Codex alearum di Mirella__ (/viewuser.php?uid=162565)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Litigio ***
Capitolo 2: *** Socie ***
Capitolo 3: *** Gola ***
Capitolo 4: *** Chiodo ***
Capitolo 5: *** Torta ***
Capitolo 6: *** Possesso ***
Capitolo 7: *** Sollievo ***
Capitolo 8: *** Grazie ***
Capitolo 9: *** Londra ***
Capitolo 1 *** Litigio ***
Codex
alearum
Primo
capitolo
Litigio
La
donna si portò le mani ai capelli castani, arricciandoli in
maniera
quasi compulsiva tra le dita, poi alzò di fretta lo sguardo
sulla
figlia e lo scostò ancora.
“Sei
sempre la solita. Se dico che devi rientrare rispettando il
coprifuoco, devi essere qui non dopo l'una”.
Gioia
si morse nervosamente il labbro.
Era
una scusa per litigare; sapeva che una volta messo piede sulla soglia
della porta sarebbe accaduto, tuttavia non era riuscita a prepararsi
mentalmente un piano d'azione, o una scusa quanto meno convincente.
“Avevo
bisogno di schiarirmi le idee...” buttò
lì, restandosene sul
vago, portandosi poi sulla punta dei piedi e incrociando le braccia
al petto prosperoso per apparire più adulta; il risultato,
mal per
lei, fu l'opposto, di fatto la madre scosse la testa e assunse
un'espressione contrita.
“Forse
è stato anche per questo che...”
Lo
sguardo di Gioia divenne inviperito, se avesse potuto avrebbe
incenerito qualunque cosa le fosse stata a tiro pur anche solo di
minacciare la donna: non voleva sentire la naturale conclusione del
resto della frase, naturale per sua madre.
“Non
ti azzardare! Non voglio essere messa a parte di altre tue brillanti
supposizioni”. Disse lapidaria e con un sarcasmo velenoso,
entrando
in casa e sbattendosi la porta alle spalle, poi si svestì
del
cappotto e lo buttò sul divano, facendo sospirare nuovamente
la
madre, che si avvicinò a lei, premendo sulle braccia per
muoversi
con la sedia a rotelle.
A
quel punto Gioia distolse lo sguardo e lo puntò ai suoi
piedi,
sentendosi avvolta dal solito senso di colpa che si faceva sempre
presente quando alzava la voce con sua madre.
“Magari
Alex sarebbe disposto a tornare con te, se tu gli chiedessi
scusa”.
Gioia
spalancò la bocca e la tenne aperta per una buona manciata
di
secondi: non pensava che sua madre sarebbe comunque riuscita ad
arrivare comunque a quel punto. Dopo essersi ripresa dallo shock,
richiuse la bocca e parlò con voce che non sembrava essere
sua,
tanta rabbia conteneva. “Alex è un capitolo della
mia vita che
voglio considerare chiuso, sepolto. Non ho sbagliato io, mi ha
tradito! Mamma!”
Ma
l'altra scosse la testa, “magari è stata colpa
tua. Sei
disordinata, ritardataria e sembra che tu abbia sempre la testa
altrove, magari quel povero cristo voleva semplicemente la compagnia
che tu non gli da...” ma Gioia non badava più a
ciò che diceva la
madre e nella testa riecheggiava unicamente la prima frase.
Magari
è stata colpa tua.
Colpa
tua, colpa tua, colpa tua...
E
come se stesse rivivendo ancora l'attimo della scoperta, le parve
d'udire il risolino della segretaria di suo marito che si avvinghiava
a lui nella loro camera da letto, tra le loro lenzuola, nel loro
posto speciale.
Un'unica
lacrima le rigò il viso, ma lei la scacciò
prepotentemente con il
dorso della mano, poi diede le spalle alla madre e si chiuse a chiave
nella sua camera; aprì le ante di tutti gli armadi -
rischiando di
romperle a causa della foga con cui lo fece - afferrò la
prima
valigia che le capitò a tiro e la buttò sul
letto; poi iniziò a
tirar fuori ogni indumento che poteva giovarle e ve li
infilò a
forza, poco importava se in quel modo i suoi abiti diventavano
ammassi indefiniti; infine si sedette sul suo bagaglio e chiuse la
cerniera con forza.
Restò
per un paio di minuti in quella posizione, poi prese il portatile tra
le mani e iniziò a cercare... suo padre avrebbe potuto
benissimo
badare a sua madre, Gioia adesso aveva soltanto bisogno di andare
via.
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Capitolo 2 *** Socie ***
Angolo
dell'autrice
Bene
lettori, se siete arrivati fin qui significa che il prologo vi ha
incuriosito almeno un po' e non posso esserne più che felice.
In
questo capitolo si dispongono le pedine, buona parte dei giocatori fa
il loro ingresso in campo, siete curiosi d'assistere a questa
partita?
Ringrazio
chi ha messo la storia in una delle tre liste, vi auguro una Buona
Lettura.
Secondo
capitolo
Socie
La
valigia venne trascinata pesantemente su per le scale.
Dannazione!
Gioia
stessa si chiese cosa avesse messo lì dentro: cemento forse?
E poi
perché diamine in quel condominio non c'era nessun
dannatissimo
ascensore?
Arrivata
alla quinta rampa di scale la donna si arrese e si buttò a
peso
morto sul suo bagaglio, senza neanche provare a raggiungere il
pianerottolo: era un'impresa grande per lei, andava ben oltre le sue
capacità, lo sapeva.
La
sua valigia era fin troppo comoda e lei era fin troppo stanca.
Ponderò l'idea di stare in quella posizione ancora per un
po', in
fondo erano le otto di sera, nessuno sarebbe sceso a quell'ora dal
quinto piano e riponendo in un angolo della sua mente la vocina che
le diceva che la gente a quell'ora era solita uscire, si convinse a
rilassarsi... solo cinque minuti e poi avrebbe raggiunto il sesto
piano dell'edificio, ne era sicura.
Mal
per lei, però, che qualcuno aveva già adocchiato
il suo corpo
morente sulle scale e si accingeva a picchiettarlo con la punta del
piede, nemmeno fosse stato un qualcosa di orrido.
“Sono
caduta,” si affrettò Gioia a sottolineare,
fingendo di cercare con
foga un appiglio al quale reggersi per rialzarsi, realizzando solo in
un secondo momento come quella presenza avesse osato entrare nella
sua sfera personale.
La
risata argentina che le giunse all'orecchio la irritò: era
troppo
perfetta, troppo musicale, troppo tutto.
Gioia
alzò lo sguardo verso la presenza e restò
sbigottita dal ghigno che
ella aveva disegnato sulle labbra.
“Sì,
caduta,” si limitò a dire quella, storcendo di
poco le labbra,
salendo le scale con passo elegante e silenzioso.
Gioia
arrossì, constatando che probabilmente quella tizia sarebbe
potuta
benissimo star dietro di lei a godersi la scena della sua resa alle
scale per un tempo indefinito, così sospirò e
curvò le spalle in
avanti, accingendosi a scalare ancora il monte fino alla cima dove
stava il suo appartamento con passo strascicato e rumoroso.
Ecco
che aveva appena messo piede all'interno dell'edificio che
già aveva
fatto una figura di merda con un condomino.
Arrivata
finalmente al sesto piano, Gioia osservò l'altra donna
prendere le
chiavi dalla borsetta e infilarle nella toppa, a quel punto una
domanda le giunse sulla punta della lingua.
“Mi
scusi, ma lei è Alice Kikyo?”
Gioia
si ritrovò a studiare i tratti dell'altra con attenzione e
ve ne
trovò una bellezza esotica.
Il
taglio degli occhi neri era affilato e gli zigomi alti, la pelle era
lattea e all'apparenza incredibilmente delicata: erano tutte
caratteristiche tipiche degli orientali. Le labbra, però,
erano
piene ed i lunghi capelli che le arrivavano alla vita erano neri.
La
donna si aprì in un sorriso cordiale e annuì,
“sì, e suppongo
che lei è la signorina Gioia Mire?”
Gioia
sorrise e annuì. “Quindi io rispondo, dicendo che
suppongo che
questo sia il mio nuovo appartamento”.
“Sì,
potrei dire che è una giusta supposizione, anche se tendo a
sottolineare che più di metà dell'appartamento
è mio”.
Gioia
ridacchiò e annuì, riprendendo a trascinare le
valigie fin dentro
casa.
“Devo
dire che non l'aspettavo qui prima di domattina, di conseguenza non
ho preparato una cena e io sto per andarmene, sono tornata indietro
solo per prendere questo”. Allungò una mano verso
il tavolino e
afferrò il rossetto sopra di esso. Per un'istante Alice
apparve
irritata dall'improvvisa entrata in scena dell'altra, dissenso che
svanì in modo fulmineo, così come era arrivato e
a quella
sparizione seguì un altro sorriso. “Ha rischiato
di rimanere fuori
per un bel paio d'orette”.
Gioia
fece una smorfia e annuì sconsolata, “è
che ho avuto dei problemi
in famiglia, quindi ho preferito andarmene in fretta. Mi spiace esser
venuta qui con così poco preavviso”.
L'altra
fece come per spolverarsi della polvere di dosso per sistemarsi i
vestiti e riprese con tono comprensivo, “beh mi spiace solo
di non
poter rispettare gli oneri della padrona di casa, ambientati come
meglio credi. Di lì c'è il bagno, di
lì la tua camera e di lì la
cucina. Per qualunque problema chiamami a questo numero,”
Alice
curiosò per un po' nella sua borsa e ne uscì un
biglietto da
visita. “Non provare ad aprire le camere chiuse a chiave.
Sono le
mie stanze e lì tengo roba personale. Nel corridoio ci sono
le
telecamere e mi sono ben informata su di te oggi pomeriggio”.
Aggiunse a mo' di minaccia, cacciandole il suo numero di telefono in
mano e un paio di chiavi di riserva, “bye bye,” la
salutò,
uscendo con passo affrettato.
Gioia
era offesa da quel comportamento. L'aveva scambiata per una sorta di
ladruncola? Tuttavia questo risentimento passò in secondo
piano
quando la ragazza realizzò in che casa si trovasse.
Lusso.
Ogni cosa urlava lusso.
Il
tavolo in cucina urlava lusso, il divano nel salone urlava lusso,
persino il water pareva esser più lussuoso della sua auto.
“Però
è venuta ad abitare in un condominio senza
ascensore”. Borbottò
tra sé e sé, andando in quella che presumeva
essere la sua camera.
Un
mobilio essenziale, nonostante anch'esso gridasse lusso.
Un
enorme letto matrimoniale al centro della stanza e un grande armadio
che si ergeva di fronte all'enorme portafinestra; tutto lì,
se
avesse voluto altro avrebbe dovuto vedersela da sola.
Posò
la valigia sul letto, carezzando per un momento le lenzuola, poi
decise d'uscire sul balcone, restando senza fiato d'innanzi al
panorama che si godeva da lassù.
I
rumori della frenetica vita cittadina le giungevano smorzati e le
persone che camminavano lì giù sembravano tante
piccole formichine
che si dirigevano come bravi operai in un posto ben preciso.
Le
venne da ridere e si appoggiò contro la ringhiera, portando
una mano
sotto il mento ad accarezzarlo, mentre osservava rapita ogni singolo
avvenimento.
Doveva
ammettere che tutto ciò era, però, alquanto
monotono, dopo aver
passato dieci minuti buoni a guardare.
Rifletté
sul da farsi e infine decise di prendere il telefono in mano. Sul
display apparivano già dieci messaggi. Rise ancora tra
sé e sé,
non avrebbe dovuto dire nulla a Tyler sulla sua fuga, probabilmente
il ragazzo sarebbe stato impaziente di sapere tutto quel che c'era da
sapere sulla nuova casa e probabilmente Jonathan - il suo compagno di
stanza – avrebbe voluto sapere tutto quel che c'era da sapere
sulla
sua coinquilina. In effetti non avrebbe potuto accontentare
quest'ultimo neanche se avesse voluto.
In
quei pochi secondi che era stata vicino a lei, Alice sembrava essere
stata parecchio irritata dalla sua presenza.
Gioia
era laureata in psicologia, ma non ci sarebbe voluta un titolo di
studio per capirlo, sapeva anche che l'altra non si sarebbe aperta
facilmente con lei: nel breve arco di tempo in cui avevano parlato,
Alice aveva storto le labbra, utilizzato un tono freddo e distaccato,
contornato da una punta di sarcasmo, e si era persino spolverata il
vestito come a fare lo stesso con i problemi di cui le stava
parlando.
In
breve, aveva decisamente respinto le sue scuse, quindi dubitava
sarebbero andate d'accordo presto.
Decise
di liquidare Tyler con un “ne parliamo più
tardi”, adesso voleva
soltanto vedersi con Dory, l'avrebbe aiutata a pensare ad altro.
Non
l'aveva ancora chiamata, sicuramente non voleva disturbarla, era un
suo comportamento tipico d'altronde.
Andò
sulla rubrica e cercò il numero.
Un'ora
e mezza dopo entrambe erano intente a sorseggiare una birra,
osservando con attenzione quel che sul tavolo si pensava dovesse
esserci una pizza.
“Mai,
mai, mai, mai più verremo in questo ristorante”.
Sussurrò Gioia,
prendendo un trancio e osservandolo mentre si frantumava in mille
pezzi sul piatto.
“Non
essere così negativa,” mormorò l'altra,
“è solo un po'
liquida”.
Gioia
la fulminò con un'occhiataccia. “Sembra farina col
pomodoro, anzi,
acqua e pomodoro con la farina. Il formaggio se lo saranno
dimenticati a casa”. Sbuffò, delusa.
“Avrei voluto cucinare, ma
la mia coinquilina in frigo non aveva nulla, solo vegetali.
Sarà una
di quelle tipe costantemente a dieta”.
Dory
si lasciò sfuggire un risolino, che si affrettò a
dissimulare con
un colpo di tosse. “Ma no, starai esagerando. Lo ha detto
anche lei
che non ti aspettava prima di domani mattina, quindi non lamentarti,
la maleducata sei stata tu stavolta”.
Gioia
mise il broncio e iniziò a giocherellare con l'impasto
molliccio che
si trovava nel piatto, poi scosse la testa. “Secondo me
è solo una
piena di sé, dovevi vederla! Ho le telecamere! Sta' attenta
a non
rompere il prezioso vaso di giada posto sul tavolino, vale
più di te
e della tua automobile”.
Questa
sua vacua imitazione, però, non riuscì a
coinvolgere l'amica in uno
scatto d'ilarità, anzi, Dory rimase con un sopracciglio
inarcato a
guardarla male, segno che no, non aveva fatto ridere.
“Ok,
è piena di sé. Ma tu hai ventisei anni e non ti
sei nemmeno
soffermata a chiederle scusa del tuo arrivo in modo quantomeno
adulto”. Detto questo, la rossa si scolò il suo
bicchiere di birra
e riprese a cercare di mangiare decentemente il cibo che aveva nel
piatto, lei non era schizzinosa come Gioia.
“Le
ho detto che ho avuto dei problemi seri però; lei mi ha
semplicemente ignorata”. Insistette, torturando con
più foga la
sua ordinazione, trasmettendole tutta la sua irritazione.
Dory
incrociò le braccia al petto e iniziò a
tamburellare le dita sulla
pelle, osservandola attentamente.
“Lei
ti piace”. Decretò infine, ridendo quando - dopo
che finalmente
Gioia si era portata un pezzetto del trancio di pizza alla bocca - il
cibo le finì di traverso, facendola tossire un paio di volte.
“Per
favore, i miei gusti sono ben altri”. Riuscì a
dire tra un colpo
di tosse e un altro, “lei è troppo... troppo
tutto”.
“Per
la mia compagna di college, reginetta dei festini a luci rosse, non
è
mai stato troppo nulla”. Gli occhi verdi di Dory divennero
assenti,
mentre la sua mente tornava indietro ad anni prima, quando i party
erano assicurati ogni sera e a letto non si andava mai solo per
dormire, almeno per lei. Rise tra sé e sé
ricordando com'era
difficile stare sveglie durante le lezioni il giorno dopo aver fatto
baldoria. Sarebbe stato bello rivivere quei tempi. A Gioia andavano
dietro miriadi di ragazzi, e anche qualche ragazza a dirla tutta, e
lei si divertiva a fare la difficile, giocando con chi le
interessava.
Era
un tipo a cui piacevano le sfide. Era riuscita ad affascinare molti
all'accademia e chi non era ai suoi piedi, dopo una scommessa
accorata, faceva quel piccolo passo fallace che la faceva vincere.
Poi tutto era cambiato però, da quando Gioia aveva
incontrato lui
aveva smesso di giocare e si era perdutamente innamorata di
quell'angelo dai capelli neri e gli occhi verdi. Per la prima volta
era stata lei a cadere, tuttavia era riuscita a prendere l'oggetto
dei proprio desideri e farlo suo. Avevano costruito assieme le basi
di una vita matrimoniale stabile e felice, basi che però si
erano
rivelate corrose e per questo fragili.
Il
matrimonio era finito e Gioia era rimasta con un pugno di mosche in
mano.
Da
allora la ragazza era cambiata.
Era
sempre stata un bel tipo: lunghi capelli castani e due grandi occhi
marroni da cerbiatta, curve morbide che lasciavano intravedere della
pancetta e che riuscivano a far girare la testa ad ogni ragazzo a lei
vicino, e una vitalità che sprizzava da ogni poro.
Di
Gioia, Dory poteva dire che era adorabile. Un piccolo elfo paffuto
che si lasciava amare, ma dopo il tradimento era diventata taciturna
con chi non conosceva, diffidente e solitaria.
Se
poteva, non passava mai le serate fuori, preferendo evitare di
conoscere nuova gente e costruendo una barriera attorno al proprio
mondo, fatto di scrittura e lettura. Ecco come lei passava le sue
giornate. Inoltre non si poteva toccare il tasto
“Alex” che la
ragazza si metteva ad urlare come un'ossessa, facendo desistere
chiunque dal toccare l'argomento. Non si era mai sfogata con nessuno,
Gioia, e preferiva restare sola con lei, Tyler e Jonathan.
Un
sorriso ferino si disegnò sulle labbra sottili di Dory: di
Gioia era
cambiato molto, ma quel pizzico d'orgoglio che le imponeva
d'accettare ogni sfida c'era sempre, e se quella nuova tizia le
piaceva, perché non scacciare chiodo con un altro chiodo?
Avrebbe
dovuto fare delle ricerche su quella Alice, chiamando magari
Jonathan, il suo piccolo genio informatico, non propriamente genio,
ma ci sapeva fare col pc molto più di lei.
Dory
preferiva pedinarla la gente, figuriamoci se si sarebbe mai adeguata
alle nuove tecnologie!
“Non
pensarci nemmeno, Dory!”
Il
tono lapidario della ragazza la stupì e si avvide dal tenere
l'espressione stupefatta sul suo volto per sembrare il più
innocente
possibile. “Cosa ho fatto?”
“Non
ho intenzione d'accettare scommesse, sia chiaro”.
Dory,
grandissima attrice, arrossì lievemente e si morse il labbro
inferiore, coprendosi lievemente il volto con la mano.
“Gioia... ho
fatto quel sorriso per un'altra cosa. Ecco, vedi, io e Jonathan
stasera abbiamo preparato in camera da let...”
“Ferma!”
Si affrettò a dire l'altra, alzando una mano per farsi dare
attenzione, “non voglio sapere nulla di quello che fate tu e
quello
scimmione geneticamente modificato! Ma come fa a piacerti?”
Il tono
di Gioia era mortalmente serio, ma Dory non ci badò e
assunse
un'espressione mortificata.
“Scusami,”
borbottò incrociando le caviglie e spingendosi poco col
busto in
avanti per meglio vedere Gioia in viso.
“Tuttavia
io non stavo parlando di scommesse... ma visto che sei stata tu ad
uscire l'argomento...” sussurrò, guardandosi le
unghie placcate di
rosa confetto.
“Dory,
non ti attenere a quello stupido codice”. La pregò
Gioia,
sbattendo un paio di volte le palpebre e portando le mani in
preghiera.
Lo
sguardo della rossa si affilò e divenne rovente.
“Stupido? Gioia
Mire, non definire stupido il nostro codice! Dal primo anno di
college è diventato la nostra linea guida e lo
sarà fino a quando
non ci ritroveremo entrambe nella tomba!”
Gioia
sospirò, rassegnata all'idea. “Forza, non farla
troppo lunga e
spara”.
Dory
annuì soddisfatta. “Come dice l'articolo quattro,
precisamente al
comma tre: se una delle due socie tira in ballo la parola scommessa
allora una scommessa è d'obbligo”.
Gioia
arrossì lievemente, ricordando quanto stupido fosse quel
contratto,
ma oramai per non irritare ulteriormente la sua amica decise
d'assentire ad ogni sua richiesta. Nessuno le impediva, in fondo, di
non rispettarla, non erano ventiquattro ore su ventiquattro assieme e
lei non poteva controllarla.
“Quindi,
io scommetto che tu non riuscirai a sedurre Alice di qui a...
vediamo, siamo Aprile... quindi direi... Giugno”.
Gioia
girò la cannuccia nel bicchiere della sua cocacola, mettendo
su un
broncio adorabile. “E io scommetto di riuscirci eccome, anzi,
sono
sicura che entro Maggio sarà ai miei piedi”.
Dory
ghignò, era un accenno di un sorriso malvagio, contorto, che
confuse
Gioia. “Allora se tu pensi questo, come dice il codice,
dovrai
pagare un doppio pegno”.
“Cosa?”
Chiese confusa Gioia, guardandola stralunata, “sono sicura
che nel
codice non c'è nessuna regola su questo punto”.
“Ed
è qui che ti sbagli!” La interruppe vittoriosa
Dory, per poi
iniziare ad elencare: “Articolo sette, comma due: in caso una
delle
due socie non riesca a rispettare parte di quanto detto durante la
stipulazione della scommessa, incorrerà in un primo pegno.
Se,
inoltre, la socia non dovesse riuscire a portare a conclusione
l'intera scommessa dovrà pagare un secondo pegno”.
“Sono
abbastanza sicura che tu stia menten...”
“Sul
codice non si mente”. Disse convinta Dory, uscendo dalla
borsa un
quaderno, sotto lo sguardo sorpreso della ragazza.
“Lo
conservi ancora? Dopo tutti questi anni?”
Sussurrò, non certo
senza un po' di commozione, fingendo d'asciugarsi una lacrimuccia col
dorso della mano
“Certo!
Inoltre, ricordi ancora qual era la prima legge?” Chiese con
fare
indagatore.
“Certo,”
rispose prontamente Gioia, come una studentessa ben preparata.
“Sul
codice non si mente... mai...” a queste ultime parole,
però, il
mondo le crollò addosso.
“E
la pena?” Chiese ancora Dory con sguardo severo.
“In
caso di trasgressione all'insaputa di una delle due parti, il
trasgressore deve considerarsi un mostro doppiogiochista e deve
rendersi conto di star tradendo la sua migliore amica e
socia”.
Borbottò, sentendosi in colpa poco dopo.
“E
in caso il tradito venga a conoscenza della trasgressione?”
“Allora
i rapporti tra i due soci cesseranno”.
Dory
finì di mangiare la pizza con fare soddisfatto. Quella di
Gioia era
quasi del tutto intoccata ancora sul piatto e sapeva di sconfitta,
mentre l'aura che circondava la ragazza era pregna di disperazione.
La
rossa sorrise. “Fregata?”
Gioia
annuì, con le spalle curvate e lo sguardo basso.
“Sì, fregata”.
Mugugnò.
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Capitolo 3 *** Gola ***
Terzo capitolo
Gola
“Già, ed è proprio così! Dovevi vedere che razza di felpa aveva indosso! Sembrava un maschiaccio. La prossima volta che deciderò d'affittare una stanza farò in modo di incontrare l'affittuario almeno un paio di volte”.
Gioia si morse le labbra con violenza.
Quella stronzetta di Alice pensava stesse dormendo e non si stava facendo poi tanti problemi a parlare male di lei al telefono ad alta voce.
“E poi dovevi vedere i suoi modi! Rozzi, più adatti ad un contadino, con tutto il rispetto a loro dovuto ovviamente, l'avrei vista bene ad arare i campi!” E dopo questa frase partì la risata argentina insopportabilmente perfetta.
Gioia rotolò di fianco sul materasso e premette il cuscino contro la faccia, poi lanciò uno sguardo alla sveglia che segnavano le dieci e mezza del mattino.
Quella dannata gallina aveva ancora tanto da starnazzare? Dubitava seriamente che quella dall'altro lato del telefono la stesse ascoltando davvero, nessuno poteva avere voglia d'ascoltare tante lamentele di prima mattina, nessuno che fosse umano almeno.
“E poi non ti ho raccontato ancora il clou: arrivata al quinto piano si è accasciata sulle scale ed è rimasta per un paio di minuti distesa sulla valigia, la cosa divertente è che il bagaglio era più grande di lei. Sì, è una tappa e anche un po' cicciottella da quel che si nota dalla felpa. Avevo pensato di prestarle un paio di miei vestiti, ma dubito fortemente le entrerebbero. Spero che almeno quei cinque piani di scale che deve fare ogni giorno la facciano dimagrire, potrei almeno presentarla ai miei genitori senza che sembri abbia una coinquilina raccattata dalla strada.
Gioia sgranò gli occhi.
E no! Adesso stava decisamente esagerando! Si alzò di fretta dal letto, posò una mano sulla maniglia della porta semiaperta e si fermò immediatamente.
Un momento... la sera prima aveva chiuso la porta, ne era sicura.
Alice non la voleva in casa, sicuramente lei voleva sentisse quella conversazione, ma perché?
Un sorriso si allargò sul suo viso. Che la padrona di casa non volesse condividere l'appartamento? Probabilmente voleva cacciarla.
La cosa si faceva interessante.
In silenzio sgattaiolò via dalla propria camera e si intrufolò in bagno; pettinò i lunghi capelli castani e abbassò la maglia quel tanto che bastava a coprire l'inguine e parte del fondo schiena, si alzò le calze a metà polpaccio e si sciacquò il viso, guardandosi poi allo specchio.
Spettinò nuovamente i capelli, dovevano dare l'impressione d'essere stati messi in disordine dal cuscino, e, una volta soddisfatta, uscì ancora una volta silenziosamente, si avvicinò alle spalle di Alice e con voce allegra, anche se assonnata, disse: “Buongiorno, mia coinquilina!”
L'altra sussultò e arrossì lievemente, “non ti credevo sveglia a quest'ora!”
Ma Gioia sorrise allegra e scosse la testa, aprendo il frigo e guardando dentro, premurandosi d'assumere una posizione quanto meno accattivante. “Sono mattiniera! Sai, provengo dalla campagna,” mentì con nonchalance, “e se ieri non fossi tornata tardi, sarei in piedi già dalle sei”. Quindi Gioia si scolò un intero cartone di latte direttamente dall'involucro, sotto lo sguardo disgustato di Alice, e infine si leccò con aria soddisfatta le labbra sporche di bianco.
“Non ne volevi anche tu, vero? In fondo il latte contiene molti grassi e sono sicura che non vorresti che il tuo abito Versace, che indossi già alle dieci e mezzo del mattino, non ti entri più; anche perché dai fianchi già mi sembra tirato, forse un po' troppo, ma magari è solo una mia impressione”. Poi si voltò nuovamente, mordendosi le labbra e dandosi mentalmente della stupida: in quel modo non avrebbe attirato nemmeno un camionista ubriaco.
“Siamo scorbutiche stamani, ci siamo alzate dalla parte sbagliata del letto?”
Gioia reprimette il desiderio d'alzare gli occhi al cielo e sorrise innocentemente. “Non esattamente, ho sentito delle urla e ora ho tanto mal di testa”.
Alice la osservò per qualche istante, forse uno di troppo visto il sorriso malizioso dell'altra, dunque trattenne ferma la sua espressione e scrollò le spalle. “Mi dispiace,” disse semplicemente, prendendo il telefono e iniziando a digitare.
Gioia mise il broncio, odiava essere ignorata, molto.
“Quindi... quanti anni hai?” Buttò lì, giusto come argomento di conversazione, ma lo sguardo divenuto improvvisamente oscuro che la donna gli elargì la fece rabbrividire. “Anche se io direi ventidue...” sussurrò, incrociando le braccia sul petto e sperando d'aver detto un'età minore di quella reale; sospirò di sollievo quando vide il sorriso che sembrava voler affiorare sulle labbra di Alice.
“Ti sbagli,” e presto una nuova risata, stavolta più sincera, risuonò piacevolmente nella stanza. Quel cambiamento repentino fece restare di stucco Gioia, che si limitò a guardare Alice in attesa di spiegazioni, ma, vedendo che le risa erano aumentate e che non accennavano a smettere, chiese: “Perché ridi?”
“Perché è ovvio che sono più grande di te”.
Gioia fece marcia indietro. Più grande? “Davvero?”
Alice guardò Gioia dall'alto in basso, “sì, davvero” poi le si avvicinò, con una scintilla di curiosità nello sguardo.
“Chiunque avrebbe sbraitato a sentir parlare di sé in quel modo, perché tu non lo hai fatto?”
Gioia sgranò gli occhi, il volto tirato in un'espressione sorpresa, presto, però, questa lasciò il posto alla curiosità. “Era un test?”
Alice rise ancora, ma non distolse lo sguardo dal suo. “Più o meno, oppure potrebbe essere una scusa per il mio ignobile commento su di te”.
“Una sequela di insulti, io direi al posto di definirlo commento”.
“Beh... chiunque se ne sarebbe andato indignato. Tu perché sei ancora qui?” Sussurrò curiosa.
“Perché hai aperto la porta della mia camera per lasciarmi sentire, c'era qualcosa di strano”.
Alice annuì tra sé e sé colpita.
A quanto pareva, Gioia era un tipo che preferiva sapere tutto prima d'esprimere un giudizio e ne fu compiaciuta,
“Diciamo che hai superato il test, il primo almeno”.
“Ce ne saranno altri? Perché, sai, mi ha dato già alquanto fastidio il primo”. Mugugnò Gioia contrariata, arricciandosi una ciocca di capelli castana tra le dita. Quella tizia era una folle, una qualità che le faceva guadagnare non pochi punti ai suoi occhi.
“Dipende... magari se cucini bene pondero l'ipotesi di promuoverti direttamente”. Poi sorrise nuovamente e osservò il telefono.
“Devo andare in palestra, spero d'avere buoni motivi al ritorno per farti restare”. Sorrise e le diede le spalle, chinandosi a prendere un borsone che prima era sfuggito alla vista di Gioia.
“Tu vai in palestra così?” Chiese poco convinta, per poi osservare meglio la ragazza fasciata nel suo abitino beige.
Alice annuì e voltò verso di lei la testa per farle un occhiolino. “Non si rinuncia mai all'eleganza, in nessuna occasione”.
Ma Gioia era in disaccordo e disse alle sue spalle: “Ma se si esagera si diventa pacchiani”.
L'altra scrollò le spalle, “sono soltanto punti di vista differenti. A dopo tesoro”, e detto questo girò i tacchi e sparì oltre la soglia, ancheggiando tra l'altro per farsi ammirare in tutta la sua altezza. Peccato che non sapesse che Gioia stesse ammirando tutto, fuorché l'altezza.
Ci rimise un po' a riprendersi, ma quando riuscì a tornare alla realtà, la ragazza si imboccò le maniche.
Quale modo migliore d'arrivare al cuore di una persona se non per mezzo della gola?
Il fiato corto, spezzato, affaticato.
Alice amava correre, avrebbe preferito farlo in campagna, percorrendo luoghi impervi con terreni accidentati e soprattutto in mezzo al verde, ma vivendo in una città come la sua, dove prima di vedere il verde bisognava assistere allo scorrere interminabile del cemento, si doveva accontentare della stoica visione del muro bianco di fronte a sé, regolando di tanto in tanto la tendenza e velocità del tapirulan.
Spesso doveva sopportare qualche battutina fin troppo spinta per i suoi gusti, raddrizzando le spalle e lasciando quei fastidiosi ragazzini cuocere nel loro brodo, altre volte si avvicinava persino qualche uomo e cercava di intraprendere una conversazione con lei, ma Alice si limitava a liquidarlo con risposte secche, che chiudevano ogni sbocco ad una possibile conversazione.
Ultimamente si era iscritta una giovane coppietta e già tutti attorno a lei mormoravano sulla sua scarsa abilità atletica.
Alice era non solo annoiata da quei discorsi, ma addirittura irritata. Non capiva il motivo di tale agitazione. Era troppo pretendere che ognuno si facesse i fatti propri? Evidentemente sì.
Aumentò ancora la velocità del tapirulan, sentendo che anche quello accanto al suo veniva azionato.
“Ciao”.
Alice si voltò e osservò la ragazza dai capelli rossi che aveva iniziato a correre accanto a lei.
“Ciao,” rispose sorridendo cordialmente, chiedendosi perché diamine non riuscisse ad avere almeno una mezz'ora unicamente per se stessa.
“Scusami se ti disturbo, mi chiamo Dory, piacere”. Le allungò goffamente la mano sinistra, cercando di non cadere e Alice rise tra sé e sé e strinse la mano.
“Alice”.
“Volevo chiederti,” disse quella arrossendo e guardando gli innumerevoli bottoni della macchina, “se puoi aiutarmi con questo aggeggio, il mio ragazzo è altrove a fare pesi e questa roba mi confonde, puoi consigliarmi riguardo la velocità e pendenza?”
Per il resto della sua giornata Alice continuò a chiedersi come fosse possibile parlare tanto di sé in un'ora. Cavolo! Quella Dory le aveva raccontato l'intera sua esistenza, partendo dalla nascita e finendo con i preparativi delle imminenti nozze, la cosa più assurda era che anche lei aveva parlato di sé, facendo persino accenno a Xander, il suo ragazzo.
Che mattinata assurda.
Con un sospiro girò le chiavi nella toppa e venne investita da un invitante odore di... cibo non preconfezionato!
Si avvicinò alla cucina con un passo cauto e scostò di poco la porta, sbirciando dentro. Sorrise vedendo Gioia che saltellava da un lato all'altro della cucina: si era organizzata bene, mettendo le sedie per raggiungere gli scaffali più alti.
Rise tra sé e sé e continuò ad osservarla.
Doveva ammettere che era proprio carina. Guardarla mentre gesticolava e mimava passi di danza che, Alice era abbastanza sicura, aveva appena inventato, era divertente, e cantava anche! Dio! Era stonatissima!
Gioia salì su una sedia per prendere qualcosa e a quel punto Alice entrò, ma lei non se ne accorse, troppo presa a dare spettacolo.
“Buongiorno!” E in un attimo, come a rallentatore, Gioia emise un urletto, spaventata dall'improvvisa apparsa di Alice, e perse l'equilibrio.
Fortuna per lei che l'altra avesse previsto già quegli eventi e fosse pronta a prenderla tra le braccia.
“Volevi farmi fuori! Ammettilo!” Disse Gioia, terrorizzata da quel mancato incontro col pavimento e stringendo di più Alice, che rafforzò a sua volta la stretta.
“Mi hai scoperta, maledizione, e io che speravo di farla franca!”
Gioia si limitò a lanciarle uno sguardo truce, mentre l'odore di sudore che Alice emanava le fece storcere il naso. “Va a fare una doccia, il cibo è quasi pronto”.
“Certamente padrona”. Alice fece un inchino, poi andò a lavarsi, lasciando Gioia ai suoi compiti, ma dal bagno le urlò, “e sta attenta a non farti male!”
“La cena è andata benissimo, Dory smettila di preoccuparti! No, non è una cannibale, non mangia uomini. Cosa significa che ci hai parlato?”
Dall'altro lato della linea, intanto, la rossa faceva segno a Jonathan di tacere, “tesoro, sembrava un'assassina. Quando mi sono avvicinata per parlarle, oggi in palestra, sembrava volesse squartarmi!”
“Ma non lo ha fatto, no?” La rimbeccò Gioia guardandosi le unghie. “Sono sicura di me, Dory. Oggi mi ha preso anche in braccio, per essere il secondo giorno non mi sembra vada poi tanto male”.
Dory si morse le labbra e alzò gli occhi al cielo. “Lo sai che ha il ragazzo, vero?”
“Sì, ma è una questione secondaria. Se le interesso o è bisex, oppure è lesbica. Quindi probabilmente lascerà il suo ragazzo per....”
“Per fare cosa, Gioia?” La interruppe Dory, stendendosi sul letto dove già Jonathan la attendeva. “Devi soltanto sedurla, non sperare di metterti con lei, una notte di follia ci può stare, ma non credo la convincerai ad amarti a vita”.
“Vedremo,” disse Gioia, offesa nell'orgoglio, poi riattaccò, lasciando Dory perplessa.
“Finirà male questa storia, me lo sento”. Jonathan la baciò dolcemente sulla fronte e la strinse a sé.
“Domani toccherà a me parlare con Alice, così vedrò anche io com'è”. Disse con espressione vacua, cinque secondi dopo si ritrovò col gomito di Dory ficcato dolorosamente nello stomaco.
“Non essere gelosa!” Pregò lui, sapendo già che l'indomani avrebbe avuto un grosso livido sul ventre. A quel pensiero sospirò mentalmente, avrebbe messo una maglietta viola per far pendant.
La rossa gli si mise a cavalcioni, ridendo di gusto. “No, non posso essere gelosa, nessuno è in grado di...” ma la frase non trovò una fine, mentre un gioco molto più divertente delle parole mise fine a quel battibecco sul nascere.
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Capitolo 4 *** Chiodo ***
Angolo
dell'autrice
Questo
è l'ultimo capitolo che avevo già scritto, d'ora
in poi non
aggiornerò più una volta ogni due giorni,
tuttavia una volta a
settimana un aggiornamento è assicurato.
Buona
lettura!
Quarto
capitolo
Chiodo
Tyler
si chiedeva come Jonathan potesse essere così bastardo. Lo
aveva
mollato durante la visione di “Harry Potter e i doni della
morte”
e nemmeno alla prima, ma alla seconda parte, facendogli vedere la
battaglia finale tutto da solo.
Ora,
non che Tyler non fosse conscio di quanto stronzo fosse Jonathan, ma
lui considerava certe cose sacre e tali sarebbero dovute essere
considerate anche dal suo compagno di stanza.
Quindi:
era troppo chiedere che il mercoledì fosse la giornata del
fantasy?
Niente ragazze di mezzo, niente Dory che si lamentava di quanto i
suoi capelli non fossero abbastanza lucenti, niente Gioia che si
lamentava dell'impossibilità di mettere la sua maglietta
preferita a
causa dell'enorme e abissale scollo a v che avrebbe fatto andare in
paradiso qualunque uomo etero.
Tyler
era gay e, lettori miei, se pensate che in quel momento fosse geloso
di Jonathan, vi sbagliate di grosso. Non che non ci avesse fatto un
pensierino quando quel giorno di tre anni fa quel ragazzo castano
aveva messo piede sulla soglia della porta, semplicemente si era
accorto presto di quanto idiota fosse nonostante la sua indole
bonacciona.
La
sua ossessione riguardava tutt'altra sessione. Il suo primo e unico
amore – tralasciando i vari primi e unici amori che
ovviamente non
contavano realmente - era il parrucchiere dai capelli del color del
grano, abbelliti da una spruzzata di verde prato sul ciuffo che
ricadeva accanto alla cicatrice sotto l'occhio destro.
No,
non pensate nemmeno che “il parrucchiere” fosse una
qualche sorta
di malvivente per queste particolari caratteristiche; lui era
semplicemente un tizio come tanti altri, forse un po' più
coglione
della media.
Per
intenderci, lui era uno di quei tipi che cadono dal motorino mentre
cercano di sistemarsi il piercing al labbro. E no! Non pensate che lo
stesse facendo mentre il mezzo era in moto, il parrucchiere era
semplicemente seduto sul suo bel sedile in pelle del suo cinquantino
nuovo di zecca e suo nipote di a malapena cinque anni lo aveva
chiamato per portargli le chiavi che, ovviamente, aveva dimenticato;
tale possente scossone che solo la forza sovrumana di un infante
poteva causare, fece terrorizzare il parrucchiere a tal punto che si
alzò di scatto dal suo mezzo, inciampò goffamente
nei suoi stessi
piedi e cadde a terra di faccia.
Ora,
mentre Tyler apriva la porta del negozio con un sorriso forzato sul
viso, le nocche bianche dalla forza con cui serrava i pugni, voi
potreste pensare che fosse così incazzato per
chissà quale torto.
L'amarezza della serata fantasy saltata era nulla al confronto.
Era
arrabbiato a tal punto perché già si chiedeva a
cosa si sarebbe
dovuto sottoporre quella volta.
Si
portò le mani alla zazzera colorata di verde, blu e giallo.
Non
riusciva a credere d'andare lì solo per lui ogni fine
settimana per
sottoporsi ai suoi malsani esperimenti.
“Buongiorno,”
salutò alle spalle del parrucchiere per poi andare a sedersi
nella
saletta d'attesa, senza aspettare una risposta che, lo sapeva,
sarebbe arrivata soltanto qualche minuto dopo.
Si
sedette sulla sua sedia, quella che aveva una targhetta col suo nome
– sì, l'aveva chiesta espressamente al
parrucchiere e mai nessuno
aveva osato toccargliela – e sbatté furiosamente
il piede a terra,
ripassando mentalmente il colore che i suoi capelli avevano assunto
nell'ultimo mese, ignorando le ragazze in attesa sedute poco
più in
là, che lo fissavano spaventate.
Viola,
arancione, marrone ( si rifiutava definirlo castano quel colore
più
simile al tronco di un albero che ad altro), rosso, porpora, azzurro
chiaro e.... iniziava a perdere il conto.
Adesso,
non che il parrucchiere non fosse un bravo parrucchiere,
semplicemente Tyler era la sua cavia e tale sarebbe rimasto fino alla
fine dei suoi giorni: era una legge fondamentale, non sarebbe mai
potuta essere cambiata.
“Ehi,
Tyler, scusami ma stavo sistemando una signora”. Gli disse
una
testa bionda caratterizzata da un vivace ciuffo verde che faceva
capolino dalla porta socchiusa, “oggi sono sicuro che amerai
il
colore che ti voglio fare, quindi tieniti pronto, sbrigo le ragazze
là e poi mi occupo di te. La mia fidanzata arriva tra
un'ora, quindi
non ci starò molto, promesso”. Lo
salutò con un cenno del capo e
sparì di gran carriera in un'altra stanza a prender tutto
l'occorrente per continuare il lavoro.
Tyler,
con la vitalità di un morto, mezz'ora dopo si era ritrovato
a
prendere una di quelle tendine che lui amava tanto definire
“da
ospedale” e se l'era spalmata malamente addosso, sedendosi
con
l'aria di chi era stato morso da un pitbull, anzi, sarebbe corretto
dire che era lui a somigliare ad un pitbull, gli mancavano solo i
denti scoperti e un filo di bava che scendeva dalle labbra per essere
identico, anche se c'era da dire che se avesse avuto l'occasione di
guardare il sedere del parrucchiere la bavetta avrebbe presto fatto
la sua comparsa.
Il
parrucchiere tornò, con un passo che sembrava sempre di
fretta, e
con un'occhiataccia lanciata al povero pezzo di stoffa appallottolato
sul petto del ragazzo si avvicinò e mise tutto al suo posto.
“Che
colore oggi?” Chiese Tyler, non riuscendo a reprimere il tono
da
checca isterica che assumeva quando era di malumore.
Il
parrucchiere ridacchiò serafico e iniziò ad
accarezzargli i capelli
e ad osservarli come se fossero stati creta da plasmare, in quei
momenti il parrucchiere amava definirsi un vero e proprio artista.
“Cos'è successo? Hanno interrotto
“Dexter” dopo la fine della
settima stagione?”
Tyler
si morse le labbra e si irritò ancor di più e non
solo perché sì,
lo avevano fatto, ma anche perché non riusciva a capire dove
potesse
spingersi l'ottusità del biondo.
Ormai
erano mesi che gli faceva il filo, eppure il parrucchiere sembrava
non rendersene conto e un dubbio si stava instaurando nella mente del
giovane: che il parrucchiere ignorasse volutamente quelle attenzioni
speciali?
“Qualcosa
del genere,” mugugnò, grattandosi la guancia e
puntando gli occhi
sul riflesso del suo desiderio allo specchio.
“Ti
ho detto di passare allo streaming, almeno sei sicuro che quando
inizi una serie la puoi finire in santa pace”.
“Certo,
certo,” Tyler si rilassò, mentre le dita esperte
del parrucchiere
iniziarono il loro dolce malvagio sulla cute tartassata da tutti quei
prodotti chimici; non si aspettava di certo che l'altro capisse
quanto fosse importante vedere una serie tv lì, in diretta
nazionale, dove non si era da soli a guardare la propria trasmissione
preferita, ma tutti i fan si riunivano nello stesso attimo ad
ammirarla.
“Come
va con la ragazza?” Buttò lì, dopo
qualche minuto di silenzio,
giusto per sapere se la concorrenza perdeva colpi.
“Bene,”
si limitò a dire l'altro, ma aveva un'espressione persa nel
vuoto,
assorta in pensieri che sembravano, dal punto di vista di Tyler,
faticare ad entrare in quella testolina sempre un po' nel mondo dei
sogni. “Ad essere sincero sono confuso,”
rivelò l'altro dopo
qualche tempo. “Ultimamente lei sembra così
impegnata...”
Tralasciando
l'euforia che percorse Tyler dalle punte dei piedi a quelle dei
capelli e che cercava di fargli urlare la sua gioia, io, narratrice,
potrei dire che a quelle parole seguì solo un durevole
mutismo da
parte di entrambi.
Tyler
si impegnava a non dirgli di mollarla per prendere lui, il biondo
invece era fin troppo concentrato nel suo lavoro e fin troppo preso
dai suoi pensieri per dar retta al ragazzo.
Gioia
si stese sul letto e rotolò piano su un fianco, dopo poco
sull'altro, lambiccandosi nel dubbio. Poi si guardò attorno,
in
cerca di un'idea folgorante, unica, mitica!
E
ora che l'idea stava giungendo le pareva che allungare una mano ad
afferrarla fosse estremamente faticoso, di conseguenza
l'illuminazione fuggiva, lontana da lei, veloce come un flash.
Per
concludere: non aveva la più pallida idea di cosa fare: Dio!
Non
rimorchiava più da almeno cinque anni!
Si
morse il labbro e ridacchiò tra sé e
sé. Dipendentemente dalla sua
prossima mossa, le carte sarebbero potute essere svelate. Se si fosse
fatta avanti in modo troppo esplicito avrebbe rischiato di spaventare
Alice. Doveva conoscere meglio i gusti dell'altra.
In
base a questo ragionamento decise che quella sera stessa avrebbe
messo in tv un vecchio film che trattava il rapporto tra due donne:
così, giusto per vedere le sue reazioni.
Un
paio di ore più tardi, Alice, povera vittima inconsapevole
di quel
test, si era seduta e aveva iniziato a gustare i manicaretti
dell'amica, dando di tanto in tanto un'occhiata alla tv, inarcando
più volte le sopracciglia a causa di alcune scene per i suoi
gusti
un po' troppo spinte.
“Questo
da te non me lo sarei mai aspettato. Sei bisex? O lesbica?”
Gioia
rise di cuore e la osservò, premurandosi di mantenere
un'espressione
sconcertata. “Io? Io lesbica? Alice, cara mia, ti sbagli di
grosso”.
“Allora
perché stiamo vedendo un film dove le protagoniste sono due
lesbiche
e fanno sesso almeno una volta ogni quarto d'ora?”
Gioia
arrossì a quelle parole e fece spallucce,
“un'amica me lo ha
consigliato, diceva che i personaggi avevano un certo spessore
psicologico, ma... ecco, non vedo tutta questa introspezione ad
essere sincera”. Si stupì delle sue stesse parole,
grazie a Dory
stava diventando incredibilmente brava con le menzogne, le venivano
con una spontaneità unica.
Alice
scosse la testa e annuì tra sé e sé,
pensierosa. “Quell'Andrea,
la protagonista, ecco, credo che abbia i suoi motivi per comportarsi
da sgualdrina”. Detto questo, Alice si alzò e si
avvicinò a
Gioia, costringendola tra lei e il bancone della cucina.
Sentendo
il freddo marmo dietro di sé, Gioia fu percorsa da un
brivido, o
forse era dovuto alla vicinanza del corpo dell'altra? Ma no, certo
che no, Alice le piaceva su un piano fisico, ma non così
tanto da
procurarle i brividi!
Alice
continuò il suo discorso, avvicinando le labbra all'orecchio
dell'altra e concedendole un ulteriore fremito. “Una donna
tradita
vuole semplicemente il suo riscatto, vuole far vedere che a lei non
mancava niente, che a confronto dell'amante del marito lei era di
più, che poteva avere chi voleva e quando voleva”.
La voce
melodiosa di Alice carezzava l'udito di Gioia, era morbida come la
seta, ridotta ad un sussurro che si insinuava in lei e le trasmetteva
calore, era una sensazione che non provava da tanto.
Gli
occhi si erano socchiusi, Gioia non capiva più il senso di
quel che
Alice le raccontava, percepiva solo tratti di parole, troppo
incantata dalla musica che ormai l'aveva ammaliata.
“Allora?
Non lo pensi anche tu?” L'ennesima risata argentina, quella
odiosa
risata che Gioia aveva imparato ad odiare.
La
ragazza tornò bruscamente in sé e si
scostò prepotentemente dalle
braccia che l'avevano costretta in una prigione, allora si rese conto
di cosa Alice le avesse appena detto e gli occhi iniziarono a
bruciare e il naso a pungere.
“I...
io non devo dimostrare niente a nessuno,” maledetto Alex! Non
riusciva a pensare a lui come non riusciva a pensare al suo
tradimento, la rabbia crebbe nel suo cuore spezzato e Gioia aveva
bisogno di liberarsene, per questo quando il suo sguardo carico
d'odio si posò nuovamente su Alice, si sentì
incredibilmente bene.
“Tu non saresti una conquista di cui vantarsi”.
Pronunciò quelle
parole in modo lapidario, schietto.
Sapeva
che Alice era all'oscuro del suo passato, ma poco importava, se Gioia
perdeva il controllo allora la causa era Alex e il primo individuo
senziente era utile solo per riversargli addosso tutto il suo
rancore.
Alice
rimase interdetta a quella sua reazione, era l'ultima cosa che si
aspettava, non capiva il motivo per cui Gioia avesse perso le staffe.
Forse avrebbe dovuto conoscere qualcosa in più su di lei.
Non si era
offesa per le sue parole, in un momento di rabbia si dicono cose che
non si pensano e andiamo! Alice era troppo perfetta per non essere
una conquista di cui vantarsi.
Spense
il televisore, quella serata non l'avrebbero passata guardando un
film.
Sentì
uno strano nodo allo stomaco quando ripensò allo sguardo
addolorato
della coinquilina, ma quella sensazione svanì appena si
diede
dell'idiota.
Non
aveva alcun motivo per rifletterci su. Certo che aveva avuto una
fortuna! L'unica che non aveva dato di matto al suo primo test era
una pazza lunatica.
Rise
fra sé e sé: forse per voler capire bisogna avere
l'apertura
mentale che solo la follia concede.
Tuttavia
gli occhi feriti di Gioia le apparvero all'improvviso in un replay
della situazione appena vissuta e la fecero rattristare. Che qualcuno
le avesse spezzato il cuore come a quell'Andrea? Ma allora non
sarebbe dovuta essere lei offesa per prima visto che stava venendo
utilizzata come un chiodo che scaccia un altro chiodo?
Adesso
si sentiva un chiodo.
Sì,
un chiodo pesante, arrugginito e incastrato... già,
incastrato, ma
non da Gioia.
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Capitolo 5 *** Torta ***
Jonathan
era indeciso sul da farsi.
Titubante
e timoroso al tempo stesso, se ne stava sulla soglia della porta e
non accennava a muoversi di lì; poco più avanti
c'era il suo
obiettivo. I capelli raccolti in un elegante coda di cavallo
ricadevano in una nera cascata sulle spalle e ondeggiavano al tempo
della corsa, il corpo non sembrava risentire dello sforzo fisico a
cui era sottoposto, beh... per Jonathan era ovvio, con un corpo di
quel tipo che problemi si potevano avere? E in un momento non seppe
più se quello che lo teneva lì, nella distanza di
sicurezza, era la
paura oppure la visione di quel fondoschiena regale.
“Vedi
di riprenderti, tra poco potrebbe calarti la bavetta dalla
bocca”.
Lo rimproverò Dory, dandogli l'ennesima gomitata al costato,
Jonathan trattenne un mugolio di dolore e annuì con la
faccia da
cucciolo bastonato. Almeno aveva preso la dose di mazzate mattutine,
per le prossime due ore era al sicuro: visto l'indole violenta di
Dory avevano deciso di mettere sotto un codice anche le mazzate, che
l'amore per le regole della ragazza fosse benedetto, altrimenti
Jonathan dubitava seriamente che sarebbe riuscito a sopravvivere al
loro rapporto.
Si
avvicinarono ad Alice, lei con un sorriso sulle labbra e lui con la
morte nel cuore perché sapeva che di quello spettacolo
avrebbe
potuto guardare solo gli occhi.
“Ancora
in palestra? Pensavo, ad essere sincera, che non avreste superato le
due settimane”.
“Ma
noi non possiamo mollare,” disse in modo fin troppo
sbrigativo
Jonathan e Dory ne approfittò per lanciargli una sberla
sulla nuca,
ammonendolo con lo sguardo: visto l'impegno con il quale Alice
correva non li notò. Le sberle non sottostavano al codice.
“Come
va con la tua coinquilina?” Chiese la ragazza azionando il
tapirulan accanto al suo, controllando di tanto in tanto che lo
sguardo di Jonathan restasse al suo posto; sospirò quando
notò che
non era il posteriore di Alice che stava guardando, però non
poté
che trattenere un sorriso, era una soddisfazione attrarlo
più di
quella modella.
Alice,
infatti, aveva un fisico statuario, e nonostante l'età
già avanzata
- ventotto anni erano già troppi per il suo lavoro - era
richiesta
per sfilate, merito d'altronde non solo del suo corpo, quanto del suo
viso; zigomi alti, labbra piene e grandi occhi neri contornati da
lunghe ciglia.
“Tutto
bene, dovrebbe però imparare a non provocare se non vuole
essere
provocata”. Borbottò Alice pensierosa.
“E
il lavoro?” Dory non fece altre domande, a quella frase la
voce di
Alice si era incrinata lievemente, chissà se avevano parlato
di
Alex.
“Per
il lavoro qualche novità c'è. Sembra che
ultimamente il mio manager
abbia ricevuto qualche chiamata in più nell'ultimo mese,
dovrei
andare a Londra entro questo fine settima....”
“E
Gioia come farà? Per quanto tempo vi rimarrai?”
Chiese
spontaneamente Dory, facendo inarcare un sopracciglio ad Alice, che
si limitò a scrollare le spalle e a continuare la sua corsa.
Intanto
la rossa si domandava come avrebbe reagito Gioia ad una simile
notizia, le restava poco meno di una settimana.
“Beh
mica vendo l'appartamento!” Borbottò poco convinta
l'altra,
guardando le sue lunghe unghie placcate di rosso. “E
starò
all'incirca un mese”.
“Attenta,
potresti inciampare”. Mugugnò Dory, cercando di
trattenere
l'acidità della propria voce.
Non
le piaceva la cosa, Gioia non avrebbe potuto portare a termine la
scommessa e non avrebbe avuto alcun debito da pagare perché
non
sarebbe stata colpa sua se il soggetto si fosse allontanato. Poi Dory
diede un'occhiata alle sue spalle, ricordandosi improvvisamente
d'avere un ragazzo, ragazzo che però era sparito.
Si
guardò velocemente attorno prima d'intercettarlo.
Jonathan
era intento a parlare con un uomo che sembrava poco più
grande di
lui. Che fosse maledetta la sua miopia! Non riusciva a vederlo bene
in faccia, eppure quei tratti spigolosi le ricordavano qualcuno.
Strinse
le palpebre per mettere meglio a fuoco l'immagine, cercando al
contempo di rimanere in equilibrio sulla macchina e quasi non le
venne un infarto.
“Alice,”sussurrò
preoccupata: che fosse giunta ora di metter fine al gioco? Ma era
ancora così presto! Non aveva nemmeno iniziato a divertirsi!
Ma di
fronte all'improvvisa apparizione di Alex tutto perdeva d'importanza
e Dory non voleva che giusto ora che Gioia aveva riacquistato il
sorriso lo perdesse per l'arrivo della sua vecchia fiamma.
Quindi
svelare o non svelare ad Alice l'amicizia che la legava a Gioia?
Jonathan
fece un sorriso tirato e carico di tensione, se riusciva a
intrattenere una conversazione con lui era solo per merito di una
qualche grazia divina, il bisogno di spaccargli la faccia si acuiva
ogni secondo che passava, ma doveva controllarsi, non era né
il
luogo né tanto meno il momento di riaprire vecchie dispute.
Quando
Alex gli strinse la mano Jonathan si fece violenza per non
rompergliela, doveva ammettere che il suo autocontrollo era parecchio
notevole.
“Come
stai Jhonny?”
Ignorando
il nomignolo che gli aveva affibbiato ormai da qualche anno, Jonathan
rispose con un tono sommesso, giusto per non mettersi ad urlargli
contro. “Tutto bene, e tu? Come te la passi?” Alex
– per
rispondere silenziosamente alla sua domanda - si carezzò
lievemente
il mento e si guardò attorno, come se fosse in cerca di
qualcosa,
soffermandosi sulla fauna femminile del luogo.
“Ho
capito,” continuò per lui Jonathan, scuotendo la
testa, “sei
sempre il solito. Mi chiedo se cambierai mai”. Era
disgustato, non
riusciva a credere che davvero Gioia si fosse innamorata di un essere
tanto viscido.
“E
io mi chiedo se tu mi perdonerai mai”.
Cadde
un silenzio che sembrò prolungarsi non pochi secondi, poi il
castano
sospirò, incrociando le braccia sul petto. “Fin
quando Gioia non
si riprenderà del tutto dalla vostra storia
cercherò la prima fogna
utile nella quale abbandonarti o affogarti, dipendentemente da cosa
mia andrà quando capiterà l'occasione”.
Alex
annuì tra sé e sé, “conservo
ancora la sua foto sai?” Frugò
per un attimo nella tasca dei pantaloni e ne estrasse una fotografia
di due anni prima dove lui e Gioia sorridevano e si abbracciavano,
lei aveva le braccia gettate al collo di Alex e lui guardava dritto
all'obbiettivo, avvolgendo in un dolce abbraccio i fianchi di lei.
Jonathan
fece una smorfia e storse il naso, “cos'è? Cerchi
di farti
perdonare da me?” Rise e scosse la testa,
“c'è la mia Dory nelle
vicinanze, se vuoi uscire di qui sulle tue gambe ti consiglio
d'andare finché sei in tempo”.
L'altro
si limitò a stringersi nelle spalle, mentre il suo sguardo
smeraldino si posò su Alice e sulle labbra gli si
disegnò un ghigno
ben poco rassicurante.
“Roba
già occupata,” lo redarguì in fretta
Jonathan.
“Da?”
“Gioia”.
“Cosa?”
Disse Alex a voce un po' troppo alta, tanto che alcuni nelle
vicinanze si voltarono nella loro direzione.
“Sì,
sì, hai capito. E, se non da Gioia, da un ragazzo”.
L'altro
inarcò un sopracciglio, ma ebbe la decenza di non obiettare;
quando
Alice e Dory si voltarono nella sua direzione una spiacevole
sensazione gli percorse la colonna vertebrale, facendogli sentire
freddo.
“Ok,
mi sa che dovrei tornare un altro giorno, forse...” e in men
che
non si dica, Alex sgusciò via, veloce a tal punto che
persino
Jonathan rimase sbalordito.
Dory
gli si avvicinò a passo svelto, sembrava arrabbiata, molto,
e lo
tirò per la manica. “Che cosa ci faceva
qui?”
Jonathan
si parò il fianco, sapeva che non aveva poi discorso tanto
con Alex
e che di ciò Dory ne sarebbe rimasta insoddisfatta,
“non lo so”.
Scampò al colpo che la donna era già in procinto
di regalargli, “te
l'ho fatta stavolta!” E subito dopo si ritrovò a
saltellare su un
piede a causa di un imprevisto calcio alla caviglia.
Alice
guardava la scena da lontano, non aveva certo intenzione di incappare
nella furia della rossa, tuttavia una certa curiosità
l'aveva anche
lei: quando quell'uomo si era avvicinato, aveva visto Dory perdere
parte del suo colorito, avrebbe voluto avere la possibilità
di
incontrarlo in futuro, giusto per conoscere chi era in grado di
zittire la donna.
Adesso
la sua amica sembrava essere presa da un'animata conversazione con
Jonathan, gesticolava in modo furioso, mentre lui se ne stava sempre
zitto, nel suo angolo a subire quei rimproveri.
Sospirò
e spense la propria macchina, poi inviò un messaggio a
Xander, il
suo ragazzo. Doveva avvertirlo sulle novità riguardo il
lavoro e tra
un po' sarebbe dovuta andare da lui. La mano fu colta da un lieve
tremore: forse avrebbe dovuto anche lasciarlo...
Per
tutto il tragitto ad Alice sembrò d'essere dentro una bolla
di
sapone, i rumori del mondo le giungevano attutiti, era persa nelle
sue elucubrazioni mentali.
Il
rapporto con Xander si distingueva da quello di una comune coppia.
Lui
era gay e non lo sapeva. Alice gli voleva bene, lo amava a suo modo,
tuttavia era stata ben attenta a non affezionarvisi più di
tanto.
La
loro relazione era nata tra i banchi di scuola e si era protratta
fino ai loro ventotto anni. Nessuno dei due aveva mai osato compiere
un passo tanto azzardato quanto quello del matrimonio, Alice sapeva
che prima o poi lui avrebbe capito, ma adesso che per lei si aprivano
le porte dello spettacolo per lui ci sarebbe stata sempre di meno e
di questo si preoccupava.
Voleva
che capisse, voleva che accettasse se stesso, ma non sembrava
riuscirci.
Ultimamente,
però, da un po' di tempo a quella parte, le speranze di
Alice
sembravano essere state degnamente ricompensate, infatti, un
ragazzino faceva visita spesso al suo Xander e Alice aveva notato
quanto lo rendesse felice.
Sapeva
che era un suo rivale e sapeva anche che probabilmente Xander avrebbe
preferito lui a lei, se non avesse avuto le fette di prosciutto sugli
occhi.
Quel
ragazzo gli faceva il filo e lui non se ne accorgeva.
“Sei
ancora qui Tyler?” Chiese al ragazzo, posando la borsa su una
delle
sedie vuote nella sala d'attesa, “mi sembra d'averti visto
giusto
qualche giorno fa, non dirmi che ti ha costretto a tornare!”
Tyler
era rimasto spiazzato vedendo arrivare Alice, tanto che quando lo
aveva salutato si era ritrovato a sussultare, tenendo tra le mani un
pacchetto per Xander. “Non proprio, oggi fa il compleanno,
quindi....”
Alice
si limitò ad annuire, le era passato di mente e in un certo
senso si
ritrovò a dover stringere le labbra in una rigida linea
dritta per
non dar a vedere il suo sgomento.
“Già,
cosa gli hai comprato?” Chiese curiosa, sedendosi accanto a
lui.
“Un
orologio, mi aveva detto tempo fa che ne aveva visto uno che gli
aveva fatto perdere letteralmente la testa...”
“Un
rolex,” annuì Alice, facendo inavvertitamente
arrossire l'altro.
“Beh,
le mie finanze non possono permettersi tanto, spero gli piaccia lo
stesso”. Si limitò a dire Tyler sbuffando tra
sé e sé.
Alice
ridacchiò e annuì, alzandosi. “Non
dirgli nulla che sono passata
dal negozio, avrei intenzione di fare una cosa”.
Se
ne andò di fretta, lasciando il ragazzo lì seduto
con
un'espressione vagamente contrariata.
Era
evidente che Tyler volesse stare da solo con Xander e visto che tutto
doveva finire aveva deciso già da un po' di permettere che
quello
scricciolo si intromettesse piano piano e silenziosamente nella vita
del suo ragazzo. Dapprima era stato un'ombra, uno dei tanti clienti,
poi si era distinto dalla massa e Alice vedeva come a Xander gli si
illuminassero gli occhi quando parlava di lui.
Tornò
di fretta in casa, magari Gioia l'avrebbe aiutata ad organizzare una
sorpresa quantomeno carina anche se improvvisata e non si
stupì
quando la vide armeggiare in cucina.
“Ma
tu lavori mai?” Le chiese trattenendo una risata, ma l'altra
scrollò le spalle e le scoccò un bacio sulla
guancia, azione
diventata quotidiana da una settimana a quella parte.
“No,
non lavoro, sono in pausa!” Disse semplicemente Gioia per poi
tornare ai suoi passatempi.
Alice
annuì, digitò un veloce messaggio per Xander e le
cinse la vita
dolcemente, appoggiando la testa sulla sua spalla e osservando quanto
preparava.
“Stasera
dovrebbe venire anche il mio fidanzato”. Disse semplicemente,
era
stata una breve frase, ma era bastata a far irrigidire il corpo che
stringeva tra le braccia.
“Ho
dimenticato il suo compleanno, ti va di darmi una mano? Stai
preparando anche una torta, l'idea è carina, no?”
Gioia
si fece taciturna e restò tale per un paio di minuti, quando
Alice
sembrava star per esplodere, tanta era l'aspettativa, si
voltò e le
sorrise dolcemente.
“Certo,
possiamo farlo, non è un problema”.
La
tensione tra le due era forte e si fece pesante quando il silenzio
continuò durante la preparazione dei piatti. Alice mise il
broncio
mentre finiva di montare la panna e Gioia lo notò, ma non
disse
nulla e continuò il suo lavoro.
Alice
ad un certo punto non ne poté più di quella
situazione e ridacchiò
immaginando già la scena; prese un cucchiaino di plastica,
lo
immerse nell'impasto e chiamò: “Gioia!”
“Cosa
vuo...” Gioia non aveva nemmeno visto cosa l'avesse colpita,
ma di
fatto si ritrovò con il collo sporco di panna, assieme a
qualche
ciuffo di capelli. “Questa me la paghi!” Disse
irata, ma Alice fu
più rapida e prese la ciotola contente le munizioni.
“E
sentiamo, come hai intenzione di farmela pagare?” Chiese
ridendo e
girando attorno al tavolo, facendo fare lo stesso alla più
piccola
nel tentativo di non farsi raggiungere.
“Darei
del lavoro da fare al tuo parrucchiere”. Rispose minacciosa
l'altra
per poi sparire sotto il tavolo, facendo indietreggiare Alice che si
ritrovò a fuggire in un'altra stanza con la sua ciotola
ancora
saldamente ancorata al petto.
Venne
seguita in fretta però, e si sentì spingere da
dietro, cadendo sul
suo morbido e costosissimo divano e sentendo sulla schiena un
qualcosa di umidiccio e.... Dio, cosa aveva osato fare?
Gioia
rideva a sua volta seduta a cavalcioni sulla schiena di lei e la
osservava con la sfumatura di un sorriso vittorioso sulle labbra,
mentre continuava a spalmare quel che rimaneva della panna sulla sua
povera schiena.
“Questa
me la paghi!” Urlò Alice, ridendo ancora
più forte e cercando di
voltarsi verso di lei, impresa che le costò molta fatica,
perché
l'altra cercava d'impedirle i movimenti bloccandola col proprio
corpo.
“Chiedi
perdono!” Rise l'altra, tenendo stretti i polsi di Alice
sulla
testa.
Quest'ultima
la osservò per un po', aveva smesso di ridere e la osservava
con
tanto interesse. Si sporse verso di lei e le rubò un bacio,
così,
senza pensarci, le labbra di Gioia per un momento erano diventate fin
troppo irresistibili.
Dovette
ringraziare solo il campanello che suonò rumorosamente,
salvandola
dal dover dare spiegazione alcuna di quel gesto.
Gioia
si ritirò nelle proprie camere, Alice avrebbe dovuto parlare
con il
suo ragazzo o, perlomeno, spiegargli il perché mancassero le
ultime
decorazioni sulla sua torta.
Sospirò,
era arrivata la resa dei conti...
|
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Capitolo 6 *** Possesso ***
Angolo
dell'autrice
Ci
avviciniamo alla fine di questa storia, ormai ogni pedina è
nella
sua posizione, non ci resta che vedere il risultato di tutte le mosse
precedenti.
Ringrazio
tutti coloro che leggono in silenzio e chi mette in una delle tre
liste la storia, ma specialmente Darcon21 che ha recensito ogni
capitolo.
Buona
lettura!
Sesto capitolo
Possesso
Per
Gioia quel bacio era stato come un fulmine a ciel sereno ed era
così
sorpresa che non si era nemmeno arrabbiata quando aveva sentito il
campanello suonare, tutt'al più era rimasta delusa.
Alice
aveva cercato un contatto con lei molto intimo, quel che lei non
sapeva era che Gioia voleva di più, in un certo senso le
aveva dato
il consenso per fare il passo successivo.
Si
era alzata presto la mattina dopo, era entrata in bagno e vi aveva
perso un'ora buona per farsi bella solo per lei. Ne era uscita con
passo felpato, ben attenta a non far rumore visto che sapeva che
Alice amava dormire.
Si
portò una mano al petto a quel punto e si strinse nelle
spalle, poi
si riscosse: non doveva avere attimi di tentennamento, altrimenti
sarebbe tornata nella sua stanza senza tante cerimonie.
Si
introdusse nella camera da letto della coinquilina con un
atteggiamento talmente sospetto da poter passare per ladra,
scostò
le coperte che celavano il corpo della ragazza addormentata e si
sdraiò accanto a lei.
Portò
una mano, che tremava flebilmente, ad accarezzare il viso di Alice
rilassato per via del sonno, il suo respiro regolare la
tranquillizzò
e le diede coraggio per proseguire nell'intento.
In
un primo momento fu molto delicata, sfiorò le sue labbra a
malapena,
ancora indecisa se svegliarla in quel modo, poi, però,
sentì le
mani dell'altra sui suoi fianchi, che l'attiravano a sé e
chiedevano
di più.
Una
cosa che Gioia non sapeva era che Alice aveva il sonno molto leggero.
Rabbrividì
quando vide lo sguardo onice di lei venir scoperto dalle palpebre
rimaste chiuse fino a quel momento e gemette di dolore quando la
donna le morse il labbro inferiore.
“A
cosa devo questo assalto mattutino?” Chiese, scendendo a
lasciarle
dolci lusinghe sul collo, spostandosi col corpo sopra al suo per
prendere in mano la situazione. “Potrei denunciarti, lo
sai?”
Gioia
la osservò incredula, era rimasta spiazzata dalla presa di
posizione
dell'altra, nella sua mente la scena era stata ben diversa: un
buongiorno sussurrato e un ipotetico due di picche.
“Volevo...
chiarire”. Mugugnò, sussultando quando
sentì la mano di Alice
risalire lungo la coscia scoperta dai pantaloncini.
“Per
dare risposte le labbra devono essere libere, non credi anche
tu?”
La donna ridacchiò e scese a baciare l'incavo dei seni,
lasciando
che il suo respiro facesse rabbrividire Gioia, che si limitò
a
tirarle qualche ciocca di capelli con fare vagamente stizzito, non
riuscendo a contenersi, però, dal cingerle il bacino con le
gambe
per sentirla più vicina, ma Alice si interruppe fin troppo
presto e
si mise a sedere, i capelli spettinati e gli occhi ancora incrostati
dal sonno.
“Hai
un pessimo alito di prima mattina, ho preferito tappartele”.
Disse
Gioia, del tutto scontenta dalla lontananza dell'altra, tanto che le
saltò addosso e le gettò le braccia al collo.
“Non
sembravi disdegnare quando ti ho ficcato la lingua in bocca”.
Gioia
arrossì e fece una smorfia a queste parole, dopo le
lanciò un
cuscino: “Sei volgare”.
“Esprimevo
solo una mia considerazione”. E di nuovo le labbra furono su
quelle
della più piccola, impedendole di emetter fiato.
Si
separarono solo quando i polmoni d'entrambe si fecero sentire per
richiedere aria fresca e il sospiro che ne seguì espresse
tutta la
soddisfazione di quel bacio.
“Devi
mollare Xander”.
“E
tu devi raccontarmi qualcosa in più su di te”.
“Solo
se lo lasci”.
“Chi
ti dice che già non lo abbia fatto?”
Solo
dopo quella frase Gioia notò le occhiaie che affioravano sul
viso di
Alice, ne carezzò i contorni e a quel contatto
seguì la sensazione
di un pugno nello stomaco.
“Perché
lo hai fatto?” Chiese in un sussurro, facendola appoggiare su
di se
e carezzandole la schiena. “Per il bacio di ieri?”
“Più
o meno,” ammise Alice stuzzicando la spalla di Gioia con
altre
attenzioni che la castana fu ben felice di ricevere, “la
ragazza
lesbica e il ragazzo gay non formavano esattamente una coppia
perfetta”.
Gioia
sfiorò la fronte di Alice con le labbra e immerse la mano in
quei
capelli neri come la notte che tanto amava. “Ma è
stato il giorno
del suo compleanno”.
“Sì,
quale momento migliore per porre fine ad una relazione fatta
più
d'amicizia che d'amore ed iniziarne una che sicuramente avrà
sbocchi
più felici?”
Gioia
carezzò Alice con lo sguardo e le baciò la punta
del naso. “Credo
che sia comunque triste”. Ma l'altra scosse la testa e
appoggiò il
viso contro il palmo della sua mano. “Necessario, io direi,
spero
che già sia tra le sue braccia”.
“Aveva
qualcuno?” Gioia iniziò ad alterarsi, la sua mente
era già volta
al ricordo di quella sera.
“No.
Lui non accettava di essere dell'altra sponda. Pensa che, nonostante
stessimo assieme da un sacco di anni, non siamo mai riusciti ad avere
un rapporto completo. Lo capivo, certo, ma era snervante dover
ricorrere a certi... giochini”.
Gioia
la osservò incredula, non voleva scoppiarle a ridere in
faccia,
specie proprio in quel momento, ma questo voleva dire che lei era...
vergine?
“Perché
avete portato avanti la vostra relazione per così tanto
tempo
allora?”
Alice
prese fiato e avvolse i fianchi di Gioia in un tenero abbraccio.
“Perché gli servivo. Ero il suo punto fermo per
non entrare in
crisi fino a quando non è arrivato lui”.
“Lui
chi?”
“Tyler.
Non sto male, voglio solo assicurarmi che lui me lo tratti bene, ma
devo abituarmi all'idea di non averlo più in mezzo ai piedi.
Capirà
da solo perché l'ho fatto”.
Gioia
sorrise e la baciò con un impeto tale da farla cadere
all'indietro,
“ti aiuterò a dimenticare, fidati di
me”. Le sussurrò
all'orecchio, mentre iniziava ad esplorare il corpo che da tempo
desiderava: le sue mani si soffermarono sulle curve, poi scesero
ancora, regalando ad Alice tanti, piccoli brividi. Quando vide la
mora concedersi a lei e alle sue carezze, Gioia si godette ogni
attimo: il tempo di ogni indumento tolto, la durata di ogni singolo,
bollente bacio, ogni fremito che coglieva il corpo della compagna...
Si
chinò su di lei a lasciare un succhiotto sul seno sinistro,
finalmente poteva averla tutta per sé.
“Hai
esperienza con il gentil sesso?” Le chiese Alice non
riuscendo a
trattenere un sorriso carico d'aspettativa, ma quando lo sguardo di
Gioia si soffermò a studiare ogni singola parte di lei, la
mora
perse la sua baldanza e si limitò a rabbrividire ancora
sotto le sue
attenzioni.
Quella
mattina imparò molte cose su Gioia, il fatto che a letto
ogni sfida
era vinta per la castana era appurato. Le sensazioni che le aveva
fatto provare erano uniche e dannatamente eccitanti.
L'aveva
stretta a sé ancora una volta quando alla fine dell'amplesso
si
erano ritrovate sudate, ansimanti e senza una qualunque forza per
muovere anche solo un dito; le aveva scostato i lunghi capelli
dall'orecchio e le aveva sussurrato.
“Vieni
con me, a Londra”.
Gioia
aveva sorriso e annuito.
“Sì,
vengo con te”. Non un attimo di tentennamento.
“Adesso
credo che sia d'obbligo che tu mi parli di te”. Alice aveva
mantenuto un tono di voce basso e le carezzava dolcemente i capelli,
non voleva rompere l'incantesimo che si era venuto a creare, tuttavia
qualcosa sembrò intromettersi violentemente nel loro spazio
personale, lo sentì da come Gioia si era irrigidita e
stringeva più
forte la presa sulla sua vita.
Allora
iniziò a parlare.
Raccontò
di tutto: di Alex, della sua storia con lui, la delusione che aveva
provato nel vederlo con un'altra e la paura di affezionarsi di nuovo
a qualcuno. Descrisse accuratamente ogni dettaglio del suo primo
appuntamento con l'ex marito, ne descrisse persino l'aspetto.
“Occhi
verdi che non ti lasciano osservare nient'altro se non loro. La prima
volta che lo vidi ne restai folgorata”. Alice aveva
aggrottato la
fronte a quelle parole e l'aveva incitata a continuare.
Riuscì anche
a farsi dire qualcosa in più sull'aspetto di quel bastardo e
un
unico volto riusciva a figurarsi.
La
castana si addormentò mentre parlava, si era tranquillizzata
durante
quel racconto, probabilmente era la presenza di Alice a farla sentire
protetta.
Non
sapeva ancora che Alex aveva già fatto la sua apparizione e
se lo
avesse saputo, Gioia si sarebbe guardata dal prender sonno e avrebbe
reso partecipe la sua Alice di un paio di conversazioni avvenute con
Dory...
|
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Capitolo 7 *** Sollievo ***
Settimo
Capitolo
Sollievo
“Così
mi ha baciata e... sì, abbiamo anche fatto altro”.
Dory
era allibita, la sua cucciolina stava crescendo.
Trattenne
la tentazione d'asciugarsi una finta lacrimuccia col dorso della
mano: doveva ammetterlo, era fiera di lei, Gioia era riuscita a
domare una vera e propria belva selvatica.
“Direi,
giunte sin qui, che la sfida l'ho vinta io”.
Dory
annuì, ma al contrario di quel che si aspettava Gioia,
sembrava
raggiante.
“Non
sei mai stata contenta di perdere”.
“Per
questa volta farò un'eccezione”. Dory non
riuscì a trattenersi e
saltò al collo di Gioia, soffocandola in uno dei suoi
più sentiti
abbracci. Dio! Finalmente rivedeva nel viso della sua bambina paffuta
quella scintilla negli occhi che le mancava da così tanto
tempo!
“Ma
raccontami! Voglio sapere ogni dettaglio, com'è Alice a
letto?”
Gioia
arrossì, ripercorrendo con le lunga dita affusolate il collo
dove,
li ricordava con accurata precisione, i suoi baci avevano lasciato
una scia di dolci brividi.
“Se
proprio devo dirla tutta...”
Alice
aveva finito il suo allenamento quotidiano con una certa
soddisfazione; al suo ingresso in palestra aveva visto Jonathan
sollevare qualche peso, gli aveva accennato un saluto ed era andata a
riprendere il lavoro interrotto pochi giorni prima.
L'assenza
di Dory si era fatta sentire, soprattutto perché Alice
voleva dei
chiarimenti. Sapeva che probabilmente avrebbe dovuto chiederli
direttamente a Gioia, ma la verità era che non voleva
trovarsi
impreparata di fronte ad una discussione.
Uscita
dallo spogliatoio, la donna dovette ricredersi. L'assenza della rossa
non era necessariamente una brutta cosa, anche perché un
moretto al
quale da un paio di giorni a quella parte spesso pensava aveva appena
fatto il suo ingresso.
Alice
non rifletté molto, gli si avvicinò a passo
svelto e ne attirò
l'attenzione.
“Alex,
giusto?” Quello si voltò, confermando tutti i
sospetti della
ragazza.
La
migliore amica della storia di Gioia era Dory e quello che si trovava
di fronte a lei era il suo ex marito.
“Oh,
sei Alice, giusto?” Fece per stringerle la mano, ma Alice si
limitò
a fissarla con un cipiglio irritato: no, non aveva la minima
intenzione di stringerla. Alex se ne accorse e la ritirò,
guardandosi attorno un po' impacciato, “ho fatto qualcosa di
sbagliato?”
“Conosci
Gioia”. Non era una domanda ed Alice si stupì del
tono d'accusa
nella sua voce.
Alex
restò perplesso, aveva visto Dory e Jonathan in palestra, di
conseguenza sapeva che Alice avrebbe certamente dovuto sapere che la
risposta era affermativa, a meno che quelle due non avessero
architettato qualcosa.
“Sì,”
si limitò a dire Alex, non riuscendo a non far notare parte
della
sua confusione, confusione che finalmente riuscì a far
rientrare nei
limiti quando capì che Dory non aveva abbandonato il metodo
“bracca
e controlla”.
Infatti
Gioia e Dory, fin dai tempi dell'università, avevano uno
strano modo
di passare il tempo. Se a Dory interessava qualcuno, Gioia prendeva
informazioni su quel qualcuno e decideva se il prescelto fosse degno
o no della sua migliore amica. Ovviamente anche Dory faceva la stessa
cosa per Gioia.
C'era
da dire che quello non era il loro unico passatempo; entrambe amavano
scommettere, soprattutto sui loro amanti.
Alex
era venuto a conoscenza degli strani hobby delle ragazze per mezzo di
Jonathan e si era divertito molto mentre sgretolava ogni loro tecnica
di spionaggio&co.
“E
tu sapevi che Dory è la migliore amica di Gioia?”
Alice
annuì, la compagna avrebbe dovuto raccontarle un paio di
cosette al
suo ritorno. Eccome se lo avrebbe dovuto fare!
Alex
ridacchiò, “sei caduta nella trappola di quella
strega, ma non ti
preoccupare, uscirne non è poi così
difficile”. Il ragazzo le
fece l'occhiolino e le si avvicinò, “lascia che te
lo dimostri,
magari ad una cena, stasera...” le labbra di lui erano vicine
all'orecchio di lei, tanto vicine che Alice sentiva il fiato caldo
sulla pelle, ma gli occhi della mora erano stati calamitati da una
figura che andava via con un passo fin troppo svelto.
Alex
sapeva d'avere un certo fascino sulle persone e non si faceva
scrupoli ad utilizzarlo per i suoi fini; un po' come tempo addietro
faceva la sua cara ex mogliettina...
Gioia
e Dory erano nel vivo della conversazione, la castana stava per
arrivare al punto che la rossa più agognava conoscere,
quando tre
forti colpi giunsero dalla porta d'ingresso.
Entrambe
si guardarono sorprese, Gioia non aspettava nessuna visita ed Alice
portava sempre le chiavi con sé.
“Forse
è Jonathan”. Suppose Dory, alzandosi e
incamminandosi verso la
porta, “ma è strano: gli avevo detto di aspettarmi
a casa una
volta uscito dalla palestra, non capisco perché sia venuto
qui”.
Guardò dallo spioncino, giusto il tempo per notare le
espressioni
che contraddittoriamente si presentavano sul volto del suo...
definiamolo ragazzo - persino lei in certi momenti dubitava che fosse
umano – che passavano dal divertito al terrorizzato in pochi
istanti di secondo.
Aprì
la porta e Jonathan si precipitò in casa,
“ragazze, non immaginate
cos'è successo!” Disse col fiatone.
“Sono venuto di corsa qui
appena ho visto la scena. Alex... lui...”
“Sta
zitto,” sibilò una voce alle spalle del ragazzo.
Jonathan
si sentì gelare il sangue, probabilmente Alice doveva averlo
visto
mentre usciva.
Lui
aveva cercato d'avvertire in fretta le ragazze per tempo, ma la
batteria del suo cellulare aveva alzato la bandiera bianca e Dio solo
sapeva quali sarebbero state le punizioni che Dory avrebbe voluto
infliggergli una volta soli per quella mancanza!
Chissà
se Tyler l'avrebbe aiutato a far stare fuori la sua ragazza
dall'appartamento: sia perché per quella settimana aveva
ricevuto la
sua dose di pugni, ma anche perché la richiesta di
matrimonio che
voleva farle avrebbe occupato almeno un paio di giorni di
preparativi.
Sicuramente
Dory l'avrebbe seguito anche fin dentro l'appartamento che ancora
condivideva con Tyler per picchiarlo, ma lì teneva un
paietto di
cose che gli sarebbero tornati utili per la serata speciale che aveva
in mente...
Sospirò:
finché Dory fosse stata tanto presa dalla situazione di
Gioia,
tenerle qualcosa allo scuro sarebbe stato fattibile, al contrario,
nel caso Gioia avesse trovato qualcuno che Dory ritenesse alla sua
altezza – e per l 'amor di Dio! Ci sperava per il bene della
sua
amica, ma... - allora sarebbe stato impossibile farle una sorpresa.
“Ora
tutti voi mi spiegate quello che sta accadendo”. Alice
incrociò le
braccia e guardò malissimo le due, che si intimorirono di
fronte a
quello sguardo truce.
“Non
ucciderci per favore,” pregò Dory in un sussurro.
“Tutta colpa
di Gioia che non voleva innamorarsi ancora”.
La
nominata la guardò male. “Tradita dalla mia socia
in affari”.
Ebbe il coraggio di bofonchiare, evidentemente delusa da Dory,
tuttavia sapeva che la resistenza della rossa non era una cosa sulla
quale fare affidamento.
“Gioia!”
La voce graffiante di Alice la fece ammutolire; era arrabbiata, era
veramente arrabbiata.
“O...
okay...” l'interpellata deglutì un paio di volte
prima di trovare
la sua voce, che se ne era andata in fretta tanto velocemente che
Gioia dubitava sarebbe riuscita a riprenderla.
Le
parole uscirono dalla sua bocca come un fiume in piena, quasi come se
si aspettasse che magari, parlando velocemente, Alice si perdesse
almeno un pezzetto del racconto, ma la mora era attenta e al suo
orecchio non sfuggiva nulla.
Quando
arrivò alla parte riguardante la scommessina innocente fatta
con
Dory, la sua voce si assottigliò e divenne quasi
impercepibile per
la donna, che si dovette avvicinare e sedere di fronte a lei con una
certa dose di irritazione.
“Bene,
sono stata un giocattolo per te”. Disse Alice lapidaria e a
quel
punto Gioia avvertì una morsa attorno al suo cuore, la gola
serrata
e le lacrime che prepotenti sembravano voler giungere ai suoi occhi.
“No,
Alice... non dire così”.
Anche
Dory aveva voglia di piangere, sapeva che se Alice l'avesse lasciata,
Gioia non avrebbe retto il colpo e vedere la sua amica ridursi di
nuovo ad uno stato quasi catatonico l'avrebbe fatta precipitare nel
baratro assieme a lei.
Alice
alzò un dito per farla tacere e iniziò a
camminare avanti e
indietro, indecisa sul da farsi.
Dory
voleva provare a parlare, aggiungere almeno una parola in difesa
dell'amica, ma più cercava una scusa, più i sensi
di colpa le
impedivano di aprire bocca. Sapeva che si era comportata in modo
infantile, aveva sbagliato sia nei confronti di Alice, sia in quelli
di Gioia, per una volta avrebbe dovuto farsi i fatti suoi.
Alice
ispirò ed espirò un paio di volte. Non era
arrabbiata in verità:
non che Gioia glielo avesse dimostrato in qualche modo, ma sapeva che
quella nanetta provava qualcosa per lei e che era rimasta vittima del
suo stesso gioco.
Con
Dory erano un altro paio di maniche, ma ci sarebbe stato tempo, una
volta al ritorno del loro viaggio a Londra.
“Voi,
andatevene”. Disse con una voce talmente bassa e piena di
rancore
che sia Dory che Jonathan saltarono sull'attenti.
Dory
si avvicinò al suo ragazzo e gli cinse delicatamente un
braccio. Lui
le carezzò i capelli e la strinse a sé, dopo di
ché andarono via,
senza fiatare alcuna parola.
E
il silenzio inondò la stanza.
Muti
sguardi sfuggevoli intercorsero tra Gioia ed Alice, ma la prima non
aveva il coraggio d'aggiungere altro, anche perché le parole
erano
bloccate dal grosso nodo alla gola, che minacciava ad ogni secondo di
sciogliersi in una marea di lacrime. Le avrebbe voluto chiedere di
perdonarla, di lasciarle spiegare che si era lasciata coinvolgere da
Dory e che quella scommessa in realtà non l'aveva mai
nemmeno presa
in considerazione.
Era
Alice ciò che le interessava, la donna che non pensava
minimamente
di poter conquistare.
“Prepara
le tue cose”. Disse semplicemente.
E
per Gioia un coltello nello stomaco sarebbe stato meno doloroso.
La
prima lacrima trovò una via di fuga, rigò la
guancia e si lanciò -
una volta trovata la fine del viso - sulla mano che la ragazza teneva
stretta nell'altra.
Alice
avvicinò il viso a quello di Gioia e sfiorò
lievemente le labbra
con le sue. Non le piaceva vederla piangere, ma una punizione doveva
esserci.
“Questa
notte dormi nella tua stanza”.
Gioia
la guardò confusa, ma quel contatto che tanto amava
condividere con
Alice la lasciò insoddisfatta e, incurante dell'espressione
mortalmente seria della compagna, le gettò le braccia al
collo e
cercò di più, come sempre.
Alice
non l'accontentò, ma non sciolse l'abbraccio.
“Presto
dovremo andare a Londra, vedi di comportarti bene in questi
giorni”.
Poi si chiuse in camera sua, lasciando Gioia un po' perplessa,
però
quest'ultima doveva ammettere che la sua Alice le aveva concesso un
po' di sollievo.
Probabilmente, se non fosse stata per l'arrabbiatura, Alice avrebbe
detto alla sua coinquilina che Alex quel pomeriggio aveva fatto un
incontro ravvicinato col pavimento della palestra.
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Capitolo 8 *** Grazie ***
Ottavo capitolo
Grazie
Xander era confuso.
Da un paio di giorni a quella parte Alice aveva messo fine alla loro relazione, dicendogli che era giusto che finisse così. Il perché non l'aveva specificato, ma il parrucchiere, o almeno buona parte di lui, aveva capito il motivo della decisione.
Ma perché proprio in quel momento? Alice aveva scelto proprio il periodo nel quale aveva più bisogno di lei.
Si passò una mano tra i capelli, era agitato.
Cosa lo aveva spinto ad andare da lui? Probabilmente era il bisogno di un conforto, di un sorriso amico e di qualche pacca sulla spalla.
Solo dopo l'ennesimo tentativo Xander riuscì a bussare alla porta di Tyler.
Era mercoledì sera, probabilmente il ragazzo lo avrebbe cacciato in malo modo non appena lo avesse visto sulla soglia della porta, tuttavia preferiva sfidare la sorte.
La porta si aprì e una spada laser ne fece capolino.
Xander indietreggiò di corsa, spaventato.
Non aveva mai visto Star Wars, il parrucchiere, e Tyler rimase perplesso quando vide Xander cercare di non svenire e prendere aria a grandi boccate di fronte al suo volto celato dalla maschera di Darth Vader.
Xander prese coraggio dopo un tempo indefinito e piantò per bene i piedi a terra. “Cos'hai fatto a Tyler? Bastardo!”
Di per sé, il nominato restò interdetto: andava bene non aver visto Star Wars, l'ignoranza mica era una colpa del singolo individuo - nella maggior parte dei casi - ma addirittura non riconoscere un simbolo!
Svelò il suo volto e lo sguardo che lanciò al parrucchiere rappresenteva il ruggito silenzioso del suo orgoglio nerd.
“Stasera, mio apprendista, riceverai l'addestramento al quale solo i migliori sopravvivono. Se supererai la notte, diventerai un jedi”.
Tralasciando il fatto che quella frase suonò come una proposta indecente alle orecchie non istruite di Xander, il parrucchiere iniziò a capire cosa stesse facendo quel folle del suo amico.
Cosplay.
In casa?
Da solo?
Bah! Chi lo capiva era bravo.
“Ora siediti e, da bravo, guarda questo film”. E detto questo, Tyler si chinò su un vecchio videoregistratore e ne inserì una cassetta.
“Ma dove hai trovato questa roba? L'hai comprata da mia nonna?”
Tyler sospirò con una certa rassegnazione, non pretendeva mica che Xander capisse la bellezza intrinseca in quegli oggetti d'epoca.
“Sta zitto e guarda”.
Partirono i titoli di coda, Xander si fece incredibilmente silenzioso mentre apprendeva la situazione della Repubblica Galattica e della Confederazione dei Mercanti e non fece poi molto caso al fatto che Tyler non gli avesse chiesto nemmeno perché si trovava lì.
Il padrone di casa iniziò ad osservare il suo adone personale, apparso così, come un'apparizione divina sulla soglia della sua porta.
Tyler sapeva come stavano le cose tra lui e Alice, visto che Jonathan aveva avuto modo di raccontargli qualche cosa – per non dire tutto - tuttavia non sperava davvero di rivedere un'altra volta Xander nel suo salotto.... dopo la festa in maschera di qualche mese prima, quando erano entrambi ubriachi e si erano ritrovati ad amoreggiare sul divano.
Sospirò vagamente quando ricordò che si era risvegliato il giorno dopo da solo. Xander aveva declinato il suo invito consistente di un letto caldo e una buona compagnia, dicendo che già a casa c'era chi lo aspettava.
Ora la situazione era ben diversa e Tyler non resistette dallo sfregare tra di loro le mani come facevano le mosche malvagie che svolacchiavano in giro per la cucina... quando lasciava le finestre aperte, sia chiaro, Tyler era una persona pulitissima! O forse no... e il fatto che viveva nella pulizia assoluta era merito di Jonathan... ma questi sarebbero rimasti misteri irrisolti fino a quando il suo amichetto non avesse deciso di sposare – firmando le carte per la certezza di un infarto futuro – la sua adorata Dory.
Il film finì alle undici, Xander non era al meglio delle sue condizioni mentali, aveva tentato di ricordare ogni singolo nome e cercato di seguire i sottosviluppi della trama, ma... non c'era riuscito, e ora si sentiva come un guscio vuoto senza cervello, quello era andato via via evaporando.
Tyler invece era vagamente soddisfatto, “e pensa che ora potremo vedere anche il secondo e il terzo!”
Xander voltò la testa verso di lui, gli occhi spenti, esanimi, il viso una maschera di cera, “sei serio?”
Tyler rise e cambiò la videocassetta, mettendo però in pausa.
“Un'ora di relax e poi ricominciamo, ma adesso, visto che mentre guardavi il film sembravi piuttosto assorto, magari mi dici perché hai deciso di presentarti in casa mia senza preavviso, così svii l'attenzione”.
Xander lo prese per i fianchi e lo buttò sul divano. “Ti prego,” disse premendo le labbra sulle sue per zittirlo, “se mi dai più di un'ora per riposarmi ti faccio vedere che possiamo passare il tempo in altro modo”.
E anche per quel mercoledì sera la serata fantasy venne cancellata.
Sarebbe stata ribattezzata in ben altro modo, se magari Xander avesse accettato un'offerta che stava per esser riproposta.
Il parrucchiere sapeva ciò che era, aveva bisogno di qualcuno che non rinunciasse a lui facilmente e che non lo avrebbe lasciato solo nel momento del bisogno. La caparbietà di Tyler era stata una prova più che sufficiente: per mesi e mesi gli aveva girato attorno, aveva insistito dopo un suo evidente rifiuto e si era persino sottoposto a tutti gli esperimenti che più i suoi capelli gli ispiravano.
Xander aveva notato le provocazioni, le battute spinte e le occhiate sognanti di Tyler. Non lo aveva allontanato poi tanto. Il ragazzo gli aveva offerto tutto di sé, in molti di fronte a un rifiuto si sarebbero sentiti offesi, umiliati. Xander doveva capire se Tyler non si fosse comportato di conseguenza per orgoglio oppure per il semplice fatto che aveva notato il suo disagio nell'essere ciò che non voleva ammettere.
Ma per quello ci sarebbe stato tempo; in quel momento era il ragazzo sotto di sé ad avere la massima priorità.
L'ultimo pensiero prima di concentrarsi integramente sulla sua nuova fiamma fu Alice.
La ringraziò di tutto.
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Capitolo 9 *** Londra ***
Nono
Capitolo
Londra
La
valigia era pesante, Gioia odiava trascinarla da un posto all'altro,
specie con il caldo che soffocava non solo il respiro, ma anche la
voglia di fare altro che non fosse buttarsi in una piscina e non
muoversi più di lì per almeno i prossimi duecento
anni.
Per
poco non arrivò col culo a terra quando, incasinata com'era
tra
bagagli, mappe e quant'altro, cercò di sollevare il tutto
per salire
sul taxi.
Alice
alle sue spalle, occhiali da sole e cappello di paglia calato a celar
il viso, si guardava attorno con aria curiosa, intenta ad osservare
la frenetica vita di Londra che sembrava concentrarsi tutta
lì, in
quell'aeroporto, dove ognuno teneva un passo affrettato e qualcuno
correva per afferrare il suo volo.
“Ti
sarei grata se mi dessi una mano, sai?” La
rimproverò
sarcasticamente Gioia, già alterata non solo dal
menefreghismo della
compagna, ma anche dalle occhiate che Alice riceveva dalla
maggioranza dei ragazzi che passavano di là, tuttavia la
modella
rimase tranquilla e nonostante l'espressione stravolta della sua
ragazza, non poté trovarla che buffa mentre cercava di
occuparsi di
lei come doveva un “vero uomo”.
“Avevi
detto che io non avrei mosso un dito per tutto il viaggio”.
Gioia
la guardò male: sì, glielo aveva detto, ma non
pensava che andando
a Londra avrebbe beccato proprio il giorno in cui il sole aveva
deciso di mostrare che poteva far arrivare anche lì la
temperatura a
ventisette gradi, se si impegnava.
Alice
rise nel modo che più, sapeva, infastidiva la sua compagnia.
Gioia
alzò gli occhi al cielo e sbuffò quando
sentì il sudore che faceva
aderire la maglia sintetica al suo corpo.
Non
era una vacanza quella! Era una punizione!
E
in effetti Gioia stava ancora scontando la pena che Alice aveva
scelto per lei: essa era costituita da tante piccole ripicche che
avrebbero mandato presto all'aria il minimo autocontrollo che Gioia
aveva acquisito in quelle due settimane.
Alice
non aspettava altro che quel momento: ormai si era stancata di vedere
la sua compagna con quell'atteggiamento da sottomessa che poco le si
addiceva.
La
aiutò a mettere i bagagli in auto, poi si sedette e la
tirò su di
sé, regalandole un bacio a fior di labbra.
Gioia
in un primo momento aveva cercato d'allontanarla, ma si trattava di
Alice e non le resisteva; triste verità.
“Sai
che sei perdonata, vero?”
Gioia
sospirò e si passò una mano tra i capelli,
imbarazzata
dall'espressione indecifrabile del conducente.
“Sì
più o meno”. Poi si rivolse all'uomo che aspettava
istruzioni.
“Dobbiamo andare a...” guardò per un po'
la cartina, rinunciando
ad interpretarla e limitandosi ad indicare la zona.
Non
rispose alla domanda di Alice in modo più completo e il
viaggio fu
fatto in un silenzio tombale.
Gioia
girò le chiavi nella toppa e aprì la porta, non
appena lo fece, due
furie le si lanciarono contro.
“Che
ci fate voi due qui?” Chiese sorpresa e divertita nel vedere
una
Dory stravolta e un Jonathan in abito da sera.
“Approfittiamo
del fatto che Alice sia ric...” stava per dire il ragazzo,
beccandosi un'occhiataccia da parte della sua ancora inconsapevole
futura sposa. “Ok, il biglietto aereo lo abbiamo pagato noi,
Alice
ci ha offerto una stanza in questo hotel però...”
L'interpellata
alzò gli occhi al cielo. “Solo per i tuoi
programmi, non per
altro. Vedi di fare le cose per bene”. Si limitò a
dire,
trascinando dentro i bagagli: Gioia voleva portarli fino in camera,
cercando di dimostrare ancora una volta la sua mascolinità,
mal per
lei aveva già le braccia a pezzi una volta arrivate
all'ascensore e
i “te l'avevo detto” riferiti al fatto che avrebbe
fatto meglio a
delegare il compito a chi di dovere erano stati essenziali.
“In
realtà, Gioia, ci sarebbe una cosa. Vogliamo farci
perdonare”.
Jonathan
si morse le labbra per evitare di correggere Dory. Lui in fondo non
aveva fatto nulla di che, tuttavia era meglio tacere se non voleva
passare la notte sul divano.
La
rossa frugò nella sua borsa fino ad estrarne un quaderno. Il
codex
alearum.
Gioia
la guardò male, quel quaderno aveva messo in pericolo la
relazione
tra lei e Alice.
“Aspetta,
già Jonathan e Alice sanno quel che voglio fare”.
Si affrettò a
dire Dory prima che l'altra la mangiasse viva.
“Sei
pronta Gioia?” Chiese Dory.
Teneva
in una mano il loro quaderno e nell'altra, posta sotto di esso, aveva
un accendino.
“Pronta”.
Affermò Gioia, guardando poi il quaderno che piano piano
prendeva
fuoco.
Venne
gettato nel camino della lussuosa stanza dell'hotel.
Alice
ridacchiò.
“Questa
è la fine dei tuoi anni di festini”.
Gioia
le cinse la vita in un delicato abbraccio. “Ora iniziano i
guai
seri. Pensa che dovrò dire a mia madre di te”.
Dory
quasi si soffocò con la sua stessa saliva e disse dopo molti
tentativi: “Dille che hai i soldi! Piangerà da un
occhio
soltanto”.
“Beh
tesoro,” la interruppe Jonathan mettendosi in ginocchio
davanti a
lei. “Se bruciare il quaderno significa per Gioia il dire
addio
alle sue notti d'avventura, forse vuole dire la stessa cosa anche per
te. Quindi... sposami!” Le sorrise, mostrandole l'anello che
aveva
tormentato fino ad un attimo prima, quando Dory era fin troppo
concentrata sul quaderno per badare a ciò che Jonathan
stringeva tra
le mani.
Il
ragazzo aveva mandato all'aria una serata di preparativi, eppure era
sicuro che non gli sarebbe mai capitata occasione migliore.
Lei
fece un urletto stridulo, poi gli diede uno scappellotto sulla testa.
“E
questo che significherebbe?” Chiese Jonathan perplesso.
“Forse...
un no?”
“No!
Amore, scusami! L'abitudine!” Rise Dory, baciandolo con foga
e
facendosi mettere l'anello.
Jonathan
era più confuso per come lo aveva chiamato. In tutti quegli
anni il
soprannome più dolce che gli aveva affibbiato era stato
“adorabile
rompiscatole”.
“Amore?”
Trovò infine il coraggio di chiedere.
Dory
lo baciò ancora. “Non farci l'abitudine, stavolta
è un'occasione
speciale”.
E
mentre quei due si guardavano con la felicità di chi aveva
appena
sigillato un'unione, Gioia si sporse a dare un bacio sulla punta del
naso alla sua Alice.
“So
che mi hai perdonata, ma adesso mi sono perdonata anche io. Ti amo,
Alice”.
La
donna carezzò col dorso della mano la pelle delicata del suo
viso e
le sorrise come non aveva mai fatto. “Ti amo anche io,
Gioia”.
Fine
Angolo
dell'autrice
E'
sempre strano arrivare alla conclusione di una long e le parole noto
che vengono spesso a mancare in queste ricorrenze.
Ho
notato che le visualizzazioni dal primo capitolo all'ultimo prima di
questo non sono diminuite precipitosamente e che sono riuscita a
coinvolgere costantemente i lettori e di questo non sarei potuta
essere più felice.
Un
ultimo ringraziamento va sempre a Darcon21 che mi ha seguita fino
alla fine, ma anche a chi ha messo in una delle tre liste una delle
mie prime originali.
Questa
storia partecipa al contest “Pack up the louie!” E
probabilmente
avrà una rivisitazione che cancellerà molte delle
imperfezioni che
forse avrete notato da un capitolo all'altro.
Cos'altro
dire?
Tyler
è arrabbiatissimo per esser rimasto indietro, anche lui
voleva
andare a Londra! Diciamolo che è un po' il sogno di tutti,
ma va
beh, può consolarsi con il suo bel parrucchiere!
Alla
prossima!
Mirella__
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