Il Mio Elemento Sei Tu

di Chesy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Acqua ***
Capitolo 2: *** Fuoco ***
Capitolo 3: *** Vento ***
Capitolo 4: *** Terra ***
Capitolo 5: *** Il Mio Elemento Sei Tu ***



Capitolo 1
*** Acqua ***


«Nello stesso fiume non è possibile scendere due volte»
Eraclito


 
Magnus aveva fatto una proposta particolare: un pic-nic in un bel posticino isolato, che nessuno conosceva a parte lo Stregone, ovviamente. Alec sentiva nell’aria un vago sentore di bruciato: avvertiva la punta delle orecchie pizzicare, e le guance avvampare non appena, al telefono, l’uomo gli aveva detto che voleva andarci.
Ma, chissà perché, proprio non gli andava di fare quel viaggio da solo.
Ragion per cui, ora si trovava a vagare accanto all’uomo, in un posto che poteva essere comunque parte della fantasia, come della realtà: aveva un retrogusto mistico e fiabesco, ma non c’erano abbastanza elementi da congiungerlo a tale universo. Alec si guardava attorno con curiosità, i capelli neri che gli ricadevano sugli occhi venivano accarezzati e scomposti dal lieve vento che soffiava tra le fronde: il sole filtrava attraverso i rami, lasciando che luci e ombre si alternassero come in una danza.
Magnus camminava accanto a lui, stringendogli la mano: nell’altra aveva quello che sembrava essere un cestino normale, per nulla diverso da quello che usavano i mondani. Tuttavia, Alec si chiese cosa nascondesse la tovaglia a scacchi bianca e rossa, in realtà: con quell’uomo dagli occhi maliziosi e i sorrisi felini, non si poteva mai e poi mai abbassare la guardia.
Camminarono in silenzio per qualche minuto ancora, le dita intrecciate non erano per nulla intenzionate a separarsi, nonostante procedessero a zig-zag tra i tronchi scuri degli alberi, e i cespugli selvatici che sfioravano le loro vesti, smossi di tanto in tanto da qualche animale che scappava rapido, non appena avvertiva la presenza estranea della coppia.

Poi Alec avvertì un rumore diverso, un leggero frusciare che prese a crescere man mano che proseguivano: Magnus sorrise, e lo seguì anche il Cacciatore, quando sbucarono in uno spiazzo verde, subito seguito da un piccolo lago in cui l’acqua cristallina ondeggiava, scossa da vari fiotti che ramificavano da una cascata principale. Terra e rocce costruivano lo strapiombo in cui si riversava il fluido: piccoli arbusti e timidi fiori sbocciavano lì vicino, come se si credessero così forti da poter tenere insieme il tutto come malta.
Sulla riva, le onde s’infrangevano delicate, smosse sia dalla corrente che dal vento: nel muoversi, creavano un luccicore cristallino, in contrasto con le sfumature che andavano dal blu al verde, sino all’azzurro chiaro.

-Oh…Magnus è…-

-Splendido, vero?- disse lo Stregone. – E l’ho trovato per puro caso, qualche tempo fa: è una storia buffa e vede me, un coniglio bianco e….-

Alec inarcò un sopracciglio, osservando il ragazzo che gli stava accanto: Magnus fece ruotare gli occhi, interrompendo il racconto, sorridendo di rimando, mentre un lieve colorito s’insinuava nelle sue guance. Una cosa simile era…

Rara. Pensò Alec.

-Okay, lascio perdere. Orsù, io ho fame. Dopo tutto questo camminare…-

-Potevi anche creare un Portale che ci portasse sino a qui direttamente…-

-Ma non sarebbe stata più una sorpresa, ti pare?-

-E allora non dire che sei stanco di camminare.-

-Io ho detto che avevo fame, non è la stessa cosa, fiorellino.-

Alec distolse lo sguardo, borbottando qualcosa che doveva significare: “non chiamarmi fiorellino.”

-Facciamo così: apparecchia, io devo…andare ai servizi.-

-Ma se siamo usciti venti minuti fa!-

-Alexander, sul serio? Vuoi contraddirmi anche su questo?-

Sorrise sornione e si staccò dal fidanzato, non prima di avergli scoccato un dolce e casto bacio sulla guancia: il Cacciatore lo seguì con gli occhi, sino a quando non svanì dal suo campo visivo, inghiottito dalle piante e dai tronchi scuri.
Il giovane si mise poi a lavoro, scostando con attenzione la tovaglia a scacchi da sopra il cesto, come se nascondesse un demone: la tensione cresceva, quasi fosse l’anteprima di un film horror. Alec combatteva demoni, rischiava la vita: poteva avere paura di un cesto di vimini? Se l’aveva riempito Magnus sì, lo temeva più di un Demone Superiore.

Alzò il pezzo di stoffa trattenendo il fiato, ma nulla: sotto c’erano solo panini e contenitori vari, oltre che da bere. Con un sospiro di sollievo, allargò la tovaglia sulla riva verde, disponendo gli oggetti sui quadrati colorati, facendo in modo che, una volta seduti con il volto rivolto alla cascata, fosse più facile afferrarli.
Si avvicinò all’acqua fresca con le bottiglie in mano.

Mettendole qui
, pensò, di certo non rischieranno di scaldarsi.

Bibite a parte, ciò che iniziava a preoccuparlo era la sparizione di Magnus: ma dove diamine era finito? Scorse il suo riflesso increspato dall’acqua, un viso pallido restituiva lo sguardo dal fondale cristallino e sabbioso. Poi un fruscio attirò la sua attenzione: come se la cascata fosse andata a cozzare contro qualcosa di diverso rispetto allo specchio ondulato. Alec alzò lo sguardo e lo vide.

Oh.
Per.
L’Angelo.

Dovevano riscrivere la parola “sexy”. No, dovevano coniare un nuovo termine per definire ciò che stava avvenendo davanti al Cacciatore: Magnus, a torso nudo, scivolava fuori dall’acqua, bagnandosi sotto alla cascata, come se stesse facendo la doccia. Il modello di una pubblicità, che faceva gli stessi movimenti dello Stregone, sarebbe parso una pallida e lontana copia, vista di traverso e fuori fuoco.

L’acqua scivolava sulla pelle scura di Magnus, accarezzando i muscoli sodi, lasciando che le gocce percorressero, come una scaletta, le costole lievemente visibili sotto l’epidermide: gli occhi da gatto scintillavano lievemente, i capelli neri come l’inchiostro si appiccicavano al collo e alla nuca, senza fare alcun tipo di movimento.
Alec sentì la bocca arida, la gola secca e quasi si slogò la mascella quando vide il ragazzo raggiungerlo lentamente, diretto verso di lui, ancora sulla riva con le bottiglie in mano: doveva esserci qualche magia in atto, o il fondale doveva essere tremendamente basso, per consentirgli di restare fuori a metà senza fare alcuno sforzo.
Magnus non gli staccava di dosso gli occhi, compiaciuto dall’effetto sorpresa – e, sì, anche dalla scena – che aveva causato al Cacciatore un vivace rossore sulle guance, oltre che ad un irrigidimento della mandibola. Scomparì, poi, sotto la superficie dell’acqua, lasciando che Alec si ricordasse di respirare, evitando l’apnea: rimase però a scrutare lo specchio cristallino, sperando di capire dove fosse andato il ragazzo.
E lui comparve con un sonoro “pluff” dinanzi ad Alec che, colto alla sprovvista, non fece in tempo a scansarsi o a reagire, quando Magnus lo baciò: un bacio rapido, casto, e tremendamente fresco, visto il sole caldo che filtrava tra gli alberi.
Lo sguardo da gatto scintillò nuovamente, e il Cacciatore sorrise di rimando all’uomo bagnato che aveva davanti.

-Ai servizi, eh?-

-Avevi una scusante migliore?- inarcò un sopracciglio. –Ti do tre secondi per svestirti e venire a fare il bagno…-

Stava per ribattere, Alec, ma sapeva che con lui era impossibile anche solo pensare a “oppure?”.

-Ne restano due….vuoi davvero che venga a prenderti io, Alexander?-

Scandì ogni lettera, strisciando su ciascuna sillaba che componeva il suo nome, come se la coccolasse in separatamente dalle altre. Il ragazzo deglutì, si spogliò e rimase davanti a lui, in boxer, le due bottiglie incastrate nella riva, vicino all’acqua: Magnus alzò ancora il sopracciglio, indicando l’indumento rimasto.

-Se vuoi entrare qui con me, quelli non ti servono.-

Si liberò anche di quelli, con le guance in fiamme e il sangue che percorreva ogni vena del corpo alla velocità della luce: scivolò nell’acqua accanto a Magnus, rabbrividendo a contatto con il gelido fluido.
Toccava, con i piedi, il fondale pieno di ciottoli e sabbia: lo Stregone lo osservò, nudo anche lui sotto la superficie cristallina, il riso dello stregatto che metteva in mostra i denti bianchissimi. Quando Alec si avvicinò per baciarlo, lui si fece indietro.

-Ci hai messo troppo….. ti tocca rincorrermi, per avermi.-

E nuotò all’indietro, l’acqua che sembrava aprirsi al su passaggio: il Cacciatore sorrise, le guance arrossate, i capelli attaccata alla nuca, gli occhi che scintillavano per l’eccitazione. Un nome, una razza, la sua, e una sola garanzia: la caccia era nel suo sangue, e Magnus amava stuzzicarlo per ricordargli questa sua passione.
Così il ragazzo lo raggiunse, spingendo con i piedi, dando vigorose bracciate nell’acqua fredda, fino a che non lo raggiunse, alla cascata: lui stava sotto, poi scivolò dietro, come se si potesse nascondersi. Lo seguì, lo afferrò per un braccio, e lo portò ad un soffio dalle sue labbra: i capelli di Alec erano bagnati e lisci, appiccicati alle tempie, e le ciglia disegnavano punte acuminate intorno agli occhi blu.

-Preso….e ora vieni qui.-

Lo avvicinò ancora, colmando le distanze, e lo baciò: andò a fondo, le lingue s’intrecciarono, i denti cozzavano e il sapore di acqua e spezie s’insinuò dentro di loro, nella saliva e nel sangue stesso che fluiva rapido nelle vene, spinto all’unisono dal rapido battito dei cuori.
Faceva male. Faceva così male un amore così deciso, così intenso da travolgerli ambedue come un’onda, come la corrente che mulinava tra le loro gambe, data dal movimento dalla cascata: si chiesero come fosse possibile che l’amore facesse così male. Che ci fosse una ricerca costante, un bisogno di toccarsi e fondersi, anche se sarebbe stato impossibile.
Si chiesero come i loro corpi avessero una tale chimica, attutendo quel doloroso bisogno che invadeva il loro cuore e i loro pensieri. Presero a sfiorarsi, le mani di Alec tastavano Magnus, esplorando ogni angolo di pelle: prese a baciargli il collo, mordicchiando il lobo bagnato, mentre lo Stregone, eccitato, tracciava il disegno di cicatrici e rune, che sembravano rispondere al suo richiamo come se avesse sfiorato direttamente i muscoli privi di epidermide. Alec aprì gli occhi, guardando Magnus dritto nei suoi: un attimo, un solo attimo per osservarsi e riprendere fiato.
E poi tutto ricominciò, in un turbinio di tocchi e baci, succhiotti e morsi: il Cacciatore cinse con le mani il fondoschiena di Magnus, tirandolo su come se pesasse meno di niente. Non staccò le labbra da lui, il suo sapore come una droga miscelata all’acqua: più cercava i suoi baci, più ne voleva. Era come respirare a pieni polmoni per la prima volta in tutta la vita.
Spinse il ragazzo contro un masso poco distante da loro, vicino alla cascata: il getto bagnò entrambi dal capo sino al torace, l’altra metà del loro corpo avvolta dal fluido cristallino.

Lentamente, molto lentamente, Alec si spinse in Magnus che, sfuggito un sospiro di fastidio, guardò negli occhi l’uomo che gli aveva rubato il cuore: amare faceva male, faceva paura. Era come mettere a nudo l’anima, senza più carne e ossa a proteggerla: un solo colpo, un pugnale o uno spillo che fosse, avrebbe portato alla sua distruzione.
L’acqua concepì onde concentrice che partivano da due, per poi spostarsi verso la riva, increspando lo specchio: lo scrosciare della cascata attutiva i gemiti di piacere, grondando su di loro come per benedirli in quell'unione.

Acqua.

Chi mai avrebbe detto che anche lei sapeva essere passionale? L’acqua nutre, crea, rinfresca: può essere, tuttavia, un elemento che spazza via ciò che incontra, senza fare differenze. Ma, in quel momento, univa la coppia che aveva scelto di amarsi in lei: come una cappa fredda dedita a contrastare il bollore del loro spirito, li avvolgeva, osservandoli, forse divertita o intenerita da quel modo ossessivo di cercarsi, di far sentire all’altro quell’amore tanto profondo, impossibile da esprimere con le parole.
E quando finirono, Alec posò la fronte sulla spalla di Magnus, cercando di riprendere fiato, mentre l’acqua gli scivolava dai capelli sino al volto, cadendo in piccole gocce sulla pelle ambrata dell’uomo. Lui, di rimando, prese a giocare con quelle ciocche nere, il sorriso soddisfatto stampato sulle labbra. Lo contemplò ancora, attendendo che alzasse lo sguardo.
Ma non lo fece, e Magnus lo prese per le spalle, vedendolo tremare: il viso aveva lasciato spazio alla preoccupazione, un leggero turbamento s’insinuò negli occhi da gatto.

-Alexander? Alexander, stai bene?-

Vedendo che non rispondeva alle scrollate, gli prese il viso per costringerlo a guardarlo: la presa allo stomaco l’aveva messo in agitazione e, quando incontrò gli occhi blu, quasi si sciolse.

Per Lilith.

Alec piangeva, le guance arrossate, le lacrime che gli fluivano dagli occhi come fiumi: le gocce che prima erano scivolate sull’addome dello Stregone non era solo acqua.

-Alexander, cosa succede?-

Adesso stava iniziando a sentirsi impotente, se il Cacciatore non gli rispondeva, se non tramite singhiozzi secchi che quasi non lo lasciavano respirare.

-Ti amo.- rispose.

-Anch’io, ma…-

-No, ti amo. Ti amo tanto che fa male, mi sento male. Ti amo così tanto che vorrei strapparmi il cuore e dartelo: non so se è possibile sentire una cosa del genere.- portò una mano sul petto di Magnus.- Vorrei vederti sempre felice, vorrei passate con te ogni secondo della mia vita: vorrei che ogni momento si prolungasse all’infinito.-

Cercò i suoi occhi, e Magnus rispose allo sguardo: le iridi da gatto erano lucide per l’emozione, la bocca semi-aperta di chi è stato preso alla sprovvista. Rinsavì poi, allungandosi per baciarlo: una danza lenta e delicata, casta, in confronto al movimento e alla passione che li aveva travolti prima.

-Anch’io vorrei che tu fossi felice, che ogni attimo passato con te si prolunghi per anni, non per miseri minuti.- sorrise, solo come lui sapeva fare. In un modo che portava sempre Alec ad arrossire. –Tu sei la persona che mi ha portato ancora ad amare, che mi ha insegnato cosa significa sentir male a forza di voler bene a qualcuno. E, per Lilith, io ti amo, Alexander Gideon Lightwood. Ora, domani, e sino a quando il mondo non finirà e tutto riprenderà da capo. Anche allora, sì, ti amerò.-

Perché è destino, perché è in noi. Non si sa il motivo, per la quale ci troviamo e amiamo così intensamente, in una maniera unica al mondo: sono rari, coloro che trovano la metà perfetta. Solo loro conoscono l’effetto corrosivo che ha quel sentimento.
Alec lo guardò negli occhi, ancora, come se non si stancasse mai della sua immagine: le sopracciglia sottili, le labbra scurite dai baci, i denti perfetti e gli zigomi alti. Il taglio degli occhi e i capelli che ricadevano sulla fronte come alghe brillanti.

-Grazie, Magnus.-

Lo Stregone sorrise, asciugando con i pollici le tracce di lacrime dal viso di Alec.

-Di cosa, fiorellino?- sospirò, senza staccargli gli occhi di dosso. -Meriti di essere amato, con tutto il cuore.-

-Anche tu.-

E si baciarono ancora sotto la cascata.


 

Lo Stregatto Parla.
Prima di tutto, un grazie speciale a Stella13: lei mi ha dato lo spunto per l'ambientazione, grazie alla sua bellissima FF "Malec Routine". Oltretutto, mi supporta con le recensioni e con lei è sempre piacevole scambiare qualche messaggio. Questo capitolo è tutto tuo.
In secondo luogo, grazie a coloro che seguono le mie FF di nascosto, perchè mi sprona a scrivere sempre (ma, ehi, ho una vita privata io!).
Per ultimo, mi auguro che vi piaccia. Lo spero di tutto cuore.
Ho pianto nell'ultima parte, mentre la scrivevo. Lo so, è sciocco, ma è accaduto ^^
Un abbraccio, a presto...*sorride*

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Capitolo 2
*** Fuoco ***


« Dubita che le stelle siano fuoco, dubita che il sole si muova, dubita che la verità sia mentitrice, ma non dubitare mai del mio amore.»
Shakespeare


 
 
Il sogno aveva appena preso forma, quando un rumore, sì flebile, strappò Magnus dal sonno: sbuffò, adagiando la testa sul cuscino, convinto di aver sentito male. Forse il Presidente aveva fatto cadere qualcosa, e lui era diventato toppo sensibile a causa di Alexander: in fondo, era per lui che le orecchie erano diventate più percettive, e che il minimo rumore altro non faceva che svegliarlo di soprassalto.
Quando il Cacciatore era al suo fianco, però, questo non accadeva.
Si rigirò tra le coperte, indeciso: alla fine optò per alzarsi e andare a vedere che aveva combinato quello scricciolo di un gatto, rimembrando che il suo ragazzo sarebbe tornato solo la mattina dopo dalla caccia notturna.
Si diresse in soggiorno, una fiammella blu illuminava il percorso: troppa fatica accendere le luci, meglio usare un po’ di magia, altrimenti si rischiava di fare la ruggine. Fu a metà strada che lo incontrò: il micetto gli andò incontro, strusciandosi sulle sue gambe, mordicchiando poi i pantaloni del pigiama.
Magnus lo osservò, inarcando un sopracciglio, senza capire.
Allora il Presidente Miao si fece valere: posò la sua zampetta vellutata sul piede nudo del ragazzo, ripetendo l’operazione più volte, battendo sempre più forte e sfoderando persino le unghiette.

-Che cosa c’è, Presidente? Vuoi che annulli la prossima festa….-

E poi capì.
Sul manto pezzato del piccolo micetto c’era una chiazza estranea, scura: non l’aveva notata prima perché il fuoco non illuminava totalmente la sua - seppur piccola - figura felina. Si chinò sul gatto, illuminando per intero il corpo peloso: in un punto era rosso, bagnato di sangue che di certo non apparteneva al Presidente.
Si alzò di scatto e corse giù per il corridoio, la fiamma nella sua mano aperta brillava di luce intensa, ondeggiando, senza però spegnersi: una volta arrivato in soggiorno, quello stesso fuoco fatuo illuminò una figura seduta sul divano, le armi buttate a terra e un’espressione sofferente sul volto.

-Alexander? Cos’è successo?-

Il ragazzo aveva la testa inclinata indietro, che alzò solo quando vide arrivare lo Stregone: indossava ancora la divisa da caccia, le nere rune fresche di tratto s’intrecciavano con il sangue lungo la pelle bianca. Alec sbiancò di più quando incrociò lo sguardo atterrito di Magnus: aveva la bocca semi spalancata, il braccio destro che cingeva il compagno, totalmente inondato di sangue.

-Magnus, per l’Angelo, non volevo svegliarti….scusa.- sussurrò, a denti stretti.

Lo Stregone parve non sentirlo, concentrato com’era ad osservarlo: le fiammelle si moltiplicarono, accerchiando il ragazzo e rendendolo visibile in ogni sua sfaccettatura. Quattro profondi tagli solcavano la pelle bianca del Cacciatore, una runa della guarigione era già piazzata lì vicino, ma sembrava non far molto per rimarginare le profonde lacerazioni: suppuranti e insanguinati, recidevano la carne partendo dalla spalla, sino a raggiungere metà dell’avambraccio. Il viso del Cacciatore era deformato in un’espressione sofferente, che però ancora occultava buona parte del dolore realmente provato: era abituato alle ferite, tagli del genere, per lui, non erano nulla di nuovo.
L’uomo dagli occhi felini lo raggiunse, sedendosi alla sua sinistra, le mani che tastavano con attenzione la zona lesa: prese subito a sprigionare scintille blu dalle dita, mentre il Presidente si avvicinava alla coppia, appollaiandosi, attento, sul tavolino di legno basso.
I lunghi segni suppuranti resistettero al suo tocco, restii a rimarginarsi dinanzi alla magia adoperata: Magnus allora prese a borbottare qualche incantesimo, moltiplicando le scintille quasi fossero tanti fuochi d’artificio accesi in contemporanea. Il volto di Alec era una maschera di fastidio e dolore, gli occhi blu fissi sullo Stregone al suo fianco.

-Lascia, la runa sta già facendo il suo dovere, non serve….-

-Shhhh, mi deconcentri.- ammise, senza distogliere lo sguardo.

 -Magnus, insomma! Non sprecare così le tue energie, ti ho detto che va tutto bene.- la mano destra allora corse sulle dita affusolate dell’uomo.

A quel punto lo Stregone alzò lo sguardo, preoccupato e serio nello stesso momento: i lineamenti del viso erano tesi, i capelli setosi scomposti attorno al volto. Ricambiò la stretta, la bocca una linea sottile: sapeva perché Alec era tanto preoccupato. Il giorno prima aveva dato fondo ad ogni sua riserva magica per alcuni lavori, lasciandosi scivolare davanti al ragazzo, totalmente prosciugato: il Cacciatore l’aveva trascinato a casa loro, nutrendolo e mettendolo a letto, chiudendo la porta mentre andava a “lavoro”.

-Posso almeno fasciartela?-

Una richiesta sincera, come se volesse il permesso anche per una cosa del genere: Alec lo guardò sorpreso, annuendo e, dopo pochi attimi, era privo della maglietta sporca e lacera, e con una benda immacolata attorno al braccio incrostato di sangue.

-Come stai?-

Magnus sorrise, trovando ironico il fatto: incrociò le gambe, come Peter Pan, sporgendosi verso il ragazzo. Aveva i gomiti puntellati sulle ginocchia, sul viso un’espressione rassegnata. Quel giovane, dopo anni, ancora riusciva a sorprenderlo con la sua naturale predisposizione a pensare agli altri, ancor prima di se stesso, nonostante fosse lui quello ridotto peggio.

-Che ho detto di divertente?-

-Nonostante la tua condizione, mi chiedi come sto io. Lo so che, prima di andare a caccia, mi hai dato un po’ della tua forza.- con l’indice andò a toccare la spalla di Alec, come per additare il fatto. –Che sciocco, dovresti evitare certe cose prima di andare a uccidere demoni, tesoro.-

Alec arrossì, sorridendo debolmente: alzò le spalle, come se la cosa non gli importasse.

-Tu sei più importante. Volevo che stessi meglio.- alzò gli occhi verso Magnus, i tratti del viso che esprimevano la pura sincerità.

-Permettimi…- lo Stregone si allungò verso di lui, le gambe ora sciolte dal vincolo, lasciarono che la sua figura fosse a quatto zampe sui cuscini. Il volto ad un soffio da quello di Alec, ancora seduto normalmente. –Di ricambiare la cortesia….-

Il tono era suadente, delicato, sensuale.
La sua bocca lo era ancora di più.

Magnus si spinse verso Alec, costringendolo a stendersi sotto di lui: lo baciò dapprima a stampo, poi sperimentò con la lingua una danza, assieme a quella del Cacciatore. Un intrecciarsi di saliva e sensualità, il calore delle bocce come quello di una stufa a carbone: le mani dello Stregone scivolarono presto sul corpo del compagno, delineando rune, cicatrici e muscoli. D’altro canto, Alec, con la mano destra, fece corere le dita tra i capelli neri dell’uomo, attirandolo a se, approfondendo il bacio, come se si potesse andare oltre alle labbra, la carne e i denti. I loro occhi non smisero di fissarsi, anche se erano entrambi sottili linee colorate tra le ciglia scure: Magnus staccò la bocca da quella del Cacciatore, prendendo a baciare il collo, mordicchiando il lobo, la gola, la carotide. Leccò ogni punto, lasciando una scia di schiocchi umidi sui pettorali, l’addome, le costole, sino all’ombelico: slacciò la cintura che portava direttamente al Paese delle Meraviglie, la testa scura unica cosa visibile da Alec, in quel momento ansimate e con le gote rosse di emozione.
La mano del Cacciatore corse rapida alla testa di Magnus, trattenendogli i capelli e, gentilmente, lo costrinse a fissarlo: il viso alzato, gli occhi blu velati di passione. Lo Stregone lo scrutò, senza capire.
La voce roca di Alec spiegò tutto.

-Vieni qui. Io ti voglio qui.-

Magnus sorrise, ripercorrendo il tragitto segnato da baci e succhiotti: assalì la bocca del Cacciatore, con le mani levò gli abiti d’impiccio, che come fuoco s’infiammarono e finirono da qualche parte sul pavimento. Le fiammelle accese illuminavano i corpi, avvinghiati l’uno all’altro, come alla ricerca di un calore che solo loro potevano trovare: il fuoco unico, silente, testimone, poiché anche il Presidente aveva deciso di dileguarsi, comprendendo di non essere molto gradito.
Alec amava Magnus. Lo amava in ogni caso, adorava quando prendeva il comando e quando lo sottometteva al suo volere, con bramosia ma gentilezza, lo sguardo preoccupato quando, per un attimo, gli sfiorò il braccio: nessuno l’aveva mai trattato come se fosse qualcosa di prezioso, qualcuno che meritava di essere coccolato e protetto, ascoltato anche in una situazione di sottomissione. Magnus era fermo, deciso, ma sempre pronto a rallentare: Alec lo amava perché lo capiva, nel profondo. Lo capiva, lo ascoltava, e lo amava anche se era pieno di difetti.
E Magnus presto prese a capire che avrebbe adorato quel ragazzo anche se avesse avuto i capelli castani, gli occhi verdi e un naso orribile: l’incarnare la sua combinazione prediletta – capelli neri e occhi blu – era solo un tratto aggiuntivo. L’innocenza, l’affetto, la meticolosità e la forza di proteggere chi amava: erano solo alcune delle cose che amava di quel Cacciatore.
Avrebbe potuto perdersi in quegli occhi blu: entrare in quel mare caldo, e non uscirne mai più. Dimenticare tutto mentre lo amava, mentre faceva l’amore con lui e i suoi gemiti si miscelavano a quelli di Alec: due cuori in un uno, due corpi fusi e mai divisi.

Fuoco.
Il fuoco brucia, divora, ma solo perché vuole essere amato: dona calore nei momenti gelidi, il tepore che regala si riversa nel sangue e sulla pelle. Tutto ciò che tocca brucia.
Noi lo vediamo come qualcosa che non dovrebbe esistere: eppure, il fuoco ama. Ecco perché tutto s’incendia ad un suo tocco: anche le fiamme vogliono essere ricambiate del loro affetto. Purifica, rende cenere pronta a ridare una nuova vita: il suo rosso è il colore della passione, il bagliore che emana rischiara ogni dubbio.
Il fuoco rende tutto più caldo, accogliente, vivo.
Le fiammelle traballarono, disegnando come bambini sui corpi dei due amanti: gemiti rochi, sussurri umidi, parole e tocchi presto soffocati da un urlo unico, deciso, di pure piacere.
La passione tra loro era avvolgente, calda: come sentirsi finalmente un’unica fiamma, non più due divise. Insieme, facevano scintille ed erano più forti: si baciarono ancora con devozione, gli occhi persi nello sguardo dell’altro, una sensazione mai provata li travolgeva. Era bella, bellissima, ma metteva anche una certa paura: timore di perdere, un giorno, tutto.
Ma, per il momento, non voleva affatto pensarci: c’erano solo loro.
Loro e nient’altro.
 

-Stavo pensando…..-

Iniziò Magnus, guardando verso Alec.
Era posizionato accanto al ragazzo, la schiena adagiata allo schienale del divano, il gomito sinistro puntellato nel cuscino, la mano atta a sostenere il viso: un velo di sudore ancora gli imperlava la fronte, i sottili occhi da gatto emanavano serietà.
Alec lo guardò, alzando un sopracciglio: al contrario dello Stregone, era disteso, con un cuscino sotto la testa e una coperta che lo rivestiva sino al petto nudo - la medesima stoffa che coprima Magnus sino all'inguine-. La mano destra giocava con le dita libere dello Stregone, le iridi blu velate di preoccupazioni, lucide come pietre, lo fissavano: aveva le gote arrossate, i capelli umidi attaccati alla fronte. Qualche linea di febbre, forse, ma era difficile dirlo, visto che aveva appena fatto l’amore con il compagno.

-Ricordi cosa mi hai chiesto l’altro giorno?-

Alec trattenne il fiato, la mente che corse alle parole dette poco tempo prima: chiare, decise, lo sguardo che non vacillava.

“Mi vorresti sposare?”

Poi gli aveva detto che, se avesse detto di “no” avrebbe capito: in fondo, era un impegno. Essere uniti a qualcuno in quel modo, avere un anello al dito, la promessa nel cuore: sarebbe diventato un peso per Magnus, una catena che lo avrebbe stretto per l’eternità. Ragion per cui, avrebbe capito se avesse negato la proposta: gli avrebbe fatto male, vero, ma non avrebbe smesso di stare con Magnus.

-Sì.-

-Co…come?-

Lo sguardo di Magnus si fissò su di lui, come se avesse piantato un chiodo per non smuoverlo più: sorrise dolcemente, i denti bianchi brillarono.

-Voglio sposarti, Alexander.- si chinò e lo baciò, dolce e leggero, sulle labbra ancora arrossate.

Alec lo avvicinò ancora, passando le dita tra le ciocche setose, lungo lo zigomo, gli occhi sgranati per la sorpresa: dopo un lungo, appassionante, bacio febbrile, parlò, praticamente respirando l’aria del compagno.

-Sono così felice….non ne hai idea.-

Magnus sorrise, scoccando altri, dolci, stampi, sulla fronte e sul naso del compagno.

-Anch’io.-

Alec alzò la mano sinistra, recuperando l’anello di famiglia: la “L” spiccava tra i disegni delle fiamme, minacciosa e affidabile nello stesso momento. Prese le dita di Magnus, una smorfia gli si dipinse sul viso: era concentrato, proprio come quando gli aveva disegnato la runa prima della battaglia.

-Io ti scelgo, Magnus Bane, come mio compagno di vita.-

Lo Stregone si schiarì la voce.

-Ehm….ci stiamo sposando adesso?-

-Beh, sì, sarebbe una cosa nostra però. Volevi una cerimonia in grande? E una bella festa?- un lieve riso increspò le labbra.-Possiamo….se vuoi lo facciamo in presenza di testimoni….-

-Ma noi ce l’abbiamo, un testimone.-

Il Presidente fece un balzo, arrampicandosi sul divano: Magnus lo aiutò, visto che la piccola mole non lo aiutava a raggiungere i cuscini. La palla di pelo si appollaio sul petto di Alec, acciambellandosi come per riposare, ma senza chiudere gli occhi felini.

-Dicevi, comunque?-

-Oh, sì, ecco…- sbuffò e riprese a parlare. –Non servono molte parole per dirtelo: sappi che ti proteggerò sempre, ti starò accanto e ti sosterrò in ogni occasione. Con te ho trovato una parte importante della mia anima: ti amo, ti adoro e non ti ringrazierò mai abbastanza, per essere rimasto con me. Non so dirti quanto sono felice, Magnus.-

L’anello entrò, perfetto, nell’anulare scuro e dall’unghia dipinta di verde: lo Stregone, allora, si sfilò un anello dal dito, nero, con le iniziali “MB” in oro che risaltavano sul laccato scuro.

-Mi hai ricordato cosa significa amare, Alexander.- prese ad infilare l’oggetto nel dito pallido e ricoperto di cicatrici. –Mi hai liberato dalle catene che m’imprigionavano, mi hai riempito il cuore di felicità: giuro che ti proteggerò e ti sosterrò sempre, restandoti accanto per ogni giorno della nostra vita. Ora, qui, su questo divano macchiato di sangue e con te al mio fianco, ti sposo. Testimoni per noi sono il fuoco e il Presidente Miao.-

Infilò l’anello, che risaltò sulla pelle bianca, stringendola come se fosse una parte di quest'ultima.

-Con questo al dito, i demoni fuggiranno, se non vogliono incombere nella mia ira.- ridacchiò, con le lacrime agli occhi per la felicità.

-Beh, con l’anello del primogenito Lightwood tutti sapranno per certo che, se ti sfiorano, si troveranno una freccia piantata nel fondoschiena.-

-Amo la tua schiettezza, tesoro.-

E si fiondò sul Cacciatore, innescando le ire del Presidente, schiacciato tra i due corpi.
Una sola, perfetta, risata, fece tremare le fiamme che li circondavano.


 
 
Lo Stregatto Parla.

Innanzi tutto, scusate il ritardo, ma mi sono destreggiata tra lavoro/gdr/progetti personali, e ne sono uscita con questo capitolo, alla fine. Fondamentalmente, i Malec penso siano una delle pochissime coppie che ha continui scambi di ruolo, non statica, ecco: in molti manga/letture MM c’è la distinzione tra “attivo” e “passivo”, un ruolo definitivo e che difficilmente cambia. In questa coppia non riesco proprio a vedermi uno dei due così: entrambi hanno un animo forte, secondo me cedono all’altro quando si sentono di essere vulnerabili.
Premetto, in “Misery Loves Glamour” (precisamente nel capitolo 38) viene citata la stessa cosa, così come in “Malec Routine” lo scambio è avvenuto un paio di volte: il mio pensiero rispecchia molto quello di queste due ff, diciamo che mi è subito venuto in mente quando ho letto i libri della Clare.
Altro da dire? Uhm….beh, ringrazio coloro che hanno recensito e chi ha messo questa ff tra le preferite/amate/odiate: per me è molto importante, non avete idea quanto. Poi faccio un grosso “in bocca al lupo” ha chi sta affrontando esami/impegni lavorativi/vite complesse: vi sostengo da lontano, tutte quante.
Orsù, vi lascio un quesito: se vi dicessi che il prossimo capitolo s’intitola “Vento”, cosa pensate che potrebbe accadere?
Vi abbraccio e vi auguro buona notte *alza la sua tazza di latte e caffè*

Ps. L’8 Luglio è alle porte….sto importunando un sacco la commessa della libreria, poveretta……

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Capitolo 3
*** Vento ***


«L'aria fresca della sera è il respiro del vento che si addormenta placido tra le braccia della notte.»
Umberto Eco
 
-Magnus.-

-Mh.-

-Maaaagnus.-

-Mmmmmph.-

-Magnus?- sbuffò divertito. –Dai amore, svegliati, o faremo tardi.-

Lo Stregone si voltò verso la fonte della voce, il volto per metà affondato nel morbido cuscino: osservò il ragazzo per qualche istante, un sorriso dolce sul viso, gli occhi da gatto che scintillarono per l’emozione.

-Mi hai chiamato “amore”?- allungò pigramente un braccio verso Alec, biascicando ogni parola. – Che splendido buongiorno….vieni qui.-

Afferrò la maglietta del ragazzo e lo trascinò tra le lenzuola, baciandolo appassionatamente: Alec chiuse gli occhi, lasciandosi trasportare, permettendo alle dita di scivolare dietro alla nuca di Magnus e lungo i suoi muscoli addominali, accarezzandoli.
Qualcosa scattò, però, nella sua testa, costringendolo a staccarsi dal bacio, a malincuore: il sapore dello Stregone sulle labbra, il suo fiato sulla pelle, la mano posata sul fondoschiena e una sul petto, dove batteva il cuore. Maledizione, era la tentazione peggiore, quell’uomo.

-Magnus….asp….aspetta.- tentennò a fiori di labbra, la lingua maliziosa dello Stregone a pochi millimetri dalla sua, il fiato che scivolava tra le due cavità, come se fosse l’unico ossigeno capaci di tenerli in vita. –Sessione di sesso mattutino da scartare…..Jace e gli altri ci stanno aspettando per la festa, non possiamo deluderli…-

-Uhhhhm, che peccato.- schioccò le labbra, seccato. – Proprio oggi volevano festeggiare il nostro anniversario? Me la pagheranno….-

Nessuno dei due si mosse, Alec ancora chino su Magnus, le dita pallide un contrasto vivido con la pelle scura dell’uomo: le braccia lunghe e fini cingevano ora il collo del Cacciatore, lasciandogli lo spazio per muoversi e guardarlo negli occhi, blu e pietre verdi-dorate a confronto.

-Dai, non fare così….sono stati gentili a organizzare la festa.- sorrise. –Una festa con tanti invitati.-

-Poco importa….-  sbuffò, perdendosi ancora un istante in quegli occhi blu.

Alec ghignò, scostò le coperte e le lenzuola scomposte, dando a Magnus un ultimo bacio sulla fronte: i capelli scuri gli ricadevano attorno alle guance, una parte di essi tirati indietro da un elastico che, dispettoso, sembrava lasciare quei fili d’inchiostro liberi d’incorniciare il viso, invece di fare il suo dovere.

-Ti aspetto in cucina….il caffè è pronto.- e uscì dalla porta.

Lo Stregone osservò il soffitto: mai prima di allora, si era sentito così poco in vena di andare ad una festa, anche se sapeva esserci ogni amico e compagno di lunghe e difficili avventure. Roteò gli occhi, passandosi le mani sul viso, l’anello dei Lightwood che brillava nell’anulare sinistro.

-Potrei alzarmi solo se fossi certo che il caffè te lo versi addosso, e sono costretto a leccartelo via.-

-Ti ho sentito, sai?-
 
 
La serra, illuminata dalle candele, dipingeva sulle poche piante bagliori dorati: che fossero daphne bianche oppure semplici gelsomini, fiori d’arancio o piccoli lilium, poco importava. Le ampie finestre a vetro erano un sottile separé trasparente che divideva gli invitati dalla città velata dal tramonto invernale: raffiche di vento sferzavano gli alberi e facevano tremare leggermente gli infissi, ma nulla di troppo grave. Clary si era data da fare, e nulla era sfuggito al suo sguardo: cosparso di rune l’intero edificio, quest’ultimo non poteva crollare neanche se avesse voluto.
L’ampia sala – da principio dipinta di bianco, con qualche zona in legno scuro a vista - era stata decorata con semplici tende blu notte, interrotte, di tanto in tanto, da un coloro oro delicato, quasi misto all’argento: tavoli ricolmi di cibo erano stati sistemati verso l’esterno, sedie e piani, con tovaglia e apparecchiatura completa, si disponevano a semicerchio, lasciando il centro sempre sgombro. Un pianoforte bianco occupava un angolo della stanza, il più vicino possibile allo spiazzo vuoto creato apposta solo per una cosa: ballare.
Ed era proprio sopra di esso, che il vetro rivelava un cielo blu intenso, con nuvole ancor più scure, che correvano rapide trasportate dall’aria fredda: le stelle brillavano come puntini lontani, quasi invisibili, in una notte priva di luna.
Il vociare delle persone riempiva ed echeggiava in ogni spazio: amici vicini e lontani, pochi e intimi, erano stati invitati a quella festa in cui Magnus e Alec erano i protagonisti. Il primo si sentiva perfettamente a suo agio, tra Nascosti e Nephilim, agghindato con una giacca nera e una semplice camicia bianca, sopra un paio di pantaloni scuri e scarpe altrettanto cupe, ma lucide. L’unico eccesso erano i glitter blu e oro – il medesimo, chiaro, delle decorazioni- che tiravano indietro i capelli scuri, scoprendo il viso spigoloso ma addolcito da un ampio sorriso.
Il secondo, ancora non si era abituato a tante persone attorno: sì, erano tutti amici. Sì, non era poi una festa che coinvolgeva ogni clan o essere della città – elementi indispensabili alle feste di Magnus -, ma proprio non era quello il suo ambiente: se con lo Stregone si completava, allora era quello, uno dei tasselli che andava riempiendosi solo con la presenza della sua altra metà.
Come il compagno, aveva in dosso abiti scuri – un gilet abbinato a pantaloni e scarpe del medesimo colore -rotti da una camicia bianca, sbottonata e sotto al quale spiccavano i marchi vecchi e nuovi, tracciati sulla pelle diafana: i capelli neri erano stati sistemati, con una riga, sulla sinistra, lasciando la parte del viso destra libera dalle lunghe ciocche.

Magnus, da lontano, si soffermò a guardarlo, sorridendo nel vederlo fuori dai suoi soliti abiti malconci, elegante e ben curato, quasi non fosse più lui: eppure il semplice colore roseo delle gote e la sua figura lievemente ingobbita, non lasciavano dubbi sul fatto che fosse il suo Alexander.
Jace, Clary, Isabelle e Simon si affiancarono al suo ragazzo, come sostegno morale: in mano i bicchieri con liquidi colorati, i volti rilassati e sorridenti, le parole rivolte al giovane Cacciatore piene di affetto e sincera felicità. Quando Luke alzò il calice, invitando tutti al brindisi, la gente urlò il nome dei due sposi e si congratulò ancora con loro, festeggiando la loro unione: che fossero felici in apparenza, ma che in realtà covassero ancora dubbi su di loro, poco importava. Quel giorno era importante e Robert sapeva di dover evitare di mettere in piedi – voluta o non – una scenata, cosa che pensava anche Maryse.
[La canzone suonata da Jace è "You found me" dei "The Fray",
Piano cover.]

Magnus lanciò un’occhiata a Jace che, staccatosi dal gruppo, raggiunse il pianoforte bianco e, dopo un breve attimo di silenzio, prese a suonare, le dita forti del guerriero così delicate sui tasti, agili e rapide tanto da concepire una dolce melodia. E, lentamente, lo Stregone posò il calice sul tavolo, avvicinandosi ad Alec e allungando, verso di lui, la sua mano sinistra, quella con l’anello che gli aveva donato pochi anni prima: il ragazzo guardò la sorella, che sorrise, prendendo il suo bicchiere. Clary gli diede una lieve spinta, Simon alzò in pollice come incoraggiamento.

E fu tra le braccia di Magnus, in mezzo alla pista: la musica chetava ogni parola, ogni pensiero. Per Alec, in quel momento, non c’erano sguardi rivolti a loro, pensierosi nell'osservare due uomini ballare, felici di vederli insieme, delusi, orgogliosi o chissà cos’altro. Per il Cacciatore c’era solo lui, l’uomo che aveva scelto come suo sposo: aveva amato una sola volta nella vita, e la sua fortuna era stata di trovare subito la sua metà.
Dicendo “ti amo” aveva sancito un legame: in molti dicevano quelle sillabe, ma poi capivano che non era qualcosa in cui credevano, e si lasciavano, perché non sentivano altro che fredda indifferenza. Lui no, aveva scelto Magnus: aveva scelto di fare un salto nel vuoto, amandolo, senza ripensarci. Perché, anche nel momento più buio della loro relazione, non aveva mai smesso di sentire quel calore tanto forte e delicato, come un battito d’ali: ogni volta che lo guardava, che lo toccava, che lo ascoltava, si presentava, sempre più deciso.

E lo sapeva, non ci sarebbero mai stati ripensamenti: se fosse tornato indietro, avrebbe scelto ancora Magnus.

Alzò lo sguardo su di lui, la mano sinistra stretta nella sua, l’altra che lo spingeva, dal busto, ad aderire perfettamente al suo corpo: incrociò i suoi occhi da gatto, un riso appena accennato sul volto, il fiato che spostava le ciocche nere. Sorrise, Alec: gli occhi blu illuminati da qualcosa di intenso, le labbra tirate, i denti bianchi e scintillanti scoperti.

Magnus sentì battere il cuore del suo sposo contro il suo petto, come se cercasse di stimolare il suo a seguirlo: come se gli dicesse “ehi, batti forte con me, non lasciarmi solo.”
Si ricordò le parole che disse al ragazzo, che più nulla l’avrebbe stupito, dopo anni passati a camminare tra le epoche, vedendo le persone care morire: niente, proprio niente l’avrebbe riscosso dal torpore che l’aveva ricoperto. E poi era apparso lui, con i capelli neri e gli atteggiamenti schivi, i tratti dolci, la rabbia e la tristezza nel cuore: la sua voglia di proteggere, di essere migliore.
Alec era arrivato, e tutto era cambiato. Il torpore era svanito, e aveva ricominciato a vivere, senza accorgersene: realizzò in quel momento, solo in quel momento, quanto era cambiato da quel giorno di tanti anni fa, ad una delle sue solite feste.
Per Lilith, quel ragazzo l’aveva salvato. Senza saperlo, l’aveva fatto: essendo semplicemente se stesso, era riuscito a riscuoterlo e a renderlo nuovamente Magnus, il ragazzo che si era perso tra le epoche, desideroso di amare ma timoroso di piangere la scomparsa di coloro a cui teneva.
Avvicinò le sue labbra a quelle di Alec, socchiudendo gli occhi: tra le ciglia brillavano frammenti di oro, verde e qualcos’altro.
Non un colore, ma un misto di sentimenti.
Attorno a loro, alcuni si erano uniti alla danza: mano nella mano, uniti, tutti avevano qualcuno con cui condividere un ballo. Clary vicino a Jace, che ancora suonava; Isabelle e Simon, Jocelyn e Luke….

Era quello, era solo quello: una danza di vite, di amori, amicizia e affetto. Un ballo in cui fiammelle dorate prendevano parte, senza accorgersene, sospinte da un vento che le smuoveva senza che realmente se ne capacitassero: un vento che sospinge tutti, anche se non lo sappiamo.
Poi un suono, fastidioso, come uno stridio: Jace s’immobilizzò, fermando la musica di colpo. Alec si ridestò dal sogno in cui era caduto, come lui anche Magnus aveva l’espressione di chi viene svegliato bruscamente: Isabelle e gli altri si allertarono, Robert diede ordine di prepararsi, poiché i demoni erano entrati in azione.
Il Cacciatore osservò suo marito, titubante: il cuore che voleva restare, il corpo già in corsa verso l’armeria.
Magnus si fece scuro in viso: gli diede un bacio, rapido, e lo guardò andare via.
Lo sapevano entrambi: era quello il suo dovere e non poteva ignorarlo. Neanche il giorno del loro anniversario, neanche allora avrebbero potuto ignorare il dovere dei Nephilim.
Rimase fermo lì, alcuni ospiti che osservavano i Cacciatori sparire oltre la soglia, altri che mormoravano: senza musica, fu come se l’ambiente fosse diventato, improvvisamente, gelido. Senza la sua presenza o quello di tutti gli altri, nella stanza echeggiava il silenzio.

-‘Sta attento, Alexander.-

 
 
Era oramai notte fonda: Magnus continuava ad andare avanti e indietro per il salotto, il bel vestito sostituito da jeans e maglietta. Sapeva che Alec tendeva ad avvisarlo, quando faceva tardi: sapeva che, se fosse accaduto qualcosa, Jace e gli altri lo avrebbero chiamato.
Anche il Presidente sembrava irrequieto: continuava a scendere e salire dal divano, avvicinandosi a Magnus come se cercasse risposte che, però, neanche lui aveva.
Sapevano entrambi che non era la prima volta che Alec tardava: era un Cacciatore, a volte il suo dovere lo tratteneva per molto, molto tempo, e non…..
Uno scatto e la porta si aprì: Magnus si congelò sul posto, mentre il Presidente correva in quella direzione. Alec apparve sulla soglia, tra le braccia due fagotti: aveva i capelli incrostati di sangue e polvere, così come la pelle, e nei suoi occhi c’era un velo di paura. Osservò lo Stregone, forse sorpreso di trovarlo lì, ad attenderlo: fece qualche passo avanti, incerto sì, ma non tanto da farlo cadere.

-Aiutami, non ce la faccio.- sussurrò.

Magnus accorse, due falcate e fu da lui: prese uno dei due sacchi che il giovane teneva tra le braccia, stringendolo, mentre la stoffa cadeva a terra, rivelando il contenuto.
Un cuore batteva deciso sotto le sue mani, la pelle calda entrò in contatto con la sua: due braccia velate di squame verdi si contorsero, sporche di nero e rosso. Due piccoli occhi scuri lo scrutarono, pieni di lacrime: la bocca sigillata, a trattenere singulti muti e pieni di dolore.
Diamine.
Stava tenendo tra le braccia un bambino.

[.....]
 
-Quindi li hai salvati da….quell’attacco. E adesso cosa vorresti fare?-

-Non lo so….ho promesso alla madre che me ne sarei preso cura, ma…..era delirante, non capiva, non sapeva chi ero…..potrebbe avermi scambiato per qualcun altro.-

Alec trasse un profondo respiro, ma lo rilasciò dopo un attimo: guardava dinanzi a se, la spalla appoggiata a quella di Magnus. Aveva un cerotto sulla fronte, i capelli bagnati dopo la doccia che si era fatto: lo Stregone non aveva cambiato espressione da quanto l’aveva visto varcare la soglia, sporco e sconvolto, con due bambini tra le braccia. Ora guardava il Cacciatore, il tono mite ed equilibrato, quasi stesse parlando con un animaletto selvatico.
L’alba illuminò di grigio l’intera dimora, velando di toni cupi anche gli elementi dai colori più accesi: il respiro ritmico di due bambini riempiva il silenzio che si frapponeva tra i due ragazzi, costringendoli a parlare sottovoce, per non svegliarli.

Alec, non appena aveva messo a letto i piccoli, aiutato da Magnus – con un pizzico di magia, si sa- aveva spiegato la faccenda con lucidità, lasciando che però la sua voce s’incrinasse in più punti: un gruppo di demoni aveva attaccato una zona appartata, dove bordelli e sale da gioco si alternavano lungo il viale. Nonostante si fossero organizzati per sterminarli senza fare vittime, uno di loro gli era sfuggito e aveva sfogato la sua rabbia contro una donna: quest’ultima, morente e trovata proprio da Alec, l’aveva pregato di prendersi cura dei figli. Figli che, presto, aveva scoperto altro non essere che figli di un demone.
I tratti che portavano lasciavano ben poco all’immaginazione.
E così se li era portati dietro, due fagotti gemelli di due anni, sconvolti e piangenti, nonostante le proteste dei suoi compagni e dei genitori: sapeva solo che aveva fatto una promessa o, meglio, era stato costretto a farlo. Solo per lei, quella donna dai capelli neri e gli occhi grigi: quella donna che lo vedeva e lo supplicava.

-Non so neppure il suo nome…- mormorò. – Come quello dei due bambini.-

Sospirò e guardò Magnus: Alec era posato in avanti, mani nei capelli arruffati, i denti stretti, la mandibola rigida. Lo Stregone posò una mano sulla sua spalla, accarezzandogli, con le nocche, la spina dorsale.

-Perché….- si schiarì la voce. –Perché non li teniamo con noi?-

Il Cacciatore alzò lo sguardo sull’uomo: non aveva gli occhi sgranati per la sorpresa, o la classica espressione che prometteva una crisi isterica. Lo sguardo di Alec era fermo, deciso, le labbra presto si mossero in un’inca domanda.

-Ne sei…..sicuro?-

Avevano parlato di adottare, di allargare la famiglia, ma non così: pensavano di parlarne ancora, di discutere insieme, di decidere quando e come. Ma tutto era accaduto così velocemente che neanche se ne erano accorti: ora la possibilità era davanti ai loro occhi, avevano una scelta.

Quale strada avrebbero preso?

-Sì.- rispose, e non c’era tentennamento nella sua voce.

Era diretta, proprio come il suo sguardo: intrecciò le dita con quelle di Alec, lasciando che i suoi occhi scivolassero sugli anelli che si erano scambiati, sui palmi uniti.
Guardò il Cacciatore con tanta sicurezza e amore, che questo non si trattenne dal baciarlo: ma Magnus prese a parlare proprio quando fece per avvicinarsi.

-Diamine, sì. Ne abbiamo parlato a lungo, era ora c’è questa possibilità: chiederemo l’affidamento, ci occuperemo di loro. Sono tanti i figli di demoni che non hanno una guida, allo sbando.- gli occhi si velarono di tristezza. –Possiamo dare loro una casa, Alexander. E lo faremo insieme.-

Parole che volevano dire: “non sei solo, ci sono io con te.”
E Alec non si trattenne più: lo baciò sulle labbra, sul naso, strinse la presa sulle sue mani e lo accarezzò, cercando sotto al palmo la pelle soda dello Stregone. Magnus schioccò le dita, isolando i loro suoni dal mondo che li circondava, cosicché i bambini che riposavano non potessero sentirli.

Vento.
Portava novità, trasportava i sentimenti e i ricordi: l’aria era capricciosa e volubile, ma anche dolce e premurosa, quando lo desiderava, quando sentiva di doverlo essere.
Scivolava nell’anima e nel cuore, risucchiava e trascinava via granelli di dubbi e di vite piene di dolore: gonfiava i sentimenti come la felicità e l’amore, faceva vivere chi abitava le lande polverose o verdi della Terra.
Sembrava sospingere le convinzioni, renderle vere: quasi suggeriva, con un bisbiglio, che strada intraprendere e qual era, secondo lei, quella giusta. Il vento gridava gioia e dolore: il vento era un mezzo per comunicare sete o fame, bello o brutto, nuovo o vecchio, indifferenza e amore.
E, in quel momento, scivolavano nell’aria echi di piacere: sospiri umidi, promesse certe di un futuro fatto di salite e insicurezze, ma di affetto e aiuto reciproco. Il vento era, ora, ciò che avvolgeva i due amanti che, dinanzi a lui, avevano promesso e deciso: non da soli, ma insieme.
Ecco cosa diceva, il vento.

 
-E così siamo genitori, eh?-

Magnus strinse Alec a se, le dita che scivolava tra i capelli lunghi, giocando con le ciocche: i suoi occhi guardarono il Presidente, acciambellato nel letto spostato, con uno schiocco, nell’area libera del soggiorno.
Vegliava sui due bambini, come uno zio premuroso.

-Già.- rispose. –Sì, ehm, ora ho un dubbio.-

Magnus tornò a fissare Alec, lasciando il gatto e i due piccoli addormentati, privi del suo sguardo.

-Sarebbe?-

-Chi fa la mamma? –

Ci fu un attimo di silenzio, e Magnus inarcò un sopracciglio, senza smettere di osservarlo: baciò Alec, le guance arrossate come uno schizzo di rosso sulla tela bianca.

-Ovviamente tu.- rispose, sicuro.

-Faticavo ad immaginare una risposta diversa.-

E si mise a ridere, seguito da Magnus.
Un bacio delicato pose fine loro discorso.



Lo Stregatto Parla.

Mi volete bene? Spero di sì.....sto crollando, ma tengo duro solo perchè voglio postare questo capitolo, solo per voi. Sono ispirata, che volete farci: che cosa sono, in confronto, ore di sonno perse o simili? Domani inizio un nuovo lavoro e non ho studiato niente e la colpa è vostraaaaaaa!!
Scherzi a parte, spero che "Vento" vi piaccia: il prossimo capitolo è facilmente intuibile e sarà anche l'ultimo, sigh....
Comunque, oggi ho pensato a tutto quello che volevo scrivere, ma ora non mi viene in mente: un grazie speciale a Stella13, che mi segue sempre e, nella mia prima FF, è stata la prima a sostenermi e a incoraggiarmi. Ti dico grazie solo ora, scusami.
E grazie a _black_rose_ che mi ha dedicato il capitolo della sua FF.
Voi non mi vedete, ma vi sto abbracciando forte forte: non avete idea di quanto sia importante, per me, il vostro sostegno e le vostre parole.
Chi non ho citato, non pensi di essere meno importante: siete tutte/i importanti, allo stesso modo.
Grazie di cuore.
Ora vado, mi serve un caffè per svegliarmi....e una tisana per andare a dormire.

Ps. CoHF è ancora sul comodino vicino al letto, lo leggo piano piano, anche se ho già estrapolato tutte le scene Malec (non si dovrebbe fare, ma chissene!).
Ps.2. Mi auguro di vedervi al prossimo capitolo, "Terra", sperando di non cadere nello scontato >.<

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Capitolo 4
*** Terra ***


«Dalla terra tutto deriva e nella terra tutto finisce.»
Senofane


 
Echi ritmici e precisi scindevano il tempo e percorrevano il corridoio, rimbalzando sul marmo, lungo le piastrelle e le porte che si alternavano tra le pareti immacolate.
La figura alta e magra di Magnus continuava a percorrere, avanti e indietro, un piccolo tratto di corridoio: gli stivali che indossava calcavano la mano sul battere ritmico dei suoi passi, le gambe lunghe si alternavano, cambiando cadenza solo quando lo Stregone raggiungeva in punto stabilito e faceva dietro front.
Dietro di lui, a riprodurre i medesimi movimenti, una figura decisamente più piccola, alta, forse, solo un quarto dell’uomo: prima dietro di lui, ora davanti, faceva il triplo dei passi per non finire tra i piedi dello Stregone. Ci provava davvero ad allungare le gambe come faceva suo padre, ma era impossibile che uno scricciolo tale ci riuscisse.

-Papà, non essere nervoso, andrà tutto bene….-

-Anch’io sono nervoso Max, proprio non riesco a calmarmi!-

-Se continuate così vi verrà il mal di testa.- sbuffò. –Sedetevi qui….altrimenti mi agito anch’io.-

Magnus allora si bloccò, gli occhi felini fissi sulla piccola figura che aveva parlato: a differenza del fratello, Maxwell era molto più calmo o, almeno, così voleva apparire. Diciamo, semplicemente, che tendeva a mantenere una certa freddezza per un tot di tempo, perdendola inevitabilmente quando, attorno a lui, aumentava di poco l’agitazione.
Ragnor osservò il fratello, poi Magnus, e alla fine si sedette sulla panchina accanto a lui: nonostante la costituzione praticamente uguale, e la forma di occhi e viso pressoché identiche, i due bambini condividevano ben poco riguardo ai Marchi e al colore di capelli e iridi.

-Hai ragione Maxwell.- scompigliò i capelli del bambino. –Somigli troppo a tuo padre, quando fai il saggio.-

-T-tu dici?-

Max alzò lo sguardo, gli occhi perlacei s’illuminarono di violetto, le guance rosse come il fuoco. Facevano uno strano contrasto con i capelli scuri, disordinati e scomposti attorno al viso fine e delicato: due lunghe orecchie appuntite sbucavano dalle ciocche castane, rivelando così i suoi due Marchi.
Prese a stropicciare la maglietta, a disagio, farfugliando qualcosa d’incomprensibile: al suo fianco, Ragnor, continuava a guardare a destra e a sinistra del corridoio, i piedi a penzoloni, viso che, seduto sulla panchina, si staccava di parecchio dal pavimento.
I capelli chiarissimi, bianchi come la neve, erano sparati in ogni direzione, come se una folata di vento l’avesse colto di sorpresa: i grandi occhi scuri e curiosi percorrevano ogni centimetro, come alla ricerca di qualcosa che nessuno, oltre a lui, poteva vedere. Quando si raddrizzò, di colpo, le squame verdi che ricoprivano il suo corpicino scintillarono lievemente: saltò giù dalla panchina, correndo verso il corridoio più grande, dove un grande via vai di persone aveva appena riempito il silenzio lasciato dal viavai di Magnus e Ragnor.

L’eco dei passi del bambino fece voltare alcune persone mentre, dietro di lui, lo Stregone lo inseguiva a rapide falcate, tenendo per mano Maxwell, che faticava a stargli dietro: nonostante avessero entrambi sette anni, avevano una corporatura minuta e, ad occhio, nessuno avrebbe ne avrebbe affibbiato loro più di cinque.
Ad un tratto, Ragnor svoltò rapido a sinistra, tra finendo nella massa di Cacciatori e Nascosti – di certo venuti lì per qualche assemblea straordinaria -: Magnus allora accelerò il passo, facendo spiccare un salto a Max, stringendolo tra le braccia mentre sbucava nel lungo corridoio affollato.
Ragnor era talmente piccolo che avrebbe rischiato di perderlo anche in casa: si era raccomandato con loro più volte di non allontanarsi troppo da lui e Alec, visto l’alto rischio che avevano di perderli di vista.

-Magnus!- una voce lo chiamò, facendolo voltare in direzione della parete opposta alla loro.

La figura di Alec, nonostante la folla, parve a Magnus più chiara e definita di qualsiasi altra macchia scura che percorreva il corridoio: il Cacciatore alzò una mano per farsi vedere e, mentre i due Stregoni attraversavano la calca, l'uomo si accorse che Ragnor stava in braccio al ragazzo dagli occhi azzurri, che lo stava giusto rimproverando.

-Non devi allontanarti così da Magnus, potevi perderti, e lo sai.- chiarì Alec, il tono preoccupato e serio allo stesso tempo. –Questo periodo è pieno di tensioni tra Nascosti e Cacciatori, quindi non scappare mai più così senza dirlo a me o a tuo padre, sono stato chiaro?-

-Sì papà, mi dispiace.-

Il bambino rispose in maniera sincera, accusando il colpo, stringendo a se Alec e chiedendogli scusa: Ragnor era intraprendente, probabilmente un giorno sarebbe diventata una splendida qualità, ma visto il periodo di assestamento che vedeva i rapporti tra Cacciatori e Nascosti tesi al limite, non era il massimo che un piccolo Stregone girovagasse da solo in una delle Sedi Principali dei Nephilim.
Pian piano, la folla si ridusse, lasciando che solo una o due persone percorressero la via piastrellata di marmi bianchi e Stregaluce accese: Magnus si sporse verso Alec e gli diede un bacio, posando Max vicino a Ragnor, nuovamente depositato su una panchina.

-Tesoro, e Martha dov’è?-

-Sta arrivando, si è fermata a chiedere una cosa a Mark*….-

Ma la frase restò in sospeso: un urlo e un tonfo fecero voltare tutti e quattro verso destra, le mura trasportarono i suoni, ingigantendoli, rendendoli più forti e profondi, lasciando che espressioni preoccupate si dipingessero sui visi di Magnus, Alec, i due gemelli e di chi, in quel momento, vagava nei dintorni alla ricerca di una determinata sala.
Una delle tante porte che si alternavano nel grande corridoio si spalancò di botto, lasciando che un ragazzino vi rotolasse fuori, come se fosse stato sputato dalla stessa soglia: rotolò sino al muro, battendovi contro, tenendosi lo stomaco con una mano. A seguirlo, poco dopo, la figura di una bambina: i ricci color cioccolato fondente sfuggivano dalla treccia che si era fatta, ricadendo sulle spalle. Aveva i pugni stretti tanto da far intravedere le nocche, pronte a bucare la pelle bianchissima.

-Non provare mai più a offendere i miei fratelli.- bisbigliò, avvicinandosi al bambino. –Tantomeno i miei genitori, o giuro sull’Angelo che passerò il prossimo addestramento ad usarti come bersaglio per la mia Mugen*. Sono stata chiara?-
 

[…….]


-Oh, insomma, te l’ho già detto mille volte: non devi attaccar briga con gli altri, oppure non riuscirai ad amalgamarti con i Cacciatori della tua età.-

-Sarà anche come dici tu, papà, ma non m’interessa: se qualcuno offende i miei fratelli o voi, non ho alcuna intenzione di stare zitta.- rispose la ragazza, imbronciata.

Si trovavano poco lontani dal Lago Lyn, ai margini della foresta: l’erba verdissima di Idris era quasi accecante, il cielo azzurro e con qualche sporadica nuvola, sembrava il massimo dell’imperfezione in quel luogo praticamente idilliaco. La brezza fresca si alternava, da lieve a forte, smuovendo le fronde, facendo sì che sui corpi di Magnus e Alec andassero a formarsi strane figure fatte di luci e ombre: Ragnor e Max si rincorrevano al sole, mentre Martha si era rannicchiata verso l’ombra, poco distante dal Cacciatore, come se il sole la ferisse. Quest’ultimo aveva appena finito di applicarle un cerotto sulla fronte, oltre che sulle dita: niente Runa della Guarigione o magie da Stregoni.

“E’ un castigo per aver preso a pugni un tuo compagno.” Le avevano spiegato i due.

Lo Stregone ascoltava con l’orecchi teso, osservando i gemelli che facevano schioccare, dalle loro dita, scintille di magia colorata: i talloni puntati nell’erba, le mani giunte dinanzi alle labbra e le gambe lievemente piegate, sembravano sottolineare anche in quel momento la sua statura imponente.

-Quest’atteggiamento mi ricorda qualcuno….- disse Magnus, senza essere interpellato.

Alec si voltò verso di lui, il volto teso e tremendamente seccato dalla discussione avuta poco prima con il genitore del piccolo che era stato attaccato: nonostante tutto, il padre del bambino aveva deciso che non valeva la pena mettersi a discutere con due essere disgustosi, tutori di bambini altrettanto indisciplinati.

-Chissà chi, eh?- ribatté Alec, osservandolo. –In ogni caso, Martha, è stato un gesto sciocco: le parole feriscono, è vero, ma non devi stare ad ascoltare tutto quello che dicono, o finirai spesso nei guai.-

Si sporse verso di lei, arruffandole i capelli ora sciolti dall’acconciatura: la bambina, ancora con la testa seppellita tra le gambe, non notò il viso di Alec rilassarsi, tantomeno gli occhi blu addolciti che la contemplavano.

-So che hai solo delle buone intenzioni, ma non è questo il modo di dimostrare di essere superiore agli altri.- le sorrise. –Tuttavia….non dovrei dirtelo, ma….-

La ragazzina alzò gli occhi: in apparenza, di un verde scurissimo, misto a marrone, alla luce del sole diventavano di uno splendido grigio-verde.

-Io e tuo padre siamo tremendamente orgogliosi di te.-

Martha sorrise, lo sguardo s’illuminò: le guance si tinsero di un lieve rossore, proprio mentre i due fratelli di avvicinavano al resto della famiglia.

-Sorellona, com’è andata la Cerimonio della Prima Runa?-

La ragazzina alzò il polso destro verso i due gemelli, mostrando la Runa dell’Equilibrio: nonostante fosse figlia di una Cacciatrice e di un Licantropo, era particolarmente goffa, anche vista la sua mole non propriamente fine, come le altre ragazze. Era più basse e lievemente più “spessa”, con braccia sottili e muscolose, ma gambe e torace ben poco minuti.

-Ha fatto un po’ male, ma è andato tutto bene….- confessò, venendo però interrotta bruscamente.

-Sorellona?- un sussurro, la voce di Max.

-Si?-

-E’ per colpa nostra…..se ti sei azzuffata con quel Cacciatore?-

Il silenzio si fece intenso, piombando come un macigno: il vento frusciò, scuotendo le foglie, accarezzando l’erba, che come onde si muoveva seguendo il respiro cadenzale dell’aria.
Martha fece segno ai due fratelli di avvicinarsi, Magnus e Alec li guardarono, incuriositi: da quando era arrivata, circa tre anni fa, quella bambina era cambiata tanto. I suoi genitori avevano scelto una vita Mondana ma, in seguito all’attacco di un demone Superiore, la bambina si era ritrovata a contemplare i loro corpi martoriati, assieme a quello della sorellina, all’età di otto anni: era stata ritrovata dai Fratelli Silenti, e trasferita in un Istituto che teneva con se altri orfani.
Nonostante la Licantropia si trasmettesse tramite morso, nessuno le si era avvicinato, lasciandola da sola e schernendola per la sua goffaggine: proprio com’era capitato anni prima ad Helen Blackthorn, il Conclave aveva dubitato della sua fede nei Cacciatori, e ne dubitava ancora.
Magnus l’aveva incontrata per caso, dopo essere stato chiamato per aiutare nella guarigione alcuni Nephilim colpiti da un demone, proprio nell’Istituto dove abitava quella ragazzina schiva: aveva deciso di adottarla, pur sapendo che non sarebbe stato facile riadattarla all’amore di una famiglia, considerando la freddezza con cui era stata trattata.

Tuttavia, l’affinità che subito ebbe con Alec – anche lei amava le armi a lungo raggio -, la gentilezza di Magnus e gli atteggiamenti affettuosi dei due piccoli Stregoni, le avevano fatto aprire il suo cuore ferito, rendendola ciò che ora avevano davanti: una bambina sì goffa, e forse un po’ imbranata, ma decisa e forte, pronta a battersi per coloro che amava.

-Nahhh.- rispose, tirando le guance dei due piccoli. –E’ lui lo stupido e non capisce che, anche se siamo diversi, siamo uniti e ci vogliamo bene.-

-E questo ci rende una famiglia, giusto?- chiese Ragnor, con un sorriso.

-Esatto.- rispose lei. –Una famiglia un po’ strana, composta da una coppia di papà, due fratellini Stregoni tremendamente scapestrati e una mezza Cacciatrice troppo protettiva.-

- Anche se non scorre lo stesso sangue tra di noi….?- domandò Max.

- Lo siamo, a tutti gli effetti.- disse Magnus, stringendo Alec per le spalle. –Io ho trovato il mio posto con vostro padre, anche se siamo entrambi uomini, lo amo davvero. Mi ha salvato la vita, e mi rende ogni giorno più felice.-

Alec arrossì, sorridendo a quelle parole, stringendo le mani di Magnus che ancora premute sul petto, le lunghe braccia a cingerlo come per proteggerlo: sentiva la sua schiena battere contro il petto caldo dello Stregone, e non poté fare a meno di far affluire ancora un pò di sangue alle guance già rosee.

-Non è necessario avere legami di sangue, per esserne parte. Io e Magnus vi amiamo, anche se siete nostri figli adottivi.- spiegò il Cacciatore, osservando i gemelli, attenti alle sue parole. –Basta solo….ecco….sentirsi accettati e felici, come avvolti da una coperta calda: i litigi ci saranno sempre, i momenti brutti anche, ma è anche questo che forma una famiglia, è anche questo che la rende unita. Capito?-

I bambini guardarono i papà, ancora abbracciati, poi la sorella, e sorrisero: scintille colorate scoppiettarono tra le dita, le guance di entrambi si colorarono come se un pastello fosse passato sulla pelle di tutti e due.
Il piccolo dai capelli castani posò una mano a terra, continuando a spizzare scintille: l’altro lo seguì a ruota, non capendo subito cosa voleva combinare il gemello.

-E’ un po’ come la terra, vero, papà?- chiese Max, osservando Ragnor, Martha e poi la coppia di genitori. –Una famiglia, dico…-

Alec soppesò le parole, Magnus rivolse loro uno sguardo pieno di orgoglio.

I nostri piccoli, dolci, Stregoni intelligenti. Pensò.

-Sì, credo proprio di sì.- posò anche lui una mano per terra. –Solida, calda, pronta a sostenerti. E’ un bel paragone, Max.-

Il piccolo sorrise ancora di più, poi la sorella prese entrambi per mano e corse con loro tra l’erba verdissima, mettendosi a giocare e ridendo con entrambi, rilassata e tranquilla.
Maxwell e Ragnor. La coppia li aveva chiamati così, in ricordo dei loro amici scomparsi: il nome di un Cacciatore dato ad uno Stregone, di certo al suo fratellino avrebbe fatto piacere. La madre dei due bambini aveva molti documenti in borsa, segno che forse era alla continua ricerca di un rifugio, e probabilmente scappava da qualcosa: per questo i due avevano deciso di dar loro un nome che avrebbero potuto tenere per sempre. E i piccoli ne erano stati entusiasti.

Non era stato facile avere a che fare con tutti e tre: spesso litigavano, avevano delle incomprensioni, ma nessuno dei due si era arreso. Nessuno dei due aveva ceduto ai bronci e ai capricci, dimostrandosi irremovibili quando serviva, ma anche comprensivi e generosi quando piangevano o avevano bisogno di chiarimenti: l’essere due Stregoni non li aveva turbati più di tanto e, anche se a volte le regole stavano troppo strette, le rispettavano, cercando di non mettere nei guai la coppia.
Con Martha era stata più dura, entrare nel cuore di quella ragazzina era stata una procedura lenta, molto lenta: ma, alla fine, lei aveva accettato quella nuova vita, permettendo loro di amarla, concedendosi di amarli a sua volta. Nel suo periodo “buio” non aveva dato di matto, mettendosi nei guai di proposito: si rinchiudeva in camera, leggendo svariati libri, sia di origine Mondana che di lingue sconosciute, appartenenti a Magnus.

Poi, ecco, Alec l’aveva colta proprio mentre si allenava con la balestra, lo Stregone aveva scoperto che amava le illustrazioni sulle magliette e spesso l’accompagnava a comprare qualche libro: quando Ragnor e Max presero a disperarsi perché non erano riusciti ad eseguire al meglio un incantesimo, lei li aveva consolati.
Lentamente, ogni ingranaggio era andato al suo posto.

-Magnus?-

-Uhm?-

-Amo questa famiglia, non potrei mai immaginarla migliore di così.- si spinse ancora di più contro di lui, sfregando contro la sua schiena, come un gatto in cerca di coccole.

-Anch’io, Alexander.- sussurrò. –Non sai quanto io sia felice, accanto a voi.-

Gli fece voltare la testa, baciandolo dolcemente sulle labbra.

-Assieme a te.- disse poi, come un segreto pronunciato tutto d'un fiato.

-Papà….- una voce l'interruppe, facendo voltare entrambi. - Io, Max e Ragnor pensavamo di andare da Zia Isabelle e Zio Jace…..-

-Oh, va bene….devo aprirvi un portale?-

-No, ci pensano loro, grazie.- si passò una mano tra i capelli, voltandosi per raggiungere i fratelli.

-Martha, aspetta!-

La ragazza si voltò, osservandoli, ripercorrendo i suoi passi al contrario.
Magnus schioccò le dita e nel palmo destro della giovane apparve un anello: come quello di Alec, era in argento, ma con una lieve differenza. Fiamme e scintille s’intrecciavano, nere, sulla superficie chiara, lasciando solo un breve spazio a due lettere: “LB”.

“Lightbane".
“Luce distruttrice*.”

Un anello nato dall’unione dei cognome dei due, un anello nato dalla voglia di quella bambina di dar vita ad una nuova discendenza, per lei e i suoi fratelli: un desiderio di ricominciare, di staccare totalmente dalla famiglia originale, dal cognome di sua madre, nonostante ancora portasse al collo l’anello dei Nightshade.
L’aveva chiesto, come premio, nel caso in cui la Cerimonia della Prima Runa fosse andata per il meglio: ovviamente né Magnus né Alec avevano dubbi, sul fatto che l’avrebbe superata senza problemi.

-E’ bellissimo.- sussurrò, alzando lo sguardo verso i padri. –Godetevi il resto della giornata, vi mando un messaggio di fuoco non appena arriviamo.-

E si voltò, raggiungendo i fratelli con rapide falcate: nonostante avesse le gambe corte, era stranamente veloce. Con il nuovo anello infilato nel dito, nonostante le stesse lievemente grande, prese per mano entrambi i fratellini che, non appena sentirono la presenza della sorella accanto, alzarono le braccia - l'unico libero dalla presa della ragazza - e aprirono le mani.
Un portale, non molto grande, si spalancò dinanzi a loro: Magnus e Alec li osservarono, senza intervenire, guardandoli varcare la soglia, tutti assieme.
Sentirono Martha mormorare qualcosa tipo: “Siete sicuri? La volta scorsa siamo piombati nel bel mezzo del Gran Canyon, non voglio rivivere la stessa esperienza.”

Poi sparirono, inghiottiti dallo specchio.

-Che figli meravigliosi….-

Alec si voltò verso lo Stregone, i grandi occhi blu persi in quelli dell’uomo alle sue spalle.

-Come avranno capito che….-

-Oh, sensazioni, almeno credo.-

-E hanno visto giusto?- si voltò, sorridendo.

Mise le mani sulle spalle di Magnus, lasciandole scivolare tra le ciocche nere, le labbra sulle sue, prese a mordicchiargli quello inferiore, facendolo sospirare: con le nocche scure, lo Stregone accarezzò la schiena del ragazzo, scivolando sino al suo sedere.

-Credo….- si staccò un attimo, per parlare. –Credo proprio di sì, dolcezza.- e ricominciò subito da dove aveva interrotto il bacio.

Terra.
Anima e cuore di ogni luogo e tempo, sovrastava e controllava ogni elemento: fermava l’aria, bloccava l’acqua, rinasceva dal fuoco e non si faceva piegare da niente. Base solida per un rapporto, una casa, un inizio: principio e fine, questa era la terra, questo era ciò che rappresentava.
Crescita, nascita, germogliare e ricominciare: la terra nutriva e supportava, era punto di riferimento e solido a cui aggrapparsi per non cadere. In lei sbocciava e moriva ogni seme: la terra tremava quand’era rabbiosa, quando l’acqua la impregnava diventava molle e arida quando vento e fuoco si scagliavano su di lei. Ma non si arrendeva, non lo faceva mai: affrontava le avversità come se i sentimenti che passavano dalle persone a lei, fossero assorbite tra i semi e il terriccio umido. La terra era questo: dolce e gentile, inflessibile e compatta.
Come una famiglia.
 

Magnus aveva l’orecchio posato sul cuore di Alec, e ne ascoltava il battito lento, gentile ma forte, proprio come lui: l’altro gli accarezzava le costole, scivolando sulla stoffa che ricopriva il torace.

-Alexander?-

-Uhm?-

Erano distesi sull’erba, sotto le fronde, il volto rivolti al cielo azzurro, al sole luminoso: come diamanti intrappolati tra le foglie, i raggi brillavano e scivolavano tra le ombre, e il verde scuro delle chiome. Sul volto e sugli occhi dello Stregone, quel movimento continuo faceva risaltare l’oro negli occhi, lo sguardo perso a fissare chissà cosa.

-Avresti mai pensato che sarebbe successo, tutto questo?-

Sentì Alec irrigidirsi, ma non in maniera brusca: un sospiro profondo gli scompigliò i capelli, facendo sì che il volto dello Stregone ruotasse verso il ragazzo, seguito subito dopo dal resto del corpo; le mani intrecciate sotto al mento, senza lasciare il punto in cui, poco prima, aveva posato la testa.
Il Cacciatore osservò lo Stregone che, come un gatto, si era posato sul suo petto: gli accarezzò le spalle, facendo poi scorrere le dita dietro all’orecchio.

-Nemmeno nei miei sogni più sfrenati.- sussurrò. –L’averti accanto e vivere giorno per giorno così, io e te: avere dei figli, sposarci…..ma soprattutto….-

Magnus allungò il collo, incontrando le iridi blu: inarcò un sopracciglio, dubbioso e tremendamente curioso allo stesso momento.

-Soprattutto cosa?- non ce la faceva più, voleva saperlo.

-L’essere amato da un potente Stregone dagli occhi da gatto.- rispose, sincero, le guance lievemente arrossate per la confessione. –Questa è stata la più bella delle sorprese.-

Magnus rimase a fissarlo, le iridi lucide di lacrime: gli ripeteva sempre, quanto lo amava quando faceva il romantico, quando, in maniera così schietta e naturale, gli rivelava i suoi sentimenti.

-Nemmeno io avrei pensato con un ragazzo del genere potesse tollerare tutti i miei difetti e darmi quello che mi doni tu, ogni giorno.- si sporse e lo baciò, a lungo, la sua lingua esplorava il palato e lo fece gemere, seguendo il suo ritmo.

Si staccò poi, gli occhi socchiusi, le labbra a un millimetro esatto da quelle del Cacciatore.

-Così come non mi aspettavo di mettere su una famiglia tanto splendida.- sorrise. –Figli coraggiosi come i nostri, intraprendenti, saggi e schietti: sono tremendamente felice di condividere tutto con te, Alexander. Non avrei mai immaginato persona migliore con la quale fare questi passi.-

-Nemmeno io.-

E lo attirò a se, baciandogli la fronte, la bocca, stringendolo come se non dovesse mai più lasciarlo andare: gli fece passare le dita tra i capelli glitterati e morbidi, solleticandolo dietro le orecchie, come se davvero lo Stregone fosse un gatto.
Ad un tratto, un lieve fruscio li fece voltare: contemplarono il pezzo di carta, divorato da lingue di fuoco, che scivolò, smosso dal vento, tra le dita di Alec. Magnus aveva riportato la testa nell’incavo del collo del ragazzo, osservando il biglietto dispiegato dalle dita pallide del Cacciatore.

“Siamo arrivati tutti interi. Papà, dovrai creare due anelli in più, i gemelli hanno visto il mio e lo vogliono anche loro. Ci vediamo stasera, un bacio. MMR”

I due sorrisero, guardandosi negli occhi.

-Allora abbiamo ancora un po’ di tempo….- sussurrò Magnus, rifondandosi sulle labbra di Alec.


 


*Mugen: in Giapponese significa “sei illusioni” o “infinito”. In questo caso, Martha, si riferisce alla sua balestra, arma primaria che usa in battaglia.
*Rif. a Mark Blackthorn
*Visto che "Light" (derivante dal cognome di Alec, "Lightwood") significa "Luce" e "Bane" (di Magnus), in slavo, significa "Distruzione" mi piaceva l'idea che il cognome avesse questo significato, unione di parti diverse dei due ragazzi. Vi piace?

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Lo Stregatto Parla.
Ero in prima elementare, e già immaginavo cose che ad altri sfuggivano: ero in prima elementare e le maestre già mi additarono come “strana” oppure “carente e poco sveglia”. Io non ero speciale come le mie compagne, non ero brava come loro: ma amavo scrivere, fantasticare, giocare con la fantasia. Solo che, quando sei una bambina, i commenti feriscono e, crescendo, capisci di non essere nulla di che: se da piccola ti dicono in faccia che sei mediocre, continuerai a sentire quel commento dopo anni e anni, anche se farà meno male di prima.
Ora, premetto, io non voglio fare la vittima: non serve dire “mi dispiace”, perché i commenti ricevuti da bambina mi hanno resa insicura.
Ciò che voi scrivete, che mi fate sentire quando commentate le mie storie, mi fa sentire bene: traggo un sospiro di sollievo ogni volta, sorrido e rido, a volte piango, dicendomi “wow, lo stanno dicendo a me”. Quando li rileggo, mi sento sollevata, perché mi piace pensare che ciò che scrivo aiuta un po’ anche voi a vedere ciò che vedo io, a seguirmi nelle mie pazze avventure, a sentire ciò che io vorrei trasmettervi.
Quindi, ora capite, quanto le vostre parole siano importanti per me. Così tanto, da alleviare le mie paure e insicurezze, permettendomi di dirmi, per una frazione di secondo: “brava, sei stata brava.”
Come regalo alle ragazze che mi seguono e mi sostengono, a voi che leggete, silenti, e non dite nulla, mi piacerebbe dedicarvi un capitolo extra: un grazie speciale a _Alien_ , _black_rose_ e Stella13, che hanno recensito ogni capitolo, dedicandomi qualcosa nelle loro fanfiction che leggo sempre più che volentieri.
Grazie di cuore.

Ps. Spero che il disegno vi piaccia, per la precisione sono (in ordine da sinistra a destra): Maxwell, Martha e Ragnor. L'ho fatto in venti minuti, non è il massimo, ma è per farvi vedere come me li immagino io.

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Capitolo 5
*** Il Mio Elemento Sei Tu ***


« Itsuka dare mo ga shinjyatte
wasurerareteku nara
ima tashika na mono dake wo shinjiru wa.»
All Alone with You – Egoist

-Hai preso tutto?-

-Sì, papà.-

-Il borsone che era in camera? La felpa?- aggiunge. –Sicura di non esserti scordata nulla?-

-Papà….- Martha sorrise, sbuffando. -Sto andando a badare al piccolo Alexander, non a caccia di demoni.-

-Fidati, i bambini possono essere peggiori dei demoni.-

Magnus sorrise, ma aveva un velo di tristezza il riso che increspò le labbra scure dello Stregone.
La ragazza si avvicinò a lui, posando il grosso borsone a terra, fermandosi ad appena pochi centimetri dall’uomo: nonostante si fosse alzata, nel corso degli anni, a malapena sfiorava un metro e sessanta, il che la raffigurava come una nana vicino ai fratelli e ai genitori.

-Papà.-

Magnus alzò lo sguardo verso di lei, pensieroso: gli occhi della figlia lo contemplavano, la mano di lei si bloccò a mezz’aria, poi abbassandosi, come se le facesse male sfiorarlo. L’uomo aveva i capelli neri in disordine, un paio di jeans scuri e una maglietta slavata, appartenente ad Alec: gli occhi stanchi e cerchiati di nero, i glitter dorati sparpagliati a casaccio un po’ ovunque, sul viso, segno che doveva essersi dimenticato di toglierli, qualche giorno prima.

-Mi devo….- chiese, senza mezzi termini. -Mi devo preoccupare?*-

-Oh tesoro, no.- disse lui, il tono che mirava a tranquillizzarla. -Lo sai che sono cose che capitano, anche meglio di me. Essere Cacciatori significa anche questo.-

“Il bianco per il lutto e per la morte…”

Conosceva la filastrocca, sapeva che ogni Nephilim, da bambino, veniva addestrato a sopportare le perdite: eppure, alcuni non potevano concepire di lasciarsi alle spalle amici e parenti. Martha ancora meno, non dopo aver perso i genitori e la sorella: non avrebbe sopportato anche la perdita dei padri adottivi.

-Sì ma…-

-Lupo.- la chiamava così, un soprannome datole da Magnus tempo addietro. -Tuo padre si riprenderà, non devi stare in ansia: baderò io a lui, come tu farai con i tuoi cugini, va bene? Ora vai, o Zia Isabelle chiamerà per sapere che fine hai fatto.-

La ragazza annuì, poco convinta, ma sapeva che il padre aveva ragione: era inutile stare ferma lì, con le mani in mano, osservando il tempo scorrere senza fare altro che fissare l’orologio. Ora come ora, non c’era altro che potesse fare, se non badare ad Alexander e al resto dei suoi cugini.

-Sì, va bene.-

Magnus schioccò le dita, aprendo un Portale, che come uno specchio dava ad una casa a due piani, con le finestre illuminate nel buio della notte, a Idris: Martha prese il borsone, mettendo la balestra a tracolla. Sua abitudine portarsi le armi dietro, anche quando andava a fare la baby-sitter ai cugini più piccoli: preferiva sempre prevenire, che curare, e Idris, per quanto fosse protetta, non era del tutto sicura dagli attacchi. Sistemò la maglia che indossava, la cui scritta nera risaltava sull’azzurro.

“Figlia del Sommo Stregone di Brooklyn e del più abile con l’arco tra i Cacciatori. Non provocatemi.”*

Così recitava il tratto scuro, e quel capo era tra i preferiti della giovane donna, che oramai contava ventuno anni: Magnus si soffermò a guardarla, giusto un attimo. I capelli ricci arruffati, le forme del corpo muscolose ma fini: sotto jeans e maglietta, la sua figura graziosa veniva mitigata. Proprio come la schiettezza, aveva preso quei tratti dal suo Alexander.

-Chiamami se hai bisogno, okay? Max e Ragnor sono all’Istituto di Roma, ma hanno detto che, se serve, non si fanno problemi a tornare.- affermò, abbozzando un risolino, teso sul volto serio.

-Tranquilla tesoro, ora vai.-

Martha annuì e svanì dietro al portale, che si richiuse dopo il suo passaggio.
Magnus rimase a fissare ancora un attimo il punto, in cui, fino a poco prima c’era la figura di sua figlia: si passò una mano sul volto, sospirando lievemente, girando i tacchi e tornando, a grandi passi, verso la cucina.


[…..]


La neve sfiorava i vetri della camera da letto, soffermandosi sul piccolo davanzale esterno, lasciando che diversi centimetri vi si accumulassero sopra: la notte, priva di stelle, non era fatta d’altro che di tenebre e nuvole scure, che concepivano fiocchi freddi, smossi dal vento, tanto da realizzare anche piccoli mulinelli, che facevano danzare i coriandoli bianchi come ballerine candide e pure.
Seduto alla scrivania, la figura di Alec era intenta a trascrivere qualcosa alla luce della lampada: le spalle, lievemente ingobbite, erano rivestite da una felpa che andava a scaldare la schiena. I torso era rivestito da una delle sue solite magliette, che lasciava scoperte le braccia, in alcuni punti fasciate da bende sfumate dal sangue.
Ad un tratto, una figura lo abbracciò da dietro, posando la testa sulla sua spalla: Alec si fermò, la penna smise di disegnare tratti scuri sulla carta grigiastra. Due tazze si posarono sulla scrivania, emanando profumi ben diversi: una conteneva caffè, l’altra una tisana.

-E’ per me il caffè?-

-Ovviamente no. La tisana è l’unica cosa che puoi concederti.- sussurrò lo Stregone. –Sai che dovresti essere a letto a riposarti?-

Ales fece voltare la sedia, senza alzarsi: fortunatamente, era una delle classiche seggiole munite di rotelle e con il tronco girevole, un po’ ammaccata dopo gli anni passati a fare da giostra per i bambini. Il Cacciatore sorrise, il velo di barba che scuriva il volto, i capelli scompigliati erano stati tirati indietro da un recente colpo di mano, e solo alcune ciocche scomposte incorniciavano il viso pallido e gli occhi blu: prese la mano dell’uomo, osservandola, e l’anello dei Lightwood scintillò a quel tocco, come se, realmente, potesse infiammarsi.

-Mi conosci, sai che non amo passarci troppo tempo.- sbuffò. –Anche quando il demone Abaddon mi ha colpito, non ho retto troppo la convalescenza e ho preso a girare armato di stampelle.-

-Eppure stare a letto con me non mi sembra una così orribile costrizione.-

-Infatti, se ci sei tu, non mi faccio alcun problema a passarci anche delle giornate intere.-

Magnus si abbassò per baciarlo, un tocco lieve delle labbra, delicato, quasi rassegnato: il Cacciatore lo prese per i passanti dei jeans e lo costrinse a sedersi sulle sue gambe, come se fosse un bambino. Si guardarono negli occhi per un momento, mentre lo Stregone faceva scivolare le dita sulla guancia per nulla liscia del suo ragazzo: aveva delle leggere occhiaie, ma nulla di troppo evidente. Non come quelle che ora circondavano gli occhi durati di Magnus, almeno.
L’uomo si allungò verso il taccuino che Alec stava trascrivendo: lo sfogliò, afferrando alcune delle parole che il ragazzo aveva fatto in tempo a segnare prima del suo arrivo. Alzò gli occhi verso di lui, una domanda silente chiese spiegazioni al marito.

-E’….è un diario, per i ragazzi.- balbettò. –Per quando non ci…sì, insomma… Per quando non ci sarò più.-

-Ma tu ci sarai ancora per molto tempo, Alexander.- il tono non ammetteva alcuna replica a riguardo.

-Lo so.- Alec abbassò lo sguardo, il volto teso, la voce seria.- Ma parliamoci chiaro, Magnus: ieri sarei potuto morire, dopo quell’attacco. Se non ci fossi stato tu, sarebbe successo.-

Stava per replicare, ma la mano alzata del Cacciatore lo fermò.

-So che è stata una volta, ma potrà succede ancora: i Nephilim non hanno una vita lunghissima, e lo sai.- cercò i suoi occhi, le iridi che tanto amava. –Per questo voglio scrivere un diario da lasciare ai ragazzi: qualcosa che li aiuti a trovare le risposte che, forse, non farò in tempo a dargli.-

Magnus lo osservò qualche istante, il volto una maschera di sconcerto e comprensione, di rabbia e tristezza, di mille sfaccettature che la componevano: era inutile provare a replicare, perché ogni sua singola parola era vera. Certo, ci sarebbe stato lui, ma a volte i consigli e le parole di Alexander avevano una maggiore efficacia, e un diverso approccio: se da una parte, in certe situazioni, lo Stregone avrebbe usato la magia per chiude una faccenda, dall’altra parte il Cacciatore avrebbe abusato della sua abilità con le sillabe.
Come in ogni coppia, i pareri erano due. E loro erano l’esempio lampante dell’opposto, oltre che rappresentato dai loro tratti, anche dai caratteri che li animavano.
Uno schiocco e la sedia ruotò: l’uomo posò il libro di Alexander sulla scrivania e prese la penna tra le dita. Cercò gli occhi del marito e sorrise lievemente, prima di parlare.

-Allora scriviamolo insieme.-

E iniziarono, parola dopo parola, a comporre un racconto: un racconto fatto di situazioni e sentimenti, ma anche di storie passate e consigli utili per ogni cosa. Se, da una parte, i due avevano dedicato pagine intere su come evitare di venire morsi da un demone, come non cadere nelle trappole delle fate o come affrontare le insidie del Mondo Invisibile, in altre scrivevano come sostenere le prime perdite e i primi amori, e come accettarsi per quello che si è.
Pagine su cuori spezzati, sulla forza racchiusa nell’anima, nel coraggio delle scelte: qualsiasi cosa avrebbero deciso, sarebbero stati orgogliosi di loro. L’unica cosa che desideravano per i loro figli, era la felicità: felicità che risiedeva nell’amare o nel provare affetto, nell’aiutare o nel vivere di piccole gioie quotidiane.
Parlarono a lungo dei Nephilim, del Conclave, di ciò che sarebbe stato giusto per loro, ma sbagliato per gli altri: di Stregoni coraggiosi, Licantropi determinati, Mondani curiosi, Fate doppiogiochiste e Vampiri insidiosi.
Poi presero a raccontare: raccontare di come si erano conosciuti, di come si erano sentiti quando si erano lasciati, di come Alec aveva affrontato i genitori con una runa di Clary e di come si erano fatti avanti, come coppia effettiva, poco prima della Battaglia contro Valentine. Scrissero di come Camille avesse messo zizzania, di come si fossero amati la prima volta, tanto intensamente da lasciare entrambi stupiti: descrissero i loro viaggi, le situazioni più assurde, quelle più divertenti e le più romantiche.
Raccontarono dei loro litigi, del freddo silenzio, delle parole non dette, delle scuse insensate, dei baci cancellati: raccontarono del rapimento di Magnus, della disperazione di Alec, della tristezza che prese ad echeggiare in loro, quando capirono cos’avrebbero potuto perdere. Si soffermarono parecchio sulle loro decisioni, sulla scelta di stare insieme, sull’amore che li univa comunque, anche se era una cosa impossibile: le vittorie, le sconfitte, i primi litigi, le decisioni prese assieme.
Le notti in attesa, i giorni di separazione, i bisbigli velenosi di chi era invidioso di loro e non capiva: ma raccontarono anche della gioia e della scelta di sposarsi, della notte in cui Alec aveva salvato Maxwell e Ragnor, dell’arrivo di Martha, di come la loro vita fosse cambiata.
Scrissero dei momenti di crisi, delle prime litigate, dei pianti e dei lamenti, ma anche dei momenti di gioia, dei primi incantesimi riusciti, dei segreti infantili e delle scelte che spesso si scontravano, tra i due genitori: ricordarono quando Martha li aveva chiamati “papà”, di quando Maxwell aveva – con l’ausilio della magia – fatto crescere una papera, mettendo in fuga Jace o di come Ragnor si era nascosto per sfuggire ad una punizione.

Non era solo una storia, non erano solo consigli: in quel diario, scrissero tutto. Ciò che venne in mente loro, mentre, alla luce della lampada, la neve illuminata continuava a cadere, candida: e più la penna scorreva sui fogli di carta, più sentivano di dover parlare di tutto.
Del loro orgoglio nell’aver avuto dei figli tanto meravigliosi, della loro felicità nel sentirsi chiamare “papà” nonostante tra loro non scorresse lo stesso sangue: della paura che nutrivano quando uscivano di casa, ma di come si sentivano fieri quando tornavano vittoriosi. O si preparavano a consolarli, quando qualcosa non era andato per il meglio.
Era anche grazie a loro, se la vita dei due era stata tanto piena e bella: certo, avrebbero vissuto una pienezza simile stando da soli, ma la gioia e i dolori che avevano arricchito e messo un pizzico in più di pepe nella quotidianità, con l’arrivo di tre figli, era qualcosa d’indescrivibile.
Quando chiusero il libro, era quasi l’alba: Magnus, sempre seduto sulle gambe di Alec, si prese un momento per contemplare ciò che, insieme, avevano creato. Il Cacciatore prese il diario e, aprendo uno dei cassetti della scrivania, lo ripose all’interno: un lieve toc, e quel segreto scomparve nel legno.
Rimasero ancora un secondo in silenzio, poi lo Stregone si alzò, invitando anche l’altro a seguirlo: strinse la mano candida di Alec, e lo trascinò a letto, senza strattonarlo perché, sotto la maglietta che indossava, sapevano esserci ferite ancora fresche, che rune e magia faticavano a chiudere, nonostante ci fosse uno strato di pelle che le cicatrizzava.

-Ora devi riposare e, visto che nel letto ci sono anch’io, non vedo alcun problema all’orizzonte.- sorrise beffardo lo Stregone, gli occhi scintillanti come pietre, alla fioca luce della lampadina ancora accesa.

-Non credo riuscirò a dormire, a questo punto.- ammise, indicando lo schiarirsi del cielo, ancora lontano da un’alba effettiva.

Magnus si adagiò con la schiena alla testiera del letto, Alec lo seguì, posando la testa nell’incavo tra la spalla e il collo: il Presidente si era appallottolato sul fondo del letto e ronfava, come se niente potesse disturbarlo. Neanche la coppia che, con i piedi, sfiorava il suo pelo morbidissimo.
Con un braccio, lo Stregone cinse le spalle del Cacciatore, sfregando leggermente contro la pelle, le dita agili che lo accarezzavano come se fosse qualcosa di delicato: deglutì, pensieroso, come se fosse indeciso se parlare, rompendo il silenzio, o stare lì, semplicemente, a godersi il respiro del marito.

-Mi devi dire qualcosa, vero?- domandò Alec, ad un tratto.

Lo Stregone non sembrò per nulla sorpreso dalla domanda: forse perché, oramai, Alec lo conosceva troppo bene, dopo anni passati fianco a fianco, si sarebbe sorpreso del contrario.

-Forse non ti piacerà.-

-Dimmela ugualmente, Magnus.- alzò lo sguardo su di lui, traendo un lungo respiro.

Magnus parve riflettere qualche istante, ma alla fine decise di sputare il rospo intrappolato in gola: staccò la schiena dalla testiera del letto, facendo attenzione ad Alec, ancora intrappolato nel suo abbraccio. Mise una mano nella tasca dei jeans e trasse un foglio spiegazzato: il Cacciatore si sistemò meglio, prendendo poi il foglio tra le dita, irrigidendo la mascella.
Aveva capito.

-Era tra i libri che i ragazzi mi hanno portato a casa dal Giappone.- iniziò Magnus. -E’ un incantesimo che incatena due anime per la vita: quando uno muore, l’altro è destinato…-

-No.-

-Alexander.- sembrava ferito, quasi spazientito.

Il Cacciatore appallottolò il foglio, posandolo sul letto: tremava lievemente, mentre si mordeva il labbro, passandosi le dita pallide tra i capelli corvini.

-Ti ho detto che non voglio.- il tono era spezzato, gli occhi di un blu intenso. –Non voglio che rinunci alla tua vita, alla tua immortalità, per stare con me. Abbiamo deciso tempo fa, di vivere giorno per giorno, che dopo di me troverai qualcun altro, e tornerai ad amare.-

Il silenzio teso era quasi assordante ma fu lo stesso Alec a spezzarlo.

-E poi non pensi a Ragnor e Max? E a Martha? Avranno bisogno di te.- cercò di sorridere, ma ne uscì una specie di smorfia. –Sei troppo importante per tante persone, Magnus. Non puoi abbandonarle solo per….-

-Te.- finì l’uomo guardandolo negli occhi. –Alexander, io per te non fermerei il tuo tempo, ma quello dell’intero mondo, per consentire a noi due di continuare ad amarci all’infinito…. Volendo, potrei farlo, ma poi ai piani di sopra avrebbero da ridire.-

Alec non sorrise, ma rimase intrappolato negli occhi magnetici dello Stregone, che ora tratteneva tra le dita scure il viso spigoloso dell’uomo. Con i pollici gli accarezzò gli zigomi, senza smettere di fissarlo.

-Fiorellino, meriti di essere protetto, ascoltato e amato più di chiunque altro.- aggiunse. –I nostri figli sono in gamba, e poi hanno Catarina e tutti li altri a sostenerli, in caso di bisogno. E, se veramente non fossi convinto che, dopo di te, non ci sarà nessun’altro, praticherei un tale incantesimo?-

Inarcò un sopracciglio, guardando il suo Alec: il viso, gli occhi, i capelli, i muscoli che si muovevano sotto la pelle tesa. Le varie emozioni che attraversavano il volto sconcertato del ragazzo: tutto, lo guardò come se non ci fosse altro che lui. Un mondo, una vita, una storia.
Alec era questo, e tanto, tanto altro.

-Sono egoista, lo so. Egoista per te e per i nostri figli.- un velo di lacrime appannò la vista dell’uomo, le labbra tremarono lievemente, un’ombra di magone incrinò la voce. –Ma ti amo, Alexander. Non posso pensare di lasciarti da solo, di vivere senza te al mio fianco, di proseguire per un strada che porterà a veder morire prima te, poi nostra figlia e tutti quelli che mi circondano: tu mi daresti il colpo di grazia, se te ne andassi. Le altre perdite non lascerebbero altro che un guscio vuoto e non voglio esserlo, per i nostri figli. Ma non è solo per questo che voglio legarmi a te.-

Rapito, rapito dalle parole, rapito dal tono: il Cacciatore pendeva dalle sue labbra, letteralmente.

-Non sopporto l’idea di non avere nessuno a frenare i miei impulsi, a ridere con me come fai tu: non sopporto l’idea di essere solo, perché sei tu che mi dai la vita. Se tu che me l’hai donata, e ti appartiene. Tu mi appartieni, sei tutto ciò che ho.- lo baciò, un sapore di lacrime salate s’insinuò nelle bocche dei due. –Ti prego, lasciami venire con te.-

Un sussurro a fior di labbra, una preghiera, una supplica: Alec abbracciò lo Stregone, lo strinse forte, adagiando la testa al suo petto. Una parte di lui non voleva che il marito se ne andasse, che rinunciasse a tutto per lui: lui, che altri non era che un semplice Nephilim. Lui, che l’aveva messo in pericolo, che l’aveva tradito, che aveva avuto paura ad amarlo.
Ma conosceva Magnus, sapeva che, quando si metteva in testa una cosa, era difficile fargli cambiare idea: tuttavia, ne aveva parlato con lui, aveva chiesto il permesso, gli aveva aperto il suo cuore, con le paure e timori, la tristezza di una solitudine infinita, come la sua vita.
Oh, Dio, il solo pensiero di lasciarlo gli stringeva il cuore e lo stomaco e lo riempiva di lacrime. Non aveva intenzione di farlo, non voleva allontanarsi: ma gli anni scorrevano, il tempo era infido, e il divario aumentava. Era come afferrare un fiocco di neve e stringerlo: bellissima, da voler sempre accanto, delicata, ma fragile a contatto con il calore e con chi vorrebbe amarla.

-Non voglio che rinunci, per me.- disse, ad un tratto.

Si guardarono, per un lungo istante: il chiarore dell’alba colpì le loro figure e dipinse tracce di luce, come tenui contorni.

-Voglio che tu….che tu sia felice, Magnus.- sospirò. –Non posso chiederti di rinunciare alla tua immortalità per seguirmi: ma so che fermarti è come cercare di bloccare un terremoto con la sola forza delle mani.-

Il tono fece sorridere lievemente lo Stregone, gli occhi brillarono come lune dorate.

-Se dovessi essere egoista, allora sì, vorrei averti con me anche dopo.- ammise, finalmente. –Perché altro non desidero che passare con te anche quello che ci aspetta oltre la vita: che sia all’Inferno o in Paradiso, non m’importa. Mi basta che ci sia tu, al mio fianco. Perché sei il mio elemento, Magnus.-

E lo baciò a lungo, ancora, in maniera quasi febbrile: trovare il vero amore al primo colpo, è fortuna.
Trovare qualcuno che volesse proteggerlo e amarlo, che si spingesse anche a rinunciare alla vita immortale per stare con lui, era una benedizione. Una rarità.
Qualcosa di unico, come Magnus.

-E tu il mio, Fiorellino.- sussurrò. -Allora permettimi di seguirti, perché io lo voglio. E tu?-

-Sì…. sì, lo voglio anch’io.-

Una manciata di scintille, e il foglio spiegazzato tornò come nuovo.



*Questa frase è una mia citazione personale. Riguarda la sottoscritta, che tende a usarla quando qualcuno cerca di occultare qualche brutta informazione.
*Citazione obbligatoria. Come non potevo prendere spunto dalla mia “Stella13” e la sua storia, che è stato lo spunto di partenza per la mia?
(Per chi l'ha letta, ho preso spunto dalle maglie che vuole fabbricare Magnus per il piccolo Chris)


Lo Stregatto Parla.
E’ stata una sfida, finire questa storia. Un po’ perché è stata una settimana di fuoco, piena di lavoro e imprevisti: ma, forse, anche perché mi rendeva triste concludere questa storia. Ho quasi pianto nell’ultima parte (non l’ho fatto solo perché ho gente in casa), e mi si è spezzato il cuore all’idea di aver concluso questa raccolta: è iniziata con un “facciamoli limonare e copulare con tanti feels”, ma si è straformata, ed è diventata un “rendiamo ogni elemento come un punto focale e speciale della loro vita.”
Mi piange il cuore a scrivere la fine: comunque, l’idea di concludere con un incantesimo che li lega, mi ha un po’ turbata, ma mi piaceva l’idea. Non l’ho spiegato, ma dovrebbe funzionare un po’ come se succhiasse l’energia di Magnus, facendolo invecchiare dopo la morte di Alec: CoHF (chi l’ha letto, sa dell’”idratazione”) mi ha ispirata un po’. Lo so, è pura malinconia, ma noi fan dobbiamo affrontare la fine dei Malec, volenti o nolenti *piange*
Per la canzone (citata all'inizio), consiglio l’ascolto: la traduzione la trovate nel blog “J=review Song Request”. Secondo me il testo è perfetto per loro.
Ordunque, ci sono mille cose da dire, ma devo andare a lavoro e i codici di applicano in tre secoli: spero abbiate amato questa raccolta, e vi ringrazio per le recensioni, le parole speciali e tutti i complimenti che mi fate. Grazie di cuore.
Se il progetto va in porto, ho una nuova storia in mente *strizza l’occhio a Stella13* e spero mi seguirete anche in quella. A presto, scusate la poca allegria, ma sono veramente triste per la conclusione della raccolta.
Un grazie di cuore a tutti, per aver letto la mia storia.
Ps. Alle fanciulle che scrivono come pazze e che ancora non ho recensito, lo farò a breve, promesso!
Ps.2. Non l'ho specificato, ma "Alexander" è il figlio di Isabelle (e Simon? Si spera), ma per i cugini, siete libere di dare sfogo all'immaginazione.

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