I Ricordi dell'Astro

di Halloween_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo I ✧ Amnesia. ***
Capitolo 3: *** Capitolo II ✧ Treccine e nascondigli {improvvisati}. ***
Capitolo 4: *** Capitolo III ✧ Paura. ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV ✧ Insegnamenti. ***
Capitolo 6: *** Capitolo V ✧ Rukh. ***
Capitolo 7: *** AVVISO. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


I Ricordi dell'Astro




Prologo.


Il nero la circondava, in ogni direzione non percepiva altro che l’oscurità più profonda.
Il nulla.
Avvertiva, sì, la consistenza del suo corpo eppure era così leggero, quasi non lo possedesse per davvero. Si sentiva evanescente e irreale come la nebbia sul pelo del mare: se ci fosse stato qualcuno in quel luogo oltre a lei e avesse tentato di toccarla sarebbe svanita, solo per ricompattarsi poco attimi dopo. Ne era certa.
Con una piccola contrazione dei muscoli si sospinse in avanti, fece mezzo giro su se stessa, guardò prima in alto e poi verso il basso: solo nero. Però, una parte di lei, si stava divertendo a galleggiare liberamente senza peso e prese ad avanzare come se nuotasse in un mare d’aria. Almeno l’aria doveva esserci in quel luogo, rifletté, altrimenti sarebbe già morta asfissiata. Ma non n’era sicura perché, solitamente, quando ci si muove, l’aria sfiora il corpo –almeno così le pareva– eppure non la sentiva per niente tentare di contrastare il suo moto.
Sfiorò con la punta delle dita i dintorni, ma c’era solo il vuoto con lei che vi galleggiava in mezzo; allora portò le mani davanti al volto, improvvisamente curiosa, le osservò muoversi notando che erano affusolate e chiare con le unghie rosee minuziosamente curate. Sentì, però, che erano anche leggermente callose sui palmi.

Non le ricordava così.

Un baluginio argento attirò la sua attenzione sui polsi, o meglio sugli spessi bracciali gemelli che li avvolgevano, finemente intarsiati con simboli curiosi che non rammentava. Osservò le braccia lattee all’apparenza deboli e fragili, ma le sentiva forti almeno un poco quindi le mosse guardano le scie argentee lasciate dai bracciali nel buio.

Non le ricordava così.

Abbassò lo sguardo attirata da un’altra coppia di bracciali fermi alle caviglie: identici a quelli dei polsi. Sollevò la gamba seguita da una stoffa lunga color argento opaco, vide ondeggiare una gonna che partiva dai fianchi lasciando la parte davanti spoglia, ma da sotto faceva capolino una gonnella blu notte lunga a metà della coscia; carezzò entrambe le stoffe sentendole morbide sotto le dita.
Inclinò il capo, ma si tirò su di scatto quando sentì una stoffa solleticarle la guancia, e identificò la parte superiore del suo abbigliamento, cioè, una fascia in tinta con la gonnella e bordata del medesimo colore della gonna più lunga, aveva uno scollo tanto simile a un cuore e pompose maniche a sbuffo.
Storse il naso vedendo il suo seno piccolo, così differente da quello di… Di chi?
Portò le mani sui fianchi, pensierosa, ma la consistenza soffice e sufficientemente piatta della sua pancia le fece sorgere nuova curiosità perché…

Non le ricordava così.

Un sospiro fuggì dalle sue labbra così si portò le dita a sfiorarsi il volto con incertezza, quasi timorosa di ciò che avrebbe potuto percepire; invece trovò solo la secchezza di due labbra fini, la forma di un naso piccolo e quella di due occhi grandi.
Chissà di che colore erano, si domandò.

Non li ricordava.

Annoiata e confusa afferrò una ciocca di capelli argento –più bianchi sulle punte–, erano soffici al tatto e la solleticavano fino in fondo alla schiena, oltre che sulle guance.

Non li ricordava.

Si morse un labbro con fare nervoso, perché non ricordava?
Non ricordava nulla, perché?
Il petto si abbassava sempre più rapido mentre gli occhi si fecero lucidi: aveva una gran voglia di sfogarsi perché aveva un enorme vuoto in testa, il buio più completo, identico a quello che la attorniava silenzioso.
Quel silenzio che iniziava a irritarla era più assordante dello strepitare chiassoso di una folla intera. Anche se non ne era del tutto certa, le pareva appropriato come paragone.
Gridò disperata, con tutto il fiato che aveva nei polmoni sperando che finalmente quell’oblio si frantumasse e, invece, non accadde nulla.
Anzi, nemmeno il più piccolo suono lasciò la sua bocca.
Piccole lacrime caddero dal suo viso perdendosi nel vuoto. Si prese la testa fra le mani mentre la paura la attanagliava e non vi era più traccia della curiosità di poco prima per se stessa, infine, decise di raggomitolarsi: raccolse le ginocchia al petto e seppellì lì il viso.
Chissà quanto sarebbe rimasta sospesa in quel nulla.

☽ ✧ ☾


Si svegliò di soprassalto con il cuore a pomparle nel petto come impazzito, si mise a sedere fin troppo rapidamente e il capogiro che l’accompagnò la costrinse a tornare sdraiata.
Il respiro affannoso andava lentamente regolandosi; mentre con la mano scostava alcune ciocche incollate al viso, prese a guardarsi attorno.
Niente nero. Niente vuoto.
Era stato tutto un sogno, constatò più che sollevata prima che lacrime copiose prendessero a rigarle le guance. Il braccio destro andò a nasconderle gli occhi e un sorriso amaro a incurvarle le labbra all’insù.
«Se è stato tutto un sogno… Perché non ricordo nulla?».
















{Angolo di una Festa}
Non ci credo... Sono così emozionata che ho la testa in tilt!
Diamine: sto davvero pubblicando questa long. Ci ho lavorato su per mesi e, beh, ci tengo tanto quindi spero non sia una schifezza, eh.
Allora, di per me ho già pronti alcuni capitoli e cercherò di aggiornare ogni venerdì.
Il titolo non è granché, ma, davvero, faccio pietà a darne... Sigh, povera me! Nel caso si accettano suggerimenti, sì sì.
Mi auguro arriveranno delle recensioni perché ci tengo davvero, davvero tanto a questa long e voglio che diventi qualcosa di bello, perciò ho bisogno anche della vostra collaborazione: pareri, critiche, appunti, correzioni, migliorie... È tutto più che ben accetto dalla sottoscritta.
Ah, ultima cosa. Nell'introduzione ho messo estratti del quarto capitolo perché mi sembravano più adatti, non sono nemmeno un grande spoiler. ~
In futuro, comunque, potrebbero spuntare nuovi avvertimenti e nuove coppie, dipenderà tutto dal bivio che la mia mente deciderà d'imboccare.
È tutto, spero qualcuno sarà così compassionevole da recensire, già.
A venerdì prossimo con il primissimo capitolo di questa nuova avventura! ❤

P.s. Ci sto lavorando da novembre, abbiate un po' di cuore per me. ❤


Kuro

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Capitolo 2
*** Capitolo I ✧ Amnesia. ***


Capitolo I

Amnesia.



Rimase a lungo sdraiata a piangere, finché anche le lacrime terminarono e rimasero solo dei lievi singhiozzi a scuoterla; ma alla fine si placarono lasciandola inerme e più confusa che mai.
Mettendosi a sedere lentamente sollevò gli occhi fino al soffitto semplice e bianco; una sensazione come di delusione le solleticò le viscere, durò comunque il tempo di un battito di ciglia e scomparve. Volse la testa a destra e sinistra, studiando con perizia l’ambiente circostante che non le richiamava nulla alla memoria –probabilmente, era la prima volta in vita sua che vedeva quella stanza.
Oppure no… Magari c’era già stata…
«Ah, basta! Se vado avanti così mi verrà solamente un gran mal di testa, senza aver concluso nulla, per giunta!» borbottò con le mani tra i capelli. Poi si tirò in piedi avanzando fino a un mobile di legno sormontato da uno specchio ovale.
Storse la bocca sporgendosi in avanti finché sfiorò con la punta del naso la superficie fredda dello specchio, al contatto si scostò sorpresa «È freddo.» affermò nel silenzio generale; si studiò alcuni minuti «Sono uguale al sogno… Oh, ho gli occhi blu… Carini.» sbatté le palpebre ammirando il colore dei suoi occhi, non dissimile da quello di un cielo rischiarato dalle stelle.
Con la mano spazzò la superficie legnosa del mobile completamente spoglia, si accomodò raccogliendo le ginocchia al petto e posandovi sopra il mento: da lì aveva un’ottima visione della stanza intera.
Le pareti rossicce parevano più intense illuminate dall’ultimo sole della giornata, così l’enorme letto a baldacchino posto alla sua destra risplendeva, ma forse il merito era delle coperte amarantine e dei cuscini dorati che lo coprivano nella quasi totalità, mentre le colonne sormontavano stoffe leggere del medesimo tono dei lenzuoli, dedite a celare quel soffice materasso.
«In tutti quei cuscini si potrebbe affogare qualcuno.»
Liberò le gambe lasciandole a penzolare placidamente qualche centimetro sopra il pavimento rivestito di tappeti elegantemente ricamati, anche se erano ruvidi a contatto con i nudi piedi.
Il sole morente passava attraverso due coppie di ampie finestre ai lati della porta d’ingresso –rigorosamente chiusa–, spargeva i caldi raggi carezzando anche la pelle nivea della ragazza che intanto si crogiolava nel loro calore.
Assottigliò gli occhi blu quando incontrò quel giaciglio di cuscini e stoffe che l’aveva accolta durante il sonno, a discapito dell’apparenza era una nicchia soffice e calda proprio a un passo dal baldacchino. Le venne spontaneo uno sbadiglio perché sentiva il sonno assalirla nuovamente. O forse era solo annoiata. Magari entrambe le cose… Oppure –quasi sicuramente– tentava di relegare i pensieri sulla “situazione” attuale in un angolino buio e dimenticato della mente sopita. Dormire appariva come un’ottima soluzione per non pensare a nulla; a patto che non avesse fatto altri sogni strani.
Oramai intravedeva il cielo bluastro della sera, il sole si era finalmente ritirato e avrebbe fatto nuovamente la sua comparsa solo alcune ore più tardi, però, in quel momento, toccava a sua sorella, l’argentea luna, sostituirlo nel prezioso compito di rischiarare la volta celeste.
Rimase incantata quando voltandosi incrociò il suo riflesso illuminato a malapena dalle prime stelle «La prima stella della sera… Venere…» mormorò assorta, nemmeno si accorse della porta aperta e la figura che entrò: almeno finché non fu rispecchiata nella superficie vetrosa.
Sorrideva divertita e quando la ragazza incrociò gli occhi cremisi del nuovo venuto sentì il cuore fermarsi per ripartire più rapido, credeva le sarebbe uscito dal petto; tentando d’indietreggiare perse la presa sul pezzo di mobilio e scivolò. Una scossa di dolore le invase la schiena in corrispondenza del bacino e risalì fino al collo «Che male.» mugugnò scostando le gambe rimaste distese lungo il mobile e si mise seduta massaggiandosi la zona dov’era atterrata di peso.
«Che stupida che sei.» la derise una voce maschile. Facendo perno scattò in piedi, la ragazza, ignorando il fastidio che le percorreva strisciante il bacino e puntò gli occhioni blu in quelli scarlatti di lui.
Erano magnetici, affasciante e inquietanti.
E lei ne era attratta come una falena sente il richiamo della luce.
«Sei tu ad avermi spaventato!» protestò incrociando le braccia al petto «Chi sei?» chiese. Sentiva una strana irritazione pizzicarle le viscere ma l’ignorò, probabilmente era dovuta al tono grondante arroganza del ragazzo. Pur avendo un vuoto totale in testa, era sicura di non aver mai incontrato un tizio così presuntuoso, dai modi infantili –perché darle della “stupida” era infantile eccome–, capace d’infastidirla nel tempo di una frase, ma affascinarla al primo sguardo: non era umanamente possibile!
Eppure, era accaduto per davvero… O, magari, stava sognando di nuovo. Per appurare o smentire quella possibilità e sfruttando il fatto di tenere ancora le braccia incrociate al petto, afferrò un pezzo di pelle, sopra il costato, e lo premette così forte tra le dita da lasciarsi sfuggire una smorfia contrariata.
No, non stava sognando e, ovviamente, il flebile mugolio di dolore che aveva esalato un istante prima al moro non era per niente sfuggito, tant’è che un sorriso obliquo incurvò le sue labbra sottili.
«Davvero?»
«Cosa?»
«Non sai chi sono?»
«No… Perché?» replicò confusa la ragazza inclinando appena il capo a destra e sollevando la mancina fino alle labbra, con fare pensoso.
Era piuttosto stupito perché solo un idiota –e forse nemmeno quello– poteva non conoscere il Magi dell’Impero Ko, «Sono il Magi Nero, Judal.» disse con un certo fastidio per essere stato costretto a presentarsi, «Adesso dovresti essere tu a presentarti, non credi piccola stupida?»
Sbatté un paio di volte le palpebre, basita dai modi di Judal, ma con un sonoro morso all’interno della guancia si trattenne dall’insultarlo «Ecco…» come si chiamava? Non rammentava nemmeno quello, diamine! Con un pesante sospiro chiuse gli occhi, escludendo l’irritante ragazzo dalla sua visuale, e si concentrò sull’enorme voragine nera che era la sua memoria; doveva avere per forza un nome, non poteva esserne priva, no?
Non seppe per quanto tempo rimase così, con gli occhi chiusi a setacciare il nulla, ma alla fine qualcosa riaffiorò. Era un piccolo brandello che si affrettò ad afferrare saldamente tra le dita nivee: cinque lettere. Un nome. Il suo nome.
«Mi chiamo Aysel.» affermò sicura che fosse corretto, soddisfatta che almeno adesso un piccolo puntino bianco rischiarasse quell’oblio; sollevò nuovamente le palpebre e fuori era buio completamente. Ebbe un forte impulso di scattare all’indietro nell’istante in cui si ritrovò il volto del moro a un soffio dal suo; si era dovuto piegare un po’, Judal, per raggiungere l’altezza della ragazza di almeno sei o sette centimetri più bassa.
Si scrutarono, ognuno in attesa che l’altro facesse qualcosa –qualsiasi cosa– ma non accadde nulla, almeno finché il Magi non tornò eretto allontanandosi di un paio di passi «Puoi anche respirare adesso, stai diventando blu.» fece divertito, mentre Aysel cacciava fuori l’ossigeno che nemmeno aveva percepito di star trattenendo nei suoi poveri polmoni.
«Sei irritante.»
«E tu stupida, hai impiegato almeno cinque minuti a dire il tuo nome!» scosse la testa facendo ondeggiare la lunga treccia, «Cos’è, per sapere da dove vieni aspetterò un mese?» scoccò un’occhiata di pura arroganza all’argentea: si aspettava di vederla riflettere ancora con l’intenzione di sbattergli in faccia l’informazione. Magari, pensò il moro, avrebbe potuto aggiungerlo –qualsiasi luogo fosse– ai potenziali obiettivi di Al Sarmen. Così, giusto per avere la soddisfazione di vedere la disperazione sul visetto di quella ragazzina impertinente e assaporare un po’ di devastazione.
Ma la ragazza, invece, avanzò sollevando il viso contratto in un’espressione d’ira mista a disperazione e picchiettò insistente il petto solido di Judal, «Che colpa ho io, se non ricordo nulla?!» abbaiò prima di chiudere la mano a pugno e sostituirla al dito: assestò un solo, debole, colpo.
Rimase interdetto per alcuni istanti il giovane, non si aspettava una rivelazione del genere… Sorrise, pregustava già il divertimento che avrebbe tratto dal tormentare quella ragazzina stupida e, a quanto diceva, senza memoria.
«Amnesia? Sei tu a non ricordare, quindi è ovvio che la colpa sia tua, Aysel~.» strascicò il nome e si allontanò lasciando la suddetta ragazza immobile e basita; Judal, invece, lasciò andare il suo corpo a peso morto e sprofondò nel letto. Per il momento aveva perso interesse ad ascoltarla lamentarsi, quindi il modo migliore per ignorarla era farsi una bella dormita.
«Ma che-?!» sbottò Aysel, «Idiota di un essere senza utilità!» urlò contro il Magi che dormiva beato circondato da stoffe e cuscini, in cui sperò vivamente annegasse senza possibilità di salvarsi. Irritata percorse ad ampie falcate la distanza che la separava dalla porta e l’aprì.
O almeno provò.
Un brivido gelido minacciò di mutare il suo cuore in un blocco di ghiaccio e sentì che batteva più rapido; staccò la mano dalla fenditura che serviva per aprire la porta e mosse un paio di passi all’indietro. Osservò la mano arrossata e umidiccia, dove piccole schegge ghiacciate stavano fondendo per il calore del suo corpo.
«Quindi, io sarei rinchiusa qui…» borbottò Aysel «MI STAI PRENDENDO IN GIRO?!» sbraitò così forte che probabilmente tutto il palazzo l’aveva sentita. In cuor suo, alla fine decretò che peggio di così non poteva proprio andarle.
















{Angolo di una Festa}
Primo capitolo, yuppi! ~
Il prologo non ha avuto molto successo, povera me... Però ringrazio la carissima Lula per la recensione, mi ha tirata su di morale! ❤︎
Un grazie di cuore anche a chi ha inserito la storia tra le preferite e le seguite: spero cresciate sempre più! c":
E finalmente entra in scena il personaggio più atteso... Judal! Le cose non iniziano bene, ma, diciamocelo, è davvero irritante se ci si mette e la cara Aysel non ha proprio un carattere mite e sottomesso, ahaha.
Sono di fretta, motivo per cui ho aggiornato a quest'ora, perché devo uscire e tornerò solo domani. Mi aspetto tante recensioni *occhioni da cucciolo*. No, beh, mi farebbero piacere però... Si vedrà. Spero vi piaccia la storia, come inizio è un po' lento però le cose dovrebbero movimentarsi un po' andando avanti; nemmeno io so ancora bene cosa accadrà, dipenderà tutto dal momento in cui scriverò.
Per qualsiasi errore fatemelo pure notare, anche le critiche sono ben accette purché costruttive e fondate.
Alla prossima settimana ❤


Kuro

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Capitolo 3
*** Capitolo II ✧ Treccine e nascondigli {improvvisati}. ***


Buonasera a voi, lettori.
Non è da me inserire note iniziali, però ci tengo davvero a dire una cosa e spero qualcuno si fermerà a leggere. Prendetemi pure per pedante, egocentrica, noiosa, fastidiosa, egoista, etc, etc... Chi più ne ha da dire, ne dica!
Comunque. Io insisto tanto sulle recensioni perché voglio sapere cosa ne pensate voi che leggete, così potrò aggiustare errori, buchi e migliorare me e la storia. Io ci tengo tanto, forse pure troppo. Le recensioni sono qualcosa che -io per prima- spesso non lascio -o lo faccio in ritardo- per mancanza di tempo e voglia, ma spero qualcuno avrà il buon cuore di farmi sapere cosa pensa davvero di questa storia. Mi sto impegnando, quindi voglio che risulti gradevole da leggere e interessante soprattutto.
Grazie per l'attenzione. ❤︎









Capitolo II

Treccine e nascondigli {improvvisati}.



Judal, quella mattina, si svegliò con un fastidioso peso proprio sopra il suo stomaco. Fece perno per sollevarsi sui gomiti e trovò una cascata di fili argentati sparsi sul suo ventre e buona parte del materasso oltre a due occhi blu che lo scrutavano incattiviti.
«Dormito bene?» chiese lui con la voce impastata di sonno. Non sembrò nemmeno tanto irritante quanto avrebbe voluto.
Aysel borbottò qualcosa a proposito del suo sonno pesante e si sedette sul materasso frontalmente al Magi, così vicina che mancava poco si accomodasse sulle sue gambe. Sperava di tenerlo bloccato lì il tempo sufficiente a sbraitargli contro almeno la sua frustrazione per essere stata chiusa nella stanza. La notte prima, dopo aver scoperto di non poter uscire, aveva tentato di svegliare Judal per un tempo infinito e in ogni modo possibile –anche i più stupidi come trasformare la faccia dal ragazzo in fantasiose smorfie–, ma invano. Aveva appurato che aveva un sonno a dir poco pesante e quindi rinunciato a svegliarlo; buttandosi sul letto aveva giocato un altro po’ con la faccia di Judal e alla fine si era appisolata anche lei. Con il senno di poi addormentarsi sullo stomaco del Magi le era servito: avendo il sonno leggero, era stata svegliata subito dai piccoli movimenti e così aveva atteso. Non si sarebbe fatta scappare Judal per niente al mondo: doveva farla uscire da quelle quattro soffocanti mura.
Mise su un angelico sorriso «Abbastanza bene, anche se un po’ freddo, sei piuttosto comodo. Ho solo una richiesta, però.» fece una pausa in attesa di una reazione, quando Judal alzò un sopracciglio con fare interrogativo, proseguì «Voglio. Uscire. Da. Qui.».
Voleva essere arrabbiata, la ragazza, furente per il trattamento ricevuto e lo stress sopportato nelle ultime ore, ma non vi riusciva. Si sentiva stranamente tranquilla, rilassata, anzi, quasi annoiata.
Perché?
Judal si esibì in uno sbadiglio e mosse la gamba cui Aysel aveva poggiato le braccia incrociate, un po’ come si fa con un gatto che ti si appisola addosso, ma la straniera non si spostò di un millimetro preferendo scoccargli un’occhiata tagliente in più. Il gesto successivo del ragazzo fu la mano annoiata che si muoveva a mezz’aria seccata, «E va bene, ti faccio uscire però non farti uccidere, d’accordo?» le parole cozzavano con la voce ancora un po’ impastata di stanchezza ma sempre divertita.
Aysel giurò di aver visto luccicare i rubini che erano gli occhi del Magi, nemmeno fosse un predatore impegnato a giocare con una nuova preda prima di sbranarla senza pietà; ma qualcosa dentro di lei stava urlando a gran voce che Judal era un predatore e lei solamente l’ultimo giocattolo trovato per caso. Adesso era interessante, c’era il gusto della novità, ma poi? Aveva paura di cosa le sarebbe successo una volta che il ragazzo si fosse stufato di lei: doveva riacquistare la memoria e andarsene.
«Uccidere?».
«Certo, quello spetterà a me se dovessi averne voglia. E comunque, potrebbero prenderti per un’intrusa e giustiziarti seduta stante.» afferrò una ciocca liscia e argenta tra le dita «A pensarci bene non sarebbe male, sai?», strattonò il ciuffo con grande disappunto della proprietaria della chioma, che fu costretta a chinarsi in avanti per non vedersi strappar via i capelli.
Sbuffò irritata liberando con uno strattone deciso il ciuffo imprigionato tra le dita pallide del Magi –era una gran bella gara di pallore tra loro due–, «Correrò il rischio, piuttosto che rimanere chiusa qui dentro con te.» sottolineò le ultime due parole per rimarcare il concetto: non voleva rimanere con quel ragazzo, anche se stuzzicava la sua curiosità, ne aveva paura. Scivolò giù dal letto e aprì la porta senza riflettere, solo quando toccò il freddo metallo ricordò l’incantesimo e temette di sentire ancora il gelo invaderla nel tentativo di divorarla… Ma non accadde nulla, e la porta scivolò leggera sui cardini.
Guardò lo spazio ampio e pietroso al di là dalla porta, legnosa e finemente decorata in oro, poi concentrò i suoi occhi blu su Judal che stava ancora sdraiato tra i cuscini dell’enorme letto. Pareva tranquillo.
Eppure, Aysel percepì un senso d’irritazione pizzicarle lo stomaco ma non lo riconobbe come suo; come poteva essere arrabbiata adesso che stava finalmente per uscire? Non che fosse stata lunga la permanenza nelle stanze del ragazzo, però la sola idea di non poterle abbandonare l’aveva mandata in crisi e ora, con un lieve venticello che le solleticava il viso, si sentiva più leggera quasi le avessero tolto un peso.
Incrociò gli occhi cremisi del Magi incastonati in un viso cadaverico e divenuto serio da far inquietudine così, prima che cambiasse idea e la rinchiudesse nuovamente, la ragazza varcò la soglia con un sorriso vittorioso. Quando fu con entrambi i piedi all’esterno sentì qualcosa sbattere alle sue spalle con uno schiocco secco. Voltandosi trovò la porta chiusa e già immaginava che non si sarebbe aperta, ma tentò ugualmente.
Perfetto, pensò, adesso era chiusa fuori.
Scrollò le spalle; poco male, avrebbe girovagato un po’.
Le bastò un’occhiata per capire quanto fosse enorme quel luogo, e ciò che vedeva non era altro che una briciola: un palazzo, non poteva essere altrimenti. Lo spiazzo che aveva osservato prima sembrava ondeggiare sotto la calura del sole, seguì con lo sguardo le pietre di cui era composto fino a un’ampia costruzione dal tetto buffo e rossiccio a spiovente e le pareti bianche e compatte. Oltre l’arco che attraversava il muro intuì ci fosse uno spazio uguale a quello che aveva davanti.
No, da quella parte non sarebbe passata. Troppo caldo.
Preferiva notevolmente l’ombra e così s’incamminò lungo i rialzi di legno che immaginava percorressero come una fitta rete di passerelle tutto il palazzo, erano sicuramente più comodi che passare sulla pietra resa rovente dal sole e Aysel non rischiava di friggersi i piedi in quel modo.
L’unica cosa che la disturbava era il pensiero di incontrare qualcuno perché, pur non avendo mostrato di badarci, le parole di Judal le ronzavano nelle orecchie come il più fastidioso degli insetti. Beh, c’era anche il fatto che avesse ammesso candidamente che l’avrebbe uccisa, una volta annoiato dalla sua presenza.
Un motivo in più per andarsene, considerò la ragazza.
Rimase sommersa dai suoi pensieri finché non urtò qualcosa –o qualcuno– finendo con il sedere sulla fresca superficie legnosa, la seconda botta circa nello stesso punto in nemmeno un giorno: la sfortuna doveva avercela con lei. Le scappò una piccola imprecazione a quel pensiero pessimistico unito al dolore nella parte bassa della schiena; alzò il viso incrociando due occhi rosa e grandi e sorpresi, divertiti quasi.
Aysel rimase incantata dal quel viso così niveo e dai tratti femminei, gli occhi grandi e rosei e i bizzarri capelli di una tonalità simile, ma più intensa e vivace, con tre piccole treccine nella frangia e un paio di ciocche lunghe fino al ventre che scendevano a incorniciargli il volto. I vestiti erano eccentrici e bizzarri e, si chiese distrattamente, come non facesse a perdere quei buffi pantaloni così calati sui fianchi… Le sorse un dubbio e si crucciò.
«Ma tu, sei maschio?» chiese prima di poterselo impedire; il ragazzo, con indosso un buffo cappellino verde, sbatté le palpebre, evidentemente confuso, o forse sorpreso, dalla domanda.
«Sì, e tu sei femmina?» replicò lui con un mezzo sorriso sul volto.
Anche la ragazza sorrise istintivamente «Direi di sì. Sono Aysel.» rialzandosi notò quanto fosse basso quel ragazzo, probabilmente sul metro e sessanta, e quanto la differenza di altezze tra loro somigliasse a quella tra lei e Judal. Si diede dell’idiota per aver permesso, oltre al nome, anche al ghigno strafottente del Magi di balzarle alla mente.
«Kouha, terzo principe dell’impero Kou.» si presentò lui, con uno strano sorriso sul viso chiaro. Aysel notò un bagliore diverso nei suoi occhi e, n’era quasi certa, non era la prima volta che lo vedeva da quando si era svegliata.
«Principe? Perciò…» portò un dito alle labbra con fare pensoso «Siamo in un palazzo imperiale, giusto?».
Il ragazzo annuì «Sì, siamo nel palazzo dell’Impero Kou.» trovava fosse proprio strana quella ragazza, però aveva dei capelli davvero lunghi… E così a Kouha balenò in testa un’idea davvero carina, ma prima doveva accertarsi di una cosa.
Fu un solo istante di buio, giusto il tempo di sbattere le palpebre, ma evidentemente a Kouha bastò per colmare il breve spazio che li divideva e inchiodare Aysel con uno sguardo penetrante; istintivamente fece per arretrare, scappare lontano, eppure non riusciva a muovere un singolo passo. Erano inquietanti quegli occhi, ora divorati completamente nel bagliore che aveva scorto di sfuggita: follia. Ecco cos’era e l’aveva già notata in una coppia di occhi rubino già fin troppo familiari; la spaventava quella pazzia, latente o palese che fosse, forse più del sorriso al limite del sadismo che incurvava le labbra sottili del principe.
«Allora?» fece lui; Aysel deglutì il groppo e biascicò un tremolante «C-cosa?», maledisse mille volte quell’incertezza sintomo di paura, anche se, in effetti, con l’espressione che aveva Kouha c’era solamente da darle ragione: sembrava stesse immaginando di smembrarla in quello stesso istante e aveva anche l’aria di divertirsi un mondo.
«Perché sei qui?».
La ragazza, con disappunto, si ritrovò a dar ragione a Judal perché, come predetto, era stata scambiata per un’intrusa; mise su ugualmente un mezzo sorriso «Ecco, ti sembrerà bizzarro, ma mi sono svegliata qui. Ehm, nella stanza di Judal, sì. E non ricordo nulla, purtroppo sono affetta da amnesia perché in testa ho solo uno sfondo nero e compatto.» cui seguì la miglior espressione abbattuta che le riuscì. Sperava di suscitare un po’ di compassione nel principe così, magari, non l’avrebbe sventrata spargendo il suo sangue sulle assi chiare. Sarebbe stato un peccato talmente erano ben tenute e non ci teneva ad ammirare le sue interiora. Preferiva rimanessero dov’erano.
Inclinò la testa in un miscuglio di curiosità e confusione, infine, tornò a sorridere sereno come prima e il bagliore di follia tornò a essere una puntina nell’iride rosa.
Forse l’aveva scampata pensò, con un certo sollievo, Aysel.

☽ ✧ ☾


Intrecciava con minuzia, velocità e metodo quelle lunghe ciocche argentate strette saldamente tra le sue dita affusolate; mentre Aysel, seduta con la schiena rivolta a Kouha, scrutava da un po’ di minuti le tre strane donne dalle bende e i lunghi kimoni.
Avvertiva come un senso d’invidia pizzarle le viscere, ma non era sua quella sensazione che la schiacciava con prepotenza; come se non bastasse, era sicura che le tre assistenti –serve, schiave o qualunque cosa fossero– la stessero osservando perché, seppur fossero bendate, avvertiva i loro sguardi bruciare come fuoco la sua nuca. Possibile fossero gelose di lei perché stava ricevendo “attenzioni” dal principe? Magari l’invidia che le pizzicava il ventre era la loro… Possibile?
Oh, ma non essere ridicola! Si disse con un deciso tono di rimprovero: che diamine andava a pensare?! Assurdità, ecco cosa!
«Hai finito?» chiese, la voce strascicata, i muscoli doloranti per l’immobilità e il sedere che non ne poteva più di stare su quello scomodo pavimento di legno che, dopo un’ora, iniziava a sembrarle più duro di quanto non fosse in realtà.
Kouha sbuffò contrariato per l’interruzione «Ancora una e poi basta!»
«Hai detto la stessa cosa per questa treccina, e quella prima, e per la terzultima, e quella prima ancora!» fece Aysel evidentemente esasperata; però durante quel tempo aveva ricordato un’altra cosa: la sua età. Non era molto, certo, ma era ugualmente felice perché aveva aggiunto un altro piccolo strappo al velo nero che copriva i suoi ricordi. Adesso sapeva di chiamarsi Aysel e avere diciassette anni, la stessa età del principe.
Il ragazzo non replicò, finì semplicemente d’intrecciare l’ultimo pezzo della ciocca e la fermò lasciandola poi cadere nel mezzo della chioma «E va bene.» si arrese «Ho finito!» stiracchiò le braccia tendendo i muscoli indolenziti, «Però la prossima volta li intreccio tutti, questi capelli!» fece con tono scherzoso ma Aysel pensò non fosse per niente una battuta bensì una sottile promessa di rivincita: non aveva rinunciato a riempirla di trecce, solo rimandato.
Chiacchierarono ancora per un po’ scambiandosi frecciatine amichevoli. Non sembrava nemmeno si fossero incontrati appena un paio d’ore prima, ma assomigliavano più a vecchi amici che si vedevano dopo lungo tempo. Quando Aysel lasciò la stanza per proseguire il suo giro turistico –magari avrebbe cercato Judal per dirgli che aveva una fame dell’accidenti– si accorse che tra una parola e l’altra si erano scambiati una specie di promessa di rivedersi presto così da finire le trecce e parlare un altro po’ assieme.
«Magari,» pensò ad alta voce mentre percorreva i corridoio, il viso rivolto in alto e le mani dietro la schiena «potrei rimanere qui finché non avrò recuperato la mia memoria, con calma però.»
Due voci le giunsero alle orecchie con il rumore di passi sempre più vicini e, in fondo al cortile, scorse la lunga treccia pece del Magi che camminava accanto a una ragazza più bassa di lui e con vivaci capelli di un rosa scuro e il kimono che strisciava sul terreno. Battibeccavano, ma in modo amichevole e si stavano dirigendo da lei.
Aysel non sapeva cosa fare, la metteva in soggezione il Magi e, magari, non avrebbe gradito essere interrotto così, chissà magari era la sua fidanzata oppure amante, o amica o… Troppe congetture, possibilità e strade tutte differenti.
In preda a un panico ingiustificato fece la prima cosa che le saltò in mente: andò dritta un paio di passi e si nascose dietro all’angolo successivo, pregando che i due non svoltassero proprio per quella direzione.
Infondo di sfortune ne aveva già avute a sufficienza, no?
Non poteva andare storta anche quella fuga improvvisata… O forse sì?
















{Angolo di una Festa}
Perfetto, adesso passo a dire due cosine sul capitolo... C'è Kouha, yes! *w*
Mi piace un sacco come personaggio, quindi perché non metterlo? Poi trovò sarà un ottimo amico per Aysel, o almeno spero ahah.
Nel prossimo capitolo compariranno altri membri della famiglia imperiale: arriverà lo psicologo improvvisato di Aysel! Ahahah. Sono immersa nel sesto capitolo, più in là comprenderete le mie parole. Tranquilli.
A venerdì prossimo e passate anche di Moments, eh. ❤


Kuro

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Capitolo 4
*** Capitolo III ✧ Paura. ***


Torno a essere noiosa, perché ogni tanto ci vuole: se vi piace ciò che scrivo, lasciate un commentino. Ve lo chiedo con il cuore, ci tengo a sapere le vostre opinioni e critiche.
Non stiate timidi che non mangio nessuno io.
Grazie per l'attenzione. ❤︎









Capitolo III

Paura.



Il cuore le martellava nel petto come impazzito, più le voci di Judal e della ragazza si facevano vicine più sentiva i tonfi sordi rimbombare dal centro del petto sino alle orecchie. Erano assordanti, fastidiosi e le mettevano solamente ansia da sommare a quella che già le annebbiava la mente. Non riusciva a pensare con lucidità, d’altronde se l’avesse fatto, non si sarebbe certo nascosta appena dietro l’angolo leggermente in ombra; no, avrebbe salutato e proseguito per la sua strada.
Picchio sul muro dietro di sé la testa, una due tre volte, nella speranza fosse tutto un orribile sogno e così si sarebbe risvegliata nel suo letto, a casa sua.
Già, casa sua… Chissà com’era. Grande o piccola? Accogliente o vuota? Vitale o spenta? Di legno o di paglia?
«Esistono davvero le case di paglia?» ragionò con la voce ridotta a un sussurro, non poteva rischiare di farsi scoprire per un errore così sciocco!
Il legno produsse un leggero scricchiolio quando i due salirono i tre gradini che dividevano le passerelle dal terreno cotto dal sole; Aysel pregò ancor di più, chiunque fosse in ascolto, di non farli passare per quella via. Sentiva i due bisticciare, la voce femminile che prorompeva in qualche acuto rimprovero contrapposto al tono strafottente e sarcastico del Magi.
Se doveva essere scoperta, tanto valeva ascoltare almeno cosa stessero dicendo, no?
E così fece: tese l’orecchio per origliare le parole che si stavano dicendo, capiva poco con il cuore a riempirle le orecchie del suo martellare incessante, ma colse un riferimento a lei e si sforzò di zittirlo per ascoltare meglio.
«Allora Judal-chan?»
«Ah? A cosa ti riferisci vecchia befana?»
La ragazza proruppe in un lamento stridulo «Non chiamarmi così!» e dopo aver alzato la voce di un paio di ottave, si ricompose come se nulla fosse accaduto, «Mi riferivo alla persona che hai detto di aver trovato vicino al palazzo. Cosa ne hai fatto?» non riuscì a nascondere del tutto la curiosità.
Aysel si figurò il Magi camminare con le mani dietro la testa e l’espressione annoiata in viso, d’altronde non poteva sporgersi quindi si arrangiava immaginando i due impegnati nella conversazione.
«Ah, Aysel.» disse lui, ma fu costretto a interrompersi a causa di uno sbadiglio «L’ho tenuta nella mia stanza, adesso però credo sia a zonzo per il palazzo. Se non l’hanno già uccisa.» soggiunse dopo una breve pausa a effetto.
Il volto della principessa cambiò venti differenti tonalità di rosso «J-J-Judal-chan! Nella tua st-stanza?! È una cosa assolutamente indecente!» portò una lunga manica davanti al viso, tentando di coprire il rossore delle guance e sfuggire allo sguardo divertito del ragazzo che proruppe in una grossa risata.
Anche Aysel, dal suo nascondiglio, ridacchiò divertita; almeno finché un’immagine –di lei distesa tra i cuscini dell’ampio letto con Judal a tenerla bloccata con i suoi muscoli e i loro visi pericolosamente vicini– non le balenò alla mente facendola avvampare e diventare più rossa della principessa. La scacciò di prepotenza: lo conosceva da nemmeno un giorno, che diamine!
Impegnata com’era a far sbollire le guance accaldate tamponandoci sopra le sue mani gelide –chissà perché aveva le dita così fredde–, aveva scordato di ascoltare il resto della conversazione e non aveva nemmeno notato che Judal e Kougyoku avevano proseguito per la strada da cui era venuta lei e perciò era salva. Quando, finalmente, si rese conto che i due non erano più lì, decise di riprendere la sua piccola avventura all’esplorazione del palazzo; si rimise quindi in piedi, sbatacchiò un po’ la lunga gonna per pulirla –era tanto bella e le dispiaceva sporcarla– e scese nello spiazzo sotto il sole, proseguendo nella direzione da cui era arrivato Judal assieme alla ragazza.
Mentre camminava, era più impegnata a rimuginare sul pezzo di conversazione origliato che a guardarsi attorno. «Quindi… Judal mi ha trovato, cosa piuttosto ovvia sicché ero nella sua stanza. Però che diamine ci facevo fuori dal palazzo, io?!» con un verso di frustrazione si mise le mani nei capelli: ci capiva sempre meno di tutto ciò che le stava accadendo! Troppe cose in troppo poco tempo, faticava ad assimilarle.
Sentiva la testa scottare per il sole, ed ebbe lo strano impulso di avventarsi su una colonna e sbattercela forte anche a costo di aprirsi in due il cranio: voleva ricordare e scappare da quel palazzo.
Voglio scappare da lui. Da Judal.
La considerazione così improvvisa e sconvolgente la colpì come uno schiaffo; non si capacitava di poter essere spaventata a tal modo da una persona, le pareva un’assurdità. Eppure… Eppure sentiva un cieco terrore a pensare all’opprimente sguardo cremisi del Magi bruciarle la schiena, la sua oscura presenza che la schiacciava come un macigno; doveva essere masochista –non poteva essere altrimenti– poiché una piccola e malsana parte di lei che era incuriosita –quasi attratta– da Judal.
Sembrava una gabbia di pazzi quel palazzo: che un solo giorno lì l’avesse resa matta? «Per essere interessata a un tipo terrificante come quello, beh, devo essere ammattita pure io… Magari la mancanza di ricordi mi porta a vedere Judal come un appiglio?» sembrò valutare con attenzione quella possibilità, una mano sotto il mento e l’aria pensosa. Alla fine fece un gesto –come per allontanare un insetto molesto– e decreto l’idea come una grandissima idiozia, «Impossibile.» affermò.
Persa in considerazioni varie si era bloccata in un angolo dello spiazzo, sotto le fronde ampie e verdi di un albero, che riluceva di un colore smeraldino colpito dai raggi del sole, e aveva preso a dondolare avanti e indietro sui piedi. Punte e talloni, punte e talloni, e ancora, punte e talloni; sembra come impaziente di qualcosa mentre parlottava a mezza voce tra sé. E rimuginava richiamando alla mente l’immagine di Judal stravaccato sul letto che sogghignava, ma era certa –non sapeva bene come né perché– che fosse irritato; le stava succedendo spesso di percepire sensazioni strane, non sue, e la cosa la inquietava abbastanza. Ma subito i suoi pensieri virarono altrove. Erano un enorme ammasso aggrovigliato che non riusciva a districare, e passava da un ricordo all’altro, dalla preoccupazione e paura, all’imbarazzo con un lieve tono porpora a tingerle le gote. Sì, imbarazzo, perché solo in quel momento le tornò alla mente com’era stata audace, la sera prima, addormentandosi sullo stomaco del Magi. A ripensarci sentiva le guance andare a fuoco, e le tamponò con le dita ancora fresche.
«Ma che diamine!» sbottò di punto in bianco, «Perché mi faccio così tanti problemi?!» e si appoggiò alla corteccia ruvida dell’albero, la schiena seminuda coperta dai lunghi capelli, e sospirò «Va bene, devo ammettere che Judal è bello e ha un fisico di tutto rispetto e- Si può sapere che sto blaterando?!» prese a rimproverarsi da sola, per fortuna senza alzare troppo il tono di voce, ma sempre parlottando tra sé come un matta e il corpo da favola del Magi nella testa. E via, l’ennesimo sospiro lasciò le sue labbra che mordicchiò leggermente prima di dar voce a un pensiero che la ossessionava «Però m’inquieta.» assaporò la parola che le scivolò fuori quasi a fatica e la trovò amara «Mi fa tanta paura, in certi momenti.», si pensò strana a fare considerazioni del genere su qualcuno che conosceva da appena un giorno ma, d’altronde, che altro doveva fare? Non aveva ricordi e la situazione in cui si trovava non era delle migliori, quindi preferiva tenere la mente occupata con pensieri ora maliziosi ora terrorizzati, piuttosto che ragionare sulla sua amnesia.
«Diamine! Sbavo dietro al fisico di un tizio che m’inquieta da impazzire, quando non ricordo nemmeno che faccia ha mia madre o il nome della mia terra natia?!» abbandonò la testa all’indietro lasciandola scontrare con la corteccia dura, magari una botta l’avrebbe fatta rinsavire oppure si sarebbe ricordata qualcosa… Ora come ora le andava bene qualsiasi cosa, anche la più insignificante. Persino prima chiacchierando con Kouha, quando aveva ricordato la sua età, era stata incredibilmente felice; non era certo una gran cosa, però, per lei che nella mente aveva solo un velo scuro, aveva significato così tanto da essere quasi ridicola l’emozione provata per una cosa banale come sapere i propri anni.
Un brivido le corse dal collo sino alla pancia, passando per l’incavo dei seni e provocandole una sensazione di freddo sulla pelle accaldata dall’afa; sentiva, però, anche un qualcosa di appiccicoso, dove scorreva la goccia dal leggero colore rosato. L’osservò, con occhi curiosi, scendere sino alla pancia piatta –sembrava un po’ sottopeso– e fermarsi all’ombelico, dove l’asciugò con un gesto rapido. Chissà da dov’era caduta quella gocciolina gelida e appiccicaticcia?
Istintivamente spostò lo sguardo in alto, tra le fronde degli alberi, dove scorse la figura, pigramente sdraiata su un possente ramo, di Judal che addentava un frutto rosato e tondeggiante; certo che, considerò Aysel, la sfortuna l’aveva a morte con lei!
Era sicura che, schiacciata dallo sguardo rubino del Magi, le sue guance avessero cambiato una vasta gamma di tinte, dal rosso più intenso come un incendio sino al più lieve tono porpora. Era confusa, smarrita come un agnello indifeso che si allontana dal gregge, e adesso mancava solo che uno dei tanti interrogativi –forse quello più a portata di risoluzione o, magari, il più complesso e oscuro– che le vorticavano per la testa, la ascoltasse fare considerazioni non proprio innocenti su di lui.
Aveva ammesso di avere paura di Judal: era come se il sopraddetto agnellino disperso nel bosco buio si dipingesse sul candido vello la parola “Mangiatemi”, un invito allettante per affamati lupi. Ed era il medesimo errore che Aysel aveva appena commesso, seppur involontariamente, dando a Judal –il predatore– un esplicito invito a “mangiarla”, per così dire.
«J-Judal!» esclamò, cercando di apparire il più naturale possibile, e stirò un sorriso sulle labbra, «Ti stavo proprio cerc-»
«Fifona.»
«Io non-»
«Maniaca.»
«Ju-»
«Patetica.»
«Altro?» domandò con una nota di sarcasmo, più per coprire l’imbarazzo –sarebbe sprofondata in quel medesimo istante se solo avesse potuto– che per altri motivi. In effetti, si augurava non avesse altre frecciatine per lei, il Magi dal sorriso sin troppo divertito.
Non replicò, bensì si lasciò cadere dal ramo atterrando con sorprendente leggerezza a un soffio da Aysel che, d’istinto, arretrò di un passo. Si maledisse come mai aveva fatto –o almeno dal momento in cui si era svegliata, il giorno prima– per quella prova di debolezza: non voleva mostrarsi spaventata davanti a un essere così schifosamente arrogante.
Optò per sviare il discorso. Studiò lo strano frutto che l’Oracolo teneva ancora stretto in mano, dalla forma tondeggiante e il colore rosato; doveva essere molto succoso vedendo le gocce ampie che colavano dalle zone addentate.
«Che cos’è?» domandò puntando il dito e fissando gli occhi blu, grandi e curiosi, in quelli cremisi di Judal, affilati e annoiati.
Nemmeno questa volta rispose. Avvicinò il frutto ad Aysel, come a volerglielo offrire, ma quando questa fece per afferrarlo, con un abbozzo di sorriso e sorpresa dalla strana gentilezza, Judal lo scostò rapidamente riportandoselo alle labbra e addentandolo con gusto. La ragazza sollevò un sopracciglio in un’espressione a metà tra il rassegnato e lo scettico. Per un momento si era illusa e, doveva ammetterlo, c’era rimasta piuttosto male, ma doveva aspettarselo da un arrogante sadico come Judal; le c’era voluto davvero poco per inquadrare il ragazzo.
E lui sorrise, divertito «Una succosa pesca.» disse addentando nuovamente il frutto e asciugandosi con un gesto sbrigativo il succo che colava da un lato della bocca.
«Pesca…» Aysel fece rotolare la parola in bocca, assaporandola e, appurò, l’aveva già sentita: conosceva quel frutto. «È dolce, vero? Però anche appiccicosa…» annuì e non badò minimamente all’espressione accigliata del Magi.
Aprì bocca, la ragazza, voleva porgere un’altra domanda, anzi, convincere quel presuntuoso di un Oracolo a farle assaggiare la pesca, ma non parlò mai. Si bloccò, paralizzata da un brivido gelido che le corse sulla schiena e da una sensazione sgradevole, come se una coltre nera la stesse per inglobare, soffocandola. E la sua mente le urlò di correre, fuggire da lì e non voltarsi. Ma le gambe ignorarono quel comando e sembravano divenute di dura e pesante roccia, un blocco unico con il pavimento.
Alzò il viso, Aysel, alla ricerca degli occhi del Magi, nell’impulso disperato di comunicargli il suo malessere, ma quelle pozze rubino erano troppo intente a fissare qualcosa oltre per curarsi della ragazza aggrappata al suo braccio.
«Oh Judal, così sarebbe lei la ragazza che hai trovato?» parlò una voce femminile dal timbro tranquillo che, però, fece contorcere le viscere di Aysel che si voltò con lentezza esasperante, combattuta tra la curiosità e la paura e l’impulso irrealizzabile della fuga.
«Sì.» fece il Magi e si spostò di un passo avanti. La ragazza seguì senza fiatare o mollare la presa sul braccio –idea che non aveva nemmeno per l’anticamera del cervello– del ragazzo diventato, in un momento, la sua ancora di salvezza: sentiva ancora le gambe troppo molli perché potessero sostenerla.
La donna che si trovava difronte era… Strana. Non avrebbe potuto definirla in altro modo. Stava sorridendo in modo cordiale, eppure Aysel sentiva sempre più la necessità di allontanarsi da lei. Era una bella donna con capelli corvini che si sposavano bene con gli occhi di un tenue azzurro. L’abito che indossava le ricordò quello che aveva visto addosso a Kougyoku, poco prima; probabilmente era tradizionale per loro.
Aysel tentò, fallendo miseramente, di deglutire il groppo che le paralizzava la gola; strinse ancor più la presa facendo affondare le unghie nella carne, tenera e fredda e candida, di Judal che però parve non accorgersene o finse di non badarci.
«Aysel,» la richiamò con tono di comando, quasi fosse il suo assoluto padrone e lei gli dovesse totale obbedienza, «questa è la moglie dell’Imperatore: Ren Gyokuen.»
E quando intravide un uccellino, piccolo e scuro come una notte senza né luna né stelle, volteggiarle accanto con grazia, seppe di dover stare il più lontano possibile da quella donna. Non sapeva come e perché, ma non doveva averci troppo a che fare: era pericolosa.
















{Angolo di una Festa}
E siamo alla fine del terzo capitolo, olè! ~
Che dire... Arriva Gyokuen, personaggio che sopporto decisamente poco, e nel prossimo capitolo svelerà un paio di cosucce alla cara Aysel.
Spero abbiate gradito e in caso di errori fatemeli notare senza problemi, ho ricontrollato ma qualcosa scappa sempre.
Che tenera Aysel che fa certi pensieri sul bel Magi, ahahaha :3
A venerdì prossimo. ❤


Kuro

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Capitolo 5
*** Capitolo IV ✧ Insegnamenti. ***


Ennesimo avviso pre-lettura.
Lo so, lo so che sono a dir poco noiosa e petulante però ci tengo a dirvi due cose essenziali: la mia autostima già scarsa cala a picco sempre più, ho assoluta intenzione di finire questa long anche se il mio entusiasmo è calato a causa della scarsa partecipazione e temo davvero di star scrivendo un ammasso obbrobrioso di scemenze... Seconda cosa, non credo riuscirò ad aggiornare ogni venerdì, ho praticamente finito i capitoli già scritti e sono ferma al sesto ancora. Farò comunque del mio meglio per non far attendere ere geologiche tra un capitolo e l'altro, sono piuttosto puntigliosa quindi mi scoccerebbe molto ritardare eccessivamente.
Grazie per l'attenzione. ❤︎









Capitolo IV

Insegnamenti.



«Io… I-io sono Aysel.»
Non uscì altro dalle labbra pallide della ragazza, e anche quelle poche e tremolanti parole furono così strozzate e flebili da essere appena udibili; aveva paura di quella donna, molta più che di Judal. Almeno lui riusciva a guardarlo negli occhi senza sentirsi soffocare.
Dita sottili e gelide le sfiorarono una guancia, mentre la stoffa della lunga manica le solleticava il petto; d’istinto Aysel tentò di ritrarsi da quel tocco, scottata dal gelo di quella carne, ma era ancora ancorata al braccio del Magi che rimase immobile, come fosse solo una statua scolpita in nivea e solida pietra. E quindi, senza possibilità, si lasciò carezzare pregando finisse presto. Voleva solo lasciarsi andare e gridare fino a sentire i polmoni andare a fuoco e la gola raschiare –minacciando di abbandonarla–così almeno avrebbe sfogato ansia e paura e frustrazione, tutto in una volta sola.
«Sei una ragazza davvero bella, Aysel.» fece Gyokuen spostando la mano per afferrare una treccina e osservarla con interesse «L’ha fatta Kouha, vero? Spero non ti abbia assillato; sai, sa’ essere davvero capriccioso quel ragazzo.» il tono era diventato condiscendetene e affabile, eppure, la ragazza percepiva chiaramente quanto falsa fosse la consorte dell’Imperatore. Nemmeno Aysel sapeva bene dire come o perché fosse così sicura sulla natura malevola della donna, lo sentiva e basta.
Però era certa di non sbagliare.
«N-no, non vi preoccupate.» cercò di mantenere un tono fermo e deciso, non voleva vacillare davanti a lei. Davanti a Judal. Scosse piano il capo in un gesto di diniego «Non mi ha infastidito, anzi, è stato molto gentile con me, il principe Kouha.» ed era vero, si era trovata benissimo in compagnia di quel ragazzo da capelli rosa e la strana mania delle treccine. Però, doveva ammetterlo, era davvero capriccioso se ci si metteva.
Aysel sentì i capelli nuovamente liberi e si azzardò a guardare in volto la donna di poco più bassa di lei; quando incrociò quegli occhi gelidi avvertì l’ennesimo cedimento delle gambe, così si ritrovò a stringere sempre più la presa sul braccio di Judal. Era certa che, appena Gyokuen si fosse allontanata, il Magi l’avrebbe, come minimo, strangolata per i segni sanguinolenti che gli stava lasciando mentre conficcava le unghie nella sua carne nel disperato tentativo di non franare a terra.
«Interessante, piccola Aysel.» disse melliflua la consorte del sovrano dopo aver scrutato, per un tempo che alla ragazza parve infinito, nel fondo dei suoi occhi blu. Era certa che le avesse curiosato sin dentro l’anima e la cosa non le piaceva per niente.
«Cosa?» fece di rimando, improvvisamente sulla difensiva, ma non si ritrasse; probabilmente, o almeno così sperava, si stava abituando alla presenza opprimente della donna.
Qualcosa di scarlatto baluginò negli occhi di Gyokuen, ma fu troppo breve perché Aysel fosse sicura di ciò che aveva visto.
«So che non hai ricordi.» non era una domanda, eppure la ragazza si ritrovò ad annuire istintivamente «Però, so anche una cosa che tu non sai. Dimmi piccola Aysel, vuoi saperla anche tu?» e annuì nuovamente, con più foga questa volta. Non si fidava minimamente di quella donna inquietante, però si rendeva conto che anche la più piccola informazione poteva esserle utile a ritrovare se stessa. Inoltre, sapeva –sentiva– che non le avrebbe mentito. Anche Gyokuen mosse impercettibilmente la testa, coprendo una leggera risata con la lunga manica dell’abito, «Bene, piccola Aysel. Tu sei empatica.» sussurrò piano, quasi temesse di farsi udire da orecchie indiscrete.
«Eh?» doveva avere una faccia ridicola in quel frangente siccome, sia Gyokuen sia Judal, si lasciarono sfuggire una risata divertita. Di scherno. Aysel, dal canto suo, affondò ancora di più le unghie nel braccio del Magi ma non perché avesse nuova paura da sfogare, lo fece solo per vendetta; era caldo il sangue del ragazzo che le scorreva sulle dita, eppure qualcosa le diceva che se paragonato a quello di altri, era freddo.
«Em-pa-ti-ca.» sillabò con cura la donna «Significa che puoi sentire le emozioni delle altre persone; ti sarà capitato, da quando hai ripreso conoscenza, di avvertire sensazioni, sentimenti, non tuoi, giusto?».
«Beh sì, credo sia capitato…» ammise, seppur con riluttanza, e la donna sorrise soddisfatta.
Un nuovo lampo di oscurità serpeggiò negli occhi chiari della consorte imperiale e Aysel, questa volta, seppe di non starsi sbagliando.
Incuriosita da questa “empatia” tentò di entrare in contatto con le emozioni di Judal e, stranamente, riuscì senza grossi problemi; la noia, la sferzò come un arbusto sotto il vento forte e un senso d’irritazione le pizzicò le viscere. Il Magi doveva essersi accorto di qualcosa –forse perché Aysel lo stava fissando con un’intensità quasi inquietante– e le rifilò uno sguardo tagliente di avvertimento, che la ragazza colse al volo tornando a guardare Gyokuen. Ma la donna era già sotto la fresca ombra delle vie che collegavano il palazzo, diretta chissà dove e con uno strano sorriso dipinto sul volto chiaro.
«Che donna inquietante…» bofonchiò Aysel libera, finalmente, di rilassarsi e rilasciare il braccio del Magi dalla presa ferrea delle sue unghie; colpevole, guardò le mezze lune sanguinanti incise nella pelle del ragazzo e, da una parte, pensava se lo meritasse per quello che le stava facendo patire, ma, dall’altra, sentiva anche un po’ di dispiacere. E poi, a dirla tutta, non credeva nemmeno di aver stretto così tanto da infilzarlo; doveva essere stata proprio spaventata.
La calma prima della tempesta, pensò la ragazza vedendo Judal tranquillo –fin troppo– mentre studiava i segni nel braccio. Non appariva nemmeno particolarmente interessato, eppure Aysel sentiva che in quel momento una fuga strategica era l’ideale per evitare il peggio.
Fece per aprire bocca e dirgli che aveva fame e che, quindi, sarebbe andata a cercare qualcuno –un cuoco doveva pur esserci, no?– per farsi preparare del cibo, ma fu bloccata con le labbra leggermente socchiuse e il viso imprigionato in una morsa di ferro. Poteva quasi sentire le ossa cedere e scricchiolare, i denti pronti a staccarsi dai loro alloggi, e temeva sarebbe finita con ingoiarne uno. Il fiato caldo del Magi la solleticava, era vicino –troppo vicino– e tanto arrabbiato. Che eufemismo! Non riusciva a trovare una parola adatta per esprimere l’onda d’ira che le stava facendo rivoltare lo stomaco, accentuata dal viso contratto in una smorfia e i suoi occhi –spalancati– resi ancor più rossi dalla furia. E dall’evidente, malsano, piacere che traeva nel provocare sofferenza.
Stringeva la presa sul volto di Aysel, voleva farle del male non ucciderla, solo procurarle dolore, benché lei non gli avesse fatto granché mentre stritolava il suo braccio, lui sentiva l’impellente bisogno di farla soffrire. Infondo, da quando si era svegliata, era stato sin troppo buono con lei.
La ragazza era certa che la paura l’avrebbe invasa, eppure non era nulla più che un ronzio di sottofondo soffocato da una rabbia strana. Quella che sentiva Aysel non era altro che la rabbia di Judal che la stava rapidamente opprimendo, schiacciandola sotto il suo peso soffocante; però era un’ira differente, la sentiva dettata dalla pura e semplice necessità di ferire qualcuno, verbalmente o fisicamente che fosse, e il fatto che gli avesse inciso un braccio aveva solo fatto traboccare l’anfora di sadica perversione. Oltre a fornirgli un’ottima giustificazione per frantumarle la mascella.
Alla fine, la rabbia sopraffece la paura e Aysel reagì. Sapeva che avrebbe peggiorato la situazione, magari dopo di quello l’avrebbe uccisa direttamente tra schizzi di sangue e ossa sbriciolate, senza aver mai potuto vedere la sua casa e scoprire chi fosse davvero. Però non poteva né voleva subire ancora. E il suo ginocchio affondò leggermente nel petto scolpito e solido del Magi, ma fu più che sufficiente a fargli strabuzzare gli occhi dalla sorpresa e arretrare di qualche passo, una mano premuta sulla zona colpita e il respiro irregolare per pochi istanti.
Aysel non mosse un passo, bensì prese a massaggiarsi il viso dolente –persino il solo muovere le labbra era causa di fastidio– rivolgendo a Judal uno sguardo gelido senza traccia di timore, ma solo la spavalderia disperata di chi non ha nulla da perdere.
Ma lui, semplicemente, rise. Niente rabbia nelle sue pozze rubino, solo una risata vibrante e folle che saturava l’aria circostante, persino la leggere brezza che aveva iniziato a soffiare poco prima si zittì. Aveva le lacrime agli occhi dalle troppe risate, ma ci mise poco a ricomporsi e muovere passi decisi verso Aysel che, nemmeno ora, si mosse. Arrivato vicino a lei si chinò in avanti, le mani sui fianchi e la treccia scivolata oltre una spalla, con tono roco e di una cupezza inquietante le sussurrò qualcosa che la rese nuovamente rigida, neanche fosse stata come quell’albero lì accanto.
Non seppe quanti minuti rimase così. Solamente quando ebbe la certezza che Judal fosse lontano, lasciò che le gambe le cedessero finalmente e si accasciò sul pavimento. L’istinto di sbattere la testa contro il tronco dell’albero era forte, almeno avrebbe dimenticato quell’ultimo –orribile– giorno. Ritrovò, lì accanto, la pesca che stava sbocconcellando prima il Magi, era tutta ammaccata e piena di polvere, la studiò un poco e poi la fece volteggiare in aria. Non riuscì a prenderla al volo e la colpì in testa, rotolando poi per un metro scarso. L’abbandonò dov’era finita.
Ripensò brevemente all’incontro con Gyokuen e allo scontro con Judal: rise. Sapeva bene, Aysel, che non c’era da ridere dopo tutto ciò che l’era accaduto, eppure il pensiero di essere ancora viva la faceva sentire leggera oppure, perché no?, era stata solo contagiata dalle emozioni del Magi. Infatti, non poteva ignorare le lacrime che salate e impietose le solcavano le guance.
Aysel si ritrovò a ridere come una pazza senza però riuscire a fermare le lacrime, lì, accasciata sotto a un albero, per un tempo che nemmeno lei seppe quantificare.
«Sei interessante.» mormorò tra le risate «Detto da lui suona come una promessa del male in persona!» davanti agli occhi le sfarfallò qualcosa di nero, oscuro, ma batté le palpebre e quell’ombra era svanita.

☽ ✧ ☾


«Aysel, hai sbagliato ancora.» sospirò abbozzando però un sorriso «Si scrive così.» e ridisegnò con tratto fluido la parola sul foglio ingiallito, sotto gli occhi attenti della ragazza che seguiva, rapita, il movimento.
Lasciandosi andare contro lo schienale della seggiola studiò l’ideogramma, le sopracciglia aggrottate e le labbra imbronciate con una mano sotto il mento e l’altra impegnata a sorreggere il pennello intinto d’inchiostro. Alla fine si decise: tracciò con mano ferma il simbolo.
«Fatto!» esclamò soddisfatta ammirando la sua opera, e con un sorriso compiaciuto si voltò verso il suo “insegnante” in cerca di qualche segno d’orgoglio o complimento per la sua bravura.
Invece, contro i pronostici della ragazza, Koumei sospirò di nuovo abbassando leggermente il capo. Il dito affusolato del principe andò a indicare una linea –la medesima delle prove precedenti– nell’ideogramma: Aysel l’aveva attaccata –ancora– al tratto soprastante, anziché lasciare il piccolo spazio d’obbligo tra i due.
Intinse ancora il pennello nella boccetta d’inchiostro scuro e denso lasciando che una goccia precipitasse con uno “splat” sul foglio paglierino, e la stese con rabbia scarabocchiando l’ideogramma e finendo per strappare anche la carta. Koumei sospirò per la centesima volta: negli ultimi cinque giorni si era abituato a quegli scatti, improvvisi, di rabbia quando alla sua “allieva” cedevano i nervi. Era una ragazza con un certo caratterino, lo aveva capito subito.
«Che diamine! Stupidi ideo-cosi!» sbottò, seccata, Aysel mentre faceva svolazzare le ampie e lunghe –soprattutto fastidiose– maniche dell’hanfu bianco e blu che le avevano fatto indossare perché i suoi abiti erano “troppo poco consoni all’ambiente”. Odiava indossare quella massa ingombrante di stoffe sovrapposte che le limitava i movimenti e l’aveva già fatta cadere almeno cinque volte; rimpiangeva i suoi comodi vestiti che però, almeno, aveva ottenuto non fossero buttati ma solo riposti nell’armadio della stanza che le era stata concessa dalla strana donna. Gyokuen, se non ricordava male.
«Ideogrammi.» la corresse paziente sventolandosi piano con il ventaglio che si portava sempre dietro.
«Sì, quelli lì!» Aysel si massaggiò piano le meningi, un improvviso mal di testa che minacciava di aggredirla senza pietà «Possibile che io non riesca nemmeno a disegnarli correttamente?! Mi sa che dovrò studiare di più.» riprese tra le dita il pennello dall’impugnatura scura e le setole chiare e soffici «A me sembrano tutti uguali però! Koumei come farò a ricordare tutti i significati?» esclamò disperata sotto lo sguardo rassegnato del principe. Dimentica della pozza d’inchiostro sul foglio, abbandonò la testa con fare sconsolato e quando si risollevò, sotto richiamo del ragazzo, aveva una vistosa chiazza blu sulla guancia sinistra.
«Mah, è stato il male minore della settimana.» bofonchiò pulendosi con un fazzoletto. Decidendo di cambiare discorso il principe si rilassò sulla sedia, ammirando le pareti colme di libri e pergamene «Allora come vanno le cose con gli altri abitanti del palazzo?» fece con tono gentile, infondo non gli dispiaceva quella ragazza e sapeva anche che soffriva di una tremenda amnesia quindi sperava che almeno con gli altri principi si trovasse bene.
Aysel parve pensarci un po’ su, ma alla fine cominciò a raccontare «Tuo fratello Kouen l’ho visto solo da lontano e mi mette una soggezione dell’accidenti, quindi spero di non doverci parlare mai!» scosse la testa come a voler rafforzare il concetto e Koumei sorrise perché capiva che effetto potesse avere il fratello sulle altre persone « Kouha, invece, è una persona fantastica! Mi diverto a passare il tempo con lui, anche se è ossessionato dal farmi le trecce… Però le tre che lo seguono ovunque temo ce l’abbiano con me... Hakuei non l’ho conosciuta quindi non saprei, mentre Hakuryuu l’ho solamente intravisto che si allenava, un paio di giorni fa. Kougyoku è solo un’oca vanesia: mi irrita!» picchiò una manata sul tavolo facendo scappare una goccia d’inchiostro dalla boccetta; e Koumei si chiese cosa mai fosse capitato tra le due, ma preferì non indagare oltre. Tornò composta e incrociò –non senza problemi– le braccia al petto, come a voler chiudere lì l’elenco delle persone che meglio conosceva a palazzo.
«Judal?» chiese allora Koumei, un pizzico di curiosità in più a causa di voci che parlavano di un certo interesse mostrato dall’Oracolo per la straniera.
«Ah, lui… Lo evito. Tutto qui.» fece spallucce lasciando intendere che l’argomento cadeva lì. Dopo un paio di minuti espresse anche la strana inquietudine che le trasmetteva Gyokuen e il principe convenne con Aysel perché, in verità, suscitava le stesse emozioni anche in lui e non solo… Era lo stesso un po’ per tutti i principi e le principesse: era una donna oscura e lo sapevano tutti.
Perso nei suoi pensieri, il giovane non si era accorto che Aysel aveva ripreso a scarabocchiare sul povero foglio malconcio. Si sporse, curioso «Stelle?» domandò, sorpreso, notando la moltitudine di figure comparse sulla carta. La disposizione sembrava assolutamente casuale.
La ragazza fece nuovamente spallucce con noncuranza «Mi piacciono le stelle, tutto qui.» e riprese a disegnare.
Riempì, nell’ora successiva, due fogli interi di figure composte di sole stelle disposte in maniera ordinatamente casuale.
















{Angolo di una Festa}
Ed è arrivato anche Koumei! Yuppi~
Nuove informazioni, Aysel che colpisce Judal e fa la cocciuta non correggendo gli errori: è stupida o solo testarda? Mah! Ahahah.
Spero vi piaccia il capitolo, beh la storia in sé.
Mi sono messa ad aggiornare un po' tardi, quindi per soli 12 minuti il capitolo è pubblicato di sabato! u.u
Fatemi notare senza problemi eventuali errori e se avete critiche, beh, fatemele pure presenti.
Alla prossima e recensite, ci tengo tanto io -e la mia autostima-. ❤


Kuro

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Capitolo 6
*** Capitolo V ✧ Rukh. ***


Solito, piccolo, avviso.
Non ho impiegato troppo ad aggiornare, visto?
In effetti, ero indecisa se farlo oppure no, e ci tengo voi lo sappiate. È un peccato vedere il fandom di un anime/manga così bello, tanto desolato... E il fatto mi stava spingendo a non aggiornare, optando per attendere tempi migliori. Però non lo farò. Andrò avanti perché non ho intenzione di abbandonare questa storia, ci tengo troppo per farlo, quindi vi chiedo con tutto il cuore di non abbandonare me. Chiedo, a voi che leggete, di recensire ogni tanto e farmi sapere cosa pensate, se avete critiche o errori da segnalare oppure, semplicemente, dirmi che vi piace. Anche poche righe mi fanno piacere, davvero.
Grazie per l'attenzione. ❤︎









Capitolo V

Rukh.



La mattina seguente si risvegliò in un bagno di sudore freddo. Il cuore le pompava così rapido nel petto che pensò avrebbe finito con il frantumarle una costola, e il respiro era tanto accelerato che temette di strozzarsi nel tentativo di respirare. Scalciò con urgenza le coperte divenute, di un tratto, soffocanti come una prigione di soffice stoffa dalla bella tonalità candida come una nuvola. Saltando fuori dal letto incespicò perché il piede rimase incastrato in una piega della coperta e finì bocconi sul pavimento meravigliosamente fresco: rimase lì seduta cercando di ricordare, inutilmente, cos’avesse sognato di così sconvolgente.
«Diamine…» borbottò a denti stretti, tamponandosi il viso umido con la manica dell’hanfu semplice e leggero utilizzato per dormire. Ma era fradicio anche quello, quindi non servì a molto.
Lentamente si calmò: il cuore smise di scalpitarle nel torace e il respiro tornò tranquillo; sciolse le ginocchia dal petto e stese le gambe semi-coperte lungo il pavimento di lucido legno. Aveva bisogno assolutamente di un bagno rilassante, almeno si sarebbe tolta di dosso un po’ di quello sconvolgimento e, con un pizzico di fortuna, anche la sensazione orribile come di un coltello che le affondava nel basso ventre. Quel dolore che la colpiva con lancinanti fitte –terribilmente regolari– sembrava dirle che doveva ricordare un qualcosa di molto importante, ma, al contempo, era un’informazione che le scivolava via dalle mani come sabbia. Forse era un evento così traumatico o doloroso che il suo cervello le vietava di avvicinarvisi, spingendola lontano ogni volta si sentiva vicina a capirci qualcosa.
Per ora andava bene così. Infondo, se vi era legata la risata crudele e beffarda che le rimbombava roca tra le pareti del cervello, preferiva non ricordare affatto. Le metteva i brividi quel suono.
Si raggomitolò ancora, Aysel, tentando di scacciare le risate derisorie dalla mente ancora annebbiata.

☽ ✧ ☾

«Che meraviglia.» sospirò con un certo sollievo, mentre si faceva cullare dall’acqua calda e deliziosamente profumata dei bagni. Erano quelli della servitù del palazzo, ma rimanevano comunque a dir poco magnifici: un’ampia vasca interrata dalla forma a rettangolo, circondata da un pavimento piastrellato di un tenue blu screziato, il medesimo che tingeva sia le pareti sia le colonne portanti enormi e solide nella loro massiccia figura, dominava l’ampia sala da bagno. Come le era stato spiegato da una graziosa ragazza che lavorava lì a palazzo, prima di potersi immergere nella vasca era obbligatorio lavarsi con minuziosa cura; perciò lo spazio antistante era occupato da rialzi quadrati ricavati dal pavimento, ognuno provvisto di prodotti per l’igiene e una tinozza per sciacquarsi.
Aysel però, spossata com’era e desiderosa solamente di rilassarsi nell’acqua, si era distrattamente strofinata con un po’ di sapone dall’intenso profumo di fiori e abbandonata al tepore della vasca. Se l’avesse vista qualcuno… Si sarebbe di certo sorbita una ramanzina lunghissima sulle regole da seguire! Sghignazzò furbescamente ammirando i bagni deserti: c’era solamente lei.
Immersa fino al collo abbandonò la testa sul bordo; persa ad ammirare il soffitto giocava con il vapore che saliva lentamente: vi passava la mano nel mezzo, lo faceva separare e lo osservava ricompattarsi impassibile, mentre mandava goccioline ovunque. Bloccò la mano davanti al viso studiando l’acqua che la percorreva con lunghe scie, arrivando sino al braccio e poi più giù sulla spalla; le dita erano affusolate e sottili, ma i piccoli calli sul palmo le dicevano chiaramente che doveva aver lavorato. Non sapeva quando, per quanto tempo, né per chi o che lavoro avesse svolto, semplicemente aveva fatto qualcosa.
Magari era una contadina, oppure aveva servito in qualche sontuoso palazzo –quello del suo paese natio, sempre ammesso ne avesse uno–, o ancora una pescatrice! A ben pensarci non le sarebbe dispiaciuto e, tra le ipotesi che le balzavano alla mente, quella della pescatrice appariva come la più divertente. Chissà, non poteva esserne sicura, però trovò bello immaginarsi a bordo di una nave –niente di che, giusto una piccola barchetta bianca– mentre aiutava il padre a tirare su le reti colme di pesci che si dibattevano come matti prima a destra e poi a sinistra.
«Un padre, eh.» sospirò e scomparve qualche istante sotto il pelo dell’acqua resa di un tenue verde dalle erbe usate per profumarla.
Riemerse al centro della vasca e si perse a contemplare i suoi capelli che danzavano sinuosi, c’era anche una treccina sottile in mezzo alle ciocche argentee: erano affascinanti, in un certo senso quasi ipnotici.
Quando schiodò lo sguardo per puntarlo nuovamente al soffitto qualcosa era cambiato. C’era più vapore che saliva in ampi sbuffi, e il soffitto era una distesa blu e scura, quasi nera, punteggiata di ordinate gemme argentate: così familiare da essere doloroso.
Un movimento attirò la sua attenzione e si voltò a sinistra, spaesata dall’improvvisa intrusione eppure stranamente tranquilla, trovando una mano, tesa in un invito cordiale, dalla pelle leggermente abbronzata. Appena dietro stava un volto senza tratti distintivi, percorso da alcune gocce e contornato da capelli di un intenso blu, lunghi appena oltre le spalle e zuppi d’acqua. Stava sorridendo.
Aysel sentiva il cuore batterle all’impazzata desideroso di spezzare la costrizione delle costole e fuggire, la assordava e non udì la voce del ragazzo misterioso di cui vide solo le labbra rosate e fini muoversi.
“Ti amo.” Sbatté le palpebre e tutto tornò normale. Chi era? Perché le aveva detto quelle parole?
Una stretta minacciò di soffocarle il cuore: faceva male, dannatamente male. Il gusto di salato le invase la bocca, prepotente. Scappò nuovamente sott’acqua, lasciando le lacrime a mescolarsi con i profumi del bagno e pregando, inutilmente, che il basso fondo della vasca la inghiottisse per sempre.
Faceva davvero troppo male e non sapere il perché rendeva tutto peggiore.

☽ ✧ ☾

Dopo essersi rivestita in maniera approssimativa –non aveva ancora imparato come indossare l’hanfu– aveva preso a vagare per il palazzo, con i capelli ancora gocciolanti e lo sguardo perduto per chissà quali lande desolate. La sua mente era da tutt’altra parte e sommersa da pensieri di ogni genere, ma tutti conducevano al quesito più pressante: chi era il ragazzo che aveva visto?
Strofinò gli occhi; probabilmente si era rilassata fin troppo: doveva ritrovare la sua memoria e non socializzare con l’intero palazzo imperiale! Trovando i ricordi, avrebbe rivisto anche il ragazzo dai capelli blu. «Aveva un sorriso così bello…» mormorò sovrappensiero.
«Chi?» la voce, bassa e derisoria, parlò direttamente nel suo orecchio mentre il respiro caldo del Magi le solleticava il collo, con tanto di brividi a correrle lungo la schiena.
Aysel scattò con tanta foga che, se Judal non l’avesse prontamente spinta in avanti, gli avrebbe rifilato una sonora testata. La ragazza incespicò, quasi inciampò nel lungo e fastidioso orlo dell’hanfu, ma alla fine riuscì a recuperare un minimo di equilibrio perché potesse reggersi sulle proprie gambe.
«Judal!» sbraitò, irritata «Ti sembra il caso di arrivarmi così alle spalle?! Diamine! Sei davvero un idiota!» si bloccò. Adesso? Era imprevedibile e Aysel temeva come avrebbe reagito a quell’insulto. Non demorse, però, si aggrappò al misto di rabbia e disperazione che le saturava la mente e sfidò il Magi con i suoi grandi e tristi occhi blu.
Ma lui si limitò a sorridere facendo spallucce, come a restituirle tacitamente l’offesa o come se contassero poco e nulla le sue parole, prima di riderle spudoratamente in faccia.
Tenendosi la pancia e con le lacrime agli occhi, Judal la indicò «Ma come ti sei conciata?! Sei caduta in un lago?»
Aysel, ignorando le guance diventate, di un tratto, bollenti e rosse dalla vergogna, si concentrò su quanto fosse buffo a ridere così sguaiatamente e per un attimo pensò si sarebbe gettato a terra dal troppo deriderla.
Scappò anche a lei un piccolo risolino.
«Sei stupida? Perché ridi?»
«Beh, ridevi in modo buffo quindi mi è venuto spontaneo.» mosse la mano come a voler liquidare in fretta la faccenda. Non aveva per niente voglia di discutere con Judal «Comunque, ti serve qualcosa?» portò i pugni sui fianchi –cercando di atteggiarsi un minimo– e rimase in attesa, battendo lentamente le scarpe dalla sottile suola sul lastricato.
«In verità sì: cercavo qualcuno da infastidire.»
Aysel fece una smorfia «No, grazie per il pensiero ma passo.» fece per andarsene quando si ricordò all’improvviso di una cosa «Ah, giusto. Sei sparito un paio di giorni…» lasciò la frase in sospeso apposta, sperando che il Magi la completasse. Se avesse domandato apertamente, considerò la ragazza, Judal avrebbe potuto pensare che le importasse qualcosa di lui o, peggio ancora, avrebbe ricominciato a darle della maniaca. Al ricordo della scena sotto l’albero avvenuta qualche tempo prima sentì le guance diventare rosse, d’imbarazzo però.
«Avevo da fare con un dungeon… Cos’è, adesso ti preoccupi o è semplicemente riemersa la tua natura da persecutrice?» si chinò verso la ragazza, sorridendo nel suo solito e irritante modo.
Aysel sbiancò per la sorpresa –anche se da una parte immaginava avrebbe detto una cosa del genere, aveva comunque sperato di aver aggirato il problema– e divenne bordò per la terza volta, ma di rabbia «Certo,» fece ironica «perché sono io che passo la mia intera giornata a infastidire gente a caso, no?» aggiunse anche una risatina forzata, senza allegria. «E, comunque, sei un po’ troppo pieno di te, non trovi? Ho già i miei di problemi, figurati se mi avanza della preoccupazione da dedicare a te!» si massaggiò le tempie, colta da un improvviso mal di testa lancinante «Adesso ho pure le allucinazioni.» bofonchiò, ben conscia che anche il ragazzo l’avrebbe sentita –in effetti, tra tutto ciò che aveva detto quella sembrava l’unica cosa ad aver attirato l’attenzione di Judal. Perché l’aveva informato di quel fatto? Non lo sapeva bene nemmeno lei, aveva solo agito d’impulso e pregato di non pentirsene in futuro. «Allucinazioni?» sembrava incuriosito.
«Già, era…» ma non finì la frase perché qualcos’altro attirò la sua attenzione. Si perse a seguire i volteggi delicati di uno strano uccellino tinto di nero; seguì rapita ogni piccola acrobazia e deviazione, completamente assorta da quella creatura così strana, nuova… No, l’aveva già vista, ma non ricordava bene dove. La seguì fino a incontrare i tratti familiari del Magi, senza però vederlo davvero: in quel momento esisteva solo la creaturina tinta di tenebra.
Judal trovò l’oggetto dell’attenzione della ragazza e fu… Sorpreso. Passò lo sguardo dal rukh che gli stava svolazzando intorno ad Aysel, poi tornò al rukh e infine Aysel. «Lo vedi?» le chiese. Aveva un tono stranamente serio, senza la solita ironia o baldanza.
La ragazza annuì, attratta dall’essere che si librava senza peso «Che cos’è? Tu lo sai, vero, Judal?» allungò il braccio e stese l’indice verso il rukh che parve quasi indeciso: prima si avvicinava e poi si ritraeva, senza mai sfiorarla davvero. Aysel era contrariata da quel comportamento e gonfiò le guance, immusonita. E il Magi, con grande sorpresa di se stesso per primo, la trovò buffa. Non ridicola, solo buffa.
«Un rukh nero.»
«È bello.» constatò «Nero… Ci sono anche di altri colori?»
«Sì, la divisione principale è tra bianchi e neri però.» non gli piaceva spiegare agli altri, era fastidioso, ma aveva risposto in automatico.
Dopo un’altra piccola indecisione, il rukh si posò delicato sul dito che poi Aysel portò a un palmo dal naso per osservarlo meglio. Era grande come una farfalla –e, per certi versi, le somigliava abbastanza, anche se era un uccellino– di un nero molto scuro ma lucido e brillante; le appariva evanescente quasi. Se avesse soffiato un po’, si sarebbe dissolto e ricompattato come il vapore? Ma non tentò, le appariva troppo delicato per un’angheria del genere.
Judal, dal canto suo, quando vide Aysel aprire le sue labbra rosse in un ampio e gioioso sorriso mentre ammirava una cosa per lui così normale –e per lei così straordinaria– come un rukh, non poté fare a meno di trovarla davvero bella. Non aveva mai badato troppo alla bellezza femminile, però non era certo stupido e doveva ammettere che non era certo brutta. Strana forse, problematica di certo, smemorata assolutamente e fastidiosamente sarcastica, ma non aveva nulla di ridire sull’aspetto.
«Judal, smetti di fissarmi. È fastidioso.» Aysel schioccò le dita davanti agli occhi del ragazzo, che le afferrò con un gesto rapido stritolandole nella sua mano finché si udì uno scricchiolio lugubre. Restituì la mano alla ragazza, che massaggiò le dita indolenzite dalla stretta e per fortuna ancora intere, intimandole di non farlo mai più perché quello, sì, che era fastidioso.
«Sì, sì… C’è altro? Io dovrei andare da Koumei.» buttò lì nella speranza di liberarsi del Magi, anche se era una bugia bella e buona. In un’altra occasione avrebbe detto che andava a trovare Kouha, peccato che il principe fosse partito per una qualche missione il giorno prima.
L’Oracolo parve soppressare le sue parole, poi sorrise «In effetti, sì. Devo andare in un posto e tu verrai con me!» annunciò trionfante, come se avesse avuto l’idea del secolo.
«Eh? Assolutamente no!» protestò, pestando un piede per dare enfasi al suo rifiuto. Judal parve solamente divertito da quell’atteggiamento di ribellione infantile «Non hai altra scelta.» decretò lapidario.
Aveva maledettamente ragione: lei non aveva possibilità di decisione su niente. Un baluginio argento attirò lo sguardo di Aysel, che desiderò buttarsi nella traiettoria della lancia di Hakuryuu, almeno avrebbe avuto una scusa buona per rimanere dov’era invece che essere obbligata a seguire Judal ovunque avesse per la mente di trascinarla.
Si consolò pensando che sarebbe finalmente uscita dal palazzo. Almeno una piccola nota positiva cui aggrapparsi l’aveva trovata.
















{Angolo di una Festa}
Spero abbiate apprezzato.
Ad Aysel, poverella, non ne va' dritta una, eh? ^^"
Spero di riuscire ad aggiornare presto, ma, purtroppo, non garantisco nulla.
Mi auguro di essere rimasta IC con Judal, se così non fosse fatemelo sapere senza problemi e cercherò di tornare sulla retta via.
Ringrazio di cuore chi ha recensito lo scorso capitolo, spero di poter leggere i vostri pareri anche su questo! ❤
Alla prossima e recensite, ci tengo tanto io -e la mia autostima-. ❤


Kuro

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Capitolo 7
*** AVVISO. ***


Avviso Importante.


Ehm, buonasera cari lettori.
Ecco, come potete notare non è un aggiornamento - purtroppo - e me ne dispiaccio tantissimo, ma il blocco di cui avevo parlato nello scorso capitolo è ancora lì e non sembra intenzionato a levare le tende per il momento. Però, in un certo senso, gli sono molto grata perché ho deciso di prendere in mano la storia ancora una volta e revisionarla: allungare i capitoli, sistemare eventuali buchi e migliorare i titoli perché, diciamocelo, fanno pietà (l'idea mi è venuta dal libro che 'sto leggendo adesso, l'autrice è così brava a dare i titoli ai capitoli che mi ha messo voglia d'impegnarmi a farlo anche io!).
Quindi per un po' niente capitoli nuovi.
All'inizio ero indecisa se mettere questo avviso oppure no (solitamente è contro le regole, però se si supera il doppio del periodo con cui si aggiorna di solito è concesso), ma il pensiero di mollarvi così senza dire mezza parola mi faceva sentire uno schifo. Spero dopo questa brutta notizia di non attirarmi l'odio di nessuno - anche perché sono io la prima ad avercela con me stessa, tranquilli - e che, chi seguiva la storia, non vorrà abbandonarla e abbandonarmi: questa è solo una pausa, la storia continuerà ve lo prometto. Inoltre, spero che coloro che magari erano rimasti delusi dalla storia le daranno una seconda occasione. Cercherò di non deludere nessuno.
Purtroppo per ora sono impegnatissima con la scuola quindi dubito inizierò a revisionare presto, ma tenterò di trovare tempo e ispirazione - ma magari! - il prima possibile.
Mi dispiace tantissimo, voi non avete idea di quanto mi rattristi pubblicare questo avviso però, come già detto, era giusto informarvi.
Credo sia tutto; in caso abbiate rimostranze o vogliate semplicemente chiedere altre spiegazioni - insomma, per qualsiasi cosa - lasciate pure una recensione o mandatemi un messaggio privato, vi risponderò senza problemi.

L'avviso sarà cancellato non appena pubblicherò la revisione del prologo. Spero di non causare troppi problemi alla Webmaster e che mi perdoni per aver messo un avvertimento.


A presto allora, perché "I Ricordi dell'Astro" tornerà sicuramente! ❤



Kuro

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