Bright Black Stars

di Paddy_Potter
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Forgive me ***
Capitolo 2: *** Beneath your eyes ***
Capitolo 3: *** Prisoners and Ingenuousness ***
Capitolo 4: *** The Young Black's Heir ***
Capitolo 5: *** Midnight Call ***
Capitolo 6: *** The Name in the Letter ***
Capitolo 7: *** Tea Time ***
Capitolo 8: *** Marionette ***
Capitolo 9: *** Wind of Change ***
Capitolo 10: *** Highway to Hell ***



Capitolo 1
*** Forgive me ***


Ciao a tutti!! Dopo un lungo periodo di inattività, eccomi che torno con una nuova long. È la continuazione dell’altra mia storia “A brother to save” e, anche se cercherò di riallacciare i contenuti, per capire appieno questa nuova fic sarebbe meglio dare uno sguardo anche alla precedente.
Buona lettura!:)

 
 
Forgive me



 
 
 
"Non voglio più avere niente a che fare con te! Mai più! Io qui non ci torno, me ne vado. Per-sempre."
 


Le parole di Regulus mi risuonano ancora nella mente mentre lo vedo dirigersi con Sirius verso l’uscita, seguito da tutti gli altri.
Non riesco a muovermi, sono paralizzato di fianco all’entrata di una cella. Tra un respiro e l’altro passano infiniti secondi, mentre nelle orecchie rimbombano i battiti sconvolti del mio cuore e la voce tagliente e ferita di Reg. L’aria è pesante, sembra quasi che voglia schiacciarmi a terra.
La mia bacchetta è a pochi metri da me, ma non la prendo; riesco solo a guardarli voltarsi per l’ultima volta e poi andarsene. La porta dei sotterranei si chiude si cela nel muro grazie all’incantesimo che le imposi anni fa, svanendo come la mia ultima speranza di riabbracciare i miei figli.
E il silenzio che mi invade si fa più tetro.

A riscuotermi dallo stato di trance in cui sono caduto è l’urlo frustrato di Bellatrix che giunge dal corridoio, seguito dai lamenti degli altri Mangiamorte che si rialzano a fatica dopo la battaglia.
Mi giro e mi trascino come in sogno verso l’uscita.
Passo davanti a Bella: lei mi parla, mi chiede qualcosa, mi scuote. Io mi libero dalla sua stretta e, senza degnarla di uno sguardo, continuo a camminare. Supero la cucina dove Walburga è ancora distesa sul pavimento e sorrido: l’Aconito nella grappa non ha avuto effetto su di me perché sono diciotto anni che lo utilizzo come sonnifero, ormai il mio fisico vi si è abituato. In questo momento rimpiango di non essere rimasto lì a dormire: almeno ora non avrei il cuore lacerato.
Non ho idea di dove mi stiano portando i miei piedi finché non mi ritrovo davanti alla camera di Regulus con una mano sulla maniglia.
Entro e mi chiudo la porta a chiave alle spalle. Mi guardo intorno e sorrido: qui l’ordine regna sovrano. Tutto è precisamente dove dovrebbe essere, dai libri alle sedie al letto completamente rifatto, dai mobili ai quadri agli abiti ripiegati sulla sedia.
Tutto così apparentemente tranquillo e misurato…come Regulus. Fino a ieri pomeriggio avrei giurato che questa stanza lo rappresentasse, ora mi sembra un’eresia.
Come ho potuto non accorgermene? Come ho potuto non vedere che si stava sacrificando al posto di Sirius? Insomma, anche se dovevo seguire le precise regole comportamentali dei purosangue, ero comunque suo padre: come ha fatto a celarmi tutto, a rinchiudere dentro di sé la sua vera natura, a nascondere chi davvero era così bene?
La voce dolce e triste di una donna si insinua nei miei pensieri: “Esattamente come hai fatto tu, Orion.”
Mi abbandono sul letto e mi accorgo che è ancora impregnato dell’odore fresco e pungente che caratterizza Regulus. Respiro a fondo mentre le lacrime cominciano a rigarmi il viso senza che la mia tipica impassibilità riesca a fermarle.

Ho rovinato tutto, ho perso, sono riusciti a battermi. Non ho più i miei figli, non ho più qualcosa per cui combattere…mi hanno tolto tutto.
Ma mi sono meritato ogni singolo attimo di dolore che sto provando, questo non lo nego. Esprimo un ultimo desiderio prima di abbandonarmi ai singhiozzi. Un ultimo, disperato rimpianto ormai impossibile da realizzare.
“Ti prego, perdonami Isabelle.”
 
 


 
Angolo autrice
Ed eccomi che ritorno dopo circa 6 mesi di pausa: lo so, mi faccio pena da sola, ma non avevo uno straccio di idea! L’ispirazione è venuta qualche settimana fa, verso le 2 di notte di un placido sabato sera. Ho ripensato a come avevo trattato Orion nel penultimo capitolo e me ne sono un po’ pentita, così ho deciso di rimediare.
L’inizio è molto corto, ma solo perché è il prologo; con il favore delle vacanze credo che riuscirò a scrivere capitoli più lunghi e dettagliati.
Lasciate una recensione per dirmi cosa ne pensate!
A presto,
Anna

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Capitolo 2
*** Beneath your eyes ***



Beneath your eyes
 
 





Io e Regulus siamo rimasti tre giorni in infermeria tra le spietate grinfie di madama Chips; poi, finalmente, dopo aver parlato con Silente, l’abbiamo convinta a lasciarci andare. Adesso il mio fratellino vive con me a Raintown. All’inizio l’euforia di essere di nuovo insieme ha trasformato il tempo in qualcosa di idilliaco.
Abbiamo passato intere notti accoccolati sul divano a ridere davanti al fuoco: sono successe tantissime cose ad entrambi negli ultimi otto anni e ci siamo presi tutto il tempo per raccontarcele, ovviamente accompagnando la serata con i nostri biscotti al cioccolato preferiti. Reg mi ha perfino raccontato che non li ha più mangiati da quando abbiamo litigato. Poi, quando nessuno dei due riusciva più a tenere gli occhi aperti, salivamo al piano di sopra e andavamo a letto, io in camera mia e mio fratello nella stanza degli ospiti.
O almeno questi erano i patti.
La realtà è che, per i primi tre giorni, Reg ha dormito con me. È stato come rivivere la mia infanzia: sentirlo così vicino a me, sentire la sua mano aggrapparsi al mio pigiama, sentire il suo cuore battere piano contro il mio…ho desiderato più di una volta che quelle notti non finissero mai.
La ciliegina sulla torta è stata la lettera di Moody, in cui mi l’Auror mi comunicava dolcemente che aveva talmente a cuore la mia salute da concedermi una settimana per rimettermi…ho come l’impressione che ci sia lo zampino di James dietro a tutto questo, ma indagherò in un altro momento. Come se non bastasse anche Regulus comincia a trovare simpatico Prongs e viceversa, tanto che, quando giovedì sera siamo andati a cena dai Potter, si sono lanciati in un’immensa chiacchierata sul Quidditch.
Ora, premettendo che io conosco James da nove anni e che ho vissuto nel suo stesso dormitorio per sette, so esattamente quanto possa essere asfissiante se si mette a parlare di Quidditch e certe volte non riesco a sopportarlo neanch’io. Quindi, vedere il mio fratellino e il mio migliore amico che parlano per la bellezza di un ora e quarantasette dell’intera attuale classifica…mi ha decisamente spiazzato.
Comunque, non sono mai stato così felice in vita mia.
Adesso però è passata una settimana e Reg comincia a rabbuiarsi. Lui tenta di nasconderlo e sta facendo un ottimo lavoro: chiunque potrebbe giurare che sta bene. Ma io lo conosco e, se c’è una cosa che ci unisce, è che nessuno è mai riuscito a nascondere qualcosa all’altro. Fin da quando eravamo piccoli, riuscivo sempre a capire che cosa pensava, mi bastava rovistare in fondo ai suoi occhi.
Per questo so che gli manca Casa Black e i nostri genitori, e che si sente anche in colpa per come ha trattato nostro padre.
Lo capisco e so che ha bisogno di tempo, ma non posso vederlo così. È seduto sul divano da mezz’ora, fissa il fuoco con occhi vitrei, immobile. Lo raggiungo con una coperta e gliela metto sulle spalle. Lui sobbalza: non mi ha sentito arrivare.
“Cioccolata?” chiedo, porgendogliene una tazza fumante.
“Sì, grazie.” mi sorride prima di appoggiarsi contro di me. Gli cingo le spalle con un braccio, mentre lui si accomoda meglio, e poi aspetto. So che parlerà, non voglio mettergli fretta.
“Mi dispiace” sussurra.
“Per cosa?”
“Sei preoccupato per me, lo vedo. Mi dispiace, non lo faccio di proposito.”
Sospiro e lo stringo più forte. “Reg lo so che ti serve tempo per abituarti. Stai male perché ti mancano i nostri genitori e questo lo capisco, ma non devi stare male per quello che hai detto a papà.”
Lo sento accasciarsi leggermente, confermando quello che avevo intuito.
“Invece sì. L’ho trattato malissimo. È vero, ha sbagliato, ma io…non dovevo essere così duro, ho esagerato.” sospira.
“Reg tu non…”
“No, Sir.” mi interrompe “L’hai visto quando ce ne siamo andati? Hai visto come ci guardava? Quello…quello era rimpianto.”
Lo sento stringersi di più a me. In effetti, ho ripensato molto a quell’ultimo sguardo: mio fratello ha ragione, era rimpianto. Ma è stato mio padre a scegliere quella strada. Aveva già sbagliato con me e gliel’avevo dimostrato quando sono fuggito. Ha avuto l’occasione di cambiare, di tentare di nuovo con Reg e l’ha totalmente sprecata: fa male anche a me ripensarci, ma se l’è meritato.
Tento di consolare Reg dicendogli che non è colpa sua, provo in tutti i modi a risollevargli il morale, ma senza alcun risultato.
Mentre saliamo le scale per andare a letto si sforza di sorridermi, ma so che sta fingendo solo per non farmi preoccupare.
“Lo sai che non serve che tu lo faccia, vero?” gli chiedo, piantando i miei occhi nei suoi.
Lui mi guarda e ride piano, sul serio questa volta.
“Lo so, scusa. È l’abitudine. Ad Hogwarts o a casa non c’era più nessuno capace di capire cosa pensavo con un solo sguardo, così ho preso l’abitudine di…beh, nascondere quello che pensavo. A volte mi dimentico che con te non serve a nulla” mi dice sorridendo. E, questa volta, dietro i suoi occhi vedo davvero un guizzo di felicità.
Saliamo le scale e andiamo a letto. Ma non ho intenzione di lasciarlo da solo questa notte, così lo raggiungo quasi subito in camera sua e lo stringo a me.
“Ti voglio bene, Reg.” sussurro. Poi lo guardo meglio: si è già addormentato.

 
***
 

È buio qui dentro. Tra questi muri di pietra, è buio e fa freddo.
È da un’infinità di tempo che sono chiusa qui. Ed è sempre buio. E fa sempre freddo.
Ci sono delle altre persone, rinchiuse in altre celle come la mia. Ogni tanto le intravvedo attraverso le sbarre, quando mi aggrappo a quel reticolo di metallo, freddo come qualsiasi altra cosa qui dentro, e guardo fuori.
Il riflesso di una torcia lontana giunge saltuariamente a noi, inconscio che annegherà nella perenne oscurità che alberga quaggiù…o quassù. Non ho idea di dove siamo. So solo che ci sono finita combattendo per ciò che era giusto, come probabilmente le altre persone che sono qui. Non posso esserne certa perché non ci possiamo parlare: ci sono appositi incantesimi sulle celle che ci impediscono di far sentire la nostra voce all’esterno.
Tutto si trascina così da tanto tempo, ma non so precisamente quanto. Le ore e i giorni hanno strisciato lenti su di noi fina ad ora.
Ma un improvviso scoppio proveniente da un punto imprecisato sopra di me mi fa sobbalzare. Alzo gli occhi e attendo.
Forse tutto sta per cambiare.
Il secondo scoppio è accompagnato da un muro che cade a pezzi all’improvviso alla mia destra e, per la prima volta da quando sono entrata, rivedo la luce.
Mi acceca, è una luce bianca e perforante, e invade tutte le celle attorno a me. Finalmente posso vedere i miei compagni di prigionia: sono malconci, hanno gomiti e ginocchia sanguinanti, i volti sudici e sono aggrappati alle sbarre delle loro celle urlanti, anche se nessuno può sentire le loro urla al di fuori di loro.
Gli occhi cadono poi sulle mie mani e sul mio corpo: è con non poco disgusto che mi accorgo che sono conciata pressappoco come loro, ma al momento non mi importa più di tanto. Non c’è tempo per compatirsi.
Delle persone sono entrate nelle prigioni e il mio cuore fa un balzo di gioia: sono Auror.
Ci liberano, uno dopo l’altro, e ci danno delle coperte. Non so come, ma ci guidano fuori, mentre noi barcolliamo sulle nostre gambe malconce, proteggendoci dagli incantesimi che alcuni purosangue di mia conoscenza ci lanciano addosso. Riconosco Nott, Avery e l’immancabile Ridley.
Rallento il passo mentre fisso meglio i loro volti: sembra che abbiano vent’anni in più rispetto all’ultimo ricordo che ho di loro. Rimango sorpresa della cosa, ma non riesco ad individuare nessun’altro del vecchio giro, perché gli Auror si smaterializzano e noi con loro.
Sono libera.
 
 
 
 
Angolo autrice

Ciao a tutti!:)
Come promesso, questo capitolo è un po’ più dettagliato. Se non vi è chiaro, io adoro Sirius e Regulus, secondo me sono i fratellini più dolci di sempre. E quindi le mie storie tentano in tutti i modi di farli stare vicini. Riguardo alla seconda parte, è entrato in scena il nuovo personaggio…vi dico solo di aspettarvi grandi cose da lei;)
Lasciate una recensione e fatemi sapere cosa ne pensate!!
Anna

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Capitolo 3
*** Prisoners and Ingenuousness ***


Prisoners and Ingenuousness
 
 
 

 
 
Mi sveglio per primo e la cosa è piuttosto strana. Non sono mai stato un tipo mattiniero, basti pensare a quanto doveva impegnarsi Remus per tirarmi giù dal letto mentre eravamo ad Hogwarts.
Regulus, al contrario, si è sempre svegliato di prima mattina, fin da quando era piccolo. Alle otto scendeva dal letto e quaranta secondi dopo era in camera mia a svegliare me. Al tempo non ero affatto contento della cosa, e infatti lo rispedivo in camera sua con una cuscinata, ma questi sono dettagli.
Comunque ora sono qui, sveglio, alle sette e mezza di mattina, con Reg addormentato e accoccolato contro di me. Lui ha il sonno leggero, quindi non devo fare movimenti bruschi per alzarmi. Ma, ora che ci penso, non sarebbe male restarsene qui, sotto le coperte: è tutto così calmo, così…immobile.

Con un colpo di bacchetta sposto le tende e lancio uno sguardo al paesaggio: una stretta viuzza ghiaiosa si srotola ondeggiante da casa mia verso il parco, costeggiando qualche panchina e i tigli che riposano intirizziti sotto la sottile coltre di brina, tipica delle mattine di novembre. C’è un pettirosso appoggiato sulla finestra. Guarda dentro, incuriosito, si scrolla via un po’ di nevischio dalle piume e poi se ne va, svolazzando nell’aria gelida. Qualche tenue raggio di luce riesce ad entrare nella stanza.

“Meditazione di prima mattina?”
Sobbalzo mentre mi volto verso mio fratello che scoppia a ridere senza nemmeno tentare di nasconderlo.
“Reg! Ma stavi dormendo!”
“Credevi davvero di esserti svegliato prima di me?” sorride.
“In realtà ci speravo…” mi stiracchio debolmente e mi decido a scendere dal letto.
Arrivo strascicando i piedi fino alla porta e poi mi volto a guardare Regulus, ancora steso sul letto e senza la minima intenzione di scendere.
“Ti prego, dimmi che non ti devo portare in braccio.” lo supplico.
Lui ride di nuovo e poi mi segue in cucina.
 
***
 

Mentre porto in tavola la colazione, un gufo atterra sulla finestra e bussa piano con il becco. Reg prende il giornale, gli lascia uno zellino nella borsetta a tracolla e sbriciola un biscotto sul davanzale. Il gufo becchetta qualcosa, soddisfatto, poi si volta e vola via. Vedo mio fratello accigliarsi, mentre posa lo sguardo sulla Gazzetta.
“Incursione degli Auror in Casa Ridley: liberati prigionieri rinchiusi nelle segrete.” legge Reg in prima pagina. “Te lo saresti mai aspettato?”
“Sinceramente, dopo il viaggetto nelle prigioni di casa nostra, la cosa non mi stupisce più di tanto.” borbotto mentre addento un pezzo di bacon.

Per chi se lo fosse perso, qualche settimana fa sono stato rapito da un gruppo di Mangiamorte a Diagon Alley e sono stato rinchiuso nelle segrete di casa Black per qualche tempo. È stata un’esperienza orribile, ma almeno si è conclusa bene: non appena l’ha scoperto, Reg ha disertato, è venuto a salvarmi e ci siamo riappacificati, quindi, in un certo senso, sono grato al Mangiamorte che mi ha portato lì.

Mi rendo conto di aver detto la cosa sbagliata quando alzo gli occhi e vedo mio fratello che mi guarda avvilito.
“Non hai nulla di cui rimproverarti, Reg. Sono stati dei Mangiamorte a portarmi lì, non tu.” mi correggo subito.
“Dimentichi che anche io ero un Mangiamorte.” mi ricorda, mentre un sorriso triste si fa strada sul suo volto e mentre io imploro Godric di farmi evanescere all’istante.
“Lo sai che non intendevo quello!” tento di rimediare “Tu…tu non eri come loro…Reg quando dico Mangiamorte io penso a Bellatrix, a Malfoy, a Rosier, non a te!”
Lui abbassa gli occhi sulla colazione.
“Lo so, è che…niente.” scuote la testa e comincia a mangiare.

Bel lavoro, Sirius, un colpo da maestro, mi sussurra infida la mia vocina interiore. Non posso farci nulla, a volte (Remus direbbe “molto spesso”) parlo senza pensare a cosa dico. È vero, Reg era un Mangiamorte, ma non è mai stato come loro, e questo io lo so. Il problema è che sarebbe meglio evitare di ricordargli quello sbaglio di prima mattina, cosa che evidentemente non mi è riuscita troppo bene.
“Chi erano i prigionieri?” chiedo, giusto per non lasciar calare il silenzio.
“C’è un certo Silver, un Perrow, un Seldon, una certa Loreline e qualche Mason. Poi ce ne sono altri, ma non li ho mai sentiti nominare.” mi informa.
Subito non noto nulla di strano, poi me ne accorgo: questi nomi non li ho mai sentiti. Considerando che lavoro nell’Ufficio Auror, i quali si occupano anche di rapimenti e sparizioni, la cosa è sospetta.
“Conosci qualcuno?” chiedo a mio fratello.
“No, nessuno.” Risponde lui. Fissa corrucciato il giornale e poi sposta lo sguardo su di me. “Non li ho mai nemmeno sentiti questi nomi. Non è normale: Ridley è una persona particolare, è abbastanza potente sia dentro che fuori il Ministero e quindi lo tenevamo controllato. È strano che abbia tutta quella gente nei sotterranei. Non è uno sciocco, quindi deve avere avuto dei buoni motivi per correre il rischio. Se fosse stato Voldemort ad ordinarglielo, come minimo la voce di questa operazione avrebbe dovuto circolare tra i Mangiamorte.”
“E invece tu non ne sapevi nulla.”
“Esatto.”

Gli Auror non ne sanno nulla, i Mangiamorte nemmeno. E da quando un privato cittadino si mette a rapire gente?
 
***
 

Gli Auror ci portarono al Ministero, nei loro uffici.
È strano dopo una così lunga prigionia ritrovarsi in mezzo a tanta gente, con tutti che ti parlano e ti riempiono di attenzioni. Alla fine non sono ridotta così male: ho dei tagli piuttosto profondi sulle braccia e sulle gambe, delle escoriazioni e parecchie ammaccature. Rispetto alle altre persone imprigionate con me, scoppio di salute. C’è chi è malato, chi ha una gamba spezzata e chi sta delirando.
“Mi scusi signora, se è già stata medicata potrebbe sedersi qui?” mi chiede un ragazzo.
Mi volto per guardarlo meglio.
Deve essere una giovane recluta: ha un fisico asciutto e slanciato, gli occhi nocciola leggermente oscurati dal paio di occhiali tondi che porta e i capelli neri che, anche se tagliati abbastanza corti, sfuggono comunque ad ogni possibile controllo e rimangono arruffati e scarmigliati, l’incubo di ogni spazzola.

Dopo avergli dato un’occhiata, acconsento e mi siedo, mentre lui mi sorride e accompagna un uomo più che attempato verso una poltrona. Poi rifletto un attimo e assumo un’espressione oltraggiata: mi ha chiamato signora! Posso capire la cortesia, ma mi pare che abbia proprio esagerato, al massimo poteva osare un signorina!
Lo fisso attentamente e mi rendo conto di non averlo mai visto qui al Ministero.
“Impossibile, devo sbagliarmi.” penso tra me e me. “Io ho lavorato in un ufficio qui per circa un anno prima di venire imprigionata, eppure non mi sembra familiare…”

Poi un altro pensiero mi coglie: esattamente, quanto tempo ho passato chiusa in prigione? Mesi? Anni?
Ripenso a come il volto di Ridley mi fosse sembrato molto più invecchiato di quanto mi ricordassi e al ragazzo che non ho mai visto.
Provo a calcolare quanto tempo sono stata via, anche se so che, tra la continua oscurità, le torture e tutte le volte che sono svenuta, probabilmente mi devo essere persa parecchie settimane. Improvvisamente mi accorgo che, appeso al muro accanto all’orologio c’è un calendario. Mi avvicino e leggo la data: è il 22 novembre.
Strano, era novembre anche quado sono stata rapita, ma comunque i conti tornano: secondo le mie stime sono stata via qualche anno. Prendo tra le mani il calendario e cerco la prima pagina per capire che anno è.
Quando la trovo per poco non svengo.
Sento che le mie ginocchia iniziano a tremare e mi stringo addosso la coperta che mi hanno messo sulle spalle. I miei occhi leggono e rileggono le stesse parole, senza credere che siano vere.
“Signora? Va tutto bene?” sento la voce del ragazzo spettinato che mi chiama.
No, decisamente no. Non va affatto bene.
“Q-Questo calendario…è corretto?” chiedo, sorprendendomi che la mia voce sia diventata così fioca.
“Sì, signora. Perché?”
Io sono stata imprigionata il 17 novembre 1961. Nella prima pagina di questo calendario, in lettere rosse e decisamente inequivocabili, lampeggia il titolo “Calendario 1979”.
“N-No…nulla, va…va tutto bene.” tento di controllarmi.
Sono passati 18 anni. Sono rimasta rinchiusa là sotto per così tanto tempo…che non riconosco più nessuno. Mi guardo intorno: ora al Ministero lavora un’altra generazione di giovani, tutte facce nuove. Ecco perché non mi ricordavo del ragazzo o perché Ridley mi sembrava invecchiato: sono passati 18 anni dall’ultima volta che l’ho visto.
“Signora, la prego, se non si sente bene è meglio che si sieda.” mi ripete piano il ragazzo.
Un momento: mi ha chiamato di nuovo signora.
Sto per voltarmi, dimentica dello shock e di tutto il resto, e dirgliene quattro sulla buona educazione, quando, infine, capisco: ho 18 anni in più rispetto a quando mi hanno rapita.

Sento definitivamente le gambe cedermi e, se non ci fosse stato dietro di me quel ragazzo, molto probabilmente sarei caduta a terra.
“Signora!” esclama, mentre lo sento afferrarmi per la schiena e trascinarmi verso una sedia.
Chiunque potrebbe giudicarla una reazione esagerata: sono viva, dopo anni di prigionia, e sono al sicuro…ma ho 18 anni in più!! Sono stata rapita a 24 anni e questo vuol dire…oh, Salazar! Io ho 42 anni!
Sfido ogni donna con un minimo di senno a non sentirsi desolata di fronte ad una simile situazione.
Svenimenti a parte, questo giovane premuroso mi porta un bicchiere d’acqua e una Cioccorana e si siede accanto a me.
Mi riprendo dopo qualche minuto e, mentre mordicchio il mio dolcetto, mi rivolgo al ragazzo.
“Ehm…grazie. Credevo di riuscire e controllarmi, ma non ce l’ho fatta.”
“Non si preoccupi. Piuttosto…l’ho vista sbiancare quando ha letto l’anno sul calendario. Non la prenda per scortesia, ma…quanti anni è rimasta nei sotterranei?” mi chiede, sinceramente curioso.
“Diciotto anni.” sussurro.
Il ragazzo alza le sopracciglia e mi guarda, stupito. “Ci credo che si è sentita male!”
Lo fisso con uno sguardo di puro rimprovero: se c’è una cosa che ho imparato da ragazza era ragionare prima di aprir bocca. Lui sembra accorgersi della schiettezza che ha usato per rivolgersi a me e cerca di fare ammenda.
“Mi scusi, io…sa, io non sono decisamente famoso per il mio tatto.” Sorride “Comunque mi chiamo James, James Potter.”
Gli stringo la mano. “Piacere mio, James.”
Sento una strana felicità che mi colpisce all’improvviso: sono più grande di lui e di quasi tutti gli Auror qui attorno! Posso chiamarli per nome e non venire rimproverata! È una soddisfazione da poco, me ne rendo conto, ma in casa da piccola venivo sempre ripresa quando non mi rivolgevo agli ospiti in modo consono alla mia età: qui almeno posso prendermi la rivincita.
“E lei è?” mi domanda il ragazzo.
“Io mi chiamo…” esito.

So perfettamente il mio nome, ma non posso rischiare di rivelarlo alla persona sbagliata. Saranno anche passati 18 anni, ma non so cosa sia successo dopo il mio rapimento, non posso rischiare di rovinare tutto.

“…Cindy Westray” concludo.
“Ne è sicura?” mi chiede James, fissandomi attentamente.
“Sì, sicura. Stavo solo pensando al fatto che era da molto che qualcuno non me lo chiedeva!” sorrido.
La scusa sembra reggere, visto che Potter si tranquillizza e si offre di spiegarmi cos’è successo negli ultimi anni.

Quando finisce di raccontare, vorrei che non avesse mai iniziato.
 
***
 

È incredibile quanto le persone possano essere ingenue. O quanto lo possano diventare.
Per questa seconda parte basta pensare al vecchio Ridley.

Fin da giovane gli si prospettava un destino glorioso: John Ridley, la promessa tra gli eredi, il Purosangue perfetto, colui che avrebbe portato avanti nomi e tradizioni anche a costo della pelle. Gli erano bastate un’astuzia omerica e una serie di circostanze favorevoli ed ecco che nasceva la giovane certezza. Era conosciuto da tutte le famiglie Purosangue inglesi, presenziava ad ogni festa o banchetto, ma senza mai eccedere; si calava nella mondanità per poi emergerne praticamente intatto nelle conversazioni con i più autorevoli capifamiglia, esprimendo opinioni e argomentando su questioni importanti. Non c’era una serata in cui qualcuno non tornasse a casa pensando alle parole del giovane, così argute e complesse per la sua età.
L’unico suo rivale era Orion Black. Altrettanto brillante e perspicace, anche lui partecipava agli stessi banchetti di Ridley e anche lui dimostrava una maturità e una complessità di pensiero tali da rivaleggiare con l’altro giovane.

Entrambi si erano guadagnati stima e rispetto, utilizzando sia i nomi di famiglia che le proprie capacità. Erano così simili per ciò che riguardava il pensiero e il carattere, la determinazione e la fierezza, che era inevitabile che finissero con l’essere rivali. Come era uso tra le nobili famiglie, questa rivalità non sfociò mai apertamente in episodi di scarso controllo o in situazioni equivoche, ma fu abilmente gestita da entrambe le parti, ai ricevimenti e negli anni trascorsi ad Hogwarts, anche se lì con minor impegno visto che i ragazzi erano lontani dall’occhio vigile delle famiglie.
Tuttavia si sa che un fuoco, anche se celato negli antri più reconditi, non finisce serto per spegnersi.

E fu così che, dopo anni di risentimento, a John Ridley si presentò l’occasione di annientare il suo rivale.
E lui la colse al volo.
Ovviamente, dopo che gli fu venuta l’idea, era difficile accontentarsi. Ormai il primo passo era fatto, bastava solo proseguire. Uno dopo l’altro, i suoi rivali, nella vita e nel lavoro, sembrarono inspiegabilmente ritirarsi, lasciando appositamente spazio all’intoccabile Ridley. In realtà c’era il suo zampino ovunque, suo o dei suoi inviati.
Il suo primo colpo, però, lo diresse contro il suo più acerrimo nemico, colui che avrebbe facilmente intuito i suoi piani e gli avrebbe negato la gloria. Moderò indicibilmente la fiamma di Orion Black, sferrandogli un colpo atroce. Non gli disse mai di essere stato lui, né aveva intenzione di farlo, ma gli eventi hanno preso una piega diversa.

Complice la troppa sicurezza in se stesso, ora ha fatto il passo falso, lasciando scoperto il lato debole ha permesso a suoi protetti di rivoltarsi contro di lui e questi l’hanno rovesciato. Ora giace tra e fredde mura di Azkaban e il suo nome è rovinato per sempre.
E anche parte del mio lavoro.
Ma non ci farò troppo caso: lui non ha fatto il mio nome, io non ho fatto il suo. Anche se ciò non esclude che, se l’occasione si rivelerà propizia, io non lo faccia. Può sembrare crudele o rude, ma questo è il mercato. Se c’è un’offerta migliore, si scarta quella vecchia; se si presenta l’occasione, si dimenticano patti ed alleanze. È la vita del semplice mercenario.
Ma, vista la mia notevole specializzazione ed esperienza, io sarò più cauto, mi accerterò che ci siano una giusta offerta ed una situazione sufficientemente favorevole per cambiare bandiera.
E sono certo che questo nuovo incarico ha esattamente i requisiti che servono.

Io le so riconoscere queste cose.
Io sono Clay Tiranus e sono un serial killer.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo autrice…

Ciao a tutti!!
Perdonate l’immane ritardo, ma volevo che questo capitolo fosse abbastanza intrigante e mi ci è voluto un po’ per perfezionarlo.
Ora…ho lasciato la parte iniziale tre Sirius e Regulus perché, ormai lo sapete, mi piacciono tanto tanto!! Poi però ho cambiato rotta e ho fatto parlare “Cindy” che vi assicuro ha un nome più carino;) La ragazza ha passato 18 anni in prigione e quando se ne accorge…beh, io avrei reagito peggio, ma lei è forte:)
E, alla fine, visto che poteva tranquillamente rientrare nei miei piani e visto che la mia Smaug li adora, ho inserito il beneamato serial killer! Sì, il cognome l’ho preso dal conte di Star Wars, ma secondo me ci sta bene…
È un capitolo piuttosto ricco – ed era il minimo dopo tutto questo tempo – quindi, se avete qualcosa da dirmi, lasciate una recensione:) Ciao!
Anna
 

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Capitolo 4
*** The Young Black's Heir ***


The Young Black’s Heir
 



 
13 marzo 1957 



 
Orion gironzolava tra gli invitati al banchetto, stringendo mani e scambiando veloci saluti, attraversando lentamente la sala.

Ogni volta che c’era una riunione di famiglia o qualche ricorrenza, una delle antiche famiglie Purosangue organizzava una grande festa, invitando tutte le altre e praticamente radunando in un’unica casa i personaggi più illustri ed importanti del momento. Stando in una sola sala da ballo si poteva incontrare il Segretario del Tesoro, l’editore del Profeta, il Ministro delle Istituzioni o il vecchio cancelliere, tutti riuniti insieme a sorseggiare vini o liquori e a scambiarsi opinioni.

E lui, nobile e stimato figlio di Casa Black, si riduceva sempre così, a gironzolare per la sala tentando invano di scovare un posto abbastanza isolato da potervisi nascondere, evitando così gli sguardi indagatori dei noti uomini d’affari e le occhiate maliziose delle giovani dame che, avvolte nei loro sinuosi abiti e agghindate con preziosi gioielli, avevano recentemente accentuato il loro interesse per lui.

Purtroppo non era facile essere l’unico erede maschio di una Casata come la sua. Orion si meravigliava sempre di quanto fosse più serena sua sorella maggiore, Lucretia: anche se primogenita, da lei ci si aspettava semplicemente un comportamento consono ad una qualsiasi donna Purosangue, cioè essere ben educata, colta, sicura di sé, dotata di eleganza nel vestiario quanto nel portamento e provvista di quella sottile virtù detta controllo. Ella infatti doveva saper partecipare alle discussioni ufficiali, doveva essere in grado interagire con persone importanti ed elargire opinioni degne di una donna del suo calibro, ma non doveva mai superare una data soglia, oltre la quale la sua sarebbe diventata impudenza. Per quanto i tempi fossero cambiati e per quanto alle donne fossero stati riconosciuti molti diritti, rimaneva ancora quella vaga convinzione – più che radicata nelle famiglie tradizionaliste – che doveva essere il marito, il padre o comunque l’uomo a dover rappresentare la famiglia. Ed ecco la ragione per cui spettava ad Orion il compito di dimostrare il valore dei Black, un compito molto più gravoso di quanto non fosse quello di Lucretia.

Era stato educato ed enormemente preparato ad affrontare questo stile di vita, ma doveva ammettere che quella serata lo stava distruggendo.
Il grande banchetto quella sera si svolgeva, per controversia del Fato, proprio a Casa Black.

Orion aveva accolto gli ospiti insieme alla sorella, indirizzandoli nella sala da ballo, aveva poi scambiato qualche parola con il Viceministro per poi dirigersi verso il Primo Segretario, passando poi vicino al Ministro degli Esteri e finendo intrappolato in un discorso interminabile a riguardo delle iniziative prese dal Consiglio dei Maghi in Olanda.
Fortunatamente per lui, subito dopo aveva incontrato un suo amico di vecchia data, un compagno di scuola.

“Hey, signor Padrone di Casa!” lo apostrofò alquanto bruscamente, “Non si saluta un vecchio compare?”
Orion lo prese per una manica e lo trascinò in disparte.
“Le tue entrate in scena hanno sempre peccato di garbo, Ryan Richmond, e ora, se non vuoi che mia madre ti scuoi vivo, sarebbe meglio se ti comportassi un po’ più da Purosangue quale sei.” Gli sorrise.
“Uff, sempre così ligio…alle feste sei proprio intrattabile, Orion” sbuffò lui, sistemandosi la giacca.

Ryan, anche se di nobili origini, non aveva mai apprezzato a fondo quel codice di condotta che a cui molto tenevano sua madre e la signora Black e per tanto veniva sì considerato un giovane promettente, ma mai quanto il suo amico Orion. Era appunto la strana amicizia tra i due che più sconcertava: il primo era estroverso, disinvolto e irriverente, il secondo invece era rispettoso, composto e corretto. Eppure, anche se talvolta lo portava all’esasperazione, per Orion il suo amico rimaneva tale perché aveva saputo conquistarsi la sua fiducia e sentiva di poter contare su di lui, nonostante le figure poco consone che ogni tanto gli faceva fare.

“Vedi di non combinare nulla di…inappropriato. Non vorrei che mia madre ti spedisse fuori…” gli sussurrò con un sorriso, ritornando nella sala.
“Non hai di che preoccuparti! Anzi…cerca di rilassarti e di trovare qualche bella dama con cui ballare.” Gli rispose con uno sguardo più che eloquente.

Scuotendo la testa, Orion si allontanò, ma, nonostante i buoni propositi non ebbe un attimo di pace.
Essendo lui uno dei padroni di casa, aveva dovuto aprire le danze con Lucretia subito dopo i loro genitori, invitando poi – più per cortesia che per altro – Silena Merryweather a ballare. Abbandonata la sala, si era concesso qualche minuto di tranquillità al rinfresco, dove aveva però incontrato un’altra vecchia conoscenza, Claire LaBelle.
Gli era perfettamente chiaro come la ragazza stesse tentando da qualche mese a farsi considerare, ma, per quanto bella fosse fisicamente, aveva un carattere orribile. La ragazza aveva un fisico snello e slanciato, un volto dai lineamenti soffici, degli occhi paragonabili agli zaffiri d’Oriente incastonati nella pelle candida e una sinuosa cascata di riccioli neri a completare il tutto. Inutile dire che era nelle menti di molti giovani Purosangue, ma l’apparenza inganna e, Orion pensò, mai proverbio fu più calzante. La realtà era che quella ragazza era subdola all’inverosimile, capace di utilizzare chiunque e in qualsiasi modo pur di ottenere ciò che desiderava e quindi, vista la posizione del giovane Black e la sua nota reputazione, una futura unione con lui le avrebbe assicurato con certezza una vita più che agiata ed una fama neanche lontanamente paragonabile a quella che aveva ora.
Purtroppo per lei, il giovane Black in questione se ne rendeva perfettamente conto e fu così, che con un’educata e quanto mai galante scusa, riuscì a svignarsela e a ritornare nella sala.

Aveva appena terminato un altro giro della zona, evitando accuratamente di incrociare John Ridley, suo acerrimo rivale, quando una voce familiare lo riscosse dai suoi pensieri.
“Sbaglio o la tua serata è piuttosto frenetica?”
Voltandosi vide sua sorella che gli sorrideva, gaiamente seduta su uno dei divanetti appoggiati alla grande finestra che dava sul giardino.
“Ah, sei soltanto tu.” Sospirò rasserenato, sedendosi accanto a lei.
“Soltanto io?”, chiese accigliata “Dovrei sentirmi offesa da questa palese sminuizione?”
Orion la guardò meglio, uno sguardo stanco negli occhi.
“Ti prego, dimmi che non stai facendo sul serio…almeno tra di noi può restare tutto com’è di solito? Intendo quando non abbiamo un reggimento di ministri che ci invade la casa.”
Lucretia scoppiò a ridere e, sempre educatamente, si ricompose.
“Ah, fratellino, quando il dovere chiama, Orion deve mettersi la cravatta e rispondere!” sospirò. “Tranquillo, qui potrai trovare pace dai tuoi inseguitori e da Claire LaBelle in particolare” concluse, lanciandogli uno sguardo di sottecchi.
“Quell’angelica arpia ha forse messo in giro strane voci?” chiese lui, una nota di vago imbarazzo nella voce.
“Non ancora, ma a giudicare da come ti fissava prima, credo che non resisterà ancora a lungo…”
“Oh, grandioso, l’hai notato anche tu. Beh, se pensa di avere anche la minima speranza, si sbaglia. Se si azzarda a dire qualcosa in giro le rivolto contro ogni singolo ventenne Purosangue, non avrà un secondo di pace se anche io comincio a prenderla di mira.” Borbottò innervosito.
“Guai a chi si mette tra Orion Black e la sua inespugnabile reputazione.” ridacchio la ragazza. “Sai che assomigli tantissimo a nostro padre quando fai così?”
Orion spalancò appena gli occhi, indeciso se prenderla come una cosa positiva o un sintomo di cui preoccuparsi.
“Davvero?”
“Sì, fiero e determinato. Al solito, insomma.” Gli sorrise.
“Io non sono così, lo sai. È solo che tutti mi hanno sempre voluto fiero e determinato, altrimenti non lo sarei affatto.” Sussurrò lui, abbassando gli occhi.
Lucretia gli mise una mano sulla spalla.
“Sei un ottimo figlio, Orion. Né io né te abbiamo nulla di cui rimproverarci: abbiamo reso onore alla nostra famiglia e continueremo a farlo.” Gli disse dolcemente.
Rincuorato, il ragazzo sollevò lo sguardo sulla sala gremita di gente e poi sulla sorella.
“Grazie davvero per la boccata d’aria, Lucy. Temo che ora dovrò ritornare in territorio nemico ad ingraziarmi un altro po’ quei professori di Medimagia.” Sospirò, un vago accenno di sconsolazione nello sguardo.
“E io tornerò a tuffarmi negli elevati discorsi della Merryweather, esprimendo vitali opinioni sui servizi di argenteria dei McGrover…ringraziamo Salazar di questa bella serata e facciamoci coraggio, fratellino!” sorrise Lucretia.
“Buona fortuna…” ridacchiò Orion, mentre entrambi si alzavano dal divanetto.
“Anche a te e…attento a LaBelle!” lo schernì lei.
 
***
 

Erano passate più o meno tre ore dall’ultima pausa che si era preso sul divanetto con sua sorella e ormai il giovane Black stava esaurendo le forze e la pazienza.
“Sfido qualunque ragazzo di vent’anni sano di mente a sopportare un altro di quegli interminabili discorsi sulle sottigliezze dei ricorsi storici, senza considerare seriamente l’ipotesi del suicidio immediato.” Pensò al culmine della frustrazione.
Poteva passare tutto, anche la chiacchierata col luminare della Storia della Magia, ma un discorso lungo quasi mezz’ora di cui la metà di quelli che ascoltavano capivano meno della metà delle parole dette, allora quello diventava puro masochismo.

Ormai la serata era quasi finita, pensò Orion non senza un sospiro sollevato: la cosa più saggia era evitare qualsiasi persona che avrebbe potuto intavolare un’altra discussione infinita, quindi bisognava eliminare politici, studiosi, medici e gran parte delle dame lì presenti.
La scelta più ovvia per tentare di salvaguardare la propria sanità mentale ricadeva sulla pista da ballo: se si è impegnati a ballare senza scontrarsi con tutte le altre coppie è praticamente impossibile parlare più di tanto. Ora rimaneva solo da trovare una ragazza dalle constatazioni non troppo articolate, ma sufficientemente ragguardevoli, in modo da non finire nelle braccia di certe quaglie il cui massimo scopo nella vita era spettegolare sui vestiti altrui (e qui, senza che potesse impedirselo, nella mente di Orion comparve il volto di una certa McGrace).

Questi criteri, anche se semplici all’apparenza, erano immensamente difficili da soddisfare.
Alla fine, depresso dall’inutile ricerca, il ragazzo si diresse verso il tavolo del buffet per tentare di consolarsi con un sorso di vino, ma, proprio mentre si stava voltando con il bicchiere in mano, una ragazza gli comparve affianco senza il minimo preavviso e i due si scontrarono l’uno contro l’altra.
Ormai è una conoscenza piuttosto assodata che, quando le cose devono andare storte, lo faranno nel peggiore dei modi, ma molti di noi tendono a dimenticare un così utile insegnamento…
Infatti, nella sua sorpresa, Orion indietreggiò bruscamente e così fece il suo braccio, ma lo strattone fece ondeggiare lo spumante nel bicchiere che, con un’ondata, si riversò abilmente sul vestito della ragazza.
“Vi ringrazio infinitamente per questo splendido momento.” Lo canzonò gelida la fanciulla, sfoderando uno dei suoi sguardi più accusatori e puntandolo negli occhi del ragazzo.
“S-Sono immensamente dispiaciuto, milady!”, riuscì a spiccicare lui, per poi aggiungere: “Perdonatemi, non era affatto mi intenzione macchiare il vostro vestito.”
“Oh, ne sono immensamente sollevata. Altrimenti, dopo l’oltraggiosa insistenza di quel Richmond, avrei cominciato a pensare che la cavalleria si fosse gettata fuori dalla finestra.” Rispose lei mentre si ripuliva il vestito con un colpo di bacchetta.
La sorpresa di Orion per quel così rapido commento sarcastico fu indescrivibile: a parte sua sorella (e anche lei in maniera davvero sporadica), non aveva mai incontrato una ragazza così impertinente e diretta…ma dovette ammettere che, dopo una serata tra futili discorsi scambiati per cortesia con qualche altra giovane, questo scatto non lo disturbava più di tanto.
Si ritrovò invece a fissare quella persona così strana per le abitudini del suo mondo: anche lei, come Claire, aveva un bel fisico snello ed era alta quasi quanto Orion. Aveva la carnagione chiara, lo si capiva dalla pelle bianca che sporgeva dal vestito, ma era ben lontana dall’essere pallida, aveva invece una lucentezza propria. Come il ragazzo, anche lei aveva gli occhi chiari, ma non tendenti al grigio come lui, bensì all’azzurro, una tonalità glaciale, quasi artica di azzurro. Il suo volto dai lineamenti dolci era incorniciato da una treccia di capelli biondi, un particolare tipo di biondo più scuro di quello tendente al bianco che caratterizza i Malfoy, ma più chiaro del biondo solito dei campi di frumento, quando a luglio sono pronti per la mietitura. Un ciuffo ribelle sfuggiva all’acconciatura, arricciandosi elegantemente sulla tempia della ragazza. Nell’insieme, risultava aggraziata ed affascinante.
Orion si perse un attimo nelle sue considerazioni, attimo che fu sufficiente alla giovane per ricomporsi e spostare lo sguardo su di lui.

“Allora, che ci fa il padrone di casa abilmente nascosto al tavolo del buffet?” chiese, indagatoria.
Il ragazzo si riprese rapidamente e colse al volo l’occasione.
“Vago alla disperata ricerca di una dama con cui ballare.” Sorrise.
“Solo in questa sala c’è una lunga lista di ragazze che venderebbe l’anima pur di accompagnarvi nelle danze. Nessuna di loro vi soddisfa?” si accigliò lei.
Di nuovo, l’elegante schiettezza della fanciulla lo sorprese, ma non lo turbò.
“Dopo un’intera serata passata tra conversazioni e pettegolezzi, nutrivo la vaga speranza di trovare qualcuno non troppo frivolo con cui concludere le danze.”
“Mi giudicate una persona non frivola?”
“Vista la vostra garbata ironia, credo proprio di non sbagliarmi a proposito…giusto?”
La ragazza sorrise e Orion si sentì immediatamente sollevato: era complicato parlare con quella fanciulla, trovava sempre una risposta azzeccata alle sue affermazioni.
“Non sta a me giudicarmi, ma posso concedervi che siete sulla buona strada.” Confermò lei.
“Mi concedete dunque questo ballo?” si offrì subito lui, porgendo elegantemente il proprio braccio alla ragazza.
“Certamente.” Rispose lei, ponendovi sopra la sua mano.
Si spostarono lentamente in mezzo alla sala, accompagnati da uno strascico di sguardi e, con grande disapprovazione di Orion, dai pollici alzati e dallo sguardo malizioso di Ryan. Una musica lenta permeava l’aria e i due giovani si accinsero a prendere il ritmo. Dopo qualche tempo, Orion prese la parola.
“Non mi dite nulla sul vostro conto?”
“Non spetta a voi fare i convenevoli?” lo riprese lei.
Maledicendosi per l’errore, il ragazzo rispose: “Sono certo che conosciate già il mio nome, purtroppo, e questo mi priva dell’onore di presentarmi.”
“Che dispiacere dovete provare…comunque sì, conosco il vostro nome. Penso spesso a quanto dev’essere difficile portarlo avanti: tutte queste aspettative, le pressioni…” disse la ragazza, quasi sovrappensiero.
Orion rimase basito: qualcuno ogni tanto gli rivolgeva commenti del genere e a volte elargiva anche consigli, ma mai una dama aveva considerato quell’aspetto della sua vita, si erano sempre concentrate solo sul suo importante avvenire.
“Voi ne sapete qualcosa?” indugiò.
“Non esattamente” rispose lei, pensierosa. “O meglio, non ai vostri livelli.”
Orion la guardò, lo sguardo indeciso.
“Vi ho osservato, questa sera.” Spiegò lei, “Non avete avuto un attimo di pace: sempre in mezzo a conversazioni o intento a ballare; la vita di vostra sorella assomiglia molto di più alla mia.”
“Avete definitivamente centrato il punto.” Sussurrò lui, incredulo.
“Come fate? Voglio dire, c’è mai qualcosa che fate contro la vostra volontà? I vostri interessi collimano sempre con quelli della vostra famiglia?” chiese lei.
In effetti, no. Vi erano una lista di cose in cui il suo pensiero non coincideva con quello dei familiari. E quell’interminabile serata capeggiava quella lista. Ma il punto era: come mai la ragazza si sentiva così tranquilla a parlargli di certe cose? Si erano conosciuti pochi minuti prima, non erano affatto così intimi.
“Non vedo perché dovremmo rovinare la serata con discorsi così inutili, ora come ora.” Chiuse infatti l’argomento, in maniera più brusca di quanto si aspettasse.
“Sbaglio o eravate voi a voler cambiare un po’ il tema della conversazione? Non mi avete cercata per questo?” gli ricordò.
Orion era imbarazzato, e questa era una cosa che decisamente succedeva di raro. Quella ragazza era davvero strana, come faceva a farlo sentire così quando neanche Lucretia ci riusciva più da tempo?
La parte peggiore, però, era che aveva ragione: lui aveva cercato qualcuno di meno frivolo con cui parlare, lui aveva cercato un cambio di argomento. Ma non si sarebbe mai sbilanciato su una questione così delicata con un’estranea; dopo tutto, i suoi sentimenti verso la famiglia erano enigmi che nemmeno lui a volte comprendeva. Ma c’era qualcosa di diverso, di rassicurante negli occhi azzurri di lei che lo rilassava, e per qualche momento pensò davvero di risponderle.

Poi la musica cessò e questo significava che era giunto il termine della serata.
La ragazza sorrise e lasciò rapidamente la presa sul suo braccio.
“È stato un piacere ballare con voi. Vi auguro buona notte. Arrivederci.” Lo salutò, per poi voltarsi e scomparire velocemente tra la folla ordinata di famiglie che sciamava verso l’uscita, dove i padroni di casa avevano già cominciato i saluti.
Orion rimase solo nel bel mezzo della sala, immobilizzato come da un incantesimo, gli occhi fissi nel punto in cui la ragazza era sparita.
 
 
 
 
Angolino autrice…
Ciao a tutti!! Lo so, è un poema, ma vi confesso che l’ho pure tagliato, altrimenti qui andavamo avanti per un’altra paginetta buona…
Comunque, in questo capitolo si torna un po’ indietro nel tempo: Orion è il giovane erede dei Black, ha vent’anni, non è ancora sposato (per sua fortuna) e vive a casa dei suoi. A proposito di questo particolare, non so se i suoi genitori vivessero già a Grimmauld Place, ma ho preferito dargli un’altra sistemazione (in un delizioso villino, di preciso) perché dovevo farci stare la sala da ballo. Riguardo alla sorella mi sono informata ed in effetti Lucretia esisterebbe e sarebbe più vecchia di lui e, per mio grande dispiacere, vivrebbe anche più a lungo di lui, ma tralasciamo. L’amico Ryan, invece, è una mia invenzione, perché in fondo anche Orion avrà avuto una vita sociale, no?:)
C’è anche questa misteriosa ragazza, a cui il nostro protagonista si è dimenticato di chiedere una cosa importante…ma non dico nulla!

Lasciate una recensione!;)
Anna

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Capitolo 5
*** Midnight Call ***



 

Midnight Call

 

 
 
 


Fu la voce di Ryan a risvegliarlo.

“Finalmente hai deciso di darmi retta! Niente male, amico mio, davvero.” Sogghignò.
“Cosa? Oh, no, hai frainteso tutto. Abbiamo solo ballato!” rispose Orion, riemergendo dallo stato di trance in cui era caduto. Quella ragazza l’aveva lasciato talmente in fretta che non era neppure riuscito a reagire, era rimasto semplicemente immobile in mezzo alla sala…
“Certo, ma lascia che ti comunichi che eri l’unico di quelli che stavano ballando a fissare in modo così estasiato la propria dama.” Gli fece notare l’altro.
“Mi stavi osservando?” replicò Orion, non senza una punta di stizza.
“E ti avviso che non ero l’unico.” Aggiunse, lanciando poi un’occhiata al fondo della sala, dove i signori Black stavano augurando una buona serata agli ospiti.
“Ti prego, dimmi che non…” sussurrò guardando poi Ryan, che annuì.
“Oh, perfetto. Ed ora come minimo mia madre mi farà un interrogatorio…per non parlare di mio padre.” Sospirò, avviandosi sconsolato verso i genitori.
“Che Salazar sia con te!” lo salutò l’amico con una pacca sulla spalla. “Fammi un fischio domani, così so se sei ancora vivo…”
“Grazie, Ryan. Tu sai davvero come tirare su il morale di una persona!” si lamentò Orion. “Comunque ciao, grazie di essere venuto.” Concluse, mentre l’altro si dirigeva verso l’uscita, alzando una mano in segno di saluto.
 
 
***
 
 
14 marzo 1957
 

Circa un’ora dopo, Orion stava ritornando in camera sua dopo aver parlato con i suoi genitori.

Non era andata così male, alla fine. Sua madre aveva voluto sapere come mai avesse invitato quella ragazza e perché proprio lei, mentre suo padre non si era perso in giri di parole e gli aveva chiesto cosa ne pensava.
Lui era rimasto molto vago, dicendo che era solo la prima che aveva incontrato al tavolo del buffet e, giusto per chiudere la serata, l’aveva invitata a ballare. Alla domanda di suo padre aveva scelto le parole per rispondere con la massima cura, descrivendola come una persona piuttosto sveglia ma troppo tendente al sarcasmo, così da non sbilanciarsi in nessun modo.
“Una sana via di mezzo.” Si era detto. “Un pregio e un difetto, così si equilibrano.”
I suoi sembrarono soddisfatti della risposta e lo congedarono, augurandogli una buona notte.

Era disteso a letto, impegnato a ripensare alla serata, quando si ricordò che doveva chiamare Ryan.
Si alzò e si trascinò verso il grande specchio che era appeso al muro sopra la cassettiera. Picchiettò due volte con la bacchetta e chiamò.
“Ryan?”
Un mugugnio indistinto giunse in risposta, mentre l’immagine nello specchio cambiava: ora non vi era più il riflesso della stanza di Orion ma la veduta della stanza di Ryan, incluso il suddetto ragazzo abbandonato sul letto con la faccia sprofondata nel cuscino.

Avevano inventato quel trucchetto anni prima, così avrebbero potuto parlarsi anche durante le vacanze più velocemente rispetto alla via-gufo. Avevano gettato un incantesimo su entrambi gli specchi così che, quando uno dei due ragazzi picchiettava due volte con la bacchetta sulla superficie e chiamava il nome dell’altro, immediatamente vedeva e sentiva ciò che accadeva nella visuale dello specchio dell’altra camera.

Quando sentì la voce dell’amico, Ryan si sollevò appena, giusto per riuscire a vedere lo specchio.
“Ah, sei ancora vivo…” biascicò, sbadigliando.
“Sono felice che questa notizia smuova in te così tanto entusiasmo.” Commentò Orion con un sorrisetto.
L’altro si rigirò nel letto, bofonchiando una risposta che si perse tra le lenzuola.
“Avanti, Ryan! Scendi da quel letto, ho bisogno di parlarti!” si spazientì il ragazzo.
Altra risposta borbottata.
“Guarda che se non ti alzi dico a tua madre di Elizabeth Rouen.” Ghignò Orion, abbandonando ogni pietà.

Un vago silenzio precedette il primo segno di vita – degno di tale nome – da parte di Ryan.
“Non oseresti.”
“Mi conosci da parecchio tempo, Ryan. Sai benissimo che oserei.” Si compiacque il ragazzo.
Durante i pochi attimi seguenti, Ryan parve considerare se il suo amico fosse davvero in grado di sferrare un tale colpo basso, per poi rendersi conto che si chiamava Orion Black: ovvio che ne sarebbe stato capace.
“Che bastardo che mi sono scelto come amico…” borbottò indispettito mentre si rotolava giù dal letto.
Soddisfatto, Orion si appoggiò alla cassettiera con le braccia e attese che un Ryan più nel mondo dei sogni che in quello dei vivi si sedesse su una poltroncina vicina al suo specchio.

 “Che. Hai.” Scandì quello.
“Ma sei andato a letto vestito?” chiese stupito Orion, mentre un sorrisetto si dipingeva sul suo volto alla vista dell’amico ancora in giacca e cravatta.
“No, questo è il mio pigiama da festa.” Sbuffò Ryan. “Ti avevo detto di chiamarmi domani!”
“È l’una.” Gli fece notare l’altro.
Questa vaga consapevolezza preso forma nella mente di Ryan più lentamente del solito a causa del brusco risveglio.
“Oh, ma cruciati Black!” brontolò.
“Certo, provvederò più tardi. Comunque ti devo parlare.”
“Cosa devi dirmi?”
“Ho parlato con i miei.”
“E?”
“E mi hanno chiesto cosa ne penso di lei e cose del genere.”
“Quindi?”
“Beh, non gli ho detto tutta la verità, non ci ho ancora capito nulla neanche io.”
“Allora?”
“Dovevo pur dirlo a qualcuno, ho appena mentito ai mio padre!”
Uno sguardo truce prese posto sul volto di Ryan.
“E tu mi avresti svegliato per questo?”
“Mi avevi detto di chiamarti e io avevo voglia di parlare con qualcuno! Dovevo forse confessarmi col cuscino?” minimizzò Orion.

Ryan trasse un respiro profondo. Questo era Orion Black: fiero e determinato di fronte a tutti, ma alla fine rimaneva sempre un perfettissimo ragazzo di vent’anni, con i suoi dubbi e le sue convinzioni.
“Ok, visto che ormai sono sveglio e visto che non ho nessunissima voglia di prendere la bacchetta per chiuderti la conversazione in faccia…sfogati.”
Orion gli raccontò di come aveva incontrato la ragazza, del suo sarcasmo, del ballo e di quello che gli aveva detto mentre ballavano. Per tutta la durata del discorso, Ryan fissò un punto indefinito sulla fronte dell’amico.
“E poi se n’è andata così in fretta, praticamente io non l’ho nemmeno salutata…Ryan che hai da fissarmi? Ho qualcosa scritto in fronte, per caso?” chiese scocciato.
“No, niente. È che non mi sembra che tu ti sia accorto che manca qualcosa.” Rispose semplicemente.
Orion lo guardò con aria confusa.
“Cosa?”
“Come hai intenzione di rintracciarla?” sospirò Ryan in tono sufficiente. A volte bisognava proprio spiegare tutto!
“Io…oh, Salazar!” esclamò il ragazzo, capendo tutto all’improvviso. “Non mi ha detto il suo nome!”
“Esatto.” Annuì l’altro.
“E adesso come faccio?”
“E che ne so io?”
“Ryan, devi aiutarmi! Come posso ritrovarla se non so nemmeno chi sia?”
“Non lo so, io non l’ho mai vista. Non credo che sia di queste parti e non l’abbiamo mai incontrata nemmeno ad Hogwarts.” Constatò. “Probabilmente ha studiato a casa. Comunque penso che dovresti chiedere ai tuoi. Se l’hanno invitata, vuol dire che conoscono la sua famiglia.”
“No, no posso chiedere ai miei.” Scosse la testa. “È una regola del galateo, avrei dovuto presentarmi e lei l’avrebbe fatto di conseguenza, ma visto che mi conosceva già…”
“Tua madre non la prenderebbe bene, in effetti.”

Anche Ryan conosceva bene la severità di Melania Black quando si trattava di galanteria. Aveva ancora impresso nella memoria l’interminabile pomeriggio a cui l’aveva sottoposto, quando aveva dodici anni, ad una interminabile lezione sull’educazione e la condotta che doveva dimostrare un ragazzo del suo rango. Il tutto perché, mentre stava facendo visita al suo amico, gli era sfuggito un commento non troppo educato riguardo all’abito che indossava la signora Black.
Anche se, qualche giorno dopo, Orion si era dichiarato d’accordo con lui riguardo al vestito, questo non gli aveva certo risparmiato un pomeriggio da incubo.

“Non hai un elenco degli invitati?” sbadigliò.
Orion parve illuminarsi.
“Io no, ma forse l’elfa che doveva portare gli inviti alle Poste ne ha una copia!” disse, per poi rabbuiarsi. “E a che mi servirebbe, comunque? Non conoscevo tutti i presenti, non posso andare per esclusione.”
Il ragazzo si accasciò sulla cassettiera.

Erano rare le volte in cui Orion si abbandonava così. Di solto era molto più intraprendente e non si curava degli ostacoli che gli si paravano davanti, ma questa volta, complici il sonno e il ricordo della ragazza impresso nella mente, pareva un’altra persona.
Ryan lo guardò intensamente: doveva aiutarlo, ma come?

Un’idea comparve rapida nella sua mente, così all’improvviso che per un momento pensò: “Può funzionare!”
Stava giusto per auto-complimentarsi per l’illuminazione avuta, quando si rese conto quello che avrebbe implicato: sì, avrebbe aiutato un suo amico, ma si sarebbe scatenato il finimondo…

Maledicendosi in anticipo per quello che stava per fare, Ryan prese parola.
“Hai presente Bianca Ceroli?”
Orion alzò appena lo sguardo.
“È quella pettegola ragazza italiana che ti ha mollato uno schiaffo in mezzo a Diagon Alley?”
“Esattamente lei.” Confermò il ragazzo, sprofondando appena nella poltrona.
Era ancora in tempo per rimangiarsi tutto, bastava lasciar cadere l’argomento, poteva risparmiarsi ore di tormento…
Ryan, niente ripensamenti, sussurrò compita la sua vocina interiore, Dillo.
Sospirò, rassegnandosi.
“Ecco, lei c’era ieri alla festa perché ospite dei Lestrange per lo scambio culturale. Lei…” esitò. “…beh, sai che è piuttosto curiosa. È molto probabile che conosca il nome della tua ragazza misteriosa.”
Sputò fuori le ultime parole, quasi sperando che Orion non le sentisse. Purtroppo per lui, Orion aveva sentito perfettamente.
“Hai ragione! Quella ragazza sa qualsiasi cosa di qualsiasi persona! Di sicuro saprà anche suo il nome!” esclamò, improvvisamente speranzoso. “Ryan, scrivile subito!”
“Scrivile tu!” si difese rapidamente l’altro.
“Cosa? Assolutamente no! Se si viene a sapere che non conosco nemmeno la gente che invito alle feste, mi rideranno dietro per sempre! Hai idea di come potrebbe sfruttare la cosa Ridley?”
“E tu hai idea di come si spargerebbe la voce che io ho messo gli occhi su un’altra ragazza? Mia madre mi scuoierebbe vivo e mio padre mi cancellerebbe dal testamento! Mi hanno detto di finirla con le mie avventure giovanili, altrimenti mi mandano alla Scosburn!” esclamò Ryan sbarrando gli occhi per l’orrore.

La Scosburn era una scuola di legge magica che aveva sede a Edimburgo, ma aveva la fama di accogliere tutti i ragazzi che venivano espulsi dalle altre scuole e i quali genitori esigevano un titolo di laurea: si era trasformata nel covo di viziati manichini che un giorno avrebbero preso posto dietro una scrivania nell’impresa del padre e lì sarebbero rimasti.

“Ryan, ti prego! È un’idea geniale! Così non sembrerà che sia io ad essere interessato e, nel caso in cui la voce che ti interessa giungesse a lei, io non farei un pessima figura nei suoi confronti ed in quelli dei suoi genitori!” concluse Orion sempre più euforico del nuovo piano, abbandonando l’appoggio sulla cassettiera per portarsi le mani ai capelli.
“Temo che tu non abbia capito il mio punto di vista.” Controbatté Ryan, il tono falsamente angelico. “Mi sto giocando l’eredità, la pelle e la reputazione!” strillò poi, esasperato.
Orion gli rivolse uno sguardo confuso.
“Sveglia? La realtà ti sta chiamando, Orion! Mio padre mi disereda, mia mamma mi scuoia e tutti e due mi sbattono fuori di casa!” concluse, aggrappandosi ai braccioli della poltrona per il nervosismo.
Un lampo di comprensione attraversò il volto dell’amico, subito soppiantato dallo sguardo che questi era solito rivolgergli quando si trattava di una favore.
Ryan avrebbe dovuto sentirsi onorato di fronte a quella scena, perché erano davvero poche le persone che Orion Black aveva scongiurato in vita sua, ma la prospettiva di come avrebbe reagito sua madre lo innervosiva non poco.
“Ryan…”
“No.” Tentò di rispondere, risoluto.
“Avanti…”
“Mi scaverei la fossa da solo.” Constatò, tentando invano di convincere l’amico.
“Per favore…”
“È puro masochismo!” Aggiunse, provando quindi a preparare psicologicamente se stesso.
“Dai…”
Ryan lo fissò attentamente.
“Io lo sapevo che non dovevo aprire la bocca!” accettò, sospirando.
Orion gli sorrise.
“Grazie, Ryan. Davvero.”
L’altro gli rifilò un’occhiataccia.
“E tutto questo perché abbiamo solo ballato, giusto?”
“Esattamente.” Ridacchiò Orion, mentre afferrava il suo pigiama. “Buona notte!”
“Notte.” Sorrise il ragazzo, mentre picchiettava due volte sulla superficie dello specchio.

Ryan aveva appena appoggiato la testa sul cuscino, distrutto da quella serata e dall’idea di dover scrivere a quella seccante ragazza italiana, quando dallo specchio giunse di nuovo la voce di Orion.
“Che stai facendo?” chiese, evidentemente turbato da qualcosa che il suddetto Ryan stava facendo.
Quando però il ragazzo si rese contro che non stava proprio facendo nulla, gli rispose con un seccato: “Dormo?”
L’espressione di Orion fu di immenso oltraggio.
“Alzati subito, dei scrivere alla tua ex!”
Ryan gli rivolse un’occhiata a dir poco omicida.
“Punto primo, è stata solo una serata. Punto secondo…all’una e mezza di notte? Io dovrei mettermi a scrivere?!” esclamò, leggermente alterato.
Orion fece spallucce.
“Sì.” Rispose con aria innocente.

Ryan lo fissò, incredulo: il suo amico faceva sul serio…e conoscendolo non gli avrebbe dato tregua finché non avesse spedito quella lettera.

E fu così che, borbottando svariati insulti al calamaio, alla carta, alla penna, al gufo e a qualsiasi altra cosa gli capitasse a tiro, Ryan Richmond si ritrovò a legare una busta alla zampa del volatile, per poi guardarlo inoltrarsi verso ovest nella compatta oscurità delle due del mattino.

“Sono finito.” Sospirò, abbandonandosi tra le lenzuola.
 
 
 
 
 
 

Angolo autrice

Hey, popolo vacanziero!
Oggi ho deciso di ultimare il capitolo ed ecco quello che ne è venuto fuori. C’è solo una cosa da dire: io adoro Ryan! È il ritratto del migliore amico: scanzonato e ribelle, ma sempre disposto ad infangarsi la faccia per aiutare;) E qui la reputazione se la gioca davvero, ma insomma…Orion aveva bisogno di una mano!
Alla fine si era dimenticato di chiedere proprio il nome della sua dama, che ci rivelerà l’ex ragazza di Ryan, Bianca.
Ma…quando Orion la troverà di nuovo, come andrà a finire la cosa? E, soprattutto, che cavolo centra tutto questo con i miei Sirius e Regulus??
Attendete, attendete…
Intanto, buone vacanze!:)

Anna

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Capitolo 6
*** The Name in the Letter ***



The Name in the Letter
 
 



 
21 marzo 1958
 

Un gufo dal piumaggio bianco e dall’aspetto impettito becchettò contro il vetro della sua finestra per diversi secondi, prima che Ryan, schiudendo appena gli occhio per trovare (e pietrificare) l’origine di quel rumore, notasse la sua presenza. Pur controvoglia, il ragazzo si alzò, spalancò la finestra e allungò la mano. Quando la lettera che trasportava cadde tra le dita del ragazzo, il gufetto si diede una stiratina alle piume, si guardò altezzosamente intorno e, voltatosi, riprese il volo verso casa.

Ryan lesse il mittente e scoprì che, anche se con qualche ritardo, Bianca Ceroli si era presa il disturbo di rispondergli, infrangendo ogni sua speranza che la lettera fosse stata smarrita o bruciata non appena letta la sua provenienza.
Aprì la busta e lesse che, con suo sommo dispiacere, la ragazza era giunta alla conclusione peggiore, esattamente quella che lui aveva temuto. Infatti, la maggior parte della lettera era composta da un’ordinata serie di non troppo velate insinuazioni, scritte con un’elegante grafia e dell’inchiostro viola, in netto contrasto con la filigrana color glicine della carta da lettere.
La ragazza aveva ovviamente frainteso il suo interesse per il nome della dama sconosciuta di Orion e, smaniosa di prendersi una rivincita per il comportamento fin troppo donnaiolo di Ryan nei suoi confronti, si era arrogata il diritto di confessare alla sua cerchia di amiche privilegiate (che successivamente avrebbero fatto girare la notizia per tutta la Londra magica) la richiesta dell’erede dei Richmond, preoccupandosi poi di lasciar intuire al suddetto che la sua reputazione era stata bellamente calpestata in seguito allo spargimento della notizia.

“Come se non me ne fossi già accorto…” si lamentò sconsolato il ragazzo, abbandonandosi sul letto e portandosi una mano sugli occhi.
La notizia, infatti, era già giunta all’orecchio di sua madre che, armata di una ferrea volontà e un’incavolatura cosmica, l’aveva messo sotto interrogatorio serrato per tutto il pomeriggio precedente, scrutandolo mentre si arrampicava sugli specchi alla ricerca della miglior scusa possibile.
Ryan le aveva provate tutte: aveva provato con la basica “semplice curiosità”, per poi passare al “vago interesse assolutamente privo di serie intenzioni”, per infine giungere al “fa di me quello che vuoi, tanto io mi rassegno”.
Giunti a questo punto era rincasato il padre di Ryan che aveva sostenuto la moglie per altri venti minuti d’interrogatorio, in cui il ragazzo aveva finalmente ceduto.

“Me l’ha chiesto Orion!” aveva ammesso alla fine, sull’orlo del collasso nervoso. “Si è dimenticato di chiederle il nome e mi ha chiesto il favore di farlo al suo posto!”
A questa incredibile rivelazione era seguito qualche fugace attimo di silenzio, seguito dalla genuina risata della madre di Ryan. Poco dopo, anche sul volto del padre comparve un sorrisetto piuttosto accentuato.
“Orion Black non si dimenticherebbe mai una cosa del genere, Ryan.” Gli aveva poi spiegato gentilmente la madre, posandogli una mano sulla spalla in modo comprensivo. “Ti pare possibile che un ragazzo come lui sbagli un passo così fondamentale in una conversazione? Tu forse l’avresti fatto, ma lui no!”
L’aveva poi guardato con sguardo compassionevole, come a dire che una scusa peggiore non la poteva sparare fuori neanche Malfoy (precedentemente uscito dal circolo di giovani ammirati dalla madre di Ryan per averla involontariamente offesa, rompendo una tazzina del suo servizio da tè preferito).

Ora, la risposta della donna aveva pesantemente frustrato l’animo già provato del giovane Richmond: punto primo, gli pareva più che possibile che un ragazzo come Orion Black sbagliasse una cosa del genere, visto che in effetti era quello che era successo; punto secondo, questa scarsa considerazione cominciava seriamente a pesare.
Aveva notato da tempo che i suoi genitori stavano sviluppando una certa predilezione nei confronti di Orion. La cosa all’inizio non si era rivelata un problema, visto che la prima conseguenza era stata che il suo amico era stato invitato più spesso a passare pomeriggi o serate da loro, cosa piuttosto positiva. Col passare del tempo, però, erano cominciati i comenti riguardo a quanto Orion fosse più responsabile, più educato e più attivo di lui nella vita politica e non solo.
Subito Ryan aveva deciso di non prestare troppa attenzione alle parole dei suoi, considerandole prive di importanza, ma già da qualche tempo aveva dovuto ammettere che l’invidia stava cominciando ad insinuarsi in lui come una matita ben temperata.
Aveva sopportato le insinuazioni dei suoi familiari cercando invano di scrollarsele di dosso, consapevole che la sua amicizia con Orion avrebbe potuto uscirne danneggiata se avesse dato troppo ascolto a quelle comparazioni sempre più insistenti tra loro due, giungendo perfino a defilarsi in camera sua non appena si toccava l’argomento.

Ma questo era troppo.

Fino a quel momento si era trattato di semplici osservazioni quasi borbottate, mai dette esplicitamente. Ora invece gli stavano spiattellando direttamente in faccia e senza giri di parole che lui, in confronto al suo amico, non valeva uno zellino.
Nei suoi occhi si insinuò un gelo inaudito e l’espressione di suo padre oscillò leggermente non appena si rese conto che il danno era fatto.
“Sapete cosa penso?” ringhiò Ryan, in preda alla rabbia e ad un’invidia sempre più profonda, “Che se Orion vi sta così simpatico, chiedete ai suoi genitori di darvelo in adozione, così finalmente avrete un figlio che saprà rendervi felici!”

Non aveva lasciato loro il tempo né di fare, né di dire nulla e, qualche secondo dopo, si era già sbattuto la porta della sua camera alle spalle e ci si era chiuso dentro a chiave.
La consapevolezza che sarebbe bastato un semplice incantesimo per spalancarla non gli aveva neanche attraversato la mente mentre si accasciava sul letto, aggrappandosi al cuscino e sprofondandoci il volto.

Quella sera non era sceso per cena, né aveva chiamato Orion come promesso per dirgli se la lettera era arrivata oppure no. Sapeva che non era giusto prendersela con il suo amico per l’insistenza dei suoi genitori, ma quella sera ogni convinzione ragionevole sembrava essersi volatilizzata dalla sua mente.
Un vago pensiero l’aveva stuzzicato: magari poteva parlargliene, avrebbe potuto informarlo della brutta piega che avevano preso i rapporti con i suoi coinquilini. In effetti, Orion era bravo ad analizzare le situazioni in modo lucido e a trovare soluzioni, cosa che invece a Ryan, in certi momenti, proprio non riusciva.
“Altro punto a suo favore…” aveva poi considerato con una punta di stizza.
Alla fine aveva deciso di non chiamarlo per paura di dire qualcosa di cui poi si sarebbe pentito.

Ed ora era lì, seduto sul margine del letto, con la lettera tra le mani ed un sentimento spiacevole in fondo al cuore.
Si rendeva perfettamente conto che era stupido e vigliacco da parte sua pensarlo, ma una parte di lui desiderava intensamente non chiamare Orion per comunicargli della lettera e dirgli semplicemente che Bianca non aveva risposto. Così, magari, anche i suoi genitori si sarebbero resi conto che neanche lui era così perfetto come sembrava.

Ci rimuginò sopra qualche secondo e se ne vergognò amaramente subito dopo.
“Ma che cosa sto facendo?!” si disse, orripilato dai suoi stessi pensieri. Questo non era lui, non era la sua mente. Era il suo lato subdolo e ricco di rancore a parlare, e lui non gli avrebbe certo dato ascolto.
Non aveva senso, non era colpa di Orion se lui si sentiva così. In più l’aveva implorato di aiutarlo e si vedeva che quella ragazza gli interessava davvero…e poi quante volte il suo amico l’aveva aiutato, sia a scuola che a casa o ai ricevimenti, sempre pronto a suggerirgli nomi e titoli che lui non si sarebbe mai ricordato?
No, era da egoisti non chiamarlo, era una cosa maligna ed inutile, visto che comunque la voce si era già sparsa. E lui non era il genere di persona da tirare un simile colpo basso.

Sospirò, raddrizzando gli angoli della lettera che aveva spiegazzato mentre era sovrappensiero, si alzò e andò allo specchio.
“Orion?” chiamò, picchiettando con la bacchetta sulla superficie riflettente.
Una versione piuttosto addormentata del suo amico gli si parò davanti, ancora in pigiama ed arrotolato tra le lenzuola. Aveva un’espressione distesa e rilassata, mentre se ne stava tranquillamente adagiato con un braccio sopra il cuscino ed un ciuffo di capelli neri calato sopra gli occhi, un vago sorriso sulle labbra. L’altro braccio era ripiegato e la mano serrata attorno ad un ciondolo argentato che gli pendeva dal collo. Quel ciondolo, per l’esattezza, non era altro che una elaborata “B” in metallo placcato: Orion non se la toglieva mai e, quando Ryan gli aveva chiesto il perché, l’amico gli aveva risposto che così non si sarebbe mai dimenticato da dove veniva e le responsabilità che aveva verso quelle persone che chiamava famiglia.
In realtà, quella collanina gliel’aveva regalata sua sorella maggiore Lucretia quando aveva cinque anni e semplicemente perché le era sembrato un pensiero carino, ma il ragazzo ne aveva trasformato il significato.

Ryan rimase un attimo a guardarlo: era strano non vedere Orion con la sua solita aria distaccata, così convinto di avere tutto sotto controllo. In effetti, mentre ci pensava, Ryan si rese conto che era dai tempi di Hogwarts che non vedeva Orion addormentato.
E perché mai avresti dovuto vederlo?, gli sussurrò la solita, indisponente vocina rinchiusa da qualche parte nella sua testa.
Per nessun motivo particolare, era solo una constatazione!, si rispose lui stizzito, portandosi una mano tra i capelli.
Poi, rendendosi conto che stava parlando tranquillamente con se stesso nonostante fosse ancora prima mattina e lui fosse perfettamente sobrio, si diresse verso bagno, deciso a svegliarsi del tutto, visto che ormai era comunque ora di alzarsi.

Aprì il rubinetto, prese una manciata d’acqua gelida tra le mani e, senza esitare, se la spiaccicò in volto, percependo ogni brivido che gli scendeva lungo la schiena e ascoltando il rumore del rubinetto ancora aperto.
Rimase così per qualche secondo, poi chiuse il rubinetto, si asciugò la faccia con la manica del pigiama e tornò davanti allo specchio.
“Orion!” esclamò.
Il ragazzo si svegliò improvvisamente, sbarrando gli occhi e scattando a sedere sul letto.
“Che c’è!” chiese, leggermente in preda al panico, cercando l’origine della voce e portando una mano alla bacchetta.
“Niente, sono io.” Gli disse Ryan, sorridendo. “Buongiorno!”
Orion si voltò verso lo specchio e lo fissò senza espressione per un attimo, prima di assumere uno sguardo accusatorio che, Ryan doveva ammetterlo, gli veniva maledettamente bene.
“Mi hai spaventato, genio. Potevo fare un infarto.” Gli borbottò contro, la voce ancora impastata.
“Scusa, ma era importante.” Ridacchiò l’altro, ma poi ci ripensò. “È che, quando dormi, sorridi e volevo chiederti perché…”
Orion, che stava scostando le coperte da un lato del letto, si bloccò, rimanendo mezzo scoperto e mezzo arrotolato tra le lenzuola, per poi piantare gli occhi in quelli di Ryan.
“Dimmi che non mi hai svegliato per questo o ti prendo a cuscinate.” Lo minacciò, anche se era evidente che stava facendo di tutto per non sorridere.
“La tentazione era molta, ma no. Ho anche altre novità…” rispose Ryan sarcastico, sollevando la lettera lilla e facendola ondeggiare in bella vista.
Orion si illuminò.
“Ti ha risposto?” chiese, saltando giù dal letto, improvvisamente sveglio ed attivo.
“Ma tu non stavi rischiando un arresto cardiaco?” lo stuzzicò Ryan, un sorrisetto malevolo che gli si allargava in volto.
Orion, che nel frattempo si era infilato le ciabatte e si era precipitato allo specchio, gli rispose: “Più o meno, ma credo sia passato. Allora?”
Allora cosa?” proseguì l’altro, cominciando deliberatamente a ridere.
Quando negli occhi di Orion comparve una vaga intenzione omicida (che Ryan era solito associare alle ripetute volte in cui aveva chiesto al giovane Black di copiare i compiti di Storia della Magia), decise che aveva atteso abbastanza e spiaccicò la lettera lilla sulla superficie del vetro, un’espressione di trionfo stampata in faccia.

“Isabelle Robinson.”
 
 



 
 
Angolo autrice

Allora, non so come dirvelo. In questo capitolo avevo intenzione di far incontrare Orion con la sua bella, ma temo che dovrete aspettare il prossimo, perché non ho saputo resistere: dovevo dare un po’ di spazio a Ryan!
Sinceramente, me lo sono inventato quasi per caso questo personaggio, Orion mi sembrava troppo solo al ballo, e non avevo intenzione di farlo comparire così tanto nella storia, ma è stato più forte di me:)…è così cariiino. E poi il suo atteggiamento è più che giustificato: basta pensare a quanto assomigli a Sirius…lo so, in effetti Ryan assomiglia molto a Felpato, ma perdonatemi, mi viene naturale vederlo così!:)
Comunque, prometto che adesso do un’accelerata alle cose, così finalmente vi spiego cosa centra Isabelle con i ragazzi!! Magari tra un capitolino o due…
Ciao!!

Anna

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Capitolo 7
*** Tea Time ***


 
Tea Time
 
 


 
 
L’euforia di Orion era stata impagabile e Ryan si era sentito molto fiero di sé, tanto che alla fine aveva deciso di raccontare tutto all’amico, mandando all’aria ogni proposito di tacere.
Gli aveva spiegato della chiacchierata con i suoi genitori e di come gli fossero saltati i nervi, senza tralasciare il minimo dettaglio riguardo ai vari momenti in cui aveva provato rabbia anche nei confronti di Orion.
Nel frattempo l’amico lo ascoltava silenzioso, uno sguardo neutro depositato sugli occhi e l’euforia iniziale abilmente nascosta in un cantuccio della sua mente: Ryan aveva bisogno di sfogarsi, cambiare argomento non sarebbe servito a nessuno.

“Sono un po’ stronzo, vero?” gli aveva chiesto il giovane Richmond alla fine, con una nota di vergogna nella voce.
Orion lo fissò intensamente e poi scoppiò a ridere.
“Sì, ma alla fine mi hai chiamato. Questo vale più di tutto il resto.” Gli sorrise. “E poi avevi tutte le ragioni di sentirti così. Stando a quanto mi hai detto, i tuoi si sono comportati male nei tuoi confronti: va bene tentare di stimolarti, ma questo era troppo. Mi dispiace, alla fine ci sono sempre di mezzo io. E la cosa comincia davvero a stancarmi.” Aveva concluso sconsolato.
A questo punto era toccato a Ryan scoppiare a ridere.
“Non ci credo! Ti ho detto che per qualche secondo ti ho odiato con tutto me stesso e mi hai già perdonato? Certo che sei strano, Black.” Ridacchiò.
I due avevano considerato chiusa la faccenda, some solo due persone che si conoscono a fondo possono fare, e si erano salutati.

Il giovane Black era sceso in sala da pranzo per la colazione con un lieve ritardo e, scusatosi, si era dedicato al suo piatto con un sorrisetto stampato in volto senza alcun apparente motivo.
Sapeva il nome della ragazza, avrebbe potuto trovarla! Si sarebbe dato da fare il mattino stesso, avrebbe scoperto dove abitava e avrebbe trovato un modo per incontrarla.
“Orion?” la voce di sua madre lo riportò alla realtà, facendolo tornare precipitosamente alla realtà, seduto sulla sua sedia nella sala da pranzo, con un piatto ricoperto di uova e bacon posatogli esattamente di fronte.
“Sì?” rispose, ritrovando il suo ordinario contegno.
“Sei di buon umore oggi…” commentò Lucretia con un sorrisetto.
Il ragazzo pregò intensamente che i genitori non collegassero quell’insensata felicità alla ragazza del ballo. Non avevano alcun motivo per farlo, ma Orion si sentiva inspiegabilmente scoperto, privo di ripari e non capiva perché. Gli era bastato distrarsi così poco e subito sua sorella si era accorta del cambiamento; poteva solo sperare che i suoi genitori avessero altro di cui occuparsi.
A questo proposito, la fortuna sembrò sorridergli particolarmente quella mattina.

“Figliolo, oggi ci si presenta una giornata ricca.” Cominciò suo madre, intenta a tagliuzzare il bacon. “Stamattina io e tu sorella andremo a Diagon Alley a ritirare alcuni vestiti e abbiamo un appuntamento con Melissa Rockwood alle undici esatte.”
“Nel frattempo tu verrai al Ministero con me, Orion.” Proseguì suo padre. “Ho bisogno di te in ufficio, ho degli appuntamenti piuttosto importanti e tu non puoi mancare.” Gli sorrise.

Ecco, quelli erano i momenti che il giovane Black adorava. Quando suo padre gli sorrideva in quel modo significava che era fiero di lui, di come si stava comportando, del futuro che si stava costruendo e dell’onore che portava alla famiglia. Era in quei momenti che Orion pensava che, nonostante i balli, le soirée, il galateo, tutti quegli incontri forzati con uomini importanti e sdegnosi, tutte le ore passate nella noia ad imparare elenchi di nomi, di costellazioni, di date…gli avrebbe perdonato tutto e tutto avrebbe rifatto daccapo se necessario per vederlo sorridere così.
L’aveva reso fiero di lui, si era impegnato tanto e ce l’aveva fatta. E si sentiva un egoista per tutte quelle volte che aveva pensato di mandare all’aria quegli incontri con persone di cui non gli importava nulla, per aver pensato di poter cambiare tutte le regole della sua vita, infischiandosene delle conseguenze che ci sarebbero state sulle altre persone.
Ancora una volta, dimenticò tutti i suoi piani, dimenticò tutta la frustrazione che aveva provato nel vedere il suo futuro prendere una piega che non gli piaceva, mandò giù tutto il rancore che si era tenuto dentro da quando aveva capito che le sue scelte erano già state decise da qualcun altro. Perdonò tutto, perché suo padre era fiero di lui ed era felice dell’uomo che era diventato.

“Certo, ci sarò.” Annuì.
“Per finire, oggi pomeriggio siamo stati tutti invitati a casa dei Robinson per prendere un tè alle cinque.” Concluse sua madre.

Poco ci mancò che Orion si strozzasse con il bacon.
Si slanciò con convinzione in un finto attacco di tosse per nascondere l’espressione incredula che sicuramente gli era apparsa in volto.
Aveva sentito bene? Robinson?
Avrebbe rivisto Isabelle! La ragazza del ballo! Aveva chiesto un’occasione di incontrarla di nuovo ed ecco che questa gli si presentava!
Era così occupato a ringraziare Salazar e il resto dei fondatori per quell’indicibile colpo di fortuna, che ci mise molto più del solito a calmare la tosse e a ritrovare un minimo di controllo.
“Orion tutto a posto?!” esclamò Lucretia, una volta che il ragazzo riuscì a smettere di tossire.
“Tutto bene. Scusate, ero sovrappensiero.” Riuscì a dire, mentre si schiariva la gola.
Alzò uno sguardo timido verso i genitori che, tuttavia, nonostante il mancato contegno del ragazzo, gli rivolsero un pacato sorriso.
“Quindi, figliolo, se hai finito di tentare il suicidio, sarebbe ora di andare.” Lo riprese infine il padre, lasciando trapelare un vago guizzo di divertimento negli occhi.
“Subito.” Ridacchiò Orion, e si alzò da tavola.

 
***
 

Finalmente, dopo un’intera giornata passata nell’agonia dell’attesa, erano giunte le cinque di pomeriggio e la famiglia Black si trovava, adeguatamente agghindata, nel portico d’ingresso di casa Robinson.

Inutile dire che Orion conteneva a stento l’impazienza: teneva le mani strette dietro la schiena, le dita che ticchettavano nervosamente tra loro, e lanciava occhiate indagatorie a qualsiasi oggetto presente in quel luogo, quasi a volerne memorizzare l’esatta posizione. La tettoia era sorretta da quattro colonne in pietra bianca, che terminavano la loro corsa verso il soffitto con un sobrio capitello in stile dorico. Posate a terra o aggrappate a vari sostegni, innumerevoli specie di fiori adornavano l’ambiente, quasi ad invitare la primavera ormai alle porte. Nell’insieme, l’entrata di quelle modesta villetta sorta nella Londra nobiliare era un tripudio di colori che risaltava nel bianco ordinato della facciata, interrotto solo dai vetri delle finestre dove il cielo azzurrino si rispecchiava placidamente. La casa si ergeva sobria ma armonica nella quiete più assoluta, quasi dimentica di trovarsi nel cuore di una frenetica città.

Fu così che, mentre il ragazzo era intento a fissare l’articolata composizione floreale alla base di una delle colonne, il maggiordomo si presentò alla porta e li invitò ad entrare.
L’interno della casa era in armonia con lo stile del porticato: stanze aperte e luminose si susseguivano una dietro l’altra, tutte arredate e dipinte con tenui colori pastello. La famiglia Robinson, costituita da padre, madre e figlia, li aspettava comodamente seduta in soggiorno.
L’impazienza di Orion scemò alla vista di Isabelle: questa volta indossava un vestito azzurro ghiaccio, in accordo perfetto con gli occhi, e i capelli le ricadevano sciolti sulle spalle, arricciandosi qua e là in morbidi boccoli.
“Ben arrivati!” li salutò James Robinson, il padre di Isabelle.

Dopo un rapido scambio di convenevoli, durante il quale i membri delle rispettive famiglie si presentarono, nella mente di Orion sorse un vago dubbio: se le due famiglie a stento si conoscevano, che motivo c’era di incontrarsi per un tè?
Il ragazzo spostò lo sguardo sul padre, che stava stringendo la mano ad Isabelle e notò che la stava studiando, quasi soppesando…e capì.
Il suo interesse per quella ragazza, per quanto ben celato, era stato intuito dai genitori.
D’un tratto la natura di quell’incontro si fece chiara: se le famiglie stavano per unirsi, come minimo bisognava essere certi del buon nome di entrambe, ed infatti suo padre e sua madre erano lì per accertarsi che i Robinson fossero alla loro altezza, per poi magari avanzare la proposta.
Un moto di disprezzo improvviso si insinuò nel cuore di Orion: alla fine, quello era solo un modo meno crudele per combinargli il matrimonio. Il ragazzo mantenne la calma e si presentò ad Arisa, la madre di Isabelle, per poi accomodarsi nel divanetto.

I successivi venti minuti furono occupati dalle chiacchiere leggere che si utilizzando solitamente per rompere il ghiaccio ed Orion diede il meglio di sé. E, quando incrociò lo sguardo del signor Robinson, seppe che aveva fatto centro: alla fine, anche la dialettica faceva la sua buona parte.
Spostò fugacemente gli occhi su Isabelle e vide che lo stava fissando con sguardo critico e gli tornò alla mente ciò di cui avevano parlato la sera del ballo…
 
“Sono certo che conosciate già il mio nome, purtroppo, e questo mi priva dell’onore di presentarmi.”
“Che dispiacere dovete provare…comunque sì, conosco il vostro nome. Penso spesso a quanto dev’essere difficile portarlo avanti: tutte queste aspettative, le pressioni…” disse la ragazza, quasi sovrappensiero.
 
…possibile che lo stesse pensando anche ora? Che avesse intravvisto, dietro la cortina di parole del ragazzo, gli anni di preparazione che aveva impegnato per presentarsi così?
Fortunatamente la parola ora spettava a Lucretia ed Orion ebbe il tempo di valutare la situazione, trovando la conferma della sua intuizione: la signora Robinson gli lanciava occhiate impressionate, mentre il marito sembrava al culmine della soddisfazione. La leggera pacca sulla spalla che suo padre gli concesse, infine, schiarì ogni dubbio.
Eppure, qualcosa non quadrava.
Era vero che era interessato ad Isabelle, ma in realtà non la conosceva, ci aveva semplicemente ballato insieme. L’impressione che invece trasudava dagli occhi di suo padre era che ormai l’affare fosse concluso ed archiviato, deciso da lui e non da Orion e il tutto nel giro di mezz’ora.
L’ondata d’astio si ripresentò nella mente del ragazzo: era da secoli che funzionava così tra i Purosangue; anche se si fosse ribellato, non sarebbe servito a nulla, avrebbe solo causato problemi in famiglia.

Proprio quando la mente del ragazzo aveva raggiunto l’orlo della depressione, la voce di Isabelle la raggiunse.
“Posso offrirmi per presentarvi la casa?” chiese educatamente, mentre si alzava dal divanetto e si lisciava la gonna.
“Sarebbe un’ottima idea. Che ne dici Orion?” completò l’opera sua madre, escludendo abilmente ogni altro membro dalla famiglia, nonostante la proposta fosse avanzata a tutti, e permettendogli di restare da solo con Isabelle.
Evidentemente non era questa l’intenzione della ragazza perché Orion scorse un velo d’imbarazzo nei suoi occhi, ma ormai rifiutare sarebbe sembrato maleducato, quindi accettò.
“Certo.” Sorrise, alzandosi a sua volta e cogliendo la tacita approvazione della madre. “Sarebbe un piacere.”
 
 
***
 

Una volta giunti all’ultimo piano, Orion ebbe modo di dire che quella casa era un incanto, ricca di quadri anche molto antichi e di incantevoli vedute sulla città, soprattutto da lassù.
Bisognava poi dire che Isabelle non era da meno: il ragazzo quasi dimenticò di ascoltarla mentre la osservava vagare tra le stanze, il vestito che le frusciava delicatamente intorno e le morbide ciocche di capelli che ogni tanto le finivano sul volto.

Giunti in camera sua con la scusa di ammirare la veduta di Londra nella luce del pomeriggio, Orion si accorse che la ragazza aveva chiuso la porta alle loro spalle.
“Niente male il discorsetto di prima, signor Black.” Lo canzonò con evidente sarcasmo e, prima di rendersene conto, il ragazzo stava già sorridendo.
“Le è piaciuto, signorina Robinson?” la stuzzicò, appoggiandosi garbatamente ad una cassettiera. “Lei non ha idea degli anni che ci sono voluti per perfezionarlo.”
“Già, è una di quelle cose che non rimpiango.” Ridacchiò lei. “Ma ditemi, voi avete idea del perché di questo incontro?” aggiunse poi, impercettibilmente più fredda.
Orion abbassò gli occhi con un sospiro.
“Non ne ero stato informato, ve lo giuro.” Ammise, prendendo a giochicchiare con l’orlo della giacca. “A quanto pare, nemmeno le decisioni sulla mia vita personale non sono più prese da me.”
E, all’improvviso, quella sensazione di oppressione mutò in rabbia.

“Ma gli costava tanto almeno avvisarmi?!” sibilò glaciale. “Mi porta qui con la scusa del tè, perfettamente ignaro, e poi mi guarda in quel modo, come se dovessi capire tutto al volo e fargli fare bella figura…a volte non lo sopporto!”
Quando l’attimo fu passato e si rese conto di quello che aveva appena detto, Orion alzò gli occhi, al colmo dell’imbarazzo, aspettandosi di trovare sul volto della ragazza un’espressione oltraggiata…ma non fu così.
Isabelle gli sorrise, come se tutto quello fosse normale, come se l’erede dei Black non avesse appena sbandierato che la sua vita non era neppure nelle sue mani, si sedette sul letto ed invitò Orion a seguirla.
“Allora avevo ragione nei vostri confronti, non siete un burattino…almeno non del tutto. La vostra testa è ancora sotto il vostro comando.” Precisò la ragazza.
“Sì, quella sì, ma la cosa non mi consola molto.” Ridacchiò il ragazzo, impressionato dal comportamento di Isabelle. “Ma, se non vi spiace, potremmo darci del tu? Mi sembra di avere cinquant’anni in più del dovuto!”
Solo quando ebbe chiuso la bocca si accorse di quello che aveva appena detto: ma dove era finito il suo autocontrollo? Aveva tentato il suicidio impiccandosi sul lampadario?

Isabelle a questo punto lo guardò sconcertata scoppiò a ridere.
“Wow, sono decisamente stupita! Non mi aspettavo nulla del genere, lo giuro. Ok, ballerino provetto, vuoi sederti sul letto o no?”
Orion, accolto il suo nuovo nomignolo con una risata, non se lo fece ripetere e le si sedette accanto, mentre benediva mentalmente Ryan e tutta la sua discendenza. Infatti, era stato l’amico che, quando gli aveva comunicato dell’incontro pomeridiano via specchio, gli aveva prontamente consigliato: “Dille di darti del tu, avete vent’anni, santo Salazar!”
Esattamente come alla festa, Orion si accorse che era piacevole parlare con Isabelle, gli riusciva incredibilmente facile. E con la stessa facilità dimenticò totalmente tutte le regole del protocollo, lasciando che la conversazione facesse il suo corso.

 “Quindi, giovane ribelle, sembra proprio che finiremo sotto lo stesso tetto!” scherzò lei.
“A quanto pare, però non credi che prima…non so…dovremmo parlarne noi due?”
“Se avessimo una vita normale, sì. Ma visto che la nostra vita non è normale, credo che anche se ne parlassimo, non cambierebbe nulla.” Disse lei, rivolgendogli uno sguardo stanco.
“Possiamo sempre provarci.” Si sorprese a rispondere Orion. Non sapeva perché, ma non voleva vedere la ragazza così triste, sentiva che doveva farle sorridere. “Tanto per cominciare, che ne dici di presentarti? L’ultima volta che ci siamo visti te ne sei dimenticata.”
Isabelle rise, scostandosi una ciocca di capelli dal volto.
“Ma come, non hai chiesto al tuo migliore amico di presentarsi come mio ammiratore per scoprire come mi chiamavo?”
Orion rimase pietrificato da quelle parole.
“C-Come fai a saperlo?” balbettò.
“In realtà non lo sapevo. Mi è giunta una voce che diceva che un certo Ryan Richmond voleva sapere come mi chiamavo, mi sono ricordata che era il ragazzo che ti ha preso sotto braccio al ballo e ho tirato ad indovinare.” Ammise lei.
“Beh, ottimo intuito!” sorrise lui. “Visto che ho dovuto infangare la reputazione di un mio amico per capire come ti chiamavi, sei libera di sentirti in colpa!” aggiunse poi ridendo.

Passarono i minuti successivi così, ridendo e parlando delle loro vite, e Orion scoprì molte cose riguardo ad Isabelle.
Il padre di lei era un Purosangue, ma per certi versi era un uomo innovativo: il ragazzo scoprì che era contrario allo sfruttamento degli elfi domestici, quindi avevano impiegato un maggiordomo, oppure venne a sapere che Isabelle aveva studiato a casa perché il padre voleva tenerla lontana da certe famiglie con cui lui era in forte contrasto.
Anche la ragazza ebbe modo di conoscere più a fondo il giovane Black, visto che questi si sentiva disposto a raccontarle tutto. Le parlò della noia del ballo, di Ryan e dello specchio, di come l’aveva convinto ad aiutarlo, ma anche di come a volte non se la sentiva di contraddire il padre. Le parlò di quella mattina, della sensazione piacevole che provava quando lui lo guardava in quel modo…

“Io non posso avercela con lui, alla fine. Si è impegnato tanto per insegnarmi come comportarmi o come parlare alla gente…non posso deluderlo ora, anche se a volta non sono d’accordo con lui. Capisci?” le chiese.
Isabelle gli sorrise, compassionevole.
“Sì, capisco. Anche se, per certi versi, mio padre mi lascia più libera, per altri non c’è speranza di farlo ragionare.” Sussurrò. “Neanche a me era stato detto niente di questo accordo, doveva solo essere un semplice tè…ma l’ho capito subito che qualcosa non quadrava.”

Rimasero in silenzio, spalla a spalla, finché la porta non si aprì, rivelando la figura di Mr Ferrow, il maggiordomo. Era un uomo sulla sessantina, ma aveva ancora un ottimo portamento: la schiena dritta sorreggeva un busto misurato, su cui era adagiato un volto glabro e gentile, scosso da qualche ruga sulle guance, dove spiccavano due occhi azzurri in netto contrasto con i capelli bianchi diligentemente pettinati.
“Perdonate l’interruzione, ma sono stato mandato ad informare il signor Black che la sua famiglia sta per fare ritorno a casa.” disse con voce pacata.
“Grazie, ora scendo.” Lo congedò Orion, per poi rivolgersi ad Isabelle. “È stata davvero una bella chiacchierata, mi piacerebbe se ci potessimo incontrare di nuovo.”
Mentre la guardava negli occhi, vi colse un guizzo di aspettativa, prima che un’ondata di ironia lo sommergesse.
“Mi state forse chiedendo di uscire, signor Black?” sorrise lei.
Ecco, era riuscita di nuovo a metterlo in imbarazzo. Orion si rese conto che probabilmente era arrossito: in fin dei conti, la sua intenzione non era affatto quella, ma vista la piega presa dagli eventi, decise con un moto di coraggio di prendere in mano la situazione.
“Sì, signorina Robinson.” Affermò, pregando che la ragazza accettasse mentre i battiti del suo cuore acceleravano in attesa della risposta.
“Domattina alle undici ad Hyde Park, davanti a Kensington Palace.” Sentenziò lei, alzandosi dal letto. “Puntuale.” Sorrise.








Angolo autrice

Ciao a tutti!!! Lo so, questo è il capitolo-poema per antonomasia, quindi adesso mi spiccio con le note:)
Allora, finalmente è ricomparsa Isabelle, la nostra giovane ribelle. Le ho dato questo carattere perchè volevo che risultasse diversa dalle bambole di porcellana che dovevano essere tutte le altre ragazze Purosangue (Bellatrix esclusa). È pittosto evidente (spero) che ad Orion piace parecchio questa ragazza, proprio per il fatto che è diversa da tutte quelle che ha conosciuto.
Il matrimonio combinato, anche se controvoglia, ho dovuto inserirlo, anche perchè era seriamente in uso tra le famiglie nobili, ma non vi consiglio di farci troppo affidamento in questo caso;)
Ora mi defilo, lasciate una recensione per dirmi che ne pensate!!
Anna
 

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Capitolo 8
*** Marionette ***


 
Marionette
 
 
 


 
Quando Orion raggiunse il pianterreno, notò subito che una tagliente freddezza permeava l’aria.
Suo padre e sua madre ostentavano sguardi indifferenti, dai quali penetrava però un immenso fastidio. Volgendo l’attenzione verso i genitori di Isabelle, il ragazzo notò le stesse espressioni avverse, celate dietro leggeri sorrisi evidentemente forzati. L’unica persona che non dava l’impressione di voler abbandonare quel luogo il prima possibile era Lucretia, la quale, affrontando silenzi alti come muri e sguardi astiosi, tentava in tutti i modi di fare conversazione. Non appena ebbe notato la presenza di Orion, gli lanciò un’occhiata allarmata.

Il ragazzo si fermò al termine delle scale ed Isabelle fece lo stesso, anche lei irrigidita dall’atmosfera tesa.
“Molto bene, è stato un piacere.” Sentenziò il padre di Orion, alzandosi e stringendo la mano alla signora Robinson, anche se dalla sua voce traspariva quanto poco credesse nelle sue stesse parole.
“Altrettanto, signor Black.” Rispose la donna allo stesso modo e, scambiati i dovuti convenevoli, i Black raggiunsero il porticato e se ne andarono.
Orion ebbe appena il tempo di lanciare un ultimo sguardo ad Isabelle, sperando di trovare nei suoi occhi una spiegazione all’accaduto, ma incontrò la stessa espressione stupita e sconcertata che era dipinta anche sul suo volto.
Tuttavia, prima di sparire alla sua vista dietro la porta d’ingresso, la ragazza gli lanciò un fugace sorriso.
 
*
 

“È totalmente inaccettabile!” esclamò James Robinson non appena la porta di casa si fu richiusa. “Dei puristi in tutto e per tutto! E per di più così legati all’idea della razza e della loro innata superiorità! Ci siamo totalmente sbagliati sul loro conto, Glenda. Non sono affatto cambiati, esattamente come ti avevo detto. In fondo, una singola generazione non sempre può fare la differenza…”
Il signor Robinson si abbandonò sul divanetto, sbottonandosi nervosamente la giacca e lisciando via le pieghe dai pantaloni, evidentemente turbato dalla conversazione svoltasi con i Black.
“Scusatemi, mi sono persa qualcosa?” chiese Isabelle, quando anche la madre si fu accomodata di nuovo.
In quel momento i signori Robinson si resero conto che la figlia non era presente quando la discussione era avvenuta.
“Oh, Isabelle, c’è stato un piccolo battibecco tra tuo padre e il signor Black, nulla di cui tu ti debba preoccupare.” Tentò di minimizzare Glenda. Non voleva che suo marito si infervorasse di nuovo, quindi tentò abilmente di cambiare argomento. “Non sarebbe un’ottima idea quella di fare una passeggiata per Diagon Alley vista la bella giornata?”
Purtroppo Isabelle non aveva affatto intenzione di desistere così facilmente.
“A me sembra proprio di dovermene preoccupare, visto che avete tentato di combinarmi il matrimonio senza nemmeno chiedermi cosa ne pensassi di lui!” proruppe, adirandosi e incrociando le braccia al petto. Lanciò un’occhiata gelida ai genitori: se volevano tenerla fuori dal discorso, avrebbero dovuto pensarci prima.
“Isabelle, tesoro, una signorina non incrocia le braccia in quel modo, è un’abitudine degli uomini…” la riprese piano la madre, in un ultimo tentativo di divagare.
“Non – mi – INTERESSA! Me lo potevate anche dire!” esclamò a quel punto, decidendo di abbandonare del tutto il protocollo.
“In questo momento non ha importanza, Isabelle.” La fermò il padre, ora più calmo. “Visto che comunque non se ne farà niente. Hanno ideali troppo distanti dai nostri, non voglio imparentarmi con gente di tal genere.” Concluse, allentandosi i primi bottoni della camicia.
Tu non vuoi imparentarti?” sibilò glaciale la ragazza.
Ma come potevano escluderla così? Era lei che avrebbe dovuto sposarsi, lei che avrebbe dovuto cambiare casa, lei che avrebbe dovuto passare la sua vita con un ragazzo che appena conosceva!
“Avresti dovuto sentirli, bambina. Il loro argomento preferito sembra essere la loro insensata superiorità sui Babbani, il signor Black è stato davvero insistente su questo punto. Fortunatamente abbiamo scoperto in tempo di non condividere gli stessi valori.” Commentò Glenda, inserendosi nella conversazione per dare alla ragazza il tempo di calmarsi.
Isabelle, infatti, ne approfittò per prendere un respiro profondo e poi rispose.
“Tralasciando il fatto che voi non dovreste avere il diritto di combinare la mia vita a vostro piacimento, e vi assicuro che su questo argomento ci torneremo al più presto, sono certa che Orion non la pensi come i suoi genitori.” Affermò alla fine, tentando di mantenere un tono non troppo tagliente. La cosa le riuscì piuttosto bene, anche perché la voce le si addolcì automaticamente nel pronunciare il nome del ragazzo.
“Non importa, Isabelle.” Le rispose il padre. “I suoi genitori, e presumibilmente l’intera sua famiglia, sono così arretrati da sostenere ancora l’idea della schiavitù degli elfi domestici. Anche se il ragazzo in sé non la condivide, cosa che mi pare molto strana, comunque prima o dopo dovrai incontrare i suoi familiari.”
La ragazza fece per rispondere, ma la madre la anticipò.
“A proposito del ragazzo…” s’intromise infatti la donna, “…credo sia meglio che tu stia alla larga da Orion per un po’, mia cara. Anzi, non cercare di incontrarlo mai più.”

In quel momento, Isabelle si sentì gelare.
 
 
*


“Posso avere la sfrontatezza di chiedere cos’è successo?” prese parola Orion non appena ebbero raggiunto il soggiorno, senza nemmeno degnarsi di nascondere il sarcasmo.
Circa cinque minuti dopo si sarebbe totalmente pentito di aver posto quella domanda, ma in quel momento ne era del tutto inconsapevole. L’occhiata d’avvertimento di Lucretia, infatti, l’aveva raggiunto troppo tardi, quando ormai la domanda era posta.

“Mi pare che tu ce l’abbia!” gli rispose secco suo padre, accomodandosi nella poltrona e passandosi stancamente una mano sugli occhi. Per il signor Black quella era stata decisamente un pomeriggio da dimenticare. Non solo avevano rischiato di imparentarsi con degli innovatori ignari del valore inestimabile del proprio sangue, ma aveva pure dovuto subirsi una predica riguardo ai diritti degli elfi domestici da parte di quel Robinson! Che errore inconcepibile che avevano fatto…

“Orion, credo tu abbia capito la motivazione di questo incontro…” incominciò suo madre, in tono misurato. Melania Black era stata favorevole fin da subito ad un’unione tra Orion ed Isabelle, ma non appena aveva intuito le incolmabili differenze che c’erano tra le due famiglie, aveva insistito per tornare a casa senza perdere altro tempo.
Ora, però, dovevano spiegare al ragazzo perché avevano organizzato tutto questo alle sue spalle. In linea di massima, Orion, da bravo Purosangue quale era, non avrebbe dovuto prenderla troppo male, ma c’erano sempre da considerare gli influssi deleteri che Ryan Richmond avevano su di lui.
Melania non era molto d’accordo a riguardo di quell’amicizia, ma sembrava una delle poche alle quali suo figlio tenesse davvero, quindi non aveva mai tentato di impedirla, nonostante la (secondo lei) pessima educazione di Ryan.
Rimaneva quindi una sola opzione: spiegare la loro presa di iniziativa verso i Robinson nel modo più calmo possibile.

Peccato che Orion non la pensasse allo stesso modo.
“Sì!” la interruppe il ragazzo. “Fortunatamente per voi ho capito le vostre intenzioni non appena vi siete presentati e, se non ve ne siete accorti, mi sono ampiamente adoperato per non farvi fare brutta figura!” esclamò, mentre la rabbia che aveva provato poco prima rifioriva in lui.
“Orion, siediti.” Lo invitò Lucretia, tentando invano di calmarlo.
La ragazza infatti lo conosceva bene ed era sicura che, in quel momento, il ragazzo non fosse in vena di risposte educate.
Orion la fissò, infuriato, ma si bloccò all'istante, non appena notò quella luce colpevole nei suoi occhi.
Quella consapevolezza lo sconvolse e tentò in tutti i modi di negarla: insomma, si trattava pur sempre di Lucretia, lei non l'avrebbe mai fatto, gliel’avrebbe sicuramente detto…eppure era troppo evidente.
“Tu lo sapevi?” le chiese senza giri di parole, pregando che lei negasse. Non poteva averlo tradito, non ora che tutto si stava capovolgendo…
Lei lo guardò, sperando di riuscire a trasmettergli tutto lo sconforto che provava in quel momento.
“Sì.” Sussurrò.
Un’altra considerazione che Orion avrebbe fatto successivamente riguardo a quella conversazione, sarebbe stata rivolta alla sorella, poiché mai il ragazzo si sarebbe aspettato un tale tradimento da parte sua.

“Bene, benissimo.” Rispose quindi, prendendo un respiro profondo e tentando di mascherare senza successo la delusione che lo assaliva. “Quindi vi siete tutti riuniti a mia insaputa e mi avete programmato i prossimi dieci anni di vita o vi siete limitati al matrimonio?” chiese, sperando si infliggere più dolore possibile con quel tono freddo.
“Orion smettila di comportarti come se tutto questo fosse una novità!” lo rimproverò suo padre, esasperato e furioso. “Sono secoli che le famiglie Purosangue si uniscono così, secoli! Non hai nessun motivo di essere stupito!”
“Ma padre, io…”
“Non mi interessa, è sempre stato così e sempre lo sarà! Comunque, per tua consolazione, non sposerai quella ragazza. Suo padre è una totale causa persa, così liberale e innovativo, è perfino arrivato a dirmi che gli elfi hanno dei diritti! Che siamo disumani ad utilizzarli come domestici!” scosse la testa, appoggiandosi di nuovo allo schienale della poltrona, precedentemente abbandonato per zittire il figlio. “Fortunatamente abbiamo scoperto in tempo di non condividere gli stessi valori…”

Lo stavano escludendo.

Era una decisione che avrebbe cambiato la sua vita e loro stavano decidendone i particolari senza nemmeno prenderlo in considerazione!

Orion rimase in silenzio e fece scivolare lo sguardo da suo padre a suo sorella ed infine a sua madre: la prima sembrava veramente dispiaciuta per l’accaduto e lo guardava in modo compassionevole, ma Orion sapeva che non sarebbe mai riuscito a perdonarla per quell’affronto; la seconda fissava il marito approvando le sue parole, così scioccata dall’errore che stavano per compiere e allo stesso tempo visibilmente sollevata dall’essere riuscita ad evitarlo in tempo.

Cosa doveva fare? Come doveva reagire? Doveva fare qualcosa, si trattava del suo futuro! Non potevano deciderlo loro in base ai loro comodi, non era giusto! Ci doveva essere un modo per fermare tutto questo, doveva solo trovarlo.
Provò a pensare all’ultima volta che c’era stato un litigio in famiglia per colpa sua: com’è che ne era uscito?
Dopo che Orion ebbe scandagliato la sua mente alla ricerca di quel ricordo, stranamente senza alcun risultato, finalmente capì: non c’era mai stata nessuna lite per colpa sua.

Si rese conto che, in passato, anche se ciò che doveva fare non gli piaceva, lui l’aveva sempre fatto, perché era giusto farlo per non causare problemi in famiglia.
Vide che goni singolo suo atto di ribellione era stato placato in tempo dall’autocontrollo che i suoi genitori gli avevano imposto, così da non destare problemi.
Notò che, ogni volta che la sua vita era stata decisa da qualcun altro, lui non aveva posto domande né obiezioni, si era adeguato e basta.
Perché era giusto farlo.
O, meglio, perché gli era stato detto che era giusto farlo.
E perché lui aveva finito con il crederci.
Non si era mai chiesto se i suoi parenti fossero nel torto, se il mondo si potesse vedere anche sotto un’altra luce. Non ci aveva mai neanche lontanamente pensato, troppo preso nell’esercitarsi con la dialettica. Si era semplicemente fidato del loro giudizio, trasformandolo nel suo.
E solo ora, dopo venti anni di tacita approvazione, si accorgeva di non essere stato altro che una marionetta, un trofeo da esibire occasionalmente.
Tutta la sua frustrazione, tutta la sua rabbia soffocata svanirono, lasciando il posto ad una landa desolata di fredda delusione.

“Speravo foste migliori di così…” sussurrò, più a se stesso che ad altri, ma quando lo ebbe detto si rese conto che le sue parole non avevano senso. La sua famiglia era sempre stata la cosa migliore, la cosa più pura a cui avesse mai potuto aspirare. Per la sua mente, almeno fino a qualche tempo prima, non esisteva qualcosa di superiore ad essa. Ora però era sceso dal piedistallo, aveva visto com’era realmente la sua casa, com’erano tutte le persone di cui si era fidato…aveva visto che erano tutt’altro che perfette.

Mai come in quel momento Orion si sentì solo, come un unico libro sopra un’immensa scrivania, come un solo bicchiere posato sulla tavola, come l’ultima marionetta abbandonata sul palco.

Mai come in quel momento, Orion si sentì indicibilmente lontano da casa.
 
 
 
 
 
 
Angolo autrice
Lo so, è passato un mese dal mio ultimo aggiornamento, e mi vergogno totalmente e fin nel profondo di me per questa lunga attesa, ma avevo momentaneamente perso l’ispirazione e poi è cominciata la scuola, che mi ha assorbita peggio di una spugna…ma sono tornata. Forse aggiornerò meno spesso rispetto al periodo estivo, ma troverò il modo di comparire più o meno ogni due settimane!!
Allora, in sunto, ci sono i nostri due piccioncini che sono costretti a scendere dal mondo delle nuvole a causa di un bel problema: le famiglie non vanno d’accordo, e questo tra i Purosangue doveva decisamente essere un disastro. Abbiamo anche la presa di coscienza di Orion, che qui è stata un po’ smorzata dalla delusione, ma che vi assicuro avrà ancora più sfaccettature e produrrà effetti importanti sulla storia a partire dal prossimo capitolo.
Una domanda: non sono troppo psicanalista, vero? Cioè, mi soffermo troppo a lungo sulle decisioni fondamentali dei personaggi? Se lo faccio è perché sono davvero importanti e complesse, non è che una persona stravolge la sua vita in due ore giusto perché non ha altro di meglio da fare…solo non vorrei risultare prolissa.
Ora me ne vado, lasciate un commento per dirmi cosa ne pensate;)
Anna
 
 

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Capitolo 9
*** Wind of Change ***


 
Wind of Change
 
 


 
 
Quella notte Orion la passò in bianco, disteso sul letto a fissare il soffitto come sperando che un qualche aiuto ne piovesse fuori.
“È tutto sbagliato…” si ripeteva.
Il grande disegno che doveva essere la sua vita era stato improvvisamente rovinato, una maldestra pennellata nera vi era caduta sopra, confondendo tutto ciò che prima era così chiaro.
Il meraviglioso equilibrio che prima orchestrava la sua esistenza era stato stravolto, ma essendo la prima volta che succedeva, Orion non aveva la minima idea di come reagire.
Avrebbe potuto chiamare Ryan con lo specchio, ma poi sarebbe stato costretto a raccontargli tutto e in quel momento non era certo di riuscire a spiegare ciò che stava provando in maniera comprensibile.
Neppure lui lo capiva! La sua mente era in completo disordine, la sua scala delle priorità totalmente svuotata, appoggiata lì, in attesa di essere riempita di nuovo, probabilmente con un nuovo ordine.
Il problema era che, quell’ordine, Orion non lo conosceva.
Cosa veniva prima, ora?
 
La volontà della famiglia?
Questo era ciò che gli avevano insegnato, ma, visti i recenti sviluppi, il ragazzo decise di passare oltre.
L’onore della famiglia?
Questo criterio aveva sempre accompagnato quello della volontà e quindi era altrettanto inaffidabile.
La ragione?
Essa era sempre stata una forte alleata di Orion e, visto che il suo punto di vista concordava spesso con quello dei familiari, le soluzioni che la sua mente gli offriva erano di solito quelle più adatte. Ma avrebbe funzionato anche in questa situazione? Ora che tutti i criteri a cui il ragazzo si affidava erano stati mischiati, la sua mente sarebbe riuscita a trovare una soluzione senza alcun punto di orientamento a cui appigliarsi? C’era da dubitarne.
La sua volontà?
Forse. Orion non lo sapeva. Davvero un suo giudizio avrebbe potuto essere corretto? Era altamente improbabile: il ragazzo si affidava ciecamente alla sua ragione, ma essendo questa impregnata dei dogmi di famiglia, la soluzione proposta sarebbe stata sicuramente incerta, come incerta era la sua opinione sul suo albero genealogico.
 
C’era anche un ultimo punto, ma qui il ragazzo si sentiva decisamente perso. Di solito, Orion non prendeva mai in considerazione quel criterio, reputandolo troppo variabile, troppo inefficacie, troppo lontano dalla sua amata razionalità che sempre l’aveva guidato. Ma, in situazioni estreme come questa, tanto valeva provarle tutte.
Si preparò alla confusione che sapeva l’avrebbe colto, visto il criterio a cui si appellava, e se lo chiese: “Cosa ne pensano i miei sentimenti di questa situazione?

Appena la domanda gli si presentò alla mente, un’ondata di tristezza lo investì insieme al senso di solitudine.

Pensò ai suoi genitori, al fatto che non poteva più contare sul loro giudizio, e per estensione su quello del resto della famiglia, vista la facilità con cui l’avevano escluso dalla sua stessa vita. Sentì la rabbia crescere di nuovo al solo pensiero di essere stato per così tanto tempo una semplice marionetta nelle loro mani. Sicuramente, da tutto questo rancore non avrebbe ottenuto nulla.

Quindi pensò a Lucretia, a come non potesse più fidarsi di lei, visto che l’aveva tradito platealmente non avvisandolo delle vere motivazioni dell’incontro con i Robinson. Non se la sentiva nemmeno di rivolgerle la parola, nonostante la loro amicizia fosse molto forte. Semplicemente era rimasto deluso, amareggiato, frustrato da quel comportamento che non si spiegava!
Perché sua sorella l’aveva fatto? Era sempre stata dalla sua parte, Lucretia, era sempre rimasta con lui, ogni volta che il dovere di essere un bravo Purosangue sembravano sovrastarlo…perché ora l’aveva abbandonato? Proprio ora che, per la prima volta, non sapeva cosa fare! Anche qui, riuscì a salvarsi in tempo da turbine di emozioni contrastanti che accompagnava il nome di sua sorella e decise di pensare ad altro.

Pensò a Ryan, a come i suoi genitori continuassero ad infastidirlo paragonandolo a lui, e si sentì in colpa. Non c’era un motivo preciso, visto che lui sapeva che si stava solo comportando come gli era stato insegnato, ma si sentì comunque colpevole di tutta la rabbia che aveva provato l’amico quella sera, quando gli aveva raccontato via specchio della sfuriata con i suoi.
“E poi mia madre si chiede perché non ho molti amici: pochi sopportano la mia persona e ancor meno la mia ombra.” Sussurrò il ragazzo, giochicchiando con le lenzuola. Voleva sinceramente bene a Ryan e sapeva che, anche se non lo dava a vedere, a volte gli mancava tutto l’affetto familiare di cui lui era circondato.
Sentì una valanga di ironia travolgerlo quando si rese conto di ciò che aveva appena formulato.
“Certo, quelle persone che ti programmano il matrimonio a tua insaputa sono decisamente l’esempio perfetto di affetto familiare…” bisbigliò alle tende del letto. Quanto era stato cieco nei loro confronti, come era stato facile per loro fargli fare tutto ciò che volevano, a partire dall’incontro con i Robinson…

Quando però nella mente del ragazzo comparve l’immagine di Isabelle, tutto il resto si confuse.
Finalmente, dopo tanta depressione, arrivò una ventata di spensieratezza non appena i sorrisi e il tono ironico della ragazza riemersero dai ricordi di Orion. Ormai il ragazzo non si stupiva più della cosa: erano giorni che pensava alla misteriosa ragazza della festa, sempre con la medesima sensazione di gioia e nostalgia.
Ma ora il tempo dell’attesa era finito. L’indomani l’avrebbe rivista e avrebbero parlato della questione. Orion si accorse di sorridere al solo pensiero delle ore che avrebbero avuto a disposizione per parlare, per passeggiare tra le stradine di Hyde Park senza nessuno che dicesse loro di quali argomenti trattare…sarebbe stata una giornata perfetta, il ragazzo ne era sicuro.
Forse Isabelle sarebbe riuscita a districare i suoi pensieri e a riportare l’ordine nella sua mente, Orion non ne sarebbe rimasto tanto sorpreso, vista la facilità con cui lei sembrava vivere.

“In pratica, tutto quello che ho fatto fino ad ora non è stata una mia iniziativa. È servito solo a compiacere i miei genitori e a ingraziarmi i vari ministri, cosa di cui in questo momento non m’importa affatto.” Rimuginò il ragazzo nella sua mente. “Essere ciò che la mia famiglia voleva che fossi mi ha portato qui, in questo stato di confusione più assoluta, e ha quasi portato Ryan a detestarmi. Come può essere giusto fare quello che i miei vogliono se porta a questi risultati?”

A questo punto, nella silenziosa pace che precede il crepuscolo, quando nel cielo, ad est, la luce delle stelle comincia ad affievolirsi per lasciare spazio all’aurora, Orion decise.
Ragionare per assoluti era sempre stato il suo forte, e qui tornava straordinariamente utile.
Sapeva che era un astrattismo pensare che tutto ciò che aveva imparato dalla sua famiglia non gli avesse portato nulla di buono, ma per prendere certe decisioni bisognava eliminare i dettagli.
Se fino a quel momento si era comportato in un modo, d’ora in avanti avrebbe fatto il contrario.
Se prima essere un bravo figlio aveva la priorità, ora questa condizione si sarebbe trovata sull’ultimo gradino della scala.
Se i suoi genitori reputavano Ryan una compagnia deleteria per lui, ora Orion ne avrebbe fatto a tutti gli effetti il suo migliore amico.
Se, secondo la sua famiglia, Isabelle non era abbastanza per lui, ora il ragazzo avrebbe lasciato che il loro rapporto si evolvesse, prendendosi tutto il tempo necessario, e poi avrebbe deciso.
Lui, Orion Black, avrebbe deciso cosa fare della sua vita e nessuno gliel’avrebbe impedito.
 
 
 
 
 
 
Angolino autrice…
…e rieccomi!! Dopo due settimane, come promesso!
Questo è decisamente un capitolo più corto del solito, ma volevo che fosse tutto dedicato ad Orion e a quello che gli passa per la testa durante la notte. Sono ragionamenti un po’ infelici all’inizio, ma poi arriva Isabelle e tutto si ravviva;) Credo sia ormai noto a tutti che tra i due le cose vanno piuttosto bene e vi assicuro che da qui in avanti non faranno altro che migliorare.
In questo capitolo abbiamo la fatidica decisione di Orion che gli sconvolgerà letteralmente la vita e non solo la sua. Diciamo che, dal prossimo capitolo, lo vedremo molto più spensierato, ecco!!:)
Ditemi che ne pensate con una recensione.

Anna (Remus per san_bernanrdo99)

PS: il titolo è liberamente tratto da una canzone degli Scorpions, intitolata appunto “Wind of Change”

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Capitolo 10
*** Highway to Hell ***


Highway to Hell





 
Normale.
Ecco come avrebbe definito la sue esistenza da quel giorno Orion Black.
O almeno “normale” se si consideravano i suoi canoni.

Si era incontrato al parco con Isabelle, arrivando con mezz’ora buona di anticipo, giusto per non staccare troppo violentemente dalle sue abitudini più che rigorose, e avevano passeggiato nell’atmosfera quieta ma al contempo gioiosa che caratterizza il mese di aprile, parlando come sempre ormai senza sentire il bisogno di sfoggiare nulla. Si erano raccontati delle opinioni delle reciproche famiglie, venendo alla conclusione che questa loro amicizia sarebbe stata più ostacolata che mai, ma alla fine avevano concordato che forse era arrivato il momento di dare un taglio alla loro vita passata, visto che sotto certi aspetti si era rivelata insoddisfacente per entrambi. Avevano deciso, ormai: si sarebbero frequentati, incontrandosi quando ne avevano voglia come due normali amici, facendo tutte quelle cose che abitualmente erano considerate passatempi per due giovani maghi in quegli anni.

Da quel giorno Orion prese l’abitudine di amministrare direttamente una fetta più ampia della sua vita, soprattutto la parte che comprendeva le relazioni personali e gli intrattenimenti. Prese ad uscire più spesso con Isabelle e con Ryan, approfondendo l’amicizia con entrambi. Ad un tratto cominciarono ad andarsene in giro in gruppo, così anche il giovane Richmond poté conoscere meglio la figlia dei Robinson e nel giro di qualche anno si può dire che i tre fossero diventati definitivamente l’uno il migliore amico dell’altro.

Certo questa situazione quasi idilliaca non era facile da gestire né tantomeno da creare: molte erano le proteste che giungevano da casa Black e altrettante dai Robinson e in poco tempo dai Richmond, molti furono i tentativi di impedire ai ragazzi di incontrarsi, ma la verità è che ormai nessuno dei tre era più sotto il diretto controllo della famiglia e, in un modo o nell’altro, non certo senza causare contrasti interni e malumori persistenti, riuscirono a rimanere in contatto.
Il cambiamento più drastico dovettero affrontarlo i Black, che non potevano più contare sulla loro fonte prima di orgoglio e popolarità.
Orion era radicalmente cambiato e non vi era modo di non notarlo: non che avesse preso a non curarsi più del contegno o del modo di esprimersi, particolari che ormai facevano parte del suo modo di essere, ma semplicemente non concordava più in ogni cosa con i suoi parenti, aveva smesso di tentare di riscuotere consensi tra i membri del Ministero ad ogni evento che si presentava, esprimeva tranquillamente la sua opinione – seppure sempre in maniera impeccabile – e frequentava solamente chi decideva lui, sottoponendosi alla compagnia di prozii e parenti vari solo se strettamente necessario. Non c’era affatto un bel clima tra le mura di casa Black, ma Orion non vi prestava grande attenzione e, sicuro dei suoi propositi si allontanò sempre di più dalla famiglia, senza però causare più attriti del necessario.
Per quasi un anno e mezzo, la situazione rimase pressoché questa, modificandosi solo in casi di occasionali e rapide discordie nelle varie casate, fino all'avvento di un periodo alquanto turbolento nell’estate del 1958.
 
*
 
1 agosto 1958

“Black, è l’una di notte.”
“Ne sono perfettamente conscio.”
“E vorresti cortesemente dirmi, nel tuo stato di profonda conoscenza, perché diavolo io e te stiamo parlando?!” chiese un Ryan più assonnato che mai, riemergendo controvoglia dalle coperte e fissando il suo migliore amico attraverso lo specchio di camera sua.

Ormai non c’erano mezzi termini per definire il loro rapporto: Orion Black e Ryan Richmond erano diventati i migliori amici più inaspettati della Londra magica, nonostante tutti gli auspici di casa Black perché questo non succedesse. Orion si era avvicinato incredibilmente all’altro ragazzo da quella famosa festa in maschera e quella che era nata come vaga sopportazione era diventato un legame impossibile da sfaldare. Ryan ne era più che felice, soprattutto perché ora che anche Orion aveva cominciato a dare qualche metro di filo da torcere ai suoi genitori, non veniva più venerato come un santo nemmeno a casa Richmond, dove invece, come nel resto delle famiglie di maghi Purosangue, si dava gran parte della colpa di questo improvviso mutamento a Ryan. E va bene, non lo si poteva certo definire un esempio perfetto di rampollo di una nobile casata, ma il suddetto Ryan era certo di essere solo in minima parte la causa di questi cambiamenti.
Uno dei lati positivi di questa grande amicizia era venire svegliati nel bel mezzo della notte dal suddetto migliore amico che ti bussava allo specchio e minacciava di smaterializzarsi sul tuo balcone (se non direttamente nel tuo letto) durante le primissime ore del giorno.
I rischi del mestiere, si disse il ragazzo.

“È una cosa di primaria importanza che cambierà completamente la mia vita e voglio farti partecipe di questo.” Rispose intanto Orion con un’espressione molto seria in volto.
Due anni fa Ryan si sarebbe preoccupato parecchio nel sentire simili parole, ma ormai sapeva di avere davanti una persona diversa, capace di chiamarlo a certe ore solo per discutere di quale pigiama mettere e farlo infuriare di proposito.
“Degnami pure di sentire cosa il tuo cervello reputa più importante del mio sonno.”
“Voglio chiedere a Belle di sposarmi.”
Mancò davvero poco alla testa di Ryan per centrare lo spigolo del comodino quando il corpo attaccato a quella testa si schiantò giù dal letto per la sorpresa che l’aveva distolto dallo svogliato tentativo di alzarsi.
Ma ti si è fulminato il cervello?!” fu l’incoraggiante risposta che giunse dal grumo di lenzuola e coperte varie contenenti il corpo di Ryan, il quale tentava con scarsi risultati di aprirsi una strada verso l’uscita.
“No. Ryan io la amo, ne sono sicuro. Lo so che bisognerebbe prima farsi dei mesi frequentandosi prima, ma ormai usciamo non ufficialmente da quasi due anni, lo sai anche tu. Sono certo che la amo e mi sembra che lei ricambi. Tu non l’hai notato?” chiese il ragazzo con voce ansiosa.
L’amava, di questo era certo. Era diventato bravo a riconoscere le sue emozioni e sapeva che era innamorato di Isabelle. Non se lo erano mai detto apertamente, ma secondo Orion c’era stato un avvicinamento quella primavera, sentiva che erano più che amici ed era più che pronto a passare il resto della sua vita con lei. Sapeva che forse sposarsi era un po’ avventato, magari si poteva organizzare il tutto un po’ più avanti, ma voleva avere la certezza che Belle fosse d’accordo, che non fosse solo una mera fantasia nella sua mente, che prima o dopo sarebbe diventato tutto reale.

Il tonfo e la serie di imprecazioni che seguirono la tanto accorata richiesta confermarono ad Orion che, alla fine, il comodino aveva avuto la meglio e Ryan l’aveva colpito in qualche modo. La comparsa del ragazzo che si massaggiava la fronte mugugnando decretò pieno punteggio per il suddetto comodino.
“Orion, davvero, non voglio smorzare il tuo entusiasmo e sai che sarei il primo a sostenerti: anche secondo me la Robinson non è affatto immune al mio fascino riflesso su di te, quindi potrebbe dirti anche di sì…”
Il ghigno sulle labbra del ragazzo scomparve quando una cuscinata, scagliata da Orion appena materializzatosi dietro di lui, lo mise al tappeto.
“Ok, ok, scherzavo…eddai, Black! Un po’ di umorismo…insomma, dicevo che Isabelle potrebbe anche dirti di sì, non ne rimarrei sorpreso.” Sorrise, “Ma hai idea di cosa si scatenerebbe qui?” chiese, rabbuiandosi e indicando vagamente l’ambiente circostante.
Già, decisamente qui sarebbero sorti dei bei problemi.
Qui, ovvero nel mondo dei Purosangue, non ci si sposava per amore, capitava solo nel fortunato caso in cui le due famiglie fossero casualmente favorevoli ad unirsi e non era questo il caso. Black e Robinson erano stati chiari: non volevano niente a che vedere gli uni con gli altri e di certo dopo due anni la loro opinione non era affatto cambiata.

Orion si accasciò sul letto, mollando la presa sul cuscino. Vero, negli ultimi tempi non aveva dato molto peso alle idee della famiglia ed era comunque riuscito ad evitare colossali discordie, ma portare loro via l’unico erede maschio, condannandoli quindi a condividere il nome con una ragazza che sosteneva la libertà degli elfi domestici era praticamente impossibile.
Ryan si rese conto del colpo basso che aveva inavvertitamente sferrato: Orion doveva averlo chiamato non appena l’idea gli era balenata in mente, senza pensare o soppesare alcunché. Mise una mano sulla spalla dell’amico, fece comparire una poltroncina e gli si sedette davanti.
“Orion? Avanti, non deprimerti così. È vero, sarà dura, ma non è detto che sarà impossibile. Magari sarebbe meglio coinvolgere tutti il meno possibile, si potrebbe comunicarlo solo a cosa fatta…” suggerì.
Non appena ebbe pronunciato l’ultima parola, gli occhi dell’amico scattarono su dal pavimento e si fissarono nei suoi.
No.” Rispose, fermo. “No, Ryan, non mi lascerò etichettare come un codardo da tutti, Isabelle compresa. Se mai accetterà di sposarmi, la sposerò dopo aver avvisato tutti. Magari non verranno alla cerimonia, potrebbero anche arrivare ad impedirmelo, ma li sfido a fermarmi! Ho ancora un onore da difendere, Isabelle non sposerà un ragazzo che ha paura di confrontarsi con la sua famiglia, soprattutto perché ne avremo da ridire su diverse cose in futuro, ne sono certo.” Concluse con un irremovibile orgoglio negli occhi.
Ed ecco che ritornava, il vecchio Orion Black era tutt’ora dotato dell’immancabile fondamento di fierezza, uno dei tratti che erano rimasti immutati anche durante l’ultimo periodo.
Ryan sorrise, alzando le braccia in segno di resa.
“Come vuoi, era solo per darti un’alternativa da cui saremmo potuti uscire vivi tutti e tre, ma anche il tuo piano di andare incontro alla decapitazione a testa alta mi intriga parecchio…” ridacchiò. “Insomma, chi non la vuole una via diretta per l’Inferno?”
Orion si rilassò, trovandosi inaspettatamente un sorriso sulle labbra. Alla fine doveva solo chiedere di sposarlo alla ragazza che amava, convincere due famiglie che si ritenevano altamente insopportabili a vicenda, portare all’altare la suddetta ragazza e sopravvivere alle conseguenze che ne sarebbero derivate. Sì, probabilmente era un’idea dalla vaga connotazione suicida, ma almeno Ryan era con lui.

Ora rimaneva solo da chiedere il parere di Isabelle.
 
 






Angolo persona spregevole autrice

Heila, popolo!! *un corvo racchia e un groviglio di sterpaglia vaga solitario nella landa desolata*
Sì, lo so, sono passati eoni dall’ultima volta che ho aggiornato e so che nessuno mi sta ricoprendo di pomodori in questo momento solo perché siete fondamentalmente convinti che io sia morta…ma no, sono qui, di nuovo.
L’ultima mia pubblicazione risale a circa 9-10 mesi fa e mi sento molto in colpa per questo, ma complici la perdita di fantasia (detta anche ommioddioeoracomelafiniscolastoria?!?!?!?!?!) e un carico di compiti a dir poco pesantuccio…..non ho scusanti, quindi prego umilmente perdono e vi butto qui questa…ripresa.
Quindi, ricapitolando, Orion molla tutto e gli viene la bella idea di chiedere in sposa Isabelle…e soprattutto comunicare questa dolce intenzione ad un branco di familiari facilmente inferocibili:)
Ma abbiate speranza, in lui ed in me, e spero di non inabissarmi per molto!!

Anna

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