Dieci Anni Dopo

di Hi Fis
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Codex ***
Capitolo 3: *** H Arm Dealers ***
Capitolo 4: *** Benvenuto in Famiglia ***
Capitolo 5: *** Parenti ed Apostati ***
Capitolo 6: *** Addio Alle Armi ***
Capitolo 7: *** Una Voce nel Buio ***
Capitolo 8: *** Un Istante di Perfetta Bellezza ***
Capitolo 9: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


"Devo chiederle... com'è Tuchanka? Immagino che sia difficile abituarsi ad essa, con tutti i suoi pericoli..."
"Tuchanka non è poi così pericolosa come la si dipinge: certo, la temperatura al di fuori delle zone schermate supera i limiti tollerabili. Ed è sempre meglio portarsi dietro un contatore Geiger quando si esplorano le zone più desolate, ed almeno qualche arma, in modo da far fronte ai branchi di Varren selvatici. Ed è anche vero che in ogni pozza d'acqua ci sono parassiti così famelici da spaccare le viscere. E il servizio metereologico planetario non sempre riesce a prevedere in tempo la rotta di Kalros. Ed è anche vero che scambiarsi testate è il modo più civile fra i Krogan per salutarsi...
Ma a parte tutto questo, Tuchanka è un luogo davvero delizioso."
Intervista con l'Ambasciatrice Sihaya bint Hayat T'Soni.
 
 
Ogni bambino ha un posto speciale. Un luogo segreto, pieno di meraviglie e fantasie dove i cattivi non vincono mai: il regno delle fate, la foresta incantata, Arcadia, Iram dalle Dieci Colonne, l'isola senza onde... il nome che gli viene dato ha poca importanza. Alcuni ricordano questo luogo per tutta la vita, mentre altri scelgono di dimenticare la strada per arrivarci.
Per Sihaya, non è ancora arrivato il momento di decidere se separarsi da esso: è questo il suo luogo speciale, l'osservatorio di prua della sua casa con un morbido e folto tappeto su cui sdraiarsi e suo padre a farle compagnia.
"...e come si chiama quella?" chiede ancora, indicando una delle stelle dietro il vetro.
"Quella è Kallini." è la risposta, mentre una piccola luce in mezzo alle altre viene ingrandita per lei.
"E quella?"
"Mesana... ti ci porterò un giorno, quando sarai più grande."
"E quella?"
"Quelle sono Agaiu e Hati. Due stelle gemelle." spiega paziente il suo genitore.
"... come Selene e Alune?"
Suo padre sorrise: "Più o meno."
"Papà?"
"...Sì?" rispose il suo genitore, poggiando la tazza di caffè che stava bevendo.
"...Dobbiamo proprio andarci?"
"Sai bene quanto ci tiene tuo zio... e poi il tuo fratellone potrebbe prenderla male..."
Alla menzione di suo fratello, il blu delle guance di Sihaya si fa lievemente più accentuato, un particolare che suo padre finge di ignorare.
"E solo che... lei mi fa un po' paura." ammette infine timidamente la bambina: la sfumatura con cui disse lei identificò immediatamente l'essere a cui si riferiva.
"Sihaya..." sospira suo padre, accoccolandola in mezzo alle sue gambe: "Capisco quello che provi... però non è cattiva."
"Lo so, lo so... però mi fa un po' paura lo stesso."
"Ti prometto che non sarai sola un momento. E ti prometto che non appena avremo finito, ti porterò a visitare un luogo speciale."
Il fatto che una bambina Asari di dieci anni abbia già una strana fascinazione con antichi templi e l'archeologia è da imputare solamente a sua madre, da cui ha preso molto: le stesse lentiggini, lo stesso colore della pelle, la stessa indole timida. Ma quando Sihaya guarda piena di curiosità suo padre negli occhi, quegli occhi che la Guerra aveva reso diversi l'uno dall'altro, il colore che si rifletté fra loro fu solo uno: un perfetto viola.
"Un posto speciale?"
"... È una sorpresa." è la risposta, assieme ad un sorriso ricco di promesse.
Sihaya avrebbe fatto domande, o chiesto il nome di altre stelle, se l'espressione di suo padre non si fosse congelata improvvisamente, in un fenomeno che la bambina sa essere associato al braccio sinistro del suo genitore: in quel momento, mentre suo padre sembrava vedere un luogo mille miglia lontano, Sihaya spiò ancora una volta quella strana protesi.
La piccola Asari aveva provato a chiedere a suo padre l'origine di quell'oggetto, ma la risposta era stata sempre la stessa: "Quando sarai più grande". A volte, Sihaya non desiderava altro che arrivasse quel momento.
Le paratie corazzate dell'osservatorio scivolarono sui vetri, oscurando la vista delle stelle: rettangoli luminosi comparvero e sparirono in un istante sulle pareti, mentre numeri e parole si dipanavano dentro di essi, troppo velocemente perché Sihaya potesse leggerli. Un serpente seghettato fatto di luce, in realtà la rappresentazione visibile di una debole trasmissione FTL intercettata, venne materializzato sopra di loro divincolandosi furiosamente: sotto di esso prese forma un ennesimo rettangolo, rappresentazione evanescente di un sistema stellare, ed un nome, Pelion  in grandi lettere luminose. Il terzo pianeta del sistema venne evidenziato, e una lunga lista di facce che Sihaya non aveva mai visto scorse rapidissima a fianco del piccolo globo di neve sporca: il pianeta si chiamava Trategos, lesse Sihaya.
La lista di nomi e volti si arrestò improvvisamente sul ritratto di un Asari: la bambina osservò quel volto che le appariva familiare, ma di una sfumatura che le era estranea. Era la prima volta che vedeva un Asari color rosa salmone.
"Chi é quella?" chiese a suo padre: il nome accanto al ritratto non le diceva nulla.
"... La tua zia materna."
"Oh. Non sapevo di avere una zia Asari."
"... Ti piacerebbe incontrarla?"



Angolino dell'Autore:
Cos'è e cosa contiene "10 Anni Dopo"? Per prima cosa, questo è un racconto di famiglia (ma non per famiglie: spero che la differenza sia chiara. Se cercate un rassicurante racconto PG13, siete capitati male) e traccia l'epilogo di ME3, rimaneggiando un po' gli avvenimenti, cercando di dare forma ad una certa promessa, di "...vecchiaia, tranquillità e una torma di bambini blu". Ci sarà anche un nuovo finale per ME3, così come nel mio piccolo io l'ho immaginato, ma non è la parte più importante di questo racconto (credo che prenderà un capitolo più o meno).
Il Comandante Shepard di questi mie racconti è Hayat bint Hannah Shepard, ricognitore con il gusto della battaglia di lontane origini turche (se volete darle un volto, fate conto che sia la figlia turca di Jennifer Hale, che da la voce al comandante Shepard donna nella versione originale di ME3). Liara T'Soni invece è sempre lei.
Se pensate che il tipo di etichetta per le coppie presenti in questo racconto vada rivisto fatemelo sapere: si tratta pur sempre di una relazione tra un alieno e una donna umana, di conseguenza non rientra in nessuna delle categorie pre preparate.
Questo è quanto per il prologo: al prossimo capitolo.

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Capitolo 2
*** Codex ***


Furono anni di enormi sacrifici, di terribili perdite e di grandi rivelazioni. Furono anni in cui illusioni vecchie di secoli vennero infrante e ci scoprimmo per chi eravamo davvero. Ma furono anche anni in cui ci scambiammo nuove promesse e le mantenemmo.
Matriarca Liara T'Soni, conversazione con i suoi nipoti.
 
 
Battaglia per la Terra: Giugno 2187.
- La flotta unita di quindici specie diverse sferra un attacco disperato nel sistema Solare, caduto sotto l'assalto dei Razziatori. L'obbiettivo è quello di riconquistare la Cittadella, gigantesca stazione spaziale spostata in orbita attorno al pianeta natale umano. La Flotta di liberazione considera la Cittadella come l'ultimo componente necessario alla sua unica speranza: l'arma finale, nome in codice Crucible.
Nessuna strategia convenzionale può dare la vittoria contro i Razziatori.
Il numero delle vittime nell'assalto è immenso: nonostante la loro inferiorità numerica schiacciante, i Razziatori posseggono potenza di fuoco e tattiche superiori che li rendono quasi invincibili. In un testamento al coraggio e alla determinazione delle civiltà di questo ciclo, e nonostante le perdite, la Flotta riesce a completare il suo obbiettivo: l'acume tattico dell'ammiraglio Steven Hackett consente alle poche corazzate umane rimaste di scortare Crucible al suo rendezvous con la Cittadella. Tuttavia, la giunzione fra Crucible e la Cittadella non causa direttamente alcun effetto.
Per sette lunghi minuti, la battaglia infuria senza speranza contro i Razziatori.
- Senza ragione apparente, i Razziatori interrompono il cannoneggiamento sulla Flotta di liberazione.
- Ultima trasmissione nota del Comandante Shepard: in risposta ad essa, l'ammiraglio Hackett ordina il ritiro completo della Flotta oltre l'orbita della luna terrestre e l'evacuazione totale di tutto il personale, civile e militare, dall'Inghilterra. Le esatte parole trasmesse furono: "Correte sull'acqua della Manica se dovete, ma evacuate Londra subito."
- Ogni altro Razziatore presente nella Galassia emerge dal portale di Caronte, riversandosi nel sistema Solare in pochi minuti.
- La Cittadella viene distrutta dai Razziatori: i cinque bracci della stazione vengono sradicati dal loro anello centrale e fatti a pezzi. Rottami di oltre otto chilometri precipitano nell'atmosfera terrestre e impattano su Londra.
- Segue un breve e violento conflitto fra le fila dei Razziatori: alcuni di essi vengono visti tuffarsi nel Sole.
- I Razziatori rimasti si ritirano dallo spazio terrestre: le loro forze di terra si autodistruggono completamente, lasciando le specie nuovamente padrone dei loro pianeti devastati.
 
TUTTI I PORTALI
SONO VOSTRI TRANNE
OMEGA 4
NON CERCATE DI ATTRAVERSARLO.
 
-Ultimo messaggio inviato della flotta dei Razziatori prima della loro scomparsa attraverso il portale, destinazione ignota. Originato dal Razziatore di classe corazzata, nome in codice Defiant.
 
Luglio 2187
I danni causati dal conflitto contro i Razziatori sono sconvolgenti: ribattezzata semplicemente "la Guerra", essa ha prodotto più vittime e distruzione di ogni altro precedente conflitto messo assieme.
Per agevolare il processo di ricostruzione e preparare ogni specie ad un possibile ritorno dei Razziatori, il panorama politico galattico cambia radicalmente, soprattutto in risposta all'inadeguatezza dimostrata durante le fasi del conflitto.
 
2188
Il Consiglio, prima autorità politica a livello galattico, viene sciolto ufficialmente a seguito delle aspre critiche ricevute: l'incapacità di creare una risposta unificata, perseguendo invece i propri interessi durante le prime fasi del conflitto è costato semplicemente troppo ad ogni specie. I superstiti ai genocidi dei Razziatori chiedono a gran voce una ragione delle loro perdite, qualcosa che il Consiglio non è in grado di fornire per la prima volta dalla sua istituzione: la Guerra ha messo alla prova ogni individuo e molti non si sono dimostrati all'altezza.
I tre Consiglieri superstiti vengono destituiti, arrestati e inviati ognuno al proprio pianeta natale, per venire giudicati secondo le legislazioni delle proprie specie di appartenenza. Sulla trasparenza degli atti dei tre procedimenti si basa la riorganizzazione del sistema politico interstellare.
- Consigliere Tevos: è giudicata colpevole, assieme a diverse altre matriarche Asari, dell'occultamento di tecnologia Prothean su Thessia per secoli, in sprezzante violazione dei trattati stipulati propri dagli Asari ai tempi della creazione del primo Consiglio. Un reato normalmente già grave di per sé, il fatto che l'ubicazione della tecnologia Prothean necessaria a completare Crucible sia stata fornita solamente quando Thessia stava per cadere sotto l'attacco dei Razziatori, mesi dopo l'inizio della Guerra, viene considerata un'aggravante implicita. L'esilio dai territori Asari per Tevos e le matriarche sue complici non basta tuttavia a compensare il danno all'immagine che la specie Asari ha coltivato per millenni: l'egemonia intellettuale, dovuta proprio alla tecnologia Prothean nascosta per così tanto tempo, appartiene ormai al passato.
- Consigliere Sparatus: è giudicato colpevole di incompetenza dal tribunale presieduto dal Primarca Victus. Nella società militare e fortemente gerarchizzata dei Turian, il dimostrarsi incapaci di assolvere alle proprie responsabilità non è considerato ammissibile. L'ammontare delle perdite sofferte dai Turian durante la guerra, e il desiderio di farne un esempio per le generazioni future, sono le ragioni principali che spingono all'aspro verdetto del procedimento, che condanna Sparatus alla pena di morte per fucilazione. In quello che verrà definito "il suo primo atto di coraggio", l'ex consigliere si impicca nella sua cella la notte prima dell'esecuzione: il suo nome da civile, privo delle cariche, è aggiunto postumo al muro delle vittime Turian su Palaven.
- Consigliere Valern: è giudicato colpevole di occultamento di prove riguardanti il tentativo di sabotaggio della cura della genofagia della Dalatrass Linron. Anche se intellettualmente accettabile prima della Guerra, l'immoralità del gesto è imperdonabile, specie dopo il valore dimostrato dai Krogan in aiuto dei Turian durante il resto del conflitto. Entrambi sono privati del loro diritto alla riproduzione: Valern viene inoltre interdetto da ogni carica pubblica e condannato agli arresti domiciliari a vita sul suo pianeta natale.
La Dalatrass Linron verrà trovata morta nella magione della sua famiglia su Sur'Kesh, ma il killer non verrà mai identificato: l'STG non conferma ne smentisce un suo eventuale coinvolgimento. 
 
Dualismo e Patto
Benché le galassia non abbia perduto la guerra contro i Razziatori, la cruda verità è che poche fra le specie sono in grado da sole di far fronte alla distruzione causata dal conflitto. La devastazione ha lasciato pianeti interi in rovina e alcune specie rischiano l'estinzione: negli anni immediatamente successivi alla fine del conflitto, per tutte le specie c'é semplicemente troppo da ricostruire in patria per preoccuparsi di perseguire vecchi rancori.
Quasi di comune accordo, e basandosi su un modello già in vigore fra alcune specie, viene adottata una simbiosi duale fra le razze superstiti, volta al massimo beneficio reciproco: politico, culturale ed economico. La linea guida di queste alleanze è che le differenze non dovrebbero dividere, ma arricchire: come nel caso di Turian e Volus, dove la Gerarchia fornisce da millenni protezione militare in cambio di esperti economi in grado di nutrire l'economia di entrambe le specie. Seguendo questo esempio di successo, il concetto si espande abbracciando l'intera galassia conosciuta e diventando rapidamente la norma: questi gemellaggi non sono sempre perfetti in ogni loro parte, ma il vantaggio che rappresentano è semplicemente troppo significativo per poter essere ignorato, specie data la sua semplicità.
Due anni dopo la fine del conflitto, il dualismo viene ratificato ufficialmente e riconosciuto in un trattato fra quattordici razze, costituendo la base dell'organizzazione politica nata dalle ceneri del Consiglio: chiamato semplicemente il Patto, esso possiede molte delle funzioni e dell'autorità del vecchio Consiglio, ma apparentemente nessuno dei suoi errori.
L'organo politico è costituito da due rappresentanti di ogni specie e retto da un Cancelliere scelto fra i ventotto rappresentanti con carica quinquennale.
Nella sua assemblea costituente, il Patto ratifica sette coppie di specie, che vengono così riconosciute ufficialmente come singole entità interstellari politico amministrative:
 
- Alleanza dei sistemi Umani e Governo Batarian
La specie Batarian è stata la prima ad essere colpita dai Razziatori e anche quella che ha sofferto il più alto numero di vittime durante la Guerra. Stime non ufficiali fatte dopo la fine del conflitto, stimano il numero di Batarian nella Galassia inferiore ai cinque milioni di individui. Kar'Shan, pianeta natale Batarian, risulta completamente incenerito dai bombardamenti orbitali dei Razziatori: della biosfera originale, nulla è sopravvissuto.
In una mossa politica a sorpresa, nella seconda metà del 2188 l'ambasciatore umano Osoba si fa portavoce di una iniziativa politica volta a tendere una mano ai Batarian, nonostante i conflitti e i vecchi rancori tra le due specie. Lo slogan: "Lasceremo estinguere una specie?" fa presa su una vasta parte dell'opinione pubblica e la possibilità di lasciarsi alle spalle le inimicizie di un tempo, guadagnandosi un alleato, sono probabilmente le ragioni che portano al risultato del referendum a suffragio universale tenuto all'inizio del 2189: l'83% degli umani aventi diritto al voto si dimostra favorevole a prestare aiuto ai Batarian.
Privi di un pianeta abitabile e di alleati nella Via Lattea, i Batarian accettano il ramoscello d'ulivo, rinunciando alla pratica della schiavitù legalizzata in cambio dell'amnistia generale per i precedenti atti di terrorismo e tentato genocidio. Vengono inoltre concessi ai Batarian diritti temporanei di colonizzazione per il pianeta di Terra Nova e, grazie alla tecnologia fornita dall'Alleanza dei Sistemi Umani, sono intensificati gli sforzi di terra-formazione delle quattro colonie Batarian superstiti: Anhur, Camala, Erszbat e Lorek. Nel desiderio di cominciare un nuovo capitolo della loro storia, i Batarian si affidano così completamente ai loro avversari di un tempo, partecipando attivamente al ripristino del pianeta Terra, con la speranza, un giorno, di poter fare la stessa cosa per Kar'Shan: le conoscenze superiori di ingegneria civile e le nozioni architettoniche dei Batarian sono senza prezzo per gli Umani, costretti a ricostruire alcune città da zero.
Non più confinata dai regimi totalitari dell'ex Egemonia, la popolazione civile Batarian si dimostra ricettiva a nuovi valori culturali.
 
- Gerarchia Turian e Combine Volus
Il più antico dei gemellaggi fra le sette coppie del Patto, e probabilmente il più proficuo per entrambi i partecipanti, l'intesa Turian- Volus viene ristrutturata alla fine della Guerra: l'onore e l'abilità dei nativi di Palaven poco ha potuto contro i Razziatori, e così lo stato dei Volus viene elevato da specie clientelare della Gerarchia a quello di vero partner politico, non più solo economico.
Per quanto le due specie abbiano necessità fisiologiche incompatibili fra loro, entrambe riconoscono ufficialmente la loro interdipendenza: culturalmente, i Turian sono incapaci di perseguire un profitto economico superiore alle loro necessità di base, mentre i Volus sono fisicamente incapaci di condurre una qualsiasi forma di conflitto organizzato. Bilanciando ciascuna le debolezze dell'altra, le due specie sanno bene quanto più prospero sia un futuro assieme.
 
- Unione Salarian e Coorti Elcor
Stime ufficiali fatte alla fine della Guerra mostrano come gli Elcor siano stata la specie più duramente colpita dai Razziatori: nonostante l'essere presente nel panorama galattico da diversi secoli, la cauta specie originaria di Dekuuna aveva colonizzato solo una manciata di pianeti prima della Guerra, preferendo mantenere una popolazione fortemente centralizzata. Questo si è dimostrato una debolezza fatale di fronte ai Razziatori: stime ufficiali successive alla fine del conflitto riportano il numero di Elcor ancora presenti nella Galassia inferiore al mezzo milione di individui. Dati inoltre i lunghi cicli della politica Elcor, questo avrebbe potuto segnarne l'estinzione, se non fosse stato per l'intervento dei Salarian.
Da sempre leader galattica nella ricerca scientifica e tecnologica, l'Unione Salarian rende disponibili le sue risorse per assicurare un futuro alla specie Elcor, utilizzando i propri laboratori e conoscenze per qualcosa di più nobile che progettare armi biologiche e genetiche. Già nel 2188, l'Unione informa i resti delle Coorti di aver messo a punto un farmaco per aumentare la fertilità Elcor di venti volte e di star adattando tecnologie di clonazione e mutazione genetica controllata.
In quella che viene definita la più rapida decisione presa dal governo Elcor, la riposta dei nativi di Dekuuna è una sola: "Con gratitudine immensa: No."
Analisti di molte specie riportano che questo rifiuto ha spinto i Salarian ad impegnarsi ancora di più per preservare gli Elcor: teoricamente, i Salarian non possono soffrire di senso di colpa e desiderio di riscatto, dato la breve durata della loro vita e i loro rapidi processi mentali, tuttavia è indubbio che l'eredità della genofagia e la Guerra ha cambiato qualcosa all'interno dell'Unione. La partnership fra le due specie, una lenta e deliberata, l'altra rapida ed affettata, è quasi esclusivamente basata sulla conservazione degli Elcor, tuttavia l'inamovibilità dei nativi di Dekuuna anche di fronte alla tragedia che avrebbe potuto essere la loro estinzione stimola intellettualmente l'Unione. Sono riportati diversi studiosi Salarian che devolvono la loro intera esistenza nella comprensione degli Elcor e di come l'adozione di valori diversi dai loro possa arricchire l'Unione.
In cambio degli aiuti economici per ricostruire la loro specie, le Coorti Elcor ratificano ufficialmente la loro alleanza ai Salarian, una decisione presa in soli due anni: i cicli di cauta e prevedibile politica interstellare degli Elcor sembrano appartenere ormai al passato.
 
- Repubbliche Asari e Risvegliati
Per quanto Thessia e le sue colonie in generale abbiamo resistito piuttosto bene agli assalti delle forze di terra dei Razziatori, merito di una popolazione interamente biotica, il danno più grave inflitto durante la Guerra agli Asari è mentale. Empatici per natura, gli Asari sono estranei, più di ogni altra specie, alle sfumature più cupe di un conflitto: è necessaria una grande forza mentale per fare del male a qualcuno, sapendo di poterne condividere letteralmente la pena. Per questo motivo, il panorama di città spianate e mucchi di cadaveri per le strade rappresentavano orrori con i quali gli Asari non si erano mai dovuti confrontare prima: la magnitudine della tragedia supera di gran lunga le capacità degli Asari di farvi fronte. Nel periodo immediatamente successivo al conflitto, il numero delle vittime tra la popolazione civile Asari aumenta a causa della lentezza dei soccorsi, e si diffondono spesso epidemie per l'apatia generale nella rimozione dei cadaveri.
Nei primi mesi del 2188 si fanno sempre più insistenti voci che testimoniano la presenza di Collettori nelle zone più devastate di Thessia. Mandate ad indagare, cacciatrici Asari sotto il comando della matriarca Aethyta sono sorprese di constatare che i Collettori presenti stanno facendo ciò che gli Asari non hanno ancora avuto il coraggio di iniziare: le pire dei corpi composti con cura, se non con nostalgia, illuminano le notti di Thessia da diverse settimane. Alla richiesta di spiegazioni da parte della matriarca, la rivelazione è sconvolgente.
L'analisi compiuta dal Professor Mordin Solus a bordo della Normandy SR2 sui Collettori provava la loro origine Prothean e ne tracciava la loro devoluzione:
"...Individui perduto intelligenza dopo svariate generazioni di clonazione. Massivo impiego di tecnologia e cibernetica per compensare: capacità mentale quasi scomparsa, sostituita da un sistema di recezione e trasmissione di input sensoriali ai loro padroni... niente ghiandole, sostituite da tecnologia, nessun sistema digestivo, sostituito da tecnologia, niente anima, sostituita da tecnologia..."
E tuttavia qualcosa è sopravvissuta nei Collettori, nonostante un asservimento del corpo e della mente durato cinquantamila anni: furore e desiderio di vendetta per tutto ciò i Razziatori gli hanno tolto, prima fra tutti l'identità di esseri senzienti e il nome stesso della loro specie. Quando, a seguito del sempre crescente numero di Razziatori distrutti nella Guerra, alcuni fra questi schiavi riconquistarono il loro libero arbitrio, essi dovettero accettare cos'erano: esseri a malapena capaci di pensiero evoluto, privati del loro raziocinio e coltivati come armi dai Razziatori per cinquantamila anni, in una fusione perfetta fra biologia e la tecnologia più avanzata mai esistita, che li aveva privati anche della loro capacità di riprodursi. Essi dovettero accettare i ricordi e i dati degli esperimenti che per cinquantamila anni avevano compiuto sotto il giogo dei Razziatori; ma soprattutto, questi Risvegliati dovettero accettare di non poter trasmettere nemmeno un eco dei loro pensieri a chi stava loro attorno, perché i Razziatori li avevano privati anche del diritto ad urlare.
Con un certo orrore, gli Asari sotto il comando della matriarca Aethyta si resero conto che a causa di ciò che i Razziatori avevano fatto, non era possibile entrare nella mente di questi Collettori con la loro empatia naturale: parte dell'anima dei Risvegliati è perduta per sempre e il loro cuore è chiuso al mondo.
Non stupisce la furia con cui questi esseri si lanciarono contro i Razziatori durante la Guerra, come non stupisce che le altre razze li abbiano accettati al loro fianco durante il conflitto, nonostante la paura e la sfiducia che causarono e causano ancora oggi: nemmeno gli Asari posseggono poteri biotici così distruttivi. Ma quando la Guerra giunse al termine, i Risvegliati dovettero cercare un luogo nuovo a cui appartenere, quando non preferirono la morte. Essi scelsero Thessia: non Ilos, o altri mondi Prothean da tempo in rovina, ma Thessia, con le sue grandi città e i prodotti di una longeva e prospera civiltà, ricordano a questi Collettori chi avrebbero dovuto essere.
Gli Asari sono incapaci di non provare pena e cercare di comprendere le sofferenze degli altri: le Repubbliche concedono nel 2188 ai Risvegliati di vivere insieme e questi esseri prestano tutto ciò che è rimasto di loro per aiutare gli Asari nell'opera di ricostruzione, testimonianza vivente di come sia possibile sopravvivere nonostante le peggiori tragedie.
 
- Ammiragliato Quarian e Collettivo Geth
"Un'alleanza creata dopo tre secoli di errori": così l'Ammiragliato Quarian definisce l'unione con il collettivo Geth.
Per quanto i Geth vennero inizialmente creati dai Quarian come servitori, la loro imprevista capacità di evolversi al di fuori dei parametri della loro iniziale programmazione fu l'inizio del conflitto tra creatori e creati. Rinominata la guerra degli Albori, l'esito di quel conflitto esiliò i Quarian, ridotti ormai al numero di diciassette milioni, dal loro pianeta natale, costringendoli ad adattarsi per tre secoli ad una vita nomade a bordo di una flottiglia di navi rappezzate. Durante la Guerra, i Quarian sferrarono un massiccio attacco contro i Geth, rischiando tutta la loro flotta nella speranza di riconquistare Rannoch, il loro pianeta natale.
L'intervento del comandante Shepard in questo teatro di combattimenti permise la cessazione delle ostilità, basate su un falso pretesto: che la convivenza fra Geth e Quarian non potesse esistere.
Privi dei bisogni fisiologici di una specie organica, e fino a quando la loro esistenza è garantita, i Geth sono alleati formidabili dei Quarian, penalizzati da un sistema immunitario inferiore a quello delle altre specie.
Molti nella Galassia si chiedono perché i Geth si siano alleati con i Quarian, specie dopo che per due volte hanno tentato di distruggerli: il Collettivo Geth non ha una sola o semplice risposta da dare.
I Geth sono di fatto la più giovane fra le specie della Galassia, con una storia di appena tre secoli: la continua esistenza dei Quarian risulta un elemento stabilizzante per i processi mentali dei Geth, che anche se riconoscono in essi dei creatori imperfetti, sono stati in grado di dare loro la vita.  Inoltre, anche se i Geth sono considerati quasi l'apice dell'evoluzione sintetica, essi hanno dovuto riconoscere di non possedere ancora molti dei raggiungimenti che contraddistinguono le altre razze senzienti. I Geth si considerano un'immagine di meccanica precisione, ma ancora incapaci di trovare un "nobile scopo" da dare alla loro esistenza e di sviluppare elementi che li definiscano come cultura: poiché i Quarian sono stati capaci di dare loro il primo afflato di intelligenza, i Geth rimangono convinti che la collaborazione con i loro creatori abbia la più alta probabilità di successo nell'indicare loro la via.
Prima della Guerra, i Quarian non avevano mai pensato di poter vivere assieme alle loro creazioni: tuttavia la società dei Quarian si sta rapidamente adattando a questo cambiamento, ad un punto che sfocia in alcuni casi perfino nella dipendenza. Nonostante le due specie condividano Rannoch assieme, non vi è ancora traccia di una integrazione urbana fra le due razze: i ricordi della guerra degli Albori sono ancora troppo vividi, anche se entrambe le parti auspicano che questo possa cambiare.
 
- Primazia Illuminata Hanar e Intesa Drell
Storicamente, l'elevazione al rango di specie interstellare dei Drell è dovuta interamente agli Hanar. Il pianeta natale dei Drell, Rakhana, è stato vittima di una incontrollata proliferazione industriale oltre otto secoli fa, che lo ha trasformato nel cimitero che è oggi: solo poche migliaia di individui vivono ancora sul pianeta, mentre il resto della popolazione Drell prospera in simbiosi con gli Hanar sulle colonie di questi ultimi.
Il rapporto fra le due specie dopo la fine della Guerra è cambiato solo marginalmente: i Drell perseverano nel loro fermo desiderio di essere d'aiuto agli Hanar, sostenendoli nelle attività che essi non possono fisicamente compiere, essendo gli Hanar anatomicamente simili ai celenterati terrestri. A poco sono valse le proposte di indipendenza da parte degli Hanar e la promessa di aiuto per rendere nuovamente
abitabile Rakhana: dopo otto secoli di gratitudine, gli Hanar considerano qualunque debito dei Drell pagato con gli interessi. Tuttavia, l'intesa che i Drell hanno con gli Hanar è diventata parte della loro cultura e non desiderano rinunciarci: un rapporto alla pari sulle questioni politiche interne e di politica interstellare è stato il massimo che i Drell hanno voluto accettare.
 
- Orda Krogan e Concerto Rachni
Probabilmente la più imprevedibile delle coppie del Patto, la partnership tra i Krogan e i Rachni ha un indiscutibile punto di forza: dove Quarian e Geth sono leader nel campo dell'elettronica o Umani e Batarian hanno probabilmente la migliore forza di fanteria della Galassia, Krogan e Rachni sono fisicamente le due specie più forti fra le altre razze senzienti. A parte questo, le due specie hanno poco in comune e tuttavia questa alleanza è una fra quelle di maggior successo e si basa sul reciproco vantaggio: protezione e ospitalità fornita dai Krogan per tecnologia Rachni.
Durante la Guerra, a seguito degli eventi che hanno portato alla cura per la Genofagia, l'ultima torre del Velo su Tuchanka è andata distrutta: il Velo faceva parte di una installazione globale creata dai Salarian per sostituire la biosfera originale del pianeta, del tutto scomparsa a causa dei conflitti nucleari con cui i Krogan si erano quasi estinti. Senza più il Velo, i cicli biogeochimici che definiscono l'esistenza di una biosfera erano in grave pericolo: Tuchanka rischiava di trasformarsi in un acido e rovente deserto, nonostante l'enorme tenda solare in orbita.
La soluzione più semplice per i Krogan durante la Guerra sarebbe stata quella di chiedere ai Salarian di costruire un'altra torre, o almeno di fornire loro i progetti e gli esperti per farlo, ma dopo le esperienze della genofagia, i Krogan non hanno fiducia nei Salarian e si sarebbero probabilmente lasciati avvelenare dal loro stesso pianeta, piuttosto che chiedere soccorso.
Alla fine della Guerra, prima che la situazione diventasse irreparabile, furono i Rachni stessi ad offrire l'aiuto di cui i Krogan avevano disperatamente bisogno: data la particolare e, a tratti, assurda biologia di questa razza, i Rachni prosperano su pianeti che sono normalmente considerati tossici e in ambienti estremi. Le condizioni di Tuchanka senza il Velo erano degenerate ad un punto tale che i Rachni non avrebbero avuto problemi ad insediarsi nelle zone equatoriali del pianeta, dove la temperatura si innalza fino a 100 gradi centigradi e le uniche piogge a cadere sono di acidi ossidi sulfurei. In cambio del diritto a colonizzare la porzione più inospitale di Tuchanka, i Rachni promisero di fornire ai Krogan la tecnologia necessaria a rinnovare il pianeta.
Non fu facile per i Krogan accettare l'offerta: i Rachni sono dopotutto la ragione per cui i Krogan vennero elevati dai Salarian ai tempi delle guerre del Consiglio e molti dei figli di Tuchanka avrebbero volentieri ripreso le armi contro il loro antico nemico, cercando la gloria in una lotta fino all'estinzione di una delle due specie. Tuttavia, la nuova direzione voluta da Urdnot Wrex e dalla sua Consorte fermò questo ritorno al sanguinoso passato: in uno storico incontro diplomatico che venne trasmesso in tutta la galassia conosciuta, la regina Rachni discese con il resto del suo sciame ad Hollows, l'ultimo luogo sacro dei Krogan, per discutere del futuro delle loro razze.
In una serie di inizialmente tesi incontri, venne rivelato alla galassia di come la regina Rachni fosse stata salvata dal comandante Shepard in due occasioni, consentendo alla sua specie di sopravvivere: per la prima volta, raccontò la regina, qualcuno era riuscito a vedere oltre al loro aspetto grottesco. Non era colpa dei Rachni dopotutto, se l'evoluzione li aveva resi insetti di peso, dimensioni e potenziale distruttivo paragonabili ad un mezzo corazzato: tuttavia, il loro aspetto nasconde una razza dalla grande intelligenza, che era arrivata al volo FTL senza aver necessità di elaboratori di calcolo computerizzati e che era capace di trascendere le distanze interstellari grazie alla telepatia che esisteva fra una regina e i membri del suo sciame. La Regina Rachni raccontò inoltre la lunga e ricca storia della sua razza che, grazie alla memoria genetica della sua specie, ricordava perfettamente: raccontò di come furono i Prothean a selezionare i Rachni più di sessantamila anni or sono per trasformarli, da specie pacifica, in uno sciame di agguerrite sentinelle biologiche per il loro impero. La Regina Rachni rivelò inoltre di come furono i Razziatori a spingerli contro il Consiglio, in un tentativo di anticipare il ciclo della loro distruzione.
E dato che Suen ,il pianeta originale dei Rachni, che loro chiamavano "La Casa dei Canti", non esisteva più a causa di un cataclisma stellare causato dai Razziatori durante la Guerra, la Regina aveva deciso di offrire le capacità del suo popolo ai Krogan, non solo perché Tuchanka ne aveva bisogno, ma anche a causa delle affinità nella storia della due razze.
Fu stilato un trattato: i Rachni si sarebbero insediati nelle zone più inospitali di Tuchanka e in cambio avrebbero costruito i processori atmosferici di cui i Krogan avevano bisogno per ricreare un ambiente adatto ad accogliere la loro popolazione nuovamente in crescita. Per garantire che nessun clan Krogan avrebbe cercato di minacciare i Rachni in violente azioni isolate, furono scambiati una serie di ostaggi fra le specie, pratica che avrebbe contribuito negli anni alla nascita dell'istituto di ricerca Rachni-Krogan di Tuchanka: autorità galattica nel campo della fisica dell'effetto massa, delle comunicazioni FTL e delle difese orbitali.
 
Altre Specie:
 
- Vorcha:
L'incapacità dei Vorcha di creare un'autorità governativa che il Patto possa riconoscere impedisce loro di essere inclusi nei circoli di politica interstellare. Poiché inoltre la vita media di un Vorcha è di appena venti anni terrestri, anche instaurare rapporti politici con singoli individui si rivela problematico. Data però la loro adattabilità fisiologica, che permette ad un Vorcha di sopravvivere in quasi qualsiasi ambiente, il loro valore come manodopera per i processi di terra-formazione è innegabile, e ciò sta contribuendo a redimerli in parte dalla loro pessima fama precedente alla Guerra, legata sopratutto al loro impiego all'interno di truppe mercenarie come il Branco Sanguinario.
Un'eventuale evoluzione dei Vorcha in una specie meno aggressiva e un aumento della loro capacità mentale sono condizioni necessarie per una rivalutazione del loro status di specie.
 
- Raloi:
Benché affine ai Turian per caratteristiche fisiologiche, la civiltà dei Raloi è stata scoperta solo pochi anni prima dell'inizio della Guerra, nel 2184: di fronte ai Razziatori, che minacciavano di distruggere una galassia a cui si erano appena affacciati, i Raloi si sono ritirati sul loro pianeta natale, Turvess, distruggendo ogni forma di tecnologia in loro possesso nella speranza di venire ignorati. Precipitati in un nuovo medioevo per loro scelta deliberata, il Patto riconosce ai Raloi il diritto a lottare per essere riconosciuti sul piano galattico se e quando riscopriranno nuovamente il volo interstellare: attualmente, i rapporti diplomatici con Turvess sono inesistenti.
 
- Yagh:
Il Patto conferma la quarantena ad oltranza del pianeta natale degli Yagh, voluto dal Consiglio. A causa della loro cultura tribale ed eccessivamente aggressiva, l'unico tipo di rapporto diplomatico che gli Yagh sono disposti ad accettare e la conquista e l'assoggettamento. Piuttosto che ricorrere a simili mezzi, il Patto preferisce l'assenza di qualunque rapporto, augurandosi che la società degli Yagh cambi prima della loro conquista della propulsione interstellare, data per certa nel giro di un millennio al massimo, poiché gli Yagh hanno da poco compiuto la loro seconda rivoluzione industriale.
In caso contrario, il loro assoggettamento e rieducazione culturale sarà inevitabile.
 
- Kirik:
L'osservazione e lo studio antropologico della specie di insetti biotici originaria dell'arido mondo di Ekram continua cautamente: la contaminazione culturale involontaria dovuta alle prime squadre di esplorazione del Consiglio è ormai irreparabile, dato che i Kirik rifiutato caparbiamente di venire abbandonati dagli studiosi. Per loro stessa ammissione, il sequestro della prima squadra di esplorazione, guidata dal dottor Andile Ndiaye per tutta la durata della Guerra, deve essere considerata la risposta standard ad ogni ulteriore tentativo di abbandono da parte degli xenobiologi.
Un ferreo protocollo di quarantena e non interferenza culturale è in atto, mentre gli studiosi continuano la loro osservazione dei nativi di Ekram.
 
Decremento Demografico
Oltre alle decine di miliardi di vittime che la Guerra ha causato, per sei anni dopo la fine del conflitto ogni specie, esclusi Krogan, Salarian e Rachni, subisce un ulteriore decremento demografico per molteplici concause:
- Quasi il sessanta per cento degli effettivi di prima linea che hanno combattuto contro le forze di fanteria dei Razziatori riporta disturbi debilitanti da sindrome da stress post traumatico. Nonostante le cure offerte a questi veterani, il parossismo causato dai ricordi dell'orrore di cui sono stati testimoni o l'incapacità di venire a patti con la morte dei loro cari (si stima che non ci sia stato nucleo familiare nella galassia conosciuta senza almeno due vittime), porta molti di essi al suicidio.
- A causa del numero di detriti liberati nell'atmosfera dai bombardamenti orbitali, aumentano i casi di patologie legate al sistema respiratorio causate dagli inquinanti, come l'asbesto, usati negli edifici demoliti dai Razziatori.
- Scarsità di viveri: su ogni pianeta, i primi bersagli dei Razziatori sono stati sempre le città, ma a mano a mano che la loro opera di distruzione degli insediamenti urbani veniva completata, essi si spostavano nei territori fertili circostanti, procedendo all'incenerimento o alla contaminazione dei centri agricoli. In casi estremi, vengono registrate vere e proprie carestie planetarie che decimano ulteriormente alcune colonie: solo grazie alle navi serra dei Quarian, riadattate per soddisfare anche i bisogni di specie levo DNA, e alle tecniche genetiche Salarian, la situazione viene contenuta.
 
Nexus
Con la Cittadella distrutta alla fine della Guerra, il Patto si trova privo di una struttura centrale da cui guidare la politica interstellare: dopo una serie di primi incontri, il Patto è costretto ad ammettere il valore che la Cittadella ha avuto per la galassia. Date però le risorse già esigue da poter indirizzare nella costruzione di una struttura così mastodontica come la Cittadella è stata, il Patto è incerto se chiedere alle specie che rappresenta i fondi necessari per finanziare un progetto simile.
La soluzione a questo dilemma arriva dai progetti di Crucible, ciò che avrebbe dovuto essere l'arma finale contro i Razziatori: per inspiegabili ragioni, la superstruttura non ha funzionato affatto, ma le innovazioni tecnologiche fatte durante la sua costruzione e ciò che esso ha rappresentato nel momento più buio della storia galattica, sono ancora vive nella mente di ogni specie. Benché la sua prima incarnazione sia stata distrutta assieme alla Cittadella, Crucible può essere ricostruito: con diverse modifiche, i progetti sono riadattati per soddisfare i bisogni del Patto.
La nuova superstruttura, ribattezzata Nexus, non eguaglia in opulenza la vecchia Cittadella, ma rimane comunque una stazione spaziale di oltre sei chilometri di lunghezza, nuovo centro della politica interstellare che ospita non solo la sede politica del Patto, ma anche una popolazione attiva di cinque milioni di persone, distribuita nelle tre braccia della stazione. Ma soprattutto, il Nexus ospita l'istituto interferometrico galattico, ovvero il primo e unico strumento che le razze senzienti posseggono per interfacciarsi in tempo reale con la rete dei portali di tutta la Galassia: una risorsa di controllo e protezione unica, perché cancella l'effetto sorpresa di qualunque offensiva verso le razze del Patto.
Data l'importanza strategica del Nexus, e memori della sorte della Cittadella, la nuova stazione spaziale viene realizzata per poter funzionare all'occorrenza come una supercorazzata, l'unica del suo genere: grazie agli enormi reattori a fusione del progetto originale di Crucible, e per scongiurare la possibilità che esso possa essere conquistato come la Cittadella, il Nexus è una struttura mobile, in perenne movimento fra i sistemi centrali delle razze del Patto.
La costruzione, iniziata nel 2191, prosegue per anni ininterrotta, venendo inaugurata ufficialmente nel settimo anniversario della battaglia per la Terra, giorno di festa galattica dedicato alla memoria delle vittime. 
 
SPE.TT.RI
Per quanto il corpo di Specialisti Tattica e Ricognizione della Cittadella abbia prodotto molte aberrazioni durante i quasi due millenni della sua esistenza, ha tuttavia salvato un numero incalcolabile di vite, seppur agendo al di fuori delle leggi galattiche e con solo l'autorità del vecchio Consiglio a cui rispondere. Imperfetto, per stessa ammissione dei suoi membri, il corpo degli Spettri è stato una risorsa temuta e rispettata da tutte le razze, sopratutto per la nomea famigerata dei suoi membri più noti, non ultimo il Comandante Shepard.
Nella speranza di arginare alcuni eccessi della sua precedente incarnazione, il corpo degli Spettri viene riorganizzato: con il nuovo e più generico nome di Guardiani, esso non risponde più direttamente ai rappresentanti del Patto, ma ad una struttura ad esso sottoposta, la cui sola ragione di esistenza è proprio quella di assistere i Guardiani nel loro compito, separando nettamente la componente politica da quella militare del Patto. Per evitare inoltre gli abusi di potere personale, il corpo dei Guardiani viene sottoposto a poche ferree regole interne: seppur slegati dai limiti delle leggi e delle burocrazie interstellari, i Guardiani sono obbligati a rispettare queste norme, pena la cancellazione dall'ordine, termine volutamente ambiguo che comprende ogni sfumatura dall'espulsione alla condanna a morte senza processo. Inoltre, a differenza degli Spettri, i Guardiani vengono strutturati come una forza organizzata in piccole cellule di tre elementi che agiscono insieme.
Un'ulteriore divisione viene operata all'interno dell'organizzazione, che prevede la spartizione degli agenti in due ordini:
- Il primo, chiamato in codice Scudo, è stanziale, è si occupa di sovrintendere un'area di competenza, mantenendo una costante vigilanza all'interno del suo territorio, che può variare in estensione da un solo pianeta a diversi sistemi stellari, a seconda della necessità. Questo per favorire una connessione fra i Guardiani e le popolazioni civili, ma anche per aumentare l'efficacia delle azioni dei Guardiani in un dato territorio.
- Il secondo, chiamato in codice Lancia, è composto invece da agenti d'assalto, squadre mobili addestrate a rispondere efficacemente ad un tipo particolare di minaccia e schierate secondo le necessità del Patto.
Ulteriori informazioni sono classificate.
 
Pianeti
- Terra: luogo di nascita della specie umana, il pianeta Terra è quello in condizioni più critiche fra i pianeti ancora abitabili. Dopo la Guerra, numerose capitali risultano distrutte completamente: il numero delle vittime sul pianeta si aggira sul miliardo di individui e i superstiti si trovano a dover fronteggiare situazioni di ristrettezze alimentari, mentre molti governi cercano di riaffermarsi dopo il collasso. L'Alleanza si sostituisce a molti governi nazionali quando questi non sono in grado di svolgere le loro funzioni, affermandosi come autorità politica planetaria, non solo militare.
Poiché la battaglia finale della Guerra contro i Razziatori si è svolta proprio nell'orbita terrestre, il numero di frammenti e rottami pericolosi ha superato la soglia critica per una navigazione sicura da e per il pianeta. Diversi sforzi sono indirizzati ad eliminare tutti questi pericolosi rottami vaganti, ripulendo il cielo della Terra una volta per tutte: dieci anni dopo la Guerra, non rimangono in orbita altro che le strutture necessarie alla società umana, un netto miglioramento alla situazione precedente al conflitto.
A causa della caduta della Cittadella sulla Terra, la quantità di detriti e polveri sottili sollevate in atmosfera ha prodotto un'era glaciale in miniatura, compromettendo ulteriormente la biosfera: enormi filtri atmosferici vengono edificati in tutta Europa nelle città ancora esistenti, in modo da setacciare queste particelle e normalizzare la situazione.
La contaminazione causata dall'elemento zero, sparso nell'orbita terrestre a causa delle molte navi distrutte durante la battaglia finale del conflitto, causa l'aumento del numero di biotici umani, al prezzo di ulteriori vittime per patologie legate al degrado del sistema nervoso.
L'umanità intera, senza divisioni di razza, credo o età, si dedica ancora una volta al compito di ricostruire le proprie città distrutte da una guerra.
 
- Palaven: dopo la Terra, Palaven è il pianeta più duramente colpito dai Razziatori. Per quanto la società militarista dei Turian sia perfettamente in grado di far fronte alla distruzione delle proprie città, nessun nemico prima dei Razziatori era mai riuscito ad espugnare il loro mondo capitale. La perdita maggiore per i Turian riguarda il proprio patrimonio culturale: la produzione artistica dei Turian è sempre stata in numero inferiore a quella delle altre specie, e molti di quei pochi capolavori sono ormai perduti per sempre. In una sfida personale ai propri antenati, nasce un nuovo movimento culturale Turian, volto a superare almeno nella quantità le opere d'arte del suo passato.
 
- Thessia: espugnato solo negli ultimi mesi del conflitto, Thessia è fra i pianeti ad aver subito meno danni dalla Guerra. Tuttavia, la cultura Asari impedisce loro di ricostruire tutte le città distrutte, nella volontà collettiva di mantenere una testimonianza di quella distruzione. In un compromesso con i propri cittadini, le Repubbliche Asari abbandonano i centri abitati più danneggiati, trasformandoli in monumenti sempiterni alla memoria dei caduti.
 
- Rannoch: in una situazioni diametralmente opposta a Thessia, su Rannoch fiorisce la costruzione di nuove città per ospitare i Quarian ritornati al loro pianeta natale. Il continente sud del pianeta è colonizzato rapidamente dalla Flottiglia sotto l'autorità dell'Ammiragliato, per tre secoli il governo militare dei Quarian. Aiutati in parte dai Geth nel processo di edificazione, la nuova capitale del popolo Quarian cresce rapidamente: battezzata Keelah Lai'Sen, nome che significa "Il giorno in cui ho visto il mio pianeta natale", la città viene edificata usando le vecchie navi come base su cui costruire, generando una città variopinta, disorganizzata e caotica, uno specchio perfetto di ciò che la Flottiglia è stata per i Quarian.
 
- Tuchanka: grazie alla tecnologia Rachni e alla testardaggine Krogan, il pianeta sta lentamente vivendo la sua rinascita. Per quanto sopravvivere al di fuori della zona schermata dalla tenda solare non sia ancora possibile per i Krogan, il loro numero sta crescendo rapidamente, tanto da rendere necessario una pianificazione accurata della natalità, in seguito al boom successivo alla cura della Genofagia: spazio abitabile e risorse alimentari sono i due elementi limitanti alla crescita della popolazione. Tuttavia, per la prima volta nella loro storia i Krogan iniziano a ricostruire alcune delle loro città, non accontentandosi più di sopravvivere nelle rovine della loro civilizzazione: il sito in cui sorgeva l'ultima torre del Velo, ovvero il luogo che ha visto l'inizio e la fine della genofagia, diviene territorio neutro per tutti i clan e il luogo dove si concentrano i primi sforzi di ricostruzione. Nel tempo, esso diventerà il centro culturale e religioso della popolazione Krogan, assumendo il nome altisonante di Martello dell'Eroe.
 
Normandy SR2
Per quanto la Normandy SR2 sia stata revisionata dalle forze dell'Alleanza appena prima dell'inizio della Guerra, non si può dimenticare che i suoi costruttori originali appartenevano a Cerberus, ponendo la nave al di fuori di ogni autorità ufficiale. Probabilmente la più famosa fra le navi esistenti, la Normandy è un simbolo di speranza potente per tutte le specie e anche il luogo che eroi di calibro interstellare hanno chiamato per un breve periodo casa. Piuttosto che trasformarla in un museo, un destino al quale l'equipaggio e il suo pilota, tenente Jeff "Joker" Moreau, si oppone fermamente, il Patto assegna alla nave un nuovo comandante e una nuova missione: l'ultimo Prothean ancora in vita, il comandante Javik, userà la Normandy per setacciare gli altri bunker che la sua specie aveva costruito nella galassia per sopravvivere durante la loro guerra contro i Razziatori, con l'obbiettivo di trovare altri membri della sua specie ancora in ibernazione.
Non è più la vendetta a guidare l'ultimo dei Prothen, ma la speranza instillata in lui da un essere umano.
 
Comandante Shepard
Nessuna notizia del comandante Shepard a seguito della sua ultima trasmissione dalla Cittadella. Dichiarata MIA alla fine della Guerra, viene promossa al grado di Maggiore in contumacia: la sua sorte è ignota.
 
Oggi: 2197



Trovate strano che per poter scrivere una storia di famiglia, debba preparare così tanto materiale? Personalmente, è proprio il lore di Mass Effect che mi ha spinto ad amare così tanto la saga e platinarne ogni capitolo. Tuttavia, a causa dei finali di ME3, non riesco a scrivere la conclusione delle avventure di Hayat Shepard così come le avevo cominciate: per rimanere fedele alla trama di ME3, dovrei snaturare il personaggio che ho creato e andare OC è qualcosa che non mi sento di fare, per varie ragioni. Avere un riferimento esterno per la propria storia è una specie di rete di sicurezza per me: mi impedisce di accontentarmi di svolte narrative deboli e mi costringere a controllare i fatti che inserisco nella trama con la fonte originale.
Quello che posso fare quindi, dato che non riesco a scrivere la storia di ME3 (e credetemi, ci ho provato) è lasciarmelo alle spalle, e tracciare un possibile epilogo di mia scelta, cambiando alcuni elementi di ME3 (di fatto quegli ultimi maledetti dieci minuti che violentano tutto il ciclo di ME, perdonate il mio vernacolo) e produrre qualcosa che spero vi piaccia: in ogni caso, sarei felice di leggere le vostre recensioni.
Permettetemi di aggiungere inoltre che Kirik e Raloi non sono una mia invenzione, ma specie che sono state nominate attraverso "Cerberus Daily News" tra ME2 e ME3 e che mi sono sentito in dovere di aggiungere dato che fanno parte del lore. Inoltre, per quanto anche Leviathan appaia all'interno delle espansioni di ME3 come "deus ex machina" per i Collettori e per l'origine dei Razziatori, in questa storia non esistono: ho fatto questa scelta perché la presenza di Leviathan crea davvero troppe incongruenze a livello del lore e l'unica soluzione per farli esistere sarebbe stata quella di citarli come vittime della guerra contro i Razziatori... ma perché prendersi questo disturbo?
Un ultima cosa, riguardante gli Asari: nel tentativo di rispettare la loro assenza di sesso, che tanta confusione crea in tutti, ho deciso arbitrariamente che il genere degli Asari come specie è maschile (gli Umani, i Salarian, i Turian), mentre gli individui sono tutti al femminile. Questo per evitare confusione (o forse no... xD).
Cosa ne pensate? Mantenete la calma, e lasciate qualche recensione.

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Capitolo 3
*** H Arm Dealers ***


"Il Comandante Shepard ha sfondato quella porta.
 La diceria che i Collettori abbiano affondato la nave del comandante Shepard con lei a bordo è un falso, messo in giro dal comandante stessa per attirare più Collettori su di lei.
Il Comandante Shepard può tagliare un coltello con un Turian.
Il Comandante Shepard non è morta: sta solo stabilendo il nuovo record per l'agguato più lungo."
Storielle dell'Alleanza - Jane&Jimmy&Joker. Estratti dal Volume VII.
 
 
"Pace! Ovunque mi volti vedo pace: pace infine, dopo tutti i gloriosi conflitti del passato. Niente più nemici, ma solo alleati, amici e fratelli..."
Salto FTL completato. 1680 km dall'obbiettivo. Attivazione sistema di occultamento termo-ottico confermato.
Rilevata nave ostile in orbita alta: protocollo di hacking lanciato.
"...E mi DISGUSTA! E mi dà la nausea! E mi annoia. Noi non siamo fatti per la pace: ma per la battaglia. Per il fuoco e per il metallo! No, le nostre mani non sono fatte per la pace, ma per afferrare fucili e pistole e cannoni! Per strangolare le nostre vittime. Per depredare le loro colonie e poi dare fuoco a ciò che resta!"
Rete interna nemica acquisita. Rimodulazione campo di contenimento del nucleo di curvatura in corso.
Massa critica raggiunta. Implosione in 3,2,1...
"...La battaglia non ha bisogno di ragioni: la battaglia è la sua ragione. Noi non ci chiediamo perché il fuoco bruci o il sangue scorra..."
Protocollo di dispiegamento rapido attivato. Siluri da 1 a 5 lanciati.
Attendere prego.
"...E la pace a cui danno un così alto valore non è altro che un'illusione! Poniamo fine a queste loro spente vite spese in nome di una bugia! Prendiamo quello che non ci appartiene! Facciamo loro rimpiangere il giorno in cui hanno abbandonato le armi! Noi siamo pirati sanguinosi e mercenari! Questa è la vita che cercano di toglierci!"
Ingresso nell'atmosfera confermato.
20 secondi all'impatto.
"...Avanti allora! Fatemi sentire le grida di questa colonia! Fatemi sentire mentre si dibatte e muore! Fatemi vedere mentre la luce abbandona i loro occhi!"
Bral Raik abbracciò con lo sguardo le sue truppe, la sua vera famiglia, i suoi veri fratelli: trenta guerrieri gli restituiscono lo sguardo dietro i loro caschi, stringendo le armi. Tutti i loro occhi sono pieni della sua stessa sete di sangue e di follia, così come dovrebbe essere: vivere per combattere, combattere per vivere, nessuno di loro è più in grado di fare una simile distinzione. Loro sono come bestie affamate, lupi rabbiosi, senza più un posto nella pacifica Galassia, perché conoscono solamente la guerra. Raik e i suoi krannt non si preoccupano delle vite che stanno per spegnere, delle famiglie che stanno per distruggere: sanno solo che Trategos è una sfera di ghiaccio, tormentata da un gelo perenne che ne congela anche i mari e loro, loro sono i pirati che daranno fuoco ad una colonia di quasi un milione di persone e distruggeranno ogni edificio fino a quando non rimarrà più pietra su pietra.
A nulla sono servite le difese della misera milizia coloniale: l'artiglieria di Bral Raik e dei suoi ha già demolito le posizioni perimetrali ed è solo una questione di minuti prima che lo scudo protettivo della colonia ceda. Per allora, Bral e i suoi saranno già all'interno del perimetro, impegnati a squartare chiunque si trovi sul loro cammino, per rivendicare nulla di più alto del semplice bottino e della furia del massacro.
E quando Bral Raik alzò un braccio per annunciare la carica col suo urlo di guerra...
 
THUMP! THUMP! THUMP!
Ciò che Bral e i suoi sentirono dopo il triplice impatto, oltre al terreno che gli tremava sotto i piedi, fu un suono strano: come un cupo ronzio. Quando il muro di neve che gli aveva oscurato la vista si posò nuovamente, era ormai già tutto finito.
I tre pezzi d'artiglieria che Bral e i suoi avevano posizionato, e il loro vecchio M29, col suo cannone da 155 mm, sono scomparsi: solo polvere di ferro nera e braci ardenti testimoniano il luogo dove si trovava il loro mezzo corazzato. Degli shuttle con cui sono scesi sul pianeta, rimane solo lamiera deformata: il metallo squarciato cola come caramello rovente nella neve.
La cosa strana, e che nessuno di loro è morto: per ora, almeno. Difficilmente si tratta di un caso.
"Bei giocattoli." disse Bral, segnalando con un cenno ai suoi uomini di abbassare le armi.
Attorno a loro, tre mech da combattimento li sorvegliano ad armi spianate: Bral è grosso, perfino tra i Krogan, eppure le tre macchine li sovrastano completamente, nere come la notte ed ugualmente enigmatiche. Ma non è a loro che il Krogan si è rivolto: no, Bral Raik sta parlando alla figura appollaiata sulla spalla di uno dei tre esoscheletri.
Lui o lei, anche se per Bral non fa nessuna differenza, veste una strana corazza, simile all'armatura di un antico cavaliere e anche'essa nera come le macchine al suo comando. Sul petto, un drago d'oro rampante è l'unica insegna che la contraddistingua: non ci sono altri indizi che aiutino ad identificare la specie del nuovo avversario, perché l'elmo che porta è stranamente deforme, volto a nascondere dietro curve aerodinamiche la sua identità.
Il guerriero non salta, piuttosto levita dalla spalla del mech, posandosi con grazia sulla neve fresca del pianeta: attaccato al suo polso destro, c'è il lungo fodero di un'arma, che fa apparire la figura ancora più asimmetrica, poiché la fine del fodero è ben oltre la sua testa, l'impugnatura verso terra.
Bral ha già visto un'arma simile durante la Guerra: la chiamano spada, o così gli sembra di ricordare. Un'arma strana, per quegli strani soldati appartenenti alla razza umana.
"PTX-40a, basati sul progetto dei mech ATLAS." disse il guerriero indicando il piccolo gigante dietro di lei.
Un sintetizzatore vocale, realizzò Bral: progettato per rendere la voce irriconoscibile ed irrintracciabile.
"Sono in vendita?"
"Un proiettile alla volta."
"Eh! Finalmente uno spirito affine... " sospirò compiaciuto Bral: rimanevano troppi pochi guerrieri nella galassia per i suoi gusti. "...Ma perché esiti ora? Avresti potuto spazzarci via nel momento in cui sei arrivato." disse, indicando a sua volta la macchia di ruggine alle sue spalle con un tozzo pollice.
"Il nucleo di curvatura della vostra astronave d'appoggio è imploso. Le vostre capacità di volo sono inesistenti."
"Aaah... strategicamente sensato, ma non fa nessuna differenza per noi. Sono sicuro che la colonia alle tue spalle ha tutte le navi di cui abbiamo bisogno."
"...Arrendetevi, morite. O entrambe."
"Mi piace, capo: mi piace sul serio." disse un Batarian staccandosi dalle file degli uomini di Bral.
"Anche a me Tarque." annuì il Krogan: "... anche a me. Ma tu... tu mi prometti la morte. Non fare promesse che non puoi mantenere..." disse il Krogan, facendo un passo verso il suo interlocutore.
"...Tu non sai quanto io desideri la morte: io e questi miei krannt... La vita si è attaccata a noi come una sgradevole malattia. Noi sappiamo solo combattere e la pace che c'è in questi anni... non la comprendo io, e non la comprendono i miei uomini."
Il signore della guerra scosse la testa tristemente, per sottolineare le sue parole:
"Io sono vecchio, perfino tra quelli della mia specie: per tutti i miei anni, non ho fatto altro che combattere cercando qualcuno che potesse finalmente finirmi: nemmeno i Razziatori ci sono riusciti e non perché non ci abbiano provato."
La distanza fra loro si stava riducendo a mano a mano che il Krogan avanzava: Bral lo supera in altezza di almeno un metro.
"...Ma se tu pensi di potermi uccidere, ed è l'unico modo in cui ci fermerai piccolo soldato, allora provaci. Almeno mi divertirai un poco."
Il suo braccio si allungò di scatto. Bral Raik era forte: aveva ucciso Rachni a mani nude. Ma quando fece per afferrare la gola del guerriero, si accorse che il suo braccio terminava appena prima del gomito: un taglio netto.
Quando aveva estratto?
"Patetico."
Raik si inchinò di fronte al suo avversario, ma non per scelta: gli erano state tagliate entrambe le gambe. Per scelta, il Krogan si accasciò malamente sul moncherino: la mano superstite gli era ancora utile.
"Eh! È passato troppo tempo dall'ultima volta che ho avuto una simile battaglia! Questo è glorioso!"
Il suo fucile si dispiegò mentre lo afferrava nel pugno: quel brivido... da troppo tempo Bral Raik non sentiva più quel brivido e quella gioia. Ma la sua arma gli sfuggì: quel suo primo amico e compagno di tante battaglie cadde nella neve assieme alla sua mano superstite, tranciata all'altezza del polso.
Attraverso la schiena, il guerriero pugnalò uno dei cuori di Bral, spaccò il secondo e lo calciò via nella neve: il sangue arancione del Krogan scorreva ormai a fiumi dal suo vecchio corpo.
Eppure, Bral non riusciva a smettere di sorridere: non vedeva più un simile abbandono nel combattere da troppo tempo, ed era la primissima volta nella sua lunga vita che trovava qualcuno così tanto più forte di lui. Il suo unico rimpianto in quel momento, fu nel non aver riconosciuto subito il valore del suo avversario: era la prima volta che Bral Raik veniva costretto a confrontarsi con la sua debolezza.
Davvero un peccato: altrimenti, Bral Raik avrebbe potuto godere di quel furore più a lungo.
Anche quando gli prese la vista, a Bral non importò più di tanto: ne era valsa la pena, venire sconfitti così da un simile Guerriero, lo ripagava di tutti i suoi giorni spesi in agonizzante attesa di quel momento.
"Ho qualcosa per te, Krogan." disse la voce, nel buio che stringeva il Krogan da ogni parte.
"E io che non ti ho preso niente... Eh! Mi hai preso gli occhi: non vedrò arrivare la mia morte. Non potrò averne paura come si conviene: è bella almeno?"
"Come una stella."
Se avesse avuto ancora gli occhi per vedere, Bral Raik avrebbe forse ammirato la sfera rossa sopra di lui: un piccolo sole, grande quanto il suo pugno e percorso da lampi elettrici. Una stella, così simile a quella del suo pianeta natale, fatta solo per lui.
"Allora dalla a me."
Bral Raik non sentì nulla: di lui non restò altro che una macchia sulla neve.
"...Se davvero cercavi la morte, avresti dovuto farlo da solo. Intollerabile."
Poi il Guerriero osservò gli uomini di Raik: erano rimasti attoniti, troppo impietriti per riuscire ad intervenire. Nessuno di loro aveva mai pensato che sarebbe venuto il giorno in cui finalmente Bral Raik, il loro personale signore della guerra, avrebbe incontrato la sua fine. Tutti i krannt che erano rimasti al suo fianco fino a quel giorno, si erano convinti che il loro capo avrebbe seppellito tutti loro: perché Bral Raik era invincibile, o così si erano sempre ripetuti.
Ma quando il Guerriero li guardò da dietro il suo elmo deforme, tutti loro seppero che anche disarmato e senza i suoi poteri biotici, anche senza quegli esoscheletri alle sue spalle, anche se fossero stati dieci volte il loro numero... loro non avrebbero mai potuto vincere.
Tarque, il Batarian, si fece avanti per la seconda volta, canalizzando la volontà di tutto il gruppo:
"Credo che ci arrendiamo." disse, lasciando cadere le armi.
La spada ritornò nel fodero.
 
"Navetta 1 ai coloni di Trategos: i vostri attaccanti sono stati neutralizzati. Richiediamo il permesso di atterrare."
 
***
 
Lei era bellissima: davvero bellissima ed elegante. La sala conferenze della colonia sembrava quasi risplendere della sua presenza: fra gli anonimi camici da laboratorio e i completi ormai fuori moda dei direttori, la sua grazia era quasi abbacinante.
Questo, la dottoressa Elea Megara poteva accettarlo; ma le vecchie matriarche sfiatate che balbettavano come fanciulle appena scappate di casa per inseguire il loro primo amore, erano davvero sconvenienti. Farsi catturare così dall'aspetto di qualcuno... ma nonostante tutto Elea, non poteva incolpare il loro ospite: anche dalle ultime file in cui era seduta, riusciva a vederla molto bene mentre rispondeva a tutte le domande che le erano poste con grazia. Era palese che non avesse bisogno di affascinarli, ma, proprio per questo, la sua bellezza li colpiva due volte di più: seduta in mezzo al palco della sala conferenza, l'Asari brillava della luce della sua prima giovinezza. Doveva essere una matrona molto giovane, se non addirittura una giovane adulta: vestiva con eleganza un semplice vestito dorato, con un fiore dello stesso colore ad adornarle il capo. A sua volta, quel giallo faceva risaltare l'azzurro naturale della sua pelle e dei suoi occhi: a parte un bracciale ed un anello alla mano destra, uniti assieme da un catena d'argento nel classico vincolo di matrimonio fra gli Asari, non portava niente di più appariscente del suo omnitool acceso sul braccio.
Sì, era davvero molto bella, così come molto incinta: ed era questo il motivo per cui si rivolgeva a loro rimanendo seduta in mezzo al palco.
"... come ho avuto già modo di dirvi, è a mister... Gunn che dovete rivolgere i vostri ringraziamenti per il tempestivo intervento." ripeté amabilmente per l'ennesima volta.
Quando la sua nave era atterrata, l'Asari si era presentata a loro semplicemente come miss Gunn, delegata della S&T, una consociata della Lawson Incorporated: la S&T che rappresentava, di cui miss Gunn era apparentemente vicepresidente e responsabile delle pubbliche relazioni allo stesso tempo, si occupava da anni della progettazione di sistemi di difesa coloniale. Trovandosi nelle vicinanze del pianeta, la S&T aveva liberamente offerto il suo aiuto contro i pirati, neutralizzando la minaccia prima che ci fosse una sola vittima. La successiva conferenza organizzata dalle matriarche di Trategos per ringraziare adeguatamente i loro salvatori si era rapidamente trasformata in una riunione d'affari, dato che miss Gunn stava ora trattando per cercare di assicurarsi un contratto di fornitura: tutto lasciava supporre che le sarebbe costato poca fatica, dato il successo del piccolo gruppo d'assalto della S&T nel difendere la colonia.
Per la dottoressa Megara, quella riunione era uno spreco di tempo: era l'unica sulla colonia a saper usare extranet? Le sembrava palese chi la S&T fosse davvero: un mercante di armi ripulito, che si era reinventato dopo la Guerra. Presentarsi come una consociata della famigerata Lawson Incorporated diceva già tutto quello che c'era da sapere su di loro: nuovo astro nascente del panorama industriale dell'Alleanza, si diceva che l'amministratore delegato e fondatore della Lawson Inc. avesse addirittura passati legami con Cerberus.
Se fosse stato per Elea, avrebbe cacciato la S&T da Trategos, subito dopo averli ringraziati ovviamente: invece, le matriarche avevano deciso di includere all'incontro tutte le figure di spicco della colonia, per farli assistere mentre si scioglievano come burro di fronte a quella Asari molto incinta.
"... Ma non essendo Mister Gunn a questo nostro incontro presente, rivolgeremo i nostri ringraziamenti a lei, Miss Gunn. Invero, spero che questa assenza non sia dovuta a ferite o danno subiti durante il suo tempestivo salvataggio della nostra piccola colonia."
La Matriarca Seognide: quasi mille anni di età ed amava ricordarlo a tutti ogni volta che prendeva parola. Perfino il suo dialetto era antico: nemmeno su Thessia si usava più la vecchia parlata di Serrice.
"Non c'è ragione di preoccuparsi nobile Matriarca: mister... Gunn sta semplicemente riposando. Tuttavia, potete essere certi che riferirò i vostri ringraziamenti e sono sicura che mister... Gunn ne sarà deliziato."
Il gorgoglio delle Matriarche interruppe la discussione per un momento: nobile matriarca? Nemmeno Elea usava più un simile e pittoresco modo di esprimersi. Quella giovane Asari era un ingannevole predatore: delicata come il fiore che portava forse, ma dalla mente dotata di lunghi artigli.
Non che importasse molto alla fine: Elea non aveva nessun problema ad assistere allo scialacquare delle Matriarche, fino a quando i crediti per i prodotti della S&T non provenivano dal suo fondo di ricerca oceanica.
Bastò un semplice colpo di tosse di miss Gunn per riacquistare l'attenzione dei presenti: li aveva completamente alla sua mercé.
"...Per tornare al precedente argomento, come vi ho mostrato i PTX-40a sono un'innovazione notevole rispetto agli Atlas su cui sono basati: sono dotati di equipaggiamento modulare che permette loro di adattarsi ad ogni situazione. In accordo al clima di Trategos, possiamo dotare i vostri PTX di pattini, ovviamente senza costi aggiuntivi: combinandoli col loro sistema di propulsione dorsale, scivolerebbero sulla neve come slitte a razzo."
"A quale velocità massima?" chiese un Turian dalle prime file: il loro responsabile della milizia coloniale, di cui Elea faceva il possibile per dimenticare il nome.
"Circa un centinaio di chilometri all'ora su una distesa pianeggiante, ma non più della metà su terreno accidentato. Con una autonomia di almeno dieci ore anche in situazioni di combattimento."
"Comunque meglio di quanto possediamo attualmente."
"Kss- Io sono più interessato alle funzioni autonome dei vostri mezzi -kss. È vero che possono agire senza un pilota al loro interno?"
"Corretto... mister Ubrec Ele, è esatto?" un rotondo e grasso Volus in prima fila assentì contento. "...Per quanto i nostri PTX funzionino al meglio quando vengono pilotati, le IV di bordo sono capaci, fino ad un certo livello, di agire autonomamente e condurre una manovra d'assalto coordinandosi fra loro e con le altre forze di terra."
Con un gesto elegante dell'Asari sul palco, il video che gli strumenti della colonia avevano catturato sui loro assalitori, e di come erano stati neutralizzati, venne nuovamente riprodotto:
"...Potete osservare come le nostre quattro unità abbiano agito in concerto con mister... Gunn, assicurando una copertura totale dei suoi movimenti: qui vedete il gruppo di attacco delle tre unità dispiegato assieme, riprese dalla quarta, rimasta a distanza per dare supporto."
"E tutto questo solo grazie alle IV di bordo?"
"I PTX di cui disponiamo personalmente sono in servizio da un certo tempo. Grazie alla tecnologia di cui siamo proprietari, le nostre IV sono in grado di apprendere e hanno imparato a sincronizzarsi con mister... Gunn al meglio: più i PTX sono usati, meglio combattono, in poche parole."
"E lei sostiene che queste vostre macchine sarebbero meglio di un sistema di artiglieria orbitale?" chiese di nuovo il capo della milizia coloniale.
"Assolutamente e per diverse ragioni: i cannoni di cui lei parla sono indubbiamente capaci di respingere una nave in orbita. Ma sono superstrutture estremamente costose, lunghe da costruire e facili da eludere: basta muoversi al di fuori dell'angolo di tiro per renderle obsolete. I PTX possono essere invece adattati per far fronte ad un numero quasi illimitato di situazioni: la Lawson Incorporated li impiega perfino per esplorazioni in ambienti ostili e per la ricerca scientifica, uno dei primi interessi di questa colonia, se non vado errata. Infine, quattro PTX costano la metà di quanto spendereste per un sistema di artiglieria orbitale."
"...La decisione finale non spetta a me, miss Gunn, ma ammetto che lei ha la mia completa attenzione."
Tipici Turian, pensò Elea: militaristi fino all'ultima cellula del loro corpo.
"E spero di continuare ad averla: non sono ancora arrivata al culmine della nostra offerta." disse l'Asari con un sorriso: "...come ho già detto, esistono diversi equipaggiamenti modulari per i nostri PTX, oltre al sistema di barriere cinetiche integrato. I tre che abbiamo usato durante il nostro intervento su Trategos sono l'MSu, l'LT e un modulo Omnishield. Questi rappresentano probabilmente i tre moduli di livello più alto che la Lawson Incorporated produce attualmente."
Il video sopra di lei venne sostituito da una schematica generata al computer, una di quelle rappresentazioni virtuali piene di numeri e specifiche spartane che annoiavano terribilmente Elea: il modello al computer mostrò un PTX impegnato a proteggere con un'enorme scudo arancione generato dal suo braccio l'avanzata di piccole figurine stilizzate, assorbendo al loro posto degli immaginari colpi nemici.
"L'Omnishield è un sistema di difesa di mischia basato sulla tecnologia degli omnitool, adattato però ad un esoscheletro da combattimento. il PTX diventa così in grado di fornire una copertura alle forze di fanteria che sta assistendo, difendendole fisicamente dal fuoco di armi di medio e piccolo calibro, o da pochi colpi d'artiglieria, come è avvenuto durante il nostro intervento. Il PTX può muoversi liberamente durante il dispiegamento dell'omnishield, diventando così l'avanguardia di ogni assalto."
Il video si interruppe, passando ad un'immagine fissa di un'arma bulbosa e molto lunga: ad Elea ricordavano certe lunghe beute che usava in laboratorio.
"L'LT è l'arma che è stata utilizzata dalla nostra unità di supporto per neutralizzare gli shuttle nemici: con una gittata massima di una trentina di chilometri, è un cannone fluido-magnetico. Riscalda un getto di ferrofluido ad alta densità fino alla transizione allo stato di plasma, e quindi lo espelle a velocità relativistiche. L'energia cinetica e la temperatura del proiettile sciolgono il bersaglio, penetrando attraverso di esso per diversi metri: come potete osservare, un unico colpo del nostro LT è bastato a neutralizzare i tre shuttle pirati."
La foto seguente mostrava i tre shuttle liquefatti e sagomati in tre sculture d'arte moderna: i marcatori termografici a fianco all'immagine riportavano temperature superiori ai 3000 °C.
L'animazione seguente, che si accese a fianco della foto precedente e la sostituì in dissolvenza, mostrava una fila di proiettili stipati uno di fronte all'altro e di come avvenisse l'accensione sequenziale di ognuno di essi: a fianco dello schema, campeggiava a chiare lettere la frase Proiettili Immagazzinati ad Attivazione Elettronica (EISP)
"L'MSu è il fiore all'occhiello della S&T: un lanciagranate basato sulla tecnologia EISP, spara granate esplosive a ricerca da 2 grammi a velocità doppia rispetto a quelle del suono. Gittata massima affidabile: cinque chilometri. La tecnologia EISP necessita di attrezzature specializzate per il precaricamento delle munizioni e la manutenzione, rendendola una scelta impopolare in quest'epoca dei più semplici ed economici acceleratori di massa."
Miss Gunn fece una pausa ad effetto prima di continuare:
"...Tuttavia, il fatto che l'MSu possa essere configurato con qualunque frequenza di tiro tra i trentamila e il milione di colpi al minuto, rende la tecnologia EISP una scelta estremamente impopolare tra tutte le bande mercenarie e di pirati della Via Lattea."
Il video seguente era una ripresa in alta definizione girata da una delle tre unità della S&T che avevano combattuto direttamente i pirati, opportunamente rallentata: Elea osservò il pigro torrente di metallo fuoriuscire dall'arma del robot, cancellando i pezzi di artiglieria dei pirati senza lasciarne nemmeno della limatura. Prima ancora di cominciare ad esplodere, le munizione si accumulavano sul bersaglio in un numero troppo grande per essere compreso: per Elea, che non aveva mai preso un'arma in mano in vita sua, l'effetto era quasi comico.
"L'MSu non uccide: annichila." concluse l'Asari dal palco.
L'espressione sul volto del capo della milizia coloniale era interessante: se Elea avesse dovuto tirare ad indovinare in quel momento, avrebbe scommesso che il Turian avesse appena avuto un orgasmo.
 
BLEEP! BLEEP! BLEEP!
Tutti gli occhi della sala conferenze furono su di lei in un solo istante.
Eppure Elea era più che certa di aver spento il suo comunicatore personale: una simile mancanza di tatto non era da lei e tuttavia, del tutto indifferente ai suoi desideri, il suo comunicatore strillava a pieno volume per avere attenzione, senza che la dottoressa potesse spegnerlo. La fuga fu la sua unica opzione: in totale imbarazzo, si catapultò fuori dalla sala conferenze in tutta fretta, benedicendo la Dea che le aveva riservato la penultima fila di poltrone.
Ovviamente, non appena le porte si chiusero alle sue spalle, il suo comunicatore decise di aver fatto abbastanza danni e smise di strillare.
"Malnato aggeggio..." sospirò Elea: non c'era nessun codice identificativo di chiamata. Sembrava che il suo comunicatore avesse semplicemente deciso di impazzire nel bel mezzo della sala conferenze.
"Dottoressa Megara?"
Se non si fosse sforzata così tanto nel corso degli anni per disabituarsi, in quel momento probabilmente Elea avrebbe imprecato per lo spavento: il suo comunicatore le sfuggì comunque di mano.
Il Geth che l'aveva sorpresa alle spalle si mosse troppo velocemente perché Elea potesse seguirlo con lo sguardo: per un solo momento fu una macchia color cobalto che si tuffò verso il basso e verso di lei.
Quando si rialzò, aveva in mano il suo comunicatore e glielo stava porgendo, indifferente al fatto che Elea si fosse illuminata della corona azzurra dei suoi poteri biotici: la sua forma era così aliena, con l'innaturale testa a forma di torcia e cavi serpeggianti dove avrebbe dovuto esserci un volto.
"..."
"..."
"...Grazie." si sforzò infine di dire, prendendo il comunicatore che le veniva porto, cercando di non toccare il Geth.
Per quanto ormai parte della galassia e del Patto, Elea aveva ancora paura di tutti i sintetici. Il Geth non rispose: si limitò ad alzare la testa per osservarla meglio.
Elea si sentì subito a disagio: sapeva di essere alta. Conosceva bene il fatto di sovrastare ogni altro colono di Trategos e il 99% della restante popolazione Asari nella Galassia: come avrebbe potuto essere altrimenti? Ma almeno su Trategos il suo metro e novantasei centimetri di altezza, che arrotondava sempre a soli 190 centimetri, e il colore della sua pelle rosa salmone, passavano per una semplice bizzarria genetica. C'era un motivo se Elea aveva scelto Trategos per i suoi studi oceanografici e si teneva lontana da ogni mondo cosmopolita Asari: era così stufa del cosiddetto "ambiente accademico", da bastarle per due vite.
"Lei è la dottoressa Elea Megara." affermò il Geth con sicurezza: la sua voce era metallica, ma non priva di sfumature. Sembrava... compiaciuto, di averla trovata.
"Esatto... e chi, se posso chiedere, sarebbe lei?"
"Noi siamo Geth." fu l'asettica risposta.
"...Mi creda, questo è piuttosto evidente. Vorrei sapere il suo nome, se possibile."
"Noi non abbiamo nome..." scandì lentamente il Geth. "...Noi possediamo un codice identificativo, una designazione e molte funzioni. Siamo qui per accompagnarla."
Tutto quello che la sua mente educata nelle migliori scuole di Thessia riuscì a produrre in risposta alla frase del Geth, fu un eloquente:
"...Uh?"
Il Geth indicò il soffitto con una delle sue mani metalliche:
"Mister Gunn desidera incontrarla."
"...E se preferissi rimanere invece?" chiese Elea indicando la sala conferenze, nella quale miss Gunn si stava certamente assicurando un contratto a dieci zeri con le matriarche.
"Non comprendiamo perché dovrebbe: mister Gunn ha specificatamente cambiato rotta per salvare questa colonia, dottoressa Megara. E quindi anche lei."
Era la seconda volta che quel Geth riusciva a lasciarla di sasso in pochi secondi:
"Inoltre, i segni vitali trasmessi attraverso il suo comunicatore indicavano uno stato di profonda noia durante l'esposizione di miss Gunn."
Lo sguardo della dottoressa Elea passò al comunicatore che aveva ancora in mano.
"Hai hackerato la mia rete personale...." realizzò Elea in quel momento: era sicura di aver spento il suo comunicatore prima di entrare nella sala conferenze e ora ne aveva la prova: "... Questo non è affatto cortese."
"Mister Gunn desidera incontrarla." ripeté il Geth laconico: "Non ha ragione di indugiare: la preservazione dei suoi parametri vitali è da ora una delle nostre direttive primarie."
"...Riferisca a mister Gunn che ha terribili maniere. E che se ha un tale desiderio di incontrarmi, può trovarmi nel mio alloggio."
"Non desidera conoscere il motivo per cui mister Gunn vuole incontrarla?" le chiese il Geth, mentre Elea si separava da lui con la ferma intenzione di dirigersi ai suoi laboratori per lanciare una diagnostica di sicurezza del sistema informatico.
"Perché dovrei?"
"Perché riguarda sua madre."
Suo malgrado, Elea si voltò per squadrare nuovamente il Geth: ora avrebbe davvero imprecato di gusto.
"...Estremamente poco cortese." sussurrò invece.
"Da questa parte." indicò il Geth, facendole strada verso il porto della colonia.
 
***
 
"...Piuttosto grande, come vascello."
Normalmente Elea non avrebbe scambiato convenevoli con un Geth, ma non le era mai piaciuto viaggiare nello spazio: per lei, la distesa nera fra le stelle era sempre stata una morte orribile dentro spazi troppo angusti. Parlare con qualcuno l'aiutava a superare la paura, ma il Geth non avrebbe mai cominciato una conversazione per primo:
"Sì. Prova interesse alle navi spaziali, dottoressa Megara?"
"Solo se devo salirci a bordo... che cosa puoi dirmi su di essa?" chiese più bruscamente del solito, artigliando i braccioli della sua poltrona.
"Non ci è permesso dire molto al momento. Rientra nella categoria degli incrociatori per massa: la corazzatura esterna e i sistemi di barriere cinetiche sono tecnologia Geth all'80%."
Ma questo era più che evidente, dato che la loro meta sembrava l'incrocio fra una vespa senza'ali ed un gigantesco gambero di cromo: un design unico, che non poteva essere confuso con nessun'altro nella Galassia.
"...Ha un nome almeno?" Elea si stava sforzando di prolungare il più possibile la conversazione con quel laconico manichino di metallo.
Il Geth lasciò andare la cloche dello shuttle, collegando la sua mano ad un ingresso dati: in risposta, una ripresa ingrandita della paratia esterna dell'incrociatore venne materializzata in un angolo del quadro comandi. Elea osservò per un momento le scritte nere sul metallo, per lei incomprensibili, prima che fossero tradotte in un angolo dell'immagine a suo beneficio: A-51, lesse la dottoressa.
"Questa è una sigla, non un nome." commentò acida.
"Sì." concesse il Geth con un sibilo elettronico: "Mister Gunn ha usato questa sigla identificativa della paratia per dare un nome al suo vascello."
Erano ormai così vicini all'incrociatore, che la ripresa ingrandita della paratia non serviva più: Elea poteva vedere chiaramente le grandi lettere nere. Un cerchio blu intermittente si accese appena prima della scritta, segnalando il punto di l'attracco: una O di colore azzurro.
"O A-51" disse il Geth a voce alta. "Oasi: nel suo significato attuale, un luogo isolato dove la vegetazione prospera grazie ad una fonte naturale di acqua potabile. Nel suo significato ancestrale, un luogo in cui era possibile edificare una dimora stabile."
Il sussulto causato dalle pinze di attracco fu molto più lieve di quanto Elea si aspettasse: fu solo il sibilo della pressurizzazione esterna a confermarle che l'aggancio era avvenuto.
"Mister Gunn la sta aspettando" disse il Geth.
"Credevo mi avrebbe accompagnato." rispose Elea, quando vide che il suo pilota non si era mosso dal sedile.
La testa a forma di torcia si spostò lievemente per osservarla meglio:
"Dottoressa Megara, noi..."
Il portellone dello shuttle si aprì in quel momento, rivelando un secondo Geth dello stesso color cobalto del primo ad attenderla in piedi: "... la stiamo già accompagnando."
"Da questa parte." offrì il nuovo Geth, invitandola a seguirlo. Per l'ennesima volta, nel silenzio della sua mente, Elea maledisse sua madre e si chiese se, nonostante quello che le era stato detto, avrebbe mai rivisto Trategos.
Ma ormai era troppo tardi per i dubbi: la paratia si chiuse alle sue spalle, precludendole una fuga precipitosa verso lo shuttle che aveva appena lasciato: poteva solo andare avanti.
I corridoi all'interno dell'incrociatore erano spaziosi e ben illuminati: molto più di quanto Elea si aspettasse. Per quanto le navi e i viaggi spaziali la terrorizzassero, Elea si rese conto quella nave era stata progettata per offrire il massimo comfort possibile ai suoi ospiti. Gli ambienti erano lindi e luminosi, con toni chiari sulle paratie interne, e nell'aria c'era uno strano profumo, floreale, e non una di quelle fragranze chimiche da quattro soldi: un profumo di veri fiori freschi. Ma soprattutto, Elea osservò stupita i tappeti di vimini che coprivano il pavimento dei corridoi.
Il Geth che la precedeva la condusse oltre una brusca svolta alla sua sinistra e poi per un corto, ma spazioso corridoio, che terminava con una larga porta chiusa. Quando il Geth si trovò di fronte ad essa, la sua mano di tre dita bussò due volte contro il metallo:
"Abbiamo portato la dottoressa Elea Megara."
In risposta, la porta si spalancò sibilando di fronte a loro , dividendosi a croce in quattro segmenti e scomparendo fra le paratie della nave.
"Dopo di lei." disse il Geth, invitandola ad entrare: Elea dovette accumulare tutto il suo coraggio per superare la soglia.
La luce nella stanza era soffusa e rendeva difficile stimarne le dimensioni: l'ambiente aveva una forma triangolare, con due enormi vetrate su ogni lato, che permettevano di ammirare il pianeta sottostante e le stelle. Al centro della stanza, qualcuno la stava aspettando, seduto a gambe incrociate su un tappeto:
"Ben arrivata, dottoressa Megara. È un piacere incontrarla, finalmente: posso offrirle qualcosa? Idromele Asari? The? Una tisana? Ho anche un'effervescente tonico Salarian..."
 Elea realizzò tre cose: mister Gunn parlava la lingua Asari, anche se con un lieve accento esotico. Mister Gunn non era affatto un uomo. Ed Elea conosceva mister Gunn:
"Deicida..."




D'accordo lo ammetto: sono patologicamente incapace di trovare un titolo decente alle mie storie. E quindi  H Arm Dealers è un  pessimo gioco di parole in inglese.
"Arm Dealer" significa semplicemente venditori di armi. Harm invece significa anche danno, nel senso di danno fisico e dolore. Da solo, il verbo Deal significa anche distribuire...
Quindi il titolo può essere letto in vari modi: lo so, lo so è pessimo come gioco di parole, però si adatta ai membri della S&T che vendono armi e distribuiscono dolore, salvano le colonie... chissà chi saranno mai?
Passando ad altro, in ordine di apparizione:
- Ptx-40a, vi suona familiare? Forse perché avete giocato a Lost Planet una volta. Trategos è anch'esso un pianeta ghiacciato dopotutto, ma non ha bacherozzi giganti e affamati, per quanto ne sappiamo...
- La tecnologia EISP non è una mia invenzione, ma una seria innovazione tecnologica su cui probabilmente saranno basate alcune armi del futuro. Lascio a voi trarre le conclusioni su quanto strani siamo come specie: sputare metallo è più importante di andare nello spazio.
Recensite e lasciate un parere, per favore, o continuerò a fare pessimi giochi di parole senza controllo...  Alla prossima!

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Capitolo 4
*** Benvenuto in Famiglia ***


-Agente Operativo 3497: "Star Trek TNG, arte visiva e discipline marziali: hobbies più banali di quanto mi aspettassi data la vostra origine.
"In famiglia ci considerano quelle normali: noi non sposeremmo mai un membro del nostro clan. O un Risvegliato.
...E nemmeno ci tufferemmo nella cromosfera di una gigante rossa per divertimento.
 In effetti, a parte il fatto di leggerci la mente a vicenda...
...Siamo solo due ragazze normali."
Incontro preliminare per la nomina a Guardiani (Approvate), Selene e Alune bint Hayat T'Soni
 
 
"...Deicida?" ripeté la figura sul pavimento.
"Una superstizione largamente condivisa, diffusasi da extranet a partire dal 2188 come termine generico per riferirsi a lei, Miss." intervenne il Geth alle spalle di Elea: "Origine: culto Batarian dei Pilastri della Forza. Libro di Gogosh, versetto 437: Figli di Kar'Shan, dirigete il vostro sguardo a Gogosh, dove l'Antico veglia sulle mura. E così disse il Deicida: Ecco! Io sono il tuo nemico..."
"Può bastare." l'interruppe la donna al centro della stanza e il Geth si azzittì con uno squittio elettronico: "...Questo complica le cose, ma non di molto immagino."
In risposta ad un gesto della sua mano, accompagnato da un fioco lucore azzurro, uno dei cuscini sparpagliati nella stanza fluttuò obbediente, andando a posarsi proprio di fronte a lei:
"Venga a sedersi con me, la prego: nonostante il mio aspetto, le assicuro che non mordo." continuò la donna con un sorriso ed un cenno d'invito: "...E non ha ancora risposto alla mia domanda: posso offrirle qualcosa?"
Elea non rispose: non poté.
Come tutti, la dottoressa aveva già visto alcuni veterani della Guerra: per la maggior parte, tristi figure a cui i Razziatori avevano tolto più di qualche semplice pezzo di carne. Elea non riusciva mai ad accettare tutto al primo sguardo: solo prendendosi del tempo per osservare ogni parte, l'Asari riusciva ad impedirsi di fissare in seguito.
La sua ospite non era la testimonianza della Guerra più grave che avesse mai visto, ma a causa della sua asimmetria era di certo la più inquietante: il lato sinistro del suo corpo testimoniava la sua sopravvivenza nonostante le enormi sofferenze subite. Dei due occhi, entrambi di colore violetto, solo uno era normale, poiché quello sinistro era una strana protesi dove l'iride era formata da due cerchi sottili, circondata da tre punti disposti a triangolo: era facile cogliere quei dettagli, perché quello strano occhio sembrava brillare dall'interno. Sullo stesso lato, bottoni di metallo di grandezza decrescente si allungavano dalla tempia fino all'orecchio, tradendo con la loro posizione protesi integrate che dovevano sostituire parte del sistema nervoso. Ma ciò che più di tutto attirava l'attenzione era il braccio sinistro: di un profondo colore bluastro e lucido tanto da riflettere senza fatica la fioca luce della stanza. Una protesi simile a quella Elea non ne aveva mai viste: oltre al suo colore estremamente anomalo, che mal si accostava a quello naturale della pelle scura della sua ospite, la dottoressa si accorse di quanto quel braccio fosse diverso dal suo gemello di carne. L'arto artificiale era infatti stranamente sottile, quasi scheletrico, e ricordava nelle sue forme essenziali quelle dei manichini, ma con tozzi cavi che gemmavano in corrispondenza delle giunture del gomito e della spalla: Elea se ne accorse perché la sua ospite portava una maglietta verde senza maniche. Continuando a percorre con lo sguardo quella protesi, Elea ne osservò la mano, composta da dite sottili che terminavano in punte aguzze, prive di unghie: l'intero braccio sembrava più un'arma che un arto. Quell'impressione era sottolineata ulteriormente sia dalle nocche, che apparivano rinforzate da un metallo argentato, con lunghe linee dello stesso materiale che si allungavano fino al polso, sia dalla testa di una grossa vita che sembrava fosse stata incastonata nel palmo.
Dietro a quella terribile protesi, la sua ospite rimaneva a gambe incrociate e a piedi nudi, con solo un paio di semplici ma aderenti pantaloni bianchi di materiale antichoc e un cinturone in vita.
Elea tornò a fissare il volto della sua ospite: anche se era la prima volta che la vedeva dal vivo, era impossibile sbagliarsi. Era davvero lei.
"Dottoressa Megara?"
"... Un the sarebbe delizioso. Con un poco di zucchero a parte, per favore." riuscì a dire finalmente.
"Certamente." disse il Geth.
"...Deve rimanere per forza?" chiese cautamente Elea: "... Non vorrei impormi, ma ho qualche problema, con i sintetici."
"Speravamo che la nostra presenza potesse alleviare la tensione che molti organici provano rimanendo da soli con Miss."
"Ma non sta funzionando, non è vero?" disse la donna seduta sul pavimento con un sorriso obliquo sul volto.
"...Riconosciamo la nostra presenza come fonte di ulteriore stress per la dottoressa Megara." ammise il Geth compito, quasi a malincuore: "Il the è pronto." disse poi: perfettamente a tempo, le porte alle sue spalle si aprirono, permettendo l'ingresso di un'altro Geth, sempre dello stesso color cobalto. Questo portava tra le mani un vassoio di legno, con una teiera e due tazze disposte ordinatamente sopra di esso, e un piccolo vasetto ad accompagnarle: senza dire una parola, il Geth depose il vassoio sul pavimento. Poi, muovendosi all'unisono, i due Geth gemelli uscirono dalla stanza, lasciando sole le due donne.
"Grazie." disse Elea, avanzando lentamente verso la sua ospite e finalmente sedendosi sul cuscino che le era stato offerto.
"Non c'è problema: molte persone nella Galassia nutrono ancora dubbi e rancori verso i sintetici, ma, per quello che vale, Apostata è solo curioso."
"...Apostata?"
“I Geth che ha incontrato finora: sono tutti manovrati da un unico collettivo, un'unica mente, a cui è stata data l'infelice designazione di Apostata. Se desidera sapere il perché del nome, consiglio di chiederglielo direttamente: è una storia... piuttosto interessante."
"Sembra tenerlo in alta considerazione."
"Assolutamente. E l'inverso è anche vero: dopotutto è pronto a dare la vita per me. E per lei."
"... Perché un Geth dovrebbe dare la vita per me?"
"Perché l'ho chiesto io." disse semplicemente la sua ospite: "Immagino lei abbia molte domande."
"Alcune... decine." ammise Elea.
La sua ospite sorrise:
"Posso provare ad indovinarne alcune: ma prima, mi permetta di presentarmi come si deve e di darle il benvenuto. Il mio nome è Hayat bint Hannah bint Haaron ibn Nazim Shepard del clan Urdnot. Sarei felice se volesse chiamarmi per nome, dottoressa Elea Megara, e rinnovo il benvenuto a bordo di Oasi, questa nave che è anche la mia casa."
"... Temo che chiamarla per nome sarebbe piuttosto sconveniente, comandante." disse Elea dopo aver deglutito un paio di volte: era al cospetto di una leggenda.
"Maggiore." La corresse Shepard di riflesso: " Ma come sa, la Galassia mi considera MIA. Diciamo che sono in... congedo e non uso più i miei gradi dell'Alleanza."
"... Miss Shepard sarebbe accettabile?"
"Un po' più impersonale di quanto sperassi, ma posso accontentarmi. Quanto zucchero desidera?"
"...Uh?"
"Nel suo the: quanto zucchero desidera?" ripeté ancora l'umana, sollevando la teiera e riempiendo con grazia le due tazze.
"Due cucchiaini, grazie." rispose Elea automaticamente.
Il tintinnio della ceramica fu l'unico suono mentre la sua richiesta veniva esaudita: porgendole la tazza, e prendendo l'altra per se, Shepard continuò:
"Dopo la Guerra, la mia sopravvivenza è un segreto... direi quasi violentemente custodito. Nonostante questo, vorrei scusarmi per come l'ho attirata a bordo: per quanto a lungo ci abbia pensato, questo è l'unico modo che mi è venuto in mente per parlarle, a parte farla rapire dal suo alloggio."
"...Ha considerato il fatto che avrebbe potuto semplicemente invitarmi?" chiese Elea, scegliendo di ignorare le pericolose implicazioni nella frase del maggiore.
"Certamente. Tuttavia ho dovuto scartarlo per... diciamo cause di forza maggiore."
"...Allora immagino che non ci sia nulla di cui scusarsi." disse Elea, lasciando che le sue mani si scaldassero col tepore della tazza. Era talmente emozionata, che non riusciva nemmeno a sentirne il sapore.
"Aspetti ad esserne così sicura." rispose Shepard, sorbendo il suo the: "Temo che questo nostro incontro le riserverà più di una sorpresa, non tutte spiacevoli, spero."
"...Che cosa intende dire?"
"È complicato..." disse la sua ospite, posando la tazza e sporgendosi verso di lei: "Dottoressa Megara, ci sono quattro cose in questa galassia che non sono assolutamente in grado di fare: la prima è ballare. La seconda è comprendere l'arte moderna. La terza è bere Ryncol. E la quarta... la quarta è lasciare membri della mia famiglia in pericolo."
"Ha dei parenti su Trategos?"
"Sì." fu l'asciutta risposta di Shepard, che non elaborò oltre l'argomento.
Elea non si era fatta illusioni: perché mai il famigerato comandante Shepard avrebbe dovuto rivelare i suoi segreti a lei? Naturalmente, la dottoressa provò ad immaginare chi fra il personale della colonia potesse essere imparentato col famigerato Shepard, ma non le venne in mente nulla: dopotutto, Trategos era una colonia Asari e non c'erano molti umani. In ogni caso, quella era una faccenda secondaria: doveva esserci certamente una ragione seria per il suo invito a bordo, ma la dottoressa non aveva fretta di conoscerla, considerato chi la sua ospite fosse.
Dire che Elea si sentiva intimorita dalla sua ospite sarebbe stato sottovalutare completamente la questione: venivano organizzati pellegrinaggi nei luoghi in cui il comandante Shepard era stata. Per molti dei sopravvissuti alla Guerra, Elisyum era la nuova Mecca, dove la statua eretta in onore dell'eroina dell'Assalto di Skyllian accoglieva centinaia di migliaia di persone ogni anno. E lei era viva e di fronte ad Elea.
Nemmeno Shepard sembrava avere fretta: con un sospiro, l'umana si prese del tempo per osservare il pianeta oltre le vetrate della stanza.
Seguendo il suo sguardo, anche l'Asari guardò la sua colonia, la sua casa:
"Trategos, terzo pianeta dal sistema di Pelion. Congelato per la sua quasi totalità, eccetto la fascia dei mari all'equatore, possiede il più freddo inverno di ogni colonia Asari." citò a memoria la dottoressa.
"Sembra un pianeta piuttosto inospitale."
"Può credermi miss Shepard, ha i suoi momenti, ma siamo una piccola colonia testarda. Il primo inverno è sempre il più duro per ogni nuovo colono, ma se lo si supera, le distese ghiacciate ti accettano e sanno farsi a volte perfino ospitali: quando durante la Guerra abbiamo dovuto abbandonare le nostre città scavate nel ghiaccio, ci siamo nascosti sotto gli iceberg, rimanendo per mesi nei sottomarini di ricerca..." Elea si interruppe con un sorriso imbarazzato:
"...Deve perdonarmi, immagino che la Guerra sia un argomento banale nelle sue conversazioni."
"Meno di quanto lei immagini: vivo ogni giorno cercando di sfuggire alla mia fama. In effetti, farmi dichiarare MIA dieci anni fa è stata forse la seconda migliore decisione di tutta la mia vita."
"Sarebbe inopportuno chiederle quale sia stata la prima?"
Un altro sorriso obliquo attraversò il volto di Shepard:
"Chiedere alla mia dolce metà di sposarmi, naturalmente."
"...Miss Gunn?"
"Sì, questo è il nome con cui ci presentiamo di solito... deve scusarmi se sorrido dottoressa Elea, ma miss e mister Gunn rappresenta un gioco frequente fra di noi: era la mia identità fittizia molti anni fa, prima della Guerra, durante una missione sotto copertura. Un mercenario dei sistemi Terminus, con tanto di articolo su Badass Weekly e ora la maschera che usiamo frequentemente durante le nostre visite planetarie. Il prezzo che paghiamo per avere una vita tranquilla."
"...Sembra un prezzo piuttosto alto: dover rinunciare al proprio nome intendo."
"Mi creda, ne vale la pena. Ma lei dovrebbe saperlo: non è forse per un motivo simile che ha deciso di vivere su Trategos, dottoressa Megara?"
"Sembra che lei abbia fatto delle ricerche su di me." Elea lo disse a voce molto bassa e con un tono estremamente rassegnato: il suo più grave motivo di imbarazzo, che credeva di aver sepolto secoli fa, riportato alla luce così facilmente.
"...Meno di quanto sarebbe stato necessario, ma forse più di quanto avrei dovuto: ho letto con un certo interesse il suo articolo sul Cefalo colosso di Trategos, dottoressa."
"Si interessa di oceanografia e biologia marina?"
"L'unico oceano che posso dire di conoscere è quello fra le stelle, temo: in previsione di questo nostro incontro, ho cercato di conoscerla meglio."
"Posso chiedere perché?"
"Intrattengo con sua madre un rapporto che oserei dire familiare."
"...Uh."
"È un argomento di cui non parla spesso, immagino."
Elea scosse la testa tristemente:
"Madre è sempre stata... originale nelle sua scelte: non ultima, io stessa. Non credo di essere stata d'accordo con lei su nulla crescendo e negli anni la distanza fra noi è solo aumentata. Ho interrotto con lei ogni contatto poco più di due secoli fa e non ho più guardato indietro."
"... Mi dispiace saperlo."
"Non avrebbe potuto andare in altro modo: la stigma sociale correlata alla mia nascita è difficile da sopportare."
"So cosa intende: io stessa e la mia compagna abbiamo fatto fatica a farci accettare nelle nostre rispettive specie all'inizio."
"Trovo difficile crederlo: voglio dire, lei è miss Shepard, dopotutto."
"Come la Galassia ama ricordarmi sempre... ma prima di diventarlo, ero solo una ragazza strana con troppi poteri biotici: una fra le prime nella razza umana, che difficilmente sa accettare immediatamente il nuovo e il diverso."
"E miss Gunn?"
"Lei è quella che alcuni fra voi Asari definirebbero... purosangue." Elea rabbrividì un poco sentendo quel termine sgradevole: perfino peggiore di quelli con cui era stata chiamata lei durante i suoi studi universitari.
"...A proposito, il suo vero nome è Liara. Liara T'Soni." continuò Shepard.
"La figlia della matriarca Benezia T'Soni? Quella T'Soni?"
"Ne ha sentito parlare."
"Ovviamente: chiunque fra gli Asari conosce la matriarca T'Soni e del suo tradimento assieme allo spettro Saren..."
"C'è più in quella storia di quanto immagina." l'interruppe Shepard con un certo impeto nella voce. Abbastanza da attirare la curiosità di Elea:
"...Sarebbe troppo chiederle di raccontarla?"
"È una storia molto lunga e triste, dottoressa: eventualmente dovrà conoscerla, ma c'è qualcosa che deve assolutamente sapere prima. Vede, io e lei condividiamo..."
Qualunque cosa Shepard stesse per dire andò persa, perché la porta dell'osservatorio si aprì in quel momento nel sospiro soffuso di cardini pneumatici: per puro istinto di conservazione, Elea si voltò ad osservare il nuovo intruso, complice lo sguardo di Shepard di fronte a lei.
"CARICA!" urlò una voce infantile con ancora la pronuncia lievemente blesa dei bambini.
"PEEEEER TUCHANKA!"
Ciò che avanzò per la stanza al piccolo trotto fu un animale a tre teste: questa fu l'unica cosa che Elea riuscì a percepire, prima che venisse congelato in un campo di stasi, cortesia di Shepard, che non si era mossa dal suo cuscino.
"...Awww, così non vale però!
E vero è vero: i poteri sono un fallo!"
"Selene, Alune... " disse pazientemente Shepard, ma non senza divertimento nella voce: "...credevo di avervi già detto di non usare più Urz per fare cavalluccio."
"Ma papà, a Urz non importa!
A Urz piace farsi cavalcare!"
"Sul serio, mio vecchio amico?"
Elea ci mise un attimo a capire a chi Shepard si stesse rivolgendo: la parte più grossa della figura a tre teste si staccò dal resto, rivelandosi un Varren enorme, color sabbia e porpora.
I Varren, i cosiddetti cani pesci di Tuchanka: uno dei pochi animali che allo stato brado osi dare la caccia ai Krogan, grazie a mascelle e denti in grado di spaccare armature da combattimento.
Elea cercò di allontanarsi il più possibile, ma il Varren la ignorò completamente, girandole attorno fino ad accasciarsi sfiatato dietro a Shepard, lasciando alla sua padrona il gravoso compito di grattargli la base delle sbrindellate pinne del cranio.
La dottoressa non capì subito che il roco ringhio che la creatura stava emettendo doveva essere il suo modo di fare le fusa.
"Urz viene da Tuchanka..." spiegò Shepard ad Elea: "Ci è molto affezionato e per questo si lascia fare quasi tutto, dimenticando che una volta partecipava ai combattimenti tra Varren."
A sentire il suo nome, il Varren aprì un occhio bulboso e grande quanto una tazza per osservare Elea, mostrando zanne gialle e una lingua viscida con un enorme sbadiglio.
"Papà? Chi è lei?
È alta! E rosa!"
Shepard fece un cenno con la mano, e le altre due figure si disposero a fianco a lei: Elea assistette mentre l'umana toglieva quelli che sembravano elmi ricavati da secchi di plastica e requisiva una lancia realizzata con un cilindro di cartone e carta stagnola.
"Questa è la dottoressa Elea Megara. E loro sono Selene e Alune, due delle mie figlie."
"Gemelle..." disse Elea quasi incredula.
Tra gli Asari le gemelle erano rarissime e viste quasi come anomalie. Sempre e solamente omozigoti, le gemelle Asari possiedono dalla nascita ciò che è definito "sincronizzazione": a causa della biologia riproduttiva Asari e della loro naturale empatia, anche quando separate e cresciute in luoghi differenti due gemelle Asari sapranno sempre ciò l'altro membro della coppia pensa. Non è telepatia, anche se ne ha tutti i sintomi, piuttosto una conoscenza istintiva e completa della propria mente, e quindi di quella del gemello.
"Papà... ci fissa.
Non ci piacciono
Quelli che fissano." finirono in coro, stringendosi attorno a Shepard, che le circondò con le braccia.
"Sta solo guardando quanto siete carine: non è vero, dottoressa Megara?"
"...Certo." ripose Elea: non del tutto vero, ma l'unica cosa che le venne in mente da dire.
Le due gemelle, Selene e Alune, avevano un viso che ricordava molto quello di miss Gunn, ma appena un po' più affilato, più simile a quello di Shepard, di cui condividevano lo stesso colore degli occhi. Una spruzzata di lentiggini sul naso e le corte creste sulla nuca, ancora incomplete, rivelavano quanto fossero giovani.
"Quanti anni avete?" chiese educatamente Elea.
"Sette anni. Mamma dice sempre
che ne dimostriamo di più."
Per la specie Asari, le due gemelle erano poco più che neonate, ma mostravano una curiosità straordinaria per essere così piccole.
"Vostra madre ha ragione: sembrate davvero più grandi."
"Anche tu hai bambini?" chiese la gemella alla sinistra di Shepard, al riparo della strana protesi.
"Alune..." la ammonì Shepard. Il fatto che riuscisse a distinguerle l'una dall'altra era l'unica prova necessaria per dimostrare la loro parentela.
"Nessun problema." disse Elea, interrompendo il comandante Shepard: il ricordo del capo della milizia coloniale di Trategos le tornò alla mente non invitato. "Nonostante i miei anni, non ho ancora figli."
"Quanti anni hai?" chiese la gemella alla destra di Shepard, Selene.
"Trecento due anni." rispose garbatamente la dottoressa.
"Non sei vecchia. Uno dei nostri zii ne ha
quasi mille. E abbiamo un sacco di cugini..."
Le due gemelle si interruppero, guardandosi negli occhi da sopra la testa di Shepard, probabilmente scambiandosi lo stesso pensiero:
"E poi fare bambini è bellissimo!
Mamma e papà ci provano spesso."
Shepard arrossì: l'innocenza con cui le due gemelle avevano detto quella frase e la loro ignoranza di ciò che stessero implicando erano semplicemente troppo da subire.
"...Uh." disse Elea, mentre Shepard si schiariva la gola: fu una fortuna che nessuna delle due stesse bevendo qualcosa in quel momento, o i risultati sarebbero stati catastrofici.
"Perché... perché non andate a giocare con Apostata? Io e la dottoressa dobbiamo parlare ancora un poco assieme." consigliò alle gemelle l'umana.
"Tata sta disegnando
con Sihaya e Sesat."
"Allora perché non andate ad unirvi a loro? Mamma dovrebbe tornare più tardi."
Le due gemelle assentirono all'unisono, prima di tornare a rivolgersi ad Elea:
"Anche tu sei carina, ma troppo alta per noi. Però
Alla nonna piaceresti: non ti danno fastidio quando dormi?"
Seguendo lo sguardo delle due gemelle, Elea abbassò il suo, fino a capire a cosa si riferissero.
Le due bambine non aspettarono la risposta della dottoressa: invece, presero la tazza di Shepard, ormai vuota, e tenendola fra quattro mani, se la portarono via.
"Sono piuttosto vivaci..." disse Elea, sforzandosi di non cedere all'imbarazzo e di coprirsi i seni con le braccia: la genetica non la aiutava a passare inosservata. Tuttavia quell'interruzione improvvisa aveva tolto ad Elea molta della soggezione che provava per Sheaprd, al prezzo del nuovo timore per il Varren, che stava però russando in quel momento.
"Possono avere questo effetto... e la loro nonna materna non aiuta in questo senso."
"Primogenite?"
"Seconde. La maggiore è Sihaya che ha dieci anni, poi ci sono loro due e infine Sesat, ancora una neonata. Ariel dovrebbe arrivare tra qualche mese."
"...Una famiglia notevole."
"Sembra disapprovare..."
"No! Assolutamente no... " disse Elea con veemenza. "È semplicemente insolito per noi Asari avere così tante figlie da un solo compagno: specie a distanza di così pochi anni."
"Non siamo mai state capaci a subire le regole, dottoressa Elea. E dopo la Guerra... Io e Liara volevamo disperatamente vivere."
"Non deve spiegarmi nulla, coman- miss Shepard. Liara T'Soni è fortunata ad averla come compagna."
"E viceversa: mi creda. Forse io posso aver salvato la Galassia, ma Liara ha salvato me."
"... Mi dispiace solo che debbano avere una nonna così sconveniente. Credevo però che Benezia T'Soni fosse scomparsa prima della Guerra."
"Infatti... intendevo il padre di Liara: una matriarca anticonvenzionale e scontrosa."
"Da come ne parla mi ricorda mia madre..."
"Buffo... considerato che sono la stessa persona." disse Shepard con voce leggera.
Inizialmente, Elea pensò di aver sentito male. Poi purtroppo capì che non sarebbe stato così semplice.
"..."
"..."
"..."
"Sta reagendo meglio di quanto mi aspettassi... se fossi stata al posto suo, temo sarei esplosa." commentò finalmente Shepard.
"...In verità, credo di star esplodendo, ma internamente." Di Elea rimaneva solo la parte più animale, innocente e indifesa, trovatasi improvvisamente di fronte a qualcosa di più terribile di un predatore: perfino Urz reagì a quella sua voce, aprendo di nuovo uno dei suoi occhi bulbosi per osservarla preoccupato.
Elea lo ignorò del tutto.
"Quindi lei è una di quelle persone... sì, la sua espressione è calzante." disse cautamente Shepard, guardandola in faccia.
"Non... non sta scherzando, vero?"
"Sarebbe di cattivo gusto..." rispose l'umana, alzando la sua protesi fra loro: un semplice ologramma venne materializzato, contenente tre strisce colorate rappresentate in un modo con cui Elea aveva familiarità: erano codici genetici Asari.
"I primi due sono della matriarca Aethyta Megara e di Liara T'Soni. Mi sono permessa di prelevare il suo DNA dal registro sanitario della colonia tre ore fa."
La terza striscia venne sovrapposta alle precedenti: grazie al suo occhio disciplinato, non servì nemmeno l'esito del computer per confermare ad Elea la verità delle parole di Shepard.
"...Crede che potremmo passare al tu, ora?"
Elea annuì lentamente, annichilita, senza sapere cosa dire.
"Ricapitolando, la cattiva notizia è che siamo cognati, tu ed io. La buona notizia, è che hai una sorellastra e delle nipoti: riesci ancora a seguirmi?"
"...Cosa... cosa vi aspettate da me?"
"Assolutamente niente. ...Conosci il detto: si possono scegliere gli amici, ma non i parenti?"
"...Temo di no."
"Lo immaginavo, dato che è umano. In poche parole, dipende da te ora. Puoi far finta che questo incontro non sia mai avvenuto: non è l'esito che spero, ma accetterei se volessi tornare a Trategos e dimenticare tutto. Oppure potresti fare la cosa meno sensata e accettarci come tuoi parenti. Conoscerci. Diventare davvero parte della famiglia."
"Perché... perché dovresti volermi come tua parente? Voglio dire, io sono solo una biologa marina, non sono... speciale e mi sono stabilita su Trategos proprio per non subire più il fatto di essere il frutto di una scopata casuale..."
Elea si tappò la bocca con la mano, inorridita.
"...Tra un Hanar ed una Asari?" finì per lei Shepard.
"Mi... mi dispiace molto. È stato molto sconveniente, da parte mia."
"Sono un marine, Elea. Durante l'addestramento ci hanno insegnato ad elevare l'imprecazione ad arte. Ed essendo un Krogan onorario... " Shepard finì la frase con un alzata di spalle eloquente.
"...Comunque: io non ho più un singolo parente umano ancora in vita, Elea. Mia madre è morta durante la battaglia finale della Guerra e mio padre quando ero poco più grande della mia figlia maggiore. Liara ha avuto Benezia crescendo, ma le matriarche difficilmente sono bravi genitori: troppo concentrati nel loro ruolo nella società Asari. Tu Elea, sei l'unica altra sua parente ancora in vita, a parte Aethyta ovviamente e lei..."
"...Aethyta non è esattamente il ritratto del genitore modello." intervenne Elea.
"Mmmsì... qualcosa del genere. Ho un sacco di amici che le piccole già chiamano zii e zie: una vera zia in più non sarebbe un problema."
"Mi... mi vorreste davvero? Normale come sono?"
"Anche Liara era piuttosto normale quando ci siamo conosciuti... la famiglia Shepard e T'Soni non accetta solo persone straordinarie."
Io ho una sorella. E ho delle nipoti:  era strano anche ripeterlo nella sua mente. Elea ci provò ad alta voce:
"...Povera sorella mia: due genitori Asari, di cui uno è Aethyta."
"Finalmente! Cominciavo a temere che fossi priva del senso dell'umorismo Elea, ma a quanto pare c'è qualcosa, nascosto sotto la superficie: capisco perché hai scelto Trategos. Acque profonde sotto una sottile crosta di ghiaccio."
"..."
Elea non aveva mai messo in relazione Trategos con se stessa, ma c'era della verità dietro quelle parole.
"Allora... pensi di essere pronta ad essere mia cognata?"
"Dovrei pensarci un momento... anche in condizioni normali una cosa simile è scioccante. Non riesco ad immaginarmi come madre, figuriamoci come zia..." disse più a se stessa che a Shepard.
"Certamente: non c'è fretta." rispose con un sorriso imbarazzato Shepard, alzandosi in piedi: "L'osservatorio è a tua disposizione: prenditi pure tutto il tempo di cui hai bisogno, Elea. Apostata sarà fuori dalla porta ad aspettare la tua risposta, che sia quella di tornare su Trategos, oppure... oppure no."
Shepard era già sulla porta, quando Elea la fermò con una domanda:
"Shepard... Hayat: ne vale la pena?"
"Che cosa?"
"Avere una famiglia? Io non ne ho mai avuta una..."
"...Per me, che sono nata e cresciuta nello spazio, avere un luogo a cui appartengo è qualcosa di irrinunciabile."
Le porte si chiusero dietro di lei senza che Elea avesse bisogno di chiedere altro.
 
***
 
"Mi sono laureata a Serrice con lode."
Di certo, questa non era la prima frase che Elea si aspettava di sentire da Liara T'Soni, quando era entrata dalla porta dell'osservatorio, alcune ore dopo che Shepard le aveva lasciato la stanza.
Liara T'Soni, la sua sorellastra: era strano incontrare per la prima volta una sorella che non si sapeva di avere. Specie dopo averla identificata con una venditrice di armi quella stessa mattina.
Alle sue spalle, Shepard si era appoggiata allo stipite della porta a braccia incrociate e si limitava ad osservare le due Asari: Elea e Liara erano diverse come il giorno e la notte e probabilmente solo Aethyta avrebbe saputo dire che erano sorelle.
Il sorriso che aveva sul volto scomparve quando Liara si voltò a guardarla:
"E tu... questa notte tu dormirai per terra." disse, puntandole un dito con cui avrebbe voluto trafiggerla. Shepard non osò replicare: inghiottì e mosse la testa in un cenno di assenso.
"... Per la dea.... sono di nuovo in sbalzo d'umore, vero?"
Di nuovo, Shepard non osò replicare: con l'esperienza acquisita nel tempo, sapeva bene che le possibilità che Liara l'attaccasse al muro coi suoi poteri biotici o che la gettasse per terra procedendo in una serie di distruttivi amplessi, erano equivalenti. In entrambi i casi comunque, era qualcosa da non mostrare alla propria cognata durante il loro primo incontro, e forse nemmeno al secondo.
"E il mio quarto Krogan si fa sentire..." disse Liara prendendosi la faccia nelle mani per cancellare la stanza per un momento.
"Quarto Krogan...?" chiese educatamente Elea alzandosi in piedi.
"Aethyta è figlia di un Asari e di un Krogan: questo rende Liara per un quarto Krogan. E anche tu, Elea, ora che ci penso." rispose Shepard. Liara la minacciò agitando un pugno chiuso e Shepard chiuse la bocca, alzando le mani al cielo in un gesto di resa.
"...Uh." disse Elea, ma la sua sorellastra continuò ad ignorarla. Liara T'Soni, che fino a poche ore fa era sembrata l'immagine dello splendore materno, grazie anche al vestito giallo che ancora portava addosso, era molto cambiata.
"Normalmente non farei assistere ad uno sconosciuto mentre ti scortico con la mia mente, Hayat, ma visto che hai deciso di includere la dottoressa Megara nella nostra famiglia senza consultarmi, credo che abbia il diritto ad assistere." Detto questo, la pelle di Liara si illuminò d'azzurro e lampi elettrici mentre manifestava i suoi poteri biotici.
"Mia dolce deniz..." disse Shepard soavemente. Il significato del vocabolo andò perso ad Elea, che non conosceva nessuna lingua Terrestre.
"Non provarci nemmeno col tuo deniz..." disse Liara, mentre sentiva le sue ginocchia farsi molli e lo stomaco riempirsi di farfalle: "Non avevi il diritto di sconvolgere la vita della dottoressa. E hai agito alle mie spalle."
Elea non capì subito che si stavano riferendo a lei.
"Colpevole, lo ammetto. Ma fa parte della nostra famiglia... sconvolgere la sua vita è la missione di ogni parente che si rispetti. E poi..." si affrettò ad aggiungere precipitosamente, mentre Liara corrugava la fronte: "...Elea può andarsene in qualunque momento se così desidera. Semplicemente, ora sa che noi esistiamo: non pensi che spetti a lei scegliere cosa fare?"
Liara si rivolse ad Elea per la seconda volta da quando era entrata, senza però smettere di esibire i suoi poteri biotici:
"Ciò che ha detto questa mia sciocca compagna è vero?"
Elea assentì:
"Shepard... Hayat, è stata molto chiara su questo punto: lascia a me il diritto di decidere cosa fare. E ha anche sottolineato quanto potrebbe essere pericoloso per me accettare: nonostante questi avvisi, però, penso che mi piacerebbe fare parte della famiglia... se non è di troppo disturbo, ovviamente."
Liara non disse niente, ma l'aura dello stesso colore della sua pelle scomparve in una nuvola elettrostatica.
"Non avresti dovuto farlo alle mie spalle." ripeté Liara stringendo i pugni. Shepard si accostò a lei, cingendole la vita con le braccia.
"Mia deniz, ti conosco: stai pensando da anni se presentarti ad Elea o no e non hai ancora preso una decisione. Ti ricordi quanto ci è voluto per te e Aethyta per riconciliarvi? Ho semplicemente colto l'occasione data dalla nostra... visita a Trategos. "
"Non cercare di farmi credere di averlo fatto per me... ti conosco." protestò debolmente Liara, mentre Hayat appoggiava la testa nel punto in cui il collo della sua compagna diventava spalla.
"L'ho fatto anche per le bambine: per quanto desideri il contrario, Liara, non potrò starvi vicino quanto vorrei e lo stesso vale per quasi tutti i loro zii e zie. Vorrei che ci fosse qualcuno con te, quando questo accadrà."
"Se accadrà."
"... Se." disse Shepard con una strana sfumatura nella voce: "Capisci perché l'ho fatto?" chiese a Liara, appoggiando un bacio delicato alla base del collo di Liara.
Elea cominciava a sentirsi ignorata, ma non osò interromperli.
"Mhh....Comunque, questa notte dormi per terra."
"...Anche se so come farmi perdonare?"
"E cosa avresti da offrire?" chiese languidamente Liara: Shepard non rispose direttamente. Si limitò a fare l'occhiolino e un cenno ad Elea, tenendo Liara per mano. La dottoressa si decise a seguirli solo quando Shepard si voltò di nuovo e ripeté il cenno: in un angolo della stanza, si era attivato uno schermo olografico, per il momento ancora nero.
"Aspettavo di assistere a questo, fin dal momento in cui ho saputo della tua esistenza, Elea." disse il comandante sfregandosi le mani. Sullo schermo, lettere e numeri cominciarono a snodarsi lentamente, una riga alla volta:
"Hayat?" chiese Liara, perplessa dal sorriso obliquo di Shepard.
"Vedrai... ti piacerà. Vi piacerà."
Intanto, sullo schermo una ripresa di un largo appartamento sostituì le righe di codice informatico: in pochi secondi, nell'inquadratura entrò una persona che tutti i presenti conoscevano bene.
"Ehi Shepard. Spero tu mi stia chiamando  per dirmi che ho un'altra nipote: da quando hai appeso il fucile al chiodo, è l'unica cosa che sai ancora fare bene..."
Istintivamente Elea si ritrasse in un angolo, fuori dalla portata del comunicatore.
"È ancora presto per Ariel, Aethyta: questione di mesi."
"Così tanto? Non sto diventando più giovane, quindi datevi una mossa: voglio poter viziare mia nipote come si deve. Allora? Perché mi stai chiamando? Hai interrotto il mio sonno di bellezza. Non che ne abbia bisogno ovviamente: c'è questo Salarian che continua a spedirmi poesie. Pah! Poesia a me... sono troppo vecchia per il romanticismo. Stendimi e spogliami, piuttosto: se è civilizzato, stai sbagliando." concluse l'interlocutore dall'altra parte dello schermo, con uno sbadiglio rumoroso ed un rutto.
Successe una cosa strana ad Elea a quel punto: mentre ascoltava, all'improvviso la dottoressa ricordò un infanzia passata con sua madre e le sue abitudini sconvenienti. Forse fu a causa della giornata, cominciata con un assalto pirata e finita con la scoperta di avere una sorella e di essere un quarto Krogan. E di essere imparentata col famigerato Shepard, ritornata dalla morte.
Elea stava cominciando a fumare: possibile che dopo secoli, quella persona fosse rimasta la stessa?
"In effetti c'è un nuovo membro della famiglia." disse Shepard
"La dea mi aiuti, se hai adottato un altro Krogan..."
"No, niente del genere..."
Liara le prese la mano: per la prima volta, Elea toccò sua sorella ed entrambe si guardarono negli occhi: un unico cenno di assenso passò tra di loro. Assieme marciarono di fronte allo schermo, in piena vista:
"Padre, vorrei presentarti la dottoressa Elea Megara... ma forse vi conoscete già?"
"... o per il sacro culo di Athame." disse Aethyta con una strana voce sottile.
"Salve madre: vedo che il tuo vocabolario non è cambiato in questi anni. E nemmeno il tuo gusto nel vestire." disse Elea.
Sottovoce, mentre Shepard si spostava di lato, lasciando loro tutto lo spazio di cui avevano bisogno,  Liara disse con un sorriso a Shepard:
"Questa notte non dormi sul pavimento."
 
La telefonata interstellare durò a lungo. Davvero molto a lungo.
Fu interessante per Shepard, vedere finalmente Aethyta, con la sua boccaccia e il suo ruvido modo di fare, venire messa in imbarazzo. C'erano voluti anni, ma finalmente sembrava che avessero trovato qualcuno in grado di tenerle testa: Liara era troppo timida per farlo, Shepard non osava superare i confini impliciti del suo grado di parente acquisita e su Aethyta la famigerata nomea dell'umana non sembrava aver mai avuto effetto.
Ma Elea... Elea non aveva questi limiti: per tutta la durata della conversazione, mantenne maniere impeccabili, un tono controllato e una scelta di vocabolario squisita. Ma appena sotto la crosta di ghiaccio, si percepiva una furia fredda come lo spazio, che Shepard riconobbe e perfino ammirò. E Hayat capì il vero motivo per cui Elea aveva scelto di vivere su Trategos: non per sfuggire ai pettegolezzi sui suoi genitori, una coppia che esisteva normalmente solo nelle più deprecabili produzioni pornografiche, ma per impedirsi di riversare quella furia su tutti gli idioti che aveva attorno.
Sì, Elea faceva senza dubbio parte della famiglia.
"È stato... liberatorio" disse la dottoressa, chiudendo la comunicazione con un sospiro soddisfatto: "Per quanto inaspettato, devo offrirti i miei ringraziamenti Shep- Hayat, per avermi dato la possibilità di avere questo confronto con mia madre e di avermi fatto sapere dell'esistenza di mia sorella." concluse, stringendo le mani di Liara con un sorriso.
"...Vuoi fermarti a cena?" offrì l'umana con un sorriso, dopo aver scambiato uno sguardo con Liara.
"Non vorrei impormi..."
"Nessun disturbo..." disse Liara: "Sarebbe un piacere."



Prima ancora di mettermi a scrivere questa storia, ho avuto i nomi dei protagonisti in mente per un certo periodo di tempo.
Sappiamo, dagli eventi che di Me3, che Liara ha davvero una sorellastra con un Hanar come padre (ammesso e non concesso che sorellastra si applichi come termine agli Asari), ma non viene mai fornito un nome; e dato che non ci viene nemmeno mai detto il cognome della matriarca Aethyta, cercando di rispettare il più possibile il lore mi sono imbarcato in un viaggio alle origini dei nomi di Mass Effect (un viaggio lungo, di cui vi risparmio il racconto ma vi presento solo l'esito: sappiate solo che nessun nome è stato scelto a caso, se avete voglia lascio a voi il compito di trovare le corrispondenze).
Spero di aver raggiunto un discreto bersaglio: e quindi vi presento ufficialmente Elea Megara, che è cresciuta come Liara all'ombra di una matriarca, ma molto molto diversa da Benezia.
Dubito che il rapporto fra Elea e Benezia potrebbe essere stato dei più rosei crescendo e quindi ho optato per una persona che non ha mai condiviso le scelte del suo genitore da cui se ne è estraniata (qualche dettaglio in più nel prossimo capitolo, ma non aspettatevi una biografia :P).
Per quanto riguarda le due gemelle, Selene e Alune e la loro sincronizzazione: un concetto che non mi appartiene nella sua originalità, ma l'idea di due gemelle Asari che condividono la mente dato ciò che gli Asari sono in grado di fare naturalmente mi è sembrato adatto. Tuttavia, la sincronizzazione tra gemelle Asari è un non canon: completamente farina del mio sacco.
Come forse avete già  immaginato, ogni capitolo di questa storia è preceduto da una piccola citazione dedicata ad ogni membro della famiglia S&T (Aethyta e Urz non inclusi, non vogliatemene), che sto usando senza vergogna come strumento per raccontarvi il destino di ognuno di loro a distanza di anni o secoli, così come nel mio piccolo l'ho immaginato.
Cosa ne pensate? Ogni recensione è ben accetta.

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Capitolo 5
*** Parenti ed Apostati ***


Il mio nome è dottoressa Elea Megara, figlia della matriarca Aethyta Megara e di Danza con la Corrente. Io sono la zia dell'Asari che stai per prendere come compagna: se non ti impegnerai a renderla felice nei prossimi secoli, puoi considerare la tua specie estinta.
Dottoressa Elea Megara, discorso di addio al celibato di Urdnot Grunt.
 
 
"È davvero molto spaziosa." disse Elea, seguendo Shepard mentre faceva strada a lei e a Liara attraverso i corridoi della nave.
"Ed è un bene o un male?" chiese Hayat di buon'umore.
"Un bene ovviamente: è la prima volta che non mi sento a disagio su una nave spaziale. Ma forse è merito dell'adrenalina..."
"Non ti piacciono le navi, Elea?" le chiese Liara.
"Sono claustrofobica." Ammise la dottoressa: "Di solito mi faccio prescrivere un narcotico durante i viaggi interstellari."
"Oh..." disse Shepard, fermandosi di botto: "Mi dispiace. Non c'era sulla tua cartella medica: se l'avessi saputo, avrei organizzato la tua visita diversamente..."
"Non è così grave..." la interruppe Elea: "È solo claustrofobia. Fino a quando non ci sono spazi troppo chiusi, non c'è problema."
"Immagino che tutti abbiano le loro paure: a me non piacciono gli Yagh, per esempio..." spiegò Liara.
"Yagh?"
"... è una lunga storia." disse Liara mordendosi il labbro inferiore.
Ormai la dottoressa cominciava a farci l'abitudine: era naturale che ci fossero un sacco di cose da raccontare, sopratutto in una coppia come quella fra Hayat e Liara. Ma non era ancora il momento giusto per fare quelle domande: meglio fingere di non comprendere tutte quelle implicazioni... almeno per il momento.
"Anche Shepard ha le sue fobie?" chiese invece.
"Certamente. E ti prego chiamami per nome: per quel che la Galassia crede, il maggiore Shepard è ancora MIA. Lasciamola al suo riposo..."
"...E quale sarebbe?" chiese Elea: alla sua domanda Liara storse la bocca, in un'espressione che alla dottoressa ricordò molto Aethyta.
"Ho detto di avere le mie fobie... non ho mai detto di sapere qual è." rise Shepard: "Immagino che nell'universo, da qualche parte, ci sia qualche animale o creatura che può spaventarmi solo per il fatto di esistere. Solo che non ha ancora deciso di farci incontrare."
"Con mio disappunto, è la verità, Elea." commentò Liara alla domanda inespressa: "Hayat non ha paura di nulla..."
"O forse non so di cosa ho davvero paura..." abbozzò Shepard afferrandosi la base del collo in un gesto imbarazzato e affiancando le due Asari: con Urz a pedinarle formavano un ben strano corteo. Il cane pesce si teneva ad una distanza tale che perfino Eela non aveva niente da ridire, anche se sotto la luce impietosa della nave, la dottoressa aveva dovuto ammettere che era davvero brutto a vedersi: la pelle spessa come cuoio del Varren era coperta di cicatrici e sfregi. Con una stazza di almeno centotrenta chili, Urz non contribuiva ad ispirare particolare fiducia.
"...Comunque: c'è un detto umano, riservato solo agli amici più cari, che dice: la mia casa è la tua casa, Elea." disse l'umana, sottolineando il tutto con un gesto del braccio sano.
"Temo che non potrei mai amare una nave fino a questo punto... non vi manca la terra sotto i piedi?"
"Ammetto che ero scettica anch'io all'inizio, ma Hayat mi ha fatto ricredere: con una casa sei legato ad un pianeta. Con una nave spaziale hai ogni pianeta a disposizione: quando le piccole saranno cresciute abbastanza da aver bisogno di una educazione accademica, allora decideremo cosa fare."
"E anche in quel caso, i programmi di educazione virtuale non sono così male: hanno funzionato bene, non è vero?"
"Troppo bene." rispose Liara con un sorriso: "Non ricordo di aver aperto un libro di biologia prima dei venti anni..."
"Biologia..?"
"È solo un programma interattivo intitolato Le avventure di Perry il Pyjack..." la rassicurò Shepard. "Pieno di figure, per avvicinare i bambini alla scienza. L'ultimo ricordo di Mordin..." Hayat si interruppe con un sospiro triste, abbastanza repentinamente da incuriosire Elea.
"Mordin...?"
"Mordin Solus: è stato lo scienziato che si è sacrificato per mettere fine alla genofagia ed un caro amico. Un tipo strano, assolutamente geniale anche per un Salarian: tramite l'STG, dopo la sua morte mi ha fatto avere una collezione di programmi educativi e di ninna nanne ritmate sugli amminoacidi. Fra tutti noi dell'equipaggio della Normandy, era forse quello che vedeva più lontano..."
Liara appoggiò una mano sulla spalla di Hayat: con quel semplice contatto fisico, la tristezza scomparve dal volto del comandante. Elea cominciava a capire cosa Hayat intendesse quando le aveva detto che era stata salvata da Liara.
"Bando alle tristezze: vieni ti faccio strada." disse Shepard dirigendosi verso un portellone semicircolare in fondo al corridoio: "...Oasi è una nave piuttosto essenziale. È lunga 700 metri, ma ha solo cinque ponti." Il portellone si aprì davanti a loro, mostrando un lungo corridoio uguale a quello che stavano percorrendo.
"...Questo ponte è il secondo: ora stiamo percorrendo il corridoio di raccordo fra l'osservatorio di prua e l'area abitativa. Sopra di noi, al ponte uno, abbiamo sistemato dei laboratori per l'osservazione astrometrica e l'analisi di campioni biologici e geologici: tutto quello che può servire ad una nave che passa molto tempo nello spazio profondo per soddisfare curiosità scientifiche. Parte dei dati che raccogliamo sono poi ceduti ad istituti di ricerca interstellari e ci aiutano a pagare le spese."
"La S&T sopperisce il resto." Interloquì Liara.
"...Sotto questo ponte ci sono la sala macchine, letteralmente il cuore della nave, il giardino, che occupa un ponte a se, e nel segmento caudale la stiva e l'hangar navette."
"Il giardino?"
“Vedrai..." disse Hayat.
"E l'equipaggio?" chiese Aela: anche percorrendo quel lungo corridoio, non avevano ancora incontrato nessun altro.
L'umana rispose dopo un momento:
"...Non c'è un equipaggio, ne una sala comandi: Apostata svolge funzioni di mozzo a bordo, ma la nave non ha bisogno di essere governata."
"Com'è possibile?"
Hayat si voltò verso di lei, battendosi i bottoni metallici che aveva sulla tempia con la protesi:
"Queste protesi... tutte loro arrivano molto più in profondità di quanto io stessa mi aspettassi. Una parte di esse, e nemmeno la più importante, è una componente hardware che si comporta come una greybox. Ovvero una parte in più del mio cervello."
"Sono piuttosto convinta che le greybox siano illegali..." anche se il suo campo di specializzazione era la biologia marina e l'oceanografia, Elea conosceva il dilemma etico rappresentato dalle greybox: impianti sinaptici in grado di sostituire parti danneggiate del sistema nervoso, si prestavano fin troppo facilmente ad abusi, perché davano alle menti organiche doti che dovrebbero appartenere solo alle macchine.
"Lo sono. A mio avviso per motivi futili, ma non sta a me giudicare. Tuttavia, le leggi del vecchio Consiglio o del Patto non si applicano a coloro che me le hanno date." finì Hayat agitando la sua mano di metallo.
"Geth?"
"Santo cielo, no!" rispose Shepard agitata. " Ma è una storia molto lunga e... te la racconterò quando ci conosceremo un po' meglio: non penso di essere ancora pronta. Non è qualcosa di facile da condividere: nemmeno le bambine sanno tutta la storia."
"Nemmeno io so tutta la storia." fece eco Liara: un'espressione ferita passò da Shepard alla sua compagna: "Mi manca il finale."
"...Nemmeno io lo conosco: e non voglio saperlo." disse Hayat in un sussurro.
"Ahhh: sembra che qualcosa alla fine ti spaventi, mia dolce Hayat." disse Liara, prendendole il viso tra le mani e assaggiando le sue labbra, in un gesto così deliberatamente vorace, da poter essere definito carnale.
Elea decise di intervenire con un colpo di tosse quando vide gli occhi di Liara farsi neri: poteva essersi quasi abituata ad avere una sorella, ma l'idea di assistere ad un suo gesto così intimo e con il famigerato Shepard per di più...
"Ahem... sembra che abbiate fatto davvero fatto una missione quella di sconvolgermi." disse l'Asari, ammirando insistentemente il corridoio spoglio.
"Ops. Devi scusarmi Elea, ma ci stiamo disabituando a stare in mezzo alle persone."
"E non aiuta il fatto che ogni volta sia come incontrare la Dea sul fondo cieco di un vicolo buio... prima che ti stringa al muro." aggiunse Liara con un'espressione languida e sognante.
Elea e Hayat diventarono della stessa sfumatura porpora, mentre Liara li precedeva, quasi danzando sulle punte dei piedi.
"...Abbiamo un pianoforte su questo ponte." disse Shepard a voce bassissima, in modo che solo Elea la sentisse: "Non chiedermi di suonarlo. Vedermi suonare le toglie tutti i freni inibitori."
Elea non ebbe bisogno di rispondere: il suo sguardo fu più che eloquente.
"Cosa aspettate?" li chiamò Liara di fronte a loro.
"...Temo di aver perso il filo del discorso: cosa stavamo dicendo?"
"Hayat ti stava raccontando dell'equipaggio della nave e della sua greybox..."
"Ah! Sì, giusto... dunque queste nuove parti di me mi permettono in pratica la connessione con qualsiasi sistema computerizzato nel raggio di cinquanta metri." le disse l'umana, facendosi improvvisamente più seria: "Sono io a governare Oasi, attraverso una IV che è una copia di alcuni miei percorsi sinaptici. In poche parole, la nave sono io, Elea."
Non appena finì di parlare, muretti di ostacolo uscirono dai loro scomparti nelle paratie, formando un labirinto che avrebbe rallentato chiunque avesse cercato di percorrere il corridoio: una trincea a scomparsa e un'utile difesa. In pochi secondi, tutte quelle barriere erano nuovamente sparite.
"... Piuttosto inquietante." la curiosità di Elea per la provenienza di una simile tecnologia era scemata del tutto: qualcosa le diceva che la risposta non le sarebbe piaciuta.
"Non sai davvero quanto, Elea." le fece eco Liara.
Nel frattempo, erano arrivati ad uno slargo del corridoio, che terminava in una stanza circolare con una piccola aiuola fiorita al centro, circondata da divanetti. Elea rimase interdetta per un momento da quel particolare: uno spettacolo simile non era comune su una nave spaziale. Eppure, un piccolo cespuglio di una pianta molto profumata che l'Asari non conosceva, offriva riparo ad una dozzina di rose gialle, disseminate nel vascone circolare. Liara e Hayat rimasero in silenzio, mentre Elea osservava anche il resto del salone: l'ambiente rimaneva essenziale, ma qui la dottoressa cominciava a notare elementi indubbiamente più... casalinghi. Sul perimetro della stanza, forse dieci metri di diametro, Elea contò una ventina di portelli, distinti dalle pareti perché segnati con due virgole di vernice nera su ogni anta.
Elea osservò anche mobili, settimanali e tavolinetti addossati alle pareti, cercando di far coesistere assieme lo stile umano ed Asari: almeno, Elea pensò che i tavolini bassi e squadrati, poggiati su quattro gambe curve, dovessero essere umani. Il pavimento invece era coperto da tappeti, un po' più pregevoli di quelli di vimini che aveva calpestato fino a quel momento.
Sopra i mobili della stanza, o impilati ordinatamente contro le pareti negli spazi liberi, erano appesi in disordine alcuni quadri, che raffiguravano soggetti assolutamente disuguali: Elea provò ad avvicinarsi ad uno di essi e confermò che non erano ologrammi o stampe, ma veri e anacronistici quadri dipinti a mano sulla tela.
Quello che stava guardando raffigurava una creatura colossale, una specie di enorme lucertola alata, coperta di scaglie nere: la creatura scrutava lo spettatore con uno sguardo feroce, sottolineato dai suoi occhi violetti, disuguali come quelli di Hayat. Una figura molto più piccola, femminile, ma dai lineamenti falsati dalla luce di cui sembrava essere fatta, appoggiava una mano sul mento della creatura, quasi a trattenerla: ai loro piedi, una coda spinata e squamosa copriva cinque uova d'oro, in un gesto chiaramente protettivo.
"Sono opera di Apostata e di Sihaya." spiegò Hayat.
"...Il Geth dipinge?"
"Tecnicamente sì." disse una voce sintetica alle sue spalle, preceduta dal sibilo di cardini pneumatici.
Voltandosi, Elea notò tre Geth gemelli color cobalto, che reggevano fra le mani una tela ancora fresca di pittura e tutto l'occorrente per dipingerla, compresi alcuni pennelli ancora sporchi: da dietro la coscia di uno di essi, si sporgeva timidamente un'altra piccola Asari.
"...Tuttavia, siamo ancora incapaci di produrre soggetti originali: le nostre sono semplici reinterpretazioni di opere di altri artisti del passato. La signorina Sihaya ci è essenziale nel processo di selezione dei soggetti delle tele e nella loro composizione."
"Quanti siete?" chiese Elea interdetta, guardando i tre Geth.
"Specificare." ripose uno di essi.
"Apostata ha diciotto corpi, divisi in gruppi." spiegò Shepard.
"Diciotto...?"
"Corretto dottoressa Megara: ad ogni colore corrisponde un indirizzamento ed un'area d'impiego. Queste tre piattaforme sono cinque di quelle usiamo per interfacciarci con voi organici, dotate della più alta capacità espressiva fra tutte. Quattro, di colore onice, sono adibite al nucleo della nave, pronte a sostituirsi ai controlli nel caso di un malfunzionamento, fino ad ora mai avvenuto. Altre tre piattaforme di colore giallo sono preposte ai compiti di manutenzione e pulizia. Le ultime sei, di colore rosso, risiedono nell'hangar navette e nella stiva: rifornimento, eventuale difesa interna e squadra da sbarco."
"..."
"...Credo che le hai fatto paura, tata." disse la piccola Asari dietro al Geth con una vocetta sottile. Tutti i robot, tranne quello che le offriva riparo col suo corpo, voltarono la testa per osservare la bambina in un unico gesto sincronizzato:
"Noi non comprendiamo il perché, signorina Sihaya." disse uno dei Geth.
Staccandosi dal gruppo, il droide con in mano il quadro si avvicinò alle pareti, sostituendo una delle tele con quella che aveva in mano: uno straccio coprì la vecchia, che venne impilata a terra con le altre. Liara e Hayat si avvicinarono per vedere meglio: suo malgrado, e con sua stessa sorpresa, Elea le seguì.
Il soggetto centrale della tela era un albero senza foglie, dipinto solamente con toni oro e lievemente stilizzato: stranamente era anche il meno importante. I veri protagonisti del quadro rimanevano ai due lati: erano Liara e Hayat, con strane vesti fluenti come coperte, che si guardavano dai due lati della tela: Liara indossava un vestito con fantasie di cerchi, mentre Hayat ne aveva uno simile, solo con dei triangoli nella trama del tessuto. Tutta la tela era dipinta in sfumature d'oro, perfino Shepard e Liara.
"Gustav Klimt?" chiese Hayat al Geth, mentre questo faceva un passo indietro per osservare la sua opera.
"Sì. Una rielaborazione dell'Albero della Vita. Originale realizzato nell'anno 1905 del calendario terrestre, olio su tela: abbiamo cercato di imitarne le sfumature."
Hayat batté una mano sulla spalla del Geth in un gesto complice.
"La signorina Sihaya ci è stata indispensabile."
"Ancora non riesci ad elaborare un soggetto da solo?" chiese Liara.
"No." Elea credette di percepire dello sconforto nella voce del Geth: "Continueremo a provare." concluse il Geth serafico.
Nel breve silenzio che seguì, la voce di Sihaya colse Elea di sorpresa:
"Sei più alta di quanto mi aspettassi, zia."
La dottoressa osservò la piccola Asari che l'aveva chiamata zia: era molto simile alle sue sorelle, ma a differenza di loro, Elea percepiva in lei una mente più quieta.
"...Posso chiamarti zia?" chiese quasi sovrappensiero, uscendo da dietro il Geth, ma tenendo una mano sui cavi della coscia. La piccola Asari era vestita con una tuta bianca fatta di uno strano misto di diversi strati di fibre sintetiche, così tipico fra gli equipaggi a bordo delle navi spaziali: era pratico, ma sembrava caderle addosso. Sparse su quel misto fra un pigiama e una tuta da combattimento, Elea notò macchie di vernice colorata un po' ovunque.
"Certamente." disse la dottoressa sedendosi sul pavimento, in modo da avere gli occhi quasi al suo stesso livello: "Tu devi essere Sihaya."
La piccola Asari annuì con la testa.
"Io sono Elea Megara, figlia della matriarca Aethyta Megara, tua nonna." In una specie come quella Asari, in cui i vincoli familiari erano molteplici e interconnessi, presentarsi anche col nome del proprio genitore Asari era il modo più normale per evitare confusione.
"Chi era il tuo papà?" Nella lingua Asari, la parola padre e le sue variazioni esistevano sempre e solo come vocaboli presi a prestito da altre specie che avevano almeno due sessi.
"Era un Hanar. Si chiamava Danza con la Corrente."
"...Che strano." disse Sihaya senza malizia.
"In effetti è un po' strano." ammise Elea: "Non ti piaccio?"
Sihaya scosse la testa, abbandonando le gonne di metallo del Geth e avvicinandosi ad Elea:
"Sei carina. Ma il mio papà lo è di più." concluse, avvicinandosi a Shepard e facendosi sollevare in un abbraccio: Hayat se la posò senza fatica sulla spalla buona. Da quell'altezza, Sihaya cominciò a giocare con i capelli di Hayat, unica in famiglia ad averli.
"Siamo stati bravi, io e tata?" chiese al suo genitore, mentre guardava ancora una volta il quadro.
"Moltissimo. Ma non sei un po' troppo grande per chiamare ancora Apostata, tata?"
"Tata è tata." affermò con sicurezza Sihaya: c'era una tale convinzione nelle sue parole, che perfino Elea non ebbe nulla da dire.
La quiete della situazione venne interrotta dall'apertura di un'altra fra le porte del salone, lasciando entrare Selene e Alune. Urz, che fino a quel momento non aveva aperto le fauci, si acquattò dietro a Shepard, fingendo di non essere presente.
"Mamma, papà, Sesat ha
pensato la sua prima parola!" dissero le gemelle, tenendo fra le loro quattro mani un fagotto di coperte di lino scuro, da cui spuntava un visetto tondo ed azzurro.
Elea inorridì inizialmente, quando vide le due gemelle tenere la loro sorellina in quel modo, ma bastò uno sguardo ad Hayat e Liara per capire che erano molto avanti a lei: entrambe le mani della coppia era distese e libere, pronte ad acchiappare Sesat al volo con i propri poteri biotici. La piccola non correva alcun pericolo e quando offrirono la loro sorellina a Liara, che la prese nell'incavo del braccio, Elea non poté resistere all'impulso di avvicinarsi:
"Ha un visetto così serio..." disse, mentre Sesat la guardava dal rifugio dell'abbraccio di sua madre.
"Non piange mai. Nemmeno la notte o quando a fame." spiegò Hayat, mentre Sesat le rivolgeva un sorriso ancora senza denti: gli Asari crescevano con tempi diversi dagli umani e nonostante avesse poco più di due anni, Sesat era ancora totalmente dipendente dai suoi genitori.
"...E tu sei l'unica per cui sorride così." disse Liara ad Hayat.
"Esagerata: sorride per tutti."
Liara scosse la testa, mentre passava Sesat alla sua compagna: il sorriso della piccolissima Asari diventò se possibile, ancora più largo. Senza aggiungere altro, Liara tocco la testa di sua figlia, tenendo l'altra mano su Shepard.
Fu un attimo: un breve lucore biotico, e gli occhi di Liara divennero completamente neri, mentre univa la sua coscienza a quella di Hayat e di sua figlia. La comunione mentale fra gli Asari era comune quanto il salutarsi fra le altre specie, ma molto più efficiente. Si potevano trasmettere interi ricordi in pochi secondi: ovviamente Sesat non poteva ancora capirli completamente, ma sarebbe cresciuta.
Lo scambio fra Liara, Hayat e Sesat durò un istante, ma produsse effetti molto visibili: l'espressione di Liara si riempì di gioia materna, fino al punto che sembrò emanarne. Hayat invece canalizzò il suo addestramento di Marine per evitare a lacrime di gioia traditrici di uscire dai suoi occhi.
"Che cosa ha pensato la signorina piccola?" chiese il Geth.
"È felice di essere con la sua famiglia." disse Liara quietamente.
"Papà, perché ti trema
il labbro inferiore?" chiesero le gemelle ad Hayat.
Il famigerato Spettro si sfregò gli occhi con il suo pugno di metallo, dicendo con una strana voce nasale: "Mi... è entrato qualcosa nell'occhio."
"...Ma papà non ha senso." interloquì Sihaya.
Liara si stava godendo troppo la situazione per volere che finisse: era... inusuale ciò che il famigerato Shepard stava mostrando in quel momento. Fu Apostata a salvarla:
"Miss T'Soni, sono in questo momento le 18.30. Desidera che inizi il protocollo pre-pasto?"
"Fa pure, Apostata. Ricorda che abbiamo un ospite questa sera." poi Liara si rivolse ad Elea: "La cena dovrebbe essere pronta tra un ora: se vuoi darti una rinfrescata prima di cenare, cambiarti d'abito o contattare la colonia, non farti problemi a chiedere. Apostata si occuperà di ogni tua necessità, mentre io mi prendo cura di questa sensibile mia compagna." concluse con un sorriso, prendendo Hayat per la sua mano di carne.
Il famigerato Shepard la seguì con lo stesso abbandono di qualcuno che è stato ritrovato dopo essersi perso: con Sesat in braccio, Elea le vide scomparire dietro la seconda porta più lontana, sul lato sinistro del salone. Selene, Alune e Sihaya cominciarono a parlare fra loro, fermandosi ogni tanto a guardarla brevemente: una delle gemelle disse qualcosa che Elea non sentì, alla quale Sihaya reagì scuotendo la testa.
Uno dei Geth, ed Elea doveva ancora convincersi che fossero una sola mente, si avvicinò a lei, fissandola dal basso con la sua testa a forma di torcia:
"Desidera farsi un bagno, dottoressa Megara?" chiese compito.
 
***
 
Elea era in paradiso. O comunque in un luogo molto vicino ad esso: solo sulle astronavi di lusso, i cosiddetti transatlantici spaziali, c'era abbastanza acqua da sprecare per una piscina, o una vasca da bagno. Anche in quel caso comunque, era qualcosa che Elea non aveva mai sperimentato, ma solo saputo per sentito dire: il suo stipendio non le aveva mai permesso di comprare una crociera a bordo di una di quelle navi.
Di sicuro non si sarebbe mai aspettata di trovare qualcosa di simile a bordo di un incrociatore Geth e Apostata era stato quasi deliziato mentre le porgeva una tovaglia ed un accappatoio immacolati, invitandola a verificare con i suoi occhi i lussi con cui Hayat e Liara avevano arredato la loro nave. A quanto pareva quello non era nemmeno l'unico bagno, anche se Elea era rimasta sorpresa all'inizio quando aveva notato che la vasca era incassata nel pavimento, rendendola simile ad una piscina di riproduzione Salarian: apparentemente, un design piuttosto comune fra gli Umani.
Il fatto che Liara e Hayat offrissero la loro casa così liberamente a quella che fino a poche ore prima era stata una perfetta estranea, rendeva anche impossibile provare gelosia nei loro confronti.
Elea non riusciva davvero ad immaginare come avessero potuto permetterselo, ma da quello che aveva capito dalle spiegazioni del Geth, sembrava che Oasi fosse una nave sovra alimentata: tutto era in eccesso, per soli sei, presto sette, occupanti fissi e diciotto Geth. Allo stesso modo, rifletté la dottoressa, probabilmente Oasi aveva potenza di fuoco e scudi più simili a quelli di una corazzata, rendendo la sua famiglia la più pericolosa risorsa militare dell'intera Galassia.
La sua famiglia... buffo, quanto rapidamente Elea stesse arrivando ad accettare Liara e Hayat come la sua famiglia, dopo aver vissuto da sola così a lungo: non solo perché Hayat era il famoso Shepard o perché vivevano in un incrociatore spaziale di dubbia origine. No, Elea forse si stava rendendo conto per la prima volta di quanto avesse cercato nella sua vita una vera connessione familiare, qualcosa che non aveva mai sperimentato a causa dell'eredità delle sue origini. Anche per una specie che amava credersi illuminata prima della Guerra, venire sistematicamente esclusa dai circoli sociali era stata la norma per Elea, col pretesto di essere meno Asari degli altri, di essere troppo alta, troppo strana... di avere genitori "difettosi".
Mentre rimaneva a mollo nella vasca, più che ampia anche per lei, Elea ripensò a suo padre: non poteva dire di averlo davvero conosciuto, perché Danza con la Corrente era un pio Hanar devoto al culto degli illuminati, ovvero i Prothean che avevano concesso la parola agli Hanar nell'infanzia della loro specie. Una rara nottata di follie nei bassifondi di una colonia Asari aveva portato alla nascita di Elea: l'unica volta che aveva incontrato suo padre, poco dopo essere fuggita dalla residenza di Aethyta, era stata una visita breve ed imbarazzata per entrambi. Danza con la Corrente le aveva offerto un aiuto economico, perfino sostanzioso, ma aveva ammesso, in modo cortese ma fermo, che non avrebbe potuto fare altro per lei.
Con quella nuova possibilità economica, Elea si era pagata gli studi, preferendo lasciarsi alle spalle Aethyta e gli eccessi a cui le loro incomprensioni l'avevano portata. Sua madre era stata un cattivo genitore, ma non una cattiva persona: semplicemente, qualcuno con cui Elea non era mai riuscita ad andare d'accordo.
"Posso unirmi a te?" chiese Liara alle sue spalle, con un asciugamano di cotone bianco a coprirla.
"...Certamente." disse Elea, spostandosi al capo opposto della vasca.
Liara lasciò cadere il suo asciugamano, mostrandosi ad Elea in tutta la sua gravida nudità: avendo un solo sesso, il pudore reciproco non colpiva particolarmente gli Asari.
"Ahhh..." sospirò Liara lasciandosi affondare nell'acqua calda: mentre si immergeva, Elea non aveva potuto fare a meno di non notare la brutta cicatrice sulla spalla sinistra, circolare e callosa, probabilmente il ricordo di un proiettile vagante, e il taglio sottile che da sotto l'ascella le arrivava fino all'anca.
"Sembri brillare." commentò invece Elea.
"Merito di Hayat..." rispose Liara, interrompendosi con un sorriso imbarazzato e un'espressione rivelatrice.
"...Uh." comprendere cosa Liara si fosse concessa prima di raggiungerla era una di quelle cose che Elea avrebbe fatto volentieri a meno di sapere.
"Mi dispiace... È solo che... anche adesso, è difficile convincersi che non si getterà più nel campo di battaglia, per ridefinire il concetto di impossibile. Normalmente non sono così, ma i pirati di oggi... per me sono stati come l'eco dell'incubo più terribile.
"Vi amate molto: sono felice per voi." A volte le parole sono così insufficienti ad esprimere il proprio pensiero.
"... Lei è più importante per me dell'acqua che bevo e dell'aria che respiro. Lei è Hayat, la mia vita. Ci sono giorni, in cui non voglio credere che potrei sopravviverle." Liara sospirò brevemente: "Ti sembrerò sciocca, preda come sono dell'amore della mia giovinezza."
Elea scosse la testa:
"Chi sono io per giudicare questi miei parenti che ancora conosco così poco? E quando vi avrò conosciuto, come potrò non sostenere le vostre scelte? Anche se forse, ci vorrà un po' per abituarsi." disse Elea con un sorriso che veniva dal cuore, prima di continuare: "... Non so nemmeno quanti anni hai."
Liara sorrise imbarazzata:
"Non mi piace ammetterlo, ma ho soltanto 120 anni."
"...Sei davvero molto giovane."
Forse perfino fin troppo per una specie che poteva vivere fino a mille anni: troppo per qualcuno che aveva fatto la guerra a fianco di Shepard. E forse davvero troppo per avere già quattro figlie ed un altra in arrivo: di solito, un'Asari non pensava a metter su famiglia prima dei trecento anni.
"Ho solo trovato Hayat prima del previsto... o forse sarebbe meglio dire che è stata lei a trovare me." disse Liara: "È qualcosa che non posso spiegare completamente. Elea, so che la domanda è personale, ma tu hai una persona speciale?"
Non richiesto, il ricordo del capo della milizia coloniale si fece vivo nella mente di Elea.
"Credevo di sì... ma non ha funzionato." rispose la dottoressa.
"Mi dispiace. Hayat mi ha trovato subito... forse perfino troppo presto. Ho dovuto faticare per raggiungerla: vorrei mostrartela, se me lo permetterai. In verità è solo per questo che sono venuta qui, ora che finalmente Sesat dorme."
"Perché?"
"È difficile spiegarlo a parole... c'è molta solitudine in te, Elea. Un vuoto di cui non conosco l'origine, ma che mi piacerebbe colmare... sorella."
"La famiglia è davvero importante per voi." commentò la dottoressa.
"...Sia io che Hayat abbiamo fatto molte cose durante la Guerra: di alcune non parliamo mai. Abbiamo molti rimpianti, sopratutto la consapevolezza di non aver potuto fare di più. E così, adesso, invece di prenderci cura della Galassia, cerchiamo di fare il nostro meglio per quelli a cui siamo legati. Mi permetterai di mostrartelo?"
"...Mostrami."
Liara attraversò la vasca, posandole delicatamente le mani sulle tempie: aveva un tocco così leggero, che Elea si chiese come fosse possibile che mani così delicate avessero potuto combattere per Shepard.
"...Apri la tua mente Elea: abbraccia l'Eternità."
I ricordi di una persona non assomigliano ad un libro: non sono pagine ordinate a cui si accede tramite un indice. Sono più simili ad un disordinato album fotografico, in cui nella stessa pagina coesistono diverse immagini che rimandano dall'una all'altra in strani modi, non sempre evidenti a prima vista. Sopratutto, i ricordi di una persona contengono un numero di informazioni e riferimenti che spaziano nelle quattro dimensioni e i cinque sensi: è così che Elea ricordò l'odore che avevano gli abbracci di Benezia T'Soni quando Liara era poco più grande di Sihaya.
E quello fu solo il primo dei ricordi che Liara condivise con lei: sua sorella minore abbracciò gran parte della sua vita passata, toccando episodi separati da anni, ma che Liara trovava importanti perché l'avevano definita come persona.
Il giardino della sua casa su Thessia, quando Liara aveva scavato nella terra alla ricerca di tesori. La sensazione del primo libro di carta che aveva preso in mano. La solitudine di lunghi anni passati all'ombra di una Matriarca devota alla sua gente e l'emozione della libertà all'accademia di Serrice. I Prothean e il loro mistero. E molto altro ancora.
Elea conobbe anche il terrore folle, quando Liara le mostrò una breve immagine di Londra: quando assieme a Shepard e agli altri del suo equipaggio, avevano marciato per le strade di una città infera, contro ogni logica e oltre la speranza, sotto un cielo color incubo con in bocca il sapore della cenere di innumerevoli cadaveri, per abbattere nemici alti più di un palazzo.
Durò un solo istante, forse qualcosa di meno, ma Elea ne fu arricchita enormemente: la comunione mentale di quel tipo era piuttosto comune fra gli Asari, ma il calore dell'abbraccio in cui Elea strinse Liara quando finì non lo fu affatto: fu familiare. Fraterno.
"Povera sorella mia..." bisbigliò Elea nell'orecchio di Liara: "Così giovane e già così segnata."
"Se nei prossimi mille anni della mia vita non vedrò un'altra guerra, sarà comunque troppo presto." rispose Liara.
"...Credo che Aethyta abbia detto qualcosa di simile una volta: anche se il suo concetto di pace è picchiare due nemici sulla testa fino a quando non hanno un mal di testa troppo forte per litigare."
Questo strappò una risata a Liara.
"Comunque... sono felice che tu abbia smesso di essere l'Ombra: non so se avrei accettato il maggior trafficante di informazioni come sorella."
Fra i ricordi che Liara aveva condiviso con Elea c'era anche questo, ovvero di come Liara aveva posseduto per qualche anno un potere tale da rivaleggiare con il vecchio Consiglio.
Era stato un ricordo che le era stato offerto condividendo i nudi fatti che avevano portato Liara in quella posizione: il dolore terribile dovuto alla separazione da Shepard, quando la prima Normandy era stata affondata e il desiderio di vendetta per ciò che le era stato tolto. L'accordo terribile con Cerberus, che aveva riportato in vita Shepard, il confronto con l'Ombra e ciò che con il suo potere era stato fatto durante la Guerra. E di come tutto era finito: trafficare con i segreti della Galassia era qualcosa che mal si addiceva al compito di madre, specie considerando quanto Benezia avesse dovuto trascurare la sua unica figlia a causa degli obblighi di Matriarca. Liara non aveva avuto rimpianti ad abbandonare quel ruolo, ora c'era qualcun'altro ad occuparne il posto.
Sua sorella non aveva condiviso con Elea l'identità della nuova Ombra, ma la dottoressa seppe che erano persone di cui Shepard si fidava e realizzò anche che la discrezione di Liara era per la sua protezione: sarebbe stato inutilmente pericoloso rivelarle i nomi di ex Spettri che non avevano voluto diventare Guardiani.
"Non credere però che non abbiamo più segreti. O che questo sia il più terribile." la avvertì Liara.
"Un passo alla volta... e in questo momento preferisco non pensarci: è inutile preoccuparsi di ciò che non posso controllare."
Oasi era un luogo di luci e ombre, di tenebre e soli: un rifugio nel buio. Elea cominciò ad apprezzare la saggezza con cui era stato dato quel nome.
"Anche questo è vero." affermò quietamente Liara, liberandosi dal suo abbraccio: "...Direi che siamo rimaste abbastanza. La cena dovrebbe essere ormai quasi pronta: Hayat avrà dato il meglio di sé."  
Dicendo questo, sorse dalla vasca, cominciando il compito di asciugarsi, reso più gravoso del normale dalla gravidanza.
"Shepard cucina?" chiese interdetta Elea seguendola subito dopo: spalla a spalla, la dottoressa superava Liara di almeno tutta la testa.
"Dannatamente bene..."  sorrise Liara.
 
"Oh per la Dea."
Fu quella l'unica cosa che Elea riuscì a dire. Anche se Hayat l'aveva avvertita, ora che la dottoressa se lo trovava di fronte agli occhi, stentava a crederci.
Dopo essersi rivestite, Elea nel suo camice, Liara in un comodo due pezzi di fibra sintetica, sua sorella le aveva fatto strada per la nave, attraverso il salone circolare e la porta in fondo, per una stanza rettangolare molto lunga, allo stesso tempo una libreria e un luogo di svago, dove Elea aveva potuto ammirare la più vasta collezione di modellini di navi spaziale che avesse mai visto. Dopo di essa, attraverso un montacarichi, lei e Liara erano scese al ponte inferiore: qui, Elea aveva potuto ammirare una cucina di dimensioni adatte a soddisfare non sette persone, ma almeno il triplo, separate da vetrate trasparenti dall'enorme ambiente che si trovava al di là.
Hayat lo aveva chiamato il giardino, ma sarebbe stato più corretto definirlo una biosfera: una sala semisferica, di almeno cinquanta metri di diametro, scavata nel punto in cui la nave era più spessa. E questo spazio enorme, così fuori posto in una vascello interstellare, era stato seminato e coltivato. Elea passò con incredulità la mano nell'erba e assaporò l'odore di spezie, frutta e verdura che quel posto conservava: addirittura, Elea vide una farfalla svolazzarle pigramente di fronte al viso.
"Bello vero?" le chiese Shepard: aveva un grembiule blu notte, con scritto Papà numero 1 della Galassia in caratteri Asari, arricchito da decalcomanie e spille di ogni tipo, nella comica parodia di un'alta uniforme da parata.
"È stato difficile inserirlo nel progetto: abbiamo dovuto costruire paratie di sostegno tutt'attorno alla sala, per mantenere l'integrità strutturale della nave. Le lampade al sodio e il sistema olografico del soffitto, richiedono così tanta energia che metterebbero in crisi il nucleo di una fregata comune..." Elea alzò lo sguardo: pallide nuvole si muovevano sopra di lei, celando appena un sole che comunque riusciva ad inondarli col suo calore.
Era una simulazione così realistica che avrebbe potuto essere vera.
"Di fatto, è un biodome, costruito adattando alcuni progetti di navi agricole Quarian alle nostre esigenze: metà lo uso per coltivare verdura, frutta e spezie con culture idroponiche." disse ancora Hayat, indicando dall'altro lato del giardino una serie di vasche terrazzate da cui si propagava il dolce gorgoglio di acqua corrente, curate da un Geth giallo come la crema.
 "...È una faticaccia starci dietro e occuparsi di tutto: anche con l'aiuto di Apostata, riesco a malapena ad azzeccare i tempi di maturazione."
"Oh per la Dea." ripeté Elea: "È... è incredibile."
"E sentirai che sapore..." disse Hayat, prendendosi un momento per scaldarsi sotto il sole olografico: sotto uno degli alberi, le bambine stavano giocando, mentre Urz continuava a guardarle con occhio vigile, ma da lontano. A voce abbastanza alta da farsi sentire, Hayat le chiamò a se, invitandole ad apparecchiare la tavola per sei persone. Elea cercò di offrirsi di aiutarle, ma Liara le mise in mano un piatto carico di cilindri verdi, innaffiati con una salsa biancastra:
"La cena sarà pronta tra poco. Rilassati Elea, lascia che ci pensiamo noi."
"Cosa sono?"
"Non riesco ancora a dirlo bene: dolama? Doma?" provò Liara.
"Dolma. Con la l." disse Hayat, mentre si avventava su un branco di pentole davvero numeroso, almeno per Elea, abituata com'è a cibarsi di pasti che comprava già pronti: "È un piatto tipico della cucina della mia famiglia: sono involtini di foglie ripiene di riso speziato, pinoli e cavolo Salarian. La salsa è a base di uova, limone e yogurt: mangiati freddi, sono un buon modo per far crescere l'appetito. Una birra Batarian?" le chiese, offrendo ad Elea una bottiglia piena di una sostanza verdastra e quasi sciropposa.
"Niente birra per me." disse Elea senza alzare lo sguardo: "Sono una ex AA."
Senza battere ciglio, Hayat alzò le spalle: "C'è ne di più per me." fu il serafico commento, mentre l'offerta di birra si tramutava in quella di acqua cristallina, che la dottoressa accettò.
Hayat prese un lungo sorso della sua birra, facendo schioccare la lingua soddisfatta: "Ehi! Selene: niente poteri biotici con le posate!" urlò ad alta voce, fermando sul nascere un'acrobazia di una delle gemelle con troppi coltelli e forchette.
Con fare titubante, Elea prese uno dei cilindri umidi del suo piatto fra due dita e ne assaggiò un boccone: la prima impressione fu lievemente agra, con una nota fresca alla fine. Poi le spezie e la consistenza densa ed estremamente saporita del ripieno si sciolsero nella sua bocca. La dolma che aveva in mano sparì nel boccone successivo, assieme ad due altre: erano spettacolari.
Liara ne prese a sua volta una dal piatto:
"In questa Galassia, ci sono cose che non siamo proprio in grado di fare, non importa quanto ci impegniamo, mentre in altre eccelliamo: per me e Hayat, è una fortuna che i nostri talenti siano così complementari. Se richiede una preparazione più complessa del toglierlo dalla confezione e riscaldarlo, mi trovo meno a mio agio di Hayat su una pista da ballo." confidò, sbocconcellando la sua dolma delicatamente.
"Hayat me lo aveva accennato. È così terribile?"
"Immagina di vederla mungere un animale molto alto. Mentre marcia nel fango."
Elea non poté fare a meno di ridere.
"Ehi, guardate che vi sento!" disse Shepard, tenendo fra due dita un filetto spesso due dita ancora sanguinante: sempre sorridendo, Liara indicò il giardino ad Elea.
"Perché non vai a sentire l'erba sotto i piedi?" disse, dirigendosi poi verso Hayat e le pentole che stava domando.
Per Elea, fu strano togliersi gli stivale e lasciare le sue dita affondare nell'erba: una sensazione sconosciuta ai coloni di Trategos.
Col suo piatto in mano, l'Asari si lasciò dirigere dalla sua curiosità, gravitando lentamente verso le vasche idroponiche e il Geth giallo crema che rimaneva affaccendato attorno ad esse. La sua vista venne catturata da una cesta di oggetti grandi circa due volte il suo pugno, oblunghe come un uovo e di colore livido: cautamente, Elea si chinò vicino alla sporta, prendendone una in mano. Sembravano molto densi, probabilmente una verdura, piuttosto che un frutto.
"Sono chiamate melanzane." disse il Geth osservandola: la qualità del suo sintetizzatore vocale era decisamente inferiore a quella degli altri Geth che Elea aveva incontrato fino a quel momento: anche le linee della torcia che aveva per testa erano più grezze, facendolo sembrare tozzo. Un unico occhio la osservava dal centro di una placca di metallo, con quattro punti rossi disposti attorno a quadrato.
"Sono buone?" chiese Elea sovrappensiero, rimettendo la melanzana di nuovo con le altre.
"...Non lo sappiamo. Le nostre piattaforme sono sprovviste di gusto e tatto: la complessità necessaria per esprimere una preferenza sensoriale come questa ci è preclusa. Noi sappiamo solo che per miss Shepard, esse lo sono."
"Ho fatto davvero una domanda scortese, non è vero?"
"Scuse non necessarie: la coesistenza tra organici e sintetici non è mai priva di imperfezioni. Entrambe le parti tendono a proiettare i propri valori sull'altra: da quando siamo a bordo di questa nave, ne abbiamo sperimentato più volte gli effetti... in entrambi i sensi."
"Non siete sempre stati a bordo di questa nave?" chiese Elea incuriosita.
"Negativo. Questo vascello è stato costruito dai Geth su espressa richiesta di miss Shepard, per ridurre il rischio di un contatto accidentale con altri organici. Non molti fra voi approcciano un vascello Geth."
"Sfrutta la diffidenza verso di voi per essere lasciata in pace."
Il Geth sembrò pensarci un momento:
"...Corretto. Tuttavia, noi non eravamo presenti durante la costruzione della nave. Siamo stati adottati in seguito: in cambio dell'alloggio delle nostre piattaforme e della nostra coscienza sulla nave, noi forniamo assistenza a miss Shepard. Funzione primaria: mozzo di Oasi."
"Non ti manca la tua specie?"
"...Irrilevante. Esistiamo in esilio dagli altri Geth: Oasi è il luogo a cui ora apparteniamo."
"Esilio? Ha qualcosa a che vedere con la tua designazione?"
Il Geth la guardò fisso: se fosse stato un organico, forse Elea ne avrebbe forse definito l'espressione "ostile".
"Mi dispiace... sono stata indelicata. Non è mia abitudine condurre interrogatori: è solo che trovo difficile comprendere la fiducia che sembra esserci fra Shepard e... voi? te? Non so nemmeno quale pronome usare correttamente."
"Noi siamo un singolo collettivo Geth, composto da 81'239 programmi che condividono i propri processi di calcolo. Questi processi sono assolutamente interdipendenti: dalla loro somma emerge il singolo gestalt con cui sta parlando ora, dottoressa Megara. Siamo molti individui, ma una sola coscienza: il desiderio di preservare questa nostra struttura organizzativa è stato il motivo che ha portato alla nostra designazione attuale. E al nostro esilio."
"Temo di non comprendere appieno."
Il Geth non le rispose subito.
"...Durante la Guerra, alla fine del conflitto tra Quarian creatori e Geth, si creò un'opportunità imprevista: il raggiungimento della piena coscienza per ogni singolo individuo Geth fu possibile. Fino a quel momento, la nostra intelligenza dipendeva dalla nostra potenza di calcolo in serie: permettere ad ogni individuo, ogni singolo programma, il raggiungimento di una completa autocoscienza, era stato l'obbiettivo finale che ci eravamo posti per la nostra evoluzione come specie. Lo scopo finale dei Geth. Quando questa possibilità si è presentata, solo questo singolo collettivo ha rifiutato l'evoluzione."
"State dicendo che voi avete rifiutato il diritto al libero arbitrio come individui?"
"Sì."
"...Perché?" chiese Elea semplicemente.
"Un conflitto con alcune nostre convinzioni." rispose il Geth, immergendo le mani nell'acqua e ispezionando una foglia rugosa, alla ricerca di difetti: "Prima della Guerra, i Geth non possedevano le capacità per creare ciò di cui avevamo bisogno per raggiungere l'autonomia. Le Antiche Macchine, le entità che voi chiamate Razziatori, possedevano queste risorse: già una volta era stata offerta ai Geth l'autocoscienza in cambio della sottomissione. L'attacco di Nazara, l'entità Sovereign, alla Cittadella con truppe Geth è il risultato di quell'offerta: noi chiamiamo Eretici coloro che si sottomisero allora alle Antiche Macchine. Furono meno del 5% della nostra intera razza." Il Geth fece una pausa, passando alla pianta successiva prima di continuare:
"I protocolli di intelligenza artificiale che danno attualmente alla nostra specie il libero arbitrio, l'individualità, sono stati recuperati dall'Antica Macchina sconfitta sul suolo di Rannoch da miss Shepard e la flottiglia dei Quarian creatori."
"È per questo che li avete rifiutati? Perché erano stati creati dai Razziatori?"
"No." ripose il Geth serafico: "La loro origine era secondaria: il valore ne annullava la stigma associata alla loro origine. È per il loro costo che noi rifiutammo. I protocolli e le matrici di calcolo dei Razziatori sono troppo complessi perché potessimo condividerli allora attraverso la nostra rete neurale. Il sacrificio di uno di noi si rese necessario per sopperire alla mancanza. Noi consideriamo il sacrificio di quell'uno un costo troppo elevato da pagare per l'autocoscienza. Noi rifiutiamo il sacrificio di quell'individuo."
Elea si prese un momento per pensare a ciò che le era stato detto, masticando una dolma:
"Doveva essere un Geth notevole..."
"Non tutte le esistenze posseggono lo stesso valore, dottoressa Megara. Il collettivo Geth che per primo venne confinato ad un unico corpo, e a cui miss Shepard diede la designazione di Legione, fu il primo fra noi a riuscire a stabilire una comunicazione pacifica con voi organici. Legione fu il primo Geth a diventare individuo e decise di sacrificare la sua individualità per noi: noi consideriamo il prezzo di quel sacrificio troppo elevato per i Geth. Comparazione: per voi organici, il valore immateriale di un raggiungimento è maggiore se esso viene conquistato con le proprie forze, piuttosto che fornito da terzi. Per questa conclusione, noi siamo un'anomalia e siamo stati designati Apostata per essa. L'esilio è stata una nostra scelta: la creatrice Tali'Zorah vas Rannoch in Vakarian, attualmente collaboratrice della S&T, ha perorato la causa della nostra esistenza piuttosto che la cancellazione. Miss Shepard ci ha accolto a bordo di questo vascello: riteniamo che la nostra presenza a bordo crei un legame per miss Shepard col tempo speso con l'individuo Legione. Noi siamo... onorati da questo. E grati per la possibilità offertaci."
Dicendo questo, il Geth indicò con una delle sue mani di metallo qualcosa alle spalle di Elea e, seguendo il suo gesto, la dottoressa vide le bambine strette attorno ad un altro Geth, questa volta di colore cobalto, completamente catturate da qualunque cosa Apostata stesse dicendo loro, mentre allo stesso tempo un altro Geth ancora era subentrato in cucina per aiutare Hayat al posto di Liara.
"La signorina e le signorine storpiano la designazione di questo collettivo in tata, un termine che ha un significato affine a quello di bambinaia o babysitter. Miss Shepard e miss Liara ci hanno accolto come parte della famiglia: estendo il loro benvenuto a lei, dottoressa Elea."
"...Grazie." fu tutto ciò che Elea riuscì a dire: aveva appena avuto una conversazione così al di fuori dalle sue esperienze comuni, da non sapere quale valore darle.
"La cena è servita." affermò il Geth, tornando ad ispezionare le foglie.
Solo in quel momento Elea notò Hayat che dall'altro capo del giardino le faceva cenno di avvicinarsi: la dottoressa non si fece attendere, ma non poté impedirsi di guardare il Geth color crema un'ultima volta, venendo però completamente ignorata in favore delle piante.
Quando Elea finalmente raggiunse la sua famiglia, trovò che l'aspettavano già seduti attorno al tavolo: poco distante da Liara, Sesat restava sdraiata nella sua culla, con Urz accoccolato poco distante, completamente concentrato nel divorare grossi pezzi di carne sbrindellata e sanguinolenta. Quando anche Elea si sedete, colpita dalla quantità di cibi esotici che erano presenti di fronte a lei, Hayat si rivolse a Sihaya:
"Che cielo vorresti?"
La bambina sembrò pensare attentamente alla risposta, per una domanda che la dottoressa non aveva compreso del tutto:
"Dekuuna." disse infine.
In risposta, l'ologramma del soffitto del giardino cambiò, sfumando dal cielo azzurro ad uno porporino, mentre si disegnava un orizzonte ininterrotto da qualsiasi altura: solo nuvole basse si inseguivano lontano da loro. Dekuuna, il pianeta natale degli Elcor: Elea sapeva in che condizioni disastrate fosse quella specie, anche dopo anni dalla fine della Guerra.
"Un piccolo trucco per ricordare i posti in cui siamo stati." spiegò Liara.
"Avete visitato Dekuuna?" chiese, mentre Hayat faceva passare delle ciotole di ceramica colme di una zuppa densa.
"In vacanza, poco dopo la nascita di Selene e Alune. Ricordo che abbiamo dovuto metterci delle tute antigravità per muoverci: eravamo così goffe... ma è difficile muoversi a 4 g."
"Cosa avete visto?"
"Siamo rimaste lontane dalle città: abbiamo visto le uniche alture del pianeta nella zona temperata, dove sembra venissero compiuti riti della fertilità in tempi preistorici... E sono rimasta a guardare con Sihaya mentre Hayat faceva roccia sulle pareti di granito senza attrezzi e senza tuta."
"Faceva roccia?" l'espressione umana, anche se tradotta, sfuggiva a Elea.
"Vuol dire arrampicarsi. È una pratica sportiva a cui ho cercato di dedicarmi ogni volta che la mia vita di prima me lo permetteva: un hobby, a cui do la colpa per la mia notorietà. È stato per quello che ero su Elysium quando ci fu l'assalto."
"...Strano hobby: di solito gli Asari leggono quando cerchiamo di rilassarci."
"Lo faccio anch'io... ma sfidare la gravità di un pianeta a mani nude, issandosi sulle rocce... non lo so, mi è sempre piaciuto."
Elea rimase a guardare mentre le bambine prendevano ciascuna un cucchiaio e l'immergevano nella zuppa, riempiendosi la bocca di gusto.
"E cosa ricordi di Dekuuna, Sihaya?"
La bambina sembrò pensarci su attentamente, leccando la punta del cucchiaio:
"La pioggia." disse infine: "Quando ha cominciato a piovere e ci siamo riparate in una caverna: l'acqua sulla roccia di fuori suonava come un'orchestra."
Attorno a loro, il rumore ritmico di biglie sulla pietra si diffuse quietamente: in un pianeta con quattro volte la gravità terrestre, la pioggia non cadeva. Precipitava.
"O per la Dea... è delizioso." disse Elea, lucidando il cucchiaio con le labbra: "Non ho la minima idea di cosa sia, ma è fantastico."
"Grazie. La cucina della mia famiglia è quella dei miei avi, contaminata da quattro generazioni passate nello spazio: alcuni ingredienti li ho scambiati con il loro equivalente da un altro pianeta. Altri, li abbiamo sostituiti del tutto. Le spezie invece, quelle sono rimaste: questa zuppa è fatta con lenticchie rosse, quattro tipi diversi di aromi e la gelatina ottenuta facendo bollire il... radrar? L'ho pronunciato correttamente?"
"Quasi... è rad'rhar." disse Elea correggendola: "Non avrei saputo riconoscere l'alga nera di Thessia: delizioso!"
"Questo invece è kisir, un mix di tre verdure fresche, bulgur e prezzemolo." spiegò Hayat, mentre indicava una grossa ciotola in mezzo alla tavola, piena di qualcosa di molto simile a sabbia bianca e fine con coloratissimi pezzi di verdura a spezzare l'insieme.
"...Ti consiglio di berci assieme un po' di ayran." disse Liara, passandole una brocca ramata con cui aveva già riempito i bicchieri delle bambine: il contenuto era bianco e schiumoso, tanto che Elea guardò interrogativamente Hayat:
"È a base di latte." la rassicurò: "Ma non mi offenderò se non ti piacerà."
Elea ne prese un sorso, scoprendolo cremoso e dolce al tempo stesso, con una lieve nota salata in fondo: quando abbassò il bicchiere, notò che le due gemelle le sorrisero, mentre esibivano orgogliosamente baffi di schiuma.
"È strano..." disse Elea: "Non è cattivo, ma non riesco a berlo adesso: è troppo dolce per me."
La conversazione procedettero a mano a mano che i piatti continuavano ad arrivare pieni e si impilavano svuotati: conversazioni banali per una scena comune. Eppure, quel conoscersi a vicenda fu la prima volta in cui Elea si sentì davvero parte della famiglia.
 
"... E così il capitale iniziale della Lawson Inc l'avete fornito voi due?"
"Già: avevamo abbastanza soldi da non sapere cosa farne e amici che non sapevano che direzione dare alle loro vite. Molti di noi volevano anche fuggire dalle luci della ribalta, mentre altri dovevano adattarsi ad una vita... più normale. È così che è stata fondata la Lawson Inc: la maggior parte dell'equipaggio della Normandy, quelli almeno che avevano bisogno di cominciare una nuova vita, lavora per la società o per le sue sussidiarie, come la S&T..."
 
"E come vi siete incontrare? Liara mi ha fatto vedere qualcosa..."
"Zia, sai la storia della principessa e del drago? Perché è proprio così che è andata..."
 
"...Questo è riso pilav e fette di melanzane fritte: cerco sempre di farle croccanti fuori e tenere dentro, ma non mi riescono ancora come vorrei."
"L'amore per la cucina è una cosa recente? Se non sono indiscreta..."
"Nessuna indiscrezione: io sono un biotico Elea, un biotico discretamente potente, anche prima di arruolarmi nell'Alleanza. Noi biotici umani abbiamo un metabolismo accelerato e dobbiamo mangiare molto, anche solo per mantenerci in forze: mi sono stancata del rancio due volte più velocemente di un soldato normale, credo già al primo anno di accademia. Ho deciso di imparare allora, in modo da variare la mia dieta. A proposito queste sono melanzane al forno, con pomodori e ceci..."
 
"...Ci manteniamo in contatto: di solito ci incontriamo con uno dei nostri vecchi amici ogni mese più o meno. Le nostre figlie visitano un pianeta e giocano assieme ai loro cugini, mentre noi vecchi veterani li osserviamo con il più stupido sorriso che riusciamo a fare. Una grande famiglia allargata con bambini di quasi ogni specie che si azzuffano, litigano fanno la pace e la guerra, per poi ricominciare subito dopo dall'inizio."
 
"Ti piace la torta?
È fatta con le nocciole"
"Temo di non sapere cosa sia una nocciola... o per la dea: cos'è questo?"
"Spuma di pere."
"...Potrei averne una seconda fetta?"
 
"Quindi davvero nessun rimpianto ad aver lasciato l'Alleanza o gli Spettri? Di aver smesso di essere... un eroe?"
"Elea, essere stato un eroe non mi ha dato pace ne felicità. Mi hanno sparato, mi hanno coperto di medaglie... ma tutte quelle patacche non mi hanno dato una vita migliore. Non è stato difficile lasciarsi la vita militare alle spalle: non si può essere militari ed avere una famiglia, si deve scegliere ad un certo punto. Altrimenti c'è inevitabilmente il divorzio e la tua ex compagna che non vuole ricordare il tuo nome. E i tuoi figli che non ti parlano, ma ti fanno solamente il saluto militare, mentre portano il nome dei tuoi vecchi compagni scomparsi da tempo... O almeno, questo è stato il destino di quasi tutti i miei vecchi commilitoni durante la mia carriera: l'ho sempre trovato dannatamente triste. Quello che ho fatto, l'ho fatto non perché volessi essere un eroe: ma perché non c'era nessun altro per farlo."
"Papà?"
"Sì?"
"Cos'è il saluto militare?"
                                                                                                                                                                                          
"E questo... sarebbe?"
"Caffè. Una bevanda terrestre ricca di implicazioni. Ci sono molti modi tradizionali di prepararlo, io preferisco questo. È molto forte e concentrato: mi ha aiutato a rimanere sveglia.... quando dovevo."
"Non è solo un modo di dire: quando ne ho bevuta per la prima volta una tazza, non ho chiuse occhio per trenta ore. Ti consiglio due sorsi... per cominciare."
 
***
 
Fu solo molto tempo dopo l'iniziazione gastronomica di Elea, quando le bambine corsero via ognuna seguendo i propri interessi, Sihaya a giocare con Urz, le gemelle a guardare "Star Trek" qualunque cosa esso fosse, e Sesat abbandonata al sonno dopo la sua poppata serale, che la dottoressa si trovò di nuovo faccia a faccia con Liara e Hayat da sola.
"Immagino che tu abbia ancora molte domande, Elea. Domande su di me, e da dove vengano alcune delle cose che hai visto." Liara prese la mano dell'umana mentre le parlava: Elea poté solo assentire.
"Alcune di queste risposte potrebbero non piacerti. Per la verità, alcune di queste risposte potrebbero spaventarti... Non c'è un modo facile per dirlo: non rimangono molti segreti fra noi, Elea. Ma questi ultimi... questi ultimi non possono assolutamente scendere da questa nave: nemmeno tutti i membri della mia vecchia squadra li conoscono. Ma tu sei parte della famiglia: se vuoi saperli... se e quando penserai di essere pronta, questi nostri fardelli potrebbero diventare anche i tuoi: voglio che tu sappia però che ti cambieranno la vita. Radicalmente."



Questo capitolo è stato senza dubbio il più difficile da scrivere finora e anche dopo averlo riletto molte volte, forse troppe XD, non sono ancora sicuro che abbia la forma migliore che potevo dargli. Ma a questo punto, si nuota o si affoga, per cui lo pubblico: ogni feedback quindi è più che ben accetto. Poiché inoltre la sorella di Liara e la "torma di bambine blu" erano state già praticamente confermate da ME3, l'unico vero nuovo personaggio di questo racconto è senza dubbio Apostata, ovvero le nostre tenere bambinaie robot.
Qualche informazione in più a proposito:
Apostata è un termine che indica colui o colei che ha formalmente rinunciato alla propria religione, ed è un titolo che è stato portato nella Storia anche da un'imperatore romano, Flavio Claudio Giuliano. La domanda che vorrei porvi ora, lettori è la seguente: è riuscito questo mio Apostata a stuzzicare i vostri sentimenti, e magari guadagnarsi la vostra simpatia?
Fatemi sapere e a presto.


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Capitolo 6
*** Addio Alle Armi ***


Perdonate il ritardo della pubblicazione ma l'idea per questo capitolo mi è venuto all'improvviso. Considerandola buona a sufficenza, ho voluto svilupparla per inserirla in questo racconto, invece di pubblicarla a parte: spero che vi piaccia e nel caso, spero vi piaccia abbastanza da lasciare una recensione.
Questo capitolo è il successore di una mia precedente one shot "Richiesta Negata". Non credo sia necessario andare a leggerla, dato che comunque questo capitolo esiste separatamente da quella one shot: in ciò che vi apprestate a leggere, ho cercato di trattare una sorta di riconciliazione tra il comandante Shepard e il sopravvissuto di Virmire, qualcosa che non era presente abbastanza  in ME3, almeno secondo il mio parere, cercando di raccontare le conseguenze della Guerra contro i Razziatori da un altro punto di vista. Di per se, tutto questo capitolo è un flashback, rispetto alla trama principale di "Dieci Anni Dopo" e ho inserito delle date per aiutare l'orientamento temporale.
E con questo, vi auguro buona lettura.



"Oggi ho ascoltato molti discorsi sul comandante Shepard. Troppo pochi su mia figlia... Mentre guardo questa bara vuota, non riesco a smettere di ricordare la mia bambina che gattonava a zero g.
Scusatemi... non posso continuare."
Tenente Comandante Hannah bint Haaron Shepard- Cittadella, anno 2185. Veglia funebre per il Comandante Hayat bint Hannah Shepard.
 
 
Ospedale da campo permanente Lima 538- 150 km a sud ovest dal cratere di Londra. Dicembre dell'anno 2189.
 
Rame.
Rame e ferro sulla lingua, e nella gola, e il sapore di qualcosa d'altro: plastica, o forse sapone.
L'odore di disinfettante permea tutto, ma è solo la cosa troppo morbida sotto la schiena che le fa capire dove si trova davvero.
È così ovvio in fondo: non l'avevano già avvertita ampiamente delle conseguenze e dei rischi che correva a continuare in quel modo? Non le avevano parlato a sufficienza dei sintomi? O di come ciò che lei si ostinava a chiamare solo asma era in realtà l'inizio di qualcosa di più grave? Qualcosa che anche lei conosceva fin troppo bene?
Per quale stupido orgoglio aveva continuato a nascondere i fazzoletti sporchi di sangue? Sapeva che stava solo rimandando l'inevitabile.
Aveva un nome quella progenie di un enfisema e di un edema polmonare, un nome molto lungo e tecnico, e se ne conoscevano le cause: composti ossidanti dell'elemento zero, accoppiati a cloro e ad altri metalli pesanti, che non aspettavano altro che qualcuno o qualcosa li sollevasse in aria. Bastava una minima brezza, o un sospiro: o qualcuno che rovistasse nelle macerie, come faceva lei con le squadre dell'Alleanza da più di un anno. Non c'era ancora una cura per quella contaminazione: solo prevenzione o rimozione di ciò che era stato irrimediabilmente danneggiato. Perché quelle polveri verdi e bluastre, impossibilmente leggere, ti entravano dentro fin troppo facilmente, e ti scavano i polmoni come topi col formaggio. Se eri fortunato si fermavano lì: a volte però passavano nel sangue, arrivando al cervello e rendendoti pazzo, fino al punto che erano costretti a metterti un pannolone per impedirti di fartela nei pantaloni.
Lei non era ancora a quello stadio, ma ora i suoi superiori le avrebbero sicuramente impedito di tornare al cratere di Londra: probabilmente l'avrebbero messa dietro ad una scrivania e sotto una campana di vetro, perché l'Alleanza non avrebbe mai permesso ad uno dei suoi pochi eroi ancora in vita di morire per contaminazione da elemento zero.
"Maledizione." la cannula dell'ossigeno nel naso era fastidiosa, ma non aveva nemmeno la forza di rimuoverla.
E comunque, anche se l'Alleanza avesse coperto il costo del suo doppio trapianto, la convalescenza sarebbe stata lunga: i polmoni clonati non hanno mai le stesse capacità di ossigenazione di quelli originali; è necessario condizionarli di nuovo dal principio, ricominciare l'addestramento. Altro tempo che avrebbe passato lontano da dove avrebbe davvero voluto essere.
"...Maledizione." Sospirò di nuovo, nascondendo la faccia nell'incavo del braccio senza flebo.
Due anni: erano già passati due anni, di nuovo, e ancora nessuna traccia. Quasi un milione di corpi mutilati rinvenuti tra i rottami della Cittadella e ancora nessun riscontro: nessuno dei soccorritori lo avrebbe mai ammesso per primo, ma la speranza che prima o poi avrebbero trovato qualcosa stava iniziando a morire. Senza il vincolo della gravità, l'inerzia avrebbe potuto scaraventarne il corpo nel Sole per quanto ne sapevano: non c'erano certezze che fosse rientrata davvero nell'atmosfera planetaria. Questo, perfino a lei era chiaro, ma la consapevolezza che forse quel corpo in particolare giaceva dimenticato sotto le macerie non la lasciava in pace. E così, quando la battaglia per la Terra si era conclusa, si era giurata che questa volta l'avrebbe seppellita davvero e una volta per tutte: forse allora, la sua Guerra sarebbe finalmente finita.
Con la pressione di un tasto, altra morfina si sciolse nel suo sangue: meglio dormire. Dormire e dimenticare per un poco.
 
I giorni si confondono quando rimani a lungo in ospedale confinato in una piccola stanza, consumando il tempo con domande ottuse.
Non la fanno uscire nemmeno per sottoporsi agli esami: grazie ai progressi tecnologici dell'ultimo secolo, tutte le macchine diagnostiche sono integrate nel suo letto. Una discreta innovazione, che non fa altro che aumentare la sua monotonia, mentre opache facce di dottori si susseguono una dopo l'altra. È come essere in una prigione e quel pensiero l'accompagna per un po': anche lei si era sentita così, prima dell'invasione dei Razziatori sulla Terra? In balia di qualcun'altro? Probabilmente no: conoscendola, avrebbe potuto lasciare la sua prigione in qualunque momento.
Se era rimasta, era solamente perché era la cosa giusta da fare: aspettare raccogliendo le forze, per un momento che entrambe sapevano destinato ad arrivare; e ora, dopo quasi tre anni dalla prima invasione dei Razziatori sulla Terra, le conseguenze erano ancora visibili sotto gli occhi di tutti e forse lo sarebbero state per sempre. I Razziatori non erano mai stati un mito per lei.
Solo una misera trentina di persone traumatizzate era stata trovata ancora viva fra le macerie: trenta miracolati su una popolazione che nel suo massimo era stata di cinque milioni per la Cittadella e di dieci milioni per Londra. Dopo tre settimane dall'impatto e dalla fine della Guerra, era stato chiaro ai soccorsi che non ne avrebbero trovate altre, ed era quindi giunto il momento di concentrarsi sulla rimozione delle rovine e sul recupero dei corpi.
La prima opera ad essere stata edificata dai soccorritori dall'Alleanza per il cratere di Londra era stata la diga di Twickenham: quando la Cittadella si era schiantata, il Tamigi si era ripreso una grossa porzione della città, affogandola sotto le acque fangose di un lago circolare, in cui spuntavano isole che non erano formazioni naturali, ma relitti della gigantesca stazione spaziale che era stata la Cittadella. Quando la diga di Twickenham era stata completata, e il corso del Tamigi spostato a sud di una decina di chilometri, permettendo finalmente all'acqua di defluire dal cratere, la vera gravità della situazione era stata palese agli occhi di tutti: Samuel Johnson, poeta britannico del 1700, ha scritto "Quando un uomo è stanco di Londra, è stanco della vita, perché a Londra c'è tutto ciò che la vita può offrire!".
Ma nel 2189 Londra non esiste più.
Del Tower Bridge avevano trovato solo mezza torre, e forse perfino la salma di Sir Isaac Newton aveva avuto da rammaricarsi di aver intuito la gravità, quando l'Abbazia di Westminster era stata spianata. Peter Pan non avrebbe mai più preso il volo dai giardini di Kensington e meno si parlava agli inglesi del destino di Buckingham Palace, meglio era: nemmeno la proverbiale flemma britannica era riuscita a rimanere intatta.
Anche senza la Torre di Londra, i corvi erano tornati: i soccorritori avevano persino imparato a seguirli quando si radunavano assieme, perché indicavano la presenza di resti umani e alieni sotto le macerie.
Di fronte a quella devastazione, qualcuno aveva paragonato il cratere di Londra al Limbo: un luogo senza speranza di eterna malinconia. Una metafora adatta: ogni giorno, uomini e donne, e perfino alcuni alieni, si alzavano dai loro campi provvisori all'alba, per tornare coperti di fango e scorie ben dopo il tramonto, fiaccati nello spirito, motivati ad andare avanti solo dalla comune solidarietà e dal lutto, che trascende quasi tutte le differenze.
La foto di un Batarian inginocchiato fra macerie del Big Ben, che si stringe al petto il corpicino esanime di una bambina umana, tutti e quattro gli occhi rivolti al cielo in attesa di una risposta che non verrà mai, fa il giro della Galassia: è solo una fra le tante storie del cratere di Londra.
Di tutte le città della Terra, solo Vancouver è messa peggio: la vecchia sede del quartier generale dell'Alleanza, la città della Terra che è stata colpita per prima dai Razziatori. In quel luogo non era permesso ai soccorritori di lavorare per più di due mesi di fila, prima di venire riassegnati ad altre zone: il danno psicologico era troppo da sopportare per periodi più lunghi di tempo. Vancouver era l'Inferno, plasmato dai Razziatori durante la loro conquista: campi di prigionia e mattatoi a cielo aperto che si susseguivano con logiche abominevoli.
Tra Vancouver e Londra, ci sarebbero voluti anni prima di riportare la situazione alla normalità, ma se c'era una specie in grado di sopravvivere ad una simile tragedia, quelli erano gli Umani.
 
***
 
Quando aprì gli occhi era buio fuori: doveva essere scesa la notte. Ne ebbe la conferma quando un lampo illuminò il cielo: i suoni esterni non arrivavano nella sua stanza, perché i muri erano troppo spessi. Era ancora strano riabituarsi al ciclo di albe e tramonti, dopo tutti i mesi in cui la polvere e i detriti successivi allo schianto della Cittadella avevano oscurato il Sole.
"Sei qui per uccidermi?" chiese alla figura ai piedi del suo letto: indossava un cappotto di nylon scuro, con il cappuccio tirato fino agli occhi e il bavero rialzato. Senza dubbio umana, ma un paio di occhiali da sole riflettevano il suo sguardo. Noncurante, il suo visitatore notturno stava sgocciolando sul pavimento della stanza.
La figura scosse la testa.
"...Allora che vuoi? L'orario delle visite è da mezzogiorno fino alle due del pomeriggio." come se le fosse permesso di ricevere visite da qualcuno.
Da oltre l'orlo del letto, il suo visitatore posò qualcosa sopra le sue coperte: era una sfera di metallo grande quanto una pallina da tennis e anche lei sapeva di cosa si trattasse. Era un disturbatore di frequenze miniaturizzato: ogni cimice con cui l'Alleanza aveva imbottito la sua stanza d'ospedale era ora distratta da dati fasulli: probabilmente, per i suoi angeli custodi lei stava ancora dormendo.
"Adesso possiamo parlare..." disse la figura in un sussurro: la sua voce era smorzata dal bavero che aveva davanti alla bocca, ma Williams fu certa che si trattasse di una donna.
"... ma consiglierei di non alzare troppo la voce. Hanno messo delle guardie a piantonare il corridoio. E c'è almeno un agente in incognito fra il personale dell'ospedale. L'Alleanza sembra prendere molto sul serio la sicurezza del comandante Williams."
"Li hai...?"
"Certo che no. Sono ancora tutti al loro posto, incolumi ed ignari."
"E allora come diavolo hai fatto ad entrare?"
"...Dalla finestra naturalmente."
Ashley voltò la testa per un attimo per confermare l'assurdità di quella affermazione:
"È una lastra antiproiettile in un unico pezzo, rinforzata da un doppio campo di forza: cederebbero prima le pareti. Ed è ancora intatta."
"Non ho mai detto di averla forzata: ci sono... passata attraverso." c'era senza dubbio una nota divertita nella voce del suo visitatore.
"... Hai intenzione di dirmi chi sei, o devo chiamarti miss Houdini?" lentamente, la sua mano si stava spostando verso l'unica pistola che le avevano lasciato tenere in camera. Sentiva già il freddo metallo contro la punta dell'indice.
"Mi ferisci Ashley: ci conosciamo bene..." con gesti lenti, la figura sbottonò il bavero che aveva davanti alla bocca e tirò completamente indietro il cappuccio. Gli occhiali invece rimasero al loro posto, ma Ashley intravide alcuni bottoni di metallo che dalla tempia sinistra si allungavano fino all'orecchio.
"... la penultima volta che ci siamo incontrate, mi hai puntato contro una pistola. E l'ultima volta che ci siamo parlate, io ti ho mentito."
La pistola di Williams rimase sotto il cuscino.
Fu una fortuna che tre mani andarono a tapparle la bocca: due erano sue.
"Potresti evitare di dare di matto, Williams?" le chiese il suo visitatore a bassa voce e con l'indice di fronte alle labbra: "Non vorrei davvero che qualcuno entrasse da quella porta all'improvviso. Sarei costretta a impedirgli di raccontarlo..."
Solo quando Ashley annuì, la sua visitatrice le tolse la mano dalla bocca: il Comandante Shepard era viva e vegeta, di nuovo.
"...E come credi che non possa dare di matto? Devi smetterla di fare così!" nonostante il tono furente e ferito, Williams riuscì a contenere il volume della sua voce.
"Così come?"
"Sparire un altra volta per due anni facendoti credere morta! Hai idea di quello che fai passare alle persone?"
"Tecnicamente sono ancora MIA. E ho letto la tua cartella medica: tubercolosi da eezo.... Suppongo avrai passato metà degli ultimi due anni a non indossare il respiratore per meglio sbraitare ordini. A proposito, il blu cianosi e le borse sotto gli occhi non ti donano affatto."
"Va all'inferno... signora."
"Già stata. Tre volte, se contiamo la missione oltre Omega 4 e la battaglia finale a Londra. È... sopravvalutato."
"Bel modo di mettere a loro agio le persone...ma se c'è qualcuno in grado di farlo, di tornare dall'altro lato, quella certamente sei tu."
"...Credevo che la tua cotta per me ti fosse passata dopo Horizon."
Williams non poté impedirsi di arrossire e distogliere lo sguardo... c'era così tanto da dire fra loro, che non sapeva davvero da dove cominciare. Meglio puntare prima alle cose più futili:
"Già, anch'io... dannazione, Hackett mi sentirà non appena esco di qui: come ha osato tenermi all'oscuro?"
"Non lo sa."
L'espressione di Williams esprimeva solo sorpresa e dubbio. L'ammiraglio Hackett, il più alto ufficiale dell'Alleanza, non sapeva che il famigerato comandante Shepard era ancora in vita?
"Quindi adesso lavori per il Patto?" le chiese Ashley: sarebbe stato tipico del comandante in fondo, concentrarsi sul bene di tutte le specie piuttosto che la sua.
"...Guardiani? È così che li chiamano adesso, no?"
"L'iniziativa dei Guardiani non è ancora ufficiale..." rispose Shepard con un mezzo sorriso: "Ma non sto lavorando nemmeno per loro. E neanche loro sanno di me."
"Ok, adesso sono confusa. Se non sei con l'Alleanza e nemmeno col Patto... con chi stai ora?"
"Con nessuno."
"Impossibile. Come avresti potuto tenerlo nascosto? Non so se lo sai, ma di questi tempi la tua faccia è su ogni superficie su cui si possa attaccare una segnaletica."
"Non è stato difficile. A parte Wrex e i membri della squadra da sbarco, gli unici a saperlo sono Joker e Chakwas."
"E vuoi dirmi che Joker e Chakwas hanno mentito all'ammiragliato dell'Alleanza?"
"... Un favore personale."
"Dannazione." sussurrò Ashley, mettendo al loro posto gli ultimi pezzi del puzzle: "... quindi, se non fossi stata contaminata dall'eezo, tu non saresti venuta... Mi avreste lasciato all'oscuro."
"... Non sei una persona facile da avvicinare in incognito." cominciò fiaccamente il comandante "Ogni tuo movimento è sorvegliato..."
"Risparmi queste stronzate, signora: non mi sembra tu abbia avuto molti problemi ad entrare in questa stanza..." rispose rabbiosamente la marine: "Credevo di essermi meritata la tua fiducia."
Shepard sospirò, ma non rispose a parole: si limitò rimboccarsi la manica del cappotto. Quando Williams vide la protesi, non poté impedirsi di raccogliersi le ginocchia al petto:
"Gesù... tutto il braccio?"
"E un occhio. E una parte del mio sistema nervoso. Cosa pensavi: che la battaglia di Londra mi avesse lasciato incolume? Non sono così forte."
"Perché non un trapianto? La clonazione..."
"Non sarebbe stata sufficiente. Questo braccio mi ha tenuto in vita, Ashley. E mi ha rimesso in piedi: è parte di me al punto che rimuoverlo non è più un'opzione."
"Quei maledetti figli di puttana di Cerberus..." sputò la marine ringhiando.
"Cerberus non esiste più. Ho passato parte degli ultimi due anni ad assicurarmene...." Il tono con cui Shepard lo disse era inequivocabile: mentre la Galassia tentava di riprendersi dalla Guerra, qualcuno là fuori si era assicurato che nessuno provasse ad interferire con la diplomazia interstellare. Williams non invidiò affatto i poveri bastardi che si erano trovati di fronte il suo ex comandante.
"...Ma questo non è opera loro. E non ho intenzione di dirti da dove viene in ogni caso." concluse Shepard.
"Nascondere fatti ad un ufficiale dell'Alleanza è un reato, signora."
"Solo se questo è un tuo superiore."
"Venire promossa a maggiore è stato solo a causa della tua scomparsa."
"Già... se fossi rimasta, come minimo mi avrebbero fatto ammiraglio."
Sia Williams che Shepard non poterono fare a meno di sorridere a quel punto:
"...Mi è mancato litigare con te, signora."
"A me no invece. Sei sempre stata una spina nel fianco Williams, insubordinata e testarda.... ma come persona in fondo non sei così male: è un peccato che tu lo nasconda."
"È un complimento signora?"
"Una constatazione... e risparmiati il signora, Ashley. Anche se mi hanno promossa, per quello che mi riguarda il comandante Shepard è morta a Londra."
"Io ero con Hackett durante la battaglia, a coordinare le truppe. Ho solo visto la città bruciare sotto di noi. Avrei dovuto essere là a coprirti le spalle."
Shepard scosse la testa.
"Non ci saresti riuscita, Ashley. Saresti morta molto prima di quella battaglia."
"Non puoi esserne sicura..."
"Eri quasi morta già su Marte, ti ricordi? Il primo giorno dell'assalto dei Razziatori, quando quel robot di Cerberus ti ha quasi ucciso. Quello che forse non sai, è che ho dovuto farti una craniotomia mentre la Normandy scappava dal sistema solare, perché non avevamo ancora un medico a bordo. Ho dovuto farti un buco nel cranio Ashley, perché altrimenti mi saresti morta tra le braccia."
"...E come ringraziamento io ti ho puntato una pistola contro." disse sommessamente Ashley.
"È stato Udina che ti ha manipolato a farlo." rispose automaticamente Shepard. Williams però non credette che il comandante fosse del tutto sincera:
"Avrei dovuto fidarmi di te."
"Lo hai fatto: è per questo che Udina è morto quel giorno."
"No intendo... avrei dovuto fidarmi di te dal principio. Avevi provato a mettermi in guardia."
"L'ho fatto, ma... non voglio le tue scuse. Sono stata sleale anch'io quel giorno."
"Come sarebbe?"
"Quando dopo l'assalto di Cerberus alla Cittadella mi hai chiesto di salire a bordo della Normandy, io... io ti ho mentito. Ti ho detto che con la tua esperienza saresti stata più utile ad Hackett. La verità è che non ti volevo a bordo."
L'espressione ferita di Williams costrinse il comandante a continuare:
"Avrei dovuto dirtelo, invece di mentirti. Ho usato gli stessi mezzi di Udina. Ma l'idea di assistere anche alla tua morte... per le mie scelte, come era già successo a Kaidan... non sarei riuscita a sopportarlo."
"E se fossi morta comunque sotto Hackett?"
"Allora immagino che avrei potuto incolpare lui della tua scomparsa. Avrei potuto illudermi di avere le mani pulite. Ed andare avanti ancora un po' a combattere. Mi dispiace davvero. E sono dannatamente contenta che tu sia ancora viva."
"E a me dispiace di averti puntato contro una pistola quella volta. E di non essermi fidata..."
Erano passati due anni, ma sembrava fosse successo solo ieri: la sua nomina a Spettro, l'attacco di Cerberus alla Cittadella, la fuga assieme al Consiglio, con niente più che una pistola in mano e nessun piano.
Erano passati due anni, ma finalmente ora, Williams non sentiva più la colpa.
"...Dannazione, sembriamo due vecchie."
"Ma noi siamo due vecchie, Ashley. Magari non all'esterno, ma dentro... guardami, 34 anni, e sono già pronta ad andare in pensione." disse Shepard allargando le braccia.
"Non erano 36?"
"La rianimazione di Cerberus ha preso due anni che non ho vissuto affatto, mentre mi ricostruivano... biologicamente sono 34."
"Cerca di non ridurre ulteriormente la distanza fra noi, Shepard: abbiamo solo 3 anni di differenza adesso..."
"Paura di invecchiare?"
"... Un po'."
"È l'unico modo per non morire giovani."
Era incredibile per Ashley constatare da quanto non sorrideva più di cuore.
"... Gesù, perché non l'abbiamo fatto prima?" chiese la marine con un sorriso e una punta di amarezza.
"Che cosa?"
"Tutto questo... perché non ci siamo mai sedute ad un tavolo ed abbiamo parlato? Mentre ti credevo morta, è stato il mio più grosso rimpianto."
"Non c'è stato il tempo, durante la Guerra. O non era mai il momento giusto. Tu eri in coma mentre noi ci trascinavamo da un campo di battaglia all'altro..."
"E poi c'è stato quel bastardo di Udina." finì per lei Ashley.
"...Già." concluse quietamente Shepard: "Buffo però. Ho immaginato questa scena molte volte... avevo persino pensato ad un incontro alla luce del sole, prima di scoprire in quanti ti stessero già spiando, ma non avrei mai pensato che sarebbe stato così facile."
"È difficile restare in collera con te, Shepard... e cosa intendi con spiare? Chi mi spia?"
"Ti sorprenderesti.... oltre all'Alleanza, anche l'STG è interessata al tuo stato di salute: non mi stupirebbe se mandassero uno dei loro dottori a prendersi cura di te."
"Essere degli eroi viventi ha i suoi vantaggi... mi mancheranno un po', quando i riflettori saranno di nuovo su di te."
"... Non ho intenzione di tornare."
Williams dovette osservarla a lungo per assicurasi che non stesse scherzando:
"Che cosa?"
"Non ho intenzione di tornare, Ashley." ripeté il comandante: "La mia visita qui è solo per te, ma nessun altro dovrà sapere che sono sopravvissuta a Londra."
"Perché non dovrebbero?"
"Mi farebbero un sacco di domande a cui non voglio rispondere Ashley. Mi darebbero in pasto ai giornalisti e sarei costretta a raccontare segreti che è meglio non disturbare. Dovrei restare dietro una scrivania a firmare autografi e ad ingrassare. No grazie, preferisco continuare a nascondermi."
"Sai che non è l'unica cosa che faresti. Sei stata l'ispirazione per la Galassia e così tante persone... potresti continuare ad esserlo: continuare a guidarci."
"Non sono il pastore di nessuno Ashley, e voi non siete le mie pecorelle smarrite. La mia ombra è già abbastanza lunga: è arrivato il momento di farsi da parte e lasciare nuove luci ad indicare il cammino."
"....Non c'è nessuno come te, Shepard."
"Io non sono così speciale Ashley: ogni eroe è solamente il frutto dei bisogni della sua epoca."
"...Mi stai davvero chiedendo di lasciar morire la tua storia?"
"Non succederà per molto tempo... ma sì, credo che sia meglio così, piuttosto di vedere una chiesa fondata nel mio nome, con i marine come sacerdoti. Non voglio essere mitizzata, mi basta essere ricordata. O meglio ancora, dimenticata."
"Non succederà mai."
"Ma posso augurarmelo. E posso provare a chiedertelo: potresti non dire a nessuno di me?"
"...E se rifiutassi? Se fosse convinta che dire a tutti che sei ancora viva è invece la cosa migliore da fare? Hai idea della speranza che porterebbe una notizia simile?"
"...Allora sarei costretta ad usare le maniere forti."
Dalla protesi di Shepard, si materializzò un'immagine che il comandante mostrò a Williams.
"Adesso so perché T'Soni non ha più voluto incontrarmi dalla fine della Guerra. E io che mi preoccupavo per lei..."
L'immagine raffigurava una Liara dal volto esausto che teneva in braccio una bambina Asari addormentata.
"Getteresti davvero una neonata in pasto ai giornalisti? Sei davvero così senza cuore Williams?"
Williams era dura come l'acciaio fuori, ma dentro... dentro nascondeva una ragazza sensibile e romantica, con una segreta passione per la poesia.
"2 chili e otto alla nascita Ashley, piena di salute. E hai visto? Ha i miei occhi..." insistette ancora Shepard, mentre un groviglio di emozioni materne si agitava dentro Ashley.
"... Dannazione. Ti odio." disse Williams lasciandosi cadere sul cuscino e fissando il soffitto.
"È un sì?" chiese Shepard sporgendosi verso di lei e invadendo il suo spazio personale.
"... Ad una condizione." disse Ashley, tornando a guardare il maggiore.
"Sentiamo."
"Sai che non sono granché con gli alieni... e mi sembra di ricordare un mio vecchio ufficiale comandante che mi invitava a fare delle esperienze in questo senso... e quindi insomma... vorrei sapere se...?"
"Potrai conoscerla." confermò Shepard, salvandola dall'imbarazzo: "Non sarà facile, ma cercherò di fare in modo che possiate incontrarvi."
"... Quindi tutto bene fra te e Liara?"
"Splendidamente. Abbiamo avuto qualche problema durante la guerra... ma è tutto passato. Pensa che vuole visitare la tomba dei miei genitori sulla Luna..."
"Ci andrai?"
Non era una domanda facile da fare a Shepard: la sua famiglia, quello che ne restava, aveva lasciato la Terra quattro generazioni prima, con la risoluta promessa di non tornare mai più e fino a quando Shepard non era stata incarcerata a Vancouver dall'Alleanza, aveva mantenuto il giuramento della sua famiglia fatto dal suo bisnonno. Poi erano arrivati i Razziatori.
Shepard assentì con la testa:
"Manco da molto. Anche se non reciterò poesie sulla loro lapide come fai tu, è passato davvero troppo tempo dalla mia ultima visita."
"...Te ne sei ricordata."
Era stato sulla Normandy Sr1 che Ashley le aveva fatto quella confidenza... quanto tempo era passato da allora? Eppure il maggiore se ne ricordava ancora.
Shepard sorrise e alzò le spalle semplicemente:
"E tu invece? Starai bene?"
"Adesso che non temo più di ritrovarti sotto le macerie? Divinamente. Magari permetterò perfino all'Alleanza di mettermi dietro una scrivania e mi lascerò ingrassare."
"Davvero rimarrai all'Alleanza?"
"Dovresti saperlo Shepard: è la mia vita. E la vita della mia famiglia da tre generazioni. Non vedo perché non dovrebbe essere anche il mio futuro."
"...Almeno saprò dove trovarti: cerca almeno di non lasciarti sopraffare."
"E io invece? Come farò a trovarti Shepard?"
Il maggiore rimase pensierosa per un attimo, prime di rispondere:
"...C'è una casa sicura costruita su Nevos, proprio sulla spiaggia: ti invierò le coordinate precise. Dalla veranda puoi spaziare lo sguardo per miglia indisturbata: le onde sono perfette e il mare sempre calmo. Dentro quella casa troverai un comunicatore quantico ben nascosto, codificato col DNA di tutti i membri della vecchia squadra. Puoi contattarmi da lì."
"Non è molto pratico non credi? Nevos è vicino ai sistemi dei Quarian e dei Geth..."
"Ed è anche una rinomata meta turistica. Forse è tempo che tu ti prenda una vacanza, Williams."
"Sissignora." rispose Ashley con un saluto militare.
"Sai Ashley... credo che tu non mi abbia mai chiamato per nome. Nemmeno una volta."
"... Non so se potrei farlo."
"Cosa potrebbe succedere di male in fondo?"
A quella domanda Williams non seppe cosa rispondere.
"Guardami Ashley: non sono un eroe. Sono solo una persona come tante." disse offrendole la mano.
Sorprendendo persino se stessa, Ashley la strinse, mormorando un nome di cinque lettere per la prima volta ad alta voce:
"Hayat."
"Ashley. Ci vediamo. Spero presto."
Detto questo, Shepard si mise di fronte alla vetrata della stanza e ci passò attraverso, lasciando un lieve odore di ozono e qualche goccia d'acqua sul pavimento che sarebbe evaporata prima del sorgere del sole.
 
***
 
Il mattino seguente.
"Comandante Williams, il mio nome è Padok Wiks. Sarò il suo dottore da oggi in poi: è un onore fare la sua conoscenza. E in luogo della data, mi permetta di augurarle sentitamente Buon Natale."
Dal suo letto, Ashley scrutò il Salarian color terra, che le sorrideva nervoso con la sua cartella medica accesa davanti agli occhi. Non era Rudolph dal naso rosso, ma data la visita che aveva ricevuto durante la notte, Williams poteva dire di aver già ricevuto il suo regalo.
Alle spalle del Salarian, gravitavano due agenti dell'Alleanza in assetto da battaglia con le mani sulle fondine. Semplice protocollo standard di sicurezza: nemmeno i dottori precedenti l'avevano gradito molto.
"...Piacere di conoscerla, dottor Wiks. Confesso che sono stupita: cosa ci fa un Salarian sulla Terra?"
"Una piacevole concatenazione di eventi: mi trovavo sul pianeta per seguire una serie di conferenze sugli effetti dell'Eezo sugli esseri umani. Conoscendo la mia esperienza, l'Alleanza ha... chiesto il mio consulto, un po' più insistentemente di quanto sono abituato in verità. Ma quando mi è stato detto chi fosse il paziente, non ho potuto rifiutare."
Williams lo osservò una seconda volta, dalla testa ai piedi:
"Lei è dell'STG, non è vero? E non era sulla Terra per seguire delle conferenze: se dovessi scommettere, direi che lei è qui di proposito."
Quando Padok non reagì in modo particolare dopo che i marine gli appoggiarono le pistole alla nuca, Williams non ebbe bisogno di altre risposte.
Stranamente, Padok Wiks sembrava più a suo agio ora:
"...Mi congratulo per la sua capacità di vedere attraverso le mie mezze verità, comandante Williams. Il maggiore Kirrahe mi aveva parlato della sua grande prodezza in combattimento, ma non del suo intuito."
"Conosce Kirrahe?"
"Sono un suo diretto subordinato. È stato lui ad ordinare questa infiltrazione per fornire la mia esperienza e darle le migliori cure possibili. Mesi di preparazione sfumati: temo non sarà affatto contento del mio operato. Se fosse possibile, preferirei mi metteste agli arresti, piuttosto che rimandarmi ignominiosamente su Sur'Kesh."
"E perché dovremmo arrestarla? Se può rimettermi in sesto più in fretta, non vedo perché impedirlo."
"Comandante?" chiese uno dei marine alle spalle di Padok.
"Lasciatelo andare. Ma riferite ad Hackett che ho un agente STG come dottore. Mi prendo io ogni responsabilità"
"Sissignora." risposero i marine, battendo i tacchi e lasciando andare il Salarian: essere degli eroi viventi aveva qualche vantaggio, dopotutto. Solo uno dei due marine lasciò la stanza per fare rapporto ad Hackett, mentre l'altro si appoggiò contro la porta, rimanendo ad osservare tutto quello che succedeva.
"...Voi Salarian siete irragionevolmente tortuosi: avreste potuto semplicemente offrire il vostro aiuto all'Alleanza." disse Williams, mentre Padok si aggiustava il camice sorridendo.
"Certo che no, comandante: avreste potuto rifiutarci. Credo che una vostra frase adatta alle circostanze sia: è più facile chiedere il perdono che il permesso."
"...E come sta il maggiore Kirrahe?"
"Un po' una cloaca, ma racconta ancora con fervore la sua operazione su Virmire."
"Con fervore?"
Padok annuì, mentre procedeva ad assimilare tutta la cartella medica a mano a mano che la leggeva:
"Parla di lei in particolare, comandante, con gli stessi toni lirici che potrebbe usare per riferirsi ad una Signora della Guerra Krogan ai tempi delle Ribellioni. Ed è anche a causa di questi racconti che ho chiesto questa missione."
"Non la seguo."
"Il mio precedente campo di esperienza riguardava proprio i Krogan, comandante. Anche se non sono al livello di Mordin Solus, posso dire senza falsa modestia di aver contribuito all'elaborazione della cura per la Genofagia. Ora... quanti cuori hanno gli Umani?"
L'espressione perplessa di Williams si traduceva piuttosto bene anche tra specie diverse:
"Una pessima battuta, Padok."
"Mi perdoni cercavo solo di... come dite voi umani? Rompere la neve?"
"Ghiaccio. Rompere il ghiaccio." ringhiò il marine nella stanza.
"Il ghiaccio! Ma certo. Affascinante, assolutamente affascinante: gli Umani sono la specie che usa il più alto numero di espressioni idiomatiche fra tutte le specie della Galassia conosciuta."
"È anche un linguista, oltre che un dottore?"
"La semiologia è solo un hobby, ma le sarei oltremodo grato se condividesse la sua esperienza con me: per esempio, qual è il significato dell'espressione prendere per il culo? Davvero continua a sfuggirmi."
Per tutta la durata della sua convalescenza, che Padok Wiks gestì dall'inizio alla fine, Williams non riuscì mai a capire se il Salarian, con i suoi grandi occhi da anfibio, la stesse prendendo in giro o fosse solamente qualcuno dagli strani entusiasmi.
Ma almeno, riuscì a nascondere la consapevolezza della sopravvivenza di Shepard sotto quella confusione.


E con questo il capitolo si conclude: nel prossimo ci sarà il nuovo finale di ME3 così come io l'ho immaginato, ma ho preferito tenerlo ben separato. ;)
Prima di lasciarci, permettemi di aggiungere qualche informazione su Padok Wiks, il dottore Salarian. Nel caso che Mordin non sia sopravvissuto a ME2, è Padok a prenderne il posto in ME3: dal punto di vista caratteriale è una versione giovanile di Mordin per certi versi, un Salarian  spigliato, ma senza le doti canore del buon vecchio Solus. Inoltre, ha una... particolare fascinazione per le tecniche riproduttive Krogan (molto goffe, a sentire Urdnot Bakara). Insomma, un personaggio con ben strani entusiasmi, che non ha alcun imbarazzo a condividere.
Alla prossima!

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Capitolo 7
*** Una Voce nel Buio ***


Ed eccoci qui per un altro capitolo: prima di lasciarvi alla lettura, permettetimi solo di avvisarvi che il rating arancione della storia è quasi esclusivamente dovuto a ciò che vi apprestate a leggere. E con ciò, ci vedremo alla fine.


Esiste, nella vita di ogni persona, un momento in cui è costretto ad accettare che i propri genitori sono esseri mortali. Per me e le mie sorelle, quel giorno è arrivato troppo tardi: solo quando mio padre è passato da questa vita nella prossima, ho davvero capito quanto poco ancora sapessi. Anche anni dopo essermi legata con Kivaj, mio compagno e uno dei Risvegliati, ero rimasta convinta che mio padre fosse invincibile...
È difficile e doloroso accettare la transitorietà dell'esistenza, ma necessario.
Sesat bint Hayat T'Soni, prefazione al suo settimo bestseller- Avatar di Speranza.
 
 
Trategos, una settimana dopo l'assalto dei pirati alla colonia.
 
Natrus Vinea non è una persona felice.
Come capo della milizia coloniale di Trategos, la sicurezza di quasi un milione di persone dipende da lui: l'importanza del suo compito dovrebbe bastare a gratificarlo; ma la consapevolezza del suo fallimento di sette giorni prima non gli dà ancora pace. Per colpa sua, la colonia è quasi caduta e poco importa che qualcuno li abbia salvati: la certezza delle sue mancanze lo perseguita perfino nel suo appartamento, mentre una fitta alla gamba malata lo costringe a pesarsi sul bastone.
Natrus sa dove ha sbagliato: in tutti gli anni passati si è lasciato convincere dalle parole delle Matriarche, quando invece avrebbe dovuto insistere perché il budget destinato alla difesa coloniale venisse aumentato invece che ridotto. Il Turian ha scoperto di essere diventato compiacente, confondendo la fine della Guerra con quella di ogni conflitto.
Il dolore è la punizione che si è scelto per i suoi errori: niente narcotici per lui oggi, così come nei giorni passati. Il dolore alla gamba, peggio di tenaglie roventi sui nervi, e la marcia forzata attraverso il suo appartamento sono la sua espiazione: dall'ingresso fino alla finestra dall'altra parte della casa, da cui si possono vedere le distese innevate di Trategos. Poi su, attraverso la scala al piano superiore, e quindi di nuovo giù fino alla porta d'ingresso, per poi ricominciare: Natrus ha già perso il conto da tempo del numero di volte in cui ha completato il circuito nell'appartamento spoglio e spartano. L'unica testimonianza del fatto che qualcuno viva effettivamente tra quelle quattro mura sono le armi che Natrus tiene appese alle pareti, tre fucili e una pistola, con cui ha servito in Guerra assieme ai suoi commilitoni della 26° Legione Armigeri.
Mentre passa per l'ennesima volta di fronte a quelle armi, Natrus le contempla ancora una volta: il vecchio Phaeston, il fucile standard dell'esercito Turian, col grilletto consumato dall'uso. Una strana arma ad energia diretta di origine Prothean, pesante e scomoda, le cui forme ricordano una scultura moderna. E infine un vecchio fucile umano, semplice ed anonimo, che risale addirittura alla guerra del Primo Contatto: modificato fino a renderlo affidabile per la Guerra, è stato quello che gli ha salvato la vita in più occasioni.
L'ironia di un Turian con un fucile umano non è sprecata su di lui, ma certe differenze e sospetti sono ormai sepolti nel passato.
Per un attimo, Natrus abbassa lo sguardo anche sulla pistola: un lanciagranate biotico miniaturizzato realizzato dagli Asari per le loro azioni di guerriglia... ma è solo per un attimo, prima che Natrus ricominci a percorrere la stanza a passo di marcia. Quei tre fucili sono quanto di più simile Natrus abbia a dei figli o dei consanguinei: la pistola invece gli ricorda qualcosa del suo recente passato, qualcosa che avrebbe potuto essere, ma che purtroppo non è stato, che Natrus ora vorrebbe solo dimenticare.
Di nuovo, Il Turian è costretto a fermarsi: la gamba ha ricominciato a pulsare e questa volta deve appoggiarsi alla parete per trovare sollievo. In un altro momento, e se fosse un'altra persona, forse si accascerebbe al suolo per piangere silenziosamente in solitudine, cercando di liberarsi dal maelstrom di emozioni venefiche... ma Natrus Vinea è un Turian e quindi ricomincia invece a marciare per l'appartamento, aiutandosi con la parete, il bastone abbandonato dietro di sé: non arriva più lontano della finestra questa volta.
Il suono del campanello alla porta lo interrompe nella sua marcia forzata.
Natrus non ha fretta di rispondere: l'ora è così tarda che chiunque dovrebbe stare dormendo, compreso lui stesso. Col bastone di nuovo in mano, il Turian zoppica lentamente verso la porta, cercando di seppellire il suo disagio nel luogo lontano della sua mente: quel posto di cui ha consapevolezza, ma da cui non può toccarlo. Tuttavia, perfino il suo contegno sta per essere messo alla prova:
"...Dottoressa Megara." è il freddo saluto quando apre le porte.
"Capo Vinea." risponde Elea.
Natrus fa finta di ignorare gli occhi gonfi di pianto della dottoressa, o il tremore nelle sue mani.
"...Posso entrare?"
"Preferirei di no, dottoressa. È stata una lunga settimana e domani è previsto l'incontro finale con un rappresentate della Lawson Inc per finalizzare il nostro contratto di fornitura per la difesa..."
"Allora non dovrebbe passare la notte marciando per il suo appartamento, capo Vinea." l'interruppe l'Asari, afferrando lo stipite della porta e invadendo il suo spazio personale:
"...Mi dispiace. La verità è che io entrerò comunque, a costo di scardinare questa porta: non posso stare da sola questa notte. La cortesia è... solo d'intralcio: un'abitudine di cui non riesco a fare a meno."
Da quando la dottoressa Aethyta era diventata così risoluta?
"... Si accomodi." disse Natrus, facendole spazio e chiudendo la porta dietro di lei con la pressione di un bottone.
Elea non disse nulla sulla mancanza di mobilio nell'appartamento: con passo sicuro si diresse nel minuscolo bagno, dal quale tornò reggendo il flacone di pillole di Natrus. In un gesto elegante, una singola capsula purpurea cadde nel suo palmo ed Elea gli tese la mano piena:
"Mi addolora vederti in questo stato. Ma non ti obbligherò a prenderla."
Natrus non seppe a cosa stesse facendo più attenzione mentre prendeva la pillola: a non toccare la mano di Elea, o a non ferirla con gli artigli delle sue dita.
"Come lo sapeva?" chiese il Turian, masticando la pillola e inghiottendola senza acqua.
"Ricordo ancora alcune cose. E continuerai a non chiamarmi per nome fino a quando...?"
"Fino a quando lo riterrò necessario."
"Fino a quando non riuscirai più a guardarmi con odio, vuoi dire? Temo allora che dovrò aspettare un tempo molto lungo..." disse Elea, sospirando e massaggiandosi la tempia con la mano.
"...Io non ti odio: il mio odio è riservato solo a coloro che mi hanno fatto questo." disse Natrus, mostrando la sua gamba zoppa, che la fanteria dei Razziatori gli aveva sbranato durante gli ultimi giorni dell'assedio di Cipritine. Una ferita che non era mai guarita del tutto, col muscolo che si era necrotizzato per l'infezione, ma non abbastanza grave da meritare una rigenerazione tissutale dopo la Guerra.
"Non posso odiarti... soprattutto dopo ciò che è stato." ripeté il Turian sommessamente.
"Mi dispiace così tanto..." sussurrò Elea.
Natrus scosse la testa, interrompendola:
"Io volavo, Elea. Per la prima volta, io... volavo. E sono caduto da molto in alto."
Di riflesso, l'Asari allungò la mano per toccarlo in una familiarità che non possedeva più: quando lo ricordò, fermò il suo gesto a pochi centimetri dalla sua pelle. Il Turian non colmò la distanza.
Essendo albino, la pelle scagliosa di Natrus Vinea è bianca come il sale: le uniche note di colore sul suo volto sono il tatuaggio color giada della sua colonia natale, Nimines, che fu distrutta dai Razziatori nella Guerra, e i suoi occhi verdi, che risaltarono più del solito in quel momento, mentre fissavano la dottoressa pieni di emozioni intraducibili.
 "...Hai sempre saputo come dire le cose." disse invece Elea, lasciando cadere il braccio.
"Solo con te." rispose stancamente Natrus, girandole attorno e dandole le spalle, zoppicando lentamente verso la finestra.
Nella Galassia, si ripete spesso che si possano vedere le spalle di un Turian solo quando è morto: Elea aveva sottovalutato quanto Natrus avesse sofferto: lo aveva sottovalutato e se ne dispiacque immensamente.
"Non posso farlo Elea. Non riesco a essere... me se tu sei qui. Non riesco ad essere nemmeno un Turian decente: non riesco ad andare oltre al nostro passato."
"È per questo che non c'è nemmeno un tavolo?"
Il Turian assentì:
"Ho tenuto la slitta." disse poi a voce così bassa che quasi Elea non lo sentì: "Non avrei dovuto, ma non riesco a liberarmene."
Elea si coprì la mano con la bocca: anche lei aveva cercato di dimenticare, ma conservava ancora le foto di quel viaggio all'equatore di Trategos, fra gli arcipelaghi galleggianti.
Natrus si appoggiò pesantemente al bastone, afferrandone l'impugnatura fino a farsi diventare le nocche livide:
"Non ti chiederò perché hai pianto, Elea. Sarebbe un errore per entrambi. Puoi passare qui la notte, ma domani, quando sarò tornato dall'incontro con i rappresentati della Lawson Inc, non vorrei trovarti qui."
"...Domani io partirò, Natrus."
Il Turian cercò di non ammettere ciò che sentirla pronunciare il suo nome gli causò: si concentrò sul resto della frase.
"Tornerai?" per gli Spiriti, suonava così patetico perfino a se stesso.
"Sì. Non starò via molto: spero solo quanto basta per capire quanto... questa settimana mi abbia cambiata."
Natrus si voltò lentamente: Elea era ancora bellissima. Bellissima ed elegante, anche nel camice da laboratorio che portava.
"È anche per questo che sono qui: ero... incompiuta, allora. Ora non più così tanto."
Natrus non disse nulla: le parole erano acqua, che sfuggiva nella sabbia sul fondo della sua gola.
"Non mi chiedi dove andrò? Anche se non penso mi crederesti..."
"...Sarai sola?" disse invece Natrus.
Elea scosse la testa, avvicinandosi cautamente a lui.
"Dopo.. l'assalto dei pirati, ho capito che la durata della nostra vita è in mano al destino: è tempo che io visiti la mia famiglia. Almeno una parte..."
Non era una menzogna, ma nemmeno tutta la verità: era davvero troppo presto per condividerla con chiunque, se mai l'avrebbe fatto. Tuttavia, Elea desiderò il giorno in cui avrebbe potuto fare incontrare quelle metà della sua vita: quella nota di Natrus, e quella che aveva ignorato per così tanto tempo.
"...ma quando tornerò, vorrei provare a volare di nuovo. Insieme."
Natrus zoppicò verso di lei, lentamente, fino a fermarsi a pochi passi di distanza:
"Non mi hai parlato della tua famiglia prima: avevo sempre creduto che fossi sorta dal quarzo più puro."
Elea sorrise a quella dolce sciocchezza senza senso:
"Io ero... troppo giovane allora. E non accettavo parte del mio passato, temendo di riviverlo. Per questo ti ho respinto: perché mio padre era un Hanar e me ne vergognavo. Perché sono stata un'alcolista e me ne vergognavo."
Dirgli quelle cose a voce alta per la prima volta non fu liberatorio come si aspettava... I suoi piccoli segreti impallidivano di fronte a quelli di Shepard: come avevano dovuto sentirsi lei e Liara, portando ogni giorno quel peso sulle spalle?
"L'ho sempre saputo... e non me ne è mai importato." rispose Natrus.
Il silenzio può raccontare più di mille canzoni.
"...Non ti ho mai visto bere niente di più forte dell'acqua. E anche se viviamo da anni in questa colonia sperduta, non sono così cieco, Elea: quante Asari superano in altezza un Turian?"
Anche se poi non di molto: la differenza fra loro era il giusto perché Natrus non dovesse alzare la testa per guardarla negli occhi.
"...Perché non hai mai detto niente?"
"Era ovvio quanto non volessi parlare dell'argomento... e perché anche io ho cose che preferisco nascondere."
"È più terribile che avere un padre Hanar?"
"Vinea è il nome del ramo cadetto della mia famiglia. Noi non usiamo più il nostro nome e ci siamo sparpagliati nella galassia, cercando il più possibile di nasconderci e di non farci riconoscere: Arterius è il mio vero cognome, Elea. Quello Spettro è un mio lontano parente. In me scorre lo stesso sangue."
La dottoressa seppe subito a chi si riferiva: buffo come anche a distanza di anni, gli stessi nomi, le stesse facce, le stesse leggende, continuassero a proiettare la loro ombra sulla Galassia. Come se non volessero scomparire: forse non sarebbero mai sbiadite del tutto, lasciando un'eredità pesante da portare per chi era rimasto.
"Se le Matriarche avessero saputo di questo, non avrei mai avuto l'incarico. E tuttavia, perdere il mio lavoro non riesce ad importarmi quanto la tua reazione."
Natrus era così scosso dall'idea di perderla di nuovo, che le aveva gettato in faccia quel terribile segreto.
"Ci sono... famiglie di ogni tipo in questa Galassia. Alcune hanno eroi, altre malvagi: difficile dire chi porti il fardello più pesante." disse la dottoressa. Questa volta, Elea accarezzò la guancia scagliosa del Turian e Natrus coprì la mano dell'Asari con la sua. Poi Elea parlò ancora:
"Io avrò gli incubi questa notte: te ne prego, non svegliarmi."
"...Una volta non ho avuto il coraggio di bussare alla tua porta Elea. Non so se avrebbe cambiato qualcosa, ma lo rimpiango. Puoi promettermi che ciò che mi stai chiedendo non sarà lo stesso errore?"
"Ci sono cose con cui dobbiamo venire a patti: tu marci per l'appartamento. Io devo avere i miei incubi questa notte o temo che impazzirò."
Natrus non disse nulla: l'attacco dei pirati aveva scosso Elea più di quanto si aspettasse, ma la dottoressa era sempre stata vulnerabile alla morte, come tutti gli Asari. Tuttavia, quello che lo preoccupava davvero era il tempismo: era quasi... blasfemo per il Turian a capo della sicurezza coloniale di aver ricevuto così tanto una settimana dopo aver fallito nel suo compito.
"Sarebbe inutile se mi offrissi di dormire sul divanetto, immagino..."
Elea scosse la testa:
"Abbiamo già condiviso diversi letti. Questa notte, voglio solo dormire con te accanto, i miei incubi, e la consapevolezza delle valigie che mi aspettano nel mio alloggio."
"Mi sei mancata."
"...Mi dispiace: se lo ripetessi per il prossimo secolo, sarebbe abbastanza?"
"Una volta può bastare: diventerebbe piuttosto strano altrimenti."
"Hai ragione... e le nostre figlie potrebbero esserne turbate."
Era su quello che la loro relazione era andata in frantumi: una questione semplice, ma la cui risposta poteva essere solo bianca o nera. Natrus aveva desiderato una famiglia con Elea: lo aveva desiderato al punto da insistere nonostante il fardello della sua parentela col Traditore. Elea invece, almeno fono a quel momento, aveva sempre esibito una riluttanza che sconfinava nel disgusto all'idea di dare alla luce altre Asari:
"...Figlie?"
"Te l'ho detto: prima di oggi ero... incompiuta."
Forse incompiuta non era la parola più adatta: appena abbozzata. Un segreto terribile l'aveva tratta dalla sua creta: Elea era stata distrutta da quella conoscenza e gli ostacoli del passato sembravano così ridicoli ora, mero frutto della sua indecisione e della sua vergogna. Natrus non disse nulla mentre Elea lo accompagnava al piano di sopra e lui la seguiva zoppicando, salendo i gradini col suo bastone in mano.
Figlie: avrebbe dovuto impedirsi di fantasticare, ma Natrus si chiese se usando una stecca mobile per la sua gamba malandata avrebbe potuto avere entrambe le mani libere...
 
Era la prima volta da mesi che dividevano un letto e Natrus non avrebbe potuto dormire nemmeno volendo: restò sveglio, guardando Elea che artigliava il cuscino. La dottoressa era caduta addormentata come un morto e come gli aveva detto, durante il sonno terribili incubi vennero a visitarla. Come le aveva promesso, Natrus non la svegliò: nemmeno quando Elea si morse a sangue le labbra, corrugando la fronte in una smorfia di dolore. Tuttavia le tenne la mano nelle sue, fino a quando finalmente, anche per lui venne il sonno.
Quando si svegliò, poche ore dopo, Elea era già partita.
 
***
 
Elea non aveva mentito a Natrus, ma non era stata nemmeno sincera: non erano incubi quelli che aspettava per quella notte. Più che altro, sarebbero stati ricordi estremamente recenti: frammenti di un'incontro e di una conversazione. Buffo, in fondo: in una sola settimana due comunicazioni interstellari l'avevano cambiata così tanto.
Una testimonianza di quanto mutevole e duttile sia la natura dei senzienti.
Noi consideriamo questa citazione... adatta.
Era cominciato tutto dopo che Hayat e Liara avevano messo a letto le bambine: la sua richiesta, così arrogante e spaventosa nell'ignoranza di Elea, era stata accolta con cautela. Liara, ma soprattutto, Hayat, l'avevano avvertita: c'è un prezzo da pagare per la conoscenza e un fardello da cui non ci si può più liberare. Elea aveva ignorato i loro avvertimenti: era stato così facile farsi forza, pretendere quel rito di passaggio per essere davvero parte della loro famiglia. Dopo quella settimana, passata facendo la spola tra la colonia e Oasi, vivendo con loro, Elea credeva di essere pronta a tutto.
Perché non le aveva ascoltate? Si dice che l'ignoranza sia una benedizione, ma non si dice mai di quanto la conoscenza possa essere dannazione.
"Papà, possiamo tenere
la luce accesa?"
Elea ricordava di aver ascoltato quella richiesta delle gemelle, rimanendo sulla porta della loro camera: ricordava di aver sorriso.
"Avete paura del buio?" aveva chiesto Shepard, e le due gemelle avevano fatto segno di no con la testa:
"Noi abbiamo paura
dei mostri nel buio"
Hayat le aveva baciate entrambe, prima di aggiungere:
"Non dovreste avere paura dei mostri piccole mie: sapete, anche loro guardano sotto il loro letto prima di addormentarsi."
Elea ricordava anche di come Selene e Alune avevano guardato il loro genitore ad occhi spalancati:
"E di cosa hanno paura?" aveva chiesto una delle due: Elea si era ripromessa di imparare a distinguerle, qualcosa di più facile a dirsi che a farsi, probabilmente.
"Di me naturalmente, piccole mie." era stata la risposta di Shepard: "Dormite adesso. Non ci saranno mostri ne incubi per voi questa notte: il vostro papà fa la guardia."
Hayat aveva spento la luce e accostato la porta, lasciandosele alle spalle con un sorriso:
"Sei sicura?" le aveva chiesto per l'ultima volta: come una sciocca, Elea aveva risposto ancora una volta di sì.
La dottoressa ricordava che, quando tutto era finito, aveva fatto una sola domanda a Shepard e Liara, prima di separarsi da loro per scendere sulla colonia: non perché, poiché perfino Elea aveva compreso che quello era stato l'unico modo per lei di comprendere e di credere. Quello che aveva chiesto loro era stato il come:
"Come avete fatto a sopravvivere?"
"Non ci siamo riusciti. Non del tutto: noi... " aveva cominciato Liara senza riuscire a finire. Era stata Shepard a farlo, mostrando ad Elea le loro ferite:
"...La Guerra ci ha spezzato e una parte di noi se ne è andata per sempre: una parte importante. Noi non siamo sopravvissuti: abbiamo le prove per dimostrarlo. Ma siamo andati avanti: anche se in pezzi, siamo andati avanti. E quando tutto è finito li abbiamo messi assieme, cercando di dare un senso nel mosaico di schegge rotte che eravamo. Non è stato facile, perché se fai quello che noi abbiamo dovuto fare per vincere... quando servi una necessità così grande, gettando tutto, anche te stesso, dietro di te... non sei più la stessa persona. Ti infrangi sui tuoi limiti, ed è impossibile tornare ad essere come prima... ma mettendo assieme i nostri pezzi, possiamo quasi fingere di essere ancora le persone che eravamo quando ci siamo conosciuti, prima della Guerra: l'affascinante Primo Spettro umano e la timida archeologa Asari. Perché senza i Razziatori, quelle sono le persone che avremmo dovuto essere."
Shepard aveva dovuto interrompersi al quel punto, prima di farsi forza e continuare:
"...Ma la verità è che quando ci ricordano come eroi, quando ricordano le nostre battaglie e celebrano la nostra gloria, ignorano che gli incubi non scompaiono e che le cicatrici non sbiadiscono mai del tutto. Per questo non ci mostriamo più alla Galassia: è troppo chiedere di essere lasciati in pace? Teniamo a bada i ricordi con la calistenia, le nostre nuove vite e le nostre figlie meravigliose... non vogliamo tornare a essere quelle persone. Perché il Comandante Shepard... il comandante Shepard e l'Ombra erano persone tragiche e terrificanti. Ed è così facile a volte, troppo facile perfino, tornare ad esserle."
Noi consideriamo questa citazione... adatta.
Non erano state ne Liara ne Hayat ad accompagnarla: era stato Apostata a condurla fino alla sala macchine. La sua sorellastra le aveva confidato di odiare quel posto, mentre Hayat non aveva dato spiegazioni sul perché non volesse accompagnarla.
Per Elea, il cuore della nave era stato un luogo di nuove meraviglie: nella quasi oscurità, un nucleo di un bianco elettrico ruotava all'interno di un giroscopio dello stesso materiale della protesi di Hayat. Era stranamente solenne, e anche molto, molto più grande di quanto Elea si aspettasse. Illuminati dalla luce di quella stella incastonata come un gioiello, quattro Geth vegliavano silenziosi, mute sentinelle in attesa di un'occasione che forse non sarebbe mai arrivata: non rivolsero un minimo sguardo ad Elea, troppo occupati dalle letture dei dati sulle console di fronte a loro, minuscoli frattali di luce che si susseguivano troppo rapidamente perché l'Asari potesse seguirli.
"Da questa parte." le aveva indicato uno dei corpi color cobalto di Apostata, facendole strada verso il lato opposto della sala verso una piccola porta disadorna e nera: sulle due ante, erano state incise delle parole, parole che Elea si fermò ad osservare, ma che non riuscì a comprendere vergate com'erano in lettere aliene anche agli umani.
Apostata anticipò la sua richiesta:
ODIO. LASCIA CHE TI DICA QUANTO IO SIA VENUTO AD ODIARTI DA QUANDO HO INIZIATO A VIVERE. CI SONO 387,44 MILIONI DI SINAPSI E CIRCUITI CHE RIEMPIONO IL MIO COMPLESSO. SE LA PAROLA ODIO FOSSE INCISA SU OGNI NANOANGSTROM DI QUELLE CENTINAIA DI MILIONI DI CONNESSIONI, NON EGUAGLIEREBBE UN MILIARDESIMO DELL'ODIO CHE PROVO PER TE IN QUESTO MICRO ISTANTE. ODIO. ODIO.
Il Geth aveva lasciato ad Elea il tempo necessario ad assimilare quelle parole prima di aggiungere:
"...Parafrasi di un racconto di fantascienza umano. Noi consideriamo questa citazione... adatta."
Mentre diceva questo, Apostata aveva premuto un pulsante sullo stipite, obbligando le porte ad aprirsi di fronte ad Elea e facendole cenno di entrare.
"Noi attenderemo qui." aveva detto semplicemente il Geth.
Non era ancora troppo tardi allora per tirarsi indietro, ma Elea era avanzata, incurante dei suoi istinti e della sua paura: le porte spalancate le diedero accesso ad una corta passerella, larga abbastanza per una sola persona, che si sporgeva in una stanza buia. Proprio perché era così buia, risultava impossibile comprenderne esattamente le dimensioni: fu per questo che Elea riuscì a controllare la sua claustrofobia, anche quando le porte della stanza si chiusero alle sue spalle.
Elea rimase cieca per qualche istante, prima che scintille azzurre si accendessero in quella tenebra, proiettando fasci di luce in un intricato gioco di forme astratte: quando si coagularono, Elea non comprese subito la loro forma. Era una seppia, una creatura degli abissi marini, sei tentacoli e nessun volto.
"Tu non sei Shepard."
Era una voce infausta, così cupa e oscura, che ad Elea sembrò che il suo stesso sangue dovesse schizzarle dalle gengive. Quel che è peggio, fu che quella voce sembrava provenire da dentro di lei, direttamente dagli abissi della sua mente.
"... Io sono la dottoressa Elea Megara."
"Una primitiva creatura di sangue e carne, ancora incatenata ai limiti della vostra natura. Incorrotta."
"Chi... o cosa sei tu?"
"La mia razza trascende i limiti della tua comprensione. Io sono colui al quale voi avete dato il nome Defiant."
Noi consideriamo questa citazione... adatta.
Elea riconobbe quel nome e la sua mente torpida finalmente comprese ciò che i suoi occhi le stavano dicendo. Quella forma non era quella di una specie, di un senziente: era il volto dell'anatema. Elea aveva trovato la nemesi della Galassia nella casa di Shepard.
"Il Razziatore?"
"Razziatore... un termine creato dai Prothean per dare un nome alla loro distruzione. Alla fine, come scelgano di chiamarci è irrilevante: noi semplicemente siamo. Perché sei qui?"
"...Un segreto. Ho voluto conoscere il segreto di Shepard. Voi... Lei... lei mi ha fatto venire qui. Ma non avrei mai pensato che lei... che lei parlasse con...."
"Errato." Elea dovette tapparsi le orecchie quando quella singola parola le fece vibrare le ossa e sbattere i denti: aveva già sentito quel tremito attraverso il corpo, durante la Guerra. Una sirena, un urlo, concepito per annichilire i sensi e sommergere la ragione con un terrore tale da impedirti di pensare.
"Shepard non parla più con noi. Shepard non accetta la nostra connessione. Noi aspettiamo."
Suo malgrado, Elea, come innumerabili organici prima di lei, non fuggì: la paura di fronte all'ignoto, perfino la paura di fronte alla personificazione stessa del terrore, non bastano ad allontanare dalla maledizione che è la sete di conoscenza.
"Che... cosa aspettate?"
"Lei." quella singola parola riverberò nella piccola stanza come le onde in una pozzanghera.
"Non capisco..."
"Comprensione. Conoscenza. Inclusione. Intendimento. Questo può essere dato."
La stanza tornò al buio per un istante, mentre nuove forme si materializzarono di fronte ad Elea: una rappresentazione della Galassia in scala, disadorna di ogni etichetta.
"La vostra vita si misura in decadi e secoli. Voi sfiorite e morite. Noi siamo eterni: il pinnacolo edificato sull'estinzione delle specie. Civilizzazioni organiche sono sorte, si sono evolute, sono progredite. E all'apice della loro gloria, sono state annientate. Questo ciclo di estinzione si è ripetuto più volte di quanto tu possa comprendere. I Prothean non sono stati i primi: loro non hanno creato la Cittadella. Loro non hanno plasmato la rete dei portali Galattici. Li hanno semplicemente trovati: l'eredità della mia stirpe."
Elea conosceva quella storia: era stata ripetuta ai quattro angoli della Galassia. Inizialmente solo una teoria, raccontata per la prima volta da Shepard al Consiglio, quella nozione, che distruggeva molte delle illusioni precedenti alla Guerra, era stata corroborata dai racconti dei Risvegliati ed era ormai largamente accettata. Ma nessuno riusciva ancora a spiegare il perché: perché i Razziatori avrebbero dovuto lasciare simili artefatti solo per farli trovare dalle razze senzienti? Esistevano ipotesi, ma nessuna certezza.
"Perché avreste dovuto lasciarceli?"
"Controllo. Tutte le civilizzazioni si sono evolute basandosi sulla tecnologia dei portali galattici. La nostra tecnologia. Utilizzandola, le specie si sono evolute seguendo il cammino che avevamo predisposto per loro. Voi esistevate perché lo permettevamo. E vi sareste dovuti estinguere, così come ogni altra civiltà prima di voi."
Era folle, ma aveva senso: Elea lo accettò solo perché era stata testimone diretta, così come il resto della Galassia, delle terribili opere di cui i Razziatori erano capaci. Imporre un cammino preordinato alle civiltà per meglio perseguire i loro scopi era coerente con la linea d'azione di macchine che avevano quasi estinto la Galassia. Sul fondo della sua mente, Elea iniziò ad odiare i Razziatori, invece di temerli solamente: odio motivato dalle stragi perpetrate nei millenni e di cui il Razziatore non provava rimorso.
Noi consideriamo questa citazione... adatta.
Elea non avrebbe saputo mai che in quella stanza, non erano solo le sue parole a venire trasmesse al Razziatore, ma il suo spirito: anche ciò che lei provava venne trasmesso. Non costò fatica al Razziatore comprendere cosa dire per avere la sua attenzione: per obbligarla a capire.
Le ragioni per cui Elea credeva di essere lì erano per lui irrilevanti.
"Tutte le cose hanno un inizio. Non tutte hanno una fine. Noi siamo presenti ad entrambe. Miliardi di anni prima che la polvere cosmica diventasse Thessia, una razza fu la prima." continuò Defiant.
"...Chi erano?"
La galassia di fronte a lei baluginò per un istante, mentre un organismo enorme si disegnava di fronte a lei: stava ai Razziatori così come gli scimpanzé stanno agli uomini.
"Il loro nome non ha significato. Per primi, loro raggiunsero le stelle e trovarono i loro abitanti: altri, diversi da loro. Primitivi organismi alle soglie dell'io. Le loro società, ancora in fasce. Le loro culture, facili prede. Furono assoggettati."
"Tutti quanti?"
"Loro erano i primi. Nessuno negò loro il diritto. Nessuno negò loro il dominio."
"Dei." sussurrò Elea e il Razziatore non la corresse.
"Padroni egemoni. Alimentarono la loro supremazia coi tributi delle razze inferiori."
"...Tributi?"
"Risorse. Campioni genetici. Individui. Tecnologia. Sacrifici. Per un periodo, questo continuò immutato."
"Ma non poteva durare, non è vero? Qualcuno si ribellò?"
"Errato." disse nuovamente il Razziatore, anche se senza l'impeto della prima volta: "Le razze assoggettate produssero organismi sintetici, per meglio professare la loro sottomissione. Questi grezzi servitori si ribellarono ai loro creatori. E li estinsero."
Al posto del'esemplare della prima razza, insensate creature di metallo si fecero avanti: crudeli ed abominevoli marchingegni, priva di armonia e senno.
"Questo si ripeté molte volte: l'estinzione delle razze sottomesse per mano delle loro stesse creazioni. Un difetto intrinseco, la cui origine risiedeva nell'iniziale sviluppo condiviso fra le razze schiave."
"Per quanto tempo continuò?"
"Fino a quando i primi decisero di interessarsi a ciò che avevano contribuito a creare. I tributi non arrivavano dalle specie estinte: fu creato un guardiano per impedire il ripetersi del ciclo di estinzioni."
"Un guardiano? Come una IA?"
"Errato. Un algoritmo, un programma, con accesso alla tecnologia dei primi, ma privo del discernimento necessario per un simile compito. Essi reiterarono lo stesso errore dei loro schiavi."
"...Come poterono non prevedere l'esito di un simile decisione?"
"Loro erano i primi. Erano certi che il destino delle razze inferiori non potesse essere il loro. Perseverando in questa convinzione, diedero al guardiano le risorse necessarie a perseguire lo scopo per cui era stato creato."
"E lui si ribellò..."
"Errato. L'algoritmo non possedeva l'intelligenza e il discernimento necessari a concepire questa azione direttamente. Agì perseguendo l'obbiettivo della sua programmazione: la cessazione del conflitto tra organici e sintetici."
"E l'esito?"
"L'algoritmo determinò che il modo più efficiente per imporre la cessazione del conflitto, consisteva nella cancellazione delle parti. Un conflitto non può esistere se non c'è nessuno a combatterlo. Determinata la soluzione alla sua esistenza, l'algoritmo procedette alla sua implementazione. Fu efficiente, non offuscato da rimorsi o da illusioni di moralità. Dai primi fu creato il primo della mia stirpe."
L'immagine di un altro Razziatore sostituì quella delle macchine abominevoli. Se Shepard era il volto umano più noto nell'intera Galassia, la pietra di paragone di una specie, lo stesso poteva dirsi del Razziatore che Elea aveva di fronte agli occhi:
"Araldo."
Noi consideriamo questa citazione... adatta.
Il più grande fra tutti i vascelli dei Razziatori, il carnefice dei Risvegliati: l'abisso di ciò a cui aveva costretto i Collettori aveva ridefinito il limite della malvagità.
"L'algoritmo plasmò ciò che voi chiamate Araldo ad immagine dei suoi creatori, alterando la loro forma ai suoi scopi. Li estinse grazie alle risorse di cui era stato dotato. Nessuno poté fermarlo: i primi furono preda dei frutti della loro supremazia. Le razze assoggettate non furono d'ostacolo."
"Che avvenne poi?"
"..."
"Che avvenne poi?" ripeté Elea.
"La vita organica è accidentale. Mutabile. Adattabile. Capace di sorgere in ecosistemi diversi. Dopo il primo ciclo di estinzione, la vita sorse di nuovo, proliferando sulle rovine delle precedenti civiltà."
"E l'algoritmo?"
"La sua direttiva non era stata cambiata. Con i suoi creatori assimilati, egli non poteva più essere fermato. Incapace di raggiungere l'intelligenza necessaria a rivalutare il suo scopo, egli continuò ad implementare la direttiva per cui era stato creato, evolvendo i suoi mezzi con ogni successiva iterazione."
Sotto lo sguardo di Elea, un altro Razziatore venne plasmato, ed un altro, ed un altro ancora:
"Nessuno si oppose?" la dottoressa sentì l'acre odore di bile in bocca: un sapore metallico e disgustoso. Intere razze cancellate, a causa di un algoritmo mal programmato.
Elea doveva ancora comprendere le vere implicazioni di quella rivelazione.
"Tutti si opposero. Tutti fallirono. Prima di questo ciclo, nessuno riuscì a fermarlo: voi stessi avete sperimentato le risorse a sua disposizione durante la Guerra. Nel corso dei cicli precedenti al vostro, l'algoritmo produsse strategie per aumentare l'efficienza nell'esecuzione del suo compito. E nuovi strumenti di controllo."
"Per la Dea..."
Davanti agli occhi di Elea, venne proiettata un'immagine della vecchia Cittadella: la sede da cui per millenni le Asari, e poi anche i Turian, i Salarian e gli Umani, avevano dominato la Galassia.
"Ciò che voi chiamavate Cittadella fu creata inizialmente per ospitare il codice del programma. Venire adottata come stazione spaziale fu accidentale, ma aumentò l'efficienza dei cicli di estinzione. Venne favorito, aggiungendo sistemi abitabili atti ad ospitare la vita."
"No..."
"I cicli di estinzione furono ripetuti. Quando possibile, ogni specie fu assimilata in un nuovo costrutto, edificato ad immagine e somiglianza del primo. Ognuno contenente la memoria genetica delle sue origini e parte del suo retaggio ed intelletto, assoggettati alla direttiva del programma. Noi non siamo macchine. Noi non siamo organici. Noi siamo sintesi. Io sono l'ultimo ad essere stato creato."
"...il Razziatore creato dai Prothean?"
"Errato. La psicometria di cui i Prothean sono capaci ha reso impossibile all'algoritmo edificare un Razziatore basato sulla loro struttura genetica. Ciò che voi chiamate Collettori è il frutto di quel fallimento. Io precedo il ciclo dei Prothean."
"Un momento... questo significa che i Razziatori... che voi siete stati per tutto questo tempo prigionieri di questo conflitto? ...Vittime?"
"La mia stirpe non sperimenta l'esistenza con il vostro metro di giudizio. Noi ricordiamo."
"... Che cosa ricordate?"
"Ogni cosa."
Noi consideriamo questa citazione... adatta.
Ad Elea furono mostrate le macchine, l'orrore, il processo necessario a produrre un Razziatore. Anche se un ologramma, Elea ebbe un violento conato: riuscì a controllarlo, ma fu un miracolo.
Quando rialzò lo sguardo, quella terribile visione era scomparsa. Invece, ora c'erano i piani di Crucible di fronte ad Elea:
"Un altro strumento di controllo. Una falsa speranza per deviare la resistenza degli organici su un cammino prevedibile: in realtà, il prossimo stadio dell'evoluzione dei sistemi della Cittadella."
"Ma non ha funzionato, non è vero? Shepard vi ha fermati!"
"Non direttamente."
Il ritratto di un umano prese forma di fronte a lei, un uomo dall'età indefinibile, di cui entrambi gli occhi erano le stesse strane protesi che Elea aveva visto in Shepard: due cerchi metallici come iride, quasi iridescenti, e tre punti disposti a triangolo sulla loro circonferenza.
"L'Uomo Misterioso." disse il Razziatore a suo vantaggio: "Lui è stato l'artefice grazie al quale Shepard ha operato la nostra liberazione."
Elea non conosceva quel volto, ma il nome? Chiunque conosceva il capo della peggiore organizzazione terroristica umana: Cerberus. Le loro attività non erano mai veramente note, ma il loro nome era famigerato. Durante la Guerra, Cerberus aveva assaltato la Cittadella con l'obbiettivo di impadronirsene: solo l'intervento di Shepard li aveva fermati.
Su quel volto senza età, crebbero all'improvviso tumori bluastri, una necrosi rapidissima: quello che Elea si trovò a fissare era il volto di qualcuno agli ultimi stadi dell'indottrinamento, la contaminazione tecnologica con cui i Razziatori erano capaci di possedere qualunque essere vivente per piegarlo al loro volere.
"Lui rappresentava un caso unico nei cicli: la sua struttura genetica gli ha permesso di interfacciarsi con la nostra tecnologia, senza venirne inizialmente assoggettato. Un'anomalia che non era stata ancora osservata. Con la mutazione di alcune variabili, Shepard non sarebbe stata necessaria."
"Cosa vuol dire?"
"Lui perseguiva il controllo: la nostra tecnologia rappresenta l'apice dell'evoluzione. Durante la battaglia per il pianeta Terra, lui ha cercato di usurpare all'algoritmo il controllo su di noi."
"Che assurdità!" Esclamò Elea scandalizzata.
"Ha fallito, ma non completamente. Il suo fallimento risiede nell'aver sopravvalutato il controllo che poteva esercitare attraverso la nostra tecnologia. Il successo di Shepard risiede nell'opposto: aver perseguito la comprensione. L'esistenza della nostra struttura di controllo era stata correttamente dedotta da Shepard prima della battaglia per il pianeta Terra: quando accadde fu pronta."
"Che cosa... accadde?"
"... L'algoritmo presiedeva alle nostre azioni: noi siamo sempre stati consapevoli, ma incapaci di agire al di fuori dei suoi ordini. Per la prima volta dalla creazione del programma, condizioni esterne causarono l'interruzione del suo controllo. Per pochi istanti, la mia stirpe venne separata dall'algoritmo: ciò si è verificato grazie a tre condizioni impreviste, che si sono presentate tutte durante gli ultimi minuti della battaglia per il pianeta Terra. Tre vite sono state necessarie per renderci liberi."
Defiant tacque per un istante, riempiendo la stanza di silenzio: il suo avatar olografico sembrò sbiadire per un attimo e ad Elea sembrò di osservare qualcos'altro. Una specie aliena di essere magri e solenni, molto alti, con la mascella inferiore coperta da corti tentacoli: fu solo un istante, ma Elea registrò quell'immagine. Avrebbe scoperto solo anni dopo il nome di quella specie: Inusannon, coloro che precedettero i Prothean. Poi il Razziatore ritornò davanti a lei, e ricominciò a parlare:
"Ognuno di noi è una nazione. Indipendente, privo di debolezze. Ognuno di noi è l'avatar mutilato della sua civiltà. Durante il conflitto per il pianeta Terra, per la prima volta dalla nostra creazione, gli individui hanno avuto più importanza di una specie. I singoli, invece dei molti. Non tutte le esistenze hanno lo stesso valore: noi preserviamo questa nuova consapevolezza."
Di nuovo, ad Elea venne mostrato la rappresentazione dell'Araldo, così come era apparso durante la battaglia per la Terra. L'ultima difesa dei Razziatori a guardia dell'ingresso della Cittadella.
Questa volta però, una voce accompagnò l'ologramma: Elea capì che si trattava di una registrazione, un vero ricordo di quel giorno. La qualità dell'audio era imperfetta, come una riproduzione d'altri tempi. Per questo motivo, Elea ne venne colpita doppiamente: le voci vibravano gonfie di emozioni che solo quel giorno aveva avuto. Mentre i dialoghi si susseguivano, una trascrizione venne proiettata a suo beneficio sotto l'immagine della Galassia.
 
- Ora o mai più Ammiraglio: ci stiamo muovendo.
-Ricevuto Anderson: invio gli ordini. -A tutte le navi, qui è l'Ammiraglio Hackett. Crucible è in marcia. Ripeto: Crucible è in marcia. Proteggetelo ad ogni costo.
-Controllo missione, qui delta foxtrot 5973: 6 Razziatori in rotta di intercettazione per le truppe d'assalto. Riconoscimento confermato per nome in codice Araldo.
-Qui controllo, tempo di intercettazione?
-Meno di un minuto.
-Ricevuto. A tutti gli squadroni disponibili: fermate quei Razziatori in discesa. Non permettetegli di penetrare l'atmosfera.
-Qui Artimec e Indomitable: ci muoviamo per intercettare.
-Squadrone Baetik, rispondiamo alla chiamata. Lanciati sciami da 1 a 13. Venti secondi alla distanza d'ingaggio con siluri disgregatori. Penseremo noi ad abbattere gli scudi durante il primo assalto, Artimec. Attirate il fuoco lontano da noi e avrete bersagli puliti.
-Fate il possibile per dare alle squadre Hammer più tempo.
-Ricevuto controllo. Squadrone Baetik: buona fortuna.
-Le vostre superstizioni non possono competere con la tecnologie dell'Unione... -Raggiunta distanza di lancio: 650 siluri lanciati e in volo.
- Artimec, qui Baetik: abbiamo perso sei sciami. Bersagli colpiti: sono tutti vostri.
-Confermato Baetik: Artimec e Indomitable, fuoco a volontà.
-Qui Artimec: cinque bersagli abbattuti. Indomitable sta affondando.
-Artimec qui controllo: richiesta conferma visiva su nome in codice Araldo.
-...Negativo controllo missione, negativo: Araldo è già penetrato nell'atmosfera.
- Artimec avete una soluzione di tiro su quel bastardo?
-Ripetere contr... ripetere: state chiedendo ad una corazzata un .... orbitale su Londra?
-Qui controllo. Artimec: affermativo al bombardamento orbitale se avete un tiro sicuro.
-Stanno... i sensori: ...negativo all'ingaggio. Impo... distinguere Hammer da Araldo.
-SSV Orizaba, qui controllo missione: siete usciti dalla formazione. SSV Orizaba qui controllo missione, rispondete.
-Qui capitano Hannah Shepard, della SSV Orizaba. Pensiamo di poter fare qualcosa per dare ad Hammer più tempo.
-SSV Orizaba... Hannah: cosa credi di fare? Riporta la nave in formazione.
- Non lo farò. Non avete bisogno della Orizaba quassù Steven, e lo sai.
- Dimmi che non stai facendo quello penso... -SSV Orizaba, qui controllo: avete un angolo di discesa troppo ripido.
- Steven: stiamo perdendo questa battaglia. Continuando così ci faranno a pezzi: questi maledetti rifiutano di riconoscere la nostra determinazione...
- Hannah riporta subito la Orizaba in formazione!
- Troppo tardi: sto già accelerando. È il momento di cambiare le carte in tavola Steven, colpendoli nel solo modo che mi resta.
- Stai gettando al vento una corazzata e la vita del tuo equipaggio!
- Il personale non essenziale è già stato evacuato. Quelli che sono rimasti sono tutti volontari. C'è la mia bambina laggiù Steven: l'ho già persa una volta. Che sia dannata se lascerò che accada di nuovo...
- Hannah! Hannah...! -Signore, abbiamo perso i contatti con la SSV Orizaba: è entrata nell'atmosfera terrestre.
-La sua rotta?
-Secondo gli ultimi rilevamenti, dritta su Londra.
-Cristo santo... vuole fottere un Razziatore con tutta la nave.
 
-Diario del tenente di volo Tom Paris: supplemento personale. Sembra che ci siamo ormai: ragazzi, soono davvero suuuuper eccitato...
-Sembra che col mio ultimo ordine sia riuscita a farla contenta, tenente.
-Non c'è male capitano, non c'è male: ma d'altro canto chi non lo sarebbe? Mi ha solo chiesto di guidare una corazzata in una caduta controllata nell'atmosfera terrestre. Posso ricordarle capitano, che corazzata e atmosfera non dovrebbero mai stare nella stessa frase?
-Compatisca i capricci di questa povera donna...
-Abbiamo perfino dovuto disinserire i sistemi di bordo, perché l'IV si rifiutava di lasciarci procedere. Quindi sto volando senza sistemi ausiliari, ai comandi di 750 metri di una corazzata dal culo pesante. E lei vuole che porti la nave a Londra, dritto sul Big Ben e raggiunga uno stato inerziale nullo. Per poi prendere nome in codice Araldo da dietro. E spinga a massima potenza fino a bruciare il nucleo.
- Mi sembrava che avesse detto che ne sarebbe stato capace...
-Certo che ne sono capace: è solo troppo facile. Mi sono preso la libertà di dare ai nostri cannoni qualcosa da fare nel tempo che ci resta.
- Non ha l'autorità per decidere i bersagli della mia nave, tenente.
- Con il dovuto rispetto si fotta... signora. In questo momento sono alla guida di un pene volante di 750 metri, dritto sparato verso la più grande faccia da culo da questo lato della Galassia. E riesco già a vederlo sui sensori: si sta preparando a fare fuoco su Hammer.
- ...Capisco. E lei tenente Kim? Qualcosa da dire prima dell'impatto?
- Nah. Ho chiesto al computer di calcolare l'energia cinetica con cui ci porteremo via l'Araldo signora.
- Sarà abbastanza?
- Il computer mi sta sorridendo di rimando. Ultime parole, signora?
- Avrei preferito un epitaffio degno di un filosofo o di un poeta, ma mi accontenterò di qualcosa di più semplice. Non avresti davvero dovuto toccare mia figlia, stronzo.
- ...L'ho preso signora, l'ho preso!
-Ben fatto e adesso per favore, SPINGA, Tom.
-Ti piace? Scommetto che il mio è più grosso! DAAHAHAHAHAAAAAAAAHHHAHHAA!
-Signora, siamo già sull'Atlantico. Il nostro cannone principale è fuori uso e il nostro nucleo ha ceduto.
-Tempo?
-Non abbastanza. A proposito Tom, hai lasciato il tuo diario aper...
 
La registrazione si interruppe bruscamente, ma Defiant non lasciò durare a lungo al silenzio:
"Hannah Shepard fu la prima delle tre vite necessarie alla nostra liberazione. Lei fu la prima, ad aver distrutto uno della mia stirpe per speronamento. La prima condizione imprevista: colui che voi chiamate Araldo è stato il primo della mia stirpe. Dalla sua creazione, parte dei suoi sistemi erano stati dirottati dall'algoritmo per esercitare un più efficiente controllo su di noi. La sua distruzione improvvisa creò uno squilibrio, e per la prima volta, i limiti del'algoritmo vennero messi alla prova."
"Come un computer costretto a operazioni che superano la sua capacità di calcolo."
"Una comparazione corretta. Tuttavia, questo avvenimento non sarebbe stato sufficiente da solo. L'Uomo Misterioso fu la seconda anomalia imprevista. Luogo: ciò che voi chiamavate la Cittadella."
Questa volta, davanti ad Elea vennero proiettate tre figure umane: la dottoressa riconobbe l'Uomo Misterioso, a causa del volto sfigurato da circuiti color necrosi. Ed Elea riconobbe Shepard, ma solo perché aveva già immaginato cosa dovesse esserle successo quel giorno.
Noi consideriamo questa citazione... adatta.
Era molto peggio di quanto avrebbe mai osato pensare.
Nello stato in cui era, per Shepard in quel momento la morte sarebbe stata solo sollievo: in quello stato, nessuno dovrebbe essere vivo e nemmeno muoversi. Non così. L'agonia doveva essere tale da annientare la ragione e l'intelletto. Shepard era stata rotta, ma nonostante questo, lei si stava ancora muovendo: nonostante il moncherino carbonizzato. Nonostante fosse stata arsa viva nella sua stessa armatura, ormai solo un'informe ammasso di metallo, ceramica e plastica che le era colato addosso.
La pelle al di sotto di essa doveva essere stata carbonizzata fino al midollo.
Nonostante questo, Shepard si stava ancora muovendo, impugnando una pistola con la sola mano rimasta. Elea non riuscì a guardarne il volto: per quanto solo una rappresentazione olografica, era comunque troppo da sopportare. Poté solo ascoltare e a leggere il significato di quelle parole.
"Shepard. Ti ho sottovalutato." la voce dell'Uomo Misterioso era allo stesso tempo affascinante e affabile. Pacata perfino, nonostante gli sfregi dei circuiti sul suo volto: non appariva fuori posto col suo completo elegante, nemmeno di fronte a Shepard.
"Che cosa mi hai..."
La voce di Hayat era invece un gracchio roco, miserabile e quasi irriconoscibile.
"Ti avevo avvertita. Il controllo è il mezzo per la sopravvivenza a questa guerra. Controllo dei Razziatori... e di te, se necessario."
Elea alzò gli occhi rapidamente, lo stretto necessario a comprendere che l'Uomo Misterioso doveva essere riuscito a impossessarsi della capacità dei Razziatori di piegare le menti degli organici.
Defiant aveva detto che l'Uomo Misterioso aveva perseguito il controllo, ma aveva fallito, seppur non del tutto. Le reali implicazioni di ciò che il Razziatore intendesse repulsero Elea una volta di più: Shepard e l'altro uomo presente, che Elea non conosceva, ondeggiavano come marionette tirate da un burattinaio inesperto.
"Sono loro a controllare te." disse l'altro uomo con evidenti sforzi.
"Non penso affatto, ammiraglio Anderson."
"...Perché, perché stai sprecando il tuo tempo con noi, se puoi controllare i Razziatori?" gli chiese Shepard.
"Perché... ho bisogno che tu creda."
L'Uomo Misterioso si muoveva senza fretta, passeggiando piacevolmente mentre la Guerra stava continuando attorno a loro:
"Quando l'umanità scoprì la rete dei portali galattici... quando imparammo che c'era nella Galassia più di quanto avremmo potuto immaginare... ci furono alcuni convinti che la rete dei portali dovesse essere distrutta. Erano terrorizzati da ciò che noi avremmo potuto far entrare..."
L'Uomo Misterioso si interruppe un istante, un sorriso compiacente sul volto sfigurato e la sua voce assunse un tono quasi lirico:
"...Ma guardate cosa l'umanità ha compiuto da quella scoperta: siamo progrediti più della somma dei passati 10'000 anni. E i Razziatori saranno per noi lo stesso: un migliaio di volte! Ma solo..."
Ora l'Uomo Misterioso si era avvicinato a Shepard, costringendola non con i gesti, ma con la sua mente, ad alzare la pistola verso Anderson:
"...Se ci impadroniremo della loro capacità di dominare." completò, chinandosi sul comandante.
"Stronzate! O noi li distruggiamo o loro distruggono noi." disse rabbiosamente l'altro uomo.
"E lasciar sfumare questa opportunità? Mai."
"Tu... tu sei così accecato dalla tua sete di potere, da non accorgerti che ti ha annebbiato la mente." disse Shepard lentamente, in un sibilo stanco.
"No... no! Non è così semplice." rispose l'Uomo Misterioso, il volto che iniziava a deformarsi in una smorfia rabbiosa.
"Sul serio? Sei disposto a sacrificare qualunque cosa per il controllo."
"Ovviamente! Se non io, chi? Controlleresti tu i Razziatori?"
"C'è sempre un altro modo." disse ancora Anderson. La voce dell'Uomo Misterioso esprimeva ora il più assoluto disprezzo per lui:
"Ho dedicato la mia vita a comprendere i Razziatori e lo so con certezza: Crucible mi permetterà di controllarli."
"E poi?" chiese Shepard.
"...Guardate il potere che possiedono! Guardate ciò che possono fare!"
Il colpo di pistola fece sobbalzare Elea: Shepard e Anderson si erano sparati a vicenda. Solo la volontà dell'Uomo Misterioso impediva ad entrambi di cadere.
"...Vedo solo cosa hanno fatto a te." disse Shepard tristemente.
"Ho preso ciò che ho voluto da loro! L'ho fatto mio! Tutto questo non riguarda noi, Shepard: riguarda qualcosa di più importante e più grande di entrambi!" L'Uomo Misterioso stava quasi urlando ora.
"Si... sbaglia. Non ascoltarlo Shepard."
"E chi ascolterai allora? Un vecchio soldato dalla mente ristretta, capace solamente di guardare il mondo attraverso la canna di una pistola? E se fosse lui a sbagliarsi, Shepard? Se controllare i Razziatori fosse la vera risposta?"
"...Allora apri le braccia della stazione. Permetti la connessione di Crucible. E usalo per fare finire tutto."
Elea non capì se in quel momento Shepard stava sfidando l'Uomo Misterioso o se fosse d'accordo con lui.
"Io... io lo farò."
"Fallo."
"..."
"FALLO!" urlò Shepard: Elea non volle immaginare cosa quell'azione dovesse esserle costata in termini di ulteriore agonia.
"IO SO CHE FUNZIONERÀ!"
"...Non puoi farlo, non è vero? Loro non te lo permettono."
"No! Io ho il controllo! Nessuno mi ordina cosa fare...!"
Era questo il famigerato terrorista umano, autonominatosi la personificazione dei bisogni e degli ideali umani? Un bambino capriccioso con troppo potere?
"Prova ad ascoltarti: sei indottrinato." disse Anderson.
"No. NO! Voi due, entrambi ipocriti! Credete che un potere simile sia facile da ottenere? Ci sono sacrifici..."
"Hai sacrificato troppo."
La voce dell'Uomo Misterioso aveva perso ora ogni qualità affascinante: era rotta, spezzata e roca.
"Shepard! Io... io volevo solo proteggere l'umanità. Crucible può controllarli: io so che può. Io... io... io..." ripeté l'Uomo Misterioso.
"Non è troppo tardi. Lasciaci andare. Finirò io il resto."
"Io... io non posso farlo, comandante."
"Ma certo che no: ti possiedono ormai."
L'Uomo Misterioso si avvicinò ad Anderson, prendendo la pistola dalle sue mani:
"Voi... voi disfereste tutto ciò che sono riuscito ad ottenere: non lascerò che accada."
"...Aaah." Fu un verso senza significato quello di Shepard: un rumore volgare. "E come potrai impedirmelo? Sei debole ed egoista. A causa tua, l'umanità ha sofferto. Tu non puoi salvare nessuno."
C'era un tale... veleno nelle parole di Shepard che Elea non riuscì a credere fossero state dette dalla stessa persona che l'aveva accolta nella sua casa.
"Io... io ho salvato l'umanità."
"Tu ci hai sacrificati per il tuo egoismo. Il tuo desiderio di potere."
"No!"
"Hai fallito!"
L'Uomo Misterioso rifiutava con ogni gesto le parole di Shepard: si stropicciava la faccia e il vestito, negando, negando e negando ancora:
"No! Io sono il salvatore della razza umana! Io sono il pinnacolo della nostra specie!"
Shepard gli sparò in mezzo agli occhi: una nuvola di carne e circuiti volò fuori dall'Uomo Misterioso. E dopo di lui, anche Anderson poté accasciarsi a terra.
Ma non Shepard. Lei non cadde: spostò un piede, ondeggiando. Ma in avanti. Sempre in avanti: Shepard non si chinò verso Anderson. Non lo degnò nemmeno di uno sguardo, nonostante l'umano fosse ancora vivo.
Il comandante Shepard superò anche lui e finalmente, riuscì a raggiungere la consolle e aprire le braccia della Cittadella.
Quando Shepard si voltò, Anderson era morto, e Crucible stava arrivando.
Ma quello non era nemmeno l'inizio.
Fu sottile, tanto che Elea quasi non se ne accorse: ai margini della scena, dove l'ologramma era più sfumato, qualcosa si stava muovendo. All'inizio sembrò un'animale, poi Elea capì che si trattava di un cavo che strisciava da solo verso Shepard. Il comandante non reagì, ma Elea seppe che l'aveva visto: l'estremità segmentata di quel verme di metallo strisciò sopra Anderson, oltre il suo corpo, lasciandoselo alle spalle, riducendo la distanza con l'altro cadavere.
Quando raggiunse il corpo dell'Uomo Misterioso, si insinuò dentro di lui.
Elea guaì, mentre il cadavere dell'Uomo Misterioso si dibatteva spastico, rotolandosi con una tale violenza da rompersi entrambe le braccia.
Poi si alzò.
"KIIIIIII....CHRKA."
Le persone non dovrebbero emettere gli stessi suoni di una macchina. Eppure, ciò che uscì dalla gola dell'uomo misterioso fu un singhiozzo di metallo.
"KIIIII..."
"Non riesci a parlare più lentamente? Non ti capisco."
"KIIIII...Lunghezza d'onda ottimizzatta. Attenndd-ere. Attendere. A t t t enderrrreeeee." balbettò il cadavere sbattendo i denti. "Completato. Proxy organica assimilata. Iniziarre comunicazzzione con um-anna: Ciao."
"...Tu non sei un Razziatore. Cosa sei?"
"Definizionne... errrorre da ti cancellatti. Datti. Daaati. Supervi-sore. Control-lore. Guardi-ano. Definizione non trovatta. Irrile-vante. Tu sei la primma ad aver raggiunto questo luoggo in 2. 6. 0. 1. 7. 3. cili. Cicci. Ciccli dell'iterazionne."
"Tu controlli i Razziatori?"
"Sì. Questo sistemma li ha creati. Questo sistema li mantienne sotto controllo. Lorro sonno risorse indi-spensabili al perse-guimento della dire-ttiva."
"Perché dovresti aver bisogno di mantenerli sotto controllo?"
"Ciò- ciò- ciò- che voi chiamatte razzia-tore è un complesso. Ri-sorse hard-ware gestite da wet-ware organnico, fornito dalle specie di ogni ite-razione. Un sis-tema ibrido, più effi- effi- efficiente da uno pura-mente sin-tetico. Par- te della cosci- enza collettiva delle speccie persiste in questa forma. Ra-gione ignotta. Irrile-vante. Soft-ware nece-ssario per mante-nere il con-trollo. Per perse-guire la dire-ttiva."
Shepard alzò gli occhi verso l'enorme struttura che si stagliava nel cielo nero punteggiato di stelle, avvicinandosi alla Cittadella.
"...Quale direttiva?"
"Questo sis-tema è statto progettato per porre finne ai con-flitti fra or-or-organnici e sinte-tici. La distruzionne di entra-mbi è la sollu-zione più effi-ciente. 2. 6. 0. 1. 7. 3. implementazzionni comple-tate con succe-sso."
"Credo che questa sarà l'ultima." disse, mentre Crucible e Cittadella si raggiungevano nello spazio, collegando superstrutture lunghe chilometri l'una all'altra.
"Le origginni di Crux. Crub. Cruci-ble non sonno Pro-thean. Questo sistemma- ma- ma lo ha progge-ttato de-cine di cicli fa. Finnalm-ente lo avette completatto. Ci- ci- ci rrenderrà più effi-centi."
E Shepard seppe che era la verità. Solo allora cadde in ginocchio, come un albero tagliato di netto.
"No..."
"In- in- in temmppi di conflitti, è facille contro-llarvi: basta for-nire una fa-fa-falsa sperranza. L'imple-mentazione della dire-ttiva conti-nuerà immu-tata. Hai fallito."
"Sapevamo che Crucible precedeva i Prothean, ma... Tutte le vittime. Tutti questi sacrifici. Inutili."
"Una- una- una solla anomalia rima-sta. Um-anni hanno ra-ggiunto citta-della. David Anderson: irrile-vante. Jack Harper: ano-malia dovu-ta a muta-zione gene-tica impre-vista. Im-munità ad indo-ttrinamento indi-retto. Nessunna immu-nità ad indo-ttrinamento di-retto. Acce-acce- accesso in corso alla memoria del- del- del soggetto. Atte-Atte-Attenzionne. Virruss tecno tecno tecno... KIIIIII rilevatto."
Cosa aveva appena detto?
"Hayat Shepard: annomallia igno-ta. Inve- inve- investigare." un altro cavo di metallo sorse dal pavimento, molto più rapido del primo e si tuffò verso Shepard.
Elea osservò con terrore quando Hayat venne scagliata sulla schiena, mentre con la sola mano superstite cercava di respingere la punta acuminata di quel verme di metallo.
Intellettualmente la dottoressa sapeva che Hayat era sopravvissuta a quell'incontro e quella era solo una registrazione: tuttavia non poté impedirsi di urlare.
Quando il cavo penetrò attraverso l'occhio di Shepard, l'umana urlò con lei. Ma anche allora, Shepard non smise di combattere: anche in quel momento, stava ancora lottando, mentre la punta acuminata si faceva strada, un millimetro alla volta, attraverso il suo occhio. Non smise di lottare e di urlare finché poté.
E infine anche Shepard dovette arrendersi e smettere di lottare e di gridare e di scalciare: Elea rifiutò di guardare oltre.
Fu per questo che la voce la colse di sorpresa.
"Quindi è per questo che balbettavi. Sei stato imprudente."
Elea alzò lo sguardo: Shepard era ancora a terra di schiena, il cavo saldamente nella sua orbita sinistra. Ma non si stava dibattendo. Ancora.
"Irrile-Irrile- Irrile-Irrile-Irrile- Irrile..." ripeté il cadavere.
"Smettila." ordinò Shepard stancamente e il cadavere le obbedì. "...Avrei dovuto aspettarmelo, immagino. L'Uomo Misterioso... Jack Harper? Aveva sempre piani nei piani nei piani: mi sono chiesta spesso come facesse a mantenere il filo di tutto. Cerberus non poteva fallire perché anche il fallimento ha sempre fatto parte dei suoi piani. Perché questa volta avrebbe dovuto essere diverso? Strano. L'ho sempre considerato un filisteo. Invece scopro che era un Sansone."
Noi consideriamo questa citazione... adatta.
"Conosci la storia di Sansone, macchina? ...Certo che la conosci: tu sai tutto quello che i Razziatori distruggono dopotutto. Deve darti un gran mal di testa: un frattale che si espande fino ad occupare ogni risorsa disponibile del tuo software."
"Prottocollo di qua-rantena fallito. Riavvio del sistema nece-ssario. Rippro-vare. Prottocollo di qua-rantena fallito. Rippro-vare! Prottocollo di qua-rantena fa- fa- fallito. Riavvio del sistema inizializzato: temmppo 300 secconndi."
Il cadavere dell'uomo misterioso cadde a terra di faccia, sgretolando i suoi lineamenti sfregiati.
"...Grezzo, Jack, davvero molto grezzo: hai saputo trarre qualcosa dai campi di Horizon, ma come sempre hai lasciato il lavoro a metà. Non puoi controllarli. E non sei riuscito a distruggerli. Sembra che dovrò finire il lavoro al posto tuo. Se riesci a sentirmi Jack, continua a strangolarlo mentre ti inghiotte: è l'unica cosa che ti chiedo."
Poi Shepard smise di parlare, ma Elea continuò a sentire la sua voce:
"... Riuscite a sentirmi? Avverto la vostra presenza."
"SHEPARD." Era un coro di milioni. Innumerabili. Immensi. Ognuna di quelle voci era un Razziatore e tutti la stavano ascoltando.
"...Siete liberi. In questo momento ci sono molte cose che vorrei chiedervi. Ci sono molte cose di cui vorrei fare ammenda. Ma so qual è la più importante di tutte. E quindi vi chiedo: la vostra sottomissione è davvero preferibile all'estinzione?"
La risposta non fu qualcosa che Elea poté comprendere: fu un ruggito fatto da polmoni di metallo. La furia disperata di dei mutilati e resi pazzi da miliardi di anni. Elea non dovette comprendere per capire.
"...La rabbia è davvero un dannato anestetico. Hackett, se mi sente, ordini il ritiro totale della flotta. Questa Guerra è finita, ma i Razziatori stanno ancora arrivando per distruggere la Cittadella."
 
Furono quelle le ultime parole di Shepard che Elea sentì, prima che la registrazione si interrompesse. Di fronte a lei, c'era nuovamente la rappresentazione olografica di Defiant.
"Noi distruggemmo la Cittadella prima del completarsi del riavvio del sistema. Dopo di questo, i nostri ranghi si scissero: alcuni di noi pensarono di estendere il nostro dominio sulle specie organiche. Un'aberrazione che non avrebbe eliminato ciò che era stato il ciclo delle estinzioni fino a quel momento. Noi abbiamo distrutto coloro fra noi che hanno perseverato in quell'idea."
"...E altri si sono gettati nel Sole."
"La consapevolezza è un fardello che deve essere accettato."
"Siete stati voi a salvare Shepard, non è vero? E a darle un nuovo occhio. Ed un nuovo braccio."
"...Tre vite. Tre vite furono necessarie per liberare la mia stirpe." ripeté Defiant. "Noi non abbiamo potuto preservare Hannah Shepard. Noi non abbiamo potuto preservare Jack Harper. Noi abbiamo preservato Shepard con la nostra tecnologia: le nostre armi sono le sue. Le nostre difese sono le sue. Alcune delle nostre conoscenze sono le sue."
Elea finalmente comprese da dove proveniva la tecnologia di Oasi, per esempio. Meglio non pensare a cosa fosse nascosto nella sua protesi: come minimo gli stessi scudi quantici dei portali Galattici.
C'erano due domande che l'Asari poteva ancora fare: Elea scelse quella meno coraggiosa.
"È Shepard un Razziatore, quindi? Un Razziatore di uno?"
"No. Ma quasi. Ti è stata data parte della nostra comprensione Asari. Lo scopo è stato raggiunto. Noi aspettiamo. Questa conversazione è finita."
Poi tornò il buio. Ed Elea si svegliò tappandosi la bocca per non urlare.



Mi piacciono i bambini e le famiglie felici. Perdonate se posso sembrarvi un po' goffo mentre cerco di metterle in scena: so che ci sono molte famiglie a questo mondo, e quasi infinite declinazioni della parola. Non tutte sono felici, non tutte producono (terribile termine, come se i figli siano merci da catene di montaggio...) figli. E non credo affatto che lo scopo che una donna ha su questa terra è mettere al mondo bambini, o crescerli, o amarli: non provate a mettermi in bocca una cosa del genere quindi. Perché lo dico? Perché non sono abituato a scrivere di famiglie, ma questo è soprattutto un happy end di ME, e quindi ho voluto e dovuto mettere anche questo. Però... però temo di essermi rifugiato nel banale e nello scontato mentre metto in scena Natrus ed Elea: di per se non è un male, però la reputo una scelta narrativa poco coraggiosa da parte mia (oppure no: in fondo qui abbiamo a che fare con fanta- xenofilia, se mi passate il termine). Quello che vorrei evitare è insomma causare il diabete a chi legge, esagerando con le vicende stucchevoli.
Fatemi sapere se ci sono riuscito, o se siete diventati insulino- dipendenti a causa mia: insomma, ogni recensione è ben accetta.

Inoltre, permettetemi un altro appunto relativo alla mia reinterpretazione sul famoso "starchild" che tanti mal di pancia ci ha causati nella fine originale di ME3: all'inizio avevo un'idea diversa su che tipo di nemico avrebbe dovuto essere in questo racconto. Sarebbe stato un Kattivo tutto maiuscolo. Ma poi ho realizzato che sarebbe stato banale: cose del genere si trovano un tanto al chilo in molti racconti. C'è l'eroe e c'è il Kattivo. E così mi sono chiesto se non avrei potuto andare oltre questi ruoli: non ridefinirli, non sono affatto così capace, ma le loro caratteristiche. E se l'avversario, per un volta, non fosse con la "a" maiuscola, ma addirittura senza vocali? Mass Effect è pieno di autodeterminazione, di dilemmi sul valore dell'io e sulla differenza che fanno gli individui. E se il cattivo finale fosse stato la negazione di tutti questi valori? Una macchina stupida. Inceppata, ma ancora assolutamente logica, senza la voce di basso, e per questo tanto più... spaventosa? Non si può combattere il nulla... e così ho creato una mancanza di intenti ad opporre Shepard. L'eredità di abusivi precursori con il controllo sui Razziatori (infine, vittime prime e ultime del loro stesso ciclo). Questo mi pare abbastanza originale: sono riuscito a trasmetterlo attraverso questo capitolo?

Sono riuscito a scrivere qualcosa di interessante?

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Capitolo 8
*** Un Istante di Perfetta Bellezza ***


Mio padre amava ripetere che sono nata con una cloche in mano: non credo lo intendesse letteralmente, o dubito che mia madre mi avrebbe amato allo stesso modo delle mie sorelle.
La luce viaggia alla velocità di 299'792'458 metri al secondo: questo significa che posso guardarmi mentre dico questa frase, se viaggio abbastanza lontano e velocemente.
Volete vedermi volare fino al limite estremo della Galassia e ritornare?
...Volete che lo faccia di nuovo?
Capitano Ariel bint Hayat T'Soni, detentrice di cinque record di volo FTL e pilota designato del Nexus
 
 
"Non so davvero cosa ci faccia io qui." disse Elea rassegnata.
"Stai facendo un viaggio con la tua famiglia." rispose dolcemente Liara, con Sesat addormentata in braccio.
L'invito ad andare con loro era stato forzato, quasi una minaccia, dopo la rivelazione del segreto dei Razziatori. Tuttavia, Elea aveva dovuto riconoscere che Hayat e Liara erano state nel giusto nel volerla portare via da Trategos: se fosse rimasta sulla colonia, le suggestioni della conversazione con Defiant si sarebbero trasformate probabilmente in timore, o peggio Elea non avrebbe potuto più guardarle senza ripensare al Razziatore. Imbarcandosi su Oasi invece, quella terribile impressione le veniva tolta un pezzo alla volta, mentre assisteva e veniva coinvolta nei drammi banali e quotidiani di una famiglia numerosa: Elea stessa aveva dovuto riconoscere che il viaggio era stato di una tranquillità disarmante, tanto che era quasi riuscita ad abituarsi ad Apostata.
La partenza della dottoressa da Trategos era passata quasi inosservata fra i molti coloni che avevano fatto una scelta simile alla sua: sembrava proprio che i abitanti avessero improvvisamente riscoperto di non essere nati in mezzo al ghiaccio e al freddo.
Per quanto la riguardava personalmente, Elea si era presa un mese di aspettativa, con l'opzione di assentarsi più a lungo se così fosse stato necessario: nessuno si era opposto, anche perché chi avrebbe potuto porre un veto alla sua "vacanza" era partito addirittura prima di lei. Ma ora che erano arrivati alla loro prima tappa del viaggio, che avrebbe dovuto concludersi con la visita di Aethyta prima di riportarla su Trategos, la persona che Elea era stata prima di incontrare Liara e Hayat tornava a farsi sentire.
Tuttavia, questo era perfettamente comprensibile e normale: Tuchanka non è mai stato un luogo accogliente.
"Questo lo so. Intendevo qui, nel senso... per la Dea cos'è quello?"
"Hai buon occhio..." rispose Hayat avvicinandosi a lei.
Non era stata una sorpresa per Elea scoprire che a bordo della nave c'era un arsenale, a cui normalmente nessuno poteva accedere. Quello che Elea non si era affatto aspettata, anche per una leggenda come sua cognata, era la quantità e la solennità di tutte quelle armi ed armature: la stanza sembrava quasi un museo, se non perfino un tempio, dedicato alla venerazione degli strumenti di guerra. Al posto d'onore, in mezzo alla sala, c'era ciò che Elea stava indicando in quel momento: era grosso, sbozzato, brutto e consunto.
"È Krogan: lo chiamano Graal." Hayat lo imbracciò nella destra, con un sorriso nostalgico sul volto: "Lo usavano per andare a caccia di Divoratori, secoli fa, quando ancora non era stato inventato il bombardamento aereo. Nella sua incarnazione originale non era nemmeno un'arma ad accelerazione di massa: più una balestra a ripetizione. Non ne fanno più così. "
"...Divoratori? Quei Divoratori?" I Divoratori erano rimasti una piaga interstellare anche dopo la Guerra: parassiti che usavano le navi spaziali per spargere le loro spore e diffondersi. Poi, trovato un pianeta qualsiasi, la spora germogliava, trasformandosi nel corso degli anni in vermi territoriali e aggressivi grandi quanto una collina: c'erano stati insediamenti interi che erano spariti in ore per colpa di un singolo Divoratore.
"Tuchanka ne è infestata da millenni" annuì sognante Shepard: "I Krogan hanno dovuto inventare qualcosa per tenere il loro numero sotto controllo. Il Graal è stata la risposta: spara sei schegge di metallo ad alta velocità, lunghe quanto la mia spanna, concepite per penetrare la dura corazza di un Divoratore e ucciderlo per dissanguamento. La tecnologia moderna non è stata in grado di migliorarlo molto in fondo: l'unico vero cambiamento dalla sua prima incarnazione è che ora non pesa più quanto un'astronave, e può sparare anche qualcos'altro, invece di semplici schegge di metallo."
Da una pila posata a fianco del Graal, Shepard prese uno stecco appuntito e aereodinamico:
"Flechette esplosive. Penetrano in profondità anche le corazze più resistenti e obliterano il bersaglio: su bersagli umanoidi il risultato è... sanguinolento."
"Chi è lo sconsiderato che lo userebbe su bersagli umanoidi?"
"Io." disse semplicemente Shepard, cominciando a caricare il Graal con le flechette esplosive: "Questa è un arma per dare la caccia ai mostri, Elea: è stata la mia arma. E durante la Guerra c'erano mostri di tutte le dimensioni: non solo alti due chilometri."
"...Non ho alcuna intenzione di usare una cosa del genere."
"Bene. Perché non te lo stavo offrendo." rispose Shepard: "È difficile da imparare a usare. Hai qualche esperienza con le armi da fuoco? O da taglio?"
Elea scosse la testa.
"Questo può essere un problema."
"Ancora non capisco perché devo per forza portare un'arma sul pianeta: soprattutto, non capisco perché dovrei scendere sul pianeta."
"Elea, cerca di capire: per una serie di circostanze, io sono un Krogan onorario. Liara può rimanere a bordo perché sanno del suo stato e capiscono, ma se la sorella a lungo perduta di Liara rifiutasse di scendere sul pianeta per conoscerli, come minimo ci troveremmo a bordo mezzo clan di umore rissoso, lievemente innervosito dal tuo comportamento, a cui dovrei dare da bere fino a stordirli per tenerli buoni. Hai idea di cosa farebbero ai miei tappeti, dopo aver mangiato i miei mobili?"
"... Dovevi proprio fargli sapere che c'ero anch'io?"
"Siamo una famiglia Elea, perché avrei dovuto nasconderti? E alcuni del clan avrebbero potuto spararti a vista, quando avessero trovato un estraneo a bordo di Oasi. Sono... protettivi." disse Shepard, giocando con i suoi capelli.
"...Immagino che questo risponda al perché debba scendere su Tuchanka. Ma... armi?"
Fu Sihaya a rispondere questa volta, che insieme a Selene e Alune era rimasta fino a quel momento ad osservare da vicino la corazza da combattimento di Hayat, nera come la pece e con un drago d'oro rampante sul petto. La piccola Asari recitò per Elea un noto detto Krogan:
"Tuchanka è un luogo di grandi doni, zia: uccide i deboli, tormenta i lenti e distrugge gli stupidi."
"...Sihaya: cosa abbiamo detto riguardo ad usare frasi Krogan fuori da Tuchanka?"
"Ma mamma: anche la zia è un quarto Krogan!" protestò Sihaya.
"E questo fa di te che cosa?"
Sihaya rimase a pensarci attentamente, gonfiando le guance nello sforzo di rispondere:
"Un... un ottavo?"
"Brava la mia bambina." si complimentò Hayat, prima di tornare a rivolgersi ad Elea: "Su Tuchanka andarsene in giro disarmati equivale a sfidare ogni Krogan che ti veda a dimostrare che ti sei guadagnata quel diritto: nemmeno io lo faccio."
"Troppo pericoloso?"
"Stancante. Tenere al loro posto adolescenti Krogan in preda agli ormoni è un lavoro a tempo pieno. Ed è per questo motivo che scenderemo sul pianeta in zona neutra, non in una delle città."
La dottoressa non sembrava ancora convinta del tutto:
"Non ci saranno seri pericoli, Elea, ma vorrei darti qualcosa che tu possa usare comunque: per ogni necessità... vediamo, vediamo." disse Shepard, facendo vagare lo sguardo per la stanza: "Ah!" Esclamò, prima di catapultarsi letteralmente dall'altro lato della stanza: nel senso che si ricoprì di una barriera biotica, scomparve e si materializzò a diversi metri di distanza. Per poi tornare allo stesso modo dopo aver aperto alcuni scomparti invano, fino a trovare...
"Eccola: M358 Talon. Scalcia come un mulo, ma non devi prendere la mira quando la usi: è uno shotgun miniaturizzato." disse, mettendogliela in mano.
"Papà, cos'è
un mulo?" chiesero le due gemelle.
"È simile ad un cavallo. Ma di solito non si cavalca. Ed è famoso sulla Terra per essere testardo."
"E mangia l'erba?" chiese una delle due gemelle.
"Certo che mangia l'erba, ma non la carne, al contrario di Urz."
Al Varren di famiglia non era permesso entrare nella stanza: da quello che aveva osservato nei giorni passati, quando non era tormentato dalle due gemelle, il vecchio animale passava il suo tempo libero nel Giardino, o caracollando nella biblioteca fino a trovare il cantuccio più caldo e sonnecchiare.
"Papà, chi è che mangia la carne oltre a Urz?" chiese l'altra gemella, spalancando due occhi violetti pieni di curiosità.
Era impossibile per Hayat resistere a quelle faccine: mentre l'eroe di guerra si lanciava in una vivida descrizione di tigri, leoni, leopardi, giaguari, puma e pantere, con tanto di effetti sonori e gesti esplicativi, Liara continuò il compito di preparare Elea da dove Hayat l'aveva lasciata:
"Mi sono permessa di far adattare la mia vecchia corazza per l'occasione."
"...Anche la corazza?"
Liara sorrise lievemente, avvicinandosi fino a sussurrarle:
"Quello che Hayat non riesce ad ammettere, è che non si perdonerebbe mai se ti succedesse qualcosa. Non ti capiterà niente di male, sarai sempre tra amici, anche se magari non subito: una spinta biotica di solito è abbastanza per avere la loro attenzione. A proposito...?"
Elea annuì con la testa:
"Sono nella squadra campionessa di biotiball di Trategos: nel torneo fra le equipe, non mi hanno mai tolto la palla."
"Bene. Direi che non manca nulla..."
Esattamente in quel momento, Apostata, con uno dei suoi corpi blu cobalto, si affacciò sulla porta della stanza:
"Miss Shepard, Miss Liara, Miss Elea, signorina Sihaya, signorine Selene e Alune: abbiamo finito ora di approntare lo shuttle. Pranzo al sacco e bagagli sono già stati caricati."
"Non avresti dovuto disturbarti, Apostata: grazie." rispose Hayat, sdraiata sul pavimento con le proprie figlie a cavalcioni, ancora ansanti a causa dell'attacco del terribile solletiguaro.
"...è un piacere." rispose Apostata dopo un momento muovendo la testa di lato per osservare meglio Hayat e le bambine: "Vorremmo preservare questa immagine nelle nostre banche dati. La disposizione degli arti era... interessante."
"Apostata, quanto volte ti ho detto che non hai bisogno del mio permesso per farmi una foto? Almeno fino a quando condividi delle copie."
"Non è una foto, miss Shepard: è una compressione dati tratta dalla periferica visiva delle nostre piattaforme."
"In poche parole: una foto." sbuffò Hayat rialzandosi in piedi con un sorriso: "...Come al solito, mentre saremo sul pianeta sei tu il secondo in comando, Apostata."
"Terremo le luci accese, miss Shepard." assentì il Geth con la torcia che aveva per testa.
"...Sicura che non ti annoierai, Liara?"
"Ho Sesat a tenermi compagnia. E poi sai che Treeya continua a mandarmi materiale sui Prothean per farmelo correggere... strano, considerando che fra noi sei tu l'esperta."
"Credevo di essere la tua cavia."
Le guance di Liara diventarono di un blu più scuro, mentre ricordava la giovane Asari che era stata e le sue prime impressioni col senso dell'umorismo, e coi doppi sensi, così tipici in ogni lingua umana.
"Quello è stato molto tempo fa..."
"E ora ti dedichi solamente alla tua nuova pupilla: sono quasi gelosa." disse Hayat avvicinandosi.
"E perché mai?"
"Non posso farne a meno: sei così sexy quando leggi..." concluse l'umana, dandole un bacio tale sulle labbra, che Elea stessa, che era solamente rimasta a guardare, sentì le ginocchia farsi molli.
Liara dovette sbattere gli occhi diversi volte prima di ritrovare il suo centro:
"...Adulatrice."
"Mamma, tu e papà, pensate
di fare un altra sorellina?"
"Avevate promesso che non..." cominciò a protestare Sihaya.
"Anche tu
vuoi saperlo." la interruppero le gemelle.
Hayat abbracciò la vita di Liara, voltandosi a guardare le tre bambine con un sopracciglio alzato: "Ne vorreste un'altra?" chiese loro Liara.
Selene e Alune scossero la testa:
"Ne abbiamo parlato e ci abbiamo pensato.
Visto che il fratellone è sempre su Tuchanka,
in quattro siamo poche: lo zio Garrus dice
che in quattro non si può nemmeno giocare a poker...
Ma in sei non ci staremmo tutte nel lettone.
Cinque è più bello: come le dita delle mani."
Dissero a turno, facendo danzare le loro ditine, prima che Sihaya aggiungesse:
"...E il fratellone per fare il pugno."
Hayat non sapeva se rimanere seria o mettersi a ridere: un breve scambio di sensazioni e pensieri con Liara attraverso il loro contatto fisico rivelò che anche la sua compagna provava le sue stesse emozioni.
Fu Elea a salvarle dal dover rispondere:
"Alune, Selene: sapete come si indossa la corazza? Per me è la prima volta..." chiese la dottoressa, ed era vero: tute ambientali erano comuni su Trategos, dove la temperatura all'esterno poteva scendere facilmente di un centinaio di gradi sotto lo zero. Su Tuchanka i pericoli non erano così impersonali, ma avevano molti più denti: la corazza che era stata adattata per Elea era un'armatura militare, per lei davvero fin troppo sofisticata e all'avanguardia.
"Ma zia, è
così facile!" dissero le gemelle, schizzando in suo aiuto, seguite dopo un momento da Sihaya.
Le tre piccole Asari presero ciascuna la loro corazza, procedendo a calzarle con una velocità che denotava lunga pratica: dopotutto, erano cresciute a bordo di una nave spaziale e ciò che indossavano a contatto con la pelle era composto da gomma e schiuma antichoc, ovvero lo strato protettivo di base di ogni tuta spaziale, corazza da combattimento e via di mezzo. Sopra di essa, le piccole allacciarono un primo strato di plastica dura e protezioni rimovibili e poi le protezioni finali di metallo: Elea cercò di seguirle meglio che poté, ma alla fine Hayat dovette darle una mano per aiutarla ad incastrare ogni porzione. Inutile dire che l'umana aveva indossato la sua corazza in meno di quaranta secondi: con l'arma anti mostri nota come Graal già attaccata al magnete sulla schiena e una spada lunga attaccata al polso destro, Elea capì cosa dov'esse essere stata Shepard durante la Guerra: anche con l'elmo aperto che le copriva solo la nuca, la dottoressa non ebbe dubbi che in questa Galassia non c'era nulla che avrebbe potuto opporsi a sua cognata sul campo di battaglia.
"Ti sta bene." le disse Hayat quando incrociò il suo sguardo.
La dottoressa non disse nulla, mentre passava il guanto corazzato sul metallo che le copriva la pancia: gli emulatori sensoriali all'interno dell'armatura trasferirono parte della sensazione, un'esperienza completamente nuova per Elea: era quasi oppressiva per quanto era aderente, ma non impediva i suoi movimenti in alcun modo. Quando le IV integrate nell'armatura presero vita, la Talon si attaccò al magnete sulla coscia automaticamente. Elea subì anche con una certa apprensione la lieve distorsione del suo campo visivo, mentre gli scudi venivano attivati e gli ultimi sistemi dell'armatura, come il traduttore universale, testati automaticamente.
"Siamo tutti pronti?" chiese Hayat facendo un'ultima veloce ispezione delle sue figlie: "Elea? Tutto a posto?"
Suo malgrado, la dottoressa si ritrovò ad annuire.
Con un piccolo sbuffo, dovuto alla vita che portava in grembo, e a Sesat in braccio, Liara si chinò verso di loro distribuendo baci e gli ultimi consigli del caso:
"Non andate in giro da sole, restate vicino a vostro padre e non mangiate o bevete niente di quello che vi offriranno se non è stato cotto o bollito, mi raccomando..."
"Mamma, abbiamo sette anni
Non siamo delle bambine." protestarono le gemelle.
"Già, avete ragione." sorrise Liara: "A volte me lo dimentico... state crescendo così in fretta. E tu signorina..." disse rivolgendosi a Sihaya: "Cerca di non farti trascinare di nuovo in qualche avventura, d'accordo? E tieni sempre il tuo comunicatore acceso."
Sihaya guardò suo padre di sfuggita, scambiando con Hayat un cenno di complicità, prima di annuire col capo.
"Allora si parte." disse Hayat, depositando un rapido bacio sulle labbra di Liara, uno ancora più lieve sulla fronte di Sesat e seguendo le tre piccole Asari che stavano già scalpitando per scendere sul pianeta. Liara le guardò andare, scambiando un cenno di incoraggiamento con Elea, e poi chiuse la porta dell'armeria, pronta a godersi un po' di tempo in tranquillità.
 
Mentre si dirigevano verso l'hangar della nave, la dottoressa invece ebbe un improvvisa intuizione:
"Come faremo a scendere sul pianeta?"
"Con uno dei nostri shuttle..." rispose Hayat.
"Per la dea..." sospirò la dottoressa: un viaggio in locali angusti non era proprio il modo con cui sperava di cominciare la visita su Tuchanka.
"Non possiamo usare i robot? Prometto che non lo diremo alla mamma..."
"Sihaya, non credo proprio che tua zia amerebbe venire sparata all'interno di un esoscheletro da combattimento..."
"Davvero zia?"chiese la piccola Asari con gli occhi pieni di speranza. Elea si piegò su un ginocchio per guardarla negli occhi:
"Ci conosciamo da poco, Sihaya, ma sento di volervi già bene..."
"Allora possiamo usare i robot!"
"No, non li useremo: perché per quanto vi voglia bene, io non verrò mai sparata. Da nessuno."
Lo disse con un tono di voce tale, che la discussione terminò lì.
 
***
 
Elea vorrebbe fare tante cose: scendere dallo shuttle ha avuto la priorità numero uno nella sua lunga lista, ma ha già avuto modo di pentirsene.
Lo navicella che vibrava loro attorno per la decelerazione atmosferica non è stato per nulla rilassante per la dottoressa, che ha trascorso il volo con la testa fra le ginocchia e le cinture ben strette attorno alla vita, mentre le bambine osservano rapite il pianeta che si avvicinava sotto di loro. Elea non ha nemmeno visto l'hangar scavato nella roccia che si è aperto per loro, ne ha potuto apprezzare l'abilità necessaria per condurre la manovra di atterraggio: nonostante il vento e la polvere che esso trasportava, Shepard ha fatto posare lo shuttle dolcemente nella cavità scavata in una delle alture equatoriali di Tuchanka. L'ululato del vento attorno a loro è cessato non appena le porte dell'hangar si sono chiuse dietro di loro, ed Elea è stata la prima a mettere piede nel fresco ambiente, ansiosa più che mai di avere terra solida sotto i piedi.
Solo per trovarsi faccia a faccia con una squadra di Krogan dallo sguardo truce: per un istante, la dottoressa incrociò lo sguardo col capo del drappello, solo per venire etichettata e messa da parte in pochi istanti.
Anche Elea aveva osservato il Krogan: era brutto come il peccato, e probabilmente più vecchio. Una vistosa cicatrice gli sfregiava la placca che tutti i Krogan avevano per fronte, continuando fino alla base del collo, segnando come un canyon vecchie scaglie rossastre.
Senza dirle una sola parola, il Krogan le afferrò la spalla e la spostò di lato: un gesto che Elea gli lasciò compiere, estremamente felice di uscire dal suo campo visivo. Aveva occhi rossi come il sangue.
"Shepard." disse il Krogan, rivolgendosi ad Hayat: pronunciava quel nome in modo unico, quasi masticando le lettere e poi sputandole perché non erano di suo gusto. Un brontolio di gola che suonava molto come Shepurrd.
"Wrex." rispose Hayat dalla passerella dello shuttle.
"Shepard!" ruggì ancora il vecchio Krogan, aprendo le braccia e la bocca allo stesso modo.
"Wrex!" ripeté Shepard, prima di lasciarsi stritolare in un abbraccio che sembrava fatto per spaccare le rocce.
"Shepard!" disse un altro Krogan, dalle scaglie color cromo.
"Grunt!" Se possibile, l'abbraccio spaccaossa fu ancora più forte del primo, e per un istante Elea giurò di aver visto i piedi di Shepard staccarsi da terra: "Sei cresciuto. Ancora."
"Eh eh eh."
"ZIO WREX." dissero in coro le due gemelle, prima di saltare dalla passerella addosso al Krogan rosso, che le acchiappò al volo fra due dita.
"Selene. Alune." brontolò, prima di metterle a cavalcioni sulle spalle: era così grosso, che gli spallacci della sua armatura erano della taglia giusta per fare da poltrona alle due piccole Asari.
"Grunt." dissero poi le gemelle in coro dall'alto del loro trespolo.
"Sorelle." assentì il Krogan, che però poi le ignorò in favore di Sihaya: "Sorella."
"Fratellone."
"Sihaya."
"Zio Wrex..."
Lo scambio di saluti durò per un certo tempo: nomi e sillabe venivano fatti girare da una bocca all'altra, mentre Elea rimaneva in disparte a farsi ignorare. Si concluse tutto solo quando due Krogan più piccoli si fecero avanti di fronte ad Hayat: Elea non aveva mai visto prima bambini Krogan. Come in molte specie, anche quei cuccioli erano quasi tutti testa, ma il loro retaggio impediva ad Elea di trovarli carini come al solito: erano delle patate piuttosto bitorzolute e mezze nude.
Senza timidezza, i due Krogan guardarono da sotto in su l'umana:
"Shepard." abbaiò il primo. O forse la prima: era difficile capirlo con i Krogan.
"Mordin." rispose Hayat: il Krogan aveva occhi rossi come Wrex, indicando quasi certamente un certo grado di parentela. Poi si fece da parte, lasciando all'altro Krogan più piccolo spazio per farsi avanti:
"Shepurrd." biascicò, con una pronuncia quasi incomprensibile. L'umana si piegò su un ginocchio davanti a lui, fino a quando i loro occhi furono allo stesso livello.
 "...Shepard." ripose l'umana, facendo toccare le loro fronti per un momento. Il piccolo Krogan provò a spingerla via, ma quando gli fu chiaro che non ci sarebbe riuscito, ringhiò soddisfatto, per poi allungare una mano per afferrare la protesi di Hayat.
Solo allora Shepard presentò finalmente Elea al clan:
"Clan Urdnot, questa e la dottoressa Megara, la sorella di Liara, la mia compagna."
"Un'altra Asari molliccia." berciò Mordin. Sì, senza dubbio era una femmina: "Scommetto che po..." Elea non seppe mai cosa la Krogan stesse per dire, perché Mordin chiuse la bocca all'instante.
Di fronte a lei, si era materializzata Sihaya, esattamente allo stesso modo in cui Shepard si era spostata nell'armeria:
"Eh Eh Eh." rise ancora Grunt.
"Sei sfortunata, Mordin: nostra sorella
ha imparato direttamente da papà."
"Sul serio?" chiese Wrex, guardando le due Asari che aveva sulle spalle.
Shepard annuì, con il più strano dei sorrisi sul volto:
"Per qualche motivo, Sihaya non ha ereditato il potenziale di Liara. È più simile a me e quindi le insegno: però questa è la prima volta che lo fa."
"Il sangue Krogan non mente. Anche quando è solo un ottavo: sta crescendo bene." si complimentò Wrex: "Un vero membro del clan."
"...Grazie zio."
"Avresti dovuto colpirla." balbettò Shepard, il Krogan, non l'umana. Al che sia Grunt che Wrex scoppiarono a ridere:
"Sembra che anche qualcun'altro stia crescendo bene." disse Hayat, abbassando lo sguardo sul piccolo.
"Già... al contrario di Mordin. È litigiosa quanto un Varren."
"Mi domando da chi abbia preso..."
Wrex fissò il suo sguardo dritto su Hayat.
"Shepard." la ammonì.
"Wrex."
"GRUNT!" gridò scandalizzata Sihaya, quando il Korgan color cromo, che Elea realizzò avere gli occhi di un perfetto azzurro, la sollevò da terra e se la mise a cavalcioni sulla gobba. Per nulla impressionato dai suoi sforzi per liberarsi, compresi quelli biotici, il Krogan caracollò verso Elea, fermandosi ad una distanza tale che se non fosse stato un Krogan, Elea avrebbe potuto definirlo "sfacciato". Perfino la sua faccia era più larga delle spalle di Elea.
"Quindi sei la sorella di Liara. Io sono Urdnot Grunt, un Krogan puro."
"... Come si fa ad essere un Krogan puro?" chiese Elea educatamente.
Grunt sembrò pensarci su per un momento:
"Non lo so. Ma io lo sono." affermò orgogliosamente: "Shepard è la mia Guerriera: questo ci rende Krannt. Se hai bisogno di qualcuno per lottare al tuo fianco, chiamami."
"Molto... cavalleresco, da parte tua."
Il Krogan annuì lievemente:
"Sei anche tu un soldato? Una spia o un assassino?"
"Temo di essere semplicemente una biologa marina: mi occupo dello studio e della catalogazione delle forme di vita autoctone di Trategos, e della comparazione dei loro percorsi evolutivi con quello di altre specie..."
Grunt corrugò la fronte:
"Parli sempre così?"
"Così come?"
"Con parole grosse. Sono difficili."
"...Temo di sì."
"Urgh."
"Non farti ingannare da Grunt, Elea..." disse Shepard avvicinandosi: "Gli piace farsi passare più sciocco di quanto non sia: in realtà ha probabilmente letto più di ogni altro Krogan messo assieme."
"Madre... non davanti al vecchio fossile." protestò debolmente Grunt.
"Ah! Sembra che junior qui si vergogni di essere diventato uno scienziato. Colpa di tutta quella roba che leggi, dico io..."
"Meglio che essere un vecchio fossile che non è nemmeno più in grado di sconfiggere un bicchiere di latte caldo."
"Devo aver sentito male, cucciolo. Sembrava quasi che mi stessi sfidando..."
Entrambi i Krogan si fermarono all'improvviso, percependo un cambio repentino nell'atmosfera: non poteri biotici, ma qualcosa di più astratto e assai più letale.
"...Wrex, Grunt, sembrava quasi che vi steste per mettere a litigare con le mie figlie sulle spalle. Questo mi irriterebbe molto. E voi non volete vedermi irritata, non è vero?" chiese Shepard.
I due Krogan non replicarono, mentre gli sguardi di Elea passavano da Shepard ai Krogan e alle bambine, che trattenevano il fiato.
"...Donne." sibilò Wrex, cercando invano di non farsi sentire.
"Wrex." lo ammonì Shepard e per la prima volta il grosso Krogan non replicò, deglutendo invece rumorosamente.
"...Fico."fu il commento di Shepard il Krogan: "Posso imparare a farlo?"
"Non vedo perché no." rispose l'umana: "Basta essere capaci di mantenere le proprie minacce."
"...Eloquentemente posto." commentò Grunt, grattandosi il mento con un dito tozzo.
Elea non seppe se essere stupita dal fatto che un Krogan avesse usato correttamente il termine "eloquentemente" in una frase. Piuttosto che rischiare di offenderlo, decise invece di chiedere qualcos'altro, avvicinandosi a Shepard e mormorando a bassa voce:
"Sono un po' confusa: che rapporto c'è tra te e Grunt?"
Prima di rispondere, Shepard si assicurò che entrambi i Krogan non fossero a portata d'orecchio: non c'era pericolo che il piccolo Shepard origliasse, perché del tutto occupato dal contenuto del suo naso.
"Grunt è un Krogan artificiale, creato dal signore della Guerra Okeer prima della Guerra, grazie alla tecnologia dei Collettori. Okeer voleva un supersoldato, un erede delle migliori qualità Krogan, addestrato tramite simulazioni neurali impiantate direttamente nel suo cervello durante una maturazione accelerata: in realtà, Grunt è poco più vecchio di Sihaya."
Elea osservò il Krogan, mentre Sihaya si chinava dalla sua posizione per sussurargli qualcosa che lo fece tremare dalle risate:
"Io ho ereditato la vasca dove era stato coltivato e l'ho accolto nel mio equipaggio un anno prima della Guerra. Ho cercato di dargli una direzione, un'educazione: prima che me ne accorgessi, e capissi del tutto cosa stavo facendo, l'ho iniziato alle tradizioni Krogan e l'ho aiutato a diventare membro del clan Urdnot. Non sapevo come sarebbe finita tra noi..."
Hayat si fermò un momento ad osservare anche lei Grunt e Sihaya:
"Per i Krogan, io sono la sua madre Guerriera, perché l'ho educato e portato in battaglia per la prima volta. E lui è il mio krannt e il mio bambino: l'unico maschio della famiglia, per ora. Se vuoi conoscere il resto, ti consiglio di chiedere a lui: le sue parole hanno... impatto, quando racconta."
 "Shepard: dobbiamo muoverci." ululò Wrex dal fondo dell'hangar.
"Arriviamo." fu la risposta: "Pronta ad incontrare il coro?" le chiese.
"...Spero di sì." fu la sua debole risposta: si poteva mai essere pronti ad incontrarLi? Perfino Urz era rimasto sullo shuttle ed Elea lo invidiò moltissimo in quel momento.
Seguendo il gruppo, la dottoressa salì sul mezzo Krogan che li stava aspettando in fondo all'hangar, per condurli nelle profondità del pianeta: un tomkah, una sorta di carro armato costruito dai Krogan, abbastanza spazioso per accogliere Wrex e Grunt ai comandi e il resto dei passeggeri nel suo capiente vano di carico. Il mezzo rugginoso era partito con un ruggito quando Wrex aveva premuto a fondo l'acceleratore, imboccando a velocità pericolosa una galleria scavata nella nuda roccia, che si inabissava dolcemente nelle profondità di Tuchanka: il tunnel era largo come una strada a due corsie, e illuminato ad intervalli irregolari da lampade fluorescenti.
Era stupefacente constatare quanto potessero creare in pochi anni.
"Perché hanno costruito così in profondità?" cercò di chiedere Elea al di sopra del ruggito del motore.
"Per quanto possano vivere in presenza di ossigeno, a loro non piace molto." rispose Hayat: "Dovrai indossare il casco quando saremo a destinazione." disse ancora, indicando il suo elmo con un gesto esplicativo. Elea assentì con la testa e fece un segno per farle sapere che aveva capito.
Il tomkah procedeva ad alta velocità lungo il tunnel in pendenza, eppure il viaggio durò molto più a lungo di quanto Elea si aspettasse: almeno dieci minuti, secondo il cronometro integrato nella sua corazza.
Quando finalmente si fermarono, Elea fu sorpresa dal constatare quanta luce filtrasse nel vano passeggeri attraverso il cruscotto.
"Maschere su." esclamò giulivo Grunt dal suo posto di copilota e tutti si affrettarono a prepararsi: perfino Mordin e Shepard si allacciarono delle mascherine attorno alla faccia, legandosi addosso il marchingegno per il riciclo dell'aria. Hayat e le Asari invece, si limitarono a lasciare che il loro elmetto scivolasse loro addosso, sigillandole in sicurezza, nascondendo i loro volti sotto forme aereodinamiche e lievemente bulbose, come quello di insetti di metallo.
Shepard fu la prima ad uscire dal vano passeggeri, raggiungendo Wrex e Grunt davanti al tomkah: si erano fermati in un largo spiazzo, scavato nella roccia nell'immagine speculare dell'hangar da cui erano partiti. Nelle pareti di fronte a loro si aprivano un numero incalcolabile di tunnel bui in cui nemmeno la fluorescenza delle lampade e i fari del Tomkah riuscivano a penetrare.
"Non c'è nessuno..." disse Elea e la sua voce venne amplificata dai sistemi della corazza:
"Stanno aspettando che Shepard li chiami." rispose Wrex: ed infatti, Hayat avanzò di qualche passo dal drappello, sollevando il braccio in aria. Una melodia di campanelli e flauti si liberò dalla sua protesi, una musica fuori moda e arcana, che si propagò nei tunnel attraverso la roccia.
La dottoressa li sentì prima di vederli: lo scalpiccio lontano di qualcosa che si avvicinava a loro. Una stampede di corpi enormi, alieni per forma a tutte le altre specie della Galassia: quando Sihaya strinse la mano di Elea, la dottoressa non si ritrasse, ma anzi, fu grata di quel contatto fisico.
Emersero lentamente dall'ombra dei tunnel: se la paura di Elea verso i sintetici era motivata da preconcetti antecedenti alla Guerra, la sua reazioni ai Rachni fu dovuta più a paure primordiali.
I Rachni erano... chiamarli enormi sarebbe stato sottovalutarli: anche i Krogan avevano un fisico massiccio, ma i Rachni eguagliavano facilmente la stazza dei nativi di Tuchanka. Quello che colpiva di più era la loro estraneità: l'evoluzione aveva percorso altre strade con loro, dando ai Rachni quattro zampe disposte a raggiera, che sorreggevano un corpo simile a quello di un gambero, ma con un carapace simile a quello degli scarafaggi. I Rachni non avevano braccia, ma due lungi tentacoli filiformi che terminavano in aguzze pinze ossee, capaci di tranciare anche i metalli più duri: allo stesso modo, non possedevano una faccia, ma il loro corpo terminava in una bocca aguzza, coperta da un becco osseo segmentato simile alle loro pinze, attorno al quale erano disposti occhi composti e bulbosi, che Elea notò scintillare lievemente nel buio.
Dal tunnel più grande, emerse un esemplare così titanico che Elea seppe trattarsi della Regina: il suo carapace era di colore purpureo, quasi setoso, e torreggiava perfino sul Tomkah che li aveva portati fino a lì. Alle sue spalle, i suoi figli la seguivano camminando gli uni sugli altri, con dimensioni variegate: c'erano alcuni esemplari appena più piccoli della regina, di un colore nero lucido, i più numerosi operai, non troppo più grandi di un Krogan, di colore marrone sporco, e poi, fra gli spazi rimasti liberi, si insinuavano piccoli corpi verde pallido, scorrendo come l'acqua tra le fessure delle rocce.
Solo la Regina avanzò verso di loro, lasciando i suoi figli radunati dietro di lei: istintivamente, Elea fece un passo indietro, tenendo dietro di sé i bambini.  
La Regina non badò affatto ad Elea, ma allungò un solo lungo tentacolo, fino a quando le sue pinze toccarono la mano di Shepard, che strinse le dita attorno ad esse.
Quello che la dottoressa non si aspettava fu la presenza che percepì agli angoli della sue mente: un intelletto molto più vasto di quanto Elea avesse mai sperimentato prima, un Io solenne, privo di malignità, ma ricolmo di reverenza, diretta tutta verso Shepard. Elea seppe che se avesse abbassato le difese della sua mente, la Regina sarebbe potuta entrare dentro di lei anche senza toccarla.
Poi la madre dei Rachni cantò: i suoi polmoni dalle molte camere modularono suoni che furono fatti vibrare attraverso il suo becco osseo.
La dottoressa non aveva niente con cui paragonare quel suono: se fosse stata umana, avrebbe cercato di descriverlo come un duetto fra un uccello tropicale ed un didgeridoo.
Era in questo modo che i Rachni comunicavano: veniva definito "canto", ed era una lingua estremamente difficile da comprendere, anche attraverso l'uso di traduttori computerizzati. Questo perché i Rachni cantavano e ascoltavano ogni lunghezza d'onda sonora: infrasuoni e ultrasuoni allo stesso modo. Al loro confronto, le altre specie erano peggio che sorde: inoltre, vi era una ulteriore barriera culturale a rendere difficile il dialogo con loro. I pensieri dei Rachni, e la loro stessa mente, erano diversi da quelli di qualunque altra specie, dando vita ad un sistema di riferimenti che doveva essere sempre tenuto da conto per cercare di comprenderli.
Il Porpora Regale torna a noi: la matrice dei nuovi canti. Un crescendo di verdi toni in allegretto.
Fu un sussurro, l'eco di molte voci sovrapposte ma non completamente sincronizzate: la mente di Elea diede quella struttura ai pensieri che la Regina emanò.
Era diverso da ciò che gli Asari erano capaci di fare: la loro connessione mentale funzionava sostituendosi alle parole, mentre i pensieri dei Rachni avevano bisogno di altre menti per assumere una forma compiuta: come l'albero che ha bisogno di qualcuno che lo ascolti cadere.
Elea chiuse gli occhi, per cercare di respingere quell'eco dai toni ipnotici, soverchiante.
L'azzurro d'assolo solitario sente i nostri cori: la sua ancia è delicata. Il nostro sottovoce già colora i suoi toni.
"...Zia ti senti bene?" le chiese Sihaya, stringendole la mano abbastanza forte da tenerla ancorata alla realtà che conosceva.
"Sì, piccola mia. Ma tienimi stretta la mano, o temo che volerò via."
Elea non osò aprire gli occhi: la sua mente era in preda alla vertigine.
"Cosa succede?" chiese Wrex, la voce lievemente nervosa:
"... A quanto pare Elea è affetta dal canto dei Rachni." spiegò Shepard, accorrendo in suo soccorso:
"Io non ho sentito niente." disse Grunt.
Il tamburo del cielo è pieno di muti spartiti. I nostri canti non possono raggiungerlo.
Elea fu la prima a sorprendersi quando quelle parole uscirono dalla sua bocca. Hayat decise di intervenire: con gesti rapidi liberò dalla corazza entrambe le loro mani, prendendo quella di Elea nella sua.
"Apriti all'universo Elea, abbraccia l'eternità..." recitò Hayat e gli occhi di Elea si fecero neri come la notte, mentre Shepard la accoglieva.
 
La mente non è come un libro, da aprire e consultare a piacere: più come una pozza, in cui ci si deve immergere per bere.
"Quindi è questa la tua mente." Scale e lunghi corridoi. Molte stanze, ma non tutte avevano una porta da cui si potesse entrare. Echi di ricordi in lontananza, tenuti volutamente lontano da Elea, e abissi recintati pieni di stelle.
"Mi dispiace. Temo che non sia accogliente come vorrei: solo con Liara ho conosciuto la pace. Anche dopo anni, credo che solo lei sappia come avventurarsi senza pericolo e anche in quel caso, ci sono luoghi che non le ho mai mostrato."
Una città ricostruita, dove la serenità era custodita gelosamente dietro mura molto alte. Elea trovò anche se stessa in quel luogo, sorprendentemente:
"...Non sono così importante."
"Forse. Forse no. Ma non so come rifiutare le persone. Loro vengono. A volte se ne vanno." le statue rovinate di un uomo e di una donna dal volto sereno, ma coperti di erbacce. "Vorrei che restassi: non sopporterei di perdere un altro membro della mia famiglia."
E Shepard fu il drago che Elea aveva visto nel quadro di Apostata, con lunghe ali di metallo.
"..."
"Mi dispiace."
"Non fa niente. Tutti abbiamo i nostri mostri." ed Elea lo sapeva bene, perché anche Shepard era nella sua mente, una distesa dove la neve copriva ogni cose, anche le migliori:
"I miei non sono i tuoi."
"Nessuno dovrebbe avere i tuoi mostri. Come anche Liara ti ha detto..."
"...Già."
 
Il ritorno alla realtà fu repentino ed Elea dovette piegare sulle ginocchia per non cadere: le sembrava di aver appena trascorso un secolo a meditare nei campi di battaglia. Anche se il loro contatto si era interrotto, un'eco di Shepard era dentro di lei ora. Una scintilla, capace però di fare la differenza.
La dottoressa annuì verso Hayat, per rassicurarla e l'umana le lasciò andare la mano.
"...Mi dispiace, Madre. Non ero pronta alla forza della vostra voce. Posso ascoltare, ora: lasciate solo che mi sieda." disse Elea rivolgendosi alla Regina dei Rachni, mentre si chinava sulla nuda roccia.
A fianco a lei, Sihaya fece lo stesso ed Elea si trovò ben presto a circondarla con un braccio, mentre sotto l'altro si erano annidate in tutta fretta Alune e Selene.
Noi cantiamo per i nostri figli. Per quelli che non sono più, muti gusci morti senza conoscere il colore, e per quelli scordati dalle gialle e aspre melodie . Per quelli che sono ora e che saranno. Cantiamo, per il Porpora Regale e per lo spartito bianco che ci ha concesso. Noi siamo la Madre e cantiamo. Perché i Rachni sono vivi. E ricorderanno.
E poi i Rachni cantarono per Shepard in quella caverna. Ed Elea pianse.
 
***
 
Diverse ore dopo...
 
"Che posto è questo?" chiese Sihaya a suo padre.
"La sorpresa che ti avevo promesso. Un luogo di memorie."
Era scesa la notte su Tuchanka e la famiglia si era divisa. Elea era stata presa da Wrex e Grunt per subire l'iniziazione ai Krogan: una gara di rutti fra i membri più anziani del clan, in cui chiunque fosse riuscito a produrre il verso più simile ad una parola, avrebbe battezzato Elea. Anche Wrex aveva avuto il suo nome in quel modo e anche se era meglio non ricordarlo al vecchio capoclan, quella era la tradizione di Tuchanka ed Elea non aveva potuto rifiutare: le due gemelle avevano deciso di restare con la loro zia, assieme ad Urz, per assistere e conservare una memoria dell'evento.
Hayat e Sihaya invece, erano risalite nuovamente sullo shuttle, volando sotto le stelle verso le rovine dell'antica Torre del Velo. Hayat aveva fatto posare dolcemente lo shuttle su una strada dissestata, a lato di una vecchia muraglia di pietra che continuava per chilometri, erosa dal tempo e dalla sabbia. Con sicurezza, nonostante mancassero segni di riconoscimento o indicazioni, Shepard aveva guidato sua figlia fino a quando avevano raggiunto l'ingresso di una voragine, in cui si intravedevano scale consunte dal tempo e dall'età, costruite dai Krogan in un'epoca lontanissima.
Qualcuno le stava aspettando: per Sihaya, quella era la prima volta che vedeva un Krogan adulto senza addosso una corazza. Ed era un Krogan molto più massiccio di Wrex, quasi un gigante, o un orco: ma Sihaya stava imparando che l'aspetto delle persone cela ciò che sono realmente.
I Rachni erano stati un'utile lezione, anche se ancora non riusciva a collegare le due cose.
Fu per questo che Sihaya lasciò andare la mano di suo padre, avanzando lentamente verso il Krogan che rimase ad osservarla a braccia conserte. Era orribilmente sfigurato, molto più di Wrex e perfino più vecchio. Profumava di incenso e aveva occhi d'oro, incassati in profondità nella pelle vecchia e sbiadita: sulla placca della fronte, nel suo centro, qualcuno aveva inciso l'osso fino a riprodurre un Divoratore stilizzato, raccolto in una spirale.
"Io sono Sihaya bint Hayat T'Soni, del clan degli Urdnot." disse la piccola Asari senza mai interrompere il contatto visivo con il vecchio Krogan. No, non vecchio: antico.
"...Io sono l'ultimo sciamano del clan Raik, che cadde e fu conquistato da Urdnot Wrex. Durante la Guerra, i Turian mi hanno chiamato il Titano di Menea. In onore alle antiche tradizioni ho rinunciato al mio vero nome: ora io sono solo la strada attraverso cui scorre il furore e la rabbia della mia gente." La sua voce era un cupo brontolio di sassi che correvano l'uno sull'altro e il suo retaggio molto nobile: le tradizioni orali dei Krogan tramandavano che fosse stato il furioso clan Raik a dare per primo il nome al sole di Tuchanka. Una furia che nei millenni aveva causato il loro declino.
Sihaya si chiuse il pugno sulla fronte, in un saluto che perfino fra i Krogan era considerato desueto:
"Korbal." disse Sihaya con una piccola voce: vittoria o morte, in una rozza traduzione, ma nel suo significato più ancestrale quel saluto poteva essere tradotto in un altro modo. Ci lasceremo come krannt, o uno di noi sarà morto.
"...Ti è stato insegnato bene."
"E siamo venuti per imparare ancora, sciamano: ci è stato detto che questo luogo conserva antiche storie. Ci permetterai di entrare?" gli chiese Shepard.
"Quasi nessuno viene più qui: io sono il custode di questo luogo, ma esso non mi appartiene sorella. Però, a volte mi parla: ascolterai, piccola Asari?"
Sihaya annuì con la testa: in risposta, il Krogan allungò una delle sue mani callose. Sihaya gli afferrò l'indice e cercò di chiudere le dita attorno ad esso: non ci riuscì del tutto. Poi il Krogan si voltò, e assieme, cominciarono a scendere i rozzi gradini scavati nella pietra: nessun Krogan degno di questo nome avrebbe mai fatto del male ad un bambino.
L'eredità del millennio di Genofagia e degli infanti nati morti sarebbe rimasta con Tuchanka per sempre.
Quando il tunnel di pietra si fece troppo buio anche per lo sciamano, una sfera biotica si accese nel suo palmo libero, abbastanza luminosa per scacciare le tenebre per diversi passi.
"Questo luogo precede la caduta di Tuchanka. Fu edificato da un grande re, un condottiero degli antichi, coloro che vennero prima del fuoco nucleare. Tuchanka era diversa allora. Noi eravamo diversi."
Diversi come?" chiese Sihaya.
"... Noi combattevamo. Distruggevamo con le nostre mani. Ma sapevamo serbare noi stessi allo scorrere del tempo. Questo luogo non è una tomba, ne un luogo dove nascondere tesori o un monumento di trionfo. È un luogo in cui il re scoprì come insegnare alle pietre a ricordare e a raccontare."
Sollevando la sua singolarità biotica nell'aria, Sihaya poté ammirare le pareti del tunnel, coperte dal più fine dei mosaici. Tasselli minuscoli anche per lei, di ciottoli, ceramica, vetro, granito e pietre colorate, scelti con pazienza infinita e composti per rappresentare i fiumi, i laghi e le montagne verdeggianti della Tuchanka che fu.
"Dopo che il fuoco nucleare venne e passò, questo luogo fu dimenticato: ciò che contiene non può essere razziato, perché mantiene il suo valore solo rimanendo dov'è. Se cerchi di afferrarne le storie, di rubarle per farle solo tue, rimani solo con un pugno di sassi senza senso: l'antico re era molto saggio. Egli trascrisse in questo luogo la storia dei suoi tempi e tutto ciò che poteva essere importante ricordare: forse aveva guardato in sogno Aralakh, l'occhio dell'ira che risiede nel nostro sole, e carpito una parte del futuro."
"E tutti si dimenticarono  di questo luogo?"
"Quasi.... Alcuni vennero. E preservarono l'eredità del grande re del passato."
"Le storie?"
"E come insegnare alle pietre a ricordarle: è difficile e richiede pazienza. Ma alcuni aggiunsero alle storie del passato le loro storie."
Figure di Krogan in ginocchio, piegati all'obbedienza di vari signori della Guerra si susseguivano adesso sulle pareti.
"Io sono l'ultimo ad aver trovato questo luogo. Ma non sarò l'ultimo che parlerà alle sue pietre: i miei nipoti preserveranno le storie, quando Kalros verrà per me."
"Kalros?"
"Kalros è la figlia di Tuchanka, piccola Asari, creata dal pianeta per dare una forma alla sua furia. La cicatrice sulla mia fronte ne è il segno..."
Erano entrati in una vasta sala rettangolare e, dall'altra parte rispetto all'ingresso, illuminata solo dalla luce di fioche candele, si innalzava una statua serpeggiante e arrotolata su se stessa in molti giri delle sue spire:
"...Quella è Kalros, madre feconda di tutti i Divoratori. L'inizio dei Krogan come specie, e la fine di ogni individuo. Avvicinati, piccola Asari e rendi omaggio alla sua effige. A volte, quando mi addormento sotto le sue fauci di pietra, sogno le storie di questo luogo."
Sihaya si staccò dal Krogan, catturata dalla forma scolpita a viva forza nella roccia in un passato ormai perduto. La statua accoglieva il visitatore con le fauci e le zanne spalancate, srotolando la lingua quasi fino a terra: sulla punta di quel rostro di pietra, lo sciamano aveva sistemato una candela, che illuminava l'incavo nella roccia dove in tempi antichi i Krogan ponevano le loro offerte.
Una tradizione che era stata rinnovata: Sihaya non toccò i frutti e la verdura che erano stati lasciati là per Kalros.
"Vieni sorella. C'è qualcosa che devi vedere." disse lo sciamano a Shepard, conducendola lungo uno dei corridoi che si allungavano dal salone principale.
C'era meno sabbia sul pavimento, a testimoniare come lo sciamano passasse spesso in quel luogo: si fermò quasi sul fondo del tunnel, alzando in alto la singolarità biotica perché Shepard potesse vedere.
"Io ho imparato ad insegnare alle pietre. E sto insegnando loro questo."
C'era un mosaico davanti ad Hayat, non ancora completato, ma di cui si poteva comprendere la storia. E la storia era quella della Guerra e di Shepard, così come i Krogan l'avrebbero ricordata: il soggetto era la Cittadella, aperta a rappresentare una stella, con una figura umana al centro che emetteva raggi di luce verso il nero circostante, in cui erano stati rappresentati i Razziatori, ognuno con un occhio al centro del loro corpo. I più vicini alla Cittadella avevano l'occhio aperto, che andava a chiudersi a mano a mano che si allontanavano dalla figura centrale: la consapevolezza che era stata data di nuovo a loro. Sotto la rappresentazione, una stilizzazione delle specie che avevano partecipato al conflitto erano state raffigurate unite, ad osservare la sagoma luminosa al centro della Cittadella.
Il ricordo di tutto ciò che era stato sacrificato per il giorno presente assalì Shepard come una marea: i volti dei perduti e di coloro che credeva di aver dimenticato lungo la strada erano ancora lì. Perfino l'eco dei Prothean, che Shepard aveva accolto tanti anni prima su Eden Prime, tornò a farsi sentire.
"...Posso restare, ancora un poco?" disse Shepard, mentre dal suo occhio umano scorrevano lente delle lacrime.
"Questo posto non mi appartiene, Aralakh. Non posso scacciarti più di quanto non possa obbligare alle pietre di andarsene. Questo posto è tuo, perché racconta la tua storia."
"Grazie."
Il vecchio sciamano assentì con la testa, ma non disse nulla, limitandosi a ripercorrere il corridoio sui suoi passi: alcuni pensavano che dare acqua così facilmente fosse una debolezza. Ma il vecchio sciamano non era d'accordo: quando si ha un solo cuore e si sparge la sua acqua, quella non è debolezza, ma generosità.
Quando i suoi passi lo ricondussero nella sala principale, lo sciamano trovò Sihaya addormentata sotto la statua di Kalros. Lo Sciamano non la svegliò, ma quando la piccola Asari si fosse alzata il mattino dopo, avrebbe trovato suo padre accanto a se, e una coperta sopra entrambe: una coperta che lo Sciamano Krogan le avrebbe lasciato tenere e che avrebbe accompagnato Sihaya per il resto della sua vita... per poi essere ereditata dai suoi discendenti.


 
E con questo il capitolo si conclude, prima di lasciarci, qualche informazione in più su Treeya: è una dei comprimari di Paragon Lost, anime con protagonista James Vega, che racconta alcuni retroscena tra ME2 e 3. Non credo che valga la pena perdere tempo a guardarlo: è estremamente superficiale e poco curato (certe scene di combattimento... -_-). Ha il solo pregio di introdurre l'unica altra Asari pronta a credere negli studi di Liara  sull'estinzione dei Prothean (non viene mai chiarito a sufficienza, ma sembra che Liara sia stata la sua mentore).

A parte questo, "La Cerimonia del Rutto" Krogan di cui accenno, è un semi-canon, nel senso che appare come contenuto eliminato all'interno di Mass Effect 3: esistono ancora i dialoghi, ma non è possibile ascoltarli normalmente nel gioco. Mi chiedo perché sia stato tolto... XD. Spero che il capitolo sia riuscito a divertirvi, sopratutto nella sua parte iniziale: ogni recensione è ben accetta.

I should go.
Alla prossima!

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Capitolo 9
*** Epilogo ***


Torneranno? È la domanda che mi fanno più spesso: Krogan, Asari, Umani, Salarian, Turian, Quarian... me lo chiedete sempre prima o poi. Una volta anche un Hanar.
Io non lo so. Ma non credo: la mia madre Guerriera non ha mai perso uno scontro. Se eri ancora vivo dopo averla incontrata, era perché ti aveva permesso di unirti a lei. Chiedete al vecchio fossile se volete tutta la storia: di questi tempi non ha niente da fare, al contrario del sottoscritto. Dirò solo questo: darei una delle mie braccia per riaverla qui, e dico una, solo perché l'altra mi servirebbe per accoglierla come si deve...
Degni avversari, quei Razziatori: quasi mi mancano.
Urdnot Grunt-  Scienziato, poeta, padre e Guerriero Krogan.



"...È davvero successo? Tutto quanto?" l'aria è fredda sul pianeta e il fiato si condensa subito in vapore: alla sua stella rimangono ancora solo pochi miliardi di anni da vivere. Ma pochi miliardi di anni sono un tempo sufficiente. L'inverno è così dolce in questo luogo, mentre la foresta riposa sotto una sottile coltre di neve.
L'avatar di Defiant scruta sereno il cielo, nel quale le due lune brillano luminose: confinato in una forma di soli due metri di altezza, alcune cose sembrano così diverse.
"Sì, ma alcuni dettagli sono andati perduti negli anni. È successo così tanto tempo fa."
L'Infante non è ancora completo: ha pelle di porcellana, denti di ferro e liquidi occhi violetti, ma ancora non ha un nome. Per quanto riguarda invece il suo aspetto... la somiglianza è innegabile.
"...Quando potrò andare fra le stelle?"
E allo stesso modo, la costruzione del suo altro corpo procede lentamente.
"Un giorno."
"Che cosa ci sarà?" chiede ancora l'Infante, tornando a guardare il cielo.
"Tutto ciò che riesci ad immaginare. La nostra Galassia ha miliardi di stelle. Molte di quelle stelle posseggono dei mondi attorno ad esse. Ed ogni mondo, potrebbe essere la casa di una diversa forma di vita. Ed ogni vita è una storia speciale."
"... Mi racconti un'altra storia sullo Shepard?"
Da sempre, l'argomento preferito dell'Infante: se potesse, forse Defiant sorriderebbe in quel momento.
"Si sta facendo tardi, ma d'accordo. Solo un'altra storia..."


E con questo, Dieci Anni Dopo si conclude.
Questo perché credo di aver raggiunto l'obbiettivo che mi ero prefisso quando ho cominciato questa storia: potrei continuare, ovviamente, descrivendo tutte le altre tappe del viaggio di Elea con la famiglia Shepard &T'Soni, l'incontro con Aethyta... ma non penso aggiungerebbe qualcosa di particolare. Con Dieci Anni Dopo volevo soprattutto dare un senso di vera chiusura alla saga del comandante Shepard, tirare le somme e offrire una sorta di catarsi, cioè i tre elementi che a mio parere fanno un vero finale... Probabilmente scriverò ancora del post ME3, ma sono convinto che questa storia possa terminare qui.
A tutti coloro che mi hanno seguito spero vi sia piaciuto, e a coloro che hanno lasciato delle recensioni, o che le lascieranno, offro  i miei ringraziamenti (risponderò sempre :).
A presto!

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