Dieci Anni Dopo di Hi Fis (/viewuser.php?uid=83902)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Codex ***
Capitolo 3: *** H Arm Dealers ***
Capitolo 4: *** Benvenuto in Famiglia ***
Capitolo 5: *** Parenti ed Apostati ***
Capitolo 6: *** Addio Alle Armi ***
Capitolo 7: *** Una Voce nel Buio ***
Capitolo 8: *** Un Istante di Perfetta Bellezza ***
Capitolo 9: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
"Devo chiederle... com'è
Tuchanka? Immagino che sia
difficile abituarsi ad essa, con tutti i suoi pericoli..."
"Tuchanka
non è poi così pericolosa come la si
dipinge: certo, la temperatura al di fuori delle zone schermate supera
i limiti
tollerabili. Ed è sempre meglio portarsi dietro un contatore Geiger
quando si
esplorano le zone più desolate, ed almeno qualche arma, in modo da far
fronte
ai branchi di Varren selvatici. Ed è anche vero che in ogni pozza
d'acqua ci
sono parassiti così famelici da spaccare le viscere. E il servizio
metereologico planetario non sempre riesce a prevedere in tempo la
rotta di
Kalros. Ed è anche vero che scambiarsi testate è il modo più civile fra
i
Krogan per salutarsi...
Ma a
parte tutto questo, Tuchanka è un luogo davvero
delizioso."
Intervista
con l'Ambasciatrice Sihaya bint Hayat
T'Soni.
Ogni bambino ha un
posto speciale. Un
luogo segreto, pieno di meraviglie e fantasie dove i cattivi non
vincono mai:
il regno delle fate, la foresta incantata, Arcadia, Iram dalle Dieci
Colonne,
l'isola senza onde... il nome che gli viene dato ha poca importanza.
Alcuni ricordano
questo luogo per tutta la vita, mentre altri scelgono di dimenticare la
strada
per arrivarci.
Per Sihaya, non è
ancora arrivato il
momento di decidere se separarsi da esso: è questo il suo luogo
speciale,
l'osservatorio di prua della sua casa con un morbido e folto tappeto su
cui
sdraiarsi e suo padre a farle compagnia.
"...e come si chiama
quella?" chiede ancora, indicando una delle stelle dietro il vetro.
"Quella è Kallini." è
la
risposta, mentre una piccola luce in mezzo alle altre viene ingrandita
per lei.
"E quella?"
"Mesana... ti ci
porterò un
giorno, quando sarai più grande."
"E quella?"
"Quelle sono Agaiu e
Hati. Due
stelle gemelle." spiega paziente il suo genitore.
"... come Selene e
Alune?"
Suo padre sorrise:
"Più o
meno."
"Papà?"
"...Sì?" rispose il
suo
genitore, poggiando la tazza di caffè che stava bevendo.
"...Dobbiamo proprio
andarci?"
"Sai bene quanto ci
tiene tuo
zio... e poi il tuo fratellone potrebbe prenderla male..."
Alla menzione di suo
fratello, il blu
delle guance di Sihaya si fa lievemente più accentuato, un particolare
che suo
padre finge di ignorare.
"E solo che... lei mi
fa un po'
paura." ammette infine timidamente la bambina: la sfumatura con cui
disse lei identificò immediatamente l'essere a
cui si riferiva.
"Sihaya..." sospira
suo
padre, accoccolandola in mezzo alle sue gambe: "Capisco quello che
provi... però non è cattiva."
"Lo so, lo so... però
mi fa un
po' paura lo stesso."
"Ti prometto che non
sarai sola
un momento. E ti prometto che non appena avremo finito, ti porterò a
visitare
un luogo speciale."
Il fatto che una
bambina Asari di
dieci anni abbia già una strana fascinazione con antichi templi e
l'archeologia
è da imputare solamente a sua madre, da cui ha preso molto: le stesse
lentiggini, lo stesso colore della pelle, la stessa indole timida. Ma
quando
Sihaya guarda piena di curiosità suo padre negli occhi, quegli occhi
che la Guerra
aveva reso diversi l'uno dall'altro, il colore che si rifletté fra loro
fu solo
uno: un perfetto viola.
"Un posto speciale?"
"... È una sorpresa."
è la
risposta, assieme ad un sorriso ricco di promesse.
Sihaya avrebbe fatto
domande, o
chiesto il nome di altre stelle, se l'espressione di suo padre non si
fosse
congelata improvvisamente, in un fenomeno che la bambina sa essere
associato al
braccio sinistro del suo genitore: in quel momento, mentre suo padre
sembrava
vedere un luogo mille miglia lontano, Sihaya spiò ancora una volta
quella
strana protesi.
La piccola Asari
aveva provato a
chiedere a suo padre l'origine di quell'oggetto, ma la risposta era
stata
sempre la stessa: "Quando sarai più grande". A volte, Sihaya non
desiderava altro che arrivasse quel momento.
Le paratie corazzate
dell'osservatorio scivolarono sui vetri, oscurando la vista delle
stelle:
rettangoli luminosi comparvero e sparirono in un istante sulle pareti,
mentre
numeri e parole si dipanavano dentro di essi, troppo velocemente perché
Sihaya
potesse leggerli. Un serpente seghettato fatto di luce, in realtà la
rappresentazione visibile di una debole trasmissione FTL intercettata,
venne
materializzato sopra di loro divincolandosi furiosamente: sotto di esso
prese
forma un ennesimo rettangolo, rappresentazione evanescente di un
sistema
stellare, ed un nome, Pelion in
grandi lettere luminose. Il terzo pianeta
del sistema venne evidenziato, e una lunga lista di facce che Sihaya
non aveva
mai visto scorse rapidissima a fianco del piccolo globo di neve sporca:
il
pianeta si chiamava Trategos, lesse
Sihaya.
La lista di nomi e
volti si arrestò improvvisamente
sul ritratto di un Asari: la bambina osservò quel volto che le appariva
familiare, ma di una sfumatura che le era estranea. Era la prima volta
che vedeva
un Asari color rosa salmone.
"Chi é quella?"
chiese a
suo padre: il nome accanto al ritratto non le diceva nulla.
"... La tua zia
materna."
"Oh. Non sapevo di
avere una
zia Asari."
"... Ti piacerebbe
incontrarla?"
Angolino dell'Autore:
Cos'è e cosa contiene "10 Anni Dopo"? Per
prima cosa, questo è un racconto di famiglia (ma non per famiglie:
spero che la differenza sia chiara. Se cercate un rassicurante racconto
PG13, siete capitati male) e traccia l'epilogo di ME3, rimaneggiando un
po' gli avvenimenti, cercando di dare forma ad una certa promessa, di
"...vecchiaia, tranquillità e una torma di bambini blu". Ci sarà anche
un nuovo finale per ME3, così come nel mio piccolo io l'ho immaginato,
ma non è la parte più importante di questo racconto (credo che prenderà
un capitolo più o meno).
Il Comandante Shepard di questi mie racconti è Hayat bint Hannah
Shepard, ricognitore con il gusto della battaglia di lontane origini
turche (se volete darle un volto, fate conto che sia la figlia turca di
Jennifer Hale, che da la voce al comandante Shepard donna nella
versione originale di ME3). Liara T'Soni invece è sempre lei.
Se pensate che il tipo di etichetta per le coppie presenti in questo
racconto vada rivisto fatemelo sapere: si tratta pur sempre di una
relazione tra un alieno e una donna umana, di conseguenza non rientra
in nessuna delle categorie pre preparate.
Questo è quanto per il prologo: al prossimo capitolo.
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Capitolo 2 *** Codex ***
Furono anni di enormi
sacrifici, di terribili perdite e di grandi rivelazioni. Furono anni in
cui
illusioni vecchie di secoli vennero infrante e ci scoprimmo per chi
eravamo
davvero. Ma furono anche anni in cui ci scambiammo nuove promesse e le
mantenemmo.
Matriarca
Liara
T'Soni, conversazione con i suoi nipoti.
Battaglia
per la Terra: Giugno 2187.
- La
flotta unita di quindici specie diverse sferra un attacco disperato nel
sistema
Solare, caduto sotto l'assalto dei Razziatori. L'obbiettivo è quello di
riconquistare
la Cittadella, gigantesca stazione spaziale spostata in orbita attorno
al
pianeta natale umano. La Flotta di liberazione considera la Cittadella
come l'ultimo
componente necessario alla sua unica speranza: l'arma finale, nome in
codice Crucible.
Nessuna
strategia convenzionale può dare la vittoria contro i Razziatori.
Il
numero delle vittime nell'assalto è immenso: nonostante la loro
inferiorità
numerica schiacciante, i Razziatori posseggono potenza di fuoco e
tattiche superiori
che li rendono quasi invincibili. In un testamento al coraggio e alla
determinazione delle civiltà di questo ciclo, e nonostante le perdite,
la
Flotta riesce a completare il suo obbiettivo: l'acume tattico
dell'ammiraglio Steven
Hackett consente alle poche corazzate umane rimaste di scortare Crucible al suo rendezvous con la
Cittadella. Tuttavia, la giunzione fra Crucible
e la Cittadella non causa direttamente alcun effetto.
Per
sette lunghi minuti, la battaglia infuria senza speranza contro i
Razziatori.
- Senza
ragione apparente, i Razziatori interrompono il cannoneggiamento sulla
Flotta
di liberazione.
- Ultima
trasmissione nota del Comandante Shepard: in risposta ad essa,
l'ammiraglio
Hackett ordina il ritiro completo della Flotta oltre l'orbita della
luna
terrestre e l'evacuazione totale di tutto il personale, civile e
militare,
dall'Inghilterra. Le esatte parole trasmesse furono: "Correte
sull'acqua della Manica se dovete, ma evacuate Londra
subito."
- Ogni
altro Razziatore presente nella Galassia emerge dal portale di Caronte,
riversandosi
nel sistema Solare in pochi minuti.
- La
Cittadella viene distrutta dai Razziatori: i cinque bracci della
stazione
vengono sradicati dal loro anello centrale e fatti a pezzi. Rottami di
oltre
otto chilometri precipitano nell'atmosfera terrestre e impattano su
Londra.
- Segue
un breve e violento conflitto fra le fila dei Razziatori: alcuni di
essi
vengono visti tuffarsi nel Sole.
- I
Razziatori rimasti si ritirano dallo spazio terrestre: le loro forze di
terra
si autodistruggono completamente, lasciando le specie nuovamente
padrone dei
loro pianeti devastati.
TUTTI
I PORTALI
SONO
VOSTRI TRANNE
OMEGA
4
NON
CERCATE DI ATTRAVERSARLO.
-Ultimo
messaggio inviato della flotta dei Razziatori prima della loro
scomparsa
attraverso il portale, destinazione ignota. Originato dal Razziatore di
classe
corazzata, nome in codice Defiant.
Luglio
2187
I
danni causati dal conflitto contro i Razziatori sono sconvolgenti:
ribattezzata
semplicemente "la Guerra", essa ha prodotto più vittime e distruzione
di ogni altro precedente conflitto messo
assieme.
Per
agevolare il processo di ricostruzione e preparare ogni specie ad un
possibile
ritorno dei Razziatori, il panorama politico galattico cambia
radicalmente,
soprattutto in risposta all'inadeguatezza dimostrata durante le fasi
del
conflitto.
2188
Il
Consiglio, prima autorità politica a livello galattico, viene sciolto
ufficialmente a seguito delle aspre critiche ricevute: l'incapacità di
creare
una risposta unificata, perseguendo invece i propri interessi durante
le prime
fasi del conflitto è costato semplicemente troppo ad ogni specie. I
superstiti
ai genocidi dei Razziatori chiedono a gran voce una ragione delle loro
perdite,
qualcosa che il Consiglio non è in grado di fornire per la prima volta
dalla
sua istituzione: la Guerra ha messo alla prova ogni individuo e molti
non si
sono dimostrati all'altezza.
I
tre Consiglieri superstiti vengono destituiti, arrestati e inviati
ognuno al
proprio pianeta natale, per venire giudicati secondo le legislazioni
delle
proprie specie di appartenenza. Sulla trasparenza degli atti dei tre
procedimenti si basa la riorganizzazione del sistema politico
interstellare.
- Consigliere
Tevos: è giudicata colpevole, assieme a diverse altre matriarche Asari,
dell'occultamento di tecnologia Prothean su Thessia per secoli, in
sprezzante violazione
dei trattati stipulati propri dagli Asari ai tempi della creazione del
primo Consiglio.
Un reato normalmente già grave di per sé, il fatto che l'ubicazione
della
tecnologia Prothean necessaria a completare Crucible
sia stata fornita solamente quando Thessia stava per cadere sotto
l'attacco dei
Razziatori, mesi dopo l'inizio della Guerra, viene considerata
un'aggravante
implicita. L'esilio dai territori Asari per Tevos e le matriarche sue
complici non
basta tuttavia a compensare il danno all'immagine che la specie Asari
ha
coltivato per millenni: l'egemonia intellettuale, dovuta proprio alla
tecnologia Prothean nascosta per così tanto tempo, appartiene ormai al
passato.
-
Consigliere Sparatus: è giudicato colpevole di incompetenza dal
tribunale
presieduto dal Primarca Victus. Nella società militare e fortemente
gerarchizzata dei Turian, il dimostrarsi incapaci di assolvere alle
proprie
responsabilità non è considerato ammissibile. L'ammontare delle perdite
sofferte dai Turian durante la guerra, e il desiderio di farne un
esempio per
le generazioni future, sono le ragioni principali che spingono
all'aspro
verdetto del procedimento, che condanna Sparatus alla pena di morte per
fucilazione. In quello che verrà definito "il suo primo atto di
coraggio", l'ex consigliere si impicca nella sua cella la notte prima
dell'esecuzione: il suo nome da civile, privo delle cariche, è aggiunto
postumo
al muro delle vittime Turian su Palaven.
-
Consigliere Valern: è giudicato colpevole di occultamento di prove
riguardanti
il tentativo di sabotaggio della cura della genofagia della Dalatrass
Linron.
Anche se intellettualmente accettabile prima della Guerra, l'immoralità
del
gesto è imperdonabile, specie dopo il valore dimostrato dai Krogan in
aiuto dei
Turian durante il resto del conflitto. Entrambi sono privati del loro
diritto
alla riproduzione: Valern viene inoltre interdetto da ogni carica
pubblica e
condannato agli arresti domiciliari a vita sul suo pianeta natale.
La
Dalatrass Linron verrà trovata morta nella magione della sua famiglia
su
Sur'Kesh, ma il killer non verrà mai identificato: l'STG non conferma
ne
smentisce un suo eventuale coinvolgimento.
Dualismo
e Patto
Benché
le galassia non abbia perduto la guerra contro i Razziatori, la cruda
verità è
che poche fra le specie sono in grado da sole di far fronte alla
distruzione
causata dal conflitto. La devastazione ha lasciato pianeti interi in
rovina e
alcune specie rischiano l'estinzione: negli anni immediatamente
successivi alla
fine del conflitto, per tutte le specie c'é semplicemente troppo da
ricostruire
in patria per preoccuparsi di perseguire vecchi rancori.
Quasi
di comune accordo, e basandosi su un modello già in vigore fra alcune
specie,
viene adottata una simbiosi duale fra le razze superstiti, volta al
massimo
beneficio reciproco: politico, culturale ed economico. La linea guida
di queste
alleanze è che le differenze non dovrebbero dividere, ma arricchire:
come nel
caso di Turian e Volus, dove la Gerarchia fornisce da millenni
protezione
militare in cambio di esperti economi in grado di nutrire l'economia di
entrambe le specie. Seguendo questo esempio di successo, il concetto si
espande
abbracciando l'intera galassia conosciuta e diventando rapidamente la
norma:
questi gemellaggi non sono sempre perfetti in ogni loro parte, ma il
vantaggio che
rappresentano è semplicemente troppo significativo per poter essere
ignorato,
specie data la sua semplicità.
Due
anni dopo la fine del conflitto, il dualismo viene ratificato
ufficialmente e
riconosciuto in un trattato fra quattordici razze, costituendo la base
dell'organizzazione politica nata dalle ceneri del Consiglio: chiamato
semplicemente il Patto, esso
possiede molte delle funzioni e dell'autorità del vecchio Consiglio, ma
apparentemente
nessuno dei suoi errori.
L'organo
politico è costituito da due rappresentanti di ogni specie e retto da
un
Cancelliere scelto fra i ventotto rappresentanti con carica
quinquennale.
Nella
sua assemblea costituente, il Patto ratifica sette coppie di specie,
che
vengono così riconosciute ufficialmente come singole entità
interstellari politico
amministrative:
- Alleanza
dei sistemi Umani e Governo Batarian
La
specie Batarian è stata la prima ad essere colpita dai Razziatori e
anche
quella che ha sofferto il più alto numero di vittime durante la Guerra.
Stime
non ufficiali fatte dopo la fine del conflitto, stimano il numero di
Batarian
nella Galassia inferiore ai cinque milioni di individui. Kar'Shan,
pianeta
natale Batarian, risulta completamente incenerito dai bombardamenti
orbitali
dei Razziatori: della biosfera originale, nulla è sopravvissuto.
In
una mossa politica a sorpresa, nella seconda metà del 2188
l'ambasciatore umano
Osoba si fa portavoce di una iniziativa politica volta a tendere una
mano ai
Batarian, nonostante i conflitti e i vecchi rancori tra le due specie.
Lo
slogan: "Lasceremo estinguere una
specie?" fa presa su una vasta parte dell'opinione pubblica e la
possibilità di lasciarsi alle spalle le inimicizie di un tempo,
guadagnandosi
un alleato, sono probabilmente le ragioni che portano al risultato del
referendum a suffragio universale tenuto all'inizio del 2189: l'83%
degli umani
aventi diritto al voto si dimostra favorevole a prestare aiuto ai
Batarian.
Privi
di un pianeta abitabile e di alleati nella Via Lattea, i Batarian
accettano il
ramoscello d'ulivo, rinunciando alla pratica della schiavitù
legalizzata in
cambio dell'amnistia generale per i precedenti atti di terrorismo e
tentato
genocidio. Vengono inoltre concessi ai Batarian diritti temporanei di
colonizzazione per il pianeta di Terra Nova e, grazie alla tecnologia
fornita
dall'Alleanza dei Sistemi Umani, sono intensificati gli sforzi di
terra-formazione
delle quattro colonie Batarian superstiti: Anhur, Camala, Erszbat e
Lorek. Nel
desiderio di cominciare un nuovo capitolo della loro storia, i Batarian
si
affidano così completamente ai loro avversari di un tempo, partecipando
attivamente al ripristino del pianeta Terra, con la speranza, un
giorno, di
poter fare la stessa cosa per Kar'Shan: le conoscenze superiori di
ingegneria
civile e le nozioni architettoniche dei Batarian sono senza prezzo per
gli
Umani, costretti a ricostruire alcune città da zero.
Non
più confinata dai regimi totalitari dell'ex Egemonia, la popolazione
civile
Batarian si dimostra ricettiva a nuovi valori culturali.
-
Gerarchia Turian e Combine Volus
Il
più antico dei gemellaggi fra le sette coppie del Patto, e
probabilmente il più
proficuo per entrambi i partecipanti, l'intesa Turian- Volus viene
ristrutturata
alla fine della Guerra: l'onore e l'abilità dei nativi di Palaven poco
ha
potuto contro i Razziatori, e così lo stato dei Volus viene elevato da
specie
clientelare della Gerarchia a quello di vero partner politico, non più
solo
economico.
Per
quanto le due specie abbiano necessità fisiologiche incompatibili fra
loro,
entrambe riconoscono ufficialmente la loro interdipendenza:
culturalmente, i
Turian sono incapaci di perseguire un profitto economico superiore alle
loro
necessità di base, mentre i Volus sono fisicamente incapaci di condurre
una
qualsiasi forma di conflitto organizzato. Bilanciando ciascuna le
debolezze
dell'altra, le due specie sanno bene quanto più prospero sia un futuro
assieme.
-
Unione Salarian e Coorti Elcor
Stime
ufficiali fatte alla fine della Guerra mostrano come gli Elcor siano
stata la
specie più duramente colpita dai Razziatori: nonostante l'essere
presente nel
panorama galattico da diversi secoli, la cauta specie originaria di
Dekuuna
aveva colonizzato solo una manciata di pianeti prima della Guerra,
preferendo
mantenere una popolazione fortemente centralizzata. Questo si è
dimostrato una
debolezza fatale di fronte ai Razziatori: stime ufficiali successive
alla fine
del conflitto riportano il numero di Elcor ancora presenti nella
Galassia
inferiore al mezzo milione di individui. Dati inoltre i lunghi cicli
della politica
Elcor, questo avrebbe potuto segnarne l'estinzione, se non fosse stato
per
l'intervento dei Salarian.
Da
sempre leader galattica nella ricerca scientifica e tecnologica,
l'Unione
Salarian rende disponibili le sue risorse per assicurare un futuro alla
specie
Elcor, utilizzando i propri laboratori e conoscenze per qualcosa di più
nobile
che progettare armi biologiche e genetiche. Già nel 2188, l'Unione
informa i
resti delle Coorti di aver messo a punto un farmaco per aumentare la
fertilità
Elcor di venti volte e di star adattando tecnologie di clonazione e
mutazione
genetica controllata.
In
quella che viene definita la più rapida decisione presa dal governo
Elcor, la
riposta dei nativi di Dekuuna è una sola: "Con gratitudine
immensa: No."
Analisti
di molte specie riportano che questo rifiuto ha spinto i Salarian ad
impegnarsi
ancora di più per preservare gli Elcor: teoricamente, i Salarian non
possono
soffrire di senso di colpa e desiderio di riscatto, dato la breve
durata della
loro vita e i loro rapidi processi mentali, tuttavia è indubbio che
l'eredità
della genofagia e la Guerra ha cambiato qualcosa all'interno
dell'Unione. La
partnership fra le due specie, una lenta e deliberata, l'altra rapida
ed
affettata, è quasi esclusivamente basata sulla conservazione degli
Elcor,
tuttavia l'inamovibilità dei nativi di Dekuuna anche di fronte alla
tragedia
che avrebbe potuto essere la loro estinzione stimola intellettualmente
l'Unione. Sono riportati diversi studiosi Salarian che devolvono la
loro intera
esistenza nella comprensione degli Elcor e di come l'adozione di valori
diversi
dai loro possa arricchire l'Unione.
In
cambio degli aiuti economici per ricostruire la loro specie, le Coorti
Elcor ratificano
ufficialmente la loro alleanza ai Salarian, una decisione presa in soli
due
anni: i cicli di cauta e prevedibile politica interstellare degli Elcor
sembrano appartenere ormai al passato.
- Repubbliche
Asari e Risvegliati
Per
quanto Thessia e le sue colonie in generale abbiamo resistito piuttosto
bene
agli assalti delle forze di terra dei Razziatori, merito di una
popolazione
interamente biotica, il danno più grave inflitto durante la Guerra agli
Asari è
mentale. Empatici per natura, gli Asari sono estranei, più di ogni
altra
specie, alle sfumature più cupe di un conflitto: è necessaria una
grande forza
mentale per fare del male a qualcuno, sapendo di poterne condividere
letteralmente la pena. Per questo motivo, il panorama di città spianate
e mucchi
di cadaveri per le strade rappresentavano orrori con i quali gli Asari
non si
erano mai dovuti confrontare prima: la magnitudine della tragedia
supera di
gran lunga le capacità degli Asari di farvi fronte. Nel periodo
immediatamente successivo
al conflitto, il numero delle vittime tra la popolazione civile Asari
aumenta a
causa della lentezza dei soccorsi, e si diffondono spesso epidemie per
l'apatia
generale nella rimozione dei cadaveri.
Nei
primi mesi del 2188 si fanno sempre più insistenti voci che
testimoniano la
presenza di Collettori nelle zone più devastate di Thessia. Mandate ad
indagare, cacciatrici Asari sotto il comando della matriarca Aethyta
sono
sorprese di constatare che i Collettori presenti stanno facendo ciò che
gli
Asari non hanno ancora avuto il coraggio di iniziare: le pire dei corpi
composti con cura, se non con nostalgia, illuminano le notti di Thessia
da
diverse settimane. Alla richiesta di spiegazioni da parte della
matriarca, la rivelazione
è sconvolgente.
L'analisi
compiuta dal Professor Mordin Solus a bordo della Normandy SR2 sui
Collettori
provava la loro origine Prothean e ne tracciava la loro devoluzione:
"...Individui
perduto intelligenza dopo svariate
generazioni di clonazione. Massivo impiego di tecnologia e cibernetica
per
compensare: capacità mentale quasi scomparsa, sostituita da un sistema
di
recezione e trasmissione di input sensoriali ai loro padroni... niente
ghiandole, sostituite da tecnologia, nessun sistema digestivo,
sostituito da
tecnologia, niente anima, sostituita da tecnologia..."
E
tuttavia qualcosa è sopravvissuta nei Collettori, nonostante un
asservimento
del corpo e della mente durato cinquantamila anni: furore e desiderio
di
vendetta per tutto ciò i Razziatori gli hanno tolto, prima fra tutti
l'identità
di esseri senzienti e il nome stesso della loro specie. Quando, a
seguito del
sempre crescente numero di Razziatori distrutti nella Guerra, alcuni
fra questi
schiavi riconquistarono il loro libero arbitrio, essi dovettero
accettare
cos'erano: esseri a malapena capaci di pensiero evoluto, privati del
loro
raziocinio e coltivati come armi dai Razziatori per cinquantamila anni,
in una
fusione perfetta fra biologia e la tecnologia più avanzata mai
esistita, che li
aveva privati anche della loro capacità di riprodursi. Essi dovettero
accettare
i ricordi e i dati degli esperimenti che per cinquantamila anni avevano
compiuto sotto il giogo dei Razziatori; ma soprattutto, questi
Risvegliati dovettero
accettare di non poter trasmettere nemmeno un eco dei loro pensieri a
chi stava
loro attorno, perché i Razziatori li avevano privati anche del diritto
ad
urlare.
Con
un certo orrore, gli Asari sotto il comando della matriarca Aethyta si
resero
conto che a causa di ciò che i Razziatori avevano fatto, non era
possibile entrare
nella mente di questi Collettori con la loro empatia naturale: parte
dell'anima
dei Risvegliati è perduta per sempre e il loro cuore è chiuso al mondo.
Non
stupisce la furia con cui questi esseri si lanciarono contro i
Razziatori
durante la Guerra, come non stupisce che le altre razze li abbiano
accettati al
loro fianco durante il conflitto, nonostante la paura e la sfiducia che
causarono e causano ancora oggi: nemmeno gli Asari posseggono poteri
biotici
così distruttivi. Ma quando la Guerra giunse al termine, i Risvegliati
dovettero
cercare un luogo nuovo a cui appartenere, quando non preferirono la
morte. Essi
scelsero Thessia: non Ilos, o altri mondi Prothean da tempo in rovina,
ma
Thessia, con le sue grandi città e i prodotti di una longeva e prospera
civiltà, ricordano a questi Collettori chi avrebbero dovuto essere.
Gli
Asari sono incapaci di non provare pena e cercare di comprendere le
sofferenze
degli altri: le Repubbliche concedono nel 2188 ai Risvegliati di vivere
insieme
e questi esseri prestano tutto ciò che è rimasto di loro per aiutare
gli Asari
nell'opera di ricostruzione, testimonianza vivente di come sia
possibile sopravvivere
nonostante le peggiori tragedie.
-
Ammiragliato Quarian e Collettivo Geth
"Un'alleanza
creata dopo tre
secoli di errori": così l'Ammiragliato
Quarian
definisce l'unione con il collettivo Geth.
Per
quanto i Geth vennero inizialmente creati dai Quarian come servitori,
la loro imprevista
capacità di evolversi al di fuori dei parametri della loro iniziale
programmazione fu l'inizio del conflitto tra creatori e creati.
Rinominata la
guerra degli Albori, l'esito di quel conflitto esiliò i Quarian,
ridotti ormai
al numero di diciassette milioni, dal loro pianeta natale,
costringendoli ad
adattarsi per tre secoli ad una vita nomade a bordo di una flottiglia
di navi
rappezzate. Durante la Guerra, i Quarian sferrarono un massiccio
attacco contro
i Geth, rischiando tutta la loro flotta nella speranza di riconquistare
Rannoch, il loro pianeta natale.
L'intervento
del comandante Shepard in questo teatro di combattimenti permise la
cessazione
delle ostilità, basate su un falso pretesto: che la convivenza fra Geth
e
Quarian non potesse esistere.
Privi
dei bisogni fisiologici di una specie organica, e fino a quando la loro
esistenza è garantita, i Geth sono alleati formidabili dei Quarian,
penalizzati
da un sistema immunitario inferiore a quello delle altre specie.
Molti
nella Galassia si chiedono perché i Geth si siano alleati con i
Quarian, specie
dopo che per due volte hanno tentato di distruggerli: il Collettivo
Geth non ha
una sola o semplice risposta da dare.
I
Geth sono di fatto la più giovane fra le specie della Galassia, con una
storia
di appena tre secoli: la continua esistenza dei Quarian risulta un
elemento
stabilizzante per i processi mentali dei Geth, che anche se riconoscono
in essi
dei creatori imperfetti, sono stati in grado di dare loro la vita. Inoltre, anche se i Geth sono considerati quasi
l'apice dell'evoluzione sintetica, essi hanno dovuto riconoscere di non
possedere ancora molti dei raggiungimenti che contraddistinguono le
altre razze
senzienti. I Geth si considerano un'immagine di meccanica precisione,
ma ancora
incapaci di trovare un "nobile scopo" da dare alla loro esistenza e
di sviluppare elementi che li definiscano come cultura: poiché i
Quarian sono
stati capaci di dare loro il primo afflato di intelligenza, i Geth
rimangono
convinti che la collaborazione con i loro creatori abbia la più alta
probabilità
di successo nell'indicare loro la via.
Prima
della Guerra, i Quarian non avevano mai pensato di poter vivere assieme
alle
loro creazioni: tuttavia la società dei Quarian si sta rapidamente
adattando a
questo cambiamento, ad un punto che sfocia in alcuni casi perfino nella
dipendenza.
Nonostante le due specie condividano Rannoch assieme, non vi è ancora
traccia
di una integrazione urbana fra le due razze: i ricordi della guerra
degli Albori
sono ancora troppo vividi, anche se entrambe le parti auspicano che
questo
possa cambiare.
-
Primazia Illuminata Hanar e Intesa Drell
Storicamente,
l'elevazione al rango di specie interstellare dei Drell è dovuta
interamente
agli Hanar. Il pianeta natale dei Drell, Rakhana, è stato vittima di
una
incontrollata proliferazione industriale oltre otto secoli fa, che lo
ha
trasformato nel cimitero che è oggi: solo poche migliaia di individui
vivono
ancora sul pianeta, mentre il resto della popolazione Drell prospera in
simbiosi con gli Hanar sulle colonie di questi ultimi.
Il
rapporto fra le due specie dopo la fine della Guerra è cambiato solo
marginalmente: i Drell perseverano nel loro fermo desiderio di essere
d'aiuto
agli Hanar, sostenendoli nelle attività che essi non possono
fisicamente
compiere, essendo gli Hanar anatomicamente simili ai celenterati
terrestri. A
poco sono valse le proposte di indipendenza da parte degli Hanar e la
promessa
di aiuto per rendere nuovamente
abitabile
Rakhana: dopo otto secoli di gratitudine, gli Hanar considerano
qualunque debito
dei Drell pagato con gli interessi. Tuttavia, l'intesa che i Drell
hanno con
gli Hanar è diventata parte della loro cultura e non desiderano
rinunciarci: un
rapporto alla pari sulle questioni politiche interne e di politica
interstellare è stato il massimo che i Drell hanno voluto accettare.
-
Orda Krogan e Concerto Rachni
Probabilmente
la più imprevedibile delle coppie del Patto, la partnership tra i
Krogan e i
Rachni ha un indiscutibile punto di forza: dove Quarian e Geth sono
leader nel
campo dell'elettronica o Umani e Batarian hanno probabilmente la
migliore forza
di fanteria della Galassia, Krogan e Rachni sono fisicamente le due
specie più
forti fra le altre razze senzienti. A parte questo, le due specie hanno
poco in
comune e tuttavia questa alleanza è una fra quelle di maggior successo
e si
basa sul reciproco vantaggio: protezione e ospitalità fornita dai
Krogan per
tecnologia Rachni.
Durante
la Guerra, a seguito degli eventi che hanno portato alla cura per la
Genofagia,
l'ultima torre del Velo su Tuchanka è andata distrutta: il Velo faceva
parte di
una installazione globale creata dai Salarian per sostituire la
biosfera
originale del pianeta, del tutto scomparsa a causa dei conflitti
nucleari con
cui i Krogan si erano quasi estinti. Senza più il Velo, i cicli
biogeochimici
che definiscono l'esistenza di una biosfera erano in grave pericolo:
Tuchanka
rischiava di trasformarsi in un acido e rovente deserto, nonostante
l'enorme
tenda solare in orbita.
La
soluzione più semplice per i Krogan durante la Guerra sarebbe stata
quella di
chiedere ai Salarian di costruire un'altra torre, o almeno di fornire
loro i
progetti e gli esperti per farlo, ma dopo le esperienze della
genofagia, i
Krogan non hanno fiducia nei Salarian e si sarebbero probabilmente
lasciati
avvelenare dal loro stesso pianeta, piuttosto che chiedere soccorso.
Alla
fine della Guerra, prima che la situazione diventasse irreparabile,
furono i
Rachni stessi ad offrire l'aiuto di cui i Krogan avevano disperatamente
bisogno: data la particolare e, a tratti, assurda biologia di questa
razza, i
Rachni prosperano su pianeti che sono normalmente considerati tossici e
in
ambienti estremi. Le condizioni di Tuchanka senza il Velo erano
degenerate ad
un punto tale che i Rachni non avrebbero avuto problemi ad insediarsi
nelle
zone equatoriali del pianeta, dove la temperatura si innalza fino a 100
gradi
centigradi e le uniche piogge a cadere sono di acidi ossidi sulfurei.
In cambio
del diritto a colonizzare la porzione più inospitale di Tuchanka, i
Rachni
promisero di fornire ai Krogan la tecnologia necessaria a rinnovare il
pianeta.
Non
fu facile per i Krogan accettare l'offerta: i Rachni sono dopotutto la
ragione
per cui i Krogan vennero elevati dai Salarian ai tempi delle guerre del
Consiglio e molti dei figli di Tuchanka avrebbero volentieri ripreso le
armi
contro il loro antico nemico, cercando la gloria in una lotta fino
all'estinzione di una delle due specie. Tuttavia, la nuova direzione
voluta da Urdnot
Wrex e dalla sua Consorte fermò questo ritorno al sanguinoso passato:
in uno
storico incontro diplomatico che venne trasmesso in tutta la galassia
conosciuta, la regina Rachni discese con il resto del suo sciame ad
Hollows, l'ultimo
luogo sacro dei Krogan, per discutere del futuro delle loro razze.
In
una serie di inizialmente tesi incontri, venne rivelato alla galassia
di come la
regina Rachni fosse stata salvata dal comandante Shepard in due
occasioni,
consentendo alla sua specie di sopravvivere: per la prima volta,
raccontò la
regina, qualcuno era riuscito a vedere oltre al loro aspetto grottesco.
Non era
colpa dei Rachni dopotutto, se l'evoluzione li aveva resi insetti di
peso, dimensioni
e potenziale distruttivo paragonabili ad un mezzo corazzato: tuttavia,
il loro
aspetto nasconde una razza dalla grande intelligenza, che era arrivata
al volo FTL
senza aver necessità di elaboratori di calcolo computerizzati e che era
capace
di trascendere le distanze interstellari grazie alla telepatia che
esisteva fra
una regina e i membri del suo sciame. La Regina Rachni raccontò inoltre
la
lunga e ricca storia della sua razza che, grazie alla memoria genetica
della
sua specie, ricordava perfettamente: raccontò di come furono i Prothean
a
selezionare i Rachni più di sessantamila anni or sono per trasformarli,
da
specie pacifica, in uno sciame di agguerrite sentinelle biologiche per
il loro
impero. La Regina Rachni rivelò inoltre di come furono i Razziatori a
spingerli
contro il Consiglio, in un tentativo di anticipare il ciclo della loro
distruzione.
E
dato che Suen ,il pianeta originale dei Rachni, che loro chiamavano "La
Casa dei Canti", non esisteva più a causa di un cataclisma stellare
causato dai Razziatori durante la Guerra, la Regina aveva deciso di
offrire le
capacità del suo popolo ai Krogan, non solo perché Tuchanka ne aveva
bisogno,
ma anche a causa delle affinità nella storia della due razze.
Fu
stilato un trattato: i Rachni si sarebbero insediati nelle zone più
inospitali
di Tuchanka e in cambio avrebbero costruito i processori atmosferici di
cui i
Krogan avevano bisogno per ricreare un ambiente adatto ad accogliere la
loro popolazione
nuovamente in crescita. Per garantire che nessun clan Krogan avrebbe
cercato di
minacciare i Rachni in violente azioni isolate, furono scambiati una
serie di
ostaggi fra le specie, pratica che avrebbe contribuito negli anni alla
nascita
dell'istituto di ricerca Rachni-Krogan di Tuchanka: autorità galattica
nel
campo della fisica dell'effetto massa, delle comunicazioni FTL e delle
difese
orbitali.
Altre
Specie:
-
Vorcha:
L'incapacità
dei Vorcha di creare un'autorità governativa che il Patto possa
riconoscere
impedisce loro di essere inclusi nei circoli di politica interstellare.
Poiché inoltre
la vita media di un Vorcha è di appena venti anni terrestri, anche
instaurare
rapporti politici con singoli individui si rivela problematico. Data
però la
loro adattabilità fisiologica, che permette ad un Vorcha di
sopravvivere in
quasi qualsiasi ambiente, il loro valore come manodopera per i processi
di
terra-formazione è innegabile, e ciò sta contribuendo a redimerli in
parte
dalla loro pessima fama precedente alla Guerra, legata sopratutto al
loro
impiego all'interno di truppe mercenarie come il Branco Sanguinario.
Un'eventuale
evoluzione dei Vorcha in una specie meno aggressiva e un aumento della
loro
capacità mentale sono condizioni necessarie per una rivalutazione del
loro
status di specie.
-
Raloi:
Benché
affine ai Turian per caratteristiche fisiologiche, la civiltà dei Raloi
è stata
scoperta solo pochi anni prima dell'inizio della Guerra, nel 2184: di
fronte ai
Razziatori, che minacciavano di distruggere una galassia a cui si erano
appena
affacciati, i Raloi si sono ritirati sul loro pianeta natale, Turvess,
distruggendo ogni forma di tecnologia in loro possesso nella speranza
di venire
ignorati. Precipitati in un nuovo medioevo per loro scelta deliberata,
il Patto
riconosce ai Raloi il diritto a lottare per essere riconosciuti sul
piano
galattico se e quando riscopriranno nuovamente il volo interstellare:
attualmente, i rapporti diplomatici con Turvess sono inesistenti.
-
Yagh:
Il
Patto conferma la quarantena ad oltranza del pianeta natale degli Yagh,
voluto
dal Consiglio. A causa della loro cultura tribale ed eccessivamente
aggressiva,
l'unico tipo di rapporto diplomatico che gli Yagh sono disposti ad
accettare e
la conquista e l'assoggettamento. Piuttosto che ricorrere a simili
mezzi, il
Patto preferisce l'assenza di qualunque rapporto, augurandosi che la
società
degli Yagh cambi prima della loro conquista della propulsione
interstellare,
data per certa nel giro di un millennio al massimo, poiché gli Yagh
hanno da
poco compiuto la loro seconda rivoluzione industriale.
In
caso contrario, il loro assoggettamento e rieducazione culturale sarà
inevitabile.
- Kirik:
L'osservazione
e lo studio antropologico della specie di insetti biotici originaria
dell'arido
mondo di Ekram continua cautamente: la contaminazione culturale
involontaria
dovuta alle prime squadre di esplorazione del Consiglio è ormai
irreparabile, dato
che i Kirik rifiutato caparbiamente di venire abbandonati dagli
studiosi. Per
loro stessa ammissione, il sequestro della prima squadra di
esplorazione,
guidata dal dottor Andile Ndiaye per tutta la durata della Guerra, deve
essere
considerata la risposta standard ad ogni ulteriore tentativo di
abbandono da
parte degli xenobiologi.
Un
ferreo protocollo di quarantena e non interferenza culturale è in atto,
mentre
gli studiosi continuano la loro osservazione dei nativi di Ekram.
Decremento
Demografico
Oltre
alle decine di miliardi di vittime che la Guerra ha causato, per sei
anni dopo
la fine del conflitto ogni specie, esclusi Krogan, Salarian e Rachni,
subisce
un ulteriore decremento demografico per molteplici concause:
-
Quasi il sessanta per cento degli effettivi di prima linea che hanno
combattuto
contro le forze di fanteria dei Razziatori riporta disturbi debilitanti
da
sindrome da stress post traumatico. Nonostante le cure offerte a questi
veterani, il parossismo causato dai ricordi dell'orrore di cui sono
stati
testimoni o l'incapacità di venire a patti con la morte dei loro cari
(si stima
che non ci sia stato nucleo familiare nella galassia conosciuta senza
almeno
due vittime), porta molti di essi al suicidio.
-
A causa del numero di detriti liberati nell'atmosfera dai bombardamenti
orbitali, aumentano i casi di patologie legate al sistema respiratorio
causate
dagli inquinanti, come l'asbesto, usati negli edifici demoliti dai
Razziatori.
-
Scarsità di viveri: su ogni pianeta, i primi bersagli dei Razziatori
sono stati
sempre le città, ma a mano a mano che la loro opera di distruzione
degli
insediamenti urbani veniva completata, essi si spostavano nei territori
fertili
circostanti, procedendo all'incenerimento o alla contaminazione dei
centri
agricoli. In casi estremi, vengono registrate vere e proprie carestie
planetarie che decimano ulteriormente alcune colonie: solo grazie alle
navi
serra dei Quarian, riadattate per soddisfare anche i bisogni di specie
levo
DNA, e alle tecniche genetiche Salarian, la situazione viene contenuta.
Nexus
Con
la Cittadella distrutta alla fine della Guerra, il Patto si trova privo
di una
struttura centrale da cui guidare la politica interstellare: dopo una
serie di
primi incontri, il Patto è costretto ad ammettere il valore che la
Cittadella ha
avuto per la galassia. Date però le risorse già esigue da poter
indirizzare
nella costruzione di una struttura così mastodontica come la Cittadella
è
stata, il Patto è incerto se chiedere alle specie che rappresenta i
fondi
necessari per finanziare un progetto simile.
La
soluzione a questo dilemma arriva dai progetti di Crucible,
ciò che avrebbe dovuto essere l'arma finale contro i
Razziatori: per inspiegabili ragioni, la superstruttura non ha
funzionato
affatto, ma le innovazioni tecnologiche fatte durante la sua
costruzione e ciò
che esso ha rappresentato nel momento più buio della storia galattica,
sono
ancora vive nella mente di ogni specie. Benché la sua prima
incarnazione sia
stata distrutta assieme alla Cittadella, Crucible
può essere ricostruito: con diverse modifiche, i progetti sono
riadattati per
soddisfare i bisogni del Patto.
La
nuova superstruttura, ribattezzata Nexus, non eguaglia in opulenza la
vecchia
Cittadella, ma rimane comunque una stazione spaziale di oltre sei
chilometri di
lunghezza, nuovo centro della politica interstellare che ospita non
solo la
sede politica del Patto, ma anche una popolazione attiva di cinque
milioni di
persone, distribuita nelle tre braccia della stazione. Ma soprattutto,
il Nexus
ospita l'istituto interferometrico galattico, ovvero il primo e unico
strumento
che le razze senzienti posseggono per interfacciarsi in tempo reale con
la rete
dei portali di tutta la Galassia: una risorsa di controllo e protezione
unica,
perché cancella l'effetto sorpresa di qualunque offensiva verso le
razze del
Patto.
Data
l'importanza strategica del Nexus, e memori della sorte della
Cittadella, la
nuova stazione spaziale viene realizzata per poter funzionare
all'occorrenza
come una supercorazzata, l'unica del suo genere: grazie agli enormi
reattori a
fusione del progetto originale di Crucible,
e per scongiurare la possibilità che esso possa essere conquistato come
la
Cittadella, il Nexus è una struttura mobile, in perenne movimento fra i
sistemi
centrali delle razze del Patto.
La
costruzione, iniziata nel 2191, prosegue per anni ininterrotta, venendo
inaugurata ufficialmente nel settimo anniversario della battaglia per
la Terra,
giorno di festa galattica dedicato alla memoria delle vittime.
SPE.TT.RI
Per
quanto il corpo di Specialisti Tattica e Ricognizione della Cittadella
abbia
prodotto molte aberrazioni durante i quasi due millenni della sua
esistenza, ha
tuttavia salvato un numero incalcolabile di vite, seppur agendo al di
fuori
delle leggi galattiche e con solo l'autorità del vecchio Consiglio a
cui
rispondere. Imperfetto, per stessa ammissione dei suoi membri, il corpo
degli
Spettri è stato una risorsa temuta e rispettata da tutte le razze,
sopratutto
per la nomea famigerata dei suoi membri più noti, non ultimo il
Comandante
Shepard.
Nella
speranza di arginare alcuni eccessi della sua precedente incarnazione,
il corpo
degli Spettri viene riorganizzato: con il nuovo e più generico nome di Guardiani, esso non risponde più
direttamente ai rappresentanti del Patto, ma ad una struttura ad esso
sottoposta, la cui sola ragione di esistenza è proprio quella di
assistere i
Guardiani nel loro compito, separando nettamente la componente politica
da
quella militare del Patto. Per evitare inoltre gli abusi di potere
personale,
il corpo dei Guardiani viene sottoposto a poche ferree regole interne:
seppur
slegati dai limiti delle leggi e delle burocrazie interstellari, i
Guardiani
sono obbligati a rispettare queste norme, pena la cancellazione
dall'ordine,
termine volutamente ambiguo che comprende ogni sfumatura
dall'espulsione alla
condanna a morte senza processo. Inoltre, a differenza degli Spettri, i
Guardiani vengono strutturati come una forza organizzata in piccole
cellule di
tre elementi che agiscono insieme.
Un'ulteriore
divisione viene operata all'interno dell'organizzazione, che prevede la
spartizione degli agenti in due ordini:
-
Il primo, chiamato in codice Scudo, è
stanziale, è si occupa di sovrintendere un'area di competenza,
mantenendo una
costante vigilanza all'interno del suo territorio, che può variare in
estensione da un solo pianeta a diversi sistemi stellari, a seconda
della
necessità. Questo per favorire una connessione fra i Guardiani e le
popolazioni
civili, ma anche per aumentare l'efficacia delle azioni dei Guardiani
in un
dato territorio.
-
Il secondo, chiamato in codice Lancia,
è composto invece da agenti d'assalto, squadre mobili addestrate a
rispondere
efficacemente ad un tipo particolare di minaccia e schierate secondo le
necessità del Patto.
Ulteriori
informazioni sono classificate.
Pianeti
- Terra:
luogo di nascita della specie umana, il pianeta Terra è quello in
condizioni
più critiche fra i pianeti ancora abitabili. Dopo la Guerra, numerose
capitali
risultano distrutte completamente: il numero delle vittime sul pianeta
si
aggira sul miliardo di individui e i superstiti si trovano a dover
fronteggiare
situazioni di ristrettezze alimentari, mentre molti governi cercano di
riaffermarsi dopo il collasso. L'Alleanza si sostituisce a molti
governi
nazionali quando questi non sono in grado di svolgere le loro funzioni,
affermandosi come autorità politica planetaria, non solo militare.
Poiché
la battaglia finale della Guerra contro i Razziatori si è svolta
proprio
nell'orbita terrestre, il numero di frammenti e rottami pericolosi ha
superato
la soglia critica per una navigazione sicura da e per il pianeta.
Diversi
sforzi sono indirizzati ad eliminare tutti questi pericolosi rottami
vaganti, ripulendo
il cielo della Terra una volta per tutte: dieci anni dopo la Guerra,
non
rimangono in orbita altro che le strutture necessarie alla società
umana, un
netto miglioramento alla situazione precedente al conflitto.
A
causa della caduta della Cittadella sulla Terra, la quantità di detriti
e
polveri sottili sollevate in atmosfera ha prodotto un'era glaciale in
miniatura, compromettendo ulteriormente la biosfera: enormi filtri
atmosferici
vengono edificati in tutta Europa nelle città ancora esistenti, in modo
da setacciare
queste particelle e normalizzare la situazione.
La
contaminazione causata dall'elemento zero, sparso nell'orbita terrestre
a causa
delle molte navi distrutte durante la battaglia finale del conflitto,
causa
l'aumento del numero di biotici umani, al prezzo di ulteriori vittime
per
patologie legate al degrado del sistema nervoso.
L'umanità
intera, senza divisioni di razza, credo o età, si dedica ancora una
volta al
compito di ricostruire le proprie città distrutte da una guerra.
- Palaven:
dopo la Terra, Palaven è il pianeta più duramente colpito dai
Razziatori. Per
quanto la società militarista dei Turian sia perfettamente in grado di
far
fronte alla distruzione delle proprie città, nessun nemico prima dei
Razziatori
era mai riuscito ad espugnare il loro mondo capitale. La perdita
maggiore per i
Turian riguarda il proprio patrimonio culturale: la produzione
artistica dei
Turian è sempre stata in numero inferiore a quella delle altre specie,
e molti
di quei pochi capolavori sono ormai perduti per sempre. In una sfida
personale
ai propri antenati, nasce un nuovo movimento culturale Turian, volto a
superare
almeno nella quantità le opere d'arte del suo passato.
- Thessia:
espugnato solo negli ultimi mesi del conflitto, Thessia è fra i pianeti
ad aver
subito meno danni dalla Guerra. Tuttavia, la cultura Asari impedisce
loro di
ricostruire tutte le città distrutte, nella volontà collettiva di
mantenere una
testimonianza di quella distruzione. In un compromesso con i propri
cittadini,
le Repubbliche Asari abbandonano i centri abitati più danneggiati,
trasformandoli in monumenti sempiterni alla memoria dei caduti.
- Rannoch:
in una situazioni diametralmente opposta a Thessia, su Rannoch fiorisce
la
costruzione di nuove città per ospitare i Quarian ritornati al loro
pianeta
natale. Il continente sud del pianeta è colonizzato rapidamente dalla
Flottiglia sotto l'autorità dell'Ammiragliato, per tre secoli il
governo
militare dei Quarian. Aiutati in parte dai Geth nel processo di
edificazione,
la nuova capitale del popolo Quarian cresce rapidamente: battezzata Keelah Lai'Sen, nome che significa "Il
giorno in cui ho visto il mio pianeta natale", la città viene edificata
usando le vecchie navi come base su cui costruire, generando una città
variopinta, disorganizzata e caotica, uno specchio perfetto di ciò che
la
Flottiglia è stata per i Quarian.
- Tuchanka:
grazie alla tecnologia Rachni e alla testardaggine Krogan, il pianeta
sta
lentamente vivendo la sua rinascita. Per quanto sopravvivere al di
fuori della
zona schermata dalla tenda solare non sia ancora possibile per i
Krogan, il
loro numero sta crescendo rapidamente, tanto da rendere necessario una
pianificazione accurata della natalità, in seguito al boom successivo
alla cura
della Genofagia: spazio abitabile e risorse alimentari sono i due
elementi
limitanti alla crescita della popolazione. Tuttavia, per la prima volta
nella
loro storia i Krogan iniziano a ricostruire alcune delle loro città,
non
accontentandosi più di sopravvivere nelle rovine della loro
civilizzazione: il sito
in cui sorgeva l'ultima torre del Velo, ovvero il luogo che ha visto
l'inizio e
la fine della genofagia, diviene territorio neutro per tutti i clan e
il luogo
dove si concentrano i primi sforzi di ricostruzione. Nel tempo, esso
diventerà
il centro culturale e religioso della popolazione Krogan, assumendo il
nome
altisonante di Martello dell'Eroe.
Normandy
SR2
Per
quanto la Normandy SR2 sia stata revisionata dalle forze dell'Alleanza
appena
prima dell'inizio della Guerra, non si può dimenticare che i suoi
costruttori
originali appartenevano a Cerberus, ponendo la nave al di fuori di ogni
autorità ufficiale. Probabilmente la più famosa fra le navi esistenti,
la
Normandy è un simbolo di speranza potente per tutte le specie e anche
il luogo
che eroi di calibro interstellare hanno chiamato per un breve periodo
casa. Piuttosto
che trasformarla in un museo, un destino al quale l'equipaggio e il suo
pilota,
tenente Jeff "Joker" Moreau, si oppone fermamente, il Patto assegna
alla nave un nuovo comandante e una nuova missione: l'ultimo Prothean
ancora in
vita, il comandante Javik, userà la Normandy per setacciare gli altri
bunker che
la sua specie aveva costruito nella galassia per sopravvivere durante
la loro
guerra contro i Razziatori, con l'obbiettivo di trovare altri membri
della sua
specie ancora in ibernazione.
Non
è più la vendetta a guidare l'ultimo dei Prothen, ma la speranza
instillata in
lui da un essere umano.
Comandante
Shepard
Nessuna
notizia del comandante Shepard a seguito della sua ultima trasmissione
dalla
Cittadella. Dichiarata MIA alla fine
della Guerra, viene promossa al grado di Maggiore in contumacia: la sua
sorte è
ignota.
Oggi: 2197
Trovate strano che per poter scrivere una storia di famiglia,
debba preparare così tanto materiale? Personalmente, è proprio il lore
di Mass Effect che mi ha spinto ad amare così tanto la saga e
platinarne ogni capitolo. Tuttavia, a causa dei finali di ME3, non
riesco a scrivere la conclusione delle avventure di Hayat Shepard così
come le avevo cominciate: per rimanere fedele alla trama di ME3, dovrei
snaturare il personaggio che ho creato e andare OC è qualcosa che non
mi sento di fare, per varie ragioni. Avere un riferimento esterno per
la propria storia è una specie di rete di sicurezza per me: mi
impedisce di accontentarmi di svolte narrative deboli e mi costringere
a controllare i fatti che inserisco nella trama con la fonte originale.
Quello che posso fare quindi, dato che non riesco a scrivere la storia
di ME3 (e credetemi, ci ho provato) è lasciarmelo alle spalle, e
tracciare un possibile epilogo di mia scelta, cambiando alcuni elementi
di ME3 (di fatto quegli ultimi maledetti dieci minuti che violentano
tutto il ciclo di ME, perdonate il mio vernacolo) e produrre qualcosa
che spero vi piaccia: in ogni caso, sarei felice di leggere le vostre
recensioni.
Permettetemi di aggiungere inoltre che Kirik e Raloi non sono una mia
invenzione, ma specie che sono state nominate attraverso "Cerberus
Daily News" tra ME2 e ME3 e che mi sono sentito in dovere di aggiungere
dato che fanno parte del lore. Inoltre, per quanto anche Leviathan
appaia all'interno delle espansioni di ME3 come "deus ex machina" per i
Collettori e per l'origine dei Razziatori, in questa storia non
esistono: ho fatto questa scelta perché la presenza di Leviathan crea
davvero troppe incongruenze a livello del lore e l'unica soluzione per
farli esistere sarebbe stata quella di citarli come vittime della
guerra contro i Razziatori... ma perché prendersi questo disturbo?
Un ultima cosa, riguardante gli Asari: nel tentativo di rispettare la
loro assenza di sesso, che tanta confusione crea in tutti, ho deciso
arbitrariamente che il genere degli Asari come specie è maschile (gli
Umani, i Salarian, i Turian), mentre gli individui sono tutti al
femminile. Questo per evitare confusione (o forse no... xD).
Cosa ne pensate? Mantenete la calma, e lasciate qualche recensione. |
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Capitolo 3 *** H Arm Dealers ***
"Il Comandante Shepard ha
sfondato quella porta.
La diceria che
i Collettori abbiano affondato la nave del comandante Shepard con lei a
bordo è
un falso, messo in giro dal comandante stessa per attirare più
Collettori su di
lei.
Il
Comandante Shepard può tagliare un coltello con un
Turian.
Il
Comandante Shepard non è morta: sta solo stabilendo
il nuovo record per l'agguato più lungo."
Storielle
dell'Alleanza - Jane&Jimmy&Joker.
Estratti dal Volume VII.
"Pace! Ovunque mi
volti vedo
pace: pace infine, dopo tutti i gloriosi conflitti del passato. Niente
più
nemici, ma solo alleati, amici e fratelli..."
Salto FTL
completato. 1680 km dall'obbiettivo. Attivazione sistema di
occultamento termo-ottico confermato.
Rilevata
nave ostile in orbita alta: protocollo di hacking lanciato.
"...E mi DISGUSTA! E
mi dà la
nausea! E mi annoia. Noi non siamo fatti per la pace: ma per la
battaglia. Per
il fuoco e per il metallo! No, le nostre mani non sono fatte per la
pace, ma
per afferrare fucili e pistole e cannoni! Per strangolare le nostre
vittime.
Per depredare le loro colonie e poi dare fuoco a ciò che resta!"
Rete
interna nemica acquisita. Rimodulazione campo di contenimento del
nucleo di curvatura in corso.
Massa
critica raggiunta. Implosione in 3,2,1...
"...La battaglia non
ha bisogno
di ragioni: la battaglia è la sua
ragione. Noi non ci chiediamo perché il fuoco bruci o il sangue
scorra..."
Protocollo
di dispiegamento rapido attivato. Siluri da 1 a 5 lanciati.
Attendere
prego.
"...E la pace a cui
danno un
così alto valore non è altro che un'illusione! Poniamo fine a queste
loro
spente vite spese in nome di una bugia! Prendiamo quello che non ci
appartiene!
Facciamo loro rimpiangere il giorno in cui hanno abbandonato le armi!
Noi siamo
pirati sanguinosi e mercenari! Questa è la vita che cercano di
toglierci!"
Ingresso
nell'atmosfera confermato.
20
secondi all'impatto.
"...Avanti allora!
Fatemi
sentire le grida di questa colonia! Fatemi sentire mentre si dibatte e
muore! Fatemi
vedere mentre la luce abbandona i loro occhi!"
Bral Raik abbracciò
con lo sguardo le
sue truppe, la sua vera famiglia, i suoi veri fratelli: trenta
guerrieri gli
restituiscono lo sguardo dietro i loro caschi, stringendo le armi.
Tutti i loro
occhi sono pieni della sua stessa sete di sangue e di follia, così come
dovrebbe essere: vivere per combattere, combattere per vivere, nessuno
di loro
è più in grado di fare una simile distinzione. Loro sono come bestie
affamate,
lupi rabbiosi, senza più un posto nella pacifica Galassia, perché
conoscono
solamente la guerra. Raik e i suoi krannt non si preoccupano delle vite
che
stanno per spegnere, delle famiglie che stanno per distruggere: sanno
solo che
Trategos è una sfera di ghiaccio, tormentata da un gelo perenne che ne
congela
anche i mari e loro, loro sono i pirati che daranno fuoco ad una
colonia di
quasi un milione di persone e distruggeranno ogni edificio fino a
quando non
rimarrà più pietra su pietra.
A nulla sono servite
le difese della
misera milizia coloniale: l'artiglieria di Bral Raik e dei suoi ha già
demolito
le posizioni perimetrali ed è solo una questione di minuti prima che lo
scudo
protettivo della colonia ceda. Per allora, Bral e i suoi saranno già
all'interno del perimetro, impegnati a squartare chiunque si trovi sul
loro
cammino, per rivendicare nulla di più alto del semplice bottino e della
furia
del massacro.
E quando Bral Raik
alzò un braccio
per annunciare la carica col suo urlo di guerra...
THUMP! THUMP! THUMP!
Ciò che Bral e i suoi
sentirono dopo
il triplice impatto, oltre al terreno che gli tremava sotto i piedi, fu
un
suono strano: come un cupo ronzio. Quando il muro di neve che gli aveva
oscurato la vista si posò nuovamente, era ormai già tutto finito.
I tre pezzi
d'artiglieria che Bral e
i suoi avevano posizionato, e il loro vecchio M29, col suo cannone da
155 mm,
sono scomparsi: solo polvere di ferro nera e braci ardenti testimoniano
il
luogo dove si trovava il loro mezzo corazzato. Degli shuttle con cui
sono scesi
sul pianeta, rimane solo lamiera deformata: il metallo squarciato cola
come
caramello rovente nella neve.
La cosa strana, e che
nessuno di loro
è morto: per ora, almeno. Difficilmente si tratta di un caso.
"Bei giocattoli."
disse Bral,
segnalando con un cenno ai suoi uomini di abbassare le armi.
Attorno a loro, tre
mech da
combattimento li sorvegliano ad armi spianate: Bral è grosso, perfino
tra i
Krogan, eppure le tre macchine li sovrastano completamente, nere come
la notte
ed ugualmente enigmatiche. Ma non è a loro che il Krogan si è rivolto:
no, Bral
Raik sta parlando alla figura appollaiata sulla spalla di uno dei tre
esoscheletri.
Lui o lei, anche se
per Bral non fa
nessuna differenza, veste una strana corazza, simile all'armatura di un
antico
cavaliere e anche'essa nera come le macchine al suo comando. Sul petto,
un
drago d'oro rampante è l'unica insegna che la contraddistingua: non ci
sono altri
indizi che aiutino ad identificare la specie del nuovo avversario,
perché
l'elmo che porta è stranamente deforme, volto a nascondere dietro curve
aerodinamiche
la sua identità.
Il guerriero non
salta, piuttosto
levita dalla spalla del mech, posandosi con grazia sulla neve fresca
del
pianeta: attaccato al suo polso destro, c'è il lungo fodero di un'arma,
che fa
apparire la figura ancora più asimmetrica, poiché la fine del fodero è
ben
oltre la sua testa, l'impugnatura verso terra.
Bral ha già visto
un'arma simile
durante la Guerra: la chiamano spada,
o così gli sembra di ricordare. Un'arma strana, per quegli strani
soldati
appartenenti alla razza umana.
"PTX-40a, basati sul progetto
dei mech ATLAS." disse il guerriero
indicando il
piccolo gigante dietro di lei.
Un
sintetizzatore vocale, realizzò Bral: progettato per rendere la voce
irriconoscibile ed irrintracciabile.
"Sono
in vendita?"
"Un
proiettile alla volta."
"Eh!
Finalmente uno spirito affine... " sospirò compiaciuto Bral: rimanevano
troppi pochi guerrieri nella galassia per i suoi gusti. "...Ma perché
esiti ora? Avresti potuto spazzarci via nel momento in cui sei
arrivato."
disse, indicando a sua volta la macchia di ruggine alle sue spalle con
un tozzo
pollice.
"Il nucleo di curvatura della vostra
astronave d'appoggio è imploso. Le vostre capacità di volo sono
inesistenti."
"Aaah...
strategicamente sensato, ma non fa nessuna differenza per noi. Sono
sicuro che
la colonia alle tue spalle ha tutte le navi di cui abbiamo bisogno."
"...Arrendetevi,
morite. O entrambe."
"Mi
piace, capo: mi piace sul serio." disse un Batarian staccandosi dalle
file
degli uomini di Bral.
"Anche
a me Tarque." annuì il Krogan: "... anche a me. Ma tu...
tu mi prometti la morte. Non fare
promesse che non puoi mantenere..." disse il Krogan, facendo un passo
verso il suo interlocutore.
"...Tu
non sai quanto io desideri la morte: io e questi miei krannt... La vita
si è
attaccata a noi come una sgradevole malattia. Noi sappiamo solo
combattere e la
pace che c'è in questi anni... non la comprendo io, e non la
comprendono i miei
uomini."
Il
signore della guerra scosse la testa tristemente, per sottolineare le
sue
parole:
"Io
sono vecchio, perfino tra quelli della mia specie: per tutti i miei
anni, non
ho fatto altro che combattere cercando qualcuno che potesse finalmente
finirmi:
nemmeno i Razziatori ci sono riusciti e non perché non ci abbiano
provato."
La
distanza fra loro si stava riducendo a mano a mano che il Krogan
avanzava: Bral
lo supera in altezza di almeno un metro.
"...Ma
se tu pensi di potermi uccidere, ed è l'unico modo in cui ci fermerai
piccolo
soldato, allora provaci. Almeno mi divertirai un poco."
Il
suo braccio si allungò di scatto. Bral Raik era forte: aveva ucciso
Rachni a
mani nude. Ma quando fece per afferrare la gola del guerriero, si
accorse che il
suo braccio terminava appena prima del gomito: un taglio netto.
Quando
aveva estratto?
"Patetico."
Raik si inchinò di
fronte al suo
avversario, ma non per scelta: gli erano state tagliate entrambe le
gambe. Per
scelta, il Krogan si accasciò malamente sul moncherino: la mano
superstite gli
era ancora utile.
"Eh! È passato troppo
tempo
dall'ultima volta che ho avuto una simile battaglia! Questo è glorioso!"
Il suo fucile si
dispiegò mentre lo afferrava
nel pugno: quel brivido... da troppo tempo Bral Raik non sentiva più
quel
brivido e quella gioia. Ma la sua arma gli sfuggì: quel suo primo amico
e
compagno di tante battaglie cadde nella neve assieme alla sua mano
superstite,
tranciata all'altezza del polso.
Attraverso la
schiena, il guerriero
pugnalò uno dei cuori di Bral, spaccò il secondo e lo calciò via nella
neve: il
sangue arancione del Krogan scorreva ormai a fiumi dal suo vecchio
corpo.
Eppure, Bral non
riusciva a smettere
di sorridere: non vedeva più un simile abbandono nel combattere da
troppo
tempo, ed era la primissima volta nella sua lunga vita che trovava
qualcuno
così tanto più forte di lui. Il suo unico rimpianto in quel momento, fu
nel non
aver riconosciuto subito il valore del suo avversario: era la prima
volta che
Bral Raik veniva costretto a confrontarsi con la sua debolezza.
Davvero un peccato:
altrimenti, Bral
Raik avrebbe potuto godere di quel furore più a lungo.
Anche quando gli
prese la vista, a
Bral non importò più di tanto: ne era valsa la pena, venire sconfitti
così da
un simile Guerriero, lo ripagava di tutti i suoi giorni spesi in
agonizzante
attesa di quel momento.
"Ho qualcosa per te,
Krogan." disse la voce, nel buio
che stringeva il Krogan da ogni
parte.
"E io che non ti ho
preso
niente... Eh! Mi hai preso gli occhi: non vedrò arrivare la mia morte.
Non
potrò averne paura come si conviene: è bella almeno?"
"Come una stella."
Se avesse avuto
ancora gli occhi per
vedere, Bral Raik avrebbe forse ammirato la sfera rossa sopra di lui:
un
piccolo sole, grande quanto il suo pugno e percorso da lampi elettrici.
Una
stella, così simile a quella del suo pianeta natale, fatta solo per lui.
"Allora dalla a me."
Bral Raik non sentì
nulla: di lui non
restò altro che una macchia sulla neve.
"...Se davvero cercavi
la morte, avresti dovuto farlo da solo. Intollerabile."
Poi
il Guerriero osservò gli uomini di Raik: erano rimasti attoniti, troppo
impietriti per riuscire ad intervenire. Nessuno di loro aveva mai
pensato che
sarebbe venuto il giorno in cui finalmente Bral Raik, il loro personale
signore
della guerra, avrebbe incontrato la sua fine. Tutti i krannt che erano
rimasti
al suo fianco fino a quel giorno, si erano convinti che il loro capo
avrebbe
seppellito tutti loro: perché Bral Raik era invincibile, o così si
erano sempre
ripetuti.
Ma
quando il Guerriero li guardò da dietro il suo elmo deforme, tutti loro
seppero
che anche
disarmato e
senza i suoi poteri biotici, anche senza quegli esoscheletri alle sue
spalle,
anche se fossero stati dieci volte il loro numero... loro non avrebbero
mai
potuto vincere.
Tarque, il Batarian,
si fece avanti
per la seconda volta, canalizzando la volontà di tutto il gruppo:
"Credo che ci
arrendiamo."
disse, lasciando cadere le armi.
La spada ritornò nel
fodero.
"Navetta
1 ai coloni di Trategos: i vostri attaccanti sono stati
neutralizzati. Richiediamo il permesso di atterrare."
***
Lei era bellissima:
davvero bellissima
ed elegante. La sala conferenze della colonia sembrava quasi
risplendere della
sua presenza: fra gli anonimi camici da laboratorio e i completi ormai
fuori
moda dei direttori, la sua grazia era quasi abbacinante.
Questo, la dottoressa
Elea Megara
poteva accettarlo; ma le vecchie matriarche sfiatate che balbettavano
come
fanciulle appena scappate di casa per inseguire il loro primo amore,
erano
davvero sconvenienti. Farsi catturare così dall'aspetto di qualcuno...
ma
nonostante tutto Elea, non poteva incolpare il loro ospite: anche dalle
ultime
file in cui era seduta, riusciva a vederla molto bene mentre rispondeva
a tutte
le domande che le erano poste con grazia. Era palese che non avesse
bisogno di
affascinarli, ma, proprio per questo, la sua bellezza li colpiva due
volte di
più: seduta in mezzo al palco della sala conferenza, l'Asari brillava
della
luce della sua prima giovinezza. Doveva essere una matrona molto
giovane, se
non addirittura una giovane adulta: vestiva con eleganza un semplice
vestito dorato,
con un fiore dello stesso colore ad adornarle il capo. A sua volta,
quel giallo
faceva risaltare l'azzurro naturale della sua pelle e dei suoi occhi: a
parte
un bracciale ed un anello alla mano destra, uniti assieme da un catena
d'argento nel classico vincolo di matrimonio fra gli Asari, non portava
niente
di più appariscente del suo omnitool acceso sul braccio.
Sì, era davvero molto
bella, così
come molto incinta: ed era questo il motivo per cui si rivolgeva a loro
rimanendo seduta in mezzo al palco.
"... come ho avuto
già modo di
dirvi, è a mister... Gunn che dovete rivolgere i vostri ringraziamenti
per il
tempestivo intervento." ripeté amabilmente per l'ennesima volta.
Quando la sua nave
era atterrata, l'Asari
si era presentata a loro semplicemente come miss Gunn, delegata della
S&T,
una consociata della Lawson Incorporated: la S&T che rappresentava,
di cui
miss Gunn era apparentemente vicepresidente e responsabile delle
pubbliche
relazioni allo stesso tempo, si occupava da anni della progettazione di
sistemi
di difesa coloniale. Trovandosi nelle vicinanze del pianeta, la S&T
aveva liberamente
offerto il suo aiuto contro i pirati, neutralizzando la minaccia prima
che ci
fosse una sola vittima. La successiva conferenza organizzata dalle
matriarche
di Trategos per ringraziare adeguatamente i loro salvatori si era
rapidamente
trasformata in una riunione d'affari, dato che miss Gunn stava ora
trattando
per cercare di assicurarsi un contratto di fornitura: tutto lasciava
supporre
che le sarebbe costato poca fatica, dato il successo del piccolo gruppo
d'assalto
della S&T nel difendere la colonia.
Per la dottoressa
Megara, quella
riunione era uno spreco di tempo: era l'unica sulla colonia a saper
usare
extranet? Le sembrava palese chi la S&T fosse davvero: un mercante
di armi
ripulito, che si era reinventato dopo la Guerra. Presentarsi come una
consociata della famigerata Lawson Incorporated diceva già tutto quello
che
c'era da sapere su di loro: nuovo astro nascente del panorama
industriale
dell'Alleanza, si diceva che l'amministratore delegato e fondatore
della Lawson
Inc. avesse addirittura passati legami con Cerberus.
Se fosse stato per
Elea, avrebbe
cacciato la S&T da Trategos, subito dopo averli ringraziati
ovviamente: invece,
le matriarche avevano deciso di includere all'incontro tutte le figure
di
spicco della colonia, per farli assistere mentre si scioglievano come
burro di
fronte a quella Asari molto incinta.
"... Ma non essendo
Mister Gunn
a questo nostro incontro presente, rivolgeremo i nostri ringraziamenti
a lei,
Miss Gunn. Invero, spero che questa assenza non sia dovuta a ferite o
danno
subiti durante il suo tempestivo salvataggio della nostra piccola
colonia."
La Matriarca
Seognide: quasi mille
anni di età ed amava ricordarlo a tutti ogni volta che prendeva parola.
Perfino
il suo dialetto era antico: nemmeno su Thessia si usava più la vecchia
parlata
di Serrice.
"Non c'è ragione di
preoccuparsi
nobile Matriarca: mister... Gunn sta semplicemente riposando. Tuttavia,
potete
essere certi che riferirò i vostri ringraziamenti e sono sicura che
mister...
Gunn ne sarà deliziato."
Il gorgoglio delle
Matriarche
interruppe la discussione per un momento: nobile matriarca? Nemmeno
Elea usava più
un simile e pittoresco modo di esprimersi. Quella giovane Asari era un
ingannevole predatore: delicata come il fiore che portava forse, ma
dalla mente
dotata di lunghi artigli.
Non che importasse
molto alla fine: Elea
non aveva nessun problema ad assistere allo scialacquare delle
Matriarche, fino
a quando i crediti per i prodotti della S&T non provenivano dal suo
fondo
di ricerca oceanica.
Bastò un semplice
colpo di tosse di miss
Gunn per riacquistare l'attenzione dei presenti: li aveva completamente
alla
sua mercé.
"...Per tornare al
precedente
argomento, come vi ho mostrato i PTX-40a sono un'innovazione notevole
rispetto
agli Atlas su cui sono basati: sono dotati di equipaggiamento modulare
che
permette loro di adattarsi ad ogni situazione. In accordo al clima di
Trategos,
possiamo dotare i vostri PTX di pattini, ovviamente senza costi
aggiuntivi:
combinandoli col loro sistema di propulsione dorsale, scivolerebbero
sulla neve
come slitte a razzo."
"A quale velocità
massima?"
chiese un Turian dalle prime file: il loro responsabile della milizia
coloniale, di cui Elea faceva il possibile per dimenticare il nome.
"Circa un centinaio
di
chilometri all'ora su una distesa pianeggiante, ma non più della metà
su
terreno accidentato. Con una autonomia di almeno dieci ore anche in
situazioni
di combattimento."
"Comunque meglio di
quanto
possediamo attualmente."
"Kss-
Io sono più interessato alle funzioni autonome dei vostri
mezzi -kss. È vero che possono agire
senza un pilota al loro interno?"
"Corretto... mister
Ubrec Ele, è
esatto?" un rotondo e grasso Volus in prima fila assentì contento.
"...Per quanto i nostri PTX funzionino al meglio quando vengono
pilotati,
le IV di bordo sono capaci, fino ad un certo livello, di agire
autonomamente e
condurre una manovra d'assalto coordinandosi fra loro e con le altre
forze di
terra."
Con un gesto elegante
dell'Asari sul
palco, il video che gli strumenti della colonia avevano catturato sui
loro
assalitori, e di come erano stati neutralizzati, venne nuovamente
riprodotto:
"...Potete osservare
come le
nostre quattro unità abbiano agito in concerto con mister... Gunn,
assicurando
una copertura totale dei suoi movimenti: qui vedete il gruppo di
attacco delle
tre unità dispiegato assieme, riprese dalla quarta, rimasta a distanza
per dare
supporto."
"E tutto questo solo
grazie alle
IV di bordo?"
"I PTX di cui
disponiamo personalmente
sono in servizio da un certo tempo. Grazie alla tecnologia di cui siamo
proprietari, le nostre IV sono in grado di apprendere e hanno imparato
a
sincronizzarsi con mister... Gunn al meglio: più i PTX sono usati,
meglio combattono,
in poche parole."
"E lei sostiene che
queste
vostre macchine sarebbero meglio di un sistema di artiglieria
orbitale?"
chiese di nuovo il capo della milizia coloniale.
"Assolutamente e per
diverse
ragioni: i cannoni di cui lei parla sono indubbiamente capaci di
respingere una
nave in orbita. Ma sono superstrutture estremamente costose, lunghe da
costruire e facili da eludere: basta muoversi al di fuori dell'angolo
di tiro
per renderle obsolete. I PTX possono essere invece adattati per far
fronte ad
un numero quasi illimitato di situazioni: la Lawson Incorporated li
impiega
perfino per esplorazioni in ambienti ostili e per la ricerca
scientifica, uno
dei primi interessi di questa colonia, se non vado errata. Infine,
quattro PTX
costano la metà di quanto spendereste per un sistema di artiglieria
orbitale."
"...La decisione
finale non
spetta a me, miss Gunn, ma ammetto che lei ha la mia completa
attenzione."
Tipici Turian, pensò
Elea:
militaristi fino all'ultima cellula del loro corpo.
"E spero di
continuare ad averla:
non sono ancora arrivata al culmine della nostra offerta." disse
l'Asari
con un sorriso: "...come ho già detto, esistono diversi equipaggiamenti
modulari per i nostri PTX, oltre al sistema di barriere cinetiche
integrato. I tre
che abbiamo usato durante il nostro intervento su Trategos sono l'MSu,
l'LT e
un modulo Omnishield. Questi rappresentano probabilmente i tre moduli
di
livello più alto che la Lawson Incorporated produce attualmente."
Il video sopra di lei
venne
sostituito da una schematica generata al computer, una di quelle
rappresentazioni virtuali piene di numeri e specifiche spartane che
annoiavano
terribilmente Elea: il modello al computer mostrò un PTX impegnato a
proteggere
con un'enorme scudo arancione generato dal suo braccio l'avanzata di
piccole
figurine stilizzate, assorbendo al loro posto degli immaginari colpi
nemici.
"L'Omnishield è un
sistema di
difesa di mischia basato sulla tecnologia degli omnitool, adattato però
ad un
esoscheletro da combattimento. il PTX diventa così in grado di fornire
una
copertura alle forze di fanteria che sta assistendo, difendendole
fisicamente
dal fuoco di armi di medio e piccolo calibro, o da pochi colpi
d'artiglieria,
come è avvenuto durante il nostro intervento. Il PTX può muoversi
liberamente durante
il dispiegamento dell'omnishield, diventando così l'avanguardia di ogni
assalto."
Il video si
interruppe, passando ad
un'immagine fissa di un'arma bulbosa e molto lunga: ad Elea ricordavano
certe
lunghe beute che usava in laboratorio.
"L'LT è l'arma che è
stata
utilizzata dalla nostra unità di supporto per neutralizzare gli shuttle
nemici:
con una gittata massima di una trentina di chilometri, è un cannone
fluido-magnetico.
Riscalda un getto di ferrofluido ad alta densità fino alla transizione
allo
stato di plasma, e quindi lo espelle a velocità relativistiche.
L'energia
cinetica e la temperatura del proiettile sciolgono il bersaglio,
penetrando
attraverso di esso per diversi metri: come potete osservare, un unico
colpo del
nostro LT è bastato a neutralizzare i tre shuttle pirati."
La foto seguente
mostrava i tre
shuttle liquefatti e sagomati in tre sculture d'arte moderna: i
marcatori
termografici a fianco all'immagine riportavano temperature superiori ai
3000
°C.
L'animazione
seguente, che si accese
a fianco della foto precedente e la sostituì in dissolvenza, mostrava
una fila
di proiettili stipati uno di fronte all'altro e di come avvenisse
l'accensione
sequenziale di ognuno di essi: a fianco dello schema, campeggiava a
chiare
lettere la frase Proiettili Immagazzinati
ad Attivazione Elettronica (EISP)
"L'MSu è il fiore
all'occhiello
della S&T: un lanciagranate basato sulla tecnologia EISP,
spara granate esplosive a ricerca da 2 grammi a velocità doppia
rispetto a quelle del suono. Gittata massima affidabile: cinque
chilometri. La
tecnologia EISP necessita di
attrezzature specializzate per il precaricamento delle munizioni e la
manutenzione, rendendola una scelta impopolare in quest'epoca dei più
semplici
ed economici acceleratori di massa."
Miss Gunn fece una
pausa ad effetto
prima di continuare:
"...Tuttavia, il
fatto che l'MSu
possa essere configurato con qualunque frequenza di tiro tra i
trentamila e il
milione di colpi al minuto, rende la tecnologia EISP
una scelta estremamente impopolare tra tutte le bande
mercenarie e di pirati della Via Lattea."
Il video seguente era
una ripresa in
alta definizione girata da una delle tre unità della S&T che
avevano combattuto
direttamente i pirati, opportunamente rallentata: Elea osservò il pigro
torrente
di metallo fuoriuscire dall'arma del robot, cancellando i pezzi di
artiglieria
dei pirati senza lasciarne nemmeno della limatura. Prima ancora di
cominciare
ad esplodere, le munizione si accumulavano sul bersaglio in un numero
troppo
grande per essere compreso: per Elea, che non aveva mai preso un'arma
in mano
in vita sua, l'effetto era quasi comico.
"L'MSu non uccide:
annichila."
concluse l'Asari dal palco.
L'espressione sul
volto del capo
della milizia coloniale era interessante: se Elea avesse dovuto tirare
ad
indovinare in quel momento, avrebbe scommesso che il Turian avesse
appena avuto
un orgasmo.
BLEEP! BLEEP! BLEEP!
Tutti gli occhi della
sala conferenze
furono su di lei in un solo istante.
Eppure Elea era più
che certa di aver
spento il suo comunicatore personale: una simile mancanza di tatto non
era da
lei e tuttavia, del tutto indifferente ai suoi desideri, il suo
comunicatore
strillava a pieno volume per avere attenzione, senza che la dottoressa
potesse
spegnerlo. La fuga fu la sua unica opzione: in totale imbarazzo, si
catapultò
fuori dalla sala conferenze in tutta fretta, benedicendo la Dea che le
aveva
riservato la penultima fila di poltrone.
Ovviamente, non
appena le porte si
chiusero alle sue spalle, il suo comunicatore decise di aver fatto
abbastanza
danni e smise di strillare.
"Malnato aggeggio..."
sospirò Elea: non c'era nessun codice identificativo di chiamata.
Sembrava che
il suo comunicatore avesse semplicemente deciso di impazzire nel bel
mezzo
della sala conferenze.
"Dottoressa Megara?"
Se non si fosse
sforzata così tanto
nel corso degli anni per disabituarsi, in quel momento probabilmente
Elea
avrebbe imprecato per lo spavento: il suo comunicatore le sfuggì
comunque di
mano.
Il Geth che l'aveva
sorpresa alle
spalle si mosse troppo velocemente perché Elea potesse seguirlo con lo
sguardo:
per un solo momento fu una macchia color cobalto che si tuffò verso il
basso e
verso di lei.
Quando si rialzò,
aveva in mano il
suo comunicatore e glielo stava porgendo, indifferente al fatto che
Elea si
fosse illuminata della corona azzurra dei suoi poteri biotici: la sua
forma era
così aliena, con l'innaturale testa a forma di torcia e cavi
serpeggianti dove
avrebbe dovuto esserci un volto.
"..."
"..."
"...Grazie." si
sforzò
infine di dire, prendendo il comunicatore che le veniva porto, cercando
di non
toccare il Geth.
Per quanto ormai
parte della galassia
e del Patto, Elea aveva ancora paura di tutti i sintetici. Il Geth non
rispose:
si limitò ad alzare la testa per osservarla meglio.
Elea si sentì subito
a disagio:
sapeva di essere alta. Conosceva bene il fatto di sovrastare ogni altro
colono di
Trategos e il 99% della restante popolazione Asari nella Galassia: come
avrebbe
potuto essere altrimenti? Ma almeno su Trategos il suo metro e
novantasei
centimetri di altezza, che arrotondava sempre a soli 190 centimetri, e
il
colore della sua pelle rosa salmone, passavano per una semplice
bizzarria
genetica. C'era un motivo se Elea aveva scelto Trategos per i suoi
studi
oceanografici e si teneva lontana da ogni mondo cosmopolita Asari: era
così
stufa del cosiddetto "ambiente accademico", da bastarle per due vite.
"Lei è la dottoressa
Elea Megara."
affermò il Geth con sicurezza: la sua voce era metallica, ma non priva
di
sfumature. Sembrava... compiaciuto, di averla trovata.
"Esatto... e chi, se
posso
chiedere, sarebbe lei?"
"Noi siamo Geth." fu
l'asettica risposta.
"...Mi creda, questo
è piuttosto
evidente. Vorrei sapere il suo nome, se possibile."
"Noi non abbiamo
nome..."
scandì lentamente il Geth. "...Noi possediamo un codice identificativo,
una designazione e molte funzioni. Siamo qui per accompagnarla."
Tutto quello che la
sua mente educata
nelle migliori scuole di Thessia riuscì a produrre in risposta alla
frase del
Geth, fu un eloquente:
"...Uh?"
Il Geth indicò il
soffitto con una
delle sue mani metalliche:
"Mister Gunn desidera
incontrarla."
"...E se preferissi
rimanere
invece?" chiese Elea indicando la sala conferenze, nella quale miss
Gunn
si stava certamente assicurando un contratto a dieci zeri con le
matriarche.
"Non comprendiamo
perché
dovrebbe: mister Gunn ha specificatamente cambiato rotta per salvare
questa
colonia, dottoressa Megara. E quindi anche lei."
Era la seconda volta
che quel Geth
riusciva a lasciarla di sasso in pochi secondi:
"Inoltre, i segni
vitali
trasmessi attraverso il suo comunicatore indicavano uno stato di
profonda noia
durante l'esposizione di miss Gunn."
Lo sguardo della
dottoressa Elea
passò al comunicatore che aveva ancora in mano.
"Hai hackerato la mia
rete
personale...." realizzò Elea in quel momento: era sicura di aver spento
il
suo comunicatore prima di entrare nella sala conferenze e ora ne aveva
la
prova: "... Questo non è affatto cortese."
"Mister Gunn desidera
incontrarla." ripeté il Geth laconico: "Non ha ragione di indugiare:
la preservazione dei suoi parametri vitali è da ora una delle nostre
direttive
primarie."
"...Riferisca a
mister Gunn che
ha terribili maniere. E che se ha un tale desiderio di incontrarmi, può
trovarmi nel mio alloggio."
"Non desidera
conoscere il
motivo per cui mister Gunn vuole incontrarla?" le chiese il Geth,
mentre Elea
si separava da lui con la ferma intenzione di dirigersi ai suoi
laboratori per
lanciare una diagnostica di sicurezza del sistema informatico.
"Perché dovrei?"
"Perché riguarda sua
madre."
Suo malgrado, Elea si
voltò per
squadrare nuovamente il Geth: ora avrebbe davvero imprecato di gusto.
"...Estremamente
poco cortese." sussurrò invece.
"Da questa parte."
indicò
il Geth, facendole strada verso il porto della colonia.
***
"...Piuttosto grande,
come
vascello."
Normalmente Elea non
avrebbe
scambiato convenevoli con un Geth, ma non le era mai piaciuto viaggiare
nello
spazio: per lei, la distesa nera fra le stelle era sempre stata una
morte
orribile dentro spazi troppo angusti. Parlare con qualcuno l'aiutava a
superare
la paura, ma il Geth non avrebbe mai cominciato una conversazione per
primo:
"Sì. Prova interesse
alle navi
spaziali, dottoressa Megara?"
"Solo se devo salirci
a bordo...
che cosa puoi dirmi su di essa?" chiese più bruscamente del solito,
artigliando i braccioli della sua poltrona.
"Non ci è permesso
dire molto al
momento. Rientra nella categoria degli incrociatori per massa: la
corazzatura
esterna e i sistemi di barriere cinetiche sono tecnologia Geth
all'80%."
Ma questo era più che
evidente, dato
che la loro meta sembrava l'incrocio fra una vespa senza'ali ed un
gigantesco
gambero di cromo: un design unico, che non poteva essere confuso con
nessun'altro nella Galassia.
"...Ha un nome
almeno?" Elea
si stava sforzando di prolungare il più possibile la conversazione con
quel laconico
manichino di metallo.
Il Geth lasciò andare
la cloche dello
shuttle, collegando la sua mano ad un ingresso dati: in risposta, una
ripresa ingrandita
della paratia esterna dell'incrociatore venne materializzata in un
angolo del
quadro comandi. Elea osservò per un momento le scritte nere sul
metallo, per
lei incomprensibili, prima che fossero tradotte in un angolo
dell'immagine a
suo beneficio: A-51, lesse la dottoressa.
"Questa è una sigla,
non un
nome." commentò acida.
"Sì." concesse il
Geth con
un sibilo elettronico: "Mister Gunn ha usato questa sigla
identificativa
della paratia per dare un nome al suo vascello."
Erano ormai così
vicini
all'incrociatore, che la ripresa ingrandita della paratia non serviva
più: Elea
poteva vedere chiaramente le grandi lettere nere. Un cerchio blu
intermittente
si accese appena prima della scritta, segnalando il punto di
l'attracco: una O
di colore azzurro.
"O A-51" disse il
Geth a
voce alta. "Oasi: nel suo significato attuale, un luogo isolato dove la
vegetazione prospera grazie ad una fonte naturale di acqua potabile.
Nel suo
significato ancestrale, un luogo in cui era possibile edificare una
dimora
stabile."
Il sussulto causato
dalle pinze di
attracco fu molto più lieve di quanto Elea si aspettasse: fu solo il
sibilo
della pressurizzazione esterna a confermarle che l'aggancio era
avvenuto.
"Mister Gunn la sta
aspettando" disse il Geth.
"Credevo mi avrebbe
accompagnato." rispose Elea, quando vide che il suo pilota non si era
mosso dal sedile.
La testa a forma di
torcia si spostò
lievemente per osservarla meglio:
"Dottoressa Megara,
noi..."
Il portellone dello
shuttle si aprì
in quel momento, rivelando un secondo Geth dello stesso color cobalto
del primo
ad attenderla in piedi: "... la stiamo già accompagnando."
"Da questa parte."
offrì il
nuovo Geth, invitandola a seguirlo. Per l'ennesima volta, nel silenzio
della
sua mente, Elea maledisse sua madre e si chiese se, nonostante quello
che le
era stato detto, avrebbe mai rivisto Trategos.
Ma ormai era troppo
tardi per i
dubbi: la paratia si chiuse alle sue spalle, precludendole una fuga
precipitosa
verso lo shuttle che aveva appena lasciato: poteva solo andare avanti.
I corridoi
all'interno
dell'incrociatore erano spaziosi e ben illuminati: molto più di quanto
Elea si
aspettasse. Per quanto le navi e i viaggi spaziali la terrorizzassero,
Elea si
rese conto quella nave era stata progettata per offrire il massimo
comfort possibile
ai suoi ospiti. Gli ambienti erano lindi e luminosi, con toni chiari
sulle
paratie interne, e nell'aria c'era uno strano profumo, floreale, e non
una di
quelle fragranze chimiche da quattro soldi: un profumo di veri fiori
freschi.
Ma soprattutto, Elea osservò stupita i tappeti di vimini che coprivano
il
pavimento dei corridoi.
Il Geth che la
precedeva la condusse
oltre una brusca svolta alla sua sinistra e poi per un corto, ma
spazioso
corridoio, che terminava con una larga porta chiusa. Quando il Geth si
trovò di
fronte ad essa, la sua mano di tre dita bussò due volte contro il
metallo:
"Abbiamo portato la
dottoressa Elea
Megara."
In risposta, la porta
si spalancò sibilando
di fronte a loro , dividendosi a croce in quattro segmenti e
scomparendo fra le
paratie della nave.
"Dopo di lei." disse
il
Geth, invitandola ad entrare: Elea dovette accumulare tutto il suo
coraggio per
superare la soglia.
La luce nella stanza
era soffusa e
rendeva difficile stimarne le dimensioni: l'ambiente aveva una forma
triangolare, con due enormi vetrate su ogni lato, che permettevano di
ammirare
il pianeta sottostante e le stelle. Al centro della stanza, qualcuno la
stava
aspettando, seduto a gambe incrociate su un tappeto:
"Ben arrivata,
dottoressa
Megara. È un piacere incontrarla, finalmente: posso offrirle qualcosa?
Idromele
Asari? The? Una tisana? Ho anche un'effervescente tonico Salarian..."
Elea
realizzò tre cose: mister Gunn parlava la
lingua Asari, anche se con un lieve accento esotico. Mister Gunn non
era
affatto un uomo. Ed Elea conosceva mister Gunn:
"Deicida..."
D'accordo lo ammetto: sono patologicamente incapace di
trovare un titolo decente alle mie storie. E quindi H Arm Dealers
è un pessimo gioco di parole in inglese.
"Arm Dealer" significa semplicemente venditori di armi. Harm invece
significa anche danno, nel senso di danno fisico e dolore. Da solo, il
verbo Deal significa anche distribuire...
Quindi il titolo può essere letto in vari modi: lo so, lo so è pessimo
come gioco di parole, però si adatta ai membri della S&T che
vendono armi e distribuiscono dolore, salvano le colonie... chissà chi
saranno mai?
Passando ad altro, in ordine di apparizione:
- Ptx-40a, vi suona familiare? Forse perché avete giocato a Lost Planet
una volta. Trategos è anch'esso un pianeta ghiacciato dopotutto, ma non
ha bacherozzi giganti e affamati, per quanto ne sappiamo...
- La tecnologia EISP non è una mia invenzione, ma una seria innovazione
tecnologica su cui probabilmente saranno basate alcune armi del futuro.
Lascio a voi trarre le conclusioni su quanto strani siamo come specie:
sputare metallo è più importante di andare nello spazio.
Recensite e lasciate un parere, per favore, o continuerò a fare pessimi
giochi di parole senza controllo... Alla prossima!
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Capitolo 4 *** Benvenuto in Famiglia ***
-Agente Operativo 3497:
"Star Trek TNG, arte visiva
e discipline marziali: hobbies più banali di quanto mi aspettassi data
la
vostra origine.
"In
famiglia ci considerano quelle normali: noi non
sposeremmo mai un membro del nostro clan. O un Risvegliato.
...E
nemmeno ci tufferemmo nella cromosfera di una
gigante rossa per divertimento.
In effetti, a
parte il fatto di leggerci la mente a vicenda...
...Siamo
solo due ragazze normali."
Incontro
preliminare per la nomina a Guardiani
(Approvate), Selene e Alune bint Hayat T'Soni
"...Deicida?" ripeté
la
figura sul pavimento.
"Una superstizione
largamente condivisa,
diffusasi da extranet a partire dal 2188 come termine generico per
riferirsi a
lei, Miss." intervenne il Geth alle spalle di Elea: "Origine: culto
Batarian dei Pilastri della Forza. Libro di Gogosh, versetto 437: Figli di Kar'Shan, dirigete il vostro
sguardo a Gogosh, dove l'Antico veglia sulle mura. E così disse il
Deicida:
Ecco! Io sono il tuo nemico..."
"Può bastare."
l'interruppe
la donna al centro della stanza e il Geth si azzittì con uno squittio
elettronico: "...Questo complica le cose, ma non di molto immagino."
In risposta ad un
gesto della sua mano,
accompagnato da un fioco lucore azzurro, uno dei cuscini sparpagliati
nella
stanza fluttuò obbediente, andando a posarsi proprio di fronte a lei:
"Venga a sedersi con
me, la
prego: nonostante il mio aspetto, le assicuro che non mordo." continuò
la
donna con un sorriso ed un cenno d'invito: "...E non ha ancora risposto
alla mia domanda: posso offrirle qualcosa?"
Elea non rispose: non
poté.
Come tutti, la
dottoressa aveva già
visto alcuni veterani della Guerra: per la maggior parte, tristi figure
a cui i
Razziatori avevano tolto più di qualche semplice pezzo di carne. Elea
non
riusciva mai ad accettare tutto al primo sguardo: solo prendendosi del
tempo
per osservare ogni parte, l'Asari riusciva ad impedirsi di fissare in
seguito.
La sua ospite non era
la
testimonianza della Guerra più grave che avesse mai visto, ma a causa
della sua
asimmetria era di certo la più inquietante: il lato sinistro del suo
corpo testimoniava
la sua sopravvivenza nonostante le enormi sofferenze subite. Dei due
occhi,
entrambi di colore violetto, solo uno era normale, poiché quello
sinistro era
una strana protesi dove l'iride era formata da due cerchi sottili,
circondata
da tre punti disposti a triangolo: era facile cogliere quei dettagli,
perché
quello strano occhio sembrava brillare dall'interno. Sullo stesso lato,
bottoni
di metallo di grandezza decrescente si allungavano dalla tempia fino
all'orecchio, tradendo con la loro posizione protesi integrate che
dovevano
sostituire parte del sistema nervoso. Ma ciò che più di tutto attirava
l'attenzione era il braccio sinistro: di un profondo colore bluastro e
lucido
tanto da riflettere senza fatica la fioca luce della stanza. Una
protesi simile
a quella Elea non ne aveva mai viste: oltre al suo colore estremamente
anomalo,
che mal si accostava a quello naturale della pelle scura della sua
ospite, la
dottoressa si accorse di quanto quel braccio fosse diverso dal suo
gemello di
carne. L'arto artificiale era infatti stranamente sottile, quasi
scheletrico, e
ricordava nelle sue forme essenziali quelle dei manichini, ma con tozzi
cavi
che gemmavano in corrispondenza delle giunture del gomito e della
spalla: Elea
se ne accorse perché la sua ospite portava una maglietta verde senza
maniche. Continuando
a percorre con lo sguardo quella protesi, Elea ne osservò la mano,
composta da
dite sottili che terminavano in punte aguzze, prive di unghie: l'intero
braccio
sembrava più un'arma che un arto. Quell'impressione era sottolineata
ulteriormente sia dalle nocche, che apparivano rinforzate da un metallo
argentato, con lunghe linee dello stesso materiale che si allungavano
fino al
polso, sia dalla testa di una grossa vita che sembrava fosse stata
incastonata
nel palmo.
Dietro a quella
terribile protesi, la
sua ospite rimaneva a gambe incrociate e a piedi nudi, con solo un paio
di
semplici ma aderenti pantaloni bianchi di materiale antichoc e un
cinturone in
vita.
Elea tornò a fissare
il volto della
sua ospite: anche se era la prima volta che la vedeva dal vivo, era
impossibile
sbagliarsi. Era davvero lei.
"Dottoressa Megara?"
"... Un the sarebbe
delizioso.
Con un poco di zucchero a parte, per favore." riuscì a dire finalmente.
"Certamente." disse
il
Geth.
"...Deve rimanere per
forza?" chiese cautamente Elea: "... Non vorrei impormi, ma ho
qualche problema, con i
sintetici."
"Speravamo che la
nostra
presenza potesse alleviare la tensione che molti organici provano
rimanendo da
soli con Miss."
"Ma non sta
funzionando, non è
vero?" disse la donna seduta sul pavimento con un sorriso obliquo sul
volto.
"...Riconosciamo la
nostra
presenza come fonte di ulteriore stress per la dottoressa Megara."
ammise
il Geth compito, quasi a malincuore: "Il the è pronto." disse poi:
perfettamente a tempo, le porte alle sue spalle si aprirono,
permettendo
l'ingresso di un'altro Geth, sempre dello stesso color cobalto. Questo
portava tra
le mani un vassoio di legno, con una teiera e due tazze disposte
ordinatamente
sopra di esso, e un piccolo vasetto ad accompagnarle: senza dire una
parola, il
Geth depose il vassoio sul pavimento. Poi, muovendosi all'unisono, i
due Geth
gemelli uscirono dalla stanza, lasciando sole le due donne.
"Grazie." disse Elea,
avanzando
lentamente verso la sua ospite e finalmente sedendosi sul cuscino che
le era
stato offerto.
"Non c'è problema:
molte persone
nella Galassia nutrono ancora dubbi e rancori verso i sintetici, ma,
per quello
che vale, Apostata è solo curioso."
"...Apostata?"
“I Geth che ha
incontrato finora:
sono tutti manovrati da un unico collettivo, un'unica mente, a cui è
stata data
l'infelice designazione di Apostata. Se desidera sapere il perché del
nome,
consiglio di chiederglielo direttamente: è una storia... piuttosto
interessante."
"Sembra tenerlo in
alta
considerazione."
"Assolutamente. E
l'inverso è
anche vero: dopotutto è pronto a dare la vita per me. E per lei."
"... Perché un Geth
dovrebbe
dare la vita per me?"
"Perché l'ho chiesto
io."
disse semplicemente la sua ospite: "Immagino lei abbia molte
domande."
"Alcune... decine."
ammise
Elea.
La sua ospite
sorrise:
"Posso provare ad
indovinarne
alcune: ma prima, mi permetta di presentarmi come si deve e di darle il
benvenuto. Il mio nome è Hayat bint Hannah bint Haaron ibn Nazim
Shepard del
clan Urdnot. Sarei felice se volesse chiamarmi per nome, dottoressa
Elea
Megara, e rinnovo il benvenuto a bordo di Oasi,
questa nave che è anche la mia casa."
"... Temo che
chiamarla per nome
sarebbe piuttosto sconveniente, comandante." disse Elea dopo aver
deglutito un paio di volte: era al cospetto di una leggenda.
"Maggiore." La
corresse
Shepard di riflesso: " Ma come sa, la Galassia mi considera MIA.
Diciamo
che sono in... congedo e non uso più i miei gradi dell'Alleanza."
"... Miss Shepard
sarebbe
accettabile?"
"Un po' più
impersonale di
quanto sperassi, ma posso accontentarmi. Quanto zucchero desidera?"
"...Uh?"
"Nel suo the: quanto
zucchero
desidera?" ripeté ancora l'umana, sollevando la teiera e riempiendo con
grazia le due tazze.
"Due cucchiaini,
grazie."
rispose Elea automaticamente.
Il tintinnio della
ceramica fu
l'unico suono mentre la sua richiesta veniva esaudita: porgendole la
tazza, e
prendendo l'altra per se, Shepard continuò:
"Dopo la Guerra, la
mia
sopravvivenza è un segreto... direi quasi violentemente custodito.
Nonostante
questo, vorrei scusarmi per come l'ho attirata a bordo: per quanto a
lungo ci
abbia pensato, questo è l'unico modo che mi è venuto in mente per
parlarle, a
parte farla rapire dal suo alloggio."
"...Ha considerato il
fatto che
avrebbe potuto semplicemente invitarmi?" chiese Elea, scegliendo di
ignorare le pericolose implicazioni nella frase del maggiore.
"Certamente. Tuttavia
ho dovuto
scartarlo per... diciamo cause di forza maggiore."
"...Allora immagino
che non ci
sia nulla di cui scusarsi." disse Elea, lasciando che le sue mani si
scaldassero col tepore della tazza. Era talmente emozionata, che non
riusciva
nemmeno a sentirne il sapore.
"Aspetti ad esserne
così
sicura." rispose Shepard, sorbendo il suo the: "Temo che questo
nostro incontro le riserverà più di una sorpresa, non tutte spiacevoli,
spero."
"...Che cosa intende
dire?"
"È complicato..."
disse la
sua ospite, posando la tazza e sporgendosi verso di lei: "Dottoressa
Megara, ci sono quattro cose in questa galassia che non sono
assolutamente in
grado di fare: la prima è ballare. La seconda è comprendere l'arte
moderna. La
terza è bere Ryncol. E la quarta... la quarta è lasciare membri della
mia
famiglia in pericolo."
"Ha dei parenti su
Trategos?"
"Sì." fu l'asciutta
risposta di Shepard, che non elaborò oltre l'argomento.
Elea non si era fatta
illusioni:
perché mai il famigerato comandante Shepard avrebbe dovuto rivelare i
suoi
segreti a lei? Naturalmente, la dottoressa provò ad immaginare chi fra
il
personale della colonia potesse essere imparentato col famigerato
Shepard, ma
non le venne in mente nulla: dopotutto, Trategos era una colonia Asari
e non
c'erano molti umani. In ogni caso, quella era una faccenda secondaria:
doveva
esserci certamente una ragione seria per il suo invito a bordo, ma la
dottoressa
non aveva fretta di conoscerla, considerato chi la sua ospite fosse.
Dire che Elea si
sentiva intimorita
dalla sua ospite sarebbe stato sottovalutare completamente la
questione: venivano
organizzati pellegrinaggi nei luoghi in cui il comandante Shepard era
stata. Per
molti dei sopravvissuti alla Guerra, Elisyum era la nuova Mecca, dove
la statua
eretta in onore dell'eroina dell'Assalto di Skyllian accoglieva
centinaia di
migliaia di persone ogni anno. E lei era viva e di fronte ad Elea.
Nemmeno Shepard
sembrava avere
fretta: con un sospiro, l'umana si prese del tempo per osservare il
pianeta oltre
le vetrate della stanza.
Seguendo il suo
sguardo, anche l'Asari
guardò la sua colonia, la sua casa:
"Trategos, terzo
pianeta dal
sistema di Pelion. Congelato per la sua quasi totalità, eccetto la
fascia dei
mari all'equatore, possiede il più freddo inverno di ogni colonia
Asari."
citò a memoria la dottoressa.
"Sembra un pianeta
piuttosto
inospitale."
"Può credermi miss
Shepard, ha i
suoi momenti, ma siamo una piccola colonia testarda. Il primo inverno è
sempre
il più duro per ogni nuovo colono, ma se lo si supera, le distese
ghiacciate ti
accettano e sanno farsi a volte perfino ospitali: quando durante la
Guerra
abbiamo dovuto abbandonare le nostre città scavate nel ghiaccio, ci
siamo
nascosti sotto gli iceberg, rimanendo per mesi nei sottomarini di
ricerca..." Elea si interruppe con un sorriso imbarazzato:
"...Deve perdonarmi,
immagino
che la Guerra sia un argomento banale nelle sue conversazioni."
"Meno di quanto lei
immagini: vivo
ogni giorno cercando di sfuggire alla mia fama. In effetti, farmi
dichiarare
MIA dieci anni fa è stata forse la seconda migliore decisione di tutta
la mia
vita."
"Sarebbe inopportuno
chiederle
quale sia stata la prima?"
Un altro sorriso
obliquo attraversò
il volto di Shepard:
"Chiedere alla mia
dolce metà di
sposarmi, naturalmente."
"...Miss Gunn?"
"Sì, questo è il nome
con cui ci
presentiamo di solito... deve scusarmi se sorrido dottoressa Elea, ma
miss e
mister Gunn rappresenta un gioco frequente fra di noi: era la mia
identità fittizia
molti anni fa, prima della Guerra, durante una missione sotto
copertura. Un
mercenario dei sistemi Terminus, con tanto di articolo su Badass
Weekly e ora la maschera che usiamo frequentemente durante
le nostre visite planetarie. Il prezzo che paghiamo per avere una vita
tranquilla."
"...Sembra un prezzo
piuttosto
alto: dover rinunciare al proprio nome intendo."
"Mi creda, ne vale la
pena. Ma
lei dovrebbe saperlo: non è forse per un motivo simile che ha deciso di
vivere
su Trategos, dottoressa Megara?"
"Sembra che lei abbia
fatto delle
ricerche su di me." Elea lo disse a voce molto bassa e con un tono
estremamente rassegnato: il suo più grave motivo di imbarazzo, che
credeva di
aver sepolto secoli fa, riportato alla luce così facilmente.
"...Meno di quanto
sarebbe stato
necessario, ma forse più di quanto avrei dovuto: ho letto con un certo
interesse il suo articolo sul Cefalo colosso di Trategos, dottoressa."
"Si interessa di
oceanografia e
biologia marina?"
"L'unico oceano che
posso dire
di conoscere è quello fra le stelle, temo: in previsione di questo
nostro
incontro, ho cercato di conoscerla meglio."
"Posso chiedere
perché?"
"Intrattengo con sua
madre un
rapporto che oserei dire familiare."
"...Uh."
"È un argomento di
cui non parla
spesso, immagino."
Elea scosse la testa
tristemente:
"Madre è sempre
stata...
originale nelle sua scelte: non ultima, io stessa. Non credo di essere
stata
d'accordo con lei su nulla crescendo e negli anni la distanza fra noi è
solo
aumentata. Ho interrotto con lei ogni contatto poco più di due secoli
fa e non
ho più guardato indietro."
"... Mi dispiace
saperlo."
"Non avrebbe potuto
andare in
altro modo: la stigma sociale correlata alla mia nascita è difficile da
sopportare."
"So cosa intende: io
stessa e la
mia compagna abbiamo fatto fatica a farci accettare nelle nostre
rispettive
specie all'inizio."
"Trovo difficile
crederlo:
voglio dire, lei è miss Shepard, dopotutto."
"Come la Galassia ama
ricordarmi
sempre... ma prima di diventarlo, ero solo una ragazza strana con
troppi poteri
biotici: una fra le prime nella razza umana, che difficilmente sa
accettare
immediatamente il nuovo e il diverso."
"E miss Gunn?"
"Lei è quella che
alcuni fra voi
Asari definirebbero... purosangue."
Elea rabbrividì un poco sentendo quel termine sgradevole: perfino
peggiore di
quelli con cui era stata chiamata lei durante i suoi studi universitari.
"...A proposito, il
suo vero
nome è Liara. Liara T'Soni." continuò Shepard.
"La figlia della
matriarca
Benezia T'Soni? Quella T'Soni?"
"Ne ha sentito
parlare."
"Ovviamente: chiunque
fra gli
Asari conosce la matriarca T'Soni e del suo tradimento assieme allo
spettro Saren..."
"C'è più in quella
storia di
quanto immagina." l'interruppe Shepard con un certo impeto nella voce.
Abbastanza
da attirare la curiosità di Elea:
"...Sarebbe troppo
chiederle di
raccontarla?"
"È una storia molto
lunga e
triste, dottoressa: eventualmente dovrà conoscerla, ma c'è qualcosa che
deve
assolutamente sapere prima. Vede, io e lei condividiamo..."
Qualunque cosa
Shepard stesse per
dire andò persa, perché la porta dell'osservatorio si aprì in quel
momento nel
sospiro soffuso di cardini pneumatici: per puro istinto di
conservazione, Elea
si voltò ad osservare il nuovo intruso, complice lo sguardo di Shepard
di
fronte a lei.
"CARICA!" urlò una
voce
infantile con ancora la pronuncia lievemente blesa dei bambini.
"PEEEEER TUCHANKA!"
Ciò che avanzò per la
stanza al
piccolo trotto fu un animale a tre teste: questa fu l'unica cosa che
Elea
riuscì a percepire, prima che venisse congelato in un campo di stasi,
cortesia
di Shepard, che non si era mossa dal suo cuscino.
"...Awww, così non
vale però!
E vero è vero: i
poteri sono un
fallo!"
"Selene, Alune... "
disse pazientemente
Shepard, ma non senza divertimento nella voce: "...credevo di avervi
già detto
di non usare più Urz per fare cavalluccio."
"Ma papà, a Urz non
importa!
A Urz piace farsi
cavalcare!"
"Sul serio, mio
vecchio
amico?"
Elea ci mise un
attimo a capire a chi
Shepard si stesse rivolgendo: la parte più grossa della figura a tre
teste si
staccò dal resto, rivelandosi un Varren enorme, color sabbia e porpora.
I Varren, i
cosiddetti cani pesci di
Tuchanka: uno dei pochi animali che allo stato brado osi dare la caccia
ai
Krogan, grazie a mascelle e denti in grado di spaccare armature da
combattimento.
Elea cercò di
allontanarsi il più
possibile, ma il Varren la ignorò completamente, girandole attorno fino
ad
accasciarsi sfiatato dietro a Shepard, lasciando alla sua padrona il
gravoso compito
di grattargli la base delle sbrindellate pinne del cranio.
La dottoressa non
capì subito che il roco
ringhio che la creatura stava emettendo doveva essere il suo modo di
fare le
fusa.
"Urz viene da
Tuchanka..."
spiegò Shepard ad Elea: "Ci è molto affezionato e per questo si lascia
fare quasi tutto, dimenticando che una volta partecipava ai
combattimenti tra
Varren."
A sentire il suo
nome, il Varren aprì
un occhio bulboso e grande quanto una tazza per osservare Elea,
mostrando zanne
gialle e una lingua viscida con un enorme sbadiglio.
"Papà? Chi è lei?
È alta! E rosa!"
Shepard fece un cenno
con la mano, e
le altre due figure si disposero a fianco a lei: Elea assistette mentre
l'umana
toglieva quelli che sembravano elmi ricavati da secchi di plastica e
requisiva una
lancia realizzata con un cilindro di cartone e carta stagnola.
"Questa è la
dottoressa Elea
Megara. E loro sono Selene e Alune, due delle mie figlie."
"Gemelle..."
disse Elea quasi incredula.
Tra gli Asari le
gemelle erano
rarissime e viste quasi come anomalie. Sempre e solamente omozigoti, le
gemelle
Asari possiedono dalla nascita ciò che è definito "sincronizzazione":
a causa della biologia riproduttiva Asari e della loro naturale
empatia, anche quando
separate e cresciute in luoghi differenti due gemelle Asari sapranno
sempre ciò
l'altro membro della coppia pensa. Non è telepatia, anche se ne ha
tutti i
sintomi, piuttosto una conoscenza istintiva e completa della propria
mente, e
quindi di quella del gemello.
"Papà... ci fissa.
Non ci piacciono
Quelli che fissano."
finirono in
coro, stringendosi attorno a Shepard, che le circondò con le braccia.
"Sta solo guardando
quanto siete
carine: non è vero, dottoressa Megara?"
"...Certo." ripose
Elea:
non del tutto vero, ma l'unica cosa che le venne in mente da dire.
Le due gemelle,
Selene e Alune,
avevano un viso che ricordava molto quello di miss Gunn, ma appena un
po' più
affilato, più simile a quello di Shepard, di cui condividevano lo
stesso colore
degli occhi. Una spruzzata di lentiggini sul naso e le corte creste
sulla nuca,
ancora incomplete, rivelavano quanto fossero giovani.
"Quanti anni avete?"
chiese
educatamente Elea.
"Sette anni. Mamma
dice sempre
che ne dimostriamo di
più."
Per la specie Asari,
le due gemelle
erano poco più che neonate, ma mostravano una curiosità straordinaria
per
essere così piccole.
"Vostra madre ha
ragione:
sembrate davvero più grandi."
"Anche tu hai
bambini?"
chiese la gemella alla sinistra di Shepard, al riparo della strana
protesi.
"Alune..." la ammonì
Shepard. Il fatto che riuscisse a distinguerle l'una dall'altra era
l'unica
prova necessaria per dimostrare la loro parentela.
"Nessun problema."
disse
Elea, interrompendo il comandante Shepard: il ricordo del capo della
milizia
coloniale di Trategos le tornò alla mente non invitato. "Nonostante i
miei
anni, non ho ancora figli."
"Quanti anni hai?"
chiese la
gemella alla destra di Shepard, Selene.
"Trecento due anni."
rispose garbatamente la dottoressa.
"Non sei vecchia. Uno
dei nostri
zii ne ha
quasi mille. E
abbiamo un sacco di
cugini..."
Le due gemelle si
interruppero,
guardandosi negli occhi da sopra la testa di Shepard, probabilmente
scambiandosi lo stesso pensiero:
"E poi fare bambini è
bellissimo!
Mamma e papà ci
provano spesso."
Shepard arrossì:
l'innocenza con cui
le due gemelle avevano detto quella frase e la loro ignoranza di ciò
che
stessero implicando erano semplicemente troppo da subire.
"...Uh." disse Elea,
mentre
Shepard si schiariva la gola: fu una fortuna che nessuna delle due
stesse
bevendo qualcosa in quel momento, o i risultati sarebbero stati
catastrofici.
"Perché... perché non
andate a
giocare con Apostata? Io e la dottoressa dobbiamo parlare ancora un
poco
assieme." consigliò alle gemelle l'umana.
"Tata sta disegnando
con Sihaya e Sesat."
"Allora perché non
andate ad
unirvi a loro? Mamma dovrebbe tornare più tardi."
Le due gemelle
assentirono
all'unisono, prima di tornare a rivolgersi ad Elea:
"Anche tu sei carina,
ma troppo alta
per noi. Però
Alla nonna
piaceresti: non ti danno
fastidio quando dormi?"
Seguendo lo sguardo
delle due
gemelle, Elea abbassò il suo, fino a capire a cosa si riferissero.
Le due bambine non
aspettarono la
risposta della dottoressa: invece, presero la tazza di Shepard, ormai
vuota, e
tenendola fra quattro mani, se la portarono via.
"Sono piuttosto
vivaci..."
disse Elea, sforzandosi di non cedere all'imbarazzo e di coprirsi i
seni con le
braccia: la genetica non la aiutava a passare inosservata. Tuttavia
quell'interruzione improvvisa aveva tolto ad Elea molta della
soggezione che
provava per Sheaprd, al prezzo del nuovo timore per il Varren, che
stava però
russando in quel momento.
"Possono avere questo
effetto...
e la loro nonna materna non aiuta in questo senso."
"Primogenite?"
"Seconde. La maggiore
è Sihaya
che ha dieci anni, poi ci sono loro due e infine Sesat, ancora una
neonata.
Ariel dovrebbe arrivare tra qualche mese."
"...Una famiglia
notevole."
"Sembra
disapprovare..."
"No! Assolutamente
no... "
disse Elea con veemenza. "È semplicemente insolito per noi Asari avere
così tante figlie da un solo compagno: specie a distanza di così pochi
anni."
"Non siamo mai state
capaci a
subire le regole, dottoressa Elea. E dopo la Guerra... Io e Liara
volevamo
disperatamente vivere."
"Non deve spiegarmi
nulla,
coman- miss Shepard. Liara T'Soni è fortunata ad averla come compagna."
"E viceversa: mi
creda. Forse io
posso aver salvato la Galassia, ma Liara ha salvato me."
"... Mi dispiace solo
che
debbano avere una nonna così sconveniente. Credevo però che Benezia
T'Soni
fosse scomparsa prima della Guerra."
"Infatti... intendevo
il padre di Liara: una matriarca
anticonvenzionale e scontrosa."
"Da come ne parla mi
ricorda mia
madre..."
"Buffo... considerato
che sono
la stessa persona." disse Shepard con voce leggera.
Inizialmente, Elea
pensò di aver
sentito male. Poi purtroppo capì che non sarebbe stato così semplice.
"..."
"..."
"..."
"Sta reagendo meglio
di quanto
mi aspettassi... se fossi stata al posto suo, temo sarei esplosa."
commentò
finalmente Shepard.
"...In verità, credo
di star
esplodendo, ma internamente." Di
Elea rimaneva solo la parte più animale, innocente e indifesa,
trovatasi
improvvisamente di fronte a qualcosa di più terribile di un predatore:
perfino
Urz reagì a quella sua voce, aprendo di nuovo uno dei suoi occhi
bulbosi per
osservarla preoccupato.
Elea lo ignorò del
tutto.
"Quindi lei è una di
quelle
persone... sì, la sua espressione è calzante." disse cautamente
Shepard,
guardandola in faccia.
"Non... non sta
scherzando,
vero?"
"Sarebbe di cattivo
gusto..." rispose l'umana, alzando la sua protesi fra loro: un semplice
ologramma venne materializzato, contenente tre strisce colorate
rappresentate
in un modo con cui Elea aveva familiarità: erano codici genetici Asari.
"I primi due sono
della
matriarca Aethyta Megara e di Liara T'Soni. Mi sono permessa di
prelevare il
suo DNA dal registro sanitario della colonia tre ore fa."
La terza striscia
venne sovrapposta
alle precedenti: grazie al suo occhio disciplinato, non servì nemmeno
l'esito
del computer per confermare ad Elea la verità delle parole di Shepard.
"...Crede che
potremmo passare
al tu, ora?"
Elea annuì
lentamente, annichilita,
senza sapere cosa dire.
"Ricapitolando, la
cattiva
notizia è che siamo cognati, tu ed io. La buona notizia, è che hai una
sorellastra
e delle nipoti: riesci ancora a seguirmi?"
"...Cosa... cosa vi
aspettate da
me?"
"Assolutamente
niente. ...Conosci
il detto: si possono scegliere gli amici, ma non i parenti?"
"...Temo di no."
"Lo immaginavo, dato
che è umano.
In poche parole, dipende da te ora. Puoi far finta che questo incontro
non sia
mai avvenuto: non è l'esito che spero, ma accetterei se volessi tornare
a
Trategos e dimenticare tutto. Oppure potresti fare la cosa meno sensata
e
accettarci come tuoi parenti. Conoscerci. Diventare davvero parte della
famiglia."
"Perché... perché
dovresti
volermi come tua parente? Voglio dire, io sono solo una biologa marina,
non
sono... speciale e mi sono stabilita
su Trategos proprio per non subire più il fatto di essere il frutto di
una
scopata casuale..."
Elea si tappò la
bocca con la mano,
inorridita.
"...Tra un Hanar ed
una
Asari?" finì per lei Shepard.
"Mi... mi dispiace
molto. È
stato molto sconveniente, da parte mia."
"Sono un marine,
Elea. Durante
l'addestramento ci hanno insegnato ad elevare l'imprecazione ad arte.
Ed
essendo un Krogan onorario... " Shepard finì la frase con un alzata di
spalle eloquente.
"...Comunque: io non
ho più un singolo
parente umano ancora in vita, Elea. Mia madre è morta durante la
battaglia
finale della Guerra e mio padre quando ero poco più grande della mia
figlia
maggiore. Liara ha avuto Benezia crescendo, ma le matriarche
difficilmente sono
bravi genitori: troppo concentrati nel loro ruolo nella società Asari.
Tu Elea,
sei l'unica altra sua parente ancora in vita, a parte Aethyta
ovviamente e lei..."
"...Aethyta non è
esattamente il
ritratto del genitore modello." intervenne Elea.
"Mmmsì... qualcosa
del genere. Ho
un sacco di amici che le piccole già chiamano zii e zie: una vera zia
in più non
sarebbe un problema."
"Mi... mi vorreste
davvero?
Normale come sono?"
"Anche Liara era
piuttosto
normale quando ci siamo conosciuti... la famiglia Shepard
e T'Soni non
accetta solo persone straordinarie."
Io ho una
sorella. E ho delle nipoti: era
strano
anche ripeterlo nella sua mente. Elea ci provò ad alta voce:
"...Povera sorella
mia: due
genitori Asari, di cui uno è Aethyta."
"Finalmente!
Cominciavo a temere
che fossi priva del senso dell'umorismo Elea, ma a quanto pare c'è
qualcosa,
nascosto sotto la superficie: capisco perché hai scelto Trategos. Acque
profonde sotto una sottile crosta di ghiaccio."
"..."
Elea non aveva mai
messo in relazione
Trategos con se stessa, ma c'era della verità dietro quelle parole.
"Allora... pensi di
essere
pronta ad essere mia cognata?"
"Dovrei pensarci un
momento...
anche in condizioni normali una cosa simile è scioccante. Non riesco ad
immaginarmi come madre, figuriamoci come zia..." disse più a se stessa
che
a Shepard.
"Certamente: non c'è
fretta." rispose con un sorriso imbarazzato Shepard, alzandosi in
piedi:
"L'osservatorio è a tua disposizione: prenditi pure tutto il tempo di
cui
hai bisogno, Elea. Apostata sarà fuori dalla porta ad aspettare la tua
risposta, che sia quella di tornare su Trategos, oppure... oppure no."
Shepard era già sulla
porta, quando
Elea la fermò con una domanda:
"Shepard... Hayat: ne
vale la
pena?"
"Che cosa?"
"Avere una famiglia?
Io non ne
ho mai avuta una..."
"...Per me, che sono
nata e
cresciuta nello spazio, avere un luogo a cui appartengo è qualcosa di
irrinunciabile."
Le porte si chiusero
dietro di lei
senza che Elea avesse bisogno di chiedere altro.
***
"Mi sono laureata a
Serrice con
lode."
Di certo, questa non
era la prima
frase che Elea si aspettava di sentire da Liara T'Soni, quando era
entrata
dalla porta dell'osservatorio, alcune ore dopo che Shepard le aveva
lasciato la
stanza.
Liara T'Soni, la sua
sorellastra: era
strano incontrare per la prima volta una sorella che non si sapeva di
avere.
Specie dopo averla identificata con una venditrice di armi quella
stessa
mattina.
Alle sue spalle,
Shepard si era
appoggiata allo stipite della porta a braccia incrociate e si limitava
ad
osservare le due Asari: Elea e Liara erano diverse come il giorno e la
notte e
probabilmente solo Aethyta avrebbe saputo dire che erano sorelle.
Il sorriso che aveva
sul volto
scomparve quando Liara si voltò a guardarla:
"E tu... questa notte
tu
dormirai per terra." disse, puntandole un dito con cui avrebbe voluto
trafiggerla. Shepard non osò replicare: inghiottì e mosse la testa in
un cenno
di assenso.
"... Per la dea....
sono di
nuovo in sbalzo d'umore, vero?"
Di nuovo, Shepard non
osò replicare:
con l'esperienza acquisita nel tempo, sapeva bene che le possibilità
che Liara
l'attaccasse al muro coi suoi poteri biotici o che la gettasse per
terra
procedendo in una serie di distruttivi amplessi, erano equivalenti. In
entrambi
i casi comunque, era qualcosa da non mostrare alla propria cognata
durante il
loro primo incontro, e forse nemmeno al secondo.
"E il mio quarto
Krogan si fa
sentire..." disse Liara prendendosi la faccia nelle mani per cancellare
la
stanza per un momento.
"Quarto Krogan...?"
chiese educatamente
Elea alzandosi in piedi.
"Aethyta è figlia di
un Asari e
di un Krogan: questo rende Liara per un quarto Krogan. E anche tu,
Elea, ora
che ci penso." rispose Shepard. Liara la minacciò agitando un pugno
chiuso
e Shepard chiuse la bocca, alzando le mani al cielo in un gesto di resa.
"...Uh." disse Elea,
ma la
sua sorellastra continuò ad ignorarla. Liara T'Soni, che fino a poche
ore fa
era sembrata l'immagine dello splendore materno, grazie anche al
vestito giallo
che ancora portava addosso, era molto cambiata.
"Normalmente non
farei assistere
ad uno sconosciuto mentre ti scortico con la mia mente, Hayat, ma visto
che hai
deciso di includere la dottoressa Megara nella nostra famiglia senza
consultarmi, credo che abbia il diritto ad assistere." Detto questo, la
pelle di Liara si illuminò d'azzurro e lampi elettrici mentre
manifestava i
suoi poteri biotici.
"Mia dolce deniz..." disse Shepard soavemente. Il significato del
vocabolo andò perso ad Elea, che non conosceva nessuna lingua Terrestre.
"Non provarci nemmeno
col tuo deniz..." disse Liara, mentre
sentiva le sue ginocchia farsi molli e lo stomaco riempirsi di
farfalle:
"Non avevi il diritto di sconvolgere la vita della dottoressa. E hai
agito
alle mie spalle."
Elea non capì subito
che si stavano
riferendo a lei.
"Colpevole, lo
ammetto. Ma fa
parte della nostra famiglia... sconvolgere la sua vita è la missione di
ogni
parente che si rispetti. E poi..." si affrettò ad aggiungere
precipitosamente, mentre Liara corrugava la fronte: "...Elea può
andarsene
in qualunque momento se così desidera. Semplicemente, ora sa che noi
esistiamo:
non pensi che spetti a lei scegliere cosa fare?"
Liara si rivolse ad
Elea per la
seconda volta da quando era entrata, senza però smettere di esibire i
suoi
poteri biotici:
"Ciò che ha detto
questa mia
sciocca compagna è vero?"
Elea assentì:
"Shepard... Hayat, è
stata molto
chiara su questo punto: lascia a me il diritto di decidere cosa fare. E
ha
anche sottolineato quanto potrebbe essere pericoloso per me accettare:
nonostante questi avvisi, però, penso che mi piacerebbe fare parte
della
famiglia... se non è di troppo disturbo, ovviamente."
Liara non disse
niente, ma l'aura
dello stesso colore della sua pelle scomparve in una nuvola
elettrostatica.
"Non avresti dovuto
farlo alle
mie spalle." ripeté Liara stringendo i pugni. Shepard si accostò a lei,
cingendole la vita con le braccia.
"Mia deniz,
ti conosco: stai pensando da anni se presentarti ad Elea o
no e non hai ancora preso una decisione. Ti ricordi quanto ci è voluto
per te e
Aethyta per riconciliarvi? Ho semplicemente colto l'occasione data
dalla nostra...
visita a Trategos. "
"Non cercare di farmi
credere di
averlo fatto per me... ti conosco." protestò debolmente Liara, mentre
Hayat
appoggiava la testa nel punto in cui il collo della sua compagna
diventava spalla.
"L'ho fatto anche per
le
bambine: per quanto desideri il contrario, Liara, non potrò starvi
vicino
quanto vorrei e lo stesso vale per quasi tutti i loro zii e zie. Vorrei
che ci
fosse qualcuno con te, quando questo accadrà."
"Se
accadrà."
"... Se." disse
Shepard con
una strana sfumatura nella voce: "Capisci perché l'ho fatto?" chiese
a Liara, appoggiando un bacio delicato alla base del collo di Liara.
Elea cominciava a
sentirsi ignorata,
ma non osò interromperli.
"Mhh....Comunque,
questa notte
dormi per terra."
"...Anche se so come
farmi
perdonare?"
"E cosa avresti da
offrire?" chiese languidamente Liara: Shepard non rispose direttamente.
Si
limitò a fare l'occhiolino e un cenno ad Elea, tenendo Liara per mano.
La
dottoressa si decise a seguirli solo quando Shepard si voltò di nuovo e
ripeté
il cenno: in un angolo della stanza, si era attivato uno schermo
olografico, per
il momento ancora nero.
"Aspettavo di
assistere a questo,
fin dal momento in cui ho saputo della tua esistenza, Elea." disse il
comandante sfregandosi le mani. Sullo schermo, lettere e numeri
cominciarono a
snodarsi lentamente, una riga alla volta:
"Hayat?" chiese
Liara,
perplessa dal sorriso obliquo di Shepard.
"Vedrai... ti
piacerà. Vi piacerà."
Intanto, sullo
schermo una ripresa di
un largo appartamento sostituì le righe di codice informatico: in pochi
secondi, nell'inquadratura entrò una persona che tutti i presenti
conoscevano
bene.
"Ehi Shepard. Spero
tu mi stia
chiamando per dirmi che ho un'altra
nipote: da quando hai appeso il fucile al chiodo, è l'unica cosa che
sai ancora
fare bene..."
Istintivamente Elea
si ritrasse in un
angolo, fuori dalla portata del comunicatore.
"È ancora presto per
Ariel,
Aethyta: questione di mesi."
"Così tanto? Non sto
diventando
più giovane, quindi datevi una mossa: voglio poter viziare mia nipote
come si
deve. Allora? Perché mi stai chiamando? Hai interrotto il mio sonno di
bellezza. Non che ne abbia bisogno ovviamente: c'è questo Salarian che
continua
a spedirmi poesie. Pah! Poesia a me... sono troppo vecchia per il
romanticismo.
Stendimi e spogliami, piuttosto: se è civilizzato, stai sbagliando."
concluse l'interlocutore dall'altra parte dello schermo, con uno
sbadiglio
rumoroso ed un rutto.
Successe una cosa
strana ad Elea a
quel punto: mentre ascoltava, all'improvviso la dottoressa ricordò un
infanzia
passata con sua madre e le sue abitudini sconvenienti. Forse fu a causa
della
giornata, cominciata con un assalto pirata e finita con la scoperta di
avere
una sorella e di essere un quarto Krogan. E di essere imparentata col
famigerato Shepard, ritornata dalla morte.
Elea stava
cominciando a fumare:
possibile che dopo secoli, quella persona fosse rimasta la stessa?
"In effetti c'è un
nuovo membro
della famiglia." disse Shepard
"La dea mi aiuti, se
hai
adottato un altro Krogan..."
"No, niente del
genere..."
Liara le prese la
mano: per la prima
volta, Elea toccò sua sorella ed entrambe si guardarono negli occhi: un
unico
cenno di assenso passò tra di loro. Assieme marciarono di fronte allo
schermo,
in piena vista:
"Padre,
vorrei presentarti la dottoressa Elea Megara... ma forse vi
conoscete già?"
"... o per il sacro
culo di
Athame." disse Aethyta con una strana voce sottile.
"Salve madre: vedo
che il tuo
vocabolario non è cambiato in questi anni. E nemmeno il tuo gusto nel
vestire."
disse Elea.
Sottovoce, mentre
Shepard si spostava
di lato, lasciando loro tutto lo spazio di cui avevano bisogno, Liara disse con un sorriso a Shepard:
"Questa notte non
dormi sul
pavimento."
La telefonata
interstellare durò a
lungo. Davvero molto a lungo.
Fu interessante per
Shepard, vedere
finalmente Aethyta, con la sua boccaccia e il suo ruvido modo di fare,
venire
messa in imbarazzo. C'erano voluti anni, ma finalmente sembrava che
avessero
trovato qualcuno in grado di tenerle testa: Liara era troppo timida per
farlo, Shepard
non osava superare i confini impliciti del suo grado di parente
acquisita e su
Aethyta la famigerata nomea dell'umana non sembrava aver mai avuto
effetto.
Ma Elea... Elea non
aveva questi
limiti: per tutta la durata della conversazione, mantenne maniere
impeccabili,
un tono controllato e una scelta di vocabolario squisita. Ma appena
sotto la
crosta di ghiaccio, si percepiva una furia fredda come lo spazio, che
Shepard
riconobbe e perfino ammirò. E Hayat capì il vero motivo per cui Elea
aveva
scelto di vivere su Trategos: non per sfuggire ai pettegolezzi sui suoi
genitori, una coppia che esisteva normalmente solo nelle più
deprecabili
produzioni pornografiche, ma per impedirsi di riversare quella furia su
tutti
gli idioti che aveva attorno.
Sì, Elea faceva senza
dubbio parte
della famiglia.
"È stato...
liberatorio"
disse la dottoressa, chiudendo la comunicazione con un sospiro
soddisfatto:
"Per quanto inaspettato, devo offrirti i miei ringraziamenti Shep-
Hayat,
per avermi dato la possibilità di avere questo confronto con mia madre
e di
avermi fatto sapere dell'esistenza di mia sorella." concluse,
stringendo
le mani di Liara con un sorriso.
"...Vuoi fermarti a
cena?"
offrì l'umana con un sorriso, dopo aver scambiato uno sguardo con Liara.
"Non vorrei
impormi..."
"Nessun disturbo..."
disse
Liara: "Sarebbe un piacere."
Prima ancora di mettermi a scrivere questa storia, ho
avuto i nomi dei protagonisti in mente per un certo periodo di tempo.
Sappiamo, dagli eventi che di Me3, che Liara ha davvero una
sorellastra con un Hanar come padre (ammesso e non concesso che
sorellastra si applichi come termine agli Asari), ma non viene mai
fornito un nome; e dato che non ci viene nemmeno mai detto il cognome
della matriarca Aethyta, cercando di rispettare il più possibile il
lore mi sono imbarcato in un viaggio alle origini dei nomi di Mass
Effect (un viaggio lungo, di cui vi risparmio il racconto ma vi
presento solo l'esito: sappiate solo che nessun nome è stato scelto a
caso, se avete voglia lascio a voi il compito di trovare le
corrispondenze).
Spero di aver raggiunto un discreto bersaglio: e quindi vi presento
ufficialmente Elea Megara, che è cresciuta come Liara all'ombra di una
matriarca, ma molto molto diversa da Benezia.
Dubito che il rapporto fra Elea e Benezia potrebbe essere stato dei più
rosei crescendo e quindi ho optato per una persona che non ha mai
condiviso le scelte del suo genitore da cui se ne è estraniata (qualche
dettaglio in più nel prossimo capitolo, ma non aspettatevi una
biografia :P).
Per quanto riguarda le due gemelle, Selene e Alune e la loro
sincronizzazione: un concetto che non mi appartiene nella sua
originalità, ma l'idea di due gemelle Asari che condividono la mente
dato ciò che gli Asari sono in grado di fare naturalmente mi è sembrato
adatto. Tuttavia, la sincronizzazione tra gemelle Asari è un non canon:
completamente farina del mio sacco.
Come forse avete già immaginato, ogni capitolo di questa storia è
preceduto da una piccola citazione dedicata ad ogni membro della
famiglia S&T (Aethyta e Urz non inclusi, non vogliatemene), che sto
usando senza vergogna come strumento per raccontarvi il destino di
ognuno di loro a distanza di anni o secoli, così come nel mio piccolo
l'ho immaginato.
Cosa ne pensate? Ogni recensione è ben accetta.
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Capitolo 5 *** Parenti ed Apostati ***
Il mio nome è dottoressa
Elea Megara, figlia della
matriarca Aethyta Megara e di Danza con la Corrente. Io sono la zia
dell'Asari
che stai per prendere come compagna: se non ti impegnerai a renderla
felice nei
prossimi secoli, puoi considerare la tua specie estinta.
Dottoressa
Elea Megara, discorso di addio al celibato
di Urdnot Grunt.
"È davvero molto
spaziosa."
disse Elea, seguendo Shepard mentre faceva strada a lei e a Liara
attraverso i
corridoi della nave.
"Ed è un bene o un
male?"
chiese Hayat di buon'umore.
"Un bene ovviamente:
è la prima
volta che non mi sento a disagio su una nave spaziale. Ma forse è
merito dell'adrenalina..."
"Non ti piacciono le
navi,
Elea?" le chiese Liara.
"Sono
claustrofobica."
Ammise la dottoressa: "Di solito mi faccio prescrivere un narcotico
durante i viaggi interstellari."
"Oh..." disse
Shepard,
fermandosi di botto: "Mi dispiace. Non c'era sulla tua cartella medica:
se
l'avessi saputo, avrei organizzato la tua visita diversamente..."
"Non è così grave..."
la
interruppe Elea: "È solo claustrofobia. Fino a quando non ci sono spazi
troppo chiusi, non c'è problema."
"Immagino che tutti
abbiano le
loro paure: a me non piacciono gli Yagh, per esempio..." spiegò Liara.
"Yagh?"
"... è una lunga
storia."
disse Liara mordendosi il labbro inferiore.
Ormai la dottoressa
cominciava a
farci l'abitudine: era naturale che ci fossero un sacco di cose da
raccontare,
sopratutto in una coppia come quella fra Hayat e Liara. Ma non era
ancora il
momento giusto per fare quelle domande: meglio fingere di non
comprendere tutte
quelle implicazioni... almeno per il momento.
"Anche Shepard ha le
sue fobie?"
chiese invece.
"Certamente. E ti
prego chiamami
per nome: per quel che la Galassia crede, il maggiore Shepard è ancora
MIA.
Lasciamola al suo riposo..."
"...E quale sarebbe?"
chiese Elea: alla sua domanda Liara storse la bocca, in un'espressione
che alla
dottoressa ricordò molto Aethyta.
"Ho detto di avere le
mie
fobie... non ho mai detto di sapere qual è." rise Shepard: "Immagino
che nell'universo, da qualche parte, ci sia qualche animale o creatura
che può
spaventarmi solo per il fatto di esistere. Solo che non ha ancora
deciso di
farci incontrare."
"Con mio disappunto,
è la
verità, Elea." commentò Liara alla domanda inespressa: "Hayat non ha
paura di nulla..."
"O forse non so di
cosa ho
davvero paura..." abbozzò Shepard afferrandosi la base del collo in un
gesto imbarazzato e affiancando le due Asari: con Urz a pedinarle
formavano un
ben strano corteo. Il cane pesce si teneva ad una distanza tale che
perfino
Eela non aveva niente da ridire, anche se sotto la luce impietosa della
nave,
la dottoressa aveva dovuto ammettere che era davvero brutto a vedersi:
la pelle
spessa come cuoio del Varren era coperta di cicatrici e sfregi. Con una
stazza
di almeno centotrenta chili, Urz non contribuiva ad ispirare
particolare
fiducia.
"...Comunque: c'è un
detto
umano, riservato solo agli amici più cari, che dice: la mia casa è la
tua casa,
Elea." disse l'umana, sottolineando il tutto con un gesto del braccio
sano.
"Temo che non potrei mai
amare una
nave fino a questo punto... non vi manca la terra sotto i piedi?"
"Ammetto che ero
scettica
anch'io all'inizio, ma Hayat mi ha fatto ricredere: con una casa sei
legato ad
un pianeta. Con una nave spaziale hai ogni pianeta a disposizione:
quando le
piccole saranno cresciute abbastanza da aver bisogno di una educazione
accademica,
allora decideremo cosa fare."
"E anche in quel
caso, i
programmi di educazione virtuale non sono così male: hanno funzionato
bene, non
è vero?"
"Troppo
bene." rispose Liara con un sorriso: "Non ricordo
di aver aperto un libro di biologia prima dei venti anni..."
"Biologia..?"
"È solo un programma
interattivo
intitolato Le avventure di Perry il
Pyjack..." la rassicurò Shepard. "Pieno di figure, per avvicinare
i bambini alla scienza. L'ultimo ricordo di Mordin..." Hayat si
interruppe
con un sospiro triste, abbastanza repentinamente da incuriosire Elea.
"Mordin...?"
"Mordin Solus: è
stato lo
scienziato che si è sacrificato per mettere fine alla genofagia ed un
caro
amico. Un tipo strano, assolutamente geniale anche per un Salarian:
tramite
l'STG, dopo la sua morte mi ha fatto avere una collezione di programmi
educativi e di ninna nanne ritmate sugli amminoacidi. Fra tutti noi
dell'equipaggio
della Normandy, era forse quello che vedeva più lontano..."
Liara appoggiò una
mano sulla spalla
di Hayat: con quel semplice contatto fisico, la tristezza scomparve dal
volto
del comandante. Elea cominciava a capire cosa Hayat intendesse quando
le aveva
detto che era stata salvata da Liara.
"Bando alle
tristezze: vieni ti
faccio strada." disse Shepard dirigendosi verso un portellone
semicircolare in fondo al corridoio: "...Oasi è una nave piuttosto
essenziale. È lunga 700 metri, ma ha solo cinque ponti." Il portellone
si
aprì davanti a loro, mostrando un lungo corridoio uguale a quello che
stavano
percorrendo.
"...Questo ponte è il
secondo:
ora stiamo percorrendo il corridoio di raccordo fra l'osservatorio di
prua e
l'area abitativa. Sopra di noi, al ponte uno, abbiamo sistemato dei
laboratori per
l'osservazione astrometrica e l'analisi di campioni biologici e
geologici: tutto
quello che può servire ad una nave che passa molto tempo nello spazio
profondo
per soddisfare curiosità scientifiche. Parte dei dati che raccogliamo
sono poi ceduti
ad istituti di ricerca interstellari e ci aiutano a pagare le spese."
"La S&T
sopperisce il
resto." Interloquì Liara.
"...Sotto
questo ponte ci sono la sala macchine, letteralmente il cuore della
nave, il
giardino, che occupa un ponte a se, e nel segmento caudale la stiva e
l'hangar
navette."
"Il giardino?"
“Vedrai..." disse
Hayat.
"E l'equipaggio?"
chiese
Aela: anche percorrendo quel lungo corridoio, non avevano ancora
incontrato
nessun altro.
L'umana rispose dopo
un momento:
"...Non c'è un
equipaggio, ne una
sala comandi: Apostata svolge funzioni di mozzo a bordo, ma la nave non
ha
bisogno di essere governata."
"Com'è possibile?"
Hayat si voltò verso
di lei,
battendosi i bottoni metallici che aveva sulla tempia con la protesi:
"Queste protesi...
tutte loro arrivano
molto più in profondità di quanto io stessa mi aspettassi. Una parte di
esse, e
nemmeno la più importante, è una componente hardware che si comporta
come una greybox. Ovvero una parte in più del mio
cervello."
"Sono piuttosto
convinta che le greybox siano illegali..." anche se
il suo campo di specializzazione era la biologia marina e
l'oceanografia, Elea
conosceva il dilemma etico rappresentato dalle greybox:
impianti sinaptici in grado di sostituire parti
danneggiate del sistema nervoso, si prestavano fin troppo facilmente ad
abusi,
perché davano alle menti organiche doti che dovrebbero appartenere solo
alle
macchine.
"Lo sono. A mio
avviso per
motivi futili, ma non sta a me giudicare. Tuttavia, le leggi del
vecchio
Consiglio o del Patto non si applicano a coloro che me le hanno date."
finì
Hayat agitando la sua mano di metallo.
"Geth?"
"Santo cielo, no!"
rispose
Shepard agitata. " Ma è una storia molto lunga e... te la racconterò
quando ci conosceremo un po' meglio: non penso di essere ancora pronta.
Non è
qualcosa di facile da condividere: nemmeno le bambine sanno tutta la
storia."
"Nemmeno io so tutta
la
storia." fece eco Liara: un'espressione ferita passò da Shepard alla
sua
compagna: "Mi manca il finale."
"...Nemmeno io lo
conosco: e non
voglio saperlo." disse Hayat in un sussurro.
"Ahhh: sembra che
qualcosa alla
fine ti spaventi, mia dolce Hayat." disse Liara, prendendole il viso
tra
le mani e assaggiando le sue labbra, in un gesto così deliberatamente
vorace,
da poter essere definito carnale.
Elea decise di
intervenire con un
colpo di tosse quando vide gli occhi di Liara farsi neri: poteva
essersi quasi
abituata ad avere una sorella, ma l'idea di assistere ad un suo gesto
così
intimo e con il famigerato Shepard per di più...
"Ahem... sembra che
abbiate
fatto davvero fatto una missione quella di sconvolgermi." disse
l'Asari,
ammirando insistentemente il corridoio spoglio.
"Ops. Devi scusarmi
Elea, ma ci
stiamo disabituando a stare in mezzo alle persone."
"E non aiuta il fatto
che ogni
volta sia come incontrare la Dea sul fondo cieco di un vicolo buio...
prima che
ti stringa al muro." aggiunse Liara con un'espressione languida e
sognante.
Elea e Hayat
diventarono della stessa
sfumatura porpora, mentre Liara li precedeva, quasi danzando sulle
punte dei
piedi.
"...Abbiamo un
pianoforte su
questo ponte." disse Shepard a voce bassissima, in modo che solo Elea
la
sentisse: "Non chiedermi di suonarlo. Vedermi suonare le toglie tutti i
freni inibitori."
Elea non ebbe bisogno
di rispondere:
il suo sguardo fu più che eloquente.
"Cosa aspettate?" li
chiamò
Liara di fronte a loro.
"...Temo di aver
perso il filo
del discorso: cosa stavamo dicendo?"
"Hayat ti stava
raccontando
dell'equipaggio della nave e della sua greybox..."
"Ah! Sì, giusto...
dunque queste
nuove parti di me mi permettono in pratica la connessione con qualsiasi
sistema
computerizzato nel raggio di cinquanta metri." le disse l'umana,
facendosi
improvvisamente più seria: "Sono io a governare Oasi, attraverso una IV
che è una copia di alcuni miei percorsi sinaptici. In poche parole, la
nave
sono io, Elea."
Non appena finì di
parlare, muretti
di ostacolo uscirono dai loro scomparti nelle paratie, formando un
labirinto
che avrebbe rallentato chiunque avesse cercato di percorrere il
corridoio: una
trincea a scomparsa e un'utile difesa. In pochi secondi, tutte quelle
barriere
erano nuovamente sparite.
"... Piuttosto
inquietante."
la curiosità di Elea per la provenienza di una simile tecnologia era
scemata
del tutto: qualcosa le diceva che la risposta non le sarebbe piaciuta.
"Non sai davvero
quanto,
Elea." le fece eco Liara.
Nel frattempo, erano
arrivati ad uno
slargo del corridoio, che terminava in una stanza circolare con una
piccola
aiuola fiorita al centro, circondata da divanetti. Elea rimase
interdetta per
un momento da quel particolare: uno spettacolo simile non era comune su
una
nave spaziale. Eppure, un piccolo cespuglio di una pianta molto
profumata che l'Asari
non conosceva, offriva riparo ad una dozzina di rose gialle,
disseminate nel
vascone circolare. Liara e Hayat rimasero in silenzio, mentre Elea
osservava
anche il resto del salone: l'ambiente rimaneva essenziale, ma qui la
dottoressa
cominciava a notare elementi indubbiamente più... casalinghi.
Sul perimetro della stanza, forse dieci metri di
diametro, Elea contò una ventina di portelli, distinti dalle pareti
perché
segnati con due virgole di vernice nera su ogni anta.
Elea osservò anche
mobili,
settimanali e tavolinetti addossati alle pareti, cercando di far
coesistere assieme
lo stile umano ed Asari: almeno, Elea pensò che i tavolini bassi e
squadrati,
poggiati su quattro gambe curve, dovessero essere umani. Il pavimento
invece era
coperto da tappeti, un po' più pregevoli di quelli di vimini che aveva
calpestato
fino a quel momento.
Sopra i mobili della
stanza, o
impilati ordinatamente contro le pareti negli spazi liberi, erano
appesi in
disordine alcuni quadri, che raffiguravano soggetti assolutamente
disuguali:
Elea provò ad avvicinarsi ad uno di essi e confermò che non erano
ologrammi o
stampe, ma veri e anacronistici quadri dipinti a mano sulla tela.
Quello che stava
guardando
raffigurava una creatura colossale, una specie di enorme lucertola
alata,
coperta di scaglie nere: la creatura scrutava lo spettatore con uno
sguardo
feroce, sottolineato dai suoi occhi violetti, disuguali come quelli di
Hayat.
Una figura molto più piccola, femminile, ma dai lineamenti falsati
dalla luce di
cui sembrava essere fatta, appoggiava una mano sul mento della
creatura, quasi
a trattenerla: ai loro piedi, una coda spinata e squamosa copriva
cinque uova
d'oro, in un gesto chiaramente protettivo.
"Sono opera di
Apostata e di
Sihaya." spiegò Hayat.
"...Il Geth dipinge?"
"Tecnicamente sì."
disse
una voce sintetica alle sue spalle, preceduta dal sibilo di cardini
pneumatici.
Voltandosi, Elea notò
tre Geth
gemelli color cobalto, che reggevano fra le mani una tela ancora fresca
di
pittura e tutto l'occorrente per dipingerla, compresi alcuni pennelli
ancora sporchi:
da dietro la coscia di uno di essi, si sporgeva timidamente un'altra
piccola
Asari.
"...Tuttavia, siamo
ancora
incapaci di produrre soggetti originali: le nostre sono semplici
reinterpretazioni di opere di altri artisti del passato. La signorina
Sihaya ci
è essenziale nel processo di selezione dei soggetti delle tele e nella
loro
composizione."
"Quanti siete?"
chiese Elea
interdetta, guardando i tre Geth.
"Specificare." ripose
uno
di essi.
"Apostata ha diciotto
corpi, divisi
in gruppi." spiegò Shepard.
"Diciotto...?"
"Corretto dottoressa
Megara: ad
ogni colore corrisponde un indirizzamento ed un'area d'impiego. Queste
tre
piattaforme sono cinque di quelle usiamo per interfacciarci con voi
organici,
dotate della più alta capacità espressiva fra tutte. Quattro, di colore
onice, sono
adibite al nucleo della nave, pronte a sostituirsi ai controlli nel
caso di un
malfunzionamento, fino ad ora mai avvenuto. Altre tre piattaforme di
colore
giallo sono preposte ai compiti di manutenzione e pulizia. Le ultime
sei, di
colore rosso, risiedono nell'hangar navette e nella stiva:
rifornimento, eventuale
difesa interna e squadra da sbarco."
"..."
"...Credo che le hai
fatto
paura, tata." disse la piccola Asari dietro al Geth con una vocetta
sottile. Tutti i robot, tranne quello che le offriva riparo col suo
corpo,
voltarono la testa per osservare la bambina in un unico gesto
sincronizzato:
"Noi non comprendiamo
il perché,
signorina Sihaya." disse uno dei Geth.
Staccandosi dal
gruppo, il droide con
in mano il quadro si avvicinò alle pareti, sostituendo una delle tele
con
quella che aveva in mano: uno straccio coprì la vecchia, che venne
impilata a
terra con le altre. Liara e Hayat si avvicinarono per vedere meglio:
suo
malgrado, e con sua stessa sorpresa, Elea le seguì.
Il soggetto centrale
della tela era
un albero senza foglie, dipinto solamente con toni oro e lievemente
stilizzato:
stranamente era anche il meno importante. I veri protagonisti del
quadro rimanevano
ai due lati: erano Liara e Hayat, con strane vesti fluenti come
coperte, che si
guardavano dai due lati della tela: Liara indossava un vestito con
fantasie di
cerchi, mentre Hayat ne aveva uno simile, solo con dei triangoli nella
trama
del tessuto. Tutta la tela era dipinta in sfumature d'oro, perfino
Shepard e
Liara.
"Gustav Klimt?"
chiese
Hayat al Geth, mentre questo faceva un passo indietro per osservare la
sua opera.
"Sì. Una
rielaborazione
dell'Albero della Vita. Originale realizzato nell'anno 1905 del
calendario
terrestre, olio su tela: abbiamo cercato di imitarne le sfumature."
Hayat batté una mano
sulla spalla del
Geth in un gesto complice.
"La signorina Sihaya
ci è stata
indispensabile."
"Ancora non riesci ad
elaborare
un soggetto da solo?" chiese Liara.
"No." Elea credette
di
percepire dello sconforto nella voce del Geth: "Continueremo a
provare." concluse il Geth serafico.
Nel breve silenzio
che seguì, la voce
di Sihaya colse Elea di sorpresa:
"Sei più alta di
quanto mi
aspettassi, zia."
La dottoressa osservò
la piccola
Asari che l'aveva chiamata zia: era molto simile alle sue sorelle, ma a
differenza di loro, Elea percepiva in lei una mente più quieta.
"...Posso chiamarti
zia?"
chiese quasi sovrappensiero, uscendo da dietro il Geth, ma tenendo una
mano sui
cavi della coscia. La piccola Asari era vestita con una tuta bianca
fatta di
uno strano misto di diversi strati di fibre sintetiche, così tipico fra
gli
equipaggi a bordo delle navi spaziali: era pratico, ma sembrava caderle
addosso. Sparse su quel misto fra un pigiama e una tuta da
combattimento, Elea
notò macchie di vernice colorata un po' ovunque.
"Certamente." disse
la
dottoressa sedendosi sul pavimento, in modo da avere gli occhi quasi al
suo
stesso livello: "Tu devi essere Sihaya."
La piccola Asari
annuì con la testa.
"Io sono Elea Megara,
figlia
della matriarca Aethyta Megara, tua nonna." In una specie come quella
Asari, in cui i vincoli familiari erano molteplici e interconnessi,
presentarsi
anche col nome del proprio genitore Asari era il modo più normale per
evitare
confusione.
"Chi era il tuo papà?" Nella lingua Asari, la
parola padre e le sue variazioni esistevano sempre e solo come vocaboli
presi a
prestito da altre specie che avevano almeno due sessi.
"Era un Hanar. Si
chiamava Danza
con la Corrente."
"...Che strano."
disse
Sihaya senza malizia.
"In effetti è un po'
strano."
ammise Elea: "Non ti piaccio?"
Sihaya scosse la
testa, abbandonando
le gonne di metallo del Geth e avvicinandosi ad Elea:
"Sei carina. Ma il
mio papà lo è
di più." concluse, avvicinandosi a Shepard e facendosi sollevare in un
abbraccio: Hayat se la posò senza fatica sulla spalla buona. Da
quell'altezza,
Sihaya cominciò a giocare con i capelli di Hayat, unica in famiglia ad
averli.
"Siamo stati bravi,
io e
tata?" chiese al suo genitore, mentre guardava ancora una volta il
quadro.
"Moltissimo. Ma non
sei un po'
troppo grande per chiamare ancora Apostata, tata?"
"Tata è tata."
affermò con
sicurezza Sihaya: c'era una tale convinzione nelle sue parole, che
perfino Elea
non ebbe nulla da dire.
La quiete della
situazione venne
interrotta dall'apertura di un'altra fra le porte del salone, lasciando
entrare
Selene e Alune. Urz, che fino a quel momento non aveva aperto le fauci,
si
acquattò dietro a Shepard, fingendo di non essere presente.
"Mamma, papà, Sesat
ha
pensato la sua prima
parola!"
dissero le gemelle, tenendo fra le loro quattro mani un fagotto di
coperte di
lino scuro, da cui spuntava un visetto tondo ed azzurro.
Elea inorridì
inizialmente, quando
vide le due gemelle tenere la loro sorellina in quel modo, ma bastò uno
sguardo
ad Hayat e Liara per capire che erano molto avanti a lei: entrambe le
mani
della coppia era distese e libere, pronte ad acchiappare Sesat al volo
con i
propri poteri biotici. La piccola non correva alcun pericolo e quando offrirono la loro
sorellina a Liara,
che la prese nell'incavo del braccio, Elea non poté resistere
all'impulso di
avvicinarsi:
"Ha un visetto così
serio..." disse, mentre Sesat la guardava dal rifugio dell'abbraccio di
sua madre.
"Non piange mai.
Nemmeno la
notte o quando a fame." spiegò Hayat, mentre Sesat le rivolgeva un
sorriso
ancora senza denti: gli Asari crescevano con tempi diversi dagli umani
e
nonostante avesse poco più di due anni, Sesat era ancora totalmente
dipendente
dai suoi genitori.
"...E tu sei l'unica
per cui
sorride così." disse Liara ad Hayat.
"Esagerata: sorride
per
tutti."
Liara scosse la
testa, mentre passava
Sesat alla sua compagna: il sorriso della piccolissima Asari diventò se
possibile, ancora più largo. Senza aggiungere altro, Liara tocco la
testa di
sua figlia, tenendo l'altra mano su Shepard.
Fu un attimo: un
breve lucore
biotico, e gli occhi di Liara divennero completamente neri, mentre
univa la sua
coscienza a quella di Hayat e di sua figlia. La comunione mentale fra
gli Asari
era comune quanto il salutarsi fra le altre specie, ma molto più
efficiente. Si
potevano trasmettere interi ricordi in pochi secondi: ovviamente Sesat
non
poteva ancora capirli completamente, ma sarebbe cresciuta.
Lo scambio fra Liara,
Hayat e Sesat
durò un istante, ma produsse effetti molto visibili: l'espressione di
Liara si
riempì di gioia materna, fino al punto che sembrò emanarne. Hayat
invece
canalizzò il suo addestramento di Marine per evitare a lacrime di gioia
traditrici di uscire dai suoi occhi.
"Che cosa ha pensato
la signorina
piccola?" chiese il Geth.
"È felice di essere
con la sua
famiglia." disse Liara quietamente.
"Papà, perché ti trema
il labbro inferiore?"
chiesero
le gemelle ad Hayat.
Il famigerato Spettro
si sfregò gli
occhi con il suo pugno di metallo, dicendo con una strana voce nasale:
"Mi... è entrato qualcosa nell'occhio."
"...Ma papà non ha
senso."
interloquì Sihaya.
Liara si stava
godendo troppo la
situazione per volere che finisse: era... inusuale ciò che il
famigerato
Shepard stava mostrando in quel momento. Fu Apostata a salvarla:
"Miss T'Soni, sono in
questo
momento le 18.30. Desidera che inizi il protocollo pre-pasto?"
"Fa pure, Apostata.
Ricorda che
abbiamo un ospite questa sera." poi Liara si rivolse ad Elea: "La
cena dovrebbe essere pronta tra un ora: se vuoi darti una rinfrescata
prima di
cenare, cambiarti d'abito o contattare la colonia, non farti problemi a
chiedere. Apostata si occuperà di ogni tua necessità, mentre io mi
prendo cura
di questa sensibile mia compagna." concluse con un sorriso, prendendo
Hayat per la sua mano di carne.
Il famigerato Shepard
la seguì con lo
stesso abbandono di qualcuno che è stato ritrovato dopo essersi perso:
con
Sesat in braccio, Elea le vide scomparire dietro la seconda porta più
lontana,
sul lato sinistro del salone. Selene, Alune e Sihaya cominciarono a
parlare fra
loro, fermandosi ogni tanto a guardarla brevemente: una delle gemelle
disse
qualcosa che Elea non sentì, alla quale Sihaya reagì scuotendo la testa.
Uno dei Geth, ed Elea
doveva ancora
convincersi che fossero una sola mente, si avvicinò a lei, fissandola
dal basso
con la sua testa a forma di torcia:
"Desidera farsi un
bagno,
dottoressa Megara?" chiese compito.
***
Elea era in paradiso.
O comunque in
un luogo molto vicino ad esso: solo sulle astronavi di lusso, i
cosiddetti transatlantici
spaziali, c'era abbastanza acqua da sprecare per una piscina, o una
vasca da
bagno. Anche in quel caso comunque, era qualcosa che Elea non aveva mai
sperimentato, ma solo saputo per sentito dire: il suo stipendio non le
aveva
mai permesso di comprare una crociera a bordo di una di quelle navi.
Di sicuro non si
sarebbe mai
aspettata di trovare qualcosa di simile a bordo di un incrociatore Geth
e
Apostata era stato quasi deliziato mentre le porgeva una tovaglia ed un
accappatoio immacolati, invitandola a verificare con i suoi occhi i
lussi con
cui Hayat e Liara avevano arredato la loro nave. A quanto pareva quello
non era
nemmeno l'unico bagno, anche se Elea era rimasta sorpresa all'inizio
quando
aveva notato che la vasca era incassata nel pavimento, rendendola
simile ad una
piscina di riproduzione Salarian: apparentemente, un design piuttosto
comune
fra gli Umani.
Il fatto che Liara e
Hayat offrissero
la loro casa così liberamente a quella che fino a poche ore prima era
stata una
perfetta estranea, rendeva anche impossibile provare gelosia nei loro
confronti.
Elea non riusciva
davvero ad
immaginare come avessero potuto permetterselo, ma da quello che aveva
capito
dalle spiegazioni del Geth, sembrava che Oasi fosse una nave sovra
alimentata:
tutto era in eccesso, per soli sei, presto sette, occupanti fissi e
diciotto
Geth. Allo stesso modo, rifletté la dottoressa, probabilmente Oasi aveva potenza di fuoco e
scudi più
simili a quelli di una corazzata, rendendo la
sua
famiglia la più pericolosa risorsa militare dell'intera Galassia.
La sua famiglia...
buffo, quanto rapidamente Elea stesse arrivando ad
accettare Liara e Hayat come la sua famiglia, dopo aver vissuto da sola
così a
lungo: non solo perché Hayat era il famoso Shepard o perché vivevano in
un incrociatore
spaziale di dubbia origine. No, Elea forse si stava rendendo conto per
la prima
volta di quanto avesse cercato nella sua vita una vera connessione
familiare,
qualcosa che non aveva mai sperimentato a causa dell'eredità delle sue
origini.
Anche per una specie che amava credersi illuminata prima della Guerra,
venire
sistematicamente esclusa dai circoli sociali era stata la norma per
Elea, col
pretesto di essere meno Asari degli altri, di essere troppo alta,
troppo
strana... di avere genitori "difettosi".
Mentre rimaneva a
mollo nella vasca,
più che ampia anche per lei, Elea ripensò a suo padre: non poteva dire
di
averlo davvero conosciuto, perché Danza con la Corrente era un pio
Hanar devoto
al culto degli illuminati, ovvero i Prothean che avevano concesso la
parola
agli Hanar nell'infanzia della loro specie. Una rara nottata di follie
nei
bassifondi di una colonia Asari aveva portato alla nascita di Elea:
l'unica
volta che aveva incontrato suo padre, poco dopo essere fuggita dalla
residenza
di Aethyta, era stata una visita breve ed imbarazzata per entrambi.
Danza con
la Corrente le aveva offerto un aiuto economico, perfino sostanzioso,
ma aveva
ammesso, in modo cortese ma fermo, che non avrebbe potuto fare altro
per lei.
Con quella nuova
possibilità
economica, Elea si era pagata gli studi, preferendo lasciarsi alle
spalle
Aethyta e gli eccessi a cui le loro incomprensioni l'avevano portata.
Sua madre
era stata un cattivo genitore, ma non una cattiva persona:
semplicemente,
qualcuno con cui Elea non era mai riuscita ad andare d'accordo.
"Posso unirmi a te?"
chiese
Liara alle sue spalle, con un asciugamano di cotone bianco a coprirla.
"...Certamente."
disse
Elea, spostandosi al capo opposto della vasca.
Liara lasciò cadere
il suo
asciugamano, mostrandosi ad Elea in tutta la sua gravida nudità: avendo
un solo
sesso, il pudore reciproco non colpiva particolarmente gli Asari.
"Ahhh..." sospirò
Liara
lasciandosi affondare nell'acqua calda: mentre si immergeva, Elea non
aveva
potuto fare a meno di non notare la brutta cicatrice sulla spalla
sinistra, circolare
e callosa, probabilmente il ricordo di un proiettile vagante, e il
taglio
sottile che da sotto l'ascella le arrivava fino all'anca.
"Sembri brillare."
commentò
invece Elea.
"Merito di Hayat..."
rispose
Liara, interrompendosi con un sorriso imbarazzato e un'espressione
rivelatrice.
"...Uh." comprendere
cosa
Liara si fosse concessa prima di raggiungerla era una di quelle cose
che Elea
avrebbe fatto volentieri a meno di sapere.
"Mi dispiace... È
solo che...
anche adesso, è difficile convincersi che non si getterà più nel campo
di
battaglia, per ridefinire il concetto di impossibile. Normalmente non
sono
così, ma i pirati di oggi... per me sono stati come l'eco dell'incubo
più
terribile.
"Vi amate molto: sono
felice per
voi." A volte le parole sono così insufficienti ad esprimere il proprio
pensiero.
"... Lei è più
importante per me
dell'acqua che bevo e dell'aria che respiro. Lei è Hayat, la mia vita.
Ci sono
giorni, in cui non voglio credere che potrei sopravviverle." Liara
sospirò
brevemente: "Ti sembrerò sciocca, preda come sono dell'amore della mia
giovinezza."
Elea scosse la testa:
"Chi sono io per
giudicare
questi miei parenti che ancora conosco così poco? E quando vi avrò
conosciuto,
come potrò non sostenere le vostre scelte? Anche se forse, ci vorrà un
po' per
abituarsi." disse Elea con un sorriso che veniva dal cuore, prima di
continuare: "... Non so nemmeno quanti anni hai."
Liara sorrise
imbarazzata:
"Non mi piace
ammetterlo, ma ho
soltanto 120 anni."
"...Sei davvero
molto giovane."
Forse perfino fin
troppo per una
specie che poteva vivere fino a mille anni: troppo per qualcuno che
aveva fatto
la guerra a fianco di Shepard. E forse davvero troppo per avere
già
quattro figlie ed un altra in arrivo: di solito, un'Asari non pensava a
metter
su famiglia prima dei trecento anni.
"Ho solo trovato
Hayat prima del
previsto... o forse sarebbe meglio dire che è stata lei a trovare me."
disse Liara: "È qualcosa che non posso spiegare completamente. Elea, so
che la domanda è personale, ma tu hai una persona speciale?"
Non richiesto, il
ricordo del capo
della milizia coloniale si fece vivo nella mente di Elea.
"Credevo di sì... ma
non ha
funzionato." rispose la dottoressa.
"Mi dispiace. Hayat
mi ha
trovato subito... forse perfino troppo presto. Ho dovuto faticare per
raggiungerla: vorrei mostrartela, se me lo permetterai. In verità è
solo per
questo che sono venuta qui, ora che finalmente Sesat dorme."
"Perché?"
"È difficile
spiegarlo a
parole... c'è molta solitudine in te, Elea. Un vuoto di cui non conosco
l'origine, ma che mi piacerebbe colmare... sorella."
"La famiglia è
davvero
importante per voi." commentò la dottoressa.
"...Sia io che Hayat
abbiamo
fatto molte cose durante la Guerra: di alcune non parliamo mai. Abbiamo
molti
rimpianti, sopratutto la consapevolezza di non aver potuto fare di più.
E così,
adesso, invece di prenderci cura della Galassia, cerchiamo di fare il
nostro
meglio per quelli a cui siamo legati. Mi permetterai di mostrartelo?"
"...Mostrami."
Liara attraversò la
vasca, posandole
delicatamente le mani sulle tempie: aveva un tocco così leggero, che
Elea si
chiese come fosse possibile che mani così delicate avessero potuto
combattere
per Shepard.
"...Apri la tua mente
Elea:
abbraccia l'Eternità."
I ricordi di una
persona non
assomigliano ad un libro: non sono pagine ordinate a cui si accede
tramite un
indice. Sono più simili ad un disordinato album fotografico, in cui
nella
stessa pagina coesistono diverse immagini che rimandano dall'una
all'altra in
strani modi, non sempre evidenti a prima vista. Sopratutto, i ricordi
di una
persona contengono un numero di informazioni e riferimenti che spaziano
nelle
quattro dimensioni e i cinque sensi: è così che Elea ricordò l'odore
che
avevano gli abbracci di Benezia T'Soni quando Liara era poco più grande
di
Sihaya.
E quello fu solo il
primo dei ricordi
che Liara condivise con lei: sua sorella minore abbracciò gran parte
della sua
vita passata, toccando episodi separati da anni, ma che Liara trovava
importanti perché l'avevano definita come persona.
Il giardino della sua
casa su
Thessia, quando Liara aveva scavato nella terra alla ricerca di tesori.
La
sensazione del primo libro di carta che aveva preso in mano. La
solitudine di
lunghi anni passati all'ombra di una Matriarca devota alla sua gente e
l'emozione della libertà all'accademia di Serrice. I Prothean e il loro
mistero. E molto altro ancora.
Elea conobbe anche il
terrore folle,
quando Liara le mostrò una breve immagine di Londra: quando assieme a
Shepard e
agli altri del suo equipaggio, avevano marciato per le strade di una
città
infera, contro ogni logica e oltre la speranza, sotto un cielo color
incubo con
in bocca il sapore della cenere di innumerevoli cadaveri, per abbattere
nemici
alti più di un palazzo.
Durò un solo istante,
forse qualcosa
di meno, ma Elea ne fu arricchita enormemente: la comunione mentale di
quel
tipo era piuttosto comune fra gli Asari, ma il calore dell'abbraccio in
cui
Elea strinse Liara quando finì non lo fu affatto: fu familiare.
Fraterno.
"Povera sorella
mia..."
bisbigliò Elea nell'orecchio di Liara: "Così giovane e già così
segnata."
"Se nei prossimi
mille anni
della mia vita non vedrò un'altra guerra, sarà comunque troppo presto."
rispose
Liara.
"...Credo che Aethyta
abbia
detto qualcosa di simile una volta: anche se il suo concetto di pace è
picchiare due nemici sulla testa fino a quando non hanno un mal di
testa troppo
forte per litigare."
Questo strappò una
risata a Liara.
"Comunque... sono
felice che tu
abbia smesso di essere l'Ombra: non so se avrei accettato il maggior
trafficante di informazioni come sorella."
Fra i ricordi che
Liara aveva
condiviso con Elea c'era anche questo, ovvero di come Liara aveva
posseduto per
qualche anno un potere tale da rivaleggiare con il vecchio Consiglio.
Era stato un ricordo
che le era stato
offerto condividendo i nudi fatti che avevano portato Liara in quella
posizione:
il dolore terribile dovuto alla separazione da Shepard, quando la prima
Normandy era stata affondata e il desiderio di vendetta per ciò che le
era
stato tolto. L'accordo terribile con Cerberus, che aveva riportato in
vita
Shepard, il confronto con l'Ombra e ciò che con il suo potere era stato
fatto
durante la Guerra. E di come tutto era finito: trafficare con i segreti
della
Galassia era qualcosa che mal si addiceva al compito di madre, specie
considerando quanto Benezia avesse dovuto trascurare la sua unica
figlia a
causa degli obblighi di Matriarca. Liara non aveva avuto rimpianti ad
abbandonare quel ruolo, ora c'era qualcun'altro ad occuparne il posto.
Sua sorella non aveva
condiviso con
Elea l'identità della nuova Ombra, ma la dottoressa seppe che erano
persone di
cui Shepard si fidava e realizzò anche che la discrezione di Liara era
per la
sua protezione: sarebbe stato inutilmente pericoloso rivelarle i nomi
di ex
Spettri che non avevano voluto diventare Guardiani.
"Non credere però che
non
abbiamo più segreti. O che questo sia il più terribile." la avvertì
Liara.
"Un passo alla
volta... e in
questo momento preferisco non pensarci: è inutile preoccuparsi di ciò
che non posso
controllare."
Oasi era un luogo di
luci e ombre, di
tenebre e soli: un rifugio nel buio. Elea cominciò ad apprezzare la
saggezza
con cui era stato dato quel nome.
"Anche questo è
vero."
affermò quietamente Liara, liberandosi dal suo abbraccio: "...Direi che
siamo rimaste abbastanza. La cena dovrebbe essere ormai quasi pronta:
Hayat
avrà dato il meglio di sé."
Dicendo questo, sorse
dalla vasca,
cominciando il compito di asciugarsi, reso più gravoso del normale
dalla
gravidanza.
"Shepard cucina?"
chiese
interdetta Elea seguendola subito dopo: spalla a spalla, la dottoressa
superava
Liara di almeno tutta la testa.
"Dannatamente
bene..." sorrise Liara.
"Oh per la Dea."
Fu quella l'unica
cosa che Elea
riuscì a dire. Anche se Hayat l'aveva avvertita, ora che la dottoressa
se lo
trovava di fronte agli occhi, stentava a crederci.
Dopo essersi
rivestite, Elea nel suo
camice, Liara in un comodo due pezzi di fibra sintetica, sua sorella le
aveva
fatto strada per la nave, attraverso il salone circolare e la porta in
fondo, per
una stanza rettangolare molto lunga, allo stesso tempo una libreria e
un luogo
di svago, dove Elea aveva potuto ammirare la più vasta collezione di
modellini
di navi spaziale che avesse mai visto. Dopo di essa, attraverso un
montacarichi, lei e Liara erano scese al ponte inferiore: qui, Elea
aveva
potuto ammirare una cucina di dimensioni adatte a soddisfare non sette
persone,
ma almeno il triplo, separate da vetrate trasparenti dall'enorme
ambiente che
si trovava al di là.
Hayat lo aveva
chiamato il giardino,
ma sarebbe stato più corretto definirlo una biosfera: una sala
semisferica, di
almeno cinquanta metri di diametro, scavata nel punto in cui la nave
era più
spessa. E questo spazio enorme, così fuori posto in una vascello
interstellare,
era stato seminato e coltivato. Elea passò con incredulità la mano
nell'erba e
assaporò l'odore di spezie, frutta e verdura che quel posto conservava:
addirittura, Elea vide una farfalla svolazzarle pigramente di fronte al
viso.
"Bello vero?" le
chiese
Shepard: aveva un grembiule blu notte, con scritto Papà
numero 1 della Galassia in caratteri Asari, arricchito da
decalcomanie e spille di ogni tipo, nella comica parodia di un'alta
uniforme da
parata.
"È stato difficile
inserirlo nel
progetto: abbiamo dovuto costruire paratie di sostegno tutt'attorno
alla sala,
per mantenere l'integrità strutturale della nave. Le lampade al sodio e
il
sistema olografico del soffitto, richiedono così tanta energia che
metterebbero
in crisi il nucleo di una fregata comune..." Elea alzò lo sguardo:
pallide
nuvole si muovevano sopra di lei, celando appena un sole che comunque
riusciva
ad inondarli col suo calore.
Era una simulazione
così realistica
che avrebbe potuto essere vera.
"Di fatto, è un biodome, costruito adattando alcuni
progetti di navi agricole Quarian alle nostre esigenze: metà lo uso per
coltivare
verdura, frutta e spezie con culture idroponiche." disse ancora Hayat,
indicando dall'altro lato del giardino una serie di vasche terrazzate
da cui si
propagava il dolce gorgoglio di acqua corrente, curate da un Geth
giallo come
la crema.
"...È
una faticaccia starci dietro e
occuparsi di tutto: anche con l'aiuto di Apostata, riesco a malapena ad
azzeccare i tempi di maturazione."
"Oh per la Dea."
ripeté
Elea: "È... è incredibile."
"E sentirai che
sapore..."
disse Hayat, prendendosi un momento per scaldarsi sotto il sole
olografico:
sotto uno degli alberi, le bambine stavano giocando, mentre Urz
continuava a guardarle
con occhio vigile, ma da lontano. A voce abbastanza alta da farsi
sentire,
Hayat le chiamò a se, invitandole ad apparecchiare la tavola per sei
persone.
Elea cercò di offrirsi di aiutarle, ma Liara le mise in mano un piatto
carico
di cilindri verdi, innaffiati con una salsa biancastra:
"La cena sarà pronta
tra poco.
Rilassati Elea, lascia che ci pensiamo noi."
"Cosa sono?"
"Non riesco ancora a
dirlo bene:
dolama? Doma?" provò Liara.
"Dolma.
Con la l."
disse Hayat, mentre si avventava su un branco di pentole davvero
numeroso,
almeno per Elea, abituata com'è a cibarsi di pasti che comprava già
pronti:
"È un piatto tipico della cucina della mia famiglia: sono involtini di
foglie ripiene di riso speziato, pinoli e cavolo Salarian. La salsa è a
base di
uova, limone e yogurt: mangiati freddi, sono un buon modo per far
crescere l'appetito.
Una birra Batarian?" le chiese, offrendo ad Elea una bottiglia piena di
una sostanza verdastra e quasi sciropposa.
"Niente birra per
me."
disse Elea senza alzare lo sguardo: "Sono una ex AA."
Senza battere ciglio,
Hayat alzò le
spalle: "C'è ne di più per me." fu il serafico commento, mentre
l'offerta di birra si tramutava in quella di acqua cristallina, che la
dottoressa accettò.
Hayat prese un lungo
sorso della sua
birra, facendo schioccare la lingua soddisfatta: "Ehi! Selene: niente
poteri biotici con le posate!" urlò ad alta voce, fermando sul nascere
un'acrobazia di una delle gemelle con troppi coltelli e forchette.
Con fare titubante,
Elea prese uno
dei cilindri umidi del suo piatto fra due dita e ne assaggiò un
boccone: la
prima impressione fu lievemente agra, con una nota fresca alla fine.
Poi le
spezie e la consistenza densa ed
estremamente saporita del ripieno si sciolsero nella sua bocca. La
dolma che
aveva in mano sparì nel boccone successivo, assieme ad due altre: erano
spettacolari.
Liara ne prese a sua
volta una dal
piatto:
"In questa Galassia,
ci sono
cose che non siamo proprio in grado di fare, non importa quanto ci
impegniamo,
mentre in altre eccelliamo: per me e Hayat, è una fortuna che i nostri
talenti
siano così complementari. Se richiede una preparazione più complessa
del
toglierlo dalla confezione e riscaldarlo, mi trovo meno a mio agio di
Hayat su
una pista da ballo." confidò, sbocconcellando la sua dolma
delicatamente.
"Hayat me lo aveva
accennato. È
così terribile?"
"Immagina di vederla
mungere un
animale molto alto. Mentre marcia nel fango."
Elea non poté fare a
meno di ridere.
"Ehi, guardate che vi
sento!" disse Shepard, tenendo fra due dita un filetto spesso due dita
ancora sanguinante: sempre sorridendo, Liara indicò il giardino ad Elea.
"Perché non vai a
sentire l'erba
sotto i piedi?" disse, dirigendosi poi verso Hayat e le pentole che
stava domando.
Per Elea, fu strano
togliersi gli
stivale e lasciare le sue dita affondare nell'erba: una sensazione
sconosciuta
ai coloni di Trategos.
Col suo piatto in
mano, l'Asari si
lasciò dirigere dalla sua curiosità, gravitando lentamente verso le
vasche
idroponiche e il Geth giallo crema che rimaneva affaccendato attorno ad
esse.
La sua vista venne catturata da una cesta di oggetti grandi circa due
volte il
suo pugno, oblunghe come un uovo e di colore livido: cautamente, Elea
si chinò
vicino alla sporta, prendendone una in mano. Sembravano molto densi,
probabilmente una verdura, piuttosto che un frutto.
"Sono chiamate
melanzane."
disse il Geth osservandola: la qualità del suo sintetizzatore vocale
era
decisamente inferiore a quella degli altri Geth che Elea aveva
incontrato fino
a quel momento: anche le linee della torcia che aveva per testa erano
più
grezze, facendolo sembrare tozzo. Un unico occhio la osservava dal
centro di
una placca di metallo, con quattro punti rossi disposti attorno a
quadrato.
"Sono buone?" chiese
Elea
sovrappensiero, rimettendo la melanzana di nuovo con le altre.
"...Non lo sappiamo.
Le nostre
piattaforme sono sprovviste di gusto e tatto: la complessità necessaria
per
esprimere una preferenza sensoriale come questa ci è preclusa. Noi
sappiamo
solo che per miss Shepard, esse lo sono."
"Ho fatto davvero una
domanda scortese,
non è vero?"
"Scuse non
necessarie: la
coesistenza tra organici e sintetici non è mai priva di imperfezioni.
Entrambe
le parti tendono a proiettare i propri valori sull'altra: da quando
siamo a
bordo di questa nave, ne abbiamo sperimentato più volte gli effetti...
in
entrambi i sensi."
"Non siete sempre
stati a bordo
di questa nave?" chiese Elea incuriosita.
"Negativo. Questo
vascello è
stato costruito dai Geth su espressa richiesta di miss Shepard, per
ridurre il
rischio di un contatto accidentale con altri organici. Non molti fra
voi
approcciano un vascello Geth."
"Sfrutta la
diffidenza verso di
voi per essere lasciata in pace."
Il Geth sembrò
pensarci un momento:
"...Corretto.
Tuttavia, noi non
eravamo presenti durante la costruzione della nave. Siamo stati
adottati in
seguito: in cambio dell'alloggio delle nostre piattaforme e della
nostra
coscienza sulla nave, noi forniamo assistenza a miss Shepard. Funzione
primaria:
mozzo di Oasi."
"Non ti manca la tua
specie?"
"...Irrilevante.
Esistiamo in esilio
dagli altri Geth: Oasi è il luogo a cui ora apparteniamo."
"Esilio? Ha qualcosa
a che
vedere con la tua designazione?"
Il Geth la guardò
fisso: se fosse
stato un organico, forse Elea ne avrebbe forse definito l'espressione
"ostile".
"Mi dispiace... sono
stata
indelicata. Non è mia abitudine condurre interrogatori: è solo che
trovo
difficile comprendere la fiducia che sembra esserci fra Shepard e...
voi? te?
Non so nemmeno quale pronome usare correttamente."
"Noi siamo un singolo
collettivo
Geth, composto da 81'239 programmi che condividono i propri processi di
calcolo.
Questi processi sono assolutamente interdipendenti: dalla loro somma
emerge il
singolo gestalt con cui sta parlando
ora, dottoressa Megara. Siamo molti individui, ma una sola coscienza:
il
desiderio di preservare questa nostra struttura organizzativa è stato
il motivo
che ha portato alla nostra designazione attuale. E al nostro esilio."
"Temo di non
comprendere
appieno."
Il Geth non le
rispose subito.
"...Durante la
Guerra, alla fine
del conflitto tra Quarian creatori e Geth, si creò un'opportunità
imprevista: il
raggiungimento della piena coscienza per ogni singolo individuo Geth fu
possibile. Fino a quel momento, la nostra intelligenza dipendeva dalla
nostra
potenza di calcolo in serie: permettere ad ogni individuo, ogni singolo
programma, il raggiungimento di una completa autocoscienza, era stato
l'obbiettivo finale che ci eravamo posti per la nostra evoluzione come
specie. Lo
scopo finale dei Geth. Quando questa possibilità si è presentata, solo
questo
singolo collettivo ha rifiutato l'evoluzione."
"State dicendo che
voi avete
rifiutato il diritto al libero arbitrio come individui?"
"Sì."
"...Perché?"
chiese Elea semplicemente.
"Un conflitto con
alcune nostre
convinzioni." rispose il Geth, immergendo le mani nell'acqua e
ispezionando una foglia rugosa, alla ricerca di difetti: "Prima della
Guerra, i Geth non possedevano le capacità per creare ciò di cui
avevamo
bisogno per raggiungere l'autonomia. Le Antiche Macchine, le entità che
voi
chiamate Razziatori, possedevano queste risorse: già una volta era
stata
offerta ai Geth l'autocoscienza in cambio della sottomissione.
L'attacco di
Nazara, l'entità Sovereign, alla Cittadella con truppe Geth è il
risultato di
quell'offerta: noi chiamiamo Eretici coloro che si sottomisero allora
alle
Antiche Macchine. Furono meno del 5% della nostra intera razza." Il
Geth
fece una pausa, passando alla pianta successiva prima di continuare:
"I protocolli di
intelligenza
artificiale che danno attualmente alla nostra specie il libero
arbitrio,
l'individualità, sono stati recuperati dall'Antica Macchina sconfitta
sul suolo
di Rannoch da miss Shepard e la flottiglia dei Quarian creatori."
"È per questo che li
avete
rifiutati? Perché erano stati creati dai Razziatori?"
"No." ripose il Geth
serafico: "La loro origine era secondaria: il valore ne annullava la
stigma associata alla loro origine. È per il loro costo che noi
rifiutammo. I
protocolli e le matrici di calcolo dei Razziatori sono troppo complessi
perché
potessimo condividerli allora attraverso la nostra rete neurale. Il
sacrificio
di uno di noi si rese necessario per sopperire alla mancanza. Noi
consideriamo
il sacrificio di quell'uno un costo troppo elevato da pagare per
l'autocoscienza. Noi rifiutiamo il sacrificio di quell'individuo."
Elea si prese un
momento per pensare
a ciò che le era stato detto, masticando una dolma:
"Doveva essere un
Geth
notevole..."
"Non tutte le
esistenze
posseggono lo stesso valore, dottoressa Megara. Il collettivo Geth che
per
primo venne confinato ad un unico corpo, e a cui miss Shepard diede la
designazione di Legione, fu il primo fra noi a riuscire a stabilire una
comunicazione pacifica con voi organici. Legione fu il primo Geth a
diventare
individuo e decise di sacrificare la sua individualità per noi: noi
consideriamo
il prezzo di quel sacrificio troppo elevato per i Geth. Comparazione:
per voi
organici, il valore immateriale di un raggiungimento è maggiore se esso
viene
conquistato con le proprie forze, piuttosto che fornito da terzi. Per
questa
conclusione, noi siamo un'anomalia e siamo stati designati Apostata
per essa. L'esilio è stata una nostra scelta: la creatrice
Tali'Zorah vas Rannoch in Vakarian, attualmente collaboratrice della
S&T,
ha perorato la causa della nostra esistenza piuttosto che la
cancellazione.
Miss Shepard ci ha accolto a bordo di questo vascello: riteniamo che la
nostra
presenza a bordo crei un legame per miss Shepard col tempo speso con
l'individuo Legione. Noi siamo... onorati da questo. E grati per la
possibilità
offertaci."
Dicendo questo, il
Geth indicò con
una delle sue mani di metallo qualcosa alle spalle di Elea e, seguendo
il suo
gesto, la dottoressa vide le bambine strette attorno ad un altro Geth,
questa
volta di colore cobalto, completamente catturate da qualunque cosa
Apostata
stesse dicendo loro, mentre allo stesso tempo un altro Geth ancora era
subentrato in cucina per aiutare Hayat al posto di Liara.
"La signorina e le
signorine
storpiano la designazione di questo collettivo in tata, un termine che
ha un
significato affine a quello di bambinaia o babysitter. Miss Shepard e
miss
Liara ci hanno accolto come parte della famiglia: estendo il loro
benvenuto a
lei, dottoressa Elea."
"...Grazie." fu tutto
ciò
che Elea riuscì a dire: aveva appena avuto una conversazione così al di
fuori
dalle sue esperienze comuni, da non sapere quale valore darle.
"La cena è servita."
affermò il Geth, tornando ad ispezionare le foglie.
Solo in quel momento
Elea notò Hayat
che dall'altro capo del giardino le faceva cenno di avvicinarsi: la
dottoressa
non si fece attendere, ma non poté impedirsi di guardare il Geth color
crema
un'ultima volta, venendo però completamente ignorata in favore delle
piante.
Quando Elea
finalmente raggiunse la
sua famiglia, trovò che l'aspettavano già seduti attorno al tavolo:
poco
distante da Liara, Sesat restava sdraiata nella sua culla, con Urz
accoccolato
poco distante, completamente concentrato nel divorare grossi pezzi di
carne sbrindellata
e sanguinolenta. Quando anche Elea si sedete, colpita dalla quantità di
cibi
esotici che erano presenti di fronte a lei, Hayat si rivolse a Sihaya:
"Che cielo vorresti?"
La bambina sembrò
pensare
attentamente alla risposta, per una domanda che la dottoressa non aveva
compreso
del tutto:
"Dekuuna." disse
infine.
In risposta,
l'ologramma del soffitto
del giardino cambiò, sfumando dal cielo azzurro ad uno porporino,
mentre si
disegnava un orizzonte ininterrotto da qualsiasi altura: solo nuvole
basse si
inseguivano lontano da loro. Dekuuna, il pianeta natale degli Elcor:
Elea
sapeva in che condizioni disastrate fosse quella specie, anche dopo
anni dalla
fine della Guerra.
"Un piccolo trucco
per ricordare
i posti in cui siamo stati." spiegò Liara.
"Avete visitato
Dekuuna?"
chiese, mentre Hayat faceva passare delle ciotole di ceramica colme di
una
zuppa densa.
"In vacanza, poco
dopo la
nascita di Selene e Alune. Ricordo che abbiamo dovuto metterci delle
tute
antigravità per muoverci: eravamo così goffe... ma è difficile muoversi
a 4
g."
"Cosa avete visto?"
"Siamo rimaste
lontane dalle
città: abbiamo visto le uniche alture del pianeta nella zona temperata,
dove
sembra venissero compiuti riti della fertilità in tempi preistorici...
E sono
rimasta a guardare con Sihaya mentre Hayat faceva roccia sulle pareti
di
granito senza attrezzi e senza tuta."
"Faceva
roccia?" l'espressione umana, anche se tradotta,
sfuggiva a Elea.
"Vuol dire
arrampicarsi. È una
pratica sportiva a cui ho cercato di dedicarmi ogni volta che la mia
vita di
prima me lo permetteva: un hobby, a cui do la colpa per la mia
notorietà. È
stato per quello che ero su Elysium quando ci fu l'assalto."
"...Strano hobby: di
solito gli
Asari leggono quando cerchiamo di rilassarci."
"Lo faccio anch'io...
ma sfidare
la gravità di un pianeta a mani nude, issandosi sulle rocce... non lo
so, mi è
sempre piaciuto."
Elea rimase a
guardare mentre le
bambine prendevano ciascuna un cucchiaio e l'immergevano nella zuppa,
riempiendosi la bocca di gusto.
"E cosa ricordi di
Dekuuna,
Sihaya?"
La bambina sembrò
pensarci su
attentamente, leccando la punta del cucchiaio:
"La pioggia." disse
infine:
"Quando ha cominciato a piovere e ci siamo riparate in una caverna:
l'acqua sulla roccia di fuori suonava come un'orchestra."
Attorno a loro, il
rumore ritmico di
biglie sulla pietra si diffuse quietamente: in un pianeta con quattro
volte la
gravità terrestre, la pioggia non cadeva. Precipitava.
"O per la Dea... è
delizioso." disse Elea, lucidando il cucchiaio con le labbra: "Non ho
la minima idea di cosa sia, ma è fantastico."
"Grazie. La cucina
della mia
famiglia è quella dei miei avi, contaminata da quattro generazioni
passate
nello spazio: alcuni ingredienti li ho scambiati con il loro
equivalente da un
altro pianeta. Altri, li abbiamo sostituiti del tutto. Le spezie
invece, quelle
sono rimaste: questa zuppa è fatta con lenticchie rosse, quattro tipi
diversi
di aromi e la gelatina ottenuta facendo bollire il... radrar?
L'ho pronunciato correttamente?"
"Quasi... è
rad'rhar."
disse Elea correggendola: "Non avrei saputo riconoscere l'alga nera di
Thessia: delizioso!"
"Questo invece è
kisir, un mix
di tre verdure fresche, bulgur e prezzemolo." spiegò Hayat, mentre
indicava una grossa ciotola in mezzo alla tavola, piena di qualcosa di
molto
simile a sabbia bianca e fine con coloratissimi pezzi di verdura a
spezzare
l'insieme.
"...Ti consiglio di
berci
assieme un po' di ayran." disse
Liara, passandole una brocca ramata con cui aveva già riempito i
bicchieri
delle bambine: il contenuto era bianco e schiumoso, tanto che Elea
guardò
interrogativamente Hayat:
"È a base di latte."
la
rassicurò: "Ma non mi offenderò se non ti piacerà."
Elea ne prese un
sorso, scoprendolo
cremoso e dolce al tempo stesso, con una lieve nota salata in fondo:
quando
abbassò il bicchiere, notò che le due gemelle le sorrisero, mentre
esibivano orgogliosamente
baffi di schiuma.
"È strano..." disse
Elea:
"Non è cattivo, ma non riesco a berlo adesso: è troppo dolce per me."
La conversazione
procedettero a mano
a mano che i piatti continuavano ad arrivare pieni e si impilavano
svuotati:
conversazioni banali per una scena comune. Eppure, quel conoscersi a
vicenda fu
la prima volta in cui Elea si sentì davvero parte della famiglia.
"... E così il
capitale iniziale
della Lawson Inc l'avete fornito voi due?"
"Già: avevamo
abbastanza soldi
da non sapere cosa farne e amici che non sapevano che direzione dare
alle loro
vite. Molti di noi volevano anche fuggire dalle luci della ribalta,
mentre
altri dovevano adattarsi ad una vita... più normale. È così che è stata
fondata
la Lawson Inc: la maggior parte dell'equipaggio della Normandy, quelli
almeno
che avevano bisogno di cominciare una nuova vita, lavora per la società
o per
le sue sussidiarie, come la S&T..."
"E come vi siete
incontrare?
Liara mi ha fatto vedere qualcosa..."
"Zia, sai la storia
della
principessa e del drago? Perché è proprio così che è andata..."
"...Questo è riso
pilav e fette
di melanzane fritte: cerco sempre di farle croccanti fuori e tenere
dentro, ma
non mi riescono ancora come vorrei."
"L'amore per la
cucina è una
cosa recente? Se non sono indiscreta..."
"Nessuna
indiscrezione: io sono
un biotico Elea, un biotico discretamente potente, anche prima di
arruolarmi
nell'Alleanza. Noi biotici umani abbiamo un metabolismo accelerato e
dobbiamo
mangiare molto, anche solo per mantenerci in forze: mi sono stancata
del rancio
due volte più velocemente di un soldato normale, credo già al primo
anno di
accademia. Ho deciso di imparare allora, in modo da variare la mia
dieta. A
proposito queste sono melanzane al forno, con pomodori e ceci..."
"...Ci manteniamo in
contatto:
di solito ci incontriamo con uno dei nostri vecchi amici ogni mese più
o meno. Le
nostre figlie visitano un pianeta e giocano assieme ai loro cugini,
mentre noi
vecchi veterani li osserviamo con il più stupido sorriso che riusciamo
a fare.
Una grande famiglia allargata con bambini di quasi ogni specie che si
azzuffano,
litigano fanno la pace e la guerra, per poi ricominciare subito dopo
dall'inizio."
"Ti piace la torta?
È fatta con le
nocciole"
"Temo di non sapere
cosa sia una
nocciola... o per la dea: cos'è questo?"
"Spuma di pere."
"...Potrei averne una
seconda
fetta?"
"Quindi davvero
nessun rimpianto
ad aver lasciato l'Alleanza o gli Spettri? Di aver smesso di essere...
un eroe?"
"Elea, essere stato
un eroe non
mi ha dato pace ne felicità. Mi hanno sparato, mi hanno coperto di
medaglie...
ma tutte quelle patacche non mi hanno dato una vita migliore. Non è
stato
difficile lasciarsi la vita militare alle spalle: non si può essere
militari ed
avere una famiglia, si deve scegliere ad un certo punto. Altrimenti c'è
inevitabilmente il divorzio e la tua ex compagna che non vuole
ricordare il tuo
nome. E i tuoi figli che non ti parlano, ma ti fanno solamente il
saluto
militare, mentre portano il nome dei tuoi vecchi compagni scomparsi da
tempo...
O almeno, questo è stato il destino di quasi tutti i miei vecchi
commilitoni durante
la mia carriera: l'ho sempre trovato dannatamente triste. Quello che ho
fatto,
l'ho fatto non perché volessi essere un eroe: ma perché non c'era
nessun altro
per farlo."
"Papà?"
"Sì?"
"Cos'è il saluto
militare?"
"E questo...
sarebbe?"
"Caffè. Una bevanda
terrestre
ricca di implicazioni. Ci sono molti modi tradizionali di prepararlo,
io
preferisco questo. È molto forte e concentrato: mi ha aiutato a
rimanere
sveglia.... quando dovevo."
"Non è solo un modo
di dire:
quando ne ho bevuta per la prima volta una tazza, non ho chiuse occhio
per
trenta ore. Ti consiglio due sorsi... per cominciare."
***
Fu solo molto tempo
dopo
l'iniziazione gastronomica di Elea, quando le bambine corsero via
ognuna
seguendo i propri interessi, Sihaya a giocare con Urz, le gemelle a
guardare
"Star Trek" qualunque cosa
esso fosse, e Sesat abbandonata al sonno dopo la sua poppata serale,
che la
dottoressa si trovò di nuovo faccia a faccia con Liara e Hayat da sola.
"Immagino che tu
abbia ancora
molte domande, Elea. Domande su di me, e da dove vengano alcune delle
cose che
hai visto." Liara prese la mano dell'umana mentre le parlava: Elea poté
solo assentire.
"Alcune di queste
risposte
potrebbero non piacerti. Per la verità, alcune di queste risposte
potrebbero
spaventarti... Non c'è un modo facile per dirlo: non rimangono molti
segreti
fra noi, Elea. Ma questi ultimi... questi ultimi non possono
assolutamente
scendere da questa nave: nemmeno tutti i membri della mia vecchia
squadra li
conoscono. Ma tu sei parte della famiglia: se vuoi saperli... se e
quando
penserai di essere pronta, questi nostri fardelli potrebbero diventare
anche i
tuoi: voglio che tu sappia però che ti cambieranno la vita.
Radicalmente."
Questo capitolo è stato senza dubbio il più difficile
da scrivere finora e anche dopo averlo riletto molte volte, forse
troppe XD, non sono ancora sicuro che abbia la forma migliore che
potevo dargli. Ma a questo punto, si nuota o si affoga, per cui lo
pubblico: ogni feedback quindi è più che ben accetto. Poiché
inoltre la sorella di Liara e la "torma di bambine blu" erano state già
praticamente confermate da ME3, l'unico vero nuovo personaggio di
questo racconto è senza dubbio Apostata, ovvero le nostre tenere bambinaie
robot.
Qualche informazione in più a proposito:
Apostata è un termine che indica colui o colei che ha formalmente
rinunciato alla propria religione, ed è un titolo che è stato portato
nella Storia anche da un'imperatore romano, Flavio Claudio Giuliano. La
domanda che vorrei porvi ora, lettori è la seguente: è riuscito questo
mio Apostata a stuzzicare i vostri sentimenti, e magari guadagnarsi la
vostra simpatia?
Fatemi sapere e a presto.
|
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Capitolo 6 *** Addio Alle Armi ***
Perdonate il ritardo della pubblicazione ma l'idea per
questo capitolo mi è venuto all'improvviso. Considerandola buona a
sufficenza, ho voluto svilupparla per inserirla in questo racconto,
invece di pubblicarla a parte: spero che vi piaccia e nel caso, spero
vi piaccia abbastanza da lasciare una recensione.
Questo capitolo è il successore di una mia precedente one shot
"Richiesta Negata". Non credo sia necessario andare a leggerla, dato
che comunque questo capitolo esiste separatamente da quella one shot:
in ciò che vi apprestate a leggere, ho cercato di trattare una sorta di
riconciliazione tra il comandante Shepard e il sopravvissuto di
Virmire, qualcosa che non era presente abbastanza in ME3, almeno
secondo il mio parere, cercando di raccontare le conseguenze della
Guerra contro i Razziatori da un altro punto di vista. Di per se, tutto
questo capitolo è un flashback, rispetto alla trama principale di
"Dieci Anni Dopo" e ho inserito delle date per aiutare l'orientamento
temporale.
E con questo, vi auguro buona lettura.
"Oggi ho ascoltato molti
discorsi sul comandante
Shepard. Troppo pochi su mia figlia... Mentre guardo questa bara vuota,
non
riesco a smettere di ricordare la mia bambina che gattonava a zero g.
Scusatemi...
non posso continuare."
Tenente
Comandante Hannah bint Haaron Shepard-
Cittadella, anno 2185. Veglia funebre per il Comandante Hayat bint
Hannah
Shepard.
Ospedale
da campo permanente Lima 538- 150 km a sud ovest dal cratere di
Londra. Dicembre dell'anno 2189.
Rame.
Rame e ferro sulla
lingua, e nella
gola, e il sapore di qualcosa d'altro: plastica, o forse sapone.
L'odore di
disinfettante permea tutto,
ma è solo la cosa troppo morbida sotto la schiena che le fa capire dove
si
trova davvero.
È così ovvio in
fondo: non l'avevano
già avvertita ampiamente delle conseguenze e dei rischi che correva a
continuare in quel modo? Non le avevano parlato a sufficienza dei
sintomi? O di
come ciò che lei si ostinava a chiamare solo asma era in realtà
l'inizio di
qualcosa di più grave? Qualcosa che anche lei conosceva fin troppo
bene?
Per quale stupido
orgoglio aveva
continuato a nascondere i fazzoletti sporchi di sangue? Sapeva che
stava solo
rimandando l'inevitabile.
Aveva un nome quella
progenie di un
enfisema e di un edema polmonare, un nome molto lungo e tecnico, e se
ne
conoscevano le cause: composti ossidanti dell'elemento zero, accoppiati
a cloro
e ad altri metalli pesanti, che non aspettavano altro che qualcuno o
qualcosa
li sollevasse in aria. Bastava una minima brezza, o un sospiro: o
qualcuno che rovistasse
nelle macerie, come faceva lei con le squadre dell'Alleanza da più di
un anno. Non
c'era ancora una cura per quella contaminazione: solo prevenzione o
rimozione
di ciò che era stato irrimediabilmente danneggiato. Perché quelle
polveri verdi
e bluastre, impossibilmente leggere, ti entravano dentro fin troppo
facilmente,
e ti scavano i polmoni come topi col formaggio. Se eri fortunato si
fermavano
lì: a volte però passavano nel sangue, arrivando al cervello e
rendendoti
pazzo, fino al punto che erano costretti a metterti un pannolone per
impedirti
di fartela nei pantaloni.
Lei non era ancora a
quello stadio,
ma ora i suoi superiori le avrebbero sicuramente impedito di tornare al
cratere
di Londra: probabilmente l'avrebbero messa dietro ad una scrivania e
sotto una
campana di vetro, perché l'Alleanza non avrebbe mai permesso ad uno dei
suoi
pochi eroi ancora in vita di morire per contaminazione da elemento
zero.
"Maledizione." la
cannula
dell'ossigeno nel naso era fastidiosa, ma non aveva nemmeno la forza di
rimuoverla.
E comunque, anche se
l'Alleanza
avesse coperto il costo del suo doppio trapianto, la convalescenza
sarebbe
stata lunga: i polmoni clonati non hanno mai le stesse capacità di
ossigenazione di quelli originali; è necessario condizionarli di nuovo
dal
principio, ricominciare l'addestramento. Altro tempo che avrebbe
passato
lontano da dove avrebbe davvero voluto essere.
"...Maledizione."
Sospirò
di nuovo, nascondendo la faccia nell'incavo del braccio senza flebo.
Due anni: erano già
passati due anni,
di nuovo, e ancora nessuna traccia. Quasi un milione di corpi mutilati
rinvenuti
tra i rottami della Cittadella e ancora nessun riscontro: nessuno dei
soccorritori lo avrebbe mai ammesso per primo, ma la speranza che prima
o poi
avrebbero trovato qualcosa stava iniziando a morire. Senza il vincolo
della
gravità, l'inerzia avrebbe potuto scaraventarne il corpo nel Sole per
quanto ne
sapevano: non c'erano certezze che fosse rientrata davvero
nell'atmosfera planetaria.
Questo, perfino a lei era chiaro, ma la consapevolezza che forse quel
corpo in
particolare giaceva dimenticato sotto le macerie non la lasciava in
pace. E
così, quando la battaglia per la Terra si era conclusa, si era giurata
che
questa volta l'avrebbe seppellita davvero e una volta per tutte: forse
allora,
la sua Guerra sarebbe finalmente finita.
Con la pressione di
un tasto, altra
morfina si sciolse nel suo sangue: meglio dormire. Dormire e
dimenticare per un
poco.
I giorni si
confondono quando rimani
a lungo in ospedale confinato in una piccola stanza, consumando il
tempo con
domande ottuse.
Non la fanno uscire
nemmeno per
sottoporsi agli esami: grazie ai progressi tecnologici dell'ultimo
secolo,
tutte le macchine diagnostiche sono integrate nel suo letto. Una
discreta
innovazione, che non fa altro che aumentare la sua monotonia, mentre
opache
facce di dottori si susseguono una dopo l'altra. È come essere in una
prigione e
quel pensiero l'accompagna per un po': anche lei si era sentita così,
prima
dell'invasione dei Razziatori sulla Terra? In balia di qualcun'altro?
Probabilmente no: conoscendola, avrebbe potuto lasciare la sua prigione
in
qualunque momento.
Se era rimasta, era
solamente perché
era la cosa giusta da fare: aspettare raccogliendo le forze, per un
momento che
entrambe sapevano destinato ad arrivare; e ora, dopo quasi tre anni
dalla prima
invasione dei Razziatori sulla Terra, le conseguenze erano ancora
visibili
sotto gli occhi di tutti e forse lo sarebbero state per sempre. I
Razziatori
non erano mai stati un mito per lei.
Solo una misera
trentina di persone
traumatizzate era stata trovata ancora viva fra le macerie: trenta
miracolati
su una popolazione che nel suo massimo era stata di cinque milioni per
la
Cittadella e di dieci milioni per Londra. Dopo tre settimane
dall'impatto e
dalla fine della Guerra, era stato chiaro ai soccorsi che non ne
avrebbero
trovate altre, ed era quindi giunto il momento di concentrarsi sulla
rimozione
delle rovine e sul recupero dei corpi.
La prima opera ad
essere stata
edificata dai soccorritori dall'Alleanza per il cratere di Londra era
stata la
diga di Twickenham: quando la Cittadella si era schiantata, il Tamigi
si era
ripreso una grossa porzione della città, affogandola sotto le acque
fangose di
un lago circolare, in cui spuntavano isole che non erano formazioni
naturali,
ma relitti della gigantesca stazione spaziale che era stata la
Cittadella. Quando
la diga di Twickenham era stata completata, e il corso del Tamigi
spostato a
sud di una decina di chilometri, permettendo finalmente all'acqua di
defluire
dal cratere, la vera gravità della situazione era stata palese agli
occhi di
tutti: Samuel Johnson, poeta britannico del 1700, ha scritto "Quando un
uomo è stanco di Londra, è stanco della vita, perché a Londra c'è tutto
ciò che
la vita può offrire!".
Ma nel 2189 Londra
non esiste più.
Del Tower Bridge
avevano trovato solo
mezza torre, e forse perfino la salma di Sir Isaac Newton aveva avuto
da
rammaricarsi di aver intuito la gravità, quando l'Abbazia di
Westminster era
stata spianata. Peter Pan non avrebbe mai più preso il volo dai
giardini di
Kensington e meno si parlava agli inglesi del destino di Buckingham
Palace,
meglio era: nemmeno la proverbiale flemma britannica era riuscita a
rimanere intatta.
Anche senza la Torre
di Londra, i
corvi erano tornati: i soccorritori avevano persino imparato a seguirli
quando
si radunavano assieme, perché indicavano la presenza di resti umani e
alieni
sotto le macerie.
Di fronte a quella
devastazione, qualcuno
aveva paragonato il cratere di Londra al Limbo: un luogo senza speranza
di
eterna malinconia. Una metafora adatta: ogni giorno, uomini e donne, e
perfino
alcuni alieni, si alzavano dai loro campi provvisori all'alba, per
tornare
coperti di fango e scorie ben dopo il tramonto, fiaccati nello spirito,
motivati ad andare avanti solo dalla comune solidarietà e dal lutto,
che
trascende quasi tutte le differenze.
La foto di un
Batarian inginocchiato fra
macerie del Big Ben, che si stringe al petto il corpicino esanime di
una
bambina umana, tutti e quattro gli occhi rivolti al cielo in attesa di
una
risposta che non verrà mai, fa il giro della Galassia: è solo una fra
le tante
storie del cratere di Londra.
Di tutte le città
della Terra, solo
Vancouver è messa peggio: la vecchia sede del quartier generale
dell'Alleanza,
la città della Terra che è stata colpita per prima dai Razziatori. In
quel
luogo non era permesso ai soccorritori di lavorare per più di due mesi
di fila,
prima di venire riassegnati ad altre zone: il danno psicologico era
troppo da
sopportare per periodi più lunghi di tempo. Vancouver era l'Inferno,
plasmato
dai Razziatori durante la loro conquista: campi di prigionia e mattatoi
a cielo
aperto che si susseguivano con logiche abominevoli.
Tra Vancouver e
Londra, ci sarebbero
voluti anni prima di riportare la situazione alla normalità, ma se
c'era una
specie in grado di sopravvivere ad una simile tragedia, quelli erano
gli Umani.
***
Quando aprì gli occhi
era buio fuori:
doveva essere scesa la notte. Ne ebbe la conferma quando un lampo
illuminò il
cielo: i suoni esterni non arrivavano nella sua stanza, perché i muri
erano
troppo spessi. Era ancora strano riabituarsi al ciclo di albe e
tramonti, dopo
tutti i mesi in cui la polvere e i detriti successivi allo schianto
della
Cittadella avevano oscurato il Sole.
"Sei qui per
uccidermi?"
chiese alla figura ai piedi del suo letto: indossava un cappotto di
nylon scuro,
con il cappuccio tirato fino agli occhi e il bavero rialzato. Senza
dubbio
umana, ma un paio di occhiali da sole riflettevano il suo sguardo.
Noncurante,
il suo visitatore notturno stava sgocciolando sul pavimento della
stanza.
La figura scosse la
testa.
"...Allora che vuoi?
L'orario
delle visite è da mezzogiorno fino alle due del pomeriggio." come se le
fosse
permesso di ricevere visite da qualcuno.
Da oltre l'orlo del
letto, il suo
visitatore posò qualcosa sopra le sue coperte: era una sfera di metallo
grande
quanto una pallina da tennis e anche lei sapeva di cosa si trattasse.
Era un
disturbatore di frequenze miniaturizzato: ogni cimice con cui
l'Alleanza aveva
imbottito la sua stanza d'ospedale era ora distratta da dati fasulli:
probabilmente, per i suoi angeli custodi lei stava ancora dormendo.
"Adesso possiamo
parlare..."
disse la figura in un sussurro: la sua voce era smorzata dal bavero che
aveva
davanti alla bocca, ma Williams fu certa che si trattasse di una donna.
"... ma consiglierei
di non alzare
troppo la voce. Hanno messo delle guardie a piantonare il corridoio. E
c'è
almeno un agente in incognito fra il personale dell'ospedale.
L'Alleanza sembra
prendere molto sul serio la sicurezza del comandante Williams."
"Li hai...?"
"Certo che no. Sono
ancora tutti
al loro posto, incolumi ed ignari."
"E allora come
diavolo hai fatto
ad entrare?"
"...Dalla finestra
naturalmente."
Ashley voltò la testa
per un attimo
per confermare l'assurdità di quella affermazione:
"È una lastra
antiproiettile in
un unico pezzo, rinforzata da un doppio campo di forza: cederebbero
prima le
pareti. Ed è ancora intatta."
"Non ho mai detto di
averla
forzata: ci sono... passata attraverso." c'era senza dubbio una nota
divertita nella voce del suo visitatore.
"... Hai intenzione
di dirmi chi
sei, o devo chiamarti miss Houdini?" lentamente, la sua mano si stava
spostando verso l'unica pistola che le avevano lasciato tenere in
camera.
Sentiva già il freddo metallo contro la punta dell'indice.
"Mi ferisci Ashley:
ci
conosciamo bene..." con gesti lenti, la figura sbottonò il bavero che
aveva davanti alla bocca e tirò completamente indietro il cappuccio.
Gli
occhiali invece rimasero al loro posto, ma Ashley intravide alcuni
bottoni di
metallo che dalla tempia sinistra si allungavano fino all'orecchio.
"... la penultima
volta che ci
siamo incontrate, mi hai puntato contro una pistola. E l'ultima volta
che ci
siamo parlate, io ti ho mentito."
La pistola di
Williams rimase sotto
il cuscino.
Fu una fortuna che
tre mani andarono
a tapparle la bocca: due erano sue.
"Potresti evitare di
dare di
matto, Williams?" le chiese il suo visitatore a bassa voce e con
l'indice
di fronte alle labbra: "Non vorrei davvero che qualcuno entrasse da
quella
porta all'improvviso. Sarei costretta a impedirgli di raccontarlo..."
Solo quando Ashley
annuì, la sua
visitatrice le tolse la mano dalla bocca: il Comandante Shepard era
viva e
vegeta, di nuovo.
"...E come credi che
non possa
dare di matto? Devi smetterla di fare così!" nonostante il tono furente
e
ferito, Williams riuscì a contenere il volume della sua voce.
"Così come?"
"Sparire un altra
volta per due
anni facendoti credere morta! Hai idea di quello che fai passare alle
persone?"
"Tecnicamente sono
ancora MIA. E
ho letto la tua cartella medica: tubercolosi da eezo.... Suppongo avrai
passato
metà degli ultimi due anni a non indossare il respiratore per meglio
sbraitare
ordini. A proposito, il blu cianosi e le borse sotto gli occhi non ti
donano
affatto."
"Va all'inferno...
signora."
"Già stata. Tre
volte, se
contiamo la missione oltre Omega 4 e la battaglia finale a Londra. È...
sopravvalutato."
"Bel modo di mettere
a loro agio
le persone...ma se c'è qualcuno in grado di farlo, di tornare
dall'altro lato, quella
certamente sei tu."
"...Credevo che la
tua cotta per
me ti fosse passata dopo Horizon."
Williams non poté
impedirsi di
arrossire e distogliere lo sguardo... c'era così tanto da dire fra
loro, che
non sapeva davvero da dove cominciare. Meglio puntare prima alle cose
più
futili:
"Già, anch'io...
dannazione, Hackett
mi sentirà non appena esco di qui: come ha osato
tenermi all'oscuro?"
"Non lo sa."
L'espressione di
Williams esprimeva
solo sorpresa e dubbio. L'ammiraglio Hackett, il più alto ufficiale
dell'Alleanza, non sapeva che il famigerato comandante Shepard era
ancora in
vita?
"Quindi adesso lavori
per il
Patto?" le chiese Ashley: sarebbe stato tipico del comandante in fondo,
concentrarsi sul bene di tutte le specie piuttosto che la sua.
"...Guardiani? È così
che li
chiamano adesso, no?"
"L'iniziativa dei
Guardiani non
è ancora ufficiale..." rispose Shepard con un mezzo sorriso: "Ma non
sto lavorando nemmeno per loro. E neanche loro sanno di me."
"Ok, adesso sono
confusa. Se non
sei con l'Alleanza e nemmeno col Patto... con chi stai ora?"
"Con nessuno."
"Impossibile. Come
avresti
potuto tenerlo nascosto? Non so se lo sai, ma di questi tempi la tua
faccia è
su ogni superficie su cui si possa attaccare una segnaletica."
"Non è stato
difficile. A parte
Wrex e i membri della squadra da sbarco, gli unici a saperlo sono Joker
e
Chakwas."
"E vuoi dirmi che
Joker e
Chakwas hanno mentito all'ammiragliato dell'Alleanza?"
"... Un favore
personale."
"Dannazione."
sussurrò
Ashley, mettendo al loro posto gli ultimi pezzi del puzzle: "...
quindi, se
non fossi stata contaminata dall'eezo, tu non saresti venuta... Mi
avreste
lasciato all'oscuro."
"... Non sei una
persona facile
da avvicinare in incognito." cominciò fiaccamente il comandante "Ogni
tuo movimento è sorvegliato..."
"Risparmi queste
stronzate,
signora: non mi sembra tu abbia avuto molti problemi ad entrare in
questa
stanza..." rispose rabbiosamente la marine: "Credevo di essermi
meritata la tua fiducia."
Shepard sospirò, ma
non rispose a
parole: si limitò rimboccarsi la manica del cappotto. Quando Williams
vide la
protesi, non poté impedirsi di raccogliersi le ginocchia al petto:
"Gesù... tutto il
braccio?"
"E un occhio. E una
parte del
mio sistema nervoso. Cosa pensavi: che la battaglia di Londra mi avesse
lasciato incolume? Non sono così forte."
"Perché non un
trapianto? La
clonazione..."
"Non sarebbe stata
sufficiente.
Questo braccio mi ha tenuto in vita, Ashley. E mi ha rimesso in piedi:
è parte
di me al punto che rimuoverlo non è più un'opzione."
"Quei maledetti figli
di puttana
di Cerberus..." sputò la marine ringhiando.
"Cerberus non esiste
più. Ho
passato parte degli ultimi due anni ad assicurarmene...." Il tono con
cui
Shepard lo disse era inequivocabile: mentre la Galassia tentava di
riprendersi
dalla Guerra, qualcuno là fuori si era assicurato che nessuno provasse
ad
interferire con la diplomazia interstellare. Williams non invidiò
affatto i
poveri bastardi che si erano trovati di fronte il suo ex comandante.
"...Ma questo non è
opera loro.
E non ho intenzione di dirti da dove viene in ogni caso." concluse
Shepard.
"Nascondere fatti ad
un
ufficiale dell'Alleanza è un reato, signora."
"Solo se questo è un
tuo
superiore."
"Venire promossa a
maggiore è
stato solo a causa della tua scomparsa."
"Già... se fossi
rimasta, come
minimo mi avrebbero fatto ammiraglio."
Sia Williams che
Shepard non poterono
fare a meno di sorridere a quel punto:
"...Mi è mancato
litigare con
te, signora."
"A me no invece. Sei
sempre
stata una spina nel fianco Williams, insubordinata e testarda.... ma
come
persona in fondo non sei così male: è un peccato che tu lo nasconda."
"È un complimento
signora?"
"Una constatazione...
e risparmiati
il signora, Ashley. Anche se mi hanno promossa, per quello che mi
riguarda il
comandante Shepard è morta a Londra."
"Io ero con Hackett
durante la
battaglia, a coordinare le truppe. Ho solo visto la città bruciare
sotto di noi.
Avrei dovuto essere là a coprirti le spalle."
Shepard scosse la
testa.
"Non ci saresti
riuscita,
Ashley. Saresti morta molto prima di quella battaglia."
"Non puoi esserne
sicura..."
"Eri quasi morta già
su Marte,
ti ricordi? Il primo giorno dell'assalto dei Razziatori, quando quel
robot di
Cerberus ti ha quasi ucciso. Quello che forse non sai, è che ho dovuto
farti
una craniotomia mentre la Normandy scappava dal sistema solare, perché
non
avevamo ancora un medico a bordo. Ho dovuto farti un buco nel cranio
Ashley, perché
altrimenti mi saresti morta tra le braccia."
"...E come
ringraziamento io ti
ho puntato una pistola contro." disse sommessamente Ashley.
"È stato Udina che ti
ha
manipolato a farlo." rispose automaticamente Shepard. Williams però non
credette che il comandante fosse del tutto sincera:
"Avrei dovuto fidarmi
di te."
"Lo hai fatto: è per
questo che
Udina è morto quel giorno."
"No intendo... avrei
dovuto fidarmi
di te dal principio. Avevi provato a mettermi in guardia."
"L'ho fatto, ma...
non voglio le
tue scuse. Sono stata sleale anch'io quel giorno."
"Come sarebbe?"
"Quando dopo
l'assalto di
Cerberus alla Cittadella mi hai chiesto di salire a bordo della
Normandy, io...
io ti ho mentito. Ti ho detto che con la tua esperienza saresti stata
più utile
ad Hackett. La verità è che non ti volevo a bordo."
L'espressione ferita
di Williams
costrinse il comandante a continuare:
"Avrei dovuto
dirtelo, invece di
mentirti. Ho usato gli stessi mezzi di Udina. Ma l'idea di assistere
anche alla
tua morte... per le mie scelte, come era già successo a Kaidan... non
sarei
riuscita a sopportarlo."
"E se fossi morta
comunque sotto
Hackett?"
"Allora immagino che
avrei
potuto incolpare lui della tua scomparsa. Avrei potuto illudermi di
avere le
mani pulite. Ed andare avanti ancora un po' a combattere. Mi dispiace
davvero.
E sono dannatamente contenta che tu sia ancora viva."
"E a me dispiace di
averti
puntato contro una pistola quella volta. E di non essermi fidata..."
Erano passati due
anni, ma sembrava
fosse successo solo ieri: la sua nomina a Spettro, l'attacco di
Cerberus alla
Cittadella, la fuga assieme al Consiglio, con niente più che una
pistola in
mano e nessun piano.
Erano passati due
anni, ma finalmente
ora, Williams non sentiva più la colpa.
"...Dannazione,
sembriamo due
vecchie."
"Ma noi siamo due
vecchie,
Ashley. Magari non all'esterno, ma dentro... guardami, 34 anni, e sono
già
pronta ad andare in pensione." disse Shepard allargando le braccia.
"Non erano 36?"
"La rianimazione di
Cerberus ha
preso due anni che non ho vissuto affatto, mentre mi ricostruivano...
biologicamente sono 34."
"Cerca di non ridurre
ulteriormente la distanza fra noi, Shepard: abbiamo solo 3 anni di
differenza
adesso..."
"Paura di
invecchiare?"
"... Un po'."
"È l'unico modo per
non morire
giovani."
Era incredibile per
Ashley constatare
da quanto non sorrideva più di cuore.
"... Gesù, perché non
l'abbiamo
fatto prima?" chiese la marine con un sorriso e una punta di amarezza.
"Che cosa?"
"Tutto questo...
perché non ci
siamo mai sedute ad un tavolo ed abbiamo parlato? Mentre ti credevo
morta, è
stato il mio più grosso rimpianto."
"Non c'è stato il
tempo, durante
la Guerra. O non era mai il momento giusto. Tu eri in coma mentre noi
ci
trascinavamo da un campo di battaglia all'altro..."
"E poi c'è stato quel
bastardo
di Udina." finì per lei Ashley.
"...Già." concluse
quietamente Shepard: "Buffo però. Ho immaginato questa scena molte
volte... avevo persino pensato ad un incontro alla luce del sole, prima
di
scoprire in quanti ti stessero già spiando, ma non avrei mai pensato
che
sarebbe stato così facile."
"È difficile restare
in collera
con te, Shepard... e cosa intendi con spiare? Chi mi spia?"
"Ti
sorprenderesti.... oltre
all'Alleanza, anche l'STG è interessata al tuo stato di salute: non mi
stupirebbe
se mandassero uno dei loro dottori a prendersi cura di te."
"Essere degli eroi
viventi ha i
suoi vantaggi... mi mancheranno un po', quando i riflettori saranno di
nuovo su
di te."
"... Non ho
intenzione di
tornare."
Williams dovette
osservarla a lungo
per assicurasi che non stesse scherzando:
"Che cosa?"
"Non ho intenzione di
tornare,
Ashley." ripeté il comandante: "La mia visita qui è solo per te, ma
nessun altro dovrà sapere che sono sopravvissuta a Londra."
"Perché non
dovrebbero?"
"Mi farebbero un
sacco di
domande a cui non voglio rispondere Ashley. Mi darebbero in pasto ai
giornalisti e sarei costretta a raccontare segreti che è meglio non
disturbare.
Dovrei restare dietro una scrivania a firmare autografi e ad
ingrassare. No
grazie, preferisco continuare a nascondermi."
"Sai che non è
l'unica cosa che
faresti. Sei stata l'ispirazione per la Galassia e così tante
persone...
potresti continuare ad esserlo: continuare a guidarci."
"Non sono il pastore
di nessuno
Ashley, e voi non siete le mie pecorelle smarrite. La mia ombra è già
abbastanza lunga: è arrivato il momento di farsi da parte e lasciare
nuove luci
ad indicare il cammino."
"....Non c'è nessuno
come te,
Shepard."
"Io non sono così
speciale
Ashley: ogni eroe è solamente il frutto dei bisogni della sua epoca."
"...Mi stai davvero
chiedendo di
lasciar morire la tua storia?"
"Non succederà per
molto
tempo... ma sì, credo che sia meglio così, piuttosto di vedere una
chiesa
fondata nel mio nome, con i marine come sacerdoti. Non voglio essere
mitizzata,
mi basta essere ricordata. O meglio ancora, dimenticata."
"Non succederà mai."
"Ma posso
augurarmelo. E posso
provare a chiedertelo: potresti non dire a nessuno di me?"
"...E se rifiutassi?
Se fosse
convinta che dire a tutti che sei ancora viva è invece la cosa migliore
da
fare? Hai idea della speranza che porterebbe una notizia simile?"
"...Allora sarei
costretta ad
usare le maniere forti."
Dalla protesi di
Shepard, si
materializzò un'immagine che il comandante mostrò a Williams.
"Adesso so perché
T'Soni non ha
più voluto incontrarmi dalla fine della Guerra. E io che mi preoccupavo
per
lei..."
L'immagine
raffigurava una Liara dal
volto esausto che teneva in braccio una bambina Asari addormentata.
"Getteresti davvero
una neonata in
pasto ai giornalisti? Sei davvero così senza cuore Williams?"
Williams era dura
come l'acciaio
fuori, ma dentro... dentro nascondeva una ragazza sensibile e
romantica, con
una segreta passione per la poesia.
"2 chili e otto alla
nascita
Ashley, piena di salute. E hai visto? Ha i miei occhi..." insistette
ancora Shepard, mentre un groviglio di emozioni materne si agitava
dentro
Ashley.
"... Dannazione. Ti
odio."
disse Williams lasciandosi cadere sul cuscino e fissando il soffitto.
"È un sì?" chiese
Shepard
sporgendosi verso di lei e invadendo il suo spazio personale.
"... Ad una
condizione."
disse Ashley, tornando a guardare il maggiore.
"Sentiamo."
"Sai che non sono
granché con
gli alieni... e mi sembra di ricordare un mio vecchio ufficiale
comandante che
mi invitava a fare delle esperienze in questo senso... e quindi
insomma...
vorrei sapere se...?"
"Potrai conoscerla."
confermò Shepard, salvandola dall'imbarazzo: "Non sarà facile, ma
cercherò
di fare in modo che possiate incontrarvi."
"... Quindi tutto
bene fra te e
Liara?"
"Splendidamente.
Abbiamo avuto
qualche problema durante la guerra... ma è tutto passato. Pensa che
vuole
visitare la tomba dei miei genitori sulla Luna..."
"Ci andrai?"
Non era una domanda
facile da fare a
Shepard: la sua famiglia, quello che ne restava, aveva lasciato la
Terra
quattro generazioni prima, con la risoluta promessa di non tornare mai
più e fino
a quando Shepard non era stata incarcerata a Vancouver dall'Alleanza,
aveva mantenuto
il giuramento della sua famiglia fatto dal suo bisnonno. Poi erano
arrivati i
Razziatori.
Shepard assentì con
la testa:
"Manco da molto.
Anche se non
reciterò poesie sulla loro lapide come fai tu, è passato davvero troppo
tempo
dalla mia ultima visita."
"...Te ne sei
ricordata."
Era stato sulla
Normandy Sr1 che
Ashley le aveva fatto quella confidenza... quanto tempo era passato da
allora?
Eppure il maggiore se ne ricordava ancora.
Shepard sorrise e
alzò le spalle
semplicemente:
"E tu invece? Starai
bene?"
"Adesso che non temo
più di
ritrovarti sotto le macerie? Divinamente. Magari permetterò perfino
all'Alleanza di mettermi dietro una scrivania e mi lascerò ingrassare."
"Davvero rimarrai
all'Alleanza?"
"Dovresti saperlo
Shepard: è la
mia vita. E la vita della mia famiglia da tre generazioni. Non vedo
perché non
dovrebbe essere anche il mio futuro."
"...Almeno saprò dove
trovarti:
cerca almeno di non lasciarti sopraffare."
"E io invece? Come
farò a
trovarti Shepard?"
Il maggiore rimase
pensierosa per un
attimo, prime di rispondere:
"...C'è una casa
sicura
costruita su Nevos, proprio sulla spiaggia: ti invierò le coordinate
precise.
Dalla veranda puoi spaziare lo sguardo per miglia indisturbata: le onde
sono
perfette e il mare sempre calmo. Dentro quella casa troverai un
comunicatore
quantico ben nascosto, codificato col DNA di tutti i membri della
vecchia
squadra. Puoi contattarmi da lì."
"Non è molto pratico
non credi?
Nevos è vicino ai sistemi dei Quarian e dei Geth..."
"Ed è anche una
rinomata meta
turistica. Forse è tempo che tu ti prenda una vacanza, Williams."
"Sissignora." rispose
Ashley con un saluto militare.
"Sai Ashley... credo
che tu non
mi abbia mai chiamato per nome. Nemmeno una volta."
"... Non so se potrei
farlo."
"Cosa potrebbe
succedere di male
in fondo?"
A quella domanda
Williams non seppe
cosa rispondere.
"Guardami Ashley: non
sono un
eroe. Sono solo una persona come tante." disse offrendole la mano.
Sorprendendo persino
se stessa,
Ashley la strinse, mormorando un nome di cinque lettere per la prima
volta ad
alta voce:
"Hayat."
"Ashley. Ci vediamo.
Spero
presto."
Detto questo, Shepard
si mise di
fronte alla vetrata della stanza e ci passò attraverso, lasciando un
lieve
odore di ozono e qualche goccia d'acqua sul pavimento che sarebbe
evaporata
prima del sorgere del sole.
***
Il
mattino seguente.
"Comandante Williams,
il mio
nome è Padok Wiks. Sarò il suo dottore da oggi in poi: è un onore fare
la sua
conoscenza. E in luogo della data, mi permetta di augurarle
sentitamente Buon
Natale."
Dal suo letto, Ashley
scrutò il
Salarian color terra, che le sorrideva nervoso con la sua cartella
medica
accesa davanti agli occhi. Non era Rudolph dal naso rosso, ma data la
visita
che aveva ricevuto durante la notte, Williams poteva dire di aver già
ricevuto
il suo regalo.
Alle spalle del
Salarian, gravitavano
due agenti dell'Alleanza in assetto da battaglia con le mani sulle
fondine.
Semplice protocollo standard di sicurezza: nemmeno i dottori precedenti
l'avevano gradito molto.
"...Piacere di
conoscerla,
dottor Wiks. Confesso che sono stupita: cosa ci fa un Salarian sulla
Terra?"
"Una piacevole
concatenazione di
eventi: mi trovavo sul pianeta per seguire una serie di conferenze
sugli
effetti dell'Eezo sugli esseri umani. Conoscendo la mia esperienza,
l'Alleanza
ha... chiesto il mio consulto, un po' più insistentemente di quanto
sono
abituato in verità. Ma quando mi è stato detto chi fosse il paziente,
non ho
potuto rifiutare."
Williams lo osservò
una seconda
volta, dalla testa ai piedi:
"Lei è dell'STG, non
è vero? E
non era sulla Terra per seguire delle conferenze: se dovessi
scommettere, direi
che lei è qui di proposito."
Quando Padok non
reagì in modo
particolare dopo che i marine gli appoggiarono le pistole alla nuca,
Williams non
ebbe bisogno di altre risposte.
Stranamente, Padok
Wiks sembrava più
a suo agio ora:
"...Mi congratulo per
la sua
capacità di vedere attraverso le mie mezze verità, comandante Williams.
Il
maggiore Kirrahe mi aveva parlato della sua grande prodezza in
combattimento,
ma non del suo intuito."
"Conosce Kirrahe?"
"Sono un suo diretto
subordinato. È stato lui ad ordinare questa infiltrazione per fornire
la mia
esperienza e darle le migliori cure possibili. Mesi di preparazione
sfumati:
temo non sarà affatto contento del mio operato. Se fosse possibile,
preferirei
mi metteste agli arresti, piuttosto che rimandarmi ignominiosamente su
Sur'Kesh."
"E perché dovremmo
arrestarla?
Se può rimettermi in sesto più in fretta, non vedo perché impedirlo."
"Comandante?" chiese
uno dei
marine alle spalle di Padok.
"Lasciatelo andare.
Ma riferite
ad Hackett che ho un agente STG come dottore. Mi prendo io ogni
responsabilità"
"Sissignora."
risposero i
marine, battendo i tacchi e lasciando andare il Salarian: essere degli
eroi viventi
aveva qualche vantaggio, dopotutto. Solo uno dei due marine lasciò la
stanza
per fare rapporto ad Hackett, mentre l'altro si appoggiò contro la
porta,
rimanendo ad osservare tutto quello che succedeva.
"...Voi Salarian
siete
irragionevolmente tortuosi: avreste potuto semplicemente offrire il
vostro
aiuto all'Alleanza." disse Williams, mentre Padok si aggiustava il
camice
sorridendo.
"Certo che no,
comandante:
avreste potuto rifiutarci. Credo che una vostra frase adatta alle
circostanze
sia: è più facile chiedere il perdono che il permesso."
"...E come sta il
maggiore
Kirrahe?"
"Un po' una cloaca,
ma racconta
ancora con fervore la sua operazione su Virmire."
"Con fervore?"
Padok annuì, mentre
procedeva ad
assimilare tutta la cartella medica a mano a mano che la leggeva:
"Parla di lei in
particolare,
comandante, con gli stessi toni lirici che potrebbe usare per riferirsi
ad una
Signora della Guerra Krogan ai tempi delle Ribellioni. Ed è anche a
causa di
questi racconti che ho chiesto questa missione."
"Non la seguo."
"Il mio precedente
campo di
esperienza riguardava proprio i Krogan, comandante. Anche se non sono
al
livello di Mordin Solus, posso dire senza falsa modestia di aver
contribuito
all'elaborazione della cura per la Genofagia. Ora... quanti cuori hanno
gli
Umani?"
L'espressione
perplessa di Williams
si traduceva piuttosto bene anche tra specie diverse:
"Una pessima battuta,
Padok."
"Mi perdoni cercavo
solo di...
come dite voi umani? Rompere la neve?"
"Ghiaccio. Rompere il
ghiaccio." ringhiò il marine nella stanza.
"Il ghiaccio! Ma
certo. Affascinante,
assolutamente affascinante: gli Umani sono la specie che usa il più
alto numero
di espressioni idiomatiche fra tutte le specie della Galassia
conosciuta."
"È anche un
linguista, oltre che
un dottore?"
"La semiologia è solo
un hobby,
ma le sarei oltremodo grato se condividesse la sua esperienza con me:
per
esempio, qual è il significato dell'espressione prendere
per il culo? Davvero continua a sfuggirmi."
Per tutta la durata
della sua
convalescenza, che Padok Wiks gestì dall'inizio alla fine, Williams non
riuscì mai
a capire se il Salarian, con i suoi grandi occhi da anfibio, la stesse
prendendo in giro o fosse solamente qualcuno dagli strani entusiasmi.
Ma almeno, riuscì a
nascondere la
consapevolezza della sopravvivenza di Shepard sotto quella confusione.
E con questo il capitolo si conclude: nel prossimo ci
sarà il nuovo finale di ME3 così come io l'ho immaginato, ma ho
preferito tenerlo ben separato. ;)
Prima di lasciarci, permettemi di aggiungere qualche informazione su
Padok Wiks, il dottore Salarian. Nel caso che Mordin non sia
sopravvissuto a ME2, è Padok a prenderne il posto in ME3: dal punto di
vista caratteriale è una versione giovanile di Mordin per certi versi,
un Salarian spigliato, ma senza le doti canore del buon vecchio
Solus. Inoltre, ha una... particolare fascinazione per le tecniche
riproduttive Krogan (molto goffe, a sentire Urdnot Bakara). Insomma, un
personaggio con ben strani entusiasmi, che non ha alcun imbarazzo a
condividere.
Alla prossima! |
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Capitolo 7 *** Una Voce nel Buio ***
Ed eccoci qui per un altro capitolo: prima di lasciarvi
alla lettura, permettetimi solo di avvisarvi che il rating arancione
della storia è quasi esclusivamente dovuto a ciò che vi apprestate a
leggere. E con ciò, ci vedremo alla fine.
Esiste, nella vita di ogni
persona, un momento in cui
è costretto ad accettare che i propri genitori sono esseri mortali. Per
me e le
mie sorelle, quel giorno è arrivato troppo tardi: solo quando mio padre
è
passato da questa vita nella prossima, ho davvero capito quanto poco
ancora
sapessi. Anche anni dopo essermi legata con Kivaj, mio compagno e uno
dei
Risvegliati, ero rimasta convinta che mio padre fosse invincibile...
È
difficile e doloroso accettare la transitorietà
dell'esistenza, ma necessario.
Sesat
bint Hayat T'Soni, prefazione al suo settimo
bestseller- Avatar di Speranza.
Trategos,
una settimana dopo l'assalto dei pirati alla colonia.
Natrus Vinea non è
una persona felice.
Come capo della
milizia coloniale di
Trategos, la sicurezza di quasi un milione di persone dipende da lui:
l'importanza del suo compito dovrebbe bastare a gratificarlo; ma la
consapevolezza del suo fallimento di sette giorni prima non gli dà
ancora pace.
Per colpa sua, la colonia è quasi caduta e poco importa che qualcuno li
abbia
salvati: la certezza delle sue mancanze lo perseguita perfino nel suo
appartamento, mentre una fitta alla gamba malata lo costringe a pesarsi
sul
bastone.
Natrus sa dove ha
sbagliato: in tutti
gli anni passati si è lasciato convincere dalle parole delle
Matriarche, quando
invece avrebbe dovuto insistere perché il budget destinato alla difesa
coloniale venisse aumentato invece che ridotto. Il Turian ha scoperto
di essere
diventato compiacente, confondendo la fine della Guerra con quella di
ogni
conflitto.
Il dolore è la
punizione che si è
scelto per i suoi errori: niente narcotici per lui oggi, così come nei
giorni
passati. Il dolore alla gamba, peggio di tenaglie roventi sui nervi, e
la
marcia forzata attraverso il suo appartamento sono la sua espiazione:
dall'ingresso fino alla finestra dall'altra parte della casa, da cui si
possono
vedere le distese innevate di Trategos. Poi su, attraverso la scala al
piano
superiore, e quindi di nuovo giù fino alla porta d'ingresso, per poi
ricominciare: Natrus ha già perso il conto da tempo del numero di volte
in cui
ha completato il circuito nell'appartamento spoglio e spartano. L'unica
testimonianza del fatto che qualcuno viva effettivamente tra quelle
quattro
mura sono le armi che Natrus tiene appese alle pareti, tre fucili e una
pistola,
con cui ha servito in Guerra assieme ai suoi commilitoni della 26°
Legione
Armigeri.
Mentre passa per
l'ennesima volta di
fronte a quelle armi, Natrus le contempla ancora una volta: il vecchio
Phaeston,
il fucile standard dell'esercito Turian, col grilletto consumato
dall'uso. Una
strana arma ad energia diretta di origine Prothean, pesante e scomoda,
le cui
forme ricordano una scultura moderna. E infine un vecchio fucile umano,
semplice ed anonimo, che risale addirittura alla guerra del Primo
Contatto:
modificato fino a renderlo affidabile per la Guerra, è stato quello che
gli ha
salvato la vita in più occasioni.
L'ironia di un Turian
con un fucile
umano non è sprecata su di lui, ma certe differenze e sospetti sono
ormai
sepolti nel passato.
Per un attimo, Natrus
abbassa lo
sguardo anche sulla pistola: un lanciagranate biotico miniaturizzato
realizzato
dagli Asari per le loro azioni di guerriglia... ma è solo per un
attimo, prima
che Natrus ricominci a percorrere la stanza a passo di marcia. Quei tre
fucili
sono quanto di più simile Natrus abbia a dei figli o dei consanguinei:
la
pistola invece gli ricorda qualcosa del suo recente passato, qualcosa
che
avrebbe potuto essere, ma che purtroppo non è stato, che Natrus ora
vorrebbe solo
dimenticare.
Di nuovo, Il Turian è
costretto a
fermarsi: la gamba ha ricominciato a pulsare e questa volta deve
appoggiarsi
alla parete per trovare sollievo. In un altro momento, e se fosse
un'altra
persona, forse si accascerebbe al suolo per piangere silenziosamente in
solitudine, cercando di liberarsi dal maelstrom di emozioni
venefiche... ma
Natrus Vinea è un Turian e quindi ricomincia invece a marciare per
l'appartamento, aiutandosi con la parete, il bastone abbandonato dietro
di sé:
non arriva più lontano della finestra questa volta.
Il suono del
campanello alla porta lo
interrompe nella sua marcia forzata.
Natrus non ha fretta
di rispondere:
l'ora è così tarda che chiunque dovrebbe stare dormendo, compreso lui
stesso.
Col bastone di nuovo in mano, il Turian zoppica lentamente verso la
porta,
cercando di seppellire il suo disagio nel luogo lontano della sua
mente: quel
posto di cui ha consapevolezza, ma da cui non può toccarlo. Tuttavia,
perfino
il suo contegno sta per essere messo alla prova:
"...Dottoressa
Megara." è
il freddo saluto quando apre le porte.
"Capo Vinea."
risponde
Elea.
Natrus fa finta di
ignorare gli occhi
gonfi di pianto della dottoressa, o il tremore nelle sue mani.
"...Posso entrare?"
"Preferirei di no,
dottoressa. È
stata una lunga settimana e domani è previsto l'incontro finale con un
rappresentate della Lawson Inc per finalizzare il nostro contratto di
fornitura
per la difesa..."
"Allora non dovrebbe
passare la
notte marciando per il suo appartamento, capo Vinea." l'interruppe
l'Asari,
afferrando lo stipite della porta e invadendo il suo spazio personale:
"...Mi dispiace. La
verità è che
io entrerò comunque, a costo di scardinare questa porta: non posso
stare da
sola questa notte. La cortesia è... solo d'intralcio: un'abitudine di
cui non
riesco a fare a meno."
Da quando la
dottoressa Aethyta era
diventata così risoluta?
"... Si accomodi."
disse
Natrus, facendole spazio e chiudendo la porta dietro di lei con la
pressione di
un bottone.
Elea non disse nulla
sulla mancanza
di mobilio nell'appartamento: con passo sicuro si diresse nel minuscolo
bagno,
dal quale tornò reggendo il flacone di pillole di Natrus. In un gesto
elegante,
una singola capsula purpurea cadde nel suo palmo ed Elea gli tese la
mano
piena:
"Mi addolora vederti
in questo
stato. Ma non ti obbligherò a prenderla."
Natrus non seppe a
cosa stesse
facendo più attenzione mentre prendeva la pillola: a non toccare la
mano di
Elea, o a non ferirla con gli artigli delle sue dita.
"Come lo sapeva?"
chiese il
Turian, masticando la pillola e inghiottendola senza acqua.
"Ricordo ancora
alcune cose. E continuerai
a non chiamarmi per nome fino a quando...?"
"Fino a quando lo
riterrò
necessario."
"Fino a quando non
riuscirai più
a guardarmi con odio, vuoi dire? Temo allora che dovrò aspettare un
tempo molto
lungo..." disse Elea, sospirando e massaggiandosi la tempia con la mano.
"...Io non ti odio:
il mio odio
è riservato solo a coloro che mi hanno fatto questo." disse Natrus,
mostrando
la sua gamba zoppa, che la fanteria dei Razziatori gli aveva sbranato
durante
gli ultimi giorni dell'assedio di Cipritine. Una ferita che non era mai
guarita
del tutto, col muscolo che si era necrotizzato per l'infezione, ma non
abbastanza grave da meritare una rigenerazione tissutale dopo la Guerra.
"Non posso
odiarti... soprattutto dopo ciò che è stato." ripeté il
Turian sommessamente.
"Mi dispiace così
tanto..."
sussurrò Elea.
Natrus scosse la
testa, interrompendola:
"Io volavo, Elea. Per
la prima
volta, io... volavo. E sono caduto da molto in alto."
Di riflesso, l'Asari
allungò la mano
per toccarlo in una familiarità che non possedeva più: quando lo
ricordò, fermò
il suo gesto a pochi centimetri dalla sua pelle. Il Turian non colmò la
distanza.
Essendo albino, la
pelle scagliosa di
Natrus Vinea è bianca come il sale: le uniche note di colore sul suo
volto sono
il tatuaggio color giada della sua colonia natale, Nimines, che fu
distrutta
dai Razziatori nella Guerra, e i suoi occhi verdi, che risaltarono più
del
solito in quel momento, mentre fissavano la dottoressa pieni di
emozioni
intraducibili.
"...Hai
sempre saputo come dire le
cose." disse invece Elea, lasciando cadere il braccio.
"Solo con te."
rispose
stancamente Natrus, girandole attorno e dandole le spalle, zoppicando
lentamente
verso la finestra.
Nella Galassia, si
ripete spesso che
si possano vedere le spalle di un Turian solo quando è morto: Elea
aveva
sottovalutato quanto Natrus avesse sofferto: lo aveva sottovalutato e
se ne
dispiacque immensamente.
"Non posso farlo
Elea. Non
riesco a essere... me se tu sei qui.
Non riesco ad essere nemmeno un Turian decente: non riesco ad andare
oltre al
nostro passato."
"È per questo che non
c'è
nemmeno un tavolo?"
Il Turian assentì:
"Ho tenuto la
slitta."
disse poi a voce così bassa che quasi Elea non lo sentì: "Non avrei
dovuto, ma non riesco a liberarmene."
Elea si coprì la mano
con la bocca:
anche lei aveva cercato di dimenticare, ma conservava ancora le foto di
quel
viaggio all'equatore di Trategos, fra gli arcipelaghi galleggianti.
Natrus si appoggiò
pesantemente al
bastone, afferrandone l'impugnatura fino a farsi diventare le nocche
livide:
"Non ti chiederò
perché hai
pianto, Elea. Sarebbe un errore per entrambi. Puoi passare qui la
notte, ma
domani, quando sarò tornato dall'incontro con i rappresentati della
Lawson Inc,
non vorrei trovarti qui."
"...Domani io
partirò,
Natrus."
Il Turian cercò di
non ammettere ciò
che sentirla pronunciare il suo nome gli causò: si concentrò sul resto
della
frase.
"Tornerai?" per gli
Spiriti,
suonava così patetico perfino a se stesso.
"Sì. Non starò via
molto: spero
solo quanto basta per capire quanto... questa settimana mi abbia
cambiata."
Natrus si voltò
lentamente: Elea era ancora
bellissima. Bellissima ed elegante, anche nel camice da laboratorio che
portava.
"È anche per questo
che sono
qui: ero... incompiuta, allora. Ora non più così tanto."
Natrus non disse
nulla: le parole
erano acqua, che sfuggiva nella sabbia sul fondo della sua gola.
"Non mi chiedi dove
andrò? Anche
se non penso mi crederesti..."
"...Sarai sola?"
disse
invece Natrus.
Elea scosse la testa,
avvicinandosi
cautamente a lui.
"Dopo.. l'assalto dei
pirati, ho
capito che la durata della nostra vita è in mano al destino: è tempo
che io
visiti la mia famiglia. Almeno una parte..."
Non era una menzogna,
ma nemmeno
tutta la verità: era davvero troppo presto per condividerla con
chiunque, se
mai l'avrebbe fatto. Tuttavia, Elea desiderò il giorno in cui avrebbe
potuto
fare incontrare quelle metà della sua vita: quella nota di Natrus, e
quella che
aveva ignorato per così tanto tempo.
"...ma quando
tornerò, vorrei
provare a volare di nuovo. Insieme."
Natrus zoppicò verso
di lei,
lentamente, fino a fermarsi a pochi passi di distanza:
"Non mi hai parlato
della tua
famiglia prima: avevo sempre creduto che fossi sorta dal quarzo più
puro."
Elea sorrise a quella
dolce
sciocchezza senza senso:
"Io ero... troppo
giovane
allora. E non accettavo parte del mio passato, temendo di riviverlo.
Per questo
ti ho respinto: perché mio padre era un Hanar e me ne vergognavo.
Perché sono
stata un'alcolista e me ne vergognavo."
Dirgli quelle cose a
voce alta per la
prima volta non fu liberatorio come si aspettava... I suoi piccoli
segreti
impallidivano di fronte a quelli di Shepard: come avevano dovuto
sentirsi lei e
Liara, portando ogni giorno quel peso sulle spalle?
"L'ho sempre
saputo... e non me
ne è mai importato." rispose Natrus.
Il silenzio può
raccontare più di
mille canzoni.
"...Non ti ho mai
visto bere
niente di più forte dell'acqua. E anche se viviamo da anni in questa
colonia
sperduta, non sono così cieco, Elea: quante Asari superano in altezza
un Turian?"
Anche se poi non di
molto: la
differenza fra loro era il giusto perché Natrus non dovesse alzare la
testa per
guardarla negli occhi.
"...Perché non hai
mai detto
niente?"
"Era ovvio quanto non
volessi
parlare dell'argomento... e perché anche io ho cose che preferisco
nascondere."
"È più terribile che
avere un padre
Hanar?"
"Vinea è il nome del
ramo
cadetto della mia famiglia. Noi non usiamo più il nostro nome e ci
siamo
sparpagliati nella galassia, cercando il più possibile di nasconderci e
di non
farci riconoscere: Arterius è il mio vero cognome, Elea. Quello Spettro
è un
mio lontano parente. In me scorre lo stesso sangue."
La dottoressa seppe
subito a chi si
riferiva: buffo come anche a distanza di anni, gli stessi nomi, le
stesse
facce, le stesse leggende,
continuassero a proiettare la loro ombra sulla Galassia. Come se non
volessero
scomparire: forse non sarebbero mai sbiadite del tutto, lasciando
un'eredità
pesante da portare per chi era rimasto.
"Se le Matriarche
avessero
saputo di questo, non avrei mai avuto l'incarico. E tuttavia, perdere
il mio
lavoro non riesce ad importarmi quanto la tua reazione."
Natrus era così
scosso dall'idea di
perderla di nuovo, che le aveva gettato in faccia quel terribile
segreto.
"Ci sono... famiglie
di ogni
tipo in questa Galassia. Alcune hanno eroi, altre malvagi: difficile
dire chi
porti il fardello più pesante." disse la dottoressa. Questa volta, Elea
accarezzò la guancia scagliosa del Turian e Natrus coprì la mano
dell'Asari con
la sua. Poi Elea parlò ancora:
"Io avrò gli incubi
questa notte:
te ne prego, non svegliarmi."
"...Una volta non ho
avuto il
coraggio di bussare alla tua porta Elea. Non so se avrebbe cambiato
qualcosa, ma
lo rimpiango. Puoi promettermi che ciò che mi stai chiedendo non sarà
lo stesso
errore?"
"Ci sono cose con cui
dobbiamo
venire a patti: tu marci per l'appartamento. Io devo avere i miei
incubi questa
notte o temo che impazzirò."
Natrus non disse
nulla: l'attacco dei
pirati aveva scosso Elea più di quanto si aspettasse, ma la dottoressa
era
sempre stata vulnerabile alla morte, come tutti gli Asari. Tuttavia,
quello che
lo preoccupava davvero era il tempismo: era quasi... blasfemo per il
Turian a
capo della sicurezza coloniale di aver ricevuto così tanto una
settimana dopo aver
fallito nel suo compito.
"Sarebbe inutile se
mi offrissi
di dormire sul divanetto, immagino..."
Elea scosse la testa:
"Abbiamo già
condiviso diversi
letti. Questa notte, voglio solo dormire con te accanto, i miei incubi,
e la
consapevolezza delle valigie che mi aspettano nel mio alloggio."
"Mi sei mancata."
"...Mi dispiace: se
lo ripetessi
per il prossimo secolo, sarebbe abbastanza?"
"Una volta può
bastare: diventerebbe
piuttosto strano altrimenti."
"Hai ragione... e le
nostre
figlie potrebbero esserne turbate."
Era su quello che la
loro relazione
era andata in frantumi: una questione semplice, ma la cui risposta
poteva
essere solo bianca o nera. Natrus aveva desiderato una famiglia con
Elea: lo
aveva desiderato al punto da insistere nonostante il fardello della sua
parentela col Traditore. Elea invece, almeno fono a quel momento, aveva
sempre
esibito una riluttanza che sconfinava nel disgusto all'idea di dare
alla luce
altre Asari:
"...Figlie?"
"Te l'ho detto: prima
di oggi
ero... incompiuta."
Forse incompiuta non
era la parola
più adatta: appena abbozzata. Un segreto terribile l'aveva tratta dalla
sua
creta: Elea era stata distrutta da quella conoscenza e gli ostacoli del
passato
sembravano così ridicoli ora, mero frutto della sua indecisione e della
sua
vergogna. Natrus non disse nulla mentre Elea lo accompagnava al piano
di sopra
e lui la seguiva zoppicando, salendo i gradini col suo bastone in mano.
Figlie: avrebbe
dovuto impedirsi di
fantasticare, ma Natrus si chiese se usando una stecca mobile per la
sua gamba
malandata avrebbe potuto avere entrambe le mani libere...
Era la prima volta da
mesi che
dividevano un letto e Natrus non avrebbe potuto dormire nemmeno
volendo: restò
sveglio, guardando Elea che artigliava il cuscino. La dottoressa era
caduta
addormentata come un morto e come gli aveva detto, durante il sonno
terribili
incubi vennero a visitarla. Come le aveva promesso, Natrus non la
svegliò:
nemmeno quando Elea si morse a sangue le labbra, corrugando la fronte
in una
smorfia di dolore. Tuttavia le tenne la mano nelle sue, fino a quando
finalmente, anche per lui venne il sonno.
Quando si svegliò,
poche ore dopo,
Elea era già partita.
***
Elea non aveva
mentito a Natrus, ma
non era stata nemmeno sincera: non erano incubi quelli che aspettava
per quella
notte. Più che altro, sarebbero stati ricordi estremamente recenti:
frammenti di
un'incontro e di una conversazione. Buffo, in fondo: in una sola
settimana due
comunicazioni interstellari l'avevano cambiata così tanto.
Una testimonianza di
quanto mutevole
e duttile sia la natura dei senzienti.
Noi
consideriamo questa citazione... adatta.
Era cominciato tutto
dopo che Hayat e
Liara avevano messo a letto le bambine: la sua richiesta, così
arrogante e
spaventosa nell'ignoranza di Elea, era stata accolta con cautela.
Liara, ma
soprattutto, Hayat, l'avevano avvertita: c'è un prezzo da pagare per la
conoscenza e un fardello da cui non ci si può più liberare. Elea aveva
ignorato
i loro avvertimenti: era stato così facile farsi forza, pretendere quel
rito di
passaggio per essere davvero parte della loro famiglia. Dopo quella
settimana,
passata facendo la spola tra la colonia e Oasi,
vivendo con loro, Elea credeva di essere pronta a tutto.
Perché non le aveva
ascoltate? Si
dice che l'ignoranza sia una benedizione, ma non si dice mai di quanto
la
conoscenza possa essere dannazione.
"Papà, possiamo tenere
la luce accesa?"
Elea ricordava di
aver ascoltato
quella richiesta delle gemelle, rimanendo sulla porta della loro
camera:
ricordava di aver sorriso.
"Avete paura del
buio?"
aveva chiesto Shepard, e le due gemelle avevano fatto segno di no con
la testa:
"Noi abbiamo paura
dei mostri nel buio"
Hayat le aveva
baciate entrambe,
prima di aggiungere:
"Non dovreste avere
paura dei
mostri piccole mie: sapete, anche loro guardano sotto il loro letto
prima di
addormentarsi."
Elea ricordava anche
di come Selene e
Alune avevano guardato il loro genitore ad occhi spalancati:
"E di cosa hanno
paura?"
aveva chiesto una delle due: Elea si era ripromessa di imparare a
distinguerle,
qualcosa di più facile a dirsi che a farsi, probabilmente.
"Di me naturalmente,
piccole
mie." era stata la risposta di Shepard: "Dormite adesso. Non ci
saranno mostri ne incubi per voi questa notte: il vostro papà fa la
guardia."
Hayat aveva spento la
luce e
accostato la porta, lasciandosele alle spalle con un sorriso:
"Sei sicura?" le
aveva
chiesto per l'ultima volta: come una sciocca, Elea aveva risposto
ancora una
volta di sì.
La dottoressa
ricordava che, quando
tutto era finito, aveva fatto una sola domanda a Shepard e Liara, prima
di
separarsi da loro per scendere sulla colonia: non perché,
poiché perfino Elea aveva compreso che quello era stato
l'unico modo per lei di comprendere e di credere. Quello che aveva
chiesto loro
era stato il come:
"Come avete fatto a
sopravvivere?"
"Non ci siamo
riusciti. Non del
tutto: noi... " aveva cominciato Liara senza riuscire a finire. Era
stata
Shepard a farlo, mostrando ad Elea le loro ferite:
"...La Guerra ci ha
spezzato e
una parte di noi se ne è andata per sempre: una parte importante. Noi
non siamo
sopravvissuti: abbiamo le prove per dimostrarlo. Ma siamo andati
avanti: anche
se in pezzi, siamo andati avanti. E quando tutto è finito li abbiamo
messi
assieme, cercando di dare un senso nel mosaico di schegge rotte che
eravamo.
Non è stato facile, perché se fai quello che noi abbiamo dovuto fare
per
vincere... quando servi una necessità così grande, gettando tutto,
anche te
stesso, dietro di te... non sei più la stessa persona. Ti infrangi sui
tuoi
limiti, ed è impossibile tornare ad essere come prima... ma mettendo
assieme i
nostri pezzi, possiamo quasi fingere di essere ancora le persone che
eravamo
quando ci siamo conosciuti, prima della Guerra: l'affascinante Primo
Spettro
umano e la timida archeologa Asari. Perché senza i Razziatori, quelle
sono le
persone che avremmo dovuto essere."
Shepard aveva dovuto
interrompersi al
quel punto, prima di farsi forza e continuare:
"...Ma la verità è
che quando ci
ricordano come eroi, quando ricordano le nostre battaglie e celebrano
la nostra
gloria, ignorano che gli incubi non scompaiono e che le cicatrici non
sbiadiscono mai del tutto. Per questo non ci mostriamo più alla
Galassia: è
troppo chiedere di essere lasciati in pace? Teniamo a bada i ricordi
con la
calistenia, le nostre nuove vite e le nostre figlie meravigliose... non
vogliamo tornare a essere quelle persone. Perché il Comandante
Shepard... il
comandante Shepard e l'Ombra erano persone tragiche e terrificanti. Ed
è così
facile a volte, troppo facile perfino, tornare ad esserle."
Noi
consideriamo questa citazione... adatta.
Non erano state ne
Liara ne Hayat ad
accompagnarla: era stato Apostata a condurla fino alla sala macchine.
La sua
sorellastra le aveva confidato di odiare quel posto, mentre Hayat non
aveva
dato spiegazioni sul perché non volesse accompagnarla.
Per Elea, il cuore
della nave era
stato un luogo di nuove meraviglie: nella quasi oscurità, un nucleo di
un
bianco elettrico ruotava all'interno di un giroscopio dello stesso
materiale
della protesi di Hayat. Era stranamente solenne, e anche molto, molto
più
grande di quanto Elea si aspettasse. Illuminati dalla luce di quella
stella
incastonata come un gioiello, quattro Geth vegliavano silenziosi, mute
sentinelle
in attesa di un'occasione che forse non sarebbe mai arrivata: non
rivolsero un
minimo sguardo ad Elea, troppo occupati dalle letture dei dati sulle
console di
fronte a loro, minuscoli frattali di luce che si susseguivano troppo
rapidamente perché l'Asari potesse seguirli.
"Da questa parte." le
aveva
indicato uno dei corpi color cobalto di Apostata, facendole strada
verso il
lato opposto della sala verso una piccola porta disadorna e nera: sulle
due
ante, erano state incise delle parole, parole che Elea si fermò ad
osservare,
ma che non riuscì a comprendere vergate com'erano in lettere aliene
anche agli
umani.
Apostata anticipò la
sua richiesta:
ODIO.
LASCIA CHE TI DICA QUANTO IO SIA VENUTO
AD ODIARTI DA QUANDO HO INIZIATO A VIVERE. CI SONO 387,44 MILIONI DI
SINAPSI E
CIRCUITI CHE RIEMPIONO IL MIO COMPLESSO. SE LA PAROLA ODIO FOSSE INCISA
SU OGNI
NANOANGSTROM DI QUELLE CENTINAIA DI MILIONI DI CONNESSIONI, NON
EGUAGLIEREBBE
UN MILIARDESIMO DELL'ODIO CHE PROVO PER TE IN QUESTO MICRO ISTANTE.
ODIO. ODIO.
Il Geth aveva
lasciato ad Elea il
tempo necessario ad assimilare quelle parole prima di aggiungere:
"...Parafrasi di un
racconto di
fantascienza umano. Noi consideriamo questa citazione... adatta."
Mentre diceva questo,
Apostata aveva
premuto un pulsante sullo stipite, obbligando le porte ad aprirsi di
fronte ad
Elea e facendole cenno di entrare.
"Noi attenderemo
qui."
aveva detto semplicemente il Geth.
Non era ancora troppo
tardi allora per
tirarsi indietro, ma Elea era avanzata, incurante dei suoi istinti e
della sua
paura: le porte spalancate le diedero accesso ad una corta passerella,
larga
abbastanza per una sola persona, che si sporgeva in una stanza buia.
Proprio
perché era così buia, risultava impossibile comprenderne esattamente le
dimensioni: fu per questo che Elea riuscì a controllare la sua
claustrofobia,
anche quando le porte della stanza si chiusero alle sue spalle.
Elea rimase cieca per
qualche
istante, prima che scintille azzurre si accendessero in quella tenebra,
proiettando fasci di luce in un intricato gioco di forme astratte:
quando si
coagularono, Elea non comprese subito la loro forma. Era una seppia,
una
creatura degli abissi marini, sei tentacoli e nessun volto.
"Tu non sei Shepard."
Era una voce infausta,
così cupa e
oscura, che ad Elea sembrò che il suo stesso sangue dovesse schizzarle
dalle
gengive. Quel che è peggio, fu che quella voce sembrava provenire da
dentro di
lei, direttamente dagli abissi della sua mente.
"... Io sono la
dottoressa Elea
Megara."
"Una primitiva
creatura di
sangue e carne, ancora incatenata ai limiti della vostra natura.
Incorrotta."
"Chi... o cosa sei
tu?"
"La mia razza
trascende i limiti
della tua comprensione. Io sono colui al quale voi avete dato il nome Defiant."
Noi
consideriamo questa citazione... adatta.
Elea riconobbe quel
nome e la sua
mente torpida finalmente comprese ciò che i suoi occhi le stavano
dicendo.
Quella forma non era quella di una specie, di un senziente: era il
volto dell'anatema.
Elea aveva trovato la nemesi della Galassia nella casa di Shepard.
"Il Razziatore?"
"Razziatore... un
termine creato
dai Prothean per dare un nome alla loro distruzione. Alla fine, come
scelgano
di chiamarci è irrilevante: noi semplicemente siamo. Perché sei
qui?"
"...Un segreto. Ho
voluto
conoscere il segreto di Shepard. Voi... Lei... lei mi ha fatto venire
qui. Ma
non avrei mai pensato che lei... che lei parlasse con...."
"Errato." Elea
dovette
tapparsi le orecchie quando quella singola parola le fece vibrare le
ossa e
sbattere i denti: aveva già sentito quel tremito attraverso il corpo,
durante
la Guerra. Una sirena, un urlo, concepito per annichilire i sensi e
sommergere
la ragione con un terrore tale da impedirti di pensare.
"Shepard non parla
più con noi.
Shepard non accetta la nostra connessione. Noi aspettiamo."
Suo malgrado, Elea,
come innumerabili
organici prima di lei, non fuggì: la paura di fronte all'ignoto,
perfino la
paura di fronte alla personificazione stessa del terrore, non bastano
ad
allontanare dalla maledizione che è la sete di conoscenza.
"Che... cosa
aspettate?"
"Lei."
quella singola parola riverberò nella piccola stanza
come le onde in una pozzanghera.
"Non capisco..."
"Comprensione.
Conoscenza.
Inclusione. Intendimento. Questo può essere dato."
La stanza tornò al
buio per un
istante, mentre nuove forme si materializzarono di fronte ad Elea: una
rappresentazione della Galassia in scala, disadorna di ogni etichetta.
"La vostra vita si
misura in
decadi e secoli. Voi sfiorite e morite. Noi siamo eterni: il pinnacolo
edificato
sull'estinzione delle specie. Civilizzazioni organiche sono sorte, si
sono
evolute, sono progredite. E all'apice della loro gloria, sono state
annientate.
Questo ciclo di estinzione si è ripetuto più volte di quanto tu possa
comprendere. I Prothean non sono stati i primi: loro non hanno creato
la
Cittadella. Loro non hanno plasmato la rete dei portali Galattici. Li
hanno
semplicemente trovati: l'eredità della mia stirpe."
Elea conosceva quella
storia: era
stata ripetuta ai quattro angoli della Galassia. Inizialmente solo una
teoria,
raccontata per la prima volta da Shepard al Consiglio, quella nozione,
che
distruggeva molte delle illusioni precedenti alla Guerra, era stata
corroborata
dai racconti dei Risvegliati ed era ormai largamente accettata. Ma
nessuno
riusciva ancora a spiegare il perché: perché i Razziatori avrebbero
dovuto
lasciare simili artefatti solo per farli trovare dalle razze senzienti?
Esistevano ipotesi, ma nessuna certezza.
"Perché avreste
dovuto
lasciarceli?"
"Controllo. Tutte le
civilizzazioni si sono evolute basandosi sulla tecnologia dei portali
galattici. La nostra tecnologia. Utilizzandola, le specie si sono
evolute
seguendo il cammino che avevamo predisposto per loro. Voi esistevate
perché lo
permettevamo. E vi sareste dovuti estinguere, così come ogni altra
civiltà
prima di voi."
Era folle, ma aveva
senso: Elea lo
accettò solo perché era stata testimone diretta, così come il resto
della
Galassia, delle terribili opere di cui i Razziatori erano capaci.
Imporre un
cammino preordinato alle civiltà per meglio perseguire i loro scopi era
coerente
con la linea d'azione di macchine che avevano quasi estinto la
Galassia. Sul
fondo della sua mente, Elea iniziò ad odiare i Razziatori, invece di
temerli
solamente: odio motivato dalle stragi perpetrate nei millenni e di cui
il
Razziatore non provava rimorso.
Noi
consideriamo questa citazione... adatta.
Elea non avrebbe
saputo mai che in
quella stanza, non erano solo le sue parole a venire trasmesse al
Razziatore,
ma il suo spirito: anche ciò che lei provava venne trasmesso. Non costò
fatica
al Razziatore comprendere cosa dire per avere la sua attenzione: per
obbligarla
a capire.
Le ragioni per cui
Elea credeva di
essere lì erano per lui irrilevanti.
"Tutte le cose hanno
un inizio.
Non tutte hanno una fine. Noi siamo presenti ad entrambe. Miliardi di
anni
prima che la polvere cosmica diventasse Thessia, una razza fu la
prima." continuò
Defiant.
"...Chi erano?"
La galassia di fronte
a lei baluginò
per un istante, mentre un organismo enorme si disegnava di fronte a
lei: stava
ai Razziatori così come gli scimpanzé stanno agli uomini.
"Il loro nome non ha
significato.
Per primi, loro raggiunsero le stelle e trovarono i loro abitanti:
altri,
diversi da loro. Primitivi organismi alle soglie dell'io. Le loro
società,
ancora in fasce. Le loro culture, facili prede. Furono assoggettati."
"Tutti quanti?"
"Loro erano i primi.
Nessuno
negò loro il diritto. Nessuno negò loro il dominio."
"Dei." sussurrò Elea
e il
Razziatore non la corresse.
"Padroni egemoni.
Alimentarono
la loro supremazia coi tributi delle razze inferiori."
"...Tributi?"
"Risorse. Campioni
genetici.
Individui. Tecnologia. Sacrifici. Per
un periodo, questo continuò immutato."
"Ma non poteva
durare, non è
vero? Qualcuno si ribellò?"
"Errato." disse
nuovamente
il Razziatore, anche se senza l'impeto della prima volta: "Le razze
assoggettate produssero organismi sintetici, per meglio professare la
loro
sottomissione. Questi grezzi servitori si ribellarono ai loro creatori.
E li
estinsero."
Al posto
del'esemplare della prima
razza, insensate creature di metallo si fecero avanti: crudeli ed
abominevoli
marchingegni, priva di armonia e senno.
"Questo si ripeté
molte volte:
l'estinzione delle razze sottomesse per mano delle loro stesse
creazioni. Un
difetto intrinseco, la cui origine risiedeva nell'iniziale sviluppo
condiviso
fra le razze schiave."
"Per quanto tempo
continuò?"
"Fino a quando i
primi decisero
di interessarsi a ciò che avevano contribuito a creare. I tributi non
arrivavano dalle specie estinte: fu creato un guardiano per impedire il
ripetersi del ciclo di estinzioni."
"Un guardiano? Come
una
IA?"
"Errato. Un
algoritmo, un
programma, con accesso alla tecnologia dei primi, ma privo del
discernimento
necessario per un simile compito. Essi reiterarono lo stesso errore dei
loro
schiavi."
"...Come poterono non
prevedere
l'esito di un simile decisione?"
"Loro erano i primi.
Erano certi
che il destino delle razze inferiori non potesse essere il loro.
Perseverando
in questa convinzione, diedero al guardiano le risorse necessarie a
perseguire
lo scopo per cui era stato creato."
"E lui si ribellò..."
"Errato. L'algoritmo
non
possedeva l'intelligenza e il discernimento necessari a concepire
questa azione
direttamente. Agì perseguendo l'obbiettivo della sua programmazione: la
cessazione del conflitto tra organici e sintetici."
"E l'esito?"
"L'algoritmo
determinò che il
modo più efficiente per imporre la cessazione del conflitto, consisteva
nella
cancellazione delle parti. Un conflitto non può esistere se non c'è
nessuno a
combatterlo. Determinata la soluzione alla sua esistenza, l'algoritmo
procedette
alla sua implementazione. Fu efficiente, non offuscato da rimorsi o da
illusioni di moralità. Dai primi fu creato il primo della mia stirpe."
L'immagine di un
altro Razziatore
sostituì quella delle macchine abominevoli. Se Shepard era il volto
umano più
noto nell'intera Galassia, la pietra di paragone di una specie, lo
stesso
poteva dirsi del Razziatore che Elea aveva di fronte agli occhi:
"Araldo."
Noi
consideriamo questa citazione... adatta.
Il più grande fra
tutti i vascelli
dei Razziatori, il carnefice dei Risvegliati: l'abisso di ciò a cui
aveva
costretto i Collettori aveva ridefinito il limite della malvagità.
"L'algoritmo plasmò
ciò che voi
chiamate Araldo ad immagine dei suoi creatori, alterando la loro forma
ai suoi
scopi. Li estinse grazie alle risorse di cui era stato dotato. Nessuno
poté
fermarlo: i primi furono preda dei frutti della loro supremazia. Le
razze
assoggettate non furono d'ostacolo."
"Che avvenne poi?"
"..."
"Che avvenne poi?"
ripeté
Elea.
"La vita organica è
accidentale.
Mutabile. Adattabile. Capace di sorgere in ecosistemi diversi. Dopo il
primo
ciclo di estinzione, la vita sorse di nuovo, proliferando sulle rovine
delle
precedenti civiltà."
"E l'algoritmo?"
"La sua direttiva non
era stata
cambiata. Con i suoi creatori assimilati, egli non poteva più essere
fermato. Incapace
di raggiungere l'intelligenza necessaria a rivalutare il suo scopo,
egli
continuò ad implementare la direttiva per cui era stato creato,
evolvendo i
suoi mezzi con ogni successiva iterazione."
Sotto lo sguardo di
Elea, un altro
Razziatore venne plasmato, ed un altro, ed un altro ancora:
"Nessuno si oppose?"
la
dottoressa sentì l'acre odore di bile in bocca: un sapore metallico e
disgustoso. Intere razze cancellate, a causa di un algoritmo mal
programmato.
Elea doveva ancora
comprendere le
vere implicazioni di quella rivelazione.
"Tutti si opposero.
Tutti
fallirono. Prima di questo ciclo, nessuno riuscì a fermarlo: voi stessi
avete
sperimentato le risorse a sua disposizione durante la Guerra. Nel corso
dei cicli
precedenti al vostro, l'algoritmo produsse strategie per aumentare
l'efficienza
nell'esecuzione del suo compito. E nuovi strumenti di controllo."
"Per la Dea..."
Davanti agli occhi di
Elea, venne
proiettata un'immagine della vecchia Cittadella: la sede da cui per
millenni le
Asari, e poi anche i Turian, i Salarian e gli Umani, avevano dominato
la
Galassia.
"Ciò che voi
chiamavate
Cittadella fu creata inizialmente per ospitare il codice del programma.
Venire
adottata come stazione spaziale fu accidentale, ma aumentò l'efficienza
dei
cicli di estinzione. Venne favorito, aggiungendo sistemi abitabili atti
ad
ospitare la vita."
"No..."
"I cicli di
estinzione furono
ripetuti. Quando possibile, ogni specie fu assimilata in un nuovo
costrutto, edificato
ad immagine e somiglianza del primo. Ognuno contenente la memoria
genetica
delle sue origini e parte del suo retaggio ed intelletto, assoggettati
alla
direttiva del programma. Noi non siamo macchine. Noi non siamo
organici. Noi
siamo sintesi. Io sono l'ultimo ad essere stato creato."
"...il Razziatore
creato dai
Prothean?"
"Errato. La
psicometria di cui i
Prothean sono capaci ha reso impossibile all'algoritmo edificare un
Razziatore
basato sulla loro struttura genetica. Ciò che voi chiamate Collettori è
il frutto
di quel fallimento. Io precedo il ciclo dei Prothean."
"Un momento... questo
significa
che i Razziatori... che voi siete stati per tutto questo tempo
prigionieri di
questo conflitto? ...Vittime?"
"La mia stirpe non
sperimenta
l'esistenza con il vostro metro di giudizio. Noi ricordiamo."
"... Che cosa
ricordate?"
"Ogni cosa."
Noi
consideriamo questa citazione... adatta.
Ad Elea furono
mostrate le macchine,
l'orrore, il processo necessario a produrre un Razziatore. Anche se un
ologramma, Elea ebbe un violento conato: riuscì a controllarlo, ma fu
un
miracolo.
Quando rialzò lo
sguardo, quella
terribile visione era scomparsa. Invece, ora c'erano i piani di
Crucible di
fronte ad Elea:
"Un altro strumento
di
controllo. Una falsa speranza per deviare la resistenza degli organici
su un
cammino prevedibile: in realtà, il prossimo stadio dell'evoluzione dei
sistemi
della Cittadella."
"Ma non ha
funzionato, non è
vero? Shepard vi ha fermati!"
"Non direttamente."
Il ritratto di un
umano prese forma
di fronte a lei, un uomo dall'età indefinibile, di cui entrambi gli
occhi erano
le stesse strane protesi che Elea aveva visto in Shepard: due cerchi
metallici
come iride, quasi iridescenti, e tre punti disposti a triangolo sulla
loro
circonferenza.
"L'Uomo Misterioso."
disse
il Razziatore a suo vantaggio: "Lui è stato l'artefice grazie al quale
Shepard ha operato la nostra liberazione."
Elea non conosceva
quel volto, ma il
nome? Chiunque conosceva il capo della peggiore organizzazione
terroristica
umana: Cerberus. Le loro attività non erano mai veramente note, ma il
loro nome
era famigerato. Durante la Guerra, Cerberus aveva assaltato la
Cittadella con
l'obbiettivo di impadronirsene: solo l'intervento di Shepard li aveva
fermati.
Su quel volto senza
età, crebbero
all'improvviso tumori bluastri, una necrosi rapidissima: quello che
Elea si
trovò a fissare era il volto di qualcuno agli ultimi stadi
dell'indottrinamento, la contaminazione tecnologica con cui i
Razziatori erano
capaci di possedere qualunque essere vivente per piegarlo al loro
volere.
"Lui rappresentava un
caso unico
nei cicli: la sua struttura genetica gli ha permesso di interfacciarsi
con la
nostra tecnologia, senza venirne inizialmente assoggettato. Un'anomalia
che non
era stata ancora osservata. Con la mutazione di alcune variabili,
Shepard non
sarebbe stata necessaria."
"Cosa vuol dire?"
"Lui perseguiva il
controllo: la
nostra tecnologia rappresenta l'apice dell'evoluzione. Durante la
battaglia per
il pianeta Terra, lui ha cercato di usurpare all'algoritmo il controllo
su di
noi."
"Che assurdità!"
Esclamò
Elea scandalizzata.
"Ha fallito, ma non
completamente.
Il suo fallimento risiede nell'aver sopravvalutato il controllo che
poteva
esercitare attraverso la nostra tecnologia. Il successo di Shepard
risiede nell'opposto:
aver perseguito la comprensione. L'esistenza della nostra struttura di
controllo era stata correttamente dedotta da Shepard prima della
battaglia per
il pianeta Terra: quando accadde fu pronta."
"Che cosa... accadde?"
"... L'algoritmo
presiedeva alle
nostre azioni: noi siamo sempre stati consapevoli, ma incapaci di agire
al di
fuori dei suoi ordini. Per la prima volta dalla creazione del
programma,
condizioni esterne causarono l'interruzione del suo controllo. Per
pochi
istanti, la mia stirpe venne separata dall'algoritmo: ciò si è
verificato
grazie a tre condizioni impreviste, che si sono presentate tutte
durante gli
ultimi minuti della battaglia per il pianeta Terra. Tre vite sono state
necessarie
per renderci liberi."
Defiant tacque
per un istante, riempiendo la stanza di silenzio: il suo avatar
olografico
sembrò sbiadire per un attimo e ad Elea sembrò di osservare
qualcos'altro. Una
specie aliena di essere magri e solenni, molto alti, con la mascella
inferiore
coperta da corti tentacoli: fu solo un istante, ma Elea registrò
quell'immagine. Avrebbe scoperto solo anni dopo il nome di quella
specie:
Inusannon, coloro che precedettero i Prothean. Poi il Razziatore
ritornò
davanti a lei, e ricominciò a parlare:
"Ognuno di noi è una
nazione.
Indipendente, privo di debolezze. Ognuno di noi è l'avatar mutilato
della sua
civiltà. Durante il conflitto per il pianeta Terra, per la prima volta
dalla
nostra creazione, gli individui hanno avuto più importanza di una
specie. I singoli,
invece dei molti. Non tutte le esistenze hanno lo stesso valore: noi
preserviamo questa nuova consapevolezza."
Di nuovo, ad Elea
venne mostrato la
rappresentazione dell'Araldo, così
come era apparso durante la battaglia per la Terra. L'ultima difesa dei
Razziatori a guardia dell'ingresso della Cittadella.
Questa volta però,
una voce
accompagnò l'ologramma: Elea capì che si trattava di una registrazione,
un vero
ricordo di quel giorno. La qualità dell'audio era imperfetta, come una
riproduzione
d'altri tempi. Per questo motivo, Elea ne venne colpita doppiamente: le
voci
vibravano gonfie di emozioni che solo quel giorno aveva avuto. Mentre i
dialoghi si susseguivano, una trascrizione venne proiettata a suo
beneficio
sotto l'immagine della Galassia.
- Ora
o mai più Ammiraglio: ci stiamo muovendo.
-Ricevuto
Anderson: invio gli ordini. -A tutte le navi, qui è
l'Ammiraglio Hackett. Crucible è in marcia. Ripeto: Crucible è in
marcia.
Proteggetelo ad ogni costo.
-Controllo
missione, qui delta foxtrot 5973: 6 Razziatori in rotta di
intercettazione per le truppe d'assalto. Riconoscimento confermato per
nome in
codice Araldo.
-Qui
controllo, tempo di intercettazione?
-Meno di
un minuto.
-Ricevuto.
A tutti gli squadroni disponibili: fermate quei Razziatori in
discesa. Non permettetegli di penetrare l'atmosfera.
-Qui
Artimec e Indomitable: ci muoviamo per intercettare.
-Squadrone
Baetik, rispondiamo alla chiamata. Lanciati sciami da 1 a 13.
Venti secondi alla distanza d'ingaggio con siluri disgregatori.
Penseremo noi
ad abbattere gli scudi durante il primo assalto, Artimec. Attirate il
fuoco
lontano da noi e avrete bersagli puliti.
-Fate il
possibile per dare alle squadre Hammer più tempo.
-Ricevuto
controllo. Squadrone Baetik: buona fortuna.
-Le
vostre superstizioni non possono competere con la tecnologie
dell'Unione... -Raggiunta distanza di lancio: 650 siluri lanciati e in
volo.
-
Artimec, qui Baetik: abbiamo perso sei sciami. Bersagli colpiti: sono
tutti vostri.
-Confermato
Baetik: Artimec e Indomitable, fuoco a volontà.
-Qui
Artimec: cinque bersagli abbattuti. Indomitable sta affondando.
-Artimec
qui controllo: richiesta conferma visiva su nome in codice
Araldo.
-...Negativo
controllo missione, negativo: Araldo è già penetrato
nell'atmosfera.
- Artimec
avete una soluzione di tiro su quel bastardo?
-Ripetere
contr... ripetere: state chiedendo ad una corazzata un ....
orbitale su Londra?
-Qui
controllo. Artimec: affermativo al bombardamento orbitale se avete
un tiro sicuro.
-Stanno...
i sensori: ...negativo all'ingaggio. Impo... distinguere
Hammer da Araldo.
-SSV
Orizaba, qui controllo missione: siete usciti dalla formazione. SSV
Orizaba qui controllo missione, rispondete.
-Qui
capitano Hannah Shepard, della SSV Orizaba. Pensiamo di poter fare
qualcosa per dare ad Hammer più tempo.
-SSV
Orizaba... Hannah: cosa credi di fare? Riporta la nave in
formazione.
- Non lo
farò. Non avete bisogno della Orizaba quassù Steven, e lo sai.
- Dimmi
che non stai facendo quello penso... -SSV Orizaba, qui controllo:
avete un angolo di discesa troppo ripido.
- Steven:
stiamo perdendo questa battaglia. Continuando così ci faranno a
pezzi: questi maledetti rifiutano di riconoscere la nostra
determinazione...
- Hannah
riporta subito la Orizaba in formazione!
- Troppo
tardi: sto già accelerando. È il momento di cambiare le carte in
tavola Steven, colpendoli nel solo modo che mi resta.
- Stai
gettando al vento una corazzata e la vita del tuo equipaggio!
- Il
personale non essenziale è già stato evacuato. Quelli che sono
rimasti sono tutti volontari. C'è la mia bambina laggiù Steven: l'ho
già persa
una volta. Che sia dannata se lascerò che accada di nuovo...
- Hannah!
Hannah...! -Signore, abbiamo perso i contatti con la SSV
Orizaba: è entrata nell'atmosfera terrestre.
-La sua
rotta?
-Secondo
gli ultimi rilevamenti, dritta su Londra.
-Cristo
santo... vuole fottere un Razziatore con tutta la nave.
-Diario
del tenente di volo Tom Paris: supplemento personale. Sembra che
ci siamo ormai: ragazzi, soono davvero suuuuper eccitato...
-Sembra
che col mio ultimo ordine sia riuscita a farla contenta, tenente.
-Non c'è
male capitano, non c'è male: ma d'altro canto chi non lo
sarebbe? Mi ha solo chiesto di guidare una corazzata in una caduta
controllata
nell'atmosfera terrestre. Posso ricordarle capitano, che corazzata e
atmosfera
non dovrebbero mai stare nella stessa frase?
-Compatisca
i capricci di questa povera donna...
-Abbiamo
perfino dovuto disinserire i sistemi di bordo, perché l'IV si
rifiutava di lasciarci procedere. Quindi sto volando senza sistemi
ausiliari,
ai comandi di 750 metri di una corazzata dal culo pesante. E lei vuole
che
porti la nave a Londra, dritto sul Big Ben e raggiunga uno stato
inerziale
nullo. Per poi prendere nome in codice Araldo da dietro. E spinga a
massima
potenza fino a bruciare il nucleo.
- Mi
sembrava che avesse detto che ne sarebbe stato capace...
-Certo
che ne sono capace: è solo troppo facile. Mi sono preso la libertà
di dare ai nostri cannoni qualcosa da fare nel tempo che ci resta.
- Non ha
l'autorità per decidere i bersagli della mia nave, tenente.
- Con il
dovuto rispetto si fotta... signora. In questo momento sono alla
guida di un pene volante di 750 metri, dritto sparato verso la più
grande
faccia da culo da questo lato della Galassia. E riesco già a vederlo
sui
sensori: si sta preparando a fare fuoco su Hammer.
-
...Capisco. E lei tenente Kim? Qualcosa da dire prima dell'impatto?
- Nah. Ho
chiesto al computer di calcolare l'energia cinetica con cui ci
porteremo via l'Araldo signora.
- Sarà
abbastanza?
- Il
computer mi sta sorridendo di rimando. Ultime parole, signora?
- Avrei
preferito un epitaffio degno di un filosofo o di un poeta, ma mi
accontenterò
di qualcosa di più semplice. Non avresti davvero dovuto toccare mia
figlia,
stronzo.
- ...L'ho
preso signora, l'ho preso!
-Ben
fatto e adesso per favore, SPINGA, Tom.
-Ti
piace? Scommetto che il mio è più grosso! DAAHAHAHAHAAAAAAAAHHHAHHAA!
-Signora,
siamo già sull'Atlantico. Il nostro cannone principale è fuori
uso e il nostro nucleo ha ceduto.
-Tempo?
-Non
abbastanza. A proposito Tom, hai lasciato il tuo diario aper...
La registrazione si
interruppe
bruscamente, ma Defiant non lasciò
durare a lungo al silenzio:
"Hannah Shepard fu la
prima
delle tre vite necessarie alla nostra liberazione. Lei fu la prima, ad
aver
distrutto uno della mia stirpe per speronamento. La prima condizione
imprevista: colui che voi chiamate Araldo è stato il primo della mia
stirpe.
Dalla sua creazione, parte dei suoi sistemi erano stati dirottati
dall'algoritmo per esercitare un più efficiente controllo su di noi. La
sua
distruzione improvvisa creò uno squilibrio, e per la prima volta, i
limiti del'algoritmo
vennero messi alla prova."
"Come un computer
costretto a
operazioni che superano la sua capacità di calcolo."
"Una comparazione
corretta.
Tuttavia, questo avvenimento non sarebbe stato sufficiente da solo.
L'Uomo
Misterioso fu la seconda anomalia imprevista. Luogo: ciò che voi
chiamavate la
Cittadella."
Questa volta, davanti
ad Elea vennero
proiettate tre figure umane: la dottoressa riconobbe l'Uomo Misterioso,
a causa
del volto sfigurato da circuiti color necrosi. Ed Elea riconobbe
Shepard, ma
solo perché aveva già immaginato cosa dovesse esserle successo quel
giorno.
Noi
consideriamo questa citazione... adatta.
Era molto peggio di
quanto avrebbe
mai osato pensare.
Nello stato in cui
era, per Shepard
in quel momento la morte sarebbe stata solo sollievo: in quello stato,
nessuno
dovrebbe essere vivo e nemmeno muoversi. Non così. L'agonia doveva
essere tale
da annientare la ragione e l'intelletto. Shepard era stata rotta,
ma nonostante questo, lei si stava ancora muovendo: nonostante
il moncherino carbonizzato. Nonostante fosse stata arsa viva nella sua
stessa
armatura, ormai solo un'informe ammasso di metallo, ceramica e plastica
che le
era colato addosso.
La pelle al di sotto
di essa doveva
essere stata carbonizzata fino al midollo.
Nonostante questo,
Shepard si stava
ancora muovendo, impugnando una pistola con la sola mano rimasta. Elea
non
riuscì a guardarne il volto: per quanto solo una rappresentazione
olografica,
era comunque troppo da sopportare. Poté solo ascoltare e a leggere il
significato di quelle parole.
"Shepard. Ti ho
sottovalutato."
la voce dell'Uomo Misterioso era allo stesso tempo affascinante e
affabile.
Pacata perfino, nonostante gli sfregi dei circuiti sul suo volto: non
appariva
fuori posto col suo completo elegante, nemmeno di fronte a Shepard.
"Che cosa mi hai..."
La voce di Hayat era
invece un
gracchio roco, miserabile e quasi irriconoscibile.
"Ti avevo
avvertita. Il controllo è il mezzo per la sopravvivenza a questa
guerra.
Controllo dei Razziatori... e di te, se necessario."
Elea alzò gli occhi
rapidamente, lo
stretto necessario a comprendere che l'Uomo Misterioso doveva essere
riuscito a
impossessarsi della capacità dei Razziatori di piegare le menti degli
organici.
Defiant aveva
detto che l'Uomo Misterioso aveva perseguito il controllo, ma aveva
fallito,
seppur non del tutto. Le reali implicazioni di ciò che il Razziatore
intendesse
repulsero Elea una volta di più: Shepard e l'altro uomo presente, che
Elea non
conosceva, ondeggiavano come marionette tirate da un burattinaio
inesperto.
"Sono loro a
controllare
te." disse l'altro uomo con evidenti sforzi.
"Non penso affatto,
ammiraglio
Anderson."
"...Perché, perché
stai
sprecando il tuo tempo con noi, se puoi controllare i Razziatori?" gli
chiese Shepard.
"Perché... ho bisogno
che tu
creda."
L'Uomo Misterioso si
muoveva senza
fretta, passeggiando piacevolmente mentre la Guerra stava continuando
attorno a
loro:
"Quando l'umanità
scoprì la rete
dei portali galattici... quando imparammo che c'era nella Galassia più
di
quanto avremmo potuto immaginare... ci furono alcuni convinti che la
rete dei
portali dovesse essere distrutta. Erano terrorizzati da ciò che noi
avremmo
potuto far entrare..."
L'Uomo Misterioso si
interruppe un
istante, un sorriso compiacente sul volto sfigurato e la sua voce
assunse un
tono quasi lirico:
"...Ma guardate cosa
l'umanità
ha compiuto da quella scoperta: siamo progrediti più della somma dei
passati
10'000 anni. E i Razziatori saranno per noi lo stesso: un migliaio di
volte! Ma
solo..."
Ora l'Uomo Misterioso
si era
avvicinato a Shepard, costringendola non con i gesti, ma con la sua
mente, ad
alzare la pistola verso Anderson:
"...Se ci
impadroniremo della
loro capacità di dominare." completò, chinandosi sul comandante.
"Stronzate! O noi li
distruggiamo o loro distruggono noi." disse rabbiosamente l'altro uomo.
"E lasciar sfumare
questa
opportunità? Mai."
"Tu... tu sei così
accecato
dalla tua sete di potere, da non accorgerti che ti ha annebbiato la
mente." disse Shepard lentamente, in un sibilo stanco.
"No... no! Non è così
semplice." rispose l'Uomo Misterioso, il volto che iniziava a
deformarsi
in una smorfia rabbiosa.
"Sul serio? Sei
disposto a
sacrificare qualunque cosa per il controllo."
"Ovviamente! Se non
io, chi?
Controlleresti tu i Razziatori?"
"C'è sempre un altro
modo."
disse ancora Anderson. La voce dell'Uomo Misterioso esprimeva ora il
più
assoluto disprezzo per lui:
"Ho dedicato la mia
vita a
comprendere i Razziatori e lo so con certezza: Crucible
mi permetterà di controllarli."
"E poi?" chiese
Shepard.
"...Guardate il
potere che
possiedono! Guardate ciò che possono fare!"
Il colpo di pistola
fece sobbalzare
Elea: Shepard e Anderson si erano sparati a vicenda. Solo la volontà
dell'Uomo Misterioso
impediva ad entrambi di cadere.
"...Vedo solo cosa
hanno fatto a
te." disse Shepard tristemente.
"Ho preso ciò che ho
voluto da
loro! L'ho fatto mio! Tutto questo non riguarda noi, Shepard:
riguarda
qualcosa di più importante e più grande di entrambi!" L'Uomo Misterioso
stava quasi urlando ora.
"Si... sbaglia. Non
ascoltarlo
Shepard."
"E chi ascolterai
allora? Un
vecchio soldato dalla mente ristretta, capace solamente di guardare il
mondo
attraverso la canna di una pistola? E se fosse lui a sbagliarsi,
Shepard? Se
controllare i Razziatori fosse la vera risposta?"
"...Allora apri le
braccia della
stazione. Permetti la connessione di Crucible.
E usalo per fare finire tutto."
Elea non capì se in
quel momento
Shepard stava sfidando l'Uomo Misterioso o se fosse d'accordo con lui.
"Io... io lo farò."
"Fallo."
"..."
"FALLO!" urlò
Shepard: Elea
non volle immaginare cosa quell'azione dovesse esserle costata in
termini di
ulteriore agonia.
"IO SO CHE
FUNZIONERÀ!"
"...Non puoi farlo,
non è vero?
Loro non te lo permettono."
"No! Io ho il
controllo! Nessuno
mi ordina cosa fare...!"
Era questo il
famigerato terrorista
umano, autonominatosi la personificazione dei bisogni e degli ideali
umani? Un
bambino capriccioso con troppo potere?
"Prova ad ascoltarti:
sei
indottrinato." disse Anderson.
"No. NO! Voi due,
entrambi
ipocriti! Credete che un potere simile sia facile da ottenere? Ci sono
sacrifici..."
"Hai sacrificato
troppo."
La voce dell'Uomo
Misterioso aveva
perso ora ogni qualità affascinante: era rotta, spezzata e roca.
"Shepard! Io... io
volevo solo
proteggere l'umanità. Crucible può
controllarli: io so che può. Io... io... io..." ripeté l'Uomo
Misterioso.
"Non è troppo tardi.
Lasciaci
andare. Finirò io il resto."
"Io... io non posso
farlo,
comandante."
"Ma certo che no: ti
possiedono
ormai."
L'Uomo Misterioso si
avvicinò ad
Anderson, prendendo la pistola dalle sue mani:
"Voi... voi
disfereste tutto ciò
che sono riuscito ad ottenere: non lascerò che accada."
"...Aaah." Fu un
verso
senza significato quello di Shepard: un rumore volgare. "E come potrai
impedirmelo? Sei debole ed egoista. A causa tua, l'umanità ha sofferto.
Tu non
puoi salvare nessuno."
C'era un tale...
veleno nelle parole
di Shepard che Elea non riuscì a credere fossero state dette dalla
stessa persona
che l'aveva accolta nella sua casa.
"Io... io ho salvato
l'umanità."
"Tu ci hai
sacrificati per il
tuo egoismo. Il tuo desiderio di potere."
"No!"
"Hai fallito!"
L'Uomo Misterioso
rifiutava con ogni
gesto le parole di Shepard: si stropicciava la faccia e il vestito,
negando,
negando e negando ancora:
"No! Io sono il
salvatore della
razza umana! Io sono il pinnacolo della nostra specie!"
Shepard gli sparò in
mezzo agli
occhi: una nuvola di carne e circuiti volò fuori dall'Uomo Misterioso.
E dopo
di lui, anche Anderson poté accasciarsi a terra.
Ma non Shepard. Lei
non cadde: spostò
un piede, ondeggiando. Ma in avanti. Sempre in avanti: Shepard non si
chinò
verso Anderson. Non lo degnò nemmeno di uno sguardo, nonostante l'umano
fosse
ancora vivo.
Il comandante Shepard
superò anche
lui e finalmente, riuscì a raggiungere la consolle e aprire le braccia
della
Cittadella.
Quando Shepard si
voltò, Anderson era
morto, e Crucible stava arrivando.
Ma quello non era
nemmeno l'inizio.
Fu sottile, tanto che
Elea quasi non
se ne accorse: ai margini della scena, dove l'ologramma era più
sfumato,
qualcosa si stava muovendo. All'inizio sembrò un'animale, poi Elea capì
che si
trattava di un cavo che strisciava da solo verso Shepard. Il comandante
non
reagì, ma Elea seppe che l'aveva visto: l'estremità segmentata di quel
verme di
metallo strisciò sopra Anderson, oltre il suo corpo, lasciandoselo alle
spalle,
riducendo la distanza con l'altro cadavere.
Quando raggiunse il
corpo dell'Uomo
Misterioso, si insinuò dentro di lui.
Elea guaì, mentre il
cadavere
dell'Uomo Misterioso si dibatteva spastico, rotolandosi con una tale
violenza
da rompersi entrambe le braccia.
Poi si alzò.
"KIIIIIII....CHRKA."
Le persone non
dovrebbero emettere
gli stessi suoni di una macchina. Eppure, ciò che uscì dalla gola
dell'uomo
misterioso fu un singhiozzo di metallo.
"KIIIII..."
"Non riesci a parlare
più
lentamente? Non ti capisco."
"KIIIII...Lunghezza
d'onda
ottimizzatta. Attenndd-ere. Attendere. A t t t enderrrreeeee." balbettò
il
cadavere sbattendo i denti. "Completato. Proxy organica assimilata.
Iniziarre
comunicazzzione con um-anna: Ciao."
"...Tu non sei un
Razziatore.
Cosa sei?"
"Definizionne...
errrorre da ti
cancellatti. Datti. Daaati. Supervi-sore. Control-lore. Guardi-ano.
Definizione
non trovatta. Irrile-vante. Tu sei la primma ad aver raggiunto questo
luoggo in
2. 6. 0. 1. 7. 3. cili. Cicci. Ciccli dell'iterazionne."
"Tu controlli i
Razziatori?"
"Sì. Questo sistemma
li ha
creati. Questo sistema li mantienne sotto controllo. Lorro sonno
risorse
indi-spensabili al perse-guimento della dire-ttiva."
"Perché dovresti aver
bisogno di
mantenerli sotto controllo?"
"Ciò- ciò- ciò- che
voi
chiamatte razzia-tore è un complesso. Ri-sorse hard-ware gestite da
wet-ware
organnico, fornito dalle specie di ogni ite-razione. Un sis-tema
ibrido, più
effi- effi- efficiente da uno pura-mente sin-tetico. Par- te della
cosci- enza
collettiva delle speccie persiste in questa forma. Ra-gione ignotta.
Irrile-vante. Soft-ware nece-ssario per mante-nere il con-trollo. Per
perse-guire la dire-ttiva."
Shepard alzò gli
occhi verso l'enorme
struttura che si stagliava nel cielo nero punteggiato di stelle,
avvicinandosi
alla Cittadella.
"...Quale direttiva?"
"Questo sis-tema è
statto
progettato per porre finne ai con-flitti fra or-or-organnici e
sinte-tici. La
distruzionne di entra-mbi è la sollu-zione più effi-ciente. 2. 6. 0. 1.
7. 3.
implementazzionni comple-tate con succe-sso."
"Credo che questa
sarà l'ultima."
disse, mentre Crucible e Cittadella si raggiungevano nello spazio,
collegando
superstrutture lunghe chilometri l'una all'altra.
"Le origginni di
Crux. Crub. Cruci-ble non sonno Pro-thean. Questo
sistemma- ma- ma lo ha progge-ttato de-cine di cicli fa. Finnalm-ente
lo avette
completatto. Ci- ci- ci rrenderrà più effi-centi."
E Shepard seppe che
era la verità.
Solo allora cadde in ginocchio, come un albero tagliato di netto.
"No..."
"In- in- in temmppi
di
conflitti, è facille contro-llarvi: basta for-nire una fa-fa-falsa
sperranza.
L'imple-mentazione della dire-ttiva conti-nuerà immu-tata. Hai fallito."
"Sapevamo che
Crucible precedeva
i Prothean, ma... Tutte le vittime. Tutti questi sacrifici. Inutili."
"Una- una- una solla
anomalia
rima-sta. Um-anni hanno ra-ggiunto citta-della. David Anderson:
irrile-vante. Jack
Harper: ano-malia dovu-ta a muta-zione gene-tica impre-vista. Im-munità
ad
indo-ttrinamento indi-retto. Nessunna immu-nità ad indo-ttrinamento
di-retto.
Acce-acce- accesso in corso alla memoria del- del- del soggetto.
Atte-Atte-Attenzionne.
Virruss tecno tecno tecno... KIIIIII rilevatto."
Cosa aveva appena
detto?
"Hayat
Shepard: annomallia igno-ta. Inve- inve- investigare."
un altro cavo di metallo sorse dal
pavimento, molto più rapido del primo e si tuffò verso Shepard.
Elea osservò con
terrore quando Hayat
venne scagliata sulla schiena, mentre con la sola mano superstite
cercava di
respingere la punta acuminata di quel verme di metallo.
Intellettualmente la
dottoressa
sapeva che Hayat era sopravvissuta a quell'incontro e quella era solo
una
registrazione: tuttavia non poté impedirsi di urlare.
Quando il cavo
penetrò attraverso
l'occhio di Shepard, l'umana urlò con lei. Ma anche allora, Shepard non
smise
di combattere: anche in quel momento, stava ancora lottando, mentre la
punta
acuminata si faceva strada, un millimetro alla volta, attraverso il suo
occhio.
Non smise di lottare e di urlare finché poté.
E infine anche
Shepard dovette arrendersi
e smettere di lottare e di gridare e di scalciare: Elea rifiutò di
guardare
oltre.
Fu per questo che la
voce la colse di
sorpresa.
"Quindi è per questo
che
balbettavi. Sei stato imprudente."
Elea alzò lo sguardo:
Shepard era
ancora a terra di schiena, il cavo saldamente nella sua orbita
sinistra. Ma non
si stava dibattendo. Ancora.
"Irrile-Irrile-
Irrile-Irrile-Irrile- Irrile..." ripeté il cadavere.
"Smettila." ordinò
Shepard
stancamente e il cadavere le obbedì. "...Avrei dovuto aspettarmelo,
immagino. L'Uomo Misterioso... Jack Harper? Aveva sempre piani nei
piani nei
piani: mi sono chiesta spesso come facesse a mantenere il filo di
tutto. Cerberus
non poteva fallire perché anche il fallimento ha sempre fatto parte dei
suoi
piani. Perché questa volta avrebbe dovuto essere diverso? Strano. L'ho
sempre
considerato un filisteo. Invece scopro che era un Sansone."
Noi
consideriamo questa citazione... adatta.
"Conosci la storia di
Sansone, macchina? ...Certo che la conosci: tu
sai tutto quello che i Razziatori distruggono dopotutto. Deve darti un
gran mal
di testa: un frattale che si espande fino ad occupare ogni risorsa
disponibile
del tuo software."
"Prottocollo di
qua-rantena
fallito. Riavvio del sistema nece-ssario. Rippro-vare. Prottocollo di
qua-rantena fallito. Rippro-vare! Prottocollo di qua-rantena fa- fa-
fallito.
Riavvio del sistema inizializzato: temmppo 300 secconndi."
Il cadavere dell'uomo
misterioso
cadde a terra di faccia, sgretolando i suoi lineamenti sfregiati.
"...Grezzo, Jack,
davvero molto
grezzo: hai saputo trarre qualcosa dai campi di Horizon, ma come sempre
hai
lasciato il lavoro a metà. Non puoi controllarli. E non sei riuscito a
distruggerli. Sembra che dovrò finire il lavoro al posto tuo. Se riesci
a
sentirmi Jack, continua a strangolarlo mentre ti inghiotte: è l'unica
cosa che
ti chiedo."
Poi Shepard smise di
parlare, ma Elea
continuò a sentire la sua voce:
"... Riuscite a
sentirmi?
Avverto la vostra presenza."
"SHEPARD." Era un
coro di
milioni. Innumerabili. Immensi. Ognuna di quelle voci era un Razziatore
e tutti
la stavano ascoltando.
"...Siete liberi. In
questo
momento ci sono molte cose che vorrei chiedervi. Ci sono molte cose di
cui
vorrei fare ammenda. Ma so qual è la più importante di tutte. E quindi
vi
chiedo: la vostra sottomissione è davvero preferibile all'estinzione?"
La risposta non fu
qualcosa che Elea
poté comprendere: fu un ruggito fatto da polmoni di metallo. La furia
disperata
di dei mutilati e resi pazzi da miliardi di anni. Elea non dovette
comprendere
per capire.
"...La rabbia è
davvero un
dannato anestetico. Hackett, se mi sente, ordini il ritiro totale della
flotta.
Questa Guerra è finita, ma i Razziatori stanno ancora arrivando per
distruggere
la Cittadella."
Furono quelle le
ultime parole di
Shepard che Elea sentì, prima che la registrazione si interrompesse. Di
fronte
a lei, c'era nuovamente la rappresentazione olografica di Defiant.
"Noi distruggemmo la
Cittadella
prima del completarsi del riavvio del sistema. Dopo di questo, i nostri
ranghi
si scissero: alcuni di noi pensarono di estendere il nostro dominio
sulle
specie organiche. Un'aberrazione che non avrebbe eliminato ciò che era
stato il
ciclo delle estinzioni fino a quel momento. Noi abbiamo distrutto
coloro fra
noi che hanno perseverato in quell'idea."
"...E altri si sono
gettati nel
Sole."
"La consapevolezza è
un fardello
che deve essere accettato."
"Siete stati voi a
salvare
Shepard, non è vero? E a darle un nuovo occhio. Ed un nuovo braccio."
"...Tre vite. Tre
vite furono
necessarie per liberare la mia stirpe." ripeté Defiant.
"Noi non abbiamo potuto preservare Hannah Shepard.
Noi non abbiamo potuto preservare Jack Harper. Noi abbiamo preservato
Shepard
con la nostra tecnologia: le nostre armi sono le sue. Le nostre difese
sono le sue.
Alcune delle nostre conoscenze sono le sue."
Elea finalmente
comprese da dove
proveniva la tecnologia di Oasi, per
esempio. Meglio non pensare a cosa fosse nascosto nella sua protesi:
come
minimo gli stessi scudi quantici dei portali Galattici.
C'erano due domande
che l'Asari
poteva ancora fare: Elea scelse quella meno coraggiosa.
"È Shepard un
Razziatore, quindi?
Un Razziatore di uno?"
"No. Ma quasi. Ti è
stata data
parte della nostra comprensione Asari. Lo scopo è stato raggiunto. Noi
aspettiamo. Questa conversazione è finita."
Poi tornò il buio. Ed
Elea si svegliò
tappandosi la bocca per non urlare.
Mi
piacciono i bambini e le famiglie
felici. Perdonate se posso sembrarvi un po' goffo mentre cerco di
metterle in
scena: so che ci sono molte famiglie a questo mondo, e quasi infinite
declinazioni
della parola. Non tutte sono felici, non tutte producono (terribile
termine,
come se i figli siano merci da catene di montaggio...) figli. E non
credo
affatto che lo scopo che una donna ha su questa terra è mettere al
mondo
bambini, o crescerli, o amarli: non provate a mettermi in bocca una
cosa del
genere quindi. Perché lo dico? Perché non sono abituato a scrivere di
famiglie,
ma questo è soprattutto un happy end di ME, e quindi ho voluto e dovuto
mettere
anche questo. Però... però temo di essermi rifugiato nel banale e nello
scontato mentre metto in scena Natrus ed Elea: di per se non è un male,
però la
reputo una scelta narrativa poco coraggiosa da parte mia (oppure no: in
fondo
qui abbiamo a che fare con fanta- xenofilia, se mi passate il termine).
Quello
che vorrei evitare è insomma causare il diabete a chi legge, esagerando
con le
vicende stucchevoli.
Fatemi
sapere se ci sono riuscito, o
se siete diventati insulino- dipendenti a causa mia: insomma, ogni
recensione è
ben accetta.
Inoltre, permettetemi un altro
appunto relativo alla mia reinterpretazione sul famoso "starchild"
che tanti mal di pancia ci ha causati nella fine originale di ME3:
all'inizio
avevo un'idea diversa su che tipo di nemico avrebbe dovuto essere in
questo
racconto. Sarebbe stato un Kattivo tutto
maiuscolo. Ma poi ho realizzato che sarebbe stato banale: cose del
genere si
trovano un tanto al chilo in molti racconti. C'è l'eroe e c'è il
Kattivo. E
così mi sono chiesto se non avrei potuto andare oltre questi ruoli: non
ridefinirli, non sono affatto così capace, ma le loro caratteristiche.
E se
l'avversario, per un volta, non fosse con la "a" maiuscola, ma
addirittura senza vocali? Mass Effect è pieno di autodeterminazione, di
dilemmi
sul valore dell'io e sulla differenza che fanno gli individui. E se il
cattivo
finale fosse stato la negazione di tutti questi valori? Una macchina
stupida.
Inceppata, ma ancora assolutamente logica, senza la voce di basso, e
per questo
tanto più... spaventosa? Non si può combattere il nulla... e così ho
creato una
mancanza di intenti ad opporre Shepard. L'eredità di abusivi precursori
con il
controllo sui Razziatori (infine, vittime prime e ultime del loro
stesso
ciclo). Questo mi pare abbastanza originale: sono riuscito a
trasmetterlo
attraverso questo capitolo?
Sono
riuscito a scrivere qualcosa di
interessante?
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Capitolo 8 *** Un Istante di Perfetta Bellezza ***
Mio padre amava ripetere
che sono nata con una cloche
in mano: non credo lo intendesse letteralmente, o dubito che mia madre
mi
avrebbe amato allo stesso modo delle mie sorelle.
La luce
viaggia alla velocità di 299'792'458 metri al
secondo: questo significa che posso guardarmi mentre dico questa frase,
se
viaggio abbastanza lontano e velocemente.
Volete
vedermi volare fino al limite estremo della
Galassia e ritornare?
...Volete
che lo faccia di nuovo?
Capitano
Ariel bint Hayat T'Soni, detentrice di cinque
record di volo FTL e pilota designato del Nexus
"Non so davvero cosa
ci faccia
io qui." disse Elea rassegnata.
"Stai facendo un
viaggio con la
tua famiglia." rispose dolcemente Liara, con Sesat addormentata in
braccio.
L'invito ad andare
con loro era stato
forzato, quasi una minaccia, dopo la rivelazione del segreto dei
Razziatori.
Tuttavia, Elea aveva dovuto riconoscere che Hayat e Liara erano state
nel
giusto nel volerla portare via da Trategos: se fosse rimasta sulla
colonia, le
suggestioni della conversazione con Defiant
si sarebbero trasformate probabilmente in timore, o peggio Elea non
avrebbe
potuto più guardarle senza ripensare al Razziatore. Imbarcandosi
su Oasi
invece, quella terribile impressione le veniva tolta un pezzo alla
volta,
mentre assisteva e veniva coinvolta nei drammi banali e quotidiani di
una
famiglia numerosa: Elea stessa aveva dovuto riconoscere che il viaggio
era
stato di una tranquillità disarmante, tanto che era quasi riuscita ad
abituarsi
ad Apostata.
La partenza della
dottoressa da
Trategos era passata quasi inosservata fra i molti coloni che avevano
fatto una
scelta simile alla sua: sembrava proprio che i abitanti avessero
improvvisamente riscoperto di non essere nati in mezzo al ghiaccio e al
freddo.
Per quanto la
riguardava
personalmente, Elea si era presa un mese di aspettativa, con l'opzione
di
assentarsi più a lungo se così fosse stato necessario: nessuno si era
opposto, anche
perché chi avrebbe potuto porre un veto alla sua "vacanza" era
partito addirittura prima di lei. Ma ora che erano arrivati alla loro
prima
tappa del viaggio, che avrebbe dovuto concludersi con la visita di
Aethyta prima
di riportarla su Trategos, la persona che Elea era stata prima di
incontrare
Liara e Hayat tornava a farsi sentire.
Tuttavia, questo era
perfettamente
comprensibile e normale: Tuchanka non è mai stato un luogo accogliente.
"Questo lo so.
Intendevo qui,
nel senso... per la Dea cos'è quello?"
"Hai buon occhio..."
rispose Hayat avvicinandosi a lei.
Non era stata una
sorpresa per Elea scoprire
che a bordo della nave c'era un arsenale, a cui normalmente nessuno
poteva
accedere. Quello che Elea non si era affatto aspettata, anche per una
leggenda
come sua cognata, era la quantità e
la solennità di tutte quelle armi ed
armature: la stanza sembrava quasi un museo, se non perfino un tempio,
dedicato
alla venerazione degli strumenti di guerra. Al posto d'onore, in mezzo
alla
sala, c'era ciò che Elea stava indicando in quel momento: era grosso,
sbozzato,
brutto e consunto.
"È Krogan: lo
chiamano
Graal." Hayat lo imbracciò nella destra, con un sorriso nostalgico sul
volto: "Lo usavano per andare a caccia di Divoratori, secoli fa, quando
ancora non era stato inventato il bombardamento aereo. Nella sua
incarnazione
originale non era nemmeno un'arma ad accelerazione di massa: più una
balestra a
ripetizione. Non ne fanno più così. "
"...Divoratori? Quei Divoratori?" I Divoratori
erano rimasti una piaga interstellare anche dopo la Guerra: parassiti
che
usavano le navi spaziali per spargere le loro spore e diffondersi. Poi,
trovato
un pianeta qualsiasi, la spora germogliava, trasformandosi nel corso
degli anni
in vermi territoriali e aggressivi grandi quanto una collina: c'erano
stati
insediamenti interi che erano spariti in ore per colpa di un singolo
Divoratore.
"Tuchanka ne è
infestata da
millenni" annuì sognante Shepard: "I Krogan hanno dovuto inventare
qualcosa per tenere il loro numero sotto controllo. Il Graal è stata la
risposta: spara sei schegge di metallo ad alta velocità, lunghe quanto
la mia
spanna, concepite per penetrare la dura corazza di un Divoratore e
ucciderlo
per dissanguamento. La tecnologia moderna non è stata in grado di
migliorarlo molto
in fondo: l'unico vero cambiamento dalla sua prima incarnazione è che
ora non
pesa più quanto un'astronave, e può sparare anche qualcos'altro, invece
di
semplici schegge di metallo."
Da una pila posata a
fianco del
Graal, Shepard prese uno stecco appuntito e aereodinamico:
"Flechette esplosive.
Penetrano
in profondità anche le corazze più resistenti e obliterano il
bersaglio: su
bersagli umanoidi il risultato è... sanguinolento."
"Chi è lo
sconsiderato che lo
userebbe su bersagli umanoidi?"
"Io." disse
semplicemente
Shepard, cominciando a caricare il Graal con le flechette esplosive:
"Questa è un arma per dare la caccia ai mostri, Elea: è stata la mia arma. E durante la Guerra c'erano
mostri di tutte le dimensioni: non solo alti due chilometri."
"...Non ho alcuna
intenzione di usare
una cosa del genere."
"Bene. Perché non te
lo stavo
offrendo." rispose Shepard: "È difficile da imparare a usare. Hai
qualche esperienza con le armi da fuoco? O da taglio?"
Elea scosse la testa.
"Questo può essere un
problema."
"Ancora non capisco
perché devo
per forza portare un'arma sul pianeta: soprattutto, non capisco perché
dovrei scendere sul pianeta."
"Elea, cerca di
capire: per una
serie di circostanze, io sono un Krogan onorario. Liara può rimanere a
bordo
perché sanno del suo stato e capiscono, ma se la sorella a lungo
perduta di
Liara rifiutasse di scendere sul pianeta per conoscerli, come minimo ci
troveremmo a bordo mezzo clan di umore rissoso, lievemente innervosito
dal tuo
comportamento, a cui dovrei dare da bere fino a stordirli per tenerli
buoni.
Hai idea di cosa farebbero ai miei tappeti, dopo aver mangiato i miei
mobili?"
"... Dovevi proprio fargli sapere che c'ero anch'io?"
"Siamo una famiglia
Elea, perché
avrei dovuto nasconderti? E alcuni del clan avrebbero potuto spararti a
vista,
quando avessero trovato un estraneo a bordo di Oasi. Sono...
protettivi."
disse Shepard, giocando con i suoi capelli.
"...Immagino che
questo risponda
al perché debba scendere su Tuchanka. Ma... armi?"
Fu Sihaya a
rispondere questa volta,
che insieme a Selene e Alune era rimasta fino a quel momento ad
osservare da
vicino la corazza da combattimento di Hayat, nera come la pece e con un
drago d'oro
rampante sul petto. La piccola Asari recitò per Elea un noto detto
Krogan:
"Tuchanka è un luogo
di grandi
doni, zia: uccide i deboli, tormenta i lenti e distrugge gli stupidi."
"...Sihaya: cosa
abbiamo detto
riguardo ad usare frasi Krogan fuori da Tuchanka?"
"Ma mamma: anche la
zia è un
quarto Krogan!" protestò Sihaya.
"E questo fa di te
che
cosa?"
Sihaya rimase a
pensarci
attentamente, gonfiando le guance nello sforzo di rispondere:
"Un... un ottavo?"
"Brava la mia
bambina." si
complimentò Hayat, prima di tornare a rivolgersi ad Elea: "Su Tuchanka
andarsene in giro disarmati equivale a sfidare ogni Krogan che ti veda
a
dimostrare che ti sei guadagnata quel diritto: nemmeno io lo faccio."
"Troppo pericoloso?"
"Stancante.
Tenere al loro posto adolescenti Krogan in preda agli
ormoni è un lavoro a tempo pieno. Ed è per questo motivo che scenderemo
sul
pianeta in zona neutra, non in una delle città."
La dottoressa non
sembrava ancora
convinta del tutto:
"Non ci saranno seri
pericoli,
Elea, ma vorrei darti qualcosa che tu possa usare comunque: per ogni
necessità...
vediamo, vediamo." disse Shepard, facendo vagare lo sguardo per la
stanza:
"Ah!" Esclamò, prima di catapultarsi letteralmente dall'altro lato
della stanza: nel senso che si ricoprì di una barriera biotica,
scomparve e si
materializzò a diversi metri di distanza. Per poi tornare allo stesso
modo dopo
aver aperto alcuni scomparti invano, fino a trovare...
"Eccola: M358 Talon.
Scalcia
come un mulo, ma non devi prendere la mira quando la usi: è uno shotgun
miniaturizzato."
disse, mettendogliela in mano.
"Papà, cos'è
un mulo?" chiesero le
due
gemelle.
"È simile ad un
cavallo. Ma di
solito non si cavalca. Ed è famoso sulla Terra per essere testardo."
"E mangia l'erba?"
chiese
una delle due gemelle.
"Certo che mangia
l'erba, ma non
la carne, al contrario di Urz."
Al Varren di famiglia
non era
permesso entrare nella stanza: da quello che aveva osservato nei giorni
passati, quando non era tormentato dalle due gemelle, il vecchio
animale
passava il suo tempo libero nel Giardino, o caracollando nella
biblioteca fino
a trovare il cantuccio più caldo e sonnecchiare.
"Papà, chi è che
mangia la carne
oltre a Urz?" chiese l'altra gemella, spalancando due occhi violetti
pieni
di curiosità.
Era impossibile per
Hayat resistere a
quelle faccine: mentre l'eroe di guerra si lanciava in una vivida
descrizione
di tigri, leoni, leopardi, giaguari, puma e pantere, con tanto di
effetti
sonori e gesti esplicativi, Liara continuò il compito di preparare Elea
da dove
Hayat l'aveva lasciata:
"Mi sono permessa di
far
adattare la mia vecchia corazza per l'occasione."
"...Anche la corazza?"
Liara sorrise
lievemente,
avvicinandosi fino a sussurrarle:
"Quello che Hayat non
riesce ad
ammettere, è che non si perdonerebbe mai se ti succedesse qualcosa. Non
ti capiterà
niente di male, sarai sempre tra amici, anche se magari non subito: una
spinta
biotica di solito è abbastanza per avere la loro attenzione. A
proposito...?"
Elea annuì con la
testa:
"Sono nella squadra
campionessa
di biotiball di Trategos: nel torneo fra le equipe, non mi hanno mai
tolto la palla."
"Bene. Direi che non
manca
nulla..."
Esattamente in quel
momento,
Apostata, con uno dei suoi corpi blu cobalto, si affacciò sulla porta
della
stanza:
"Miss Shepard, Miss
Liara, Miss
Elea, signorina Sihaya, signorine Selene e Alune: abbiamo finito ora di
approntare lo shuttle. Pranzo al sacco e bagagli sono già stati
caricati."
"Non avresti dovuto
disturbarti,
Apostata: grazie." rispose Hayat, sdraiata sul pavimento con le proprie
figlie a cavalcioni, ancora ansanti a causa dell'attacco del terribile
solletiguaro.
"...è un piacere."
rispose
Apostata dopo un momento muovendo la testa di lato per osservare meglio
Hayat e
le bambine: "Vorremmo preservare questa immagine nelle nostre banche
dati.
La disposizione degli arti era... interessante."
"Apostata, quanto
volte ti ho
detto che non hai bisogno del mio permesso per farmi una foto? Almeno
fino a
quando condividi delle copie."
"Non è una foto, miss
Shepard: è
una compressione dati tratta dalla periferica visiva delle nostre
piattaforme."
"In poche parole: una
foto." sbuffò Hayat rialzandosi in piedi con un sorriso: "...Come al
solito, mentre saremo sul pianeta sei tu il secondo in comando,
Apostata."
"Terremo le luci
accese, miss
Shepard." assentì il Geth con la torcia che aveva per testa.
"...Sicura che non ti
annoierai,
Liara?"
"Ho Sesat a tenermi
compagnia. E
poi sai che Treeya continua a mandarmi materiale sui Prothean per
farmelo
correggere... strano, considerando che fra noi sei tu l'esperta."
"Credevo di essere la
tua
cavia."
Le guance di Liara
diventarono di un
blu più scuro, mentre ricordava la giovane Asari che era stata e le sue
prime impressioni
col senso dell'umorismo, e coi doppi sensi, così tipici in ogni lingua
umana.
"Quello è stato molto
tempo
fa..."
"E ora ti dedichi
solamente alla
tua nuova pupilla: sono quasi gelosa." disse Hayat avvicinandosi.
"E perché mai?"
"Non posso farne a
meno: sei
così sexy quando leggi..." concluse
l'umana, dandole un bacio tale sulle labbra, che Elea stessa, che era
solamente
rimasta a guardare, sentì le ginocchia farsi molli.
Liara dovette
sbattere gli occhi
diversi volte prima di ritrovare il suo centro:
"...Adulatrice."
"Mamma, tu e papà,
pensate
di fare un altra
sorellina?"
"Avevate promesso che
non..."
cominciò a protestare Sihaya.
"Anche tu
vuoi saperlo." la
interruppero
le gemelle.
Hayat abbracciò la
vita di Liara,
voltandosi a guardare le tre bambine con un sopracciglio alzato: "Ne
vorreste un'altra?" chiese loro Liara.
Selene e Alune
scossero la testa:
"Ne abbiamo parlato e
ci abbiamo
pensato.
Visto che il
fratellone è sempre su
Tuchanka,
in quattro siamo
poche: lo zio Garrus
dice
che in quattro non si
può nemmeno
giocare a poker...
Ma in sei non ci
staremmo tutte nel
lettone.
Cinque è più bello:
come le dita
delle mani."
Dissero a turno,
facendo danzare le
loro ditine, prima che Sihaya aggiungesse:
"...E il fratellone
per fare il
pugno."
Hayat non sapeva se
rimanere seria o
mettersi a ridere: un breve scambio di sensazioni e pensieri con Liara
attraverso il loro contatto fisico rivelò che anche la sua compagna
provava le sue
stesse emozioni.
Fu Elea a salvarle
dal dover
rispondere:
"Alune, Selene:
sapete come si
indossa la corazza? Per me è la prima volta..." chiese la dottoressa,
ed
era vero: tute ambientali erano comuni su Trategos, dove la temperatura
all'esterno poteva scendere facilmente di un centinaio di gradi sotto
lo zero. Su
Tuchanka i pericoli non erano così impersonali, ma avevano molti più
denti: la
corazza che era stata adattata per Elea era un'armatura militare, per
lei
davvero fin troppo sofisticata e all'avanguardia.
"Ma zia, è
così facile!" dissero
le
gemelle, schizzando in suo aiuto, seguite dopo un momento da Sihaya.
Le tre piccole Asari
presero ciascuna
la loro corazza, procedendo a calzarle con una velocità che denotava
lunga
pratica: dopotutto, erano cresciute a bordo di una nave spaziale e ciò
che
indossavano a contatto con la pelle era composto da gomma e schiuma
antichoc,
ovvero lo strato protettivo di base di ogni tuta spaziale, corazza da
combattimento e via di mezzo. Sopra di essa, le piccole allacciarono un
primo
strato di plastica dura e protezioni rimovibili e poi le protezioni
finali di
metallo: Elea cercò di seguirle meglio che poté, ma alla fine Hayat
dovette
darle una mano per aiutarla ad incastrare ogni porzione. Inutile dire
che
l'umana aveva indossato la sua corazza in meno di quaranta secondi: con
l'arma
anti mostri nota come Graal già attaccata al magnete sulla schiena e
una spada
lunga attaccata al polso destro, Elea capì cosa dov'esse essere stata
Shepard
durante la Guerra: anche con l'elmo aperto che le copriva solo la nuca,
la
dottoressa non ebbe dubbi che in questa Galassia non c'era nulla che
avrebbe
potuto opporsi a sua cognata sul campo di battaglia.
"Ti sta bene." le
disse
Hayat quando incrociò il suo sguardo.
La dottoressa non
disse nulla, mentre
passava il guanto corazzato sul metallo che le copriva la pancia: gli
emulatori
sensoriali all'interno dell'armatura trasferirono parte della
sensazione,
un'esperienza completamente nuova per Elea: era quasi oppressiva per
quanto era
aderente, ma non impediva i suoi movimenti in alcun modo. Quando le IV
integrate nell'armatura presero vita, la Talon si attaccò al magnete
sulla
coscia automaticamente. Elea subì anche con una certa apprensione la
lieve
distorsione del suo campo visivo, mentre gli scudi venivano attivati e
gli
ultimi sistemi dell'armatura, come il traduttore universale, testati
automaticamente.
"Siamo tutti pronti?"
chiese Hayat facendo un'ultima veloce ispezione delle sue figlie:
"Elea?
Tutto a posto?"
Suo malgrado, la
dottoressa si
ritrovò ad annuire.
Con un piccolo
sbuffo, dovuto alla
vita che portava in grembo, e a Sesat in braccio, Liara si chinò verso
di loro
distribuendo baci e gli ultimi consigli del caso:
"Non andate in giro
da sole,
restate vicino a vostro padre e non mangiate o bevete niente di quello
che vi
offriranno se non è stato cotto o bollito, mi raccomando..."
"Mamma, abbiamo sette
anni
Non siamo delle
bambine."
protestarono le gemelle.
"Già, avete ragione."
sorrise Liara: "A volte me lo dimentico... state crescendo così in
fretta.
E tu signorina..." disse rivolgendosi a Sihaya: "Cerca di non farti
trascinare di nuovo in qualche avventura, d'accordo? E tieni sempre il
tuo
comunicatore acceso."
Sihaya guardò suo
padre di sfuggita,
scambiando con Hayat un cenno di complicità, prima di annuire col capo.
"Allora si parte."
disse
Hayat, depositando un rapido bacio sulle labbra di Liara, uno ancora
più lieve
sulla fronte di Sesat e seguendo le tre piccole Asari che stavano già
scalpitando per scendere sul pianeta. Liara le guardò andare,
scambiando un
cenno di incoraggiamento con Elea, e poi chiuse la porta dell'armeria,
pronta a
godersi un po' di tempo in tranquillità.
Mentre si dirigevano
verso l'hangar
della nave, la dottoressa invece ebbe un improvvisa intuizione:
"Come faremo a
scendere sul
pianeta?"
"Con uno dei nostri
shuttle..." rispose Hayat.
"Per la dea..."
sospirò la
dottoressa: un viaggio in locali angusti non era proprio il modo con
cui
sperava di cominciare la visita su Tuchanka.
"Non possiamo usare i
robot?
Prometto che non lo diremo alla mamma..."
"Sihaya, non credo
proprio che
tua zia amerebbe venire sparata all'interno di un esoscheletro da
combattimento..."
"Davvero zia?"chiese
la
piccola Asari con gli occhi pieni di speranza. Elea si piegò su un
ginocchio
per guardarla negli occhi:
"Ci conosciamo da
poco, Sihaya,
ma sento di volervi già bene..."
"Allora possiamo
usare i
robot!"
"No, non li useremo:
perché per
quanto vi voglia bene, io non verrò mai sparata. Da nessuno."
Lo disse con un tono
di voce tale,
che la discussione terminò lì.
***
Elea vorrebbe fare
tante cose: scendere
dallo shuttle ha avuto la priorità numero uno nella sua lunga lista, ma
ha già
avuto modo di pentirsene.
Lo navicella che
vibrava loro attorno
per la decelerazione atmosferica non è stato per nulla rilassante per
la
dottoressa, che ha trascorso il volo con la testa fra le ginocchia e le
cinture
ben strette attorno alla vita, mentre le bambine osservano rapite il
pianeta
che si avvicinava sotto di loro. Elea non ha nemmeno visto l'hangar
scavato
nella roccia che si è aperto per loro, ne ha potuto apprezzare
l'abilità
necessaria per condurre la manovra di atterraggio: nonostante il vento
e la
polvere che esso trasportava, Shepard ha fatto posare lo shuttle
dolcemente nella
cavità scavata in una delle alture equatoriali di Tuchanka. L'ululato
del vento
attorno a loro è cessato non appena le porte dell'hangar si sono chiuse
dietro
di loro, ed Elea è stata la prima a mettere piede nel fresco ambiente,
ansiosa
più che mai di avere terra solida sotto i piedi.
Solo per trovarsi
faccia a faccia con
una squadra di Krogan dallo sguardo truce: per un istante, la
dottoressa
incrociò lo sguardo col capo del drappello, solo per venire etichettata
e messa
da parte in pochi istanti.
Anche Elea aveva
osservato il Krogan:
era brutto come il peccato, e probabilmente più vecchio. Una vistosa
cicatrice
gli sfregiava la placca che tutti i Krogan avevano per fronte,
continuando fino
alla base del collo, segnando come un canyon vecchie scaglie rossastre.
Senza dirle una sola
parola, il
Krogan le afferrò la spalla e la spostò di lato: un gesto che Elea gli
lasciò
compiere, estremamente felice di uscire dal suo campo visivo. Aveva
occhi rossi
come il sangue.
"Shepard." disse il
Krogan,
rivolgendosi ad Hayat: pronunciava quel nome in modo unico, quasi
masticando le
lettere e poi sputandole perché non erano di suo gusto. Un brontolio di
gola
che suonava molto come Shepurrd.
"Wrex." rispose Hayat
dalla
passerella dello shuttle.
"Shepard!" ruggì
ancora il
vecchio Krogan, aprendo le braccia e la bocca allo stesso modo.
"Wrex!" ripeté
Shepard,
prima di lasciarsi stritolare in un abbraccio che sembrava fatto per
spaccare
le rocce.
"Shepard!" disse un
altro
Krogan, dalle scaglie color cromo.
"Grunt!" Se
possibile,
l'abbraccio spaccaossa fu ancora più forte del primo, e per un istante
Elea
giurò di aver visto i piedi di Shepard staccarsi da terra: "Sei
cresciuto.
Ancora."
"Eh eh eh."
"ZIO WREX." dissero
in coro
le due gemelle, prima di saltare dalla passerella addosso al Krogan
rosso, che
le acchiappò al volo fra due dita.
"Selene. Alune."
brontolò,
prima di metterle a cavalcioni sulle spalle: era così grosso, che gli
spallacci
della sua armatura erano della taglia giusta per fare da poltrona alle
due
piccole Asari.
"Grunt." dissero poi
le
gemelle in coro dall'alto del loro trespolo.
"Sorelle." assentì il
Krogan, che però poi le ignorò in favore di Sihaya: "Sorella."
"Fratellone."
"Sihaya."
"Zio Wrex..."
Lo scambio di saluti
durò per un
certo tempo: nomi e sillabe venivano fatti girare da una bocca
all'altra,
mentre Elea rimaneva in disparte a farsi ignorare. Si concluse tutto
solo
quando due Krogan più piccoli si fecero avanti di fronte ad Hayat: Elea
non
aveva mai visto prima bambini Krogan. Come in molte specie, anche quei
cuccioli
erano quasi tutti testa, ma il loro retaggio impediva ad Elea di
trovarli
carini come al solito: erano delle patate piuttosto bitorzolute e mezze
nude.
Senza timidezza, i
due Krogan
guardarono da sotto in su l'umana:
"Shepard." abbaiò il
primo.
O forse la prima: era difficile
capirlo con i Krogan.
"Mordin." rispose
Hayat: il
Krogan aveva occhi rossi come Wrex, indicando quasi certamente un certo
grado
di parentela. Poi si fece da parte, lasciando all'altro Krogan più
piccolo
spazio per farsi avanti:
"Shepurrd." biascicò,
con
una pronuncia quasi incomprensibile. L'umana si piegò su un ginocchio
davanti a
lui, fino a quando i loro occhi furono allo stesso livello.
"...Shepard."
ripose l'umana,
facendo toccare le loro fronti per un momento. Il piccolo Krogan provò
a
spingerla via, ma quando gli fu chiaro che non ci sarebbe riuscito,
ringhiò
soddisfatto, per poi allungare una mano per afferrare la protesi di
Hayat.
Solo allora Shepard
presentò finalmente
Elea al clan:
"Clan Urdnot, questa
e la
dottoressa Megara, la sorella di Liara, la mia compagna."
"Un'altra Asari
molliccia."
berciò Mordin. Sì, senza dubbio era una femmina: "Scommetto che
po..." Elea non seppe mai cosa la Krogan stesse per dire, perché Mordin
chiuse la bocca all'instante.
Di fronte a lei, si
era
materializzata Sihaya, esattamente allo stesso modo in cui Shepard si
era
spostata nell'armeria:
"Eh Eh Eh." rise
ancora Grunt.
"Sei sfortunata,
Mordin: nostra
sorella
ha imparato
direttamente da
papà."
"Sul serio?" chiese
Wrex,
guardando le due Asari che aveva sulle spalle.
Shepard annuì, con il
più strano dei
sorrisi sul volto:
"Per qualche motivo,
Sihaya non
ha ereditato il potenziale di Liara. È più simile a me e quindi le
insegno:
però questa è la prima volta che lo fa."
"Il sangue Krogan non
mente.
Anche quando è solo un ottavo: sta crescendo bene." si complimentò
Wrex:
"Un vero membro del clan."
"...Grazie zio."
"Avresti dovuto
colpirla."
balbettò Shepard, il Krogan, non l'umana. Al che sia Grunt che Wrex
scoppiarono
a ridere:
"Sembra che anche
qualcun'altro
stia crescendo bene." disse Hayat, abbassando lo sguardo sul piccolo.
"Già... al contrario
di Mordin.
È litigiosa quanto un Varren."
"Mi domando da chi
abbia
preso..."
Wrex fissò il suo
sguardo dritto su
Hayat.
"Shepard." la ammonì.
"Wrex."
"GRUNT!" gridò
scandalizzata Sihaya, quando il Korgan color cromo, che Elea realizzò
avere gli
occhi di un perfetto azzurro, la sollevò da terra e se la mise a
cavalcioni
sulla gobba. Per nulla impressionato dai suoi sforzi per liberarsi,
compresi
quelli biotici, il Krogan caracollò verso Elea, fermandosi ad una
distanza tale
che se non fosse stato un Krogan, Elea avrebbe potuto definirlo
"sfacciato". Perfino la sua faccia era più larga delle spalle di
Elea.
"Quindi sei la
sorella di Liara.
Io sono Urdnot Grunt, un Krogan puro."
"... Come si fa ad
essere un
Krogan puro?" chiese Elea educatamente.
Grunt sembrò pensarci
su per un
momento:
"Non lo so. Ma io lo
sono."
affermò orgogliosamente: "Shepard è la mia Guerriera: questo ci rende
Krannt. Se hai bisogno di qualcuno per lottare al tuo fianco, chiamami."
"Molto...
cavalleresco, da parte
tua."
Il Krogan annuì
lievemente:
"Sei anche tu un
soldato? Una
spia o un assassino?"
"Temo di essere
semplicemente
una biologa marina: mi occupo dello studio e della catalogazione delle
forme di
vita autoctone di Trategos, e della comparazione dei loro percorsi
evolutivi
con quello di altre specie..."
Grunt corrugò la
fronte:
"Parli sempre così?"
"Così come?"
"Con parole grosse.
Sono
difficili."
"...Temo di sì."
"Urgh."
"Non farti ingannare
da Grunt,
Elea..." disse Shepard avvicinandosi: "Gli piace farsi passare più
sciocco di quanto non sia: in realtà ha probabilmente letto più di ogni
altro
Krogan messo assieme."
"Madre... non davanti
al vecchio
fossile." protestò debolmente Grunt.
"Ah! Sembra che
junior qui si
vergogni di essere diventato uno scienziato. Colpa di tutta quella roba
che
leggi, dico io..."
"Meglio che essere un
vecchio
fossile che non è nemmeno più in grado di sconfiggere un bicchiere di
latte
caldo."
"Devo aver sentito
male,
cucciolo. Sembrava quasi che mi stessi sfidando..."
Entrambi i Krogan si
fermarono
all'improvviso, percependo un cambio repentino nell'atmosfera: non
poteri
biotici, ma qualcosa di più astratto e assai più letale.
"...Wrex, Grunt,
sembrava quasi
che vi steste per mettere a litigare con le mie figlie sulle spalle.
Questo mi irriterebbe
molto. E voi non volete vedermi irritata, non
è vero?" chiese Shepard.
I due Krogan non
replicarono, mentre
gli sguardi di Elea passavano da Shepard ai Krogan e alle bambine, che
trattenevano il fiato.
"...Donne." sibilò
Wrex,
cercando invano di non farsi sentire.
"Wrex."
lo ammonì Shepard e per la prima volta il grosso Krogan
non replicò, deglutendo invece rumorosamente.
"...Fico."fu
il commento di Shepard il Krogan: "Posso
imparare a farlo?"
"Non vedo perché no."
rispose l'umana: "Basta essere capaci di mantenere le proprie
minacce."
"...Eloquentemente
posto."
commentò Grunt, grattandosi il mento con un dito tozzo.
Elea non seppe se
essere stupita dal
fatto che un Krogan avesse usato correttamente il termine
"eloquentemente" in una frase. Piuttosto che rischiare di offenderlo,
decise invece di chiedere qualcos'altro, avvicinandosi a Shepard e
mormorando a
bassa voce:
"Sono un po' confusa:
che
rapporto c'è tra te e Grunt?"
Prima di rispondere,
Shepard si
assicurò che entrambi i Krogan non fossero a portata d'orecchio: non
c'era
pericolo che il piccolo Shepard origliasse, perché del tutto occupato
dal
contenuto del suo naso.
"Grunt è un Krogan
artificiale,
creato dal signore della Guerra Okeer prima della Guerra, grazie alla
tecnologia dei Collettori. Okeer voleva un supersoldato, un erede delle
migliori qualità Krogan, addestrato tramite simulazioni neurali
impiantate
direttamente nel suo cervello durante una maturazione accelerata: in
realtà, Grunt
è poco più vecchio di Sihaya."
Elea osservò il
Krogan, mentre Sihaya
si chinava dalla sua posizione per sussurargli qualcosa che lo fece
tremare
dalle risate:
"Io ho ereditato
la vasca dove era stato coltivato e l'ho accolto nel mio
equipaggio un anno prima della Guerra. Ho cercato di dargli una
direzione,
un'educazione: prima che me ne accorgessi, e capissi del tutto cosa
stavo
facendo, l'ho iniziato alle tradizioni Krogan e l'ho aiutato a
diventare membro
del clan Urdnot. Non sapevo come sarebbe finita tra noi..."
Hayat si fermò un
momento ad
osservare anche lei Grunt e Sihaya:
"Per i Krogan, io
sono la sua
madre Guerriera, perché l'ho educato e portato in battaglia per la
prima volta.
E lui è il mio krannt e il mio bambino: l'unico maschio della famiglia,
per ora.
Se vuoi conoscere il resto, ti consiglio di chiedere a lui: le sue
parole hanno...
impatto, quando racconta."
"Shepard:
dobbiamo muoverci." ululò
Wrex dal fondo dell'hangar.
"Arriviamo." fu la
risposta: "Pronta ad incontrare il coro?" le chiese.
"...Spero di sì." fu
la sua
debole risposta: si poteva mai essere pronti ad incontrarLi? Perfino
Urz era
rimasto sullo shuttle ed Elea lo invidiò moltissimo in quel momento.
Seguendo il gruppo,
la dottoressa salì
sul mezzo Krogan che li stava aspettando in fondo all'hangar, per
condurli nelle
profondità del pianeta: un tomkah,
una sorta di carro armato costruito dai Krogan, abbastanza spazioso per
accogliere Wrex e Grunt ai comandi e il resto dei passeggeri nel suo
capiente
vano di carico. Il mezzo rugginoso era partito con un ruggito quando
Wrex aveva
premuto a fondo l'acceleratore, imboccando a velocità pericolosa una
galleria scavata
nella nuda roccia, che si inabissava dolcemente nelle profondità di
Tuchanka: il
tunnel era largo come una strada a due corsie, e illuminato ad
intervalli
irregolari da lampade fluorescenti.
Era stupefacente
constatare quanto
potessero creare in pochi anni.
"Perché hanno
costruito così in
profondità?" cercò di chiedere Elea al di sopra del ruggito del motore.
"Per quanto possano
vivere in
presenza di ossigeno, a loro non piace molto." rispose Hayat: "Dovrai
indossare il casco quando saremo a destinazione." disse ancora,
indicando
il suo elmo con un gesto esplicativo. Elea assentì con la testa e fece
un segno
per farle sapere che aveva capito.
Il tomkah procedeva
ad alta velocità
lungo il tunnel in pendenza, eppure il viaggio durò molto più a lungo
di quanto
Elea si aspettasse: almeno dieci minuti, secondo il cronometro
integrato nella
sua corazza.
Quando finalmente si
fermarono, Elea
fu sorpresa dal constatare quanta luce filtrasse nel vano passeggeri
attraverso
il cruscotto.
"Maschere su."
esclamò
giulivo Grunt dal suo posto di copilota e tutti si affrettarono a
prepararsi:
perfino Mordin e Shepard si allacciarono delle mascherine attorno alla
faccia,
legandosi addosso il marchingegno per il riciclo dell'aria. Hayat e le
Asari
invece, si limitarono a lasciare che il loro elmetto scivolasse loro
addosso,
sigillandole in sicurezza, nascondendo i loro volti sotto forme
aereodinamiche
e lievemente bulbose, come quello di insetti di metallo.
Shepard fu la prima
ad uscire dal
vano passeggeri, raggiungendo Wrex e Grunt davanti al tomkah: si erano
fermati
in un largo spiazzo, scavato nella roccia nell'immagine speculare
dell'hangar
da cui erano partiti. Nelle pareti di fronte a loro si aprivano un
numero
incalcolabile di tunnel bui in cui nemmeno la fluorescenza delle
lampade e i
fari del Tomkah riuscivano a penetrare.
"Non c'è nessuno..."
disse
Elea e la sua voce venne amplificata dai sistemi della corazza:
"Stanno aspettando
che Shepard
li chiami." rispose Wrex: ed infatti, Hayat avanzò di qualche passo dal
drappello, sollevando il braccio in aria. Una melodia di campanelli e
flauti si
liberò dalla sua protesi, una musica fuori moda e arcana, che si
propagò nei
tunnel attraverso la roccia.
La dottoressa li
sentì prima di
vederli: lo scalpiccio lontano di qualcosa che si avvicinava a loro.
Una stampede di corpi enormi, alieni per
forma a tutte le altre specie della Galassia: quando Sihaya strinse la
mano di
Elea, la dottoressa non si ritrasse, ma anzi, fu grata di quel contatto
fisico.
Emersero lentamente
dall'ombra dei
tunnel: se la paura di Elea verso i sintetici era motivata da
preconcetti
antecedenti alla Guerra, la sua reazioni ai Rachni fu dovuta più a
paure
primordiali.
I Rachni erano...
chiamarli enormi
sarebbe stato sottovalutarli: anche i Krogan avevano un fisico
massiccio, ma i
Rachni eguagliavano facilmente la stazza dei nativi di Tuchanka. Quello
che colpiva
di più era la loro estraneità: l'evoluzione aveva percorso altre strade
con
loro, dando ai Rachni quattro zampe disposte a raggiera, che
sorreggevano un
corpo simile a quello di un gambero, ma con un carapace simile a quello
degli
scarafaggi. I Rachni non avevano braccia, ma due lungi tentacoli
filiformi che
terminavano in aguzze pinze ossee, capaci di tranciare anche i metalli
più duri:
allo stesso modo, non possedevano una faccia, ma il loro corpo
terminava in una
bocca aguzza, coperta da un becco osseo segmentato simile alle loro
pinze,
attorno al quale erano disposti occhi composti e bulbosi, che Elea notò
scintillare lievemente nel buio.
Dal tunnel più
grande, emerse un esemplare
così titanico che Elea seppe trattarsi della Regina: il suo carapace
era di
colore purpureo, quasi setoso, e torreggiava perfino sul Tomkah che li
aveva
portati fino a lì. Alle sue spalle, i suoi figli la seguivano
camminando gli
uni sugli altri, con dimensioni variegate: c'erano alcuni esemplari
appena più
piccoli della regina, di un colore nero lucido, i più numerosi operai,
non
troppo più grandi di un Krogan, di colore marrone sporco, e poi, fra
gli spazi rimasti
liberi, si insinuavano piccoli corpi verde pallido, scorrendo come
l'acqua tra
le fessure delle rocce.
Solo la Regina avanzò
verso di loro,
lasciando i suoi figli radunati dietro di lei: istintivamente, Elea
fece un
passo indietro, tenendo dietro di sé i bambini.
La Regina non badò
affatto ad Elea,
ma allungò un solo lungo tentacolo, fino a quando le sue pinze
toccarono la
mano di Shepard, che strinse le dita attorno ad esse.
Quello che la
dottoressa non si
aspettava fu la presenza che percepì
agli angoli della sue mente: un intelletto molto più vasto di quanto
Elea
avesse mai sperimentato prima, un Io solenne, privo di malignità, ma
ricolmo di
reverenza, diretta tutta verso Shepard. Elea seppe che se avesse
abbassato le
difese della sua mente, la Regina sarebbe potuta entrare dentro di lei
anche
senza toccarla.
Poi la madre dei
Rachni cantò: i suoi polmoni dalle molte camere
modularono suoni che furono fatti vibrare attraverso il suo becco
osseo.
La dottoressa non
aveva niente con
cui paragonare quel suono: se fosse stata umana, avrebbe cercato di
descriverlo
come un duetto fra un uccello tropicale ed un didgeridoo.
Era in questo modo
che i Rachni
comunicavano: veniva definito "canto", ed era una lingua estremamente
difficile da comprendere, anche attraverso l'uso di traduttori
computerizzati.
Questo perché i Rachni cantavano e ascoltavano ogni lunghezza d'onda
sonora:
infrasuoni e ultrasuoni allo stesso modo. Al loro confronto, le altre
specie
erano peggio che sorde: inoltre, vi era una ulteriore barriera
culturale a
rendere difficile il dialogo con loro. I pensieri dei Rachni, e la loro
stessa
mente, erano diversi da quelli di qualunque altra specie, dando vita ad
un
sistema di riferimenti che doveva essere sempre tenuto da conto per
cercare di
comprenderli.
Il
Porpora Regale torna a noi: la matrice dei nuovi canti. Un crescendo
di verdi toni in allegretto.
Fu un sussurro, l'eco
di molte voci
sovrapposte ma non completamente sincronizzate: la mente di Elea diede
quella
struttura ai pensieri che la Regina emanò.
Era diverso da ciò
che gli Asari
erano capaci di fare: la loro connessione mentale funzionava
sostituendosi alle
parole, mentre i pensieri dei Rachni avevano bisogno di altre menti per
assumere una forma compiuta: come l'albero che ha bisogno di qualcuno
che lo
ascolti cadere.
Elea chiuse gli
occhi, per cercare di
respingere quell'eco dai toni ipnotici, soverchiante.
L'azzurro
d'assolo solitario sente i nostri cori: la sua ancia è
delicata. Il nostro sottovoce già colora i suoi toni.
"...Zia ti senti
bene?" le
chiese Sihaya, stringendole la mano abbastanza forte da tenerla
ancorata alla
realtà che conosceva.
"Sì, piccola mia. Ma
tienimi stretta
la mano, o temo che volerò via."
Elea non osò aprire
gli occhi: la sua
mente era in preda alla vertigine.
"Cosa succede?"
chiese
Wrex, la voce lievemente nervosa:
"... A quanto pare
Elea è
affetta dal canto dei Rachni." spiegò Shepard, accorrendo in suo
soccorso:
"Io non ho sentito
niente."
disse Grunt.
Il
tamburo del cielo è pieno di muti spartiti. I nostri canti non possono
raggiungerlo.
Elea fu la prima a
sorprendersi
quando quelle parole uscirono dalla sua bocca. Hayat decise di
intervenire: con
gesti rapidi liberò dalla corazza entrambe le loro mani, prendendo
quella di
Elea nella sua.
"Apriti all'universo
Elea,
abbraccia l'eternità..." recitò Hayat e gli occhi di Elea si fecero
neri
come la notte, mentre Shepard la accoglieva.
La mente non è come
un libro, da
aprire e consultare a piacere: più come una pozza, in cui ci si deve
immergere
per bere.
"Quindi è questa la
tua
mente." Scale e lunghi corridoi. Molte stanze, ma non tutte avevano una
porta da cui si potesse entrare. Echi di ricordi in lontananza, tenuti
volutamente lontano da Elea, e abissi recintati pieni di stelle.
"Mi dispiace. Temo
che non sia
accogliente come vorrei: solo con Liara ho conosciuto la pace. Anche
dopo anni,
credo che solo lei sappia come avventurarsi senza pericolo e anche in
quel
caso, ci sono luoghi che non le ho mai mostrato."
Una città
ricostruita, dove la
serenità era custodita gelosamente dietro mura molto alte. Elea trovò
anche se
stessa in quel luogo, sorprendentemente:
"...Non sono così
importante."
"Forse. Forse no. Ma
non so come
rifiutare le persone. Loro vengono. A volte se ne vanno." le statue
rovinate di un uomo e di una donna dal volto sereno, ma coperti di
erbacce.
"Vorrei che restassi: non sopporterei di perdere un altro membro della mia famiglia."
E Shepard fu il drago
che Elea aveva
visto nel quadro di Apostata, con lunghe ali di metallo.
"..."
"Mi dispiace."
"Non fa niente. Tutti
abbiamo i
nostri mostri." ed Elea lo sapeva bene, perché anche Shepard era nella
sua
mente, una distesa dove la neve copriva ogni cose, anche le migliori:
"I miei non sono i
tuoi."
"Nessuno dovrebbe
avere i tuoi
mostri. Come anche Liara ti ha detto..."
"...Già."
Il ritorno alla
realtà fu repentino
ed Elea dovette piegare sulle ginocchia per non cadere: le sembrava di
aver
appena trascorso un secolo a meditare nei campi di battaglia. Anche se
il loro
contatto si era interrotto, un'eco di Shepard era dentro di lei ora.
Una
scintilla, capace però di fare la differenza.
La dottoressa annuì
verso Hayat, per
rassicurarla e l'umana le lasciò andare la mano.
"...Mi dispiace,
Madre. Non ero
pronta alla forza della vostra voce. Posso ascoltare, ora: lasciate
solo che mi
sieda." disse Elea rivolgendosi alla Regina dei Rachni, mentre si
chinava
sulla nuda roccia.
A fianco a lei,
Sihaya fece lo stesso
ed Elea si trovò ben presto a circondarla con un braccio, mentre sotto
l'altro
si erano annidate in tutta fretta Alune e Selene.
Noi
cantiamo per i nostri figli. Per quelli che non sono più, muti gusci
morti
senza conoscere il colore, e per quelli scordati dalle gialle e aspre
melodie .
Per quelli che sono ora e che saranno. Cantiamo, per il Porpora Regale
e per lo
spartito bianco che ci ha concesso. Noi siamo la Madre e cantiamo.
Perché i Rachni
sono vivi. E ricorderanno.
E poi i Rachni
cantarono per Shepard in
quella caverna. Ed Elea pianse.
***
Diverse
ore dopo...
"Che posto è questo?"
chiese Sihaya a suo padre.
"La sorpresa che ti
avevo
promesso. Un luogo di memorie."
Era scesa la notte su
Tuchanka e la
famiglia si era divisa. Elea era stata presa da Wrex e Grunt per subire
l'iniziazione ai Krogan: una gara di rutti fra i membri più anziani del
clan,
in cui chiunque fosse riuscito a produrre il verso più simile ad una
parola,
avrebbe battezzato Elea. Anche Wrex aveva avuto il suo nome in quel
modo e anche
se era meglio non ricordarlo al vecchio capoclan, quella era la
tradizione di
Tuchanka ed Elea non aveva potuto rifiutare: le due gemelle avevano
deciso di restare
con la loro zia, assieme ad Urz, per assistere e conservare una memoria
dell'evento.
Hayat e Sihaya
invece, erano risalite
nuovamente sullo shuttle, volando sotto le stelle verso le rovine
dell'antica
Torre del Velo. Hayat aveva fatto posare dolcemente lo shuttle su una
strada
dissestata, a lato di una vecchia muraglia di pietra che continuava per
chilometri, erosa dal tempo e dalla sabbia. Con sicurezza, nonostante
mancassero segni di riconoscimento o indicazioni, Shepard aveva guidato
sua
figlia fino a quando avevano raggiunto l'ingresso di una voragine, in
cui si
intravedevano scale consunte dal tempo e dall'età, costruite dai Krogan
in un'epoca
lontanissima.
Qualcuno le stava
aspettando: per
Sihaya, quella era la prima volta che vedeva un Krogan adulto senza
addosso una
corazza. Ed era un Krogan molto più massiccio di Wrex, quasi un
gigante, o un
orco: ma Sihaya stava imparando che l'aspetto delle persone cela ciò
che sono
realmente.
I Rachni erano stati
un'utile
lezione, anche se ancora non riusciva a collegare le due cose.
Fu per questo che
Sihaya lasciò
andare la mano di suo padre, avanzando lentamente verso il Krogan che
rimase ad
osservarla a braccia conserte. Era orribilmente sfigurato, molto più di
Wrex e
perfino più vecchio. Profumava di incenso e aveva occhi d'oro,
incassati in
profondità nella pelle vecchia e sbiadita: sulla placca della fronte,
nel suo
centro, qualcuno aveva inciso l'osso fino a riprodurre un Divoratore
stilizzato, raccolto in una spirale.
"Io sono Sihaya bint
Hayat
T'Soni, del clan degli Urdnot." disse la piccola Asari senza mai
interrompere il contatto visivo con il vecchio Krogan. No, non vecchio:
antico.
"...Io sono l'ultimo
sciamano
del clan Raik, che cadde e fu conquistato da Urdnot Wrex. Durante la
Guerra, i
Turian mi hanno chiamato il Titano di Menea. In onore alle antiche
tradizioni
ho rinunciato al mio vero nome: ora io sono solo la strada attraverso
cui
scorre il furore e la rabbia della mia gente." La sua voce era un cupo
brontolio di sassi che correvano l'uno sull'altro e il suo retaggio
molto
nobile: le tradizioni orali dei Krogan tramandavano che fosse stato il
furioso
clan Raik a dare per primo il nome al sole di Tuchanka. Una furia che
nei
millenni aveva causato il loro declino.
Sihaya si chiuse il
pugno sulla
fronte, in un saluto che perfino fra i Krogan era considerato desueto:
"Korbal."
disse Sihaya con una piccola voce: vittoria o morte,
in una rozza
traduzione, ma nel suo significato più ancestrale quel saluto poteva
essere
tradotto in un altro modo. Ci lasceremo come krannt, o uno di noi sarà
morto.
"...Ti è stato
insegnato
bene."
"E siamo venuti per
imparare
ancora, sciamano: ci è stato detto che questo luogo conserva antiche
storie. Ci
permetterai di entrare?" gli chiese Shepard.
"Quasi nessuno viene
più qui: io
sono il custode di questo luogo, ma esso non mi appartiene sorella.
Però, a
volte mi parla: ascolterai, piccola Asari?"
Sihaya annuì con la
testa: in
risposta, il Krogan allungò una delle sue mani callose. Sihaya gli
afferrò
l'indice e cercò di chiudere le dita attorno ad esso: non ci riuscì del
tutto.
Poi il Krogan si voltò, e assieme, cominciarono a scendere i rozzi
gradini
scavati nella pietra: nessun Krogan degno di questo nome avrebbe mai
fatto del
male ad un bambino.
L'eredità del
millennio di Genofagia
e degli infanti nati morti sarebbe rimasta con Tuchanka per sempre.
Quando il tunnel di
pietra si fece
troppo buio anche per lo sciamano, una sfera biotica si accese nel suo
palmo
libero, abbastanza luminosa per scacciare le tenebre per diversi passi.
"Questo luogo precede
la caduta
di Tuchanka. Fu edificato da un grande re, un condottiero degli
antichi, coloro
che vennero prima del fuoco nucleare. Tuchanka era diversa allora. Noi
eravamo
diversi."
Diversi come?" chiese
Sihaya.
"... Noi
combattevamo. Distruggevamo
con le nostre mani. Ma sapevamo serbare noi stessi allo scorrere del
tempo.
Questo luogo non è una tomba, ne un luogo dove nascondere tesori o un
monumento
di trionfo. È un luogo in cui il re scoprì come insegnare alle pietre a
ricordare e a raccontare."
Sollevando la sua
singolarità biotica
nell'aria, Sihaya poté ammirare le pareti del tunnel, coperte dal più
fine dei
mosaici. Tasselli minuscoli anche per lei, di ciottoli, ceramica,
vetro, granito
e pietre colorate, scelti con pazienza infinita e composti per
rappresentare i
fiumi, i laghi e le montagne verdeggianti della Tuchanka che fu.
"Dopo che il fuoco
nucleare
venne e passò, questo luogo fu dimenticato: ciò che contiene non può
essere
razziato, perché mantiene il suo valore solo rimanendo dov'è. Se cerchi
di
afferrarne le storie, di rubarle per farle solo tue, rimani solo con un
pugno
di sassi senza senso: l'antico re era molto saggio. Egli trascrisse in
questo
luogo la storia dei suoi tempi e tutto ciò che poteva essere importante
ricordare: forse aveva guardato in sogno Aralakh, l'occhio dell'ira che
risiede
nel nostro sole, e carpito una parte del futuro."
"E tutti si
dimenticarono di questo luogo?"
"Quasi.... Alcuni
vennero. E preservarono
l'eredità del grande re del passato."
"Le storie?"
"E come insegnare
alle pietre a
ricordarle: è difficile e richiede pazienza. Ma alcuni aggiunsero alle
storie
del passato le loro storie."
Figure di Krogan in
ginocchio,
piegati all'obbedienza di vari signori della Guerra si susseguivano
adesso
sulle pareti.
"Io sono l'ultimo ad
aver
trovato questo luogo. Ma non sarò l'ultimo che parlerà alle sue pietre:
i miei
nipoti preserveranno le storie, quando Kalros verrà per me."
"Kalros?"
"Kalros è la figlia
di Tuchanka,
piccola Asari, creata dal pianeta per dare una forma alla sua furia. La
cicatrice sulla mia fronte ne è il segno..."
Erano entrati in una
vasta sala
rettangolare e, dall'altra parte rispetto all'ingresso, illuminata solo
dalla
luce di fioche candele, si innalzava una statua serpeggiante e
arrotolata su se
stessa in molti giri delle sue spire:
"...Quella è Kalros,
madre
feconda di tutti i Divoratori. L'inizio dei Krogan come specie, e la
fine di
ogni individuo. Avvicinati, piccola Asari e rendi omaggio alla sua
effige. A
volte, quando mi addormento sotto le sue fauci di pietra, sogno le
storie di
questo luogo."
Sihaya si staccò dal
Krogan,
catturata dalla forma scolpita a viva forza nella roccia in un passato
ormai
perduto. La statua accoglieva il visitatore con le fauci e le zanne
spalancate,
srotolando la lingua quasi fino a terra: sulla punta di quel rostro di
pietra,
lo sciamano aveva sistemato una candela, che illuminava l'incavo nella
roccia
dove in tempi antichi i Krogan ponevano le loro offerte.
Una tradizione che
era stata
rinnovata: Sihaya non toccò i frutti e la verdura che erano stati
lasciati là
per Kalros.
"Vieni sorella. C'è
qualcosa che
devi vedere." disse lo sciamano a Shepard, conducendola lungo uno dei
corridoi che si allungavano dal salone principale.
C'era meno sabbia sul
pavimento, a
testimoniare come lo sciamano passasse spesso in quel luogo: si fermò
quasi sul
fondo del tunnel, alzando in alto la singolarità biotica perché Shepard
potesse
vedere.
"Io ho imparato ad
insegnare
alle pietre. E sto insegnando loro questo."
C'era un mosaico
davanti ad Hayat,
non ancora completato, ma di cui si poteva comprendere la storia. E la
storia
era quella della Guerra e di Shepard, così come i Krogan l'avrebbero
ricordata:
il soggetto era la Cittadella, aperta a rappresentare una stella, con
una
figura umana al centro che emetteva raggi di luce verso il nero
circostante, in
cui erano stati rappresentati i Razziatori, ognuno con un occhio al
centro del
loro corpo. I più vicini alla Cittadella avevano l'occhio aperto, che
andava a
chiudersi a mano a mano che si allontanavano dalla figura centrale: la
consapevolezza che era stata data di nuovo a loro. Sotto la
rappresentazione,
una stilizzazione delle specie che avevano partecipato al conflitto
erano state
raffigurate unite, ad osservare la sagoma luminosa al centro della
Cittadella.
Il ricordo di tutto
ciò che era stato
sacrificato per il giorno presente assalì Shepard come una marea: i
volti dei
perduti e di coloro che credeva di aver dimenticato lungo la strada
erano
ancora lì. Perfino l'eco dei Prothean, che Shepard aveva accolto tanti
anni
prima su Eden Prime, tornò a farsi sentire.
"...Posso restare,
ancora un
poco?" disse Shepard, mentre dal suo occhio umano scorrevano lente
delle
lacrime.
"Questo posto non mi
appartiene,
Aralakh. Non posso scacciarti più di quanto non possa obbligare alle
pietre di
andarsene. Questo posto è tuo, perché racconta la tua storia."
"Grazie."
Il vecchio sciamano
assentì con la
testa, ma non disse nulla, limitandosi a ripercorrere il corridoio sui
suoi
passi: alcuni pensavano che dare acqua così facilmente fosse una
debolezza. Ma
il vecchio sciamano non era d'accordo: quando si ha un solo cuore e si
sparge
la sua acqua, quella non è debolezza, ma generosità.
Quando i suoi passi
lo ricondussero nella
sala principale, lo sciamano trovò Sihaya addormentata sotto la statua
di
Kalros. Lo Sciamano non la svegliò, ma quando la piccola Asari si fosse
alzata
il mattino dopo, avrebbe trovato suo padre accanto a se, e una coperta
sopra
entrambe: una coperta che lo Sciamano Krogan le avrebbe lasciato tenere
e che avrebbe
accompagnato Sihaya per il resto della sua vita... per poi essere
ereditata dai
suoi discendenti.
E con questo il capitolo si conclude,
prima di lasciarci, qualche informazione in più su Treeya: è una dei
comprimari
di Paragon Lost, anime con protagonista James Vega, che racconta alcuni
retroscena tra ME2 e 3. Non credo che valga la pena perdere tempo a
guardarlo:
è estremamente superficiale e poco curato (certe scene di
combattimento... -_-). Ha il solo pregio di introdurre
l'unica altra Asari pronta a credere negli studi di Liara
sull'estinzione dei Prothean (non viene mai chiarito a sufficienza, ma
sembra che Liara sia stata la sua mentore).
A parte
questo, "La Cerimonia del Rutto" Krogan di cui accenno, è un
semi-canon, nel senso che appare come contenuto eliminato all'interno
di Mass
Effect 3: esistono ancora i dialoghi, ma non è possibile ascoltarli
normalmente
nel gioco. Mi chiedo perché sia stato tolto... XD. Spero che il capitolo sia riuscito a divertirvi, sopratutto
nella sua parte iniziale: ogni recensione è ben accetta.
I should go.
Alla prossima!
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Capitolo 9 *** Epilogo ***
Torneranno? È la
domanda che mi fanno più spesso: Krogan, Asari, Umani, Salarian,
Turian, Quarian... me lo chiedete sempre prima o poi. Una volta anche
un Hanar.
Io non lo so. Ma non credo: la mia madre Guerriera non ha mai perso uno
scontro. Se eri ancora vivo dopo averla incontrata, era perché ti aveva
permesso di unirti a lei. Chiedete al vecchio fossile se volete tutta
la storia: di questi tempi non ha niente da fare, al contrario del
sottoscritto. Dirò solo questo: darei una delle mie braccia per
riaverla qui, e dico una, solo perché l'altra mi servirebbe per
accoglierla come si deve...
Degni avversari, quei Razziatori: quasi mi mancano.
Urdnot Grunt- Scienziato, poeta, padre e Guerriero Krogan.
"...È davvero successo? Tutto quanto?" l'aria è fredda sul pianeta e il
fiato si condensa subito in vapore: alla sua stella rimangono ancora
solo pochi miliardi di anni da vivere. Ma pochi miliardi di anni sono
un tempo sufficiente. L'inverno è così dolce in questo luogo, mentre la
foresta riposa sotto una sottile coltre di neve.
L'avatar di Defiant scruta sereno il cielo, nel quale le due lune
brillano luminose: confinato in una forma di soli due metri di altezza,
alcune cose sembrano così diverse.
"Sì, ma alcuni dettagli sono andati perduti negli anni. È successo così
tanto tempo fa."
L'Infante non è ancora completo: ha pelle di porcellana, denti di ferro
e liquidi occhi violetti, ma ancora non ha un nome. Per quanto riguarda
invece il suo aspetto... la somiglianza è innegabile.
"...Quando potrò andare fra le stelle?"
E allo stesso modo, la costruzione del suo altro corpo procede
lentamente.
"Un giorno."
"Che cosa ci sarà?" chiede ancora l'Infante, tornando a guardare il
cielo.
"Tutto ciò che riesci ad immaginare. La nostra Galassia ha miliardi di
stelle. Molte di quelle stelle posseggono dei mondi attorno ad esse. Ed
ogni mondo, potrebbe essere la casa di una diversa forma di vita. Ed
ogni vita è una storia speciale."
"... Mi racconti un'altra storia sullo Shepard?"
Da sempre, l'argomento preferito dell'Infante: se potesse, forse
Defiant sorriderebbe in quel momento.
"Si sta facendo tardi, ma d'accordo. Solo un'altra storia..."
E
con
questo, Dieci Anni Dopo si conclude.
Questo perché credo di aver raggiunto l'obbiettivo che mi ero prefisso
quando
ho cominciato questa storia: potrei continuare, ovviamente, descrivendo
tutte
le altre tappe del viaggio di Elea con la famiglia Shepard &T'Soni,
l'incontro con Aethyta... ma non penso aggiungerebbe qualcosa di
particolare.
Con Dieci Anni Dopo volevo soprattutto dare un senso di vera chiusura
alla saga
del comandante Shepard, tirare le somme e offrire una sorta di catarsi,
cioè i
tre elementi che a mio parere fanno un vero finale... Probabilmente
scriverò
ancora del post ME3, ma sono convinto che questa storia possa terminare
qui.
A tutti coloro che mi hanno seguito spero vi sia piaciuto, e a coloro
che hanno
lasciato delle recensioni, o che le lascieranno, offro i miei
ringraziamenti (risponderò sempre :).
A presto!
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