgrado Isabella avesse decine di bambole simili a quella, alcune anche più belle, la contessina giocava solo con quella, probabilmente perché le somigliava molto, non la lasciava mai, anche la sera, quando andava a letto la portava con se.

Ad un certo punto si senti chiamare - Isabella… piccola puoi venire?- disse sua madre. Isabella si alzò, prese la bambola e si avviò verso la donna.

-Dimmi mamma.-

-Sei pronta ad andare fuori?- le chiese la contessa, prendendola in braccio, alla piccola si illuminarono gli occhi, non si sarebbe mai aspettata che la madre l’avrebbe fatta uscire da sola, - Ma mi devi promettere che non ti allontanerai da Guido e da Roberto, intesi!- ordinò la donna alla piccola

–Te lo prometto mamma…- e con il sorriso sulle labbra si avviò all’esterno con la madre.

 

Intanto fuori…. 

– Cooosaaa!!!- esclamò una voce, alquanto stupefatta, - Hai capito benissimo, non fare il finto tonto, la contessina passerà un po’ di tempo con noi, che c’è di male?- disse il vecchio Guido al ragazzino, che aveva un’espressione indescrivibile sul volto, più o meno tra lo stupito e l’infastidito, - Come “che c'è di male“?! C’è tutto di male… quella non ci farà lavorare, vorrà solo giocare! Se Maffeo viene qui e mi vede giocare anziché lavorare altro che punizione… quello mi mette in pentola e poi mi serve a cena!- Roberto disse queste parole facendo dei buffissimi gesti con le braccia, così buffi che il vecchio non resistette e si mise a ridere – E non ridere! Non sto scherzando, sono serissimo!- esclamò il ragazzino vedendo Guido.

-Credo che nessuno ti mangerebbe, sei troppo magro. Se mettessi su qualche chilo forse Maffeo ci potrebbe fare su un pensierino… -  disse il vecchio mentre si avviava con la carriola all’interno della stalla. Roberto lo stava seguendo, farfugliando qualcosa, quando improvvisamente il vecchio gli diede un bastonata in testa, non molto forte, ma abbastanza da fargli venire un piccolo bernoccolo.

-Ahia!!!! Perché l'hai fatto!!???- chiese il ragazzino, mettendo le mani sopra il punto colpito.

-Perché devi essere più rispettoso.- detto questo riprese a camminare, seguito da un dolorante Roberto.

 

Pochi minuti dopo arrivò la contessa con la figlia appresso…

-Guido…. Siamo arrivate..- disse la donna, mettendo una mano accostata alla bocca, per chiamare il vecchio.

-Bene.. contessina siete pronta a passare una giornata un po’ diversa dal solito?- chiese Guido, uscendo dalla stalla e asciugandosi il sudore dalla fronte con il dorso della mano, seguito da Roberto. Mentre si stavano avvicinando alla piccola.

–Certo signor Guido.. sono prontissima…- si interruppe un momento e vide una sagoma famigliare sbucare da dietro il vecchio- Ciao Roberto!- disse subito dopo, sorridendo e avvicinandosi ai due mentre salutava la madre con la mano – Ciao mammina.. ci vediamo dopo…- -

Ciao piccola mia… Guido.. mi fido di voi, fate in modo di non farmi pentire dalla scelta. Vi saluto.. ciao Roberto- disse la contessa andandosene e lasciando la piccola nelle mani di Guido e di Roberto.

***

Isabella stava seduta da quasi un’ora su dei un ceppo d’albero, guardando rapita Guido e Roberto lavorare. Non aveva mai visto nessuno faticare come loro due. Fu stupita anche dal fatto che non si fermarono nemmeno per fare una pausa, lavorarono ininterrottamente per quasi tre ore, mentre lei giocherellava con la sua bambola.

Verso mezzogiorno Guido si fermò – Perfetto.. per ora va bene così, facciamo una piccola pausa, ce la siamo meritata, tu che dici?- disse guardando Roberto – Sì… sono sfinito, non ce la faccio più….- disse Roberto, appoggiando le mani sulle ginocchia e con il fiatone, mentre cercava un posto dove sedersi – Possiamo andare a mangiare? Sto letteralmente svenendo…- aggiunse, senza fiato, -  Be’… in effetti è mezzogiorno passato… strano che Diego non sia venuto ad avvertirci…- disse Guido, mentre si guardava intorno, nel tentativo di vedere la piccola sagoma dell’altro ragazzino. Ad un certo punto tutti e tre sentirono una voce strillare – Il pranzo è pronto! Sbrigatevi, altrimenti Maffeo si mangia tutto!-

-Come ti permetti, piccola peste! Se ti prendo ti faccio pentire di essere nato! Torna qui!! È inutile che scappi, tanto prima o poi dovrai tornare a casa!- urlò Maffeo, nel tentativo di acchiappare Diego, il quale però, svelto come una lepre, non a caso era chiamato “Leprotto” dagli altri bambini del paese, fuggì verso la stalla, dove si trovavano Roberto e Guido…

-Non ti sei ancora stufato di prendere in giro Maffeo vedo...- disse quest’ultimo mettendo una mano tra i capelli del piccolo e scompigliandoli affettuosamente.

-No signore… è troppo divertente farlo arrabbiare… la faccia gli diventa rossa come un peperone e sembra quasi che gli esca il fumo dalle orecchie…- disse Diego, che si interruppe non appena vide Isabella. - Buongiorno contessina- disse facendo l’inchino – Scusate se non vi ho salutata prima, ma non vi avevo vista-, la contessina si alzò e si avvicinò al ragazzino – Non  importa.. ma perché tutti mi date del “voi” e mi chiamate “contessina”? Io ce l’ho un nome ed è Isabella, e non mi piace molto che mi si diate del “voi”, voglio che mi diate del “tu” come si fa con le bambine normali, per favore.- disse la piccola avvicinandosi e puntando un dito sul petto di Diego, tutti e tre restarono stupiti, mai avrebbero pensato che una bambina così piccola potesse essere così autoritaria…

-Va bene cont… ehm cioè Isabella- dissero all’unisono i tre, e, insieme a Isabella, si diressero verso la cucina, dove li attendeva un delizioso pranzetto preparato dal cuoco…

-Bene… alla buon ora.. Guido ti ho detto mille volte che il pranzo è alle dodici in punto, non sono mica il tuo cuoco, sono il cuoco dei padroni e della… Santo Cielo… scusate contessina… non vi avevo vista… perdonatemi..- disse inchinandosi.

-Accipicchia.. Maffeo che chiede scusa e che si inchina…- esclamò Roberto stupefatto

–Dov’è  un  pittore quando serve?!- aggiunse Diego, dando una piccola gomitata a Roberto e strizzando l’occhio. Nel vederli Isabella e Guido si misero a ridere, mentre Maffeo si trattenne dall’inseguirli con la scopa e si limitò ad incenerirli con lo sguardo.

-Invece di fare gli spiritosi sedetevi a tavola! Stiamo aspettando solo voi!- detto ciò Maffeo si girò e, in tono molto più dolce, aggiunse -Contessina, vi trattenete anche voi?- La piccola fece cenno di si con la testa, si avvicinò a Roberto e Diego, e, prendendoli per mano, si avviarono verso la tavola.

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Capitolo 4
*** 4 ***


4

4

I conti Miroglio, con la loro bambina, erano da poco giunti al palazzo del marchese De Fiore, dopo tre estenuanti ore passate in carrozza.

-Mio carissimo Giuseppe!- esclamò il marchese –sono davvero felice di rivedervi, dopo tutto questo tempo!-  -Il piacere e tutto nostro ferdinando! Vi siamo grati per averci accolto, con così poco preavviso! Vi ricordate di mia moglie Clelia?- disse, mettendo una mano sulla schiena della donna. –Certo, chi mai si dimenticherebbe di una così bella donna?- disse l’altro, prendendo una mano della contessa e baciandola – Marchese de Fiore… non siete cambiato di una virgola da che ci siamo visti l’ultima volta.- disse lei – Ma, ditemi vostra moglie dov’è?-

Il volto dell’uomo diventò scuro –Purtroppo la mia Marianna ci ha lasciati in autunno… a causa di una brutta polmonite.- la contessa ed il conte restarono scioccati dalla notizia, non avevano idea che la marchesa fosse venuta a mancare. –Vi porgo le mie più sincere condoglianze marchese… non aveva idea che vostra moglie…- - Non vi preoccupate Clelia…- disse l’uomo, abbozzando un mezzo sorriso -… siamo stati molto discreti nel comunicare la notizia, soprattutto per il piccolo Giacomo… ormai ha capito che sua madre non c’è più, ma non volevamo che altri gli dessero la notizia prima che gliela avessimo spiegata.- -Oh.. povera creatura…- sussurrò la contessa.

Il conte si avvicinò al marchese –ferdinando, se c’è qualcosa che posso fare per voi…- - Vi ringrazio Giuseppe, ma non credo che possiate fare nulla… avervi vicino è già un grande sostegno.-

-Mamma… che cosa succede?- chiese la piccola, strattonando la gonna della madre. Il marchese volse lo sguardo da dove proveniva la voce –Non ditemi Giuseppe che questa è vostra figlia! La piccola Isabella!- disse, avvicinandosi ala bambina. Il conte la guardò e disse –Proprio così.- con tono di soddisfazione. –Accidenti, se non fosse stata per l’incredibile somiglianza con la madre non l’avrei riconosciuta! Anche se ormai non è più tanto piccola. È una signorina!-

La piccola gonfiò il petto orgogliosa –Sì, ormai sono grande!- Il marchese la guardava rapito, stava crescendo a vista d’occhio quella bambina e forse stava iniziando a capire il perché del motivo della visita del vecchio amico. –Clelia, perché non portate la bambina a giocare con Giacomo. Credo sarà felice di avere qualcuno che gli faccia compagnia.- disse l’uomo alla contessa. – Mi sembra una splendida idea, che ne dici Isabella?- -Sì!Sì!- e così le due si incamminarono all’interno del palazzo, mentre i due uomini restarono all’aperto.

-Vedo dalla tua espressione ferdinando che hai già compreso il motivo per cui sono venuto.- disse il padrone. L’altro lo guardò –Credo proprio di si amico mio!- rispose, iniziando a camminare seguito da Giuseppe. Giunti nei pressi di un gazebo vi si sederono al di sotto, dove si trovavano un paio di sedie ed un tavolino. –Ebbene, che ne dici?- riattaccò il conte.

Il marchese non era del tutto convinto –Credi che un matrimonio tra Giacomo ed Isabella dia una buona idea?- - senza alcun dubbio! Riflettici bene: hanno su per giù la stessa età, i nostri territori sono confinanti, tuo figlio non sarà estraneo alle problematiche della nostra zona. Sarà vantaggioso per entrambi!- Il ragionamento di Giuseppe era logico: il potere di Giacomo si sarebbe ingrandito, inoltre lui e ferdinando erano amici fin dalla più tenera. Si fidava ciecamente di lui. Infatti a nessuno dei sue andava a genio di dare in sposi i loro figli a dei perfetti sconosciuti. –Hai ragione amico mio.- disse il marchese, alzandosi in piedi, seguito dall’altro – Abbiamo un accordo!- detto ciò si strinsero la mano.

***

 

Nel palazzo del marchese, intanto, i due bambini giocavano insieme, ma non sembravano andare un granché d’accordo…

-Lascia immediatamente il mio pupazzo!- urlò Giacomo. Il bambino era molt6o geloso delle sue proprietà, non era mai stato abituato a giocare con gli altri, ne, tanto meno, a condividerne i giocattoli. –Sei davvero egoista, lo sai!?- gridò, di rimando, Isabella. Anche lei era da ponderare viziata e prepotente, tutto ciò che voleva alla fine lo otteneva, non le era mai stato negato nulla.

-Santa pazienza…- sospirò la contessa, che sedeva con la balia del marchesino. Da quando la marchesa era venuta  a mancare lo aveva accudito come e più di una madre, e lo considerava come uno dei suoi figli. –altezza, vi sentite bene? siete pallida come un cencio…- disse la donna, preoccupata per Clelia. –Si si, sto bene, solo un po’ di stanchezza per il lungo viaggio… e sentire i bambini litigare non è certo una buona cura…- rispose, cercando di soffocare una risata e scatenando quella della donna. –Vi domando perdono maestà, non mi sono presentata come si deve.- disse, alzandosi per fare un inchino – Sono Agnese Ricardi, la balia del marchesino.- -Piacere di conoscervi signora Ricardi…- ma fu interrotta dall’anziana –Vi prego, chiamatemi Agnese. Non sono più una giovincella, ma non mi sento ancora così decrepita da essere chiamata signora!- disse ridendo. –Allora insisto perché voi chiamiate me Clelia. Maestà è troppo formale.-

-Metti giù i miei giocattoli!!!- le due donne trasalirono non appena sentirono le urla provenire dalla stanza in cui giocavano i bambini. La contessa si massaggiò le tempie –non credo sia stata una buona idea quella di farli giocare assieme…- disse sfinita. La vecchia signora sospirò –l signorino ha davvero un pessimo carattere…- - Anche quello di mia figlia non è decisamente docile… -

In quell’istante fecero il loro ingresso Giuseppe e ferdinando. –Salve signore. Che delizia per gli occhi vedere due così belle donne insieme nella propria casa.- disse il marchese. Anche se da poco aveva perso la moglie aveva ancora la voglia di scherzare. Era stato così fin da ragazzo, le donne gli restavano ammaliate dal suo senso dell’umorismo. Così era stato anche per Marianna, anche se da subito no lo aveva dato a vedere.

- ferdinando…- disse Agnese, soffocando una risata e dando un leggero colpo al marchese -…siete terribile!- - Avete ragione Agnese, ma è più forte di me. Se vedo delle belle donne devo fare lo sciocco. Giuseppe ve lo può confermare.- disse, volgendo lo sguardo all’amico – Assolutamente sì. Fin dalla più tenera età ha avuto questa mania.- rispose, sorridendo. –Che sbadato, sono davvero sciocco…- si disse ferdinando -… Giuseppe, questa è la balia di mio figlio, Agnese.- e li presentò. La donna si alzò e fece un profondo inchino verso l’uomo –Piacere di fare la vostra conoscenza.- - Il piacere è tutto mio signora.-

Il marchese notò che i piccoli erano nella stanza accanto, per il momento non aveva udito urla, per cui, pensò, stesse andando tutto bene. –I piccoli sembrano andare d’amore e d’accordo.- esclamò. –Purtroppo sembrano solamente…- commentò Clelia – Non hanno fatto altro che litigare…- continuò Agnese. I due uomini si guardarono preoccupati. Se i bambini non andavano d’accordo nemmeno per giocare, come avrebbero potuto governare insieme un regno? Cercarono di scacciare quei pensieri. –Forse…- iniziò Giuseppe -…devono solo abituarsi alla presenza l’uno dell’altra… in fondo è solo la prima volta che giocano insieme da solo, senza la nostra sorveglianza…- disse, più a se stesso e all’amico al suo fianco, che alle donne. –Forse avete ragione voi caro… -

-Smetti di tirarmi le cose!!!!!- urlò Isabella. La contessa e Agnese stavano alzandosi, ma furono fermate dai due uomini –Lasciate che i bambini risolvano da soli questa situazione… è solo l’inizio.- disse il marchese. Clelia posò prima lo sguardo su di lui, poi sul marito, era confusa dal significato di quelle parole –Cosa intendete dire ferdinando?- aveva il sospetto di saperlo, ma non voleva credere che in marito avesse preso una così importante decisione senza prima avvertirla. –Clelia, cara, il marchese ed io abbiamo or ora deciso che, un giorno, quando i bambini saranno grandi, si sposeranno… spero che la cosa ti renda felice… - Non era sicuro della reazione che avrebbe avuto la moglie. Sapeva di non essere stato leale nei suoi confronti, ma era anche convinto che lei non avrebbe approvato; non voleva per la figlia un matrimonio combinato, voleva che lei si sposasse per amore.

Nella mente di Clelia vi erano pensieri contrastanti: una parte di lei sapeva che non avrebbe mai potuto desiderare nulla di meglio per la sua unica figlia, i De Fiore erano una famiglia molto potente ed imparentarsi con loro avrebbe solamente giovato al buon nome del loro regno… ma l’altra sua parte, quella di madre, avrebbe voluto urlare, opporsi a questa decisione. Era un abominio decidere del futuro di due bambini ancora così piccoli! Imporre loro la persona con la quale avrebbero dovuto passare il resto della vita ed avere dei figli… non era giusto. Solitamente quest’ultima avrebbe prevalso, ma, stranamente, prevalse la parte razionale della sua anima. –Sono davvero lieta di questa notizia.- disse, sorridendo – Marchese, sembra che un giorno diventeremo parenti!- poi si rivolse al marito –Siete stato davvero molto saggio nella scelta del futuro padrone marito mio, ma la prossima volta gradirei mi fosse annunciato prima.- L’uomo le sorrise –Avete ragione mia cara, chiedo il vostro perdono.-

 

 

N.d.A.: Eco il quarto capitolo di questa storia! Chiedo scusa per l’immane ritardo, ma è stato un parto lungo e doloroso! ^^’ Spero, però, che il capitolo vi sia piaciuto e colgo l’occasione per ringraziare chi ha inserito questa storia tra le seguite, le preferite e le ricordate! E chi ha recensito e i lettori silenziosi!^^

Grazie mille a tutti/e!!^^

Un bacione e spero a presto!!

SoGi

 

 

 

   

  

          

 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** 5 ***


5



Erano passati ben dodici anni dall'accordo con il Marchese De Fiore riguardante il matrimonio tra i figli, quando Isabella aveva solo tre anni. All'età di otto anni venne mandata a studiare in un collegio femminile a Torino.

La separazione dai suoi genitori e dalla servitù, in particolar modo da Roberto e Diego, fu molto dura da superare. Fortunatamente le regole dell'istituto permettevano alle allieve di far ritorno a casa durante i periodi di vacanza, momenti che Isabella attendeva con immensa gioia.

Queste visite, però, si interruppero nell'estate del 1851, al compimento del suo undicesimo anno di età. Il motivo di tale comportamento restò segreto.

Malgrado il dispiacere di non avere la loro adorata figlia a casa, i conti furono lieti di appendere che il suo rendimento scolastico migliorò notevolmente.

Nel giugno del 1855 il percorso accademico della contessina terminò e, dopo quattro anni di assenza, giunse il momento di tornare a casa.


L'esile corpo di Isabella era appoggiato al sedile della carrozza, e il suo sguardo vagava assente dal panorama mostrato dal piccolo finestrino, ai genitori seduti di fronte a lei. Probabilmente se avesse fatto senza essere accompagnata da loro nessuno l'avrebbe riconosciuta... il suo aspetto in quegli anni era cambiato notevolmente: la sua pelle, un tempo leggermente imbrunita dal Sole, era divenuta candida e vellutata; il volto si era fatto più magro e maturo; le dita, un tempo tozze e cicciottelle, erano lunghe ed affusolate. I lunghi capelli biondi erano acconciati sapientemente dietro la nuca in una elegante crocchia. Indossava un semplice abito in mussola rosa pallido stile impero, con un nastro di raso di poche tonalità più scuro; le maniche a tre quarti le coprivano appena il gomito, aveva l'avambraccio scoperto e i polsi erano ricoperti dal leggero pizzo bianco dei guanti.


La carrozza sobbalzò parecchio, ma Isabella sembrò non accorgersene assolta com'era nei suoi pensieri.

Clelia e Giuseppe guardarono la figlia preoccupati. -Tesoro...- la chiamò la madre -Ti senti bene?- -Sì madre.- le rispose la ragazza, sforzandosi di sorridere.

La verità era che l'idea di far ritorno a casa le faceva provare sentimenti contrastanti: da una parte ne era felice, ma dall'altra del tutto impreparata ad affrontare Roberto. Sì, perché il motivo per cui la ragazza si era astenuta dal tornare a casa per tutto quel tempo era lui...


***

Giugno 1851

Da tre mesi non tornava a casa, e ora Isabella non vedeva l'ora di rivedere i suoi amici. Era già da tre anni che frequentava il collegio e, malgrado avesse delle compagne di stanza adorabili, nulla poteva battere l'incredibile senso dell'umorismo di Diego e la semplice presenza di Roberto. La ragazzina aveva iniziato a provare per l'amico d'infanzia dei sentimenti confusi: bastava una sua parola per farla volare nel più alto dei cieli, e un'altra per farla sprofondare nelle viscere della Terra.


Al tempo i ragazzi avevano quindici anni, praticamente degli uomini, ma dentro di loro avevano conservato quella vivacità tipica dei bambini. L'unione del trio, però, venne messa a dura prova dall'arrivo di Giannina... una ragazza poco più grande dei due. Aveva lunghi capelli castani, occhi scuri e una camminata suadente. Ogni qualvolta passava accanto a Roberto faceva cadere “casualmente” una mano sulla sua spalla. Questo gesto, agli occhi di Isabella, non passava inosservato.


-Ti piace?- chiese la ragazzina, seduta su un ceppo, intenta a guardare Roberto spaccare la legna. -Chi?- rispose lui, senza interrompere il suo operato. -Giannina...- sputò fuori quel nome come se fosse veleno. -Tu a lei piaci.- - Chi lo sa...- disse, facendo spallucce -Come mai questa domanda?- -Così...- e lasciarono cadere il discorso.


I giorni si susseguirono veloci, e in men che non si dica la vigilia della partenza di Isabella per far ritorno al collegio arrivò. Quella sera Maffeo preparò tutti i piatti preferiti della contessina: agnolotti con burro e salvia; anatra arrosto con verdure fresche e bonèt con nocciole.

Il conte permise, in via del tutto eccezionale, alla servitù di partecipare ai festeggiamenti e di pranzare al loro stesso tavolo.

Isabella danzò con tutti i presenti, compreso il buon Maffeo al quale, però, madre natura non aveva donato molta grazia nel ballo...


-Scusate contessina...- disse l'uomo, al termine del valzer -Non era mia intenzione farvi del male.- Per tutto il ballo,Maffeo non aveva fatto altro che pestare i piedi della ragazzina. -Non fa nulla Maffeo... so che non lo avete fatto di proposito.- disse Isabella, sorridendo malgrado il dolore.

In quell'istante, alle spalle del cuoco, apparvero Diego e Roberto.

-Santa pace, Maffeo! Avete reso i piedi di questa giovane fanciulla più sottili delle vostre tagliatelle!- lo canzonò il giovane staliere, appoggiandosi con il gomito sulla spalla destra dell'uomo. Dall'altra parte, Diego fece lo stesso, tenendo in mano un piatto di agnolotti fumante. -Tieni Maffeo...mangia!- disse, porgendoglielo, posando subito la mano sulla pancia rotondetta dell'uomo.- Non vorrei che i sacrifici fatti in questi anni venissero vanificati da tutto quel movimento!-


Il volto di Maffeo divenne paonazzo, sia per la rabbia sia per l'imbarazzo che i due ragazzi gli stavano provocando. Mentre Isabella a stento riuscì a trattenere le risate. L'uomo stava per ribattere, ma fu interrotto da Roberto.-Guardate e imparate!- disse, per poi rivolgersi a Isabella. -Mi concedete questo ballo?-

La ragazza sorrise, annuì e accettò la mano che il ragazzo le porgeva.


Il tempo per cui danzarono fu breve, ma bastò a Isabella per comprendere ciò che provava per Roberto: poteva essere... amore? O meglio una leggera infatuazione.

-Avete visto come si fa?- chiese il ragazzo a Maffeo, il quale si limitò a mugugnare qualcosa di incomprensibile prima di salutate i padroni e ritirarsi per la notte.

Non passò molto tempo che anche gli altri seguirono l'esempio del cuoco. Anna e Caterina si avvicinarono ad Isabella e la strinsero in un dolce abbraccio. -Arrivederci Contessina. - le disse Diego, strizzandogli l'occhio com'era solito fare. Roberto, invece, si limitò a farle un inchino. -Fate buon viaggio contessina.- vi fu una piccola pausa. -Ci mancherete molto.-

Isabella non resistete più, e in un impeto di tristezza afferrò i due ragazzi e li abbracciò alla vita scoppiando in lacrime.


Erano le due passate quando Isabella, stufa di rigirarsi nel suo letto e si diresse verso le stanze della servitù. Prima di partire sentiva l'esigenza di confessare tutto a Roberto. Sapeva bene che il suo sentimento non poteva avere futuro, ma dopo le parole dolci che le aveva detto alla fine della festa, forse poteva ricambiarlo un poco...


In un paio di minuti raggiunse le anguste camerate, ma si bloccò sentendo delle voci. -No, non qui... potrebbero sentirci...- disse quella che sembrava una donna, la quale emise delle risatine. -Ma chi vuoi che ci veda? Erano tutti così ubriachi che non si alzerà nessuno fino a domattina... dai, vieni qua!-

Al suono della seconda voce Isabella si sporse un poco. Era familiare... troppo familiare...

L'immagine che le si parò davanti agli occhi le fece mancare un battito: Giannina era con la schiena appoggiata al muro e teneva le braccia intorno al collo di Roberto. Questo le cingeva i fianchi e avvicinò il suo viso in modo pericoloso a quello della giovane. Fu questione di un attimo e le labbra dei due si unirono.

Isabella non resistette e, in lacrime, corse nella sua stanza. Poco le importava che quei due la sentissero...


***


Quella fu l'ultima estate che Isabella trascorse lontano dal collegio. A nulla valsero le richieste che i genitori le facevano durante le loro visite, la decisione della ragazza fu irremovibile.

-Non sai quanto sei mancata a tutti in questi anni cara.- le disse Clelia, stringendole la mani. Isabella non rispose, ma si limitò a sorridere. Il suo sguardo volò nuovamente verso i paesaggi mostrati dal finestrino. Si poteva intravedere in lontananza il palazzo. Presto il viaggio sarebbe terminato.



N.d.A.: Salve a tutte/i , nel caso in cui ci fossero anche dei maschietti all'ascolto! ;-) Scusate il solito ritardo con il capitolo, ma il tempo vola!;( E chiedo scusa anche per la confusione nel testo. L'idea c'era, ma la poca capacità nello scrivere anche ;-( Comunque... la nostra Isabella ha finalmente raggiunto un'età in cui potremmo fare avvenire qualcosa di concreto! ^^ Scusate anche il salto temporale, ma è stato necessario per rendere la storia un po' meno noiosa...

Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Se volete ditemi cosa ne pensate! ^^

Grazie a chi segue, preferisce e ricorda questa storia. Grazie a chi ha recensito, a chi vuole farlo e a chi legge!!

Un bacione!!

SoGi

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Capitolo 6
*** 6 ***


6

6

 

Dopo sette estenuanti ore il viaggio verso l’abitazione dei conti Miroglio era terminato.

Isabella, vedendo la sagoma del palazzo avvicinarsi sempre più, avvertì un formicolio allo stomaco. Per molto tempo aveva desiderato farvi ritorno, ma ora che il momento era giunto si rese conto che ciò avrebbe significato affrontare gli spettri del passato. Cercò di scacciare dalla mente l’immagine di quella notte e strinse i pugni. Ripensandoci per lei fu un bene ricevere una simile lezione: Roberto null’altro era che un semplice servo, ciò che faceva in privato non la riguardava affatto, a meno che non recasse un danno diretto alla sua famiglia. Inoltre le aveva dato la giusta motivazione per non “fuggire” dal collegio ogni qualvolta ne aveva la possibilità. In tal modo il suo apprendimento ne aveva giovato.

-Cara, sei felice? - chiese Clelia alla figlia, prendendole le mani fra le sue –Tra poco sarai di nuovo a casa. -

-Sono certo che tutti saranno lieti di rivederti dopo tutto questo tempo. - terminò Giuseppe. Entrambi ottennero solamente un sorriso e un accenno col capo come risposta.

 

Dopo pochi minuti la carrozza si arrestò. Isabella tirò un profondo respiro, il momento era giunto. Per primi scesero i genitori, poi fu il suo turno. Non appena mise la testa fuori dall’abitacolo i suoi occhi rividero volti che da anni non incrociavano. Erano appena un poco più vecchi e stanchi, ma nessuno risultava irriconoscibile: la signora Caterina ed Anna, ripresesi dallo stupore, si stavano asciugando gli occhi con un fazzoletto, Giudo stringeva al petto il suo solito capello di paglia semi distrutto e piegava il capo in segno di saluto, mentre Maffeo tentava, invano, di trattenere le lacrime.

 

Isabella rimase immobile per un paio di secondi, facendo vagare il suo sguardo ancora una volta sulla piccola folla radunata. Inconsciamente tirò un sospiro di sollievo nel notare l’assenza di Roberto. Il momento di affrontarlo non sembrava ancora essere giunto. E nemmeno l’assenza di Diego sembrava averla sorpresa molto: i due ragazzi erano da sempre inseparabili. Sicuramente erano insieme.

Lentamente scese la piccola scala rivolgendo un sorriso a tutti, ma senza avvicinarsi a nessuno di loro. Malgrado avesse voluto più di ogni altra cosa correre ed abbracciarli, si trattenne, e si limitò a piegare le labbra in un timido sorriso.

 

Caterina e Anna le si avvicinarono, con discrezione. Alle due donne non era sfuggito affatto lo strano comportamento della giovane, ma lo attribuirono entrambe al ritorno dopo anni di assenza.

-Contessina…- iniziò la più anziana -… siete diventata un’incantevole fanciulla. La vostra assenza si è fatta molto sentire in questi anni. - concluse, cercando, invano, di trattenere nuovamente le lacrime.

-Vi ringrazio signora Caterina… - replicò la giovane, posandole leggermente una mano sul braccio. – Anch’io ho sentito molto la vostra mancanza. E quella di tutti voi. – disse, rivolgendosi al resto della servitù. –Ora, se non vi dispiace, sono molto stanca e vorrei andare a riposare…- salutò e si avviò alle sue stanze, mentre i giovani valletti Carlo e Enrico si occuparono dei suoi bauli.

 

***

 

-Berto… vuoi ancora un po’ di vino? – chiese una delle cameriere della locanda del paese, rivolgendosi al ragazzo accasciato sul tavolino.

-Credo di averne bevuto abbastanza per oggi…- rispose, alzando la testa e mostrando gli occhi arrossati e assonnati. Si voltò verso la piccola finestra e vide che il cielo era ormai buoi. Dovevano essere le dieci passate considerando la posizione della Luna. Con molta fatica diede una pacca sulla spalla Diego, anch’egli crollato. –Dai svegliati… Fuori è notte. Faremo meglio a tornare. – la risposta dell’amico furono dei lamenti incomprensibili, ma dopo poco si tirò in piedi.

Pagarono il conto e, dopo aver salutato le ragazze che li avevano amorevolmente serviti, si diressero barcollanti verso il palazzo.

 

-Sai, vero, che una volta arrivati tua madre e mia nonna andranno delle furie. – disse il giovane cuoco.

Roberto scrollò le spalle. – Ormai ci saranno abituate… e poi cosa pretendevano? Che rinunciassimo al nostro giorno libero per il ritorno di quella mocciosa? – non riuscì a trattenere una risata. – Non credo ci sperassero nemmeno loro. –

-Lo so… però Isabella non tornava da così tanto tempo. Non credo le abbia fatto piacere la nostra assenza. –

Lo stalliere si bloccò d’un tratto e strinse i pugni lungo i fianchi. – Se le avesse fatto piacere la nostra compagnia non avrebbe interrotto le sue visite! – sbottò, in un impeto di rabbia.

Diego fece per replicare, ma desistette. Conosceva fin troppo bene Roberto per non accorgersi che quel suo eccesso di rabbia non era solo frutto della sbornia, ma serviva per celare il dolore provato per gli anni di assenza di Isabella.

 

Le restanti miglia di viaggio le passarono ridendo e scherzando, scordandosi quasi del tutto dello sfogo di prima.

 

Giunsero a palazzo che dovevano essere le due passate. Cercando di fare meno chiasso possibile, passarono per il cortile. Fortunatamente tutto il personale si era già ritirato nelle proprie stanze. “Meglio così…” pensò Roberto. Almeno per il momento si sarebbero risparmiati la solita ramanzina da parte di Anna e Caterina.

 

-Io vado a letto…- disse Diego, appena giunsero nei pressi di una delle porte d’ingresso alle cucine. –Vieni anche tu? –

 

Roberto, accasciatosi su di una delle panchine presenti, come risposta alzò un braccio e, con il dito indice, fece cenno di no. Nelle condizioni in cui si trovava sarebbe stata un’impresa troppo ardua salite sei rampe di scale senza svegliate tutti. Un po’ di aria fresca gli avrebbe fatto bene, decise.

 

Dopo pochi minuti, però, si dovette alzare a causa della nausea che lo colse. Si mise in piedi e andò verso il giardino per cercare di placare la sgradevole sensazione. L’estate era alle porte, per sua fortuna, e il debole vento aveva trattenuto ancora un poco del caldo della giornata. Molto più arduo, invece, sarebbe stato trovare un rimedio a bevute di quella portata durante i mesi invernali. Aveva, però, ancora un paio di mesi prima di doversene preoccupare.

 

Inoltrandosi ancora un poco nel giardino, vide in lontananza la sagoma di qualcuno. Incuriosito continuò ad avanzare. Si trattava certamente di una ragazza. “Cosa ci faceva una ragazza in giro a quell’ora?”  Roberto la squadrò da capo a piedi: aveva un fisico esile, coperto da una veste forse troppo larga per lei, mentre i capelli erano legati in una treccia che le arrivava fino a metà schiena. La figura non somigliava a nessuna delle cameriere del palazzo, doveva trattarsi di una ladra, giunse alla conclusione il ragazzo. Lentamente iniziò ad avvicinarsi.

 

***

 

Per l’ennesima volta quella sera Isabella si rigirò nel letto. Inutile… non riusciva a prendere sonno. Molteplici potevano essere le cause: il lungo viaggio, l’emozione di rivedere tutti a palazzo, il cambio di letto…

 

La ragazza si mise a sedere e guardò il piccolo orologio posato sulla toeletta. Le due e mezzo del mattino. Sospirando si alzò dal letto e, indossando una delle vestaglie, si diresse verso le scale. Forse due passi all’aperto le avrebbero fatto bene. Inoltre a quell’ora non avrebbe corso il rischio di incontrare nessuno, o almeno quello era ciò che sperava.

 

Decise di fare una bella passeggiata nei giardini. Da tempo non aveva la possibilità di camminare in solitudine. Le rare occasioni in cui la responsabile del collegio aveva permesso alle alunne di uscire dall’istituto si era sempre ritrovata circondata da ragazze troppo frivole per i suoi gusti, e con cui non aveva nulla in comune.

 

L’aria tiepida la investì non appena uscì dalla piccola porta di servizio, e un sorriso le si formò sul viso posando gli occhi sull’enorme distesa verde. Per la prima volta, in quella giornata, si sentiva veramente a casa.

 

Scordandosi delle regole del protocollo, Isabella si sfilò le pantofole e camminò a piedi nudi. La sensazione dell’erba leggermente bagnata sulla pelle aveva sempre avuto un effetto rilassante su di lei.

 

Con le scarpette in mano si diresse verso il centro del giardino, probabilmente la parte che preferiva. Forse perché era proprio lì che aveva conosciuto Roberto… scosse violentemente la testa. Non doveva pensare a lui.

 

Si fermò dopo pochi passi, avvertendo una presenza alle sua spalle e, immediatamente dopo, lo scricchiolio dell’erba calpestata da delle scarpe. Isabella si bloccò, per poi iniziare a tremare non appena sentì le mani dello sconosciuto poggiarsi sulle sue spalle.

 

Doveva trattarsi di un bandito. Avrebbe voluto gridare aiuto, ma nessuno l’avrebbe sentita distante com'era ’al palazzo. Inoltre vi era la possibilità che l’uomo fosse armato e che la facesse fuori nel momento in cui l’avesse sentita muoversi.

 

-E tu chi saresti? – le chiese, soffiandole nell’orecchio. Isabella sgranò gli occhi… non poteva essere lui. Non poteva trattarsi di Roberto, ma avrebbe riconosciuto la sua voce fra mille altre. Riprese a tremare, ma questa volta di rabbia, strinse i pugni così forte che le nocche le divennero bianche e le lacrime iniziarono a salirle agli occhi. Piuttosto che lui, avrebbe preferito indubbiamente si trattasse di un bandito.

 

Non ricevendo alcuna risposta, Roberto riprese a parlare.

-Se non vuoi dirmelo, te lo dico io chi sei… sei solo una ladruncola da quattro soldi che è riuscita ad intrufolarsi in questo palazzo…-

 

Isabella raccolse tutta la forza di cui disponeva per mantenere la calma. Prima di rivelarle chi era realmente voleva conoscere lo scopo del ragazzo. Non smise, comunque, di tremare.

 

-Non avere paura… non ho alcuna intenzione di farti del male… - continuò.

“Paura?” si disse la contessina. La paura era l’ultimo dei sentimenti che provava in quel momento.

 

-Sai… ci sarebbe un modo per fartela passare liscia…- dicendo ciò, le mani di Roberto scesero lungo la braccia di Isabella, per poi posarsi sui fianchi.

 

In un primo momento la ragazza chiuse gli occhi e rabbrividì. Per anni aveva sognato di ritrovarsi sola con lui e tra le sue braccia. Percepire la salda presa sulla sua vita la fece sentire mal ferma sulle gambe. Per un attimo ebbe la tentazione di cedere… nella sua mente, però, tornò a galla il ricordo della sera in cui lo vide trascinare Giannina con sé in una stanza. Tutte le splendide sensazioni svanirono, lasciando spazio alla rabbia.

 

Fu questione di pochi secondi: Isabella mise le proprie mani su quelle di Roberto, scostandole si girò verso di lui e, con il braccio destro testo, gli assesto un ceffone diritto in viso.

 

Il ragazzo restò inizialmente impietrito, per poi voltarsi verso di lei fumate di rabbia.

-Ehi! Ma che diavolo…- le parole gli morirono in bocca non appena mise a fuoco il volto della giovane. Roberto sgranò gli occhi – Isabella? – sussurrò.

 

N.d.A.: Dopo quasi un anno e mezzo eccomi qui ad aggiornare questa storia! Non ho parole per chiedere scusa a chi la seguiva. Spero che possiate perdonarmi e che vi possa interessare ancora andare avanti con la sua lettura… Grazie a chi avrà avuto voglia di leggere il capitolo e, se vi va, ditemi cosa ne pensate! ^.*

Un bacione enorme!

SoGi

 

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Capitolo 7
*** 7 ***


7

 

-Isabella… sei proprio tu… - esclamò Roberto, piegando le labbra in un sorriso e avvicinandosi alla ragazza come per abbracciarla. Malgrado le parole dure che aveva pronunciato qual pomeriggio, in cuor suo non stava più nella pelle all’idea di rivedere dopo tutto quel tempo l’amica d’infanzia.

 

Isabella lo fulminò con lo sguardo e Roberto si immobilizzò.

-Come osi rivolgerti alla tua padrona in questo modo!?- sibilò lei tra i denti.

 

Sconvolto più dal tono che dalle parole usate da Isabella, il ragazzo cercò di posare la sua mano sul braccio della ragazza.

-Isabella… ma che ti prende? – chiese, venendo bruscamente respinto e notando che la contessina stava arretrando aumentando la distanza fra loro.

 

-Non permetterti mai più di toccarmi, hai capito! Altrimenti giuro che ti faccio cacciare da questo palazzo! –

 

Isabella sentiva le lacrime pungerli gli occhi, non avrebbe resistito ancora molto tempo prima di scoppiare e piangere. Con uno scatto si mise a correre verso l’ingresso del palazzo, senza che Roberto la fermasse.

 

Giunse a grandi passi nella sua stanza e si gettò sul letto, potendo dare finalmente sfogo al pianto. Sapeva che il momento in cui avrebbe rivisto Roberto sarebbe giunto, ma non avrebbe mai immaginato che potesse essere così doloroso.

 

***

 

La mattina seguente Anna si diresse nelle cucine per preparare, come ogni giorno, la colazione per i padroni e i colleghi. Solitamente si occupava lei del primo pasto della giornata in quanto Maffeo ogni sera restava in piedi fino a tardi per poter lavare le stoviglie e aveva bisogno di riposo.

 

Entrando nella stanza si sorprese nel trovare seduto accanto al tavolo suo figlio che, sentendo dei passi, si voltò verso di lei.

 

Le profonde occhiaie che il ragazzo aveva lasciavano intuire che quella notte non avesse chiuso occhio. La donna, però, fece finta di nulla.

-Già alzato Berto? – gli chiese, sorridendogli amorevolmente, prendendo posto accanto a lui.

 

-Non ho chiuso occhio… - le rispose, incrociando le braccia sul tavolo e appoggiandoci la fronte. –Non mi sono sentito molto bene. – mentì –devo aver esagerato con il vino ieri… -

 

-Povero il mio bambino… - disse Anna, alzandosi e dirigendosi verso un secchio di latta su di uno scaffale. – Sai cosa mi diceva sempre mia madre? – chiese, voltandosi nuovamente verso il figlio. Il ragazzo, scorgendo nelle parole della madre un certo divertimento, avvertì un brivido percorrergli la schiena. –Diceva che non c’è niente di meglio che un po’ di sano lavoro per far passare i sintomi di una sbronza! –

 

-C…come scusa? –

 

-Dovresti andare nella stalla, mungere e portarmi il latte per la colazione. - terminò, sorridendo e porgendogli il secchio, facendo avverare i timori di Roberto.

 

-Starai scherzando spero! – chiese, sgomento, il ragazzo facendo ricadere la testa sul tavolo.

 

-Nessuno scherzo. – riprese Anna, con tono serio –Questa è la punizione giusta per essere mancato ieri al ritorno di Isabella. Ti è sembrata un’azione corretta nei confronti della padroncina? – si mise la mani sui fianchi – Anche se non lo ha dato a vedere, sono certa che l’assenza tua, e anche quella di Diego, l’abbiano ferita molto! -

 

Roberto si appoggiò allo schienale e incrociò le braccia al petto. – Non credo proprio. – disse, puntando gli occhi in quelli della madre, quasi in gesto di sfida, ma desistendo subito. Sospirando si mise in piedi e, con passo deciso, prese il secchio di mano alla donna uscendo, lasciando la donna sbigottita: solo in quel momento si era resa conto che il figlio aveva uno strano segno rosso sulla guancia sinistra…

 

***

 

 

In pochi minuti Roberto raggiunse la stalla. La mungitura non era una delle sue mansioni preferite, ma in quel momento avrebbe svolto qualunque lavoro, pur di tenere la mente occupata.

 

Prese lo sgabello accanto alla porta e si avvicinò alla prima delle bestie legate in fila e iniziò il lavoro.

 

-Berto! – al suono del suo nome il ragazzo fece un piccolo sobbalzo, cercando il proprietario della voce. Dala porta si fece avanti il vecchio Guido, sorretto da un bastone. –Devo star sognando! Tu già in piedi a quest’ora e che ti occupi di mungere le vacche? –

 

Vedendo l’amico, Roberto sorrise. – Ebbene sì… purtroppo oggi questo increscioso compito è toccato a me. –

 

-Avevi per caso le pulci nel letto, che lo hai lasciato così presto? –

 

-Magari amico mio! Magari fosse questo! Questa notte il letto non l’ho proprio visto! –

 

-Oh bontà divina! – esclamò Giudo, arrossendo lievemente –Cosa devono sentire le mie orecchie! –

 

Il giovane scoppiò un una fragorosa risata. –No, non è come pensi tu. Non riuscivo a prendere sonno, così ho passato la notte sulla panchina nel cortile. –

 

Il vecchio annuì e gli si avvicinò un poco, strizzando gli occhi. –Come ti sei fatto quel segno sulla guancia? – gli chiese, prendendogli il mento fra le mani e voltandolo per esaminare meglio il livido.

 

-Ehm… nulla… - disse Roberto, scostandosi dalla presa – Ieri sera ho bevuto un po’ troppo e uscendo dalla locanda ho urtato contro la porta. – rise e riprese il lavoro.

 

-Dovevi essere davvero ubriaco, per dare far colpire la guancia, anziché la fronte… - replicò, dubbioso, l’altro.

 

Roberto deglutì rumorosamente – G…già… sono stato proprio uno stupido… -

 

-Bene… - continuò Giudo – Vedo che hai molto lavoro da fare per ora. Ti aspetterò in cucina per la colazione, così potremmo iniziare subito con il lavoro nei campi. – terminata la frase, il vecchio uscì lasciando Roberto solo.

 

***

 

-Trovo che sia una splendida idea. – disse Clelia, rivolta al marito, che annuì soddisfatto. L’uomo aveva proposto alla moglie di organizzare un ballo in onore della figlia. Inoltre i conti avrebbero approfittato dell’occasione per far sì che Giacomo, il promesso sposo di Isabella, e la ragazza passassero un poco ti tempo insieme.

 

-Vedrai, anche Ferdinando sarà felice di questo. - riprese il conte – Ormai i ragazzi hanno quindici anni, l’età giusta per poter organizzare un matrimonio. –

 

-Oh caro… - esclamò la donna, portandosi una mano alla bocca –Non credi sia troppo presto? In fondo i ragazzi si sono visti un'unica volta da bambini… -

 

-So bene che l’idea non ti piace cara, ma pensa al bene di nostra figlia. – disse Giuseppe, alzandosi e avvicinandosi alla finestra – I marchesi De Fiore sono molto facoltosi, e Giacomo assicurerà un futuro più che sereno per Isabella. –

 

Clelia sospirò. – Hai ragione caro… solo non so come potremmo dirlo a nostra figlia… -

 

Proprio in quel momento Isabella entrò nella stanza, attirando su di sé gli sguardi dei genitori.

 

-Oh tesoro… - esclamò Clelia – Vieni, siedi qui. – le disse, indicando alla ragazza la sedia accanto a lei.

 

Isabella obbedì. Fortunatamente la notte, passata quasi insonne e in lacrime, non aveva lasciato segno troppo evidenti sul viso della ragazza, che non poté che esserne sollevata. Non avrebbe dovuto dare spiegazioni ai genitori.

 

-Vedi cara, tuo padre ed io abbiamo qualcosa da dirti… -continuò la donna, volgendo lo sguardo al marito.

 

-Ditemi… -

 

-Ecco… - iniziò Giuseppe – Avevamo intenzione di organizzare un ballo in tuo onore… -

 

Ad Isabella si illuminarono gli occhi – Un ballo? –

 

Giuseppe annuì - Non solo quello, però… ci sarà anche un ospite speciale, che verrà solo per te. –

 

La ragazza guardò il padre incuriosita. –Posso chiedere di chi si tratta? –

 

-Del marchesino Giacomo De Fiore. – rispose il padre.

 

-Ti ricordi di lui? – intervenne la madre – Vi siete conosciuti alcuni anni fa. Ora è divenuto un giovanotto bello e sano. Sia lui che suo padre non vedono l’ora di rivederti. –

 

Isabella rifletté alcuni istanti, fino a quando un lampo le illuminò la mente. Malgradi si sforzasse non le riusciva proprio di immaginare Giacomo De Fiore, che ricordava come un bambino viziato e antipatico, come un bel ragazzo. Decise, comunque, di sorridere alla notizia. –Sarei lieta di rivederli. –

 

Senza dubbio anche il giovane marchese doveva essere cambiato molto e, di sicuro, si sarebbe rivelato un’ottima compagnia.

 

 

N.d.A.: Ecco, dopo un secolo, il settimo capitolo!! ^^

Spero vi sia piaciuto! Ringrazio chi ha avuto la pazienza di leggerlo! ^^ E mi scuso peri continui ritardi nell’aggiornamento! -.-‘

Grazie a tutti!!

Un bacione!

SoGi

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Capitolo 8
*** 8 ***


8

 

I giorni passarono frenetici: Caterina e Anna mobilitarono l’intero personale per la preparazione del ballo in onore di Isabella, mentre Maffeo si impegnò al meglio per cucinare i patti migliori del suo repertorio.

 

-Uff…- si lamentò Diego – Non potremmo fare una pausa? – chiese il giovane al capo cuoco, che in risposta gli diede un colpo con la mano sul capo. –Ahi! Ma che ho fatto di male? –

 

-Che hai fatto?! – sbraitò Maffeo – Tanto per cominciato hai imparato a parlare! Sono quattro giorni che non fai altro che lamentarti! –

 

-Se non mi avessi costretto tutte le mattine ad alzarmi alle sei e ad andare a letto all’una passata, senza fermarmi un momento, forse non mi lamenterei così tanto, non credi?  Ahi! – Diego venne colpito nuovamente dalla mano di Maffeo.

 

-Smettila di essere così insolente ragazzo! Questo ballo è molto importante per i conti, e soprattutto per Isabella. –

 

Il giovane sbuffò. –Se fosse così importante per lei credo che sarebbe venuta almeno una volta a controllare se i preparativi stanno andando bene, no? Invece non si è mai fatta vedere da che è tornata. –

 

Maffeo sospirò. Non poteva dare torto a Diego… il comportamento di Isabella era cambiato molto in quegli anni: da bambina non faceva altro che gironzolare per l’intero palazzo in cerca della compagnia di Roberto o Diego, mentre ora sembrava quasi evitarli. D’altra parte, però, questo era il comportamento da spettarsi da una padrona… i suoi pensieri vennero interrotti dal suono delle campane della chiesetta vicino.

 

-Maledizione! – esclamò Maffeo, rivolgendosi poi a Diego –Dobbiamo sbrigarci! Tra poco sarà ora di pranzo! –

 

***

 

I conti e Isabella si accomodarono in sala da pranzo, seguiti da Anna.

 

-Chiedo scusa per il leggero ritardo con cui il pasto verrà servito signori…- iniziò proprio la donna – In questi giorni Maffeo è stato molto occupato con il menù del ballo che… -

 

-Non fa nulla cara Anna. – la interruppe, sorridendo, Clelia – Sono molto dispiaciuta, anzi, che il povero Maffeo si stia dando tanto disturbo. –

 

-Siete troppo buna contessa… ma non temete, per lui non è affatto un disturbo. Anzi per lui è un vero piacere. – in quell’istante suonò il campanello della cucina e Anna fece un piccolo inchino. – Se non vi dispiace, la mia presenza è richiesta al piano inferiore. –

 

-Prego, prego Anna andate pure. – disse Giuseppe, congedandola con un cenno.

-Bene figlia mia… sei emozionata per l’imminente ballo? -  

 

-Certo padre. – rispose Isabella, con quanto più entusiasmo poté. In realtà non le importava molto di quel genere di cose, ma l’evento sembrava rendere felici i suoi genitori, e questo le bastava. –Ehm padre? - chiese, richiamando l’attenzione dell’uomo – Dopo pranzo potrei fare un giro a cavallo? –

 

-Certo cara. In fondo sei un’eccellente cavallerizza. – disse semplicemente Giuseppe in risposta, mentre sul volto della moglie si dipinse un’espressione preoccupata.

 

In quell’istante entrò nella stanza la signora Caterina, con il carrello del pranzo.

 

***

 

-Finalmente! – esclamò Roberto, accasciandosi sulla sedia, seguito da Diego. –Credevo che mezzogiorno non arrivasse più! – continuò, versando un po’ di vino sia a sé stesso che all’amico.

 

-A chi lo dici! Maffeo mi ha fatto sgobbare come un matto per tutta la mattina! Ahi! Di nuovo! – urlò, rivolgendosi all’uomo che, per la terza volta quel giorno, lo aveva colpito, e che in quel momento stata versando della zuppa nelle ciotole poste sul tavolo.

 

-Dovresti proprio imparare a tenere a freno quella linguaccia che ti ritrovi. – poi Maffeo si rivolse a Roberto –Bene… vedo che quel brutto segno che avevi non ha rovinato il tuo bel faccino…- disse, con tono sarcastico.

 

-Eh già, hai visto? – replicò, mostrando meglio la guancia incriminata.

 

-Mi chiedo cosa tu possa aver detto ad una donna per farti tirare un ceffone così potente… -  

 

Roberto sospirò – Ho già detto che ho sbattuto contro lo stipite di una porta della locanda! –

 

-Certo, certo…- continuò Maffeo, prendendo posto a sedere – E io sono nato ieri. –

 

La discussione venne interrotta dall’ingresso di Caterina, che si sedette accanto ad Anna.

 

Ora che la servitù era al completo, i commensali iniziarono a consumare il loro pasto in silenzio.

 

-Oh…- esclamò Caterina –Prima che mi passi di mente… Roberto, dopo pranzo dovresti sellare Fiamma, il cavallo della contessina se non ti spiace. –

 

Il ragazzo annuì, senza proferire parola. Da quella fatidica sera non aveva più rivisto Isabella e, ne era certo, non le avrebbe fatto piacere vederlo quel pomeriggio. Nemmeno per il breve tempo che avrebbe impiegato per montare a cavallo…

 

***

 

Appena terminò il pasto, Roberto si alzò da tavola per dirigersi verso le stalle. Forse se avesse fatto in fretta avrebbe evitato Isabella.

 

Purtroppo, però, Fiamma non era del suo stesso avviso. La giovane Andalusa grigia era più irrequieta del solito. Le numerose volte in cui Roberto l’aveva sellata per farle un poco di esercizio, l’animale si era sempre mostrato docile e accomodante, mentre in quel momento era appena riuscito a farle calzare la capezza.

 

-Che c’è Fiamma… - le disse, carezzandole il muso - … non hai voglia di rivedere la tua padrona? – la cavalla, in risposta, gli si strofinò contro. –Ti sei sentita trascurata da lei, vero? – continuò, senza accorgersi della figura che si stava avvicinando alle sue spalle.

 

-Roberto? – chiamo Isabella, cercando di mantenere un tono autoritario, e facendo voltare il ragazzo – È pronto il mio cavallo? –

 

Il giovane, per un momento, rimase senza parole. Isabella indossava un semplice abito nero, con sopra una giacca leggera marrone stretta in vita; i capelli erano raccolti dietro la nuca e coperti da un cappello dello stesso colore dell’abito.

 

Lo sguardo di Roberto si soffermo per alcuni secondi sul seno della ragazza, messo in risalto dai bottoni della giacca, distogliendolo, poi, imbarazzato. Aveva già potuto constatare di persona il cambiamento di Isabella, la sera in cui l’aveva scambiata per un’intrusa, ma fino a quel momento non ci aveva mai riflettuto…

 

-Allora? – chiese, nuovamente la giovane, spazientita.

 

-Ehm… scusate contessina…- disse, prendendo la sella e poggiandola sulla schiena della cavalla. – Devo solo allacciare il sottopancia e potere partire. –

 

In pochi secondi Fiamma fu pronta per la sua padrona. – Ecco contessina… - riprese Roberto – Se volete potete andare. – fece un piccolo inchino, e si offrì di aiutarla a montare in sella.

 

Isabella si avvicinò all’animane e vide il ragazzo accovacciarsi e giungere le mani in modo che possa usarlo come appoggio con il piede. Malgrado non vi fosse stato vero contatto fisico, il cuore della ragazza mancò un battito. Cercando di ignorarlo ringraziò il ragazzo e partì.

 

Rimasto solo, Roberto, richiuse lo scomparto di Fiamma e, cercando di ignorare quella strana sensazione che aveva avvertito al petto aiutando Isabella, e prese la strada peri campi dove Guido lo attendeva.

 

***

 

Il pomeriggio passò più velocemente del solito, e il Sole stava già tramontando.

 

-Finalmente abbiamo finito… - disse Roberto, asciugandosi la fronte con la manica della camicia.

 

-Sì. Abbiamo fatto un buon raccolto. – Giudo guardò il carro su cui avevano appena terminato di caricare il legname. – Direi che possiamo avviarci verso il palazzo. –

 

Il ragazzo annuì e, insieme all’amico, salì sul seggiolino del carretto e prese in mano le briglie.

 

Appena giunsero nel cortine avvertirono uno strano trambusto provenire dall’abitazione. Prima che potessero scendere dal carretto, vennero raggiunti da una disperata Caterina.

 

-Che accade Caterina? – chiese Giudo, avvertendo una sorta di agitazione alla vista della donna in quello stato.

 

-La contessina… la contessina è sparita… -

 

-C…come sparita? – chiese Roberto, alzandosi in piedi.

 

-E…era uscita per una cavalcata…- continuò la donna, con le lacrime che le rigavano le rugose guance. – Il… il suo cavallo è tornato senza di lei… il conte e Diego sono andati a cercarla poche ore fa, ma non sono ancora tornati… -

 

Roberto saltò in groppa al cavallo legato al carretto. – Vado anch’io. – disse, sganciando l’animale e uscendo dal cortile.

 

Non sapeva bene dove potesse essersi cacciata Isabella, ma il suo istinto lo porto nei pressi del bosco poco distante dal palazzo.

 

 

N.d.A.: Dopo un altro decennio eccomi con il capitolo 8! ^^ Sono felice che, malgrado gli aggiornamenti molto lenti, i lettori che seguono la storia continuino ad aumentare! Sono davvero contentissima!

Spero che questo capitolo vi piaccia! ^^

Grazie per aver perso un pochino di tempo per leggerlo! ^^

Un bacione!

 

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Capitolo 9
*** 9 ***


9

 

Isabella era seduta in giardino con la schiena poggiata al tronco di un albero e la caviglia destra sopra un morbido cuscino. La slogatura le faceva ancora molto male, ma nulla rispetto a pochi giorni prima…sospirando posò in grembo il libro che stava leggendo. Se solo avesse fatto più attenzione, nulla di tutto quello sarebbe accaduto.

 

Malgrado fossero anni che non andava a cavallo, la passeggiata con Fiamma stava procedendo nel migliore dei modi. La cavalla sembrava aver riconosciuto la padrona, e di questo Isabella ne era felice. Forse solo con quell’animale era libera di comportarsi come preferiva, senza preoccuparsi delle convenzioni sociali.

 

La ragazza decise di inoltrarsi un poco nel boschetto, il Sole era ancora abbastanza alto in cielo, e se avesse fatto in fretta, non sarebbe stata colta dal buio.

 

Un fruscio sospetto attirò l’attenzione di Isabella. Tutto accadde nel giro di pochi secondi: un serpente uscì dalla boscaglia e, passando fra gli zoccoli di Fiamma, la fece imbizzarrire. La contessina cercò, invano, di calmarla, ma cadde a terra battendo la testa e perdendo conoscenza.

 

Isabella restò priva di conoscenza per un tempo indefinito prima di riaprire gli occhi. Ignorando il dolore alla testa, cercò di mettersi in piedi, ma una fitta proveniente dalla caviglia destra la fece desistere. Doveva essersela storta durante la caduta, pensò.

 

Il silenzio del bosco venne interrotto dal rumore di zoccoli in avvicinamento. Isabella, terrorizzata, tentò di trascinarsi fra i cespugli, fallendo. La ragazza chiuse gli occhi e aspettò…

 

***

 

Roberto ci mise poco tempo a giungere al bosco. Sperava con tutto il cuore che Isabella si trovasse lì, oppure che Diego e il conte avessero avuto più fortuna di lui.

 

-Dai Fredo…-spronò il cavallo – Andiamo. –

 

Non dovette fare molta strada, prima di vedere la ragazza distesa a terra con gli occhi chiusi. Con il cuore in gola, Roberto smontò da cavallo e corse verso di lei, augurandosi che non fosse morta.

 

-I…Isabella… - sussurrò il ragazzo, scuotendole leggermente la spalla.

 

-R…Roberto…- la ragazza, riconoscendo la voce, spalancò gli occhi e, piangendo, gli gettò le braccia al collo.

 

Il ragazzo, in un primo momento, rimase sorpreso del gesto di Isabella, ma poi non poté trattenere un sorriso.

 

-Sembra che non abbiate perso l’abitudine di perdervi fra la vegetazione in questi anni…- la canzonò Roberto, riportando alla mente l’episodio accaduto anni prima e aspettandosi una sorta di reazione da parte della ragazza che, però, non arrivò.

 

-Vi siete ferita? Riuscite ad alzarvi? – le chiese Roberto, tornando serio.

 

Isabella scosse la testa. – Credo di essermi storta la caviglia…-

 

 –Quale? –

 

-La destra…-

 

Il ragazzo annuì e, un po’ imbarazzato, parlò tenendo lo sguardo basso. – Ehm… dovrei togliervi lo stivale e la calza… -

 

Isabella arrossì violentemente, e fu grata alla penombra in cui si trovavano, ma acconsentì.

 

Roberto, cercando di procurarle meno dolore possibile, sfilò lo stivale e la calza di lana leggera dalla caviglia della ragazza, non potendo evitare di vedere la candida pelle del polpaccio. –Bene… - sospirò – Ora bisogna solo trovare qualcosa con cui poterla steccare… - si guardò intorno in cerca di due rami abbastanza robusti da poter servire lo scopo. – Torno subito contessina… - si alzò allontanandosi un poco alla ricerca del materiale.

 

L’assenza del ragazzo durò pochi minuti, ma che a Isabella sembrarono un’eternità. – Ecco… ora dovrete stringere i denti. Sentirete un po’ male… - le disse, strappando una manica della camicia che indossava e riprendendo la calza della ragazza, la quale annuì.

 

Roberto sistemo i due pezzi di legno ai lati della caviglia di Isabella e, cercando di essere il più delicato possibile, li bloccò utilizzando la calza e la manica.

 

Isabella, nel tentativo di ignorare il dolore, si concentrò sul volto concentrato del ragazzo. Da che era tornata non aveva ancora avuto il coraggio di guardarlo bene… ora il suo viso era molto più magro di come lo ricordava, e un’ombra di barba gli copriva il mento. I capelli scuri erano più corti rispetto alla moda del tempo, ma Roberto aveva sempre trovato più comodo portarli così. L’unica cosa che non era cambiata in lui era l’espressione allegra dei suoi occhi…

 

-Bene, così dovrebbe andare. – disse Roberto, sorridendo ad Isabella. Sorriso che le mozzò il fiato. Fiato che la abbandonò per alcuni istanti quando il ragazzo le si avvicinò ancora di più, posandole una mano sulla schiena e l’altro braccio sotto le ginocchia.

 

Isabella arrossì violentemente e si agitò. –Cosa credi di fare!? – esclamò, cercando di sottrarsi alla presa, ma procurandosi solo una dolorosa fitta alla caviglia.

 

-Non muovetevi! – la ammonì Roberto. – Forza, mettetemi le braccia intorno al collo. Vi porto sul cavallo prima che faccia troppo buoi per poter viaggiare. –

 

Non senza alcune esitazioni, Isabella obbedì e lasciò che Roberto, tenendola fra le braccia, la accomodasse in sella a Fredo e si posizionò dietro di lei.

 

***

 

Diego e il conte erano appena tornati al castello, abbattuti per non essere riuscirti a trovare Isabella. Giudo li accolse, prendendo i cavalli dei due e portandoli ad abbeverarsi.

 

Giuseppe, seguito dal ragazzo, se sedette su una delle spoglie sedie della cucina. Vedendoli, Caterina, con gli occhi rossi dal pianto, prese due tazze e diede ai due del vino per confortarli.

 

-Mia moglie come sta? – chiese l’uomo, dopo un lungo sorso.

 

-Anna le ha dato un infuso di Valeriana per farla calmare… ora sta riposando. – rispose Caterina, sedendosi anch’essa. –Non avete trovato alcuna traccia? –

 

-Purtroppo no…- sussurrò Giuseppe, si voltò guardando la finestra. – Ormai è buoi… spero solo che Isabella sia al riparo…-

 

Diego si guardò intorno. – Nonna… - la donna si voltò verso il nipote - …dov’è Roberto? -  chiese, notando l’assenza dell’amico.

 

–È anche lui uscito per cercare la contessina… non vi siete incontrati? – entrambi scossero la testa. Caterina sgranò gli occhi. –Oh cielo! – si porto le mani alla bocca – Dove può essersi cacciato… -

 

-Non devi preoccuparti nonna… -la tranquillizzò Diego – Roberto conosce bene queste zone. Sono certo che sta bene. – disse, ma una punta di agitazione per l’amico si instaurò in lui.

 

Malgrado fosse vero che Roberto avrebbe potuto attraversare quei boschi ad occhi chiusi, essendoci di mezzo Isabella, Diego temeva che l’amico avrebbe potuto mettere da parte la prudenza pur di salvarla…

 

Il nitrito di un cavallo, e le urla di Guido, richiamarono l’attenzione dei tre in cucina e facendoli correre in cortile. Quello che li attendeva all’esterno fece scoppiare in lacrime Caterina, mentre Diego e il conte corsero verso Roberto e Isabella.

 

-Padre! – esclamò la ragazza, ancora tra le braccia di Roberto, non appena vide il genitore.

 

-Isabella… - l’uomo aveva notato solo ora la fasciatura alla caviglia della figlia, e si rivolse a Diego – Corri in paese e porta qui il medico! – Il ragazzo obbedì immediatamente, sfruttando il cavallo Fredo. –Roberto, porta la contessina nella sua stanza. – gli ordinò, Giuseppe.

 

Il ragazzo annuì e, preceduto da Caterina con in mano un candelabro, entrò e salì le scale.

 

Una volta adagiata la ragazza sul letto, Roberto venne mandato a chiamare la madre Anna, mentre Caterina iniziò a spogliare la ragazza. Giuseppe aspettò nel corridoio il ritorno di Diego con il medico.

 

***

 

-Molto bene contessina Miroglio. – disse il dottor Ghione – La ferita alla testa è solo superficiale, mentre per far sì che la caviglia guarisca al meglio, vi consiglio di tenerla a riposo per almeno due settimane. - richiuse la borsa in pelle nera – Ora riposate. Tornerò tra qualche giorno. –

 

-Vi ringrazio… - salutò Isabella, sentendo le palpebre sempre più pesanti e cadendo in un sonno profondo, stanca a causa delle vicissitudini della giornata.

 

Il medico uscì dalla stanza, lasciando la ragazza alle cure di Anna e Caterina. Seduto su una delle poltrone del corridoio vi era Giuseppe che, non appena vide l’uomo, si alzò e lo condusse nel suo studio.

 

-Vi ringrazio Ghione per esservi precipitato qui. – disse il conte, estraendo alcune monete e porgendole al medico, che però rifiutò.

 

-Non posso accettare signor conte. Non ho fatto poi molto. Dovreste ringraziare chi ha fatto quella steccatura a vostra figlia. –

 

Il conte, però, insistette. –Accettatelo Ghione. Il lavoro va ricompensato. –

 

-A questo punto sono io che ringrazio voi signor conte. – disse, facendo un inchino – si assicuri che la contessina riposi la gamba per almeno due settimane, questo è necessario. Non posso escludere che vi sia una piccola frattura al calcagno. –

 

Poco dopo il dottor Ghione lasciò il palazzo, e Giuseppe chiese a Roberto di raggiungerlo nello studio.

 

-V…volevate vedermi signor conte? – gli chiese, inchinandosi.

 

L’uomo era poggiato alla scrivania. – Prego Roberto, siediti. – gli disse, indicandogli una delle due poltrone, poste accanto ad un tavolo in mogano. Roberto obbedì, seguito da Giuseppe stesso, offrendo un bicchiere di liquore al giovane. –Forza, bevi un goccio. Senza dubbio ti sarai preso anche tu un bello spavento oggi. –

 

-Già…- rispose Roberto, prendendo il bicchiere e bevendo in un sorso il contenuto.

 

-Caterina mi ha detto che sei partito alla ricerca di Isabella non appena hai saputo della sua scomparsa… - bevve un sorso. – Questa è già la seconda volta che riporti a casa mia figlia sana e salva. Credo tu sia il suo angelo custode. – disse, sorridendo guardando verso Roberto. – Non so proprio come ringraziarti. –

 

-N…non dovete ringraziarmi signor conte… è un dovere di ogni servo proteggere il proprio padrone. – disse Roberto.

 

Giuseppe annuì. – Questo, però, non vuol dire che non meriti alcuna ricompensa. Potrai chiedere ciò che vuoi. –

 

-Al momento non c’è nulla di cui abbia bisogno signore… ma le ringrazio molto per la generosa offerta. –

 

Il conte sorrise. – Bene, ma se mai avessi bisogno di qualcosa, non esitare a chiederlo e farò del mio meglio per accontentarti. – il ragazzo annuì, alzandosi e, capendo che la conversazione era terminata, fece un inchino per congedarsi. – Un momento Roberto… domani tu e Diego dovreste andare dagli invitati al ballo e comunicare loro che è stato annullato. –

 

-Sarà fatto signore. – obbedì, inchinandosi nuovamente.

 

-Bene. Puoi andare. –

 

Roberto si avviò verso la sua stanza, improvvisamente investito dalla stanchezza dell’intera giornata. Trascinandosi a letto, il ragazzo non poté fare a meno di ripensare alla splendida sensazione che aveva provato nel tenere Isabella fra le braccia.

 

 

N.d.A.: Buona sera a tutte/i, nel caso in cui ci fossero dei ragazzi alla lettura! ;-) La nostra Isabella è stata salvata dal prode cavalier Roberto, guadagnandosi, però, un piccolo infortunio…

Spero che la storia vi piaccia fin ora, fatemi sapere il vostro parere! ^^

Un bacione!

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** 10 ***


10

 

 

-Contessina…- l’attenzione di Isabella venne richiamata dalla voce di Anna. – Scusate se vi interrompo durante la lettura contessina – si scusò la donna – ma vostro padre e vostra madre devono parlarvi. –

 

La ragazza annuì e fece per alzarsi, ma venne bloccata tempestivamente da Anna. – Non dovete ancora sforzarvi contessina! – la rimproverò.

 

-M…ma come posso… - cercò di protestare Isabella.

 

La donna si guardò intorno. – Berto! – esclamò vedendo il figlio e richiamando la sua attenzione. –Berto, vieni qui. –

 

La ragazza voltò istintivamente lo sguardo in direzione delle alte siepi, dalle quali venne fuori proprio il ragazzo in questione. Sembrava un poco imbarazzato per essere stato scoperto lì in mezzo.

 

-Buongiorno contessina. – la salutò, facendo un inchino, per poi rivolgersi ad Anna – Dite madre, cosa desiderate? –

 

Solitamente Roberto non utilizzava questo formalismo con la madre, ma trovandosi d’innanzi alla contessina decise di trattarla con il rispetto che meritava.

 

-Potresti sorreggere un poco la contessina e accompagnarla in salotto? Con il vostro consenso, naturalmente… - disse rivolgendosi alla ragazza.

 

Isabella annuì, e Roberto le si accovacciò di fianco. Le mise una mano sulla schiena e l’altra la tese in modo che la ragazza potesse farvi forza.

 

Isabella tremò, ma non di paura. La presa di Roberto era ben salda, non vi era possibilità di cadere. I suoi erano brividi di agitazione.

Al ritorno dal collegio si era ripromessa di non pensare più a lui, ma era difficile mantenere il buon proposito trovandoselo così vicino.

 

Raggiunsero il salotto in pochi minuti. La contessina si accomodò su di una poltroncina. Roberto, facendo un inchino ai padroni, imitato dalla madre, uscì lasciando i tre soli.

 

-Sc… scusate il ritardo… - disse la ragazza, ancora un poco agitata.

 

-Non fa nulla cara, ma perché…- stava dicendo Clelia, interrotta dalla figlia.

 

-Il… il dottor Ghione si è raccomandato di non sforzare troppo la caviglia e Anna ha pensato di chiedere aiuto a Roberto per potervi raggiungere… ha forse sbagliato? –

 

-No… no affatto…- rispose la madre, sorridendo.

 

-Comunque sia…- interruppe le due Giuseppe – Isabella, ricordi il marchesino De Fiore? – la ragazza annuì – Si è molto dispiaciuto del tuo infortunio, e ti augura una pronta guarigione…-

 

-Giacomo è diventato un bel giovanotto, sai tesoro? – riprese Clelia – Probabilmente è uno dei rampolli più ambiti della zona. Sembra che molte famiglie stiano cercando di accasarlo con la propria figlia… -

 

La ragazza sorrise. Di Giacomo aveva solo il ricordo di un bambino capriccioso e viziato, del tutto incapace di dividere i suoi giochi con altri e le risultava molto difficoltoso immaginarlo come la madre lo aveva dipinto.

-Lui e suo padre verranno a farti visita questo pomeriggio. – concluse Clelia, prendendo un sorso di the.

 

Isabella notò l’espressione con cui la madre pronunciò quell’ultima frase, ma decide di ignorare la sensazione che le provocò.

 

***

 

-Diego, fai attenzione! – esclamò Caterina, tenendo ferma la scala a pioli su cui il nipote era salito. La visita imminente del marchese De Fiore aveva masso in subbuglio l’intera casa, soprattutto Caterina ed Anna incaricate di rammendare le divise dei valletti, ormai in disuso da alcuni anni.

 

Diego prese un baule e, cercando di non cadere a terra, lo isso un poco, per poi farlo ricadere tra le braccia di Roberto. – Non capisco perché dobbiamo prendere questa roba…- farfugliò quest’ultimo, posando l’oggetto a terra. Caterina lo aprì immediatamente e ne estrasse il contenuto e getto addosso ai due ragazzi gli abiti. –Andate a cambiarvi. – ordinò – Devo controllare che le tarme non abbiano fatto troppi danni. –

 

I due ragazzi si guardarono confusi, ma obbedirono e indossarono gli abiti polverosi. Caterina li ispezionò scrupolosamente, notando compiaciuta che il tessuto era ancora in buono stato. –Molto bene… basterà farli stare un po’ all’aria aperta e saranno perfetti. –

 

Il nipote guardò stranito la nonna. –State dicendo che dovremmo indossarli? – chiese, guardandola annuire, sgomento. La divisa era di un discutibile color marrone scuro, composto da giacca, braghe sotto il ginocchio della stessa tinta e una camicia di un bianco un poco ingiallito. Il tutto completato con degli stivali, già in possesso dei ragazzi.

 

-A cosa dobbiamo l’onore di poter indossare questi abiti? – chiese, ridendo, Roberto e porgendo la giacca a Caterina. Questa fece un sorriso sornione –Dobbiamo fare un’ottima impressione sul marchese De Fiore… se i piani dei padroni andranno a buon fine il giovane Giacomo sarà il nostro nuovo signore… - concluse, sistemandosi meglio gli indumenti sulla braccia per poterli rinfrescare, lasciando i due basiti.

-Lui e Isabella…- iniziò Diego.

-Si sposeranno! – concluse Caterina, dirigendosi verso il cortile.

 

-Non…non ci posso credere…- iniziò Diego, sbigottito - ... tu che ne pensi? – chiese a Roberto, ammutolito. Questi guardò l’amico e seguì Caterina – Sbrigati… abbiamo ancora molto da fare. – disse con un sussurro, dirigendosi all’esterno.

 

***

Nel primo pomeriggio la carrozza del marchese giunse nel cortile del palazzo. Diego e Roberto, indossando le scomode livree, accolsero Ferdinando e Giacomo. Facendolo, Roberto squadrò, nel modo più discreto possibile il giovane, dovendo constatare trattarsi di un ragazzo affascinante. Non ne capì la ragione, ma la cosa lo infastidì.

 

-Cos’hai da guardare? – gli chiese Giacomo, fulminandolo con lo sguardo. Roberto trattenne il moto di rabbia e abbassò lo sguardo. – Domando scusa signore… - Il marchesino distolse lo sguardo, stizzito.

 

-Caro Ferdinando! – esclamò Giuseppe, appena uscito per poter accogliere gli ospiti di persona – Che piacere vederti! – continuò stringendo la mano al vecchio amico.

-Giuseppe… scusa per questa visita quasi improvvisata, ma sia Giacomo che io non vedevamo l’ora di poter far visita alla bellissima Isabella. – si volse verso il figlio – Vero figliolo? –

-Indubbiamente padre. – rispose, porgendo la mano a Giuseppe – Conte Miroglio, è un piacere rivederla. –

Il conte, vedendo il ragazzo, si compiacque: a quanto pareva le voci riguardanti la sua bellezza non erano semplicemente dei pettegolezzi.

-Che maleducato! – esclamò il padrone di casa. – Vi sto trattenendo qui all’aperto. Prego, seguitemi. – si rivolse, poi, ai due valletti occasionali –Roberto, Diego. Andate a dare disposizioni per il tè in cucina per favore. – disse, conducendo i due ospiti all’interno. 

 

-Quel tipo non mi piace… - sussurrò Roberto, eseguendo gli ordini di Giuseppe.

-Ma se appena ti ha rivolto parola?  E poi perché lo stavi guardando a quel modo? – chiese Diego. Lo sguardo che l’amico aveva lanciato al marchesino non gli era sfuggito.

Roberto scrollò le spalle. – Non capisco di cosa tu stia parlando. Andiamo da mia madre a dirle di portare il tè, piuttosto. –

-D’accordo… -

 

Nelle cucine, intanto, Maffeo stava sfornando alcuni biscotti al cioccolato, richiesti espressamente dalla contessa Clelia. Da ciò che le era stato riferito, quelli erano i favoriti di Giacomo.

 

-Incredibile che il conte voglia già dare sua figlia in sposa… - disse proprio il capo-cuoco - …non è ancora troppo giovane? –

-Non scherzate! – replicò Caterina, posando il servizio buono su di un vassoio – Alla sua età moltissime ragazze sono già felicemente sposate, alcune con figli! –

 

La discussione venne interrotta dall’ingresso di Diego e Roberto. – Oh… bene. Guarda un po’ i nostri damerini! – li canzonò Maffeo, notando l’insolito abbigliamento piuttosto elegante per loro.

-Taci per cortesia! – tuonò Diego – Non hai la minima idea di quanto pizzichino questi maledetti cosi! – disse, passandosi freneticamente una mano sul collo, leggermente arrossato, e facendo scoppiare a ridere l’uomo.

 

Roberto si avvicinò a Anna – Madre… quando è pronto potete servire il tè agli ospiti. –

-Certo, ma potreste farlo voi cari? – disse, indicando il loro vestiario. – Conciata a questo modo faremo sfigurare i conti, ma voi siete così eleganti che… -

-Certo, va bene. – disse semplicemente il figlio, facendo sbigottire la madre. Mai si sarebbe aspettata una resa così semplice da lui.

Il ragazzo attese che il vassoio fosse pronto e andò al piano superiore.

 

***

 

Nel salotto i conti e il marchese stavano chiacchierando allegramente, mentre i due giovani stavano seduti un poco in silenzio. Malgrado avesse tentato di intrattenere una conversazione con Giacomo, Isabella dovette constatare che il giovane non possedeva molte qualità, a parte l’aspetto decisamente gradevole.

 

-Cara Isabella… - iniziò Ferdinando – Devo dire che tua padre non esagerava affatto quando mi ha scritto di quanto tu fossi cresciuta e divenuta una splendida fanciulla. – poi si rivolse all’amico – Senza offesa vecchio mio, ma per fortuna tua figlia ha ripreso dalla tua deliziosa sposa. –

 

Quelle affermazioni fecero arrossire sia Clelia che Isabella, mentre Giuseppe si mise a ridere. – Nessuna offesa amico mio. In tuo favore, devo dire che Giacomo ti somiglia davvero molto. –

 

In quel momento Roberto entrò nella stanza. – Bene. – esclamò Clelia – Roberto prego inizia a servire il tè ai nostri gentili ospiti. – il ragazzo fece un piccolo inchino e obbedì agli ordini, porgendo i presenti una tazzina su di un piattino con alcuni biscotti.

 

Isabella lo guardò: non solo la livrea donava particolarmente a Roberto, ma anche i movimenti sicuri con cui serviva gli ospiti la stupirono. Non avrebbe mai creduto che un tipo alquanto grezzo come lui potesse essere così, in un certo qual modo, aggraziato.

 

Non appena la piccola merenda fu terminata, Roberto risistemò le stoviglie sul vassoio e fece per dirigersi alle cucine, ma fu richiamato da Clelia. –Aspetta un momento Roberto… - il ragazzo si voltò verso la padrona, il quale sguardo andò verso la figlia e Giacomo. – Credo che questi due ragazzi ne abbiano abbastanza della nostra compagnia… perché non mostri a Giacomo il giardino cara? Roberto verrà con voi, nel caso in cui la caviglia dovesse darti noie…-

 

Isabella annuì. – Volentieri, se il nostro ospite è d’accordo… -

-Devo confessarvi che ho una passione per le passeggiate… e per i giardini. – disse, alzandosi e porgendo il braccio affinché Isabella potesse appoggiarvisi.

 

La passeggiata fu alquanto piacevole. Giacomo si rivelò essere un vero intenditore di piante e fiori, nonché in alcuni momenti molto simpatico. Durante il tragitto, Isabella mantenne la presa sul braccio dell’accompagnatore, in parte a causa del dolore provocatole dalla caviglia. Una piccola parte di lei, però, notò l’espressione dipinta sullo sguardo di Roberto nel vedere il loro affiatamento.

 

L’escursione, però, fu breve. Dopo poco più di un’ora i conti le fecero chiamare per la cena. Per quell’occasione Maffeo aveva dato il meglio di sé: patate al forno, arrosto di maiale e verdure varie imbandivano la tavola, protetta da una candida tovaglia di stoffa. I commensali gustarono le deliziose pietanze con calma, continuando a chiacchierare. A quell’allegro vociare si unì presto anche Giacomo. I genitori di Isabella furono entusiasti non appena appresero della passione comune dei due giovani per la botanica. La sola che restò in disparte in quella conversazione fu proprio la ragazza, non riuscendo ad indovinare il motivo di tutto quell’eccitazione. Prese il calice davanti a sé e bevve un sorso del liquido rossastro all’interno. Quello fu il primo sorso di vino che Isabella ingerì nella sua vita. Seguito da parecchi altri…

 

***

 

Era ormai sera quando i marchesi lasciarono il palazzo, con grande gioia dell’intera servitù.

-Finalmente è finita! – esclamò Diego, appena liberatosi della scomoda livrea e indossando nuovamente i soliti abiti. – Spero che questa non diventi un’abitudine! –

-E invece ho proprio paura di sì…- disse, un poco sconsolato, Maffeo accasciato su di una sedia – Se quel bell’imbusto si fidanzerà con Isabella temo che giornate come questa diverranno molto frequenti. –

-Non dirmi questo! – Diego poggiò la fronte sulla tavola e si mise le mani fra i capelli.

In quel momento Roberto entrò nella stanza, vestito da lavoro. –E tu che credi di fare? – gli chiese Maffeo.

-Vado nelle stalle. Quelle povere bestie hanno bisogno di essere sistemate. È da stamattina che non mangiano e la paglia deve essere cambiata. –

-Adesso?! – esclamo Diego – Non puoi farlo domattina? –

-No. Non riuscirei a dormire sapendole in quello stato. –

-Come vuoi…- disse Maffeo, scuotendo le spalle – Cerca solamente di non fare rumore quando vai a letto. Basta già il russare di Diego a tenermi sveglio la notte! – - Ehi! –

I due iniziarono a discutere, ma Roberto non li sentì avviandosi alle stalle. Quella giornata gli era sembrata infinita, non solo per aver svolto compiti a cui di solito non badava, ma soprattutto per la presenza del marchesino De Fiore. Malgrado avessero scambiato appena una frase, ma l’antipatia reciproca era ovvia.

 

Prese un forcone e iniziò a portare del fieno ai cavalli nei box.

Senza volere il suo pensiero andò all’immagine di Isabella e Giacomo nel giardino quel pomeriggio. Sembrava andassero d’accordo. Si chiese se la contessina fosse a conoscenza dei piani matrimoniali che i genitori avevano in mente per lei, ma in fondo per i nobili l’opinione dei figli non contava poi molto ei conti Miroglio non dovevano essere da meno.

 

Dei passi lo distolsero dal lavoro. Doveva trattarsi di Guido. –Finalmente quei tipi se ne sono andati… non preoccuparti, qui ci penso io. Tu va a riposare. Oggi ti sei affaticato abbastanza. –

Non ricevendo alcuna risposta Roberto si voltò, e rimase non poco sorpreso nel trovarsi di fronte Isabella.

La ragazza aveva gli occhi lucidi e le guance arrossate, probabilmente il vino bevuto a cena doveva aver fatto effetto.

-Contessina… -chiese, confuso – Cosa ci fate qui a quest’ora? –

 

Isabella non rispose, ma lentamente si avvicinò al ragazzo, gli gettò le braccia al collo e, lentamente avvicinò il suo viso a quello di Roberto. Questi, colto di sorpresa, non si mosse.

Le labbra della ragazza si posarono delicatamente su quelle del ragazzo. Il casto contatto durò pochi secondi, prima che Roberto, dimenticando chi si trovasse di fronte, cercasse di approfondire il bacio.

 

N.d.A.: Dopo cinquantatré secoli eccomi a aggiornare questa storia… vi chiedo scusa per il ritardo ç.ç

Ed ecco, finalmente, che le cose iniziano a muoversi un po’ tra Roberto e Isabella. A quanto pare ci voleva un piccolo aiuto da parte del vino perché ciò accadesse! ;-D

Spero che il capitolo vi piaccia!

Un bacione e buona serata!!

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