Un sentimento che trascende il tempo.

di I Fiori del Male
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ogni cosa ha un principio ***
Capitolo 2: *** Segreti e malintesi ***
Capitolo 3: *** Sentimenti e Imprevisti... o sentimenti imprevisti? ***



Capitolo 1
*** Ogni cosa ha un principio ***



Capitolo I

- Ogni cosa ha un principio -
 
 
Mi chiamo Inuyasha e sono un ragazzo di diciassette anni come tanti, almeno all’apparenza. La questione dell’apparenza è importante perché, malgrado il mio aspetto quasi del tutto normale,  non sono un comune essere umano ma un demone, precisamente un demone cane come il mio stesso nome suggerisce.
Vivo a Tokyo da quando ho memoria; nonostante questo non sono sicuro di appartenervi, ho la sensazione che lo scorrere del mio tempo sia differente da quello di questa città, forse addirittura di questo intero mondo. Sono in qualche modo consapevole di provenire da qualcosa come un’altra epoca e non ho la più pallida idea di come io possa esser capitato proprio qui.
Ovviamente nessuno è a conoscenza di tutto questo. Per fortuna nel corso degli anni ho saputo guadagnare il timore di tutti,  così che nessuno ha mai cercato di togliermi di dosso il berretto che porto sempre in testa. Se mai ci riuscissero, vedrebbero che al di sotto ci sono un paio di orecchie da cane.
Purtroppo in mezzo alla brava gente che ha imparato a stare al suo posto c’è sempre qualcuno dallo spirito ribelle. Anche in questa mattina qualsiasi di un giorno qualunque, in cui come sempre devo andare a scuola anche io, mi ritrovo ad avere a che fare con gente del genere.

- Ehi, tu! –

Sto camminando sovrappensiero quando all’improvviso qualcuno decide di apostrofarmi a quel modo.

- Che cosa vuoi? O forse sarebbe meglio chiedere cosa volete? – è la mia risposta subito aggressiva. Non è gente buona e si vede. Il mio fiuto e il mio udito fuori dal comune mi hanno permesso, fortunatamente, di notare subito i cinque o sei scagnozzi del tipo che mi sta di fronte, che si nascondono nei paraggi pronti a colpirmi, magari anche tutti assieme. Infatti l’idiota davanti a me fa una faccia a dir poco esilarante. Peccato non abbia perso la voglia di dar fiato a quella fogna che si ritrova al posto della bocca.

- Che voglio? Brutto stronzo fai anche il finto tonto? Sono quello dell’altra sera al bar. Sono venuto a farti vedere che vuol dire farmi incazzare. –
E dire che non ne è stato capace nemmeno quella volta. Crede forse che con sei persone a dargli manforte sia tutto più facile? Normalmente sarebbe così, ma io non sono normale. Non sono uno dei classici bulletti di questa città, buoni solo a parlare e capaci di fare i grandi solo in gruppo. Io sono sempre solo, me la sbrigo per conto mio, e questo perché posso.
Com’è che si dice? C’è chi può e chi non può, no?

Mi avvento su di lui a una velocità assurda – per gli esseri umani ovviamente – e gli sferro un destro in pieno viso. Basta per farlo crollare a terra e vedere il sangue uscirgli copioso dal naso. Una risata selvaggia mi sale spontaneamente su per la gola per poi esplodermi tra i denti e vedo il suo volto farsi bianco, forse più per il terrore che per il dolore. Solo che non basta a impietosirmi, anzi mi fa ribollire il sangue nelle vene.  Così lo prendo per il colletto della divisa e continuo a colpirlo, senza sosta, fin quando non perde i sensi. La paura che sento provenire dagli altri, ancora nascosti, per mezzo del mio fiuto canino mi risveglia e il suono di tutti questi cuori che battono veloci dal terrore è musica per le mie orecchie.
Lo abbandono nel vicolo lì accanto. Spero per lui che i suoi compari siano almeno buoni a prestargli soccorso.

- 'Fanculo! La divisa! – esclamo. C’è una larga chiazza rossa del sangue di quel cretino sul mio petto. Non avrei problemi ad andare in giro così, ma i professori potrebbero non pensarla allo stesso modo e io non posso assentarmi di nuovo senza rischiare l’espulsione. Penso a Kaede, la donna che si è presa cura di me, ormai morta e a quanto ci tenesse a farmi avere un’istruzione. Scuoto la testa e mi allaccio la giacca, nonostante il caldo pazzesco, per non far vedere la macchia all’entrata. Mi cambierò negli spogliatoi con la divisa da ginnastica.
 
 


Mi chiamo Kagome. Kagome Higurashi. Ho sedici anni, sono nata e vivo qui a Tokyo.
Come tutte le sante mattine sto andando a scuola. Non che io abbia nulla contro l’istruzione ma di sicuro preferirei andare a rilassarmi alle terme piuttosto che chiudermi in quel triste edificio ogni mattina.  Sono una ragazza normale dal medio rendimento scolastico che vive una vita perfettamente nella norma. Fin troppo. A volte desidererei qualche brivido in più nella mia monotona esistenza...
... solo che per brivido non intendo certo lo spettacolo degno di un horror che mi si sta parando davanti agli occhi: sono passata davanti a un vicolo, di quelli talmente stretti che nemmeno in pieno giorno riesce a passare abbastanza luce da rischiararli, e invece di trovarlo vuoto come al solito ho intravisto nella penombra un ragazzo, all’incirca della mia età, ricoperto di sangue.  Doveva aver appena partecipato a una rissa con un avversario decisamente troppo forte.
Quanto trovo stupide queste cose... nonostante ciò non posso proprio ignorarlo, così mi avvicino scoprendo che è in compagnia di altri ragazzi, tutti evidentemente scossi.

- Ma cos’è successo? Ti senti bene? – gli chiedo per quanto la risposta sia ovvia, ma non ottengo alcuna risposta nemmeno dai suoi amici, che mi fissano terrorizzati. Immagino pensino che chiamerò la polizia. So che dovrei farlo, ma trovo che non abbia senso e in più comincio ad avere un brutto presentimento.

- Tranquilli, non ho intenzione di chiamare nessuno. – li rassicuro e loro si rilassano visibilmente.

- Be, ecco... – comincia quello più vicino all’uscita del vicolo. Evidentemente non vuole dirmi della rissa, come se io fossi tanto stupida da non arrivarci da sola. Essere una ragazza non vuol dire essere scema fino a tal punto, ma chissà perché non ho ancora trovato un solo ragazzo disposto ad ammetterlo.

- Andiamo... – sbuffo. – Si vede che c’è stata una rissa. E il vostro avversario doveva essere una belva, a giudicare da com’è ridotto lui. – lo indico, e lui annuisce.

Che seccatura, ora sono certa di chi sia stato. C’è una sola persona, almeno in questo quartiere, in grado di fare una cosa del genere. Un compagno di classe cui non ho mai rivolto la parola ma che fa parlare di se nell’intera scuola per via del suo comportamento rozzo a dir poco insopportabile. Certo è ovvio che nasconde qualcosa, un qualche trauma psicologico come tutti i classici bulli. Una di quelle cose che le ragazze percepiscono per istinto.
Sicuramente è opera di Inuyasha.
Pronuncio il suo nome a voce alta e la piccola banda di idioti ricomincia a tremare come avessi evocato il diavolo in persona. Bingo!

- Sei forse sua amica? – balbetta un altro, dall’oscurità.
Perfetto, ci mancava solo questa.

- IO AMICA DI QUEL DEFICIENTE? – esplodo. Mi secca che qualcuno possa pensare una cosa del genere, visto e considerato che non lo sopporto così come non reggo chiunque si comporti a quel modo piuttosto che affrontare i propri problemi. Preferirei vederlo venire da me e dire che ha bisogno di aiuto, anche se non so nemmeno perché sto pensando ad un’eventualità tanto assurda.
Cerco di calmarmi visto che la banda di scemi ha ripreso a tremare come se ci fosse bisogno di avere paura anche di me.

- Chiamate un’ambulanza, ha perso un sacco di sangue. – consiglio loro, pur sapendo che la paura di essere scoperti quasi sicuramente impedirà loro di farlo. Poi guardo l’orologio.

- Accidenti è tardissimo! – esclamo, per poi correre dritta verso la scuola.
 
 


Ma perché questo scemo deve mettersi ad aspettare davanti al cancello tutte le sante mattine?

Il preside sembra avermi letto nel pensiero, perché mi guarda corrucciato.

- Muoviti, Taishou! – mi intima, e io oltrepasso il cancello senza dire una parola. Tranquillo come se non avessi appena smesso di correre per arrivare in tempo. Una ragazza mi sorpassa correndo.
La osservo da capo a piedi: i capelli lunghi lisci e scuri, gli occhi marroni, delle belle gambe scoperte dalla gonna corta, un fisico ben modellato anche se abbastanza nella norma.
Lei però pare essersi accorta della radiografia.

- Che hai da guardare? – chiede, irritata. Io alzo un sopracciglio: è la prima volta che una ragazza si rivolge a me in questo modo. Di solito scappano quando mi vedono.

- Gli occhi me l’hanno fatti per quello. Per guardare. – rispondo, tranquillo. Lei si infuria ancora di più, lo vedo da come stringe i pugni e lo sento dal battito cardiaco accelerato. Ma non molla.

- Bè vedi di guardare qualcos’altro o ti cavo gli occhi! –

Con questo si volta e si dirige in classe senza più fare caso a me, anche se sto ancora fissando la gonna che ondeggia a ogni passo. La seguo prima che il preside ricominci a urlare.

Interessante ...
 
Dopo due sole ore di lezione ho già una voglia tremenda di urlare e di uscire da qui. C’è questo professore che parla, parla, parla delle difficoltà della vita raccontate da un tizio di cui non ricordo il nome, che però aveva un mare di soldi su cui contare. Cosa dovrei dire io,  che sono cresciuto per strada senza la sicurezza del pranzo e della cena fino ai dieci anni?
Qualcuno però, da qualche parte lassù, mi sta ascoltando.

- Taishou, visto che stamattina sembri essere particolarmente distratto, forse è il caso che tu vada a prendere una boccata d’aria. Va in III B e chiedi di Higurashi, ne ho bisogno per un progetto. E cerca di essere educato. –

Grugnisco in risposta mentre mi alzo, tenendo le mani in tasca. Ne tiro fuori una solo per aprire la porta, che poi richiudo con un piede.
Un ghigno mi si stampa sul volto mentre sento il professore dall’altra parte della porta gridare qualcosa sul fatto che non sono molto diverso da un selvaggio.
Cerco di prendermi tutto il tempo che voglio per arrivare alla III B, che fortunatamente è dall’altra parte della scuola, ma alla fine arrivo. Busso educatamente alla porta sbuffandomi addosso da solo per aver usato tanta cortesia, ma apro senza aspettare il consenso.

Più che vederlo, sento il brivido che passa per tutti i banchi non appena la mia faccia compare sulla soglia. Tutti evitano il mio sguardo tranne una ragazza. La guardo meglio e mi rendo conto che è la stessa di stamattina. Se gli sguardi potessero uccidere...

- Cerco Higurashi per conto del professor Suzuhara. – dico, e vedo lo sguardo di lei farsi sorpreso mentre alza lentamente la mano.

- Sono io. – dice, poi guarda il professore che le fa un cenno d’assenso, quindi si alza e viene verso di me. Sento l’intera classe bisbigliare qualcosa sul fatto che probabilmente cercherò di intrappolarla in qualche angolo buio della scuola e la cosa mi fa infuriare: d’accordo il timore, ma non sono quel tipo di mostro ne ho mai fatto nulla per farlo pensare.
Higurashi mi raggiunge. Siamo molto più vicini di stamattina ma la cosa sembra restarle assolutamente indifferente, e così il chiacchierio dei suoi compagni. Com’è possibile? Questa ragazza mi irrita da quant’è sfacciata. Perché non trema come tutti gli altri? E perché mi fissa dritto negli occhi quando mi parla?
 
 

Accidenti! Di tutte le persone che il professor Suzuhara avrebbe potuto scegliere, proprio lui?

Inuyasha mi sta fissando.

- In III A – dice. Gli passo avanti. Non ho certo bisogno di una guida, ma subito me ne pento. Sento il suo sguardo pizzicarmi la nuca.

Sto per esplodere! Tra poco perdo il controllo! Stupido Inuyasha! Cretino! Deficiente! Idiota! ... su su Kagome, sta calma. Non mostrarti a disagio, per lui sarebbe una vittoria, e con te non deve conoscere che le sconfitte!

- E quindi il tuo nome è Higurashi eh? Carino. – dice. Stringo forte i pugni. Quanto vorrei colpirlo!

- Sta zitto! E poi quello è il mio cognome, scemo. Il nome è un’altra cosa. – sputo con cattiveria, continuando a camminare.

- Uuuuh ma sentitela! Come siamo suscettibili eh? Be, allora, Miss Perfettina, il tuo nome quale sarebbe? – domanda, sputando tanto veleno quanto me. Non ho mai desiderato così tanto uccidere qualcuno, finora.

Non gli rispondo.

- Allora? – incalza.

- Non ti interessa. –

- Questo se permetti, lo decido io... –

Eccolo di nuovo in tutta la sua presunzione. Oh come mi prudono le mani!
Sono letteralmente al limite, talmente esasperata che perfino le dimensioni dello spazio che ci circonda si sono alterate: questa scuola è sempre stata grande, ma non mi è mai sembrata tanto immensa.

Ad un tratto due ragazzi sbucano da dietro l’angolo di corsa. Il primo mi spinge, facendomi cadere.

- Ahia! Siete matti? Non si corre in corridoio! – urlo. Tento di rialzarmi ma crollo a terra di nuovo quando mi rendo conto che la caviglia mi fa male. Devo essermela lussata nella caduta. Alzo il viso a guardare Inuyasha, che invece è in piedi con l’aria di chi non ha visto nulla.
Che sia lui la fonte di tutta questa sfiga di oggi? Non è difficile crederlo.
Abbassa un po’ il viso a guardarmi non appena si accorge che lo sto fissando.

- Stai bene? – chiede, tendendomi una mano.

Non faccio in tempo a stupirmi del suo gesto perché qualcos’altro ha catturato la mia attenzione. Qualcosa che non avrei mai pensato di vedere in tutta la mia vita. 




*Angolo Autrice*     Ciao a tutti! :) Grazie per aver letto questo primo capitolo di "Un sentimento che trascende il tempo" :) Spero vi sia piaciuto e vi invito a farmelo sapere con una recensione :) Lo stesso vale per qualsiasi critica abbiate, voglio sentirle! :) Ribadisco qui quel che ho già detto nella presentazione della storia: si tratta di una ri - pubblicazione di una storia che avevo già iniziato a pubblicare ma che non ho mai portato avanti, per ragioni di tempo. Ho deciso di riscriverla per via del fatto che il mio stile nel frattempo è cambiato molto e credo che il mio modo di scrivere sia migliorato da allora :) Vi avviso inoltre che il rating Verde è momentaneo, dato che non so ancora come si svilupperanno del tutto gli eventi, quindi sia quello che eventuali altre caratteristiche segnalate per la storia potrebbero cambiare. :) 

Un bacio 

Una rosa in Fiamme <3

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Capitolo 2
*** Segreti e malintesi ***


Capitolo II

- Segreti e malintesi–

 
 
Me ne sto seduta a terra, la mano intenta a massaggiare la caviglia dolorante in un gesto diventato ormai meccanico, perché la mia attenzione è focalizzata su qualcos’altro:
Un paio di orecchie canine.
Alzo il braccio, oltre la mano tesa di Inuyasha, indicandole con mano tremante.

-  Ma... ma-ma-ma-ma-ma-ma-ma-maaaaaaaa?????? –

Ho perso la facoltà di parola.

- Higurashi, sicura di stare bene? Non avrai preso una botta in testa? – mi chiede lui, sinceramente preoccupato ed evidentemente ignaro di quel che sto vedendo. Il cappello che indossa di solito è ormai abbandonato sul pavimento e adesso capisco perché non l’ho mai visto senza.
Prendo un bel respiro.

- Prima di prendere in giro me, dovresti guardarti allo specchio! Per caso non ti sei accorto di avere delle orecchie da cane?! –

La sua intera figura pare congelarsi all’istante.
 
 

Il mio braccio sembra pesare come un macigno mentre me lo porto alla testa, sinceramente terrorizzato per la prima volta in vita mia.

Quando la mano incontra i capelli e il pelo delle orecchie, capisco di essere spacciato.

Non avrebbe dovuto saperlo mai nessuno, e adesso questa ragazzina...

La prendo bruscamente per il braccio ancora alzato e la tiro su.

- Io e te dobbiamo parlare, ora! – esclamo.

- Ahia! Piano, mi fai male! Vorresti farmi camminare in queste condizioni? – Urla, appoggiandosi a me per non gravare col peso sulla caviglia. Non ho tempo per aspettare che il suo piede guarisca, così la prendo in braccio.

- Ehi! Mollami! – esclama, agitandosi.

- Non ho tempo per le tue lagne! Sta zitta, non ti faccio niente! – urlo.  – Piuttosto tieniti forte! –

Così dicendo comincio a correre, stavolta sul serio, verso il terrazzo della scuola.
 


Prima che io possa anche solo battere una volta le palpebre, ha raggiunto una velocità disumana. Affondo le dita nella camicia della sua divisa e grido, serrando gli occhi.

- Shhhh! Se urli ancora qualcuno ci fermerà, e io devo parlare con te ADESSO! – esclama.
Passa qualche secondo prima che io senta dell’aria fresca sul viso. Capisco di essere sul terrazzo e mi decido ad aprire gli occhi. Sono ancora tra le sue braccia e la cosa mi mette un po’ a disagio.

- Fammi scendere. – dico, e lui mi deposita sul pavimento, dove ricomincio a massaggiarmi la caviglia.

- Ok. – comincia. – Prima cosa: tu non hai visto niente.  Però se ho capito anche solo un po’ come sei saresti capace di tormentarmi per il resto dei miei giorni per sapere qualcosa di più, quindi te lo racconto. Uhm... da dove posso cominciare? –

- Comincia con lo spiegarmi perché mai invece di avere orecchie come le mie hai delle orecchie di cane pelose sulla testa. – suggerisco ironica e lui sbuffa, sedendosi a gambe incrociate e braccia conserte davanti a me.
 
 


- La mia infanzia è sempre stata un buco nero fino ai sette anni, più o meno. Dai sette ai dieci ho vissuto nei vicoli di Tokyo. Per uno come me non è stato difficile, anche a quell’età, sopravvivere. Dimmi Higurashi, che significa il mio nome? –

- Demone cane. – risponde subito. –  Quindi tu saresti davvero... un demone cane? E io che credevo fossi nato così chiassoso da spingere i tuoi genitori a chiamarti così. –

Annuisco. – Non so chi fossero i miei genitori, ne da dove provengo in realtà. Sono solo sicuro di non appartenere a questo posto. Ho passato l’infanzia a lottare coi vagabondi per l’ultimo pezzo di pane, a catturare gatti e topi. Un giorno un gruppo di ragazzini mi prese di mira, per via di queste orecchie. Non sapevo fosse strano averle, così non le nascondevo. Cercarono di prendermi a botte, ma ero troppo forte per loro, pur essendo piccolo. Cominciai a picchiarli, sempre più forte. C’era sangue ovunque. Ricordo che una ragazzina urlò fuori dal vicolo e io per qualche ragione mi fermai, così chi era ancora rimasto scappò. –

Lei mi osserva senza dire una parola, ma non sembra spaventata ne disgustata, così vado avanti.

- Il giorno dopo, rubai un cappello e da allora ne ho sempre indossati. Quello stesso giorno Kaede mi trovò. –

- Kaede? – chiede Higurashi.

- Era una donna di ricca famiglia e decise di prendersi cura di me. Mi diede una casa, cibo, vestiti, un’educazione. –

- E’ una specie di mamma adottiva. – osserva Higurashi sorridendo, e c’è qualcosa in quel sorriso che non so decifrare. All’improvviso mi ritrovo a desiderare che non smetta mai di sorridere.

Ma che mi prende?

- era. – Puntualizzo. – E’... è morta un anno fa. –

- Oh, mi dispiace tantissimo! – esclama lei, prendendomi le mani. Fisso le nostre mani intrecciate.

- E ora come fai a vivere? – mi chiede. Mi ci vuole un po’ per capire il senso della domanda.

- Kaede non aveva parenti, così tutto ciò che aveva, la casa e le cose di valore che possedeva, sono rimaste a me -  le spiego, e sembra stringere la presa sulle mie mani.

- Che storia triste. – commenta.
 
 


- E così, era questo il tuo segreto. – sospiro. Mi sento addosso un peso in più ora, perché mi ha affidato il suo passato. Sono la prima persona a cui l’ha raccontato e adesso non posso fare a meno di immaginarmelo, un bimbo coi capelli d’argento e gli occhi ambra che ho sempre creduto fosse tinto e indossasse lenti a contatto, aggirarsi tra i bidoni dell’immondizia alla ricerca di cibo.
E dire che io mi sono sempre lamentata della mia anonima vita, ma io sono cresciuta in casa, con una famiglia che mi ama. Solo ora mi rendo conto che non c’è nulla di più desiderabile di una vita normale e felice.

- Ti faccio una promessa: non verrà fuori una sola parola di quel che hai appena detto dalla mia bocca. Però anche tu devi fare una promessa a me... – gli propongo.

- Io dovrei prometterti qualcosa? –

- Si. – gli stringo un po’ di più le mani e annuisco energicamente.  – Promettimi che mi chiamerai ogni volta che avrai bisogno di aiuto. –

Così dicendo, lo lascio andare e punto le mani al suolo, tentando di alzarmi. Anche se con una certa fatica, ci riesco e zoppicando raggiungo la porta del terrazzo. In un modo o nell’altro, con calma arriverò all’infermeria.

- Higurashi, aspetta! – lo sento esclamare dietro di me. Mi volto poggiandomi alla porta.

- Be... prima di tutto grazie. – dice, e già questo basterebbe a sorprendermi, ma non è finita qui.

- E poi ci metterai un secolo a raggiungere l’infermeria così. Potresti cadere e farti male di nuovo, quindi... – Si gratta la testa, imbarazzato. Annuisco, così lui si avvicina e mi prende di nuovo tra le braccia, con una delicatezza di cui non lo credevo capace.

- Comunque... puoi chiamarmi Kagome, se vuoi. – dico, mentre chiudo gli occhi e mi aggrappo alla sua camicia, attendendo che cominci di nuovo a correre.
 
 


Chissà come sta Kagome...

Sono passati due giorni da quando Kagome Higurashi ha scoperto per caso il mio segreto. Entrambi i giorni sono passato davanti alla sua classe per vedere se ci fosse, ma evidentemente non è ancora in grado di camminare, così è rimasta a casa.

Questi due giorni sono stati strani. Avevo dimenticato cosa significasse essere preoccupati per la salute di qualcun altro. Non mi era mai successo, dopo la morte di Kaede.
 
Forse dovrei andarla a trovare...
 
Non sarebbe un problema procurarmi l’indirizzo, se non fosse che certamente tutti comincerebbero a blaterare cose del tipo “e così il duro è stato conquistato dalla fanciulla indifesa!”
Tutte cavolate che non ho intenzione di stare a sentire. E poi, mi crederebbero più debole e comincerebbero a prendersi confidenza, per poi arrivare anche loro a scoprire cosa sono.
 
Scuoto la testa proprio mentre la campanella di fine lezioni inizia a suonare e mi rendo conto che me ne andrò senza aver chiesto l’indirizzo a nessuno.  Indosso le cuffie e decido di andare a fare una passeggiata. Tengo gli occhi fissi al cielo mentre lascio che il ritmo dei miei passi si adegui a quello della musica che sto ascoltando.
Mi piace fissare il cielo, perché dimentico di essere in una città che non mi appartiene solo quando vedo le nuvole rincorrersi nell’azzurro sereno.
Peccato che in questa città ci sia sempre troppo poco cielo scoperto.
Distolgo lo sguardo deluso e mi salta all’occhio una lunga scalinata. In cima sbuca un torii rosso scarlatto. Dev’esserci un tempio lassù.
 
 
 
- Eri... sbaglio o quello è Inuyasha? –
 
Ayumi continua a battere sulla spalla di Eri fin quando questa non si decide a staccare gli occhi dalla vetrina per guardare a sua volta.
 
- Certo che si! Trovamene un altro coi capelli di quel colore e la nostra divisa scolastica! Però è strano...-
 
- Cosa è strano? – chiede Yuka.
 
- Ma come, Yuka, non vedi? Quella scalinata porta a casa di Kagome! –
 
- Allora avevo ragione io! – Esclama Ayumi. – Kagome ci sta nascondendo qualcosa. Che dite, andiamo a vedere? –
 
Annuiscono entusiaste.
 
 

La scalinata si rivela semplicissima da salire, ovviamente. Sembra quasi una di quelle scale mobili del centro commerciale dove Kaede mi portava da bambino. Una volta arrivato su in cima, vedo proprio il tempio che mi aspettavo, ma ad attendermi c’è qualcos’altro: un enorme albero recintato, il tronco circondato da uno Shimenawa.  Sicuramente l’albero sacro del tempio. Un vento leggero smuove le fronde dell’albero e le nappe attorno al tronco, creando giochi di luce a terra e generando un suono che, in qualche modo, mi rende sereno. La presenza di questo albero inspiegabilmente mi fa sentire lontano da Tokyo e più vicino a casa.
 
Avrà a che fare col mio passato?
 
 Distolgo lo sguardo a fatica per posarlo sulla destra. Affianco al tempio c’è una casa, sicuramente dei custodi, e affacciata ad una finestra al secondo piano c’è una ragazza dai capelli scuri intenta a osservare il cielo, i gomiti poggiati al davanzale.

Ci vuole un po’ prima che io mi accorga che ci stiamo fissando.

Conosco solo una persona capace di fronteggiarmi a quel modo.
 
 

- E tu che ci fai qui?! – gli chiedo, sorpresa e improvvisamente agitata. Mi chiedo cosa sia venuto a fare. Possibile che fosse preoccupato per me?
 
Scaccio immediatamente quel ridicolo pensiero dalla testa.
 
- Ehi, cos’è questo tono? Facevo una passeggiata, ho visto la scalinata e sono salito, ma non mi aspettavo di finire a casa tua! – esclama e io sospiro. Avevo ragione, figurarsi se a quello scemo potesse passare per la testa di preoccuparsi per me. Lo vedo arrossire per l’agitazione e mi scappa da ridere.
 
- Che ridi? Cos’è, non mi credi?  – ringhia, alzando il pugno. E’ davvero un po’ un cane. In più proprio non riesce ad evitare le minacce, quand’è in imbarazzo.
 
- No, no... ti credo. Comunque, già che ci sei, pensi di entrare? –
 
Non riesco a credere di averlo detto e, vista l’espressione da pesce lesso, è evidente che lui ci crede ancora meno di me.
 
 
 
 
Resto un po’ spiazzato dal suo invito ma alla fine accetto. Suono il campanello e ad aprirmi viene quella che dovrebbe essere sua madre, seguita a ruota da quello che suppongo sia suo nonno e da un bambino, che credo sia il fratello minore.
Possibile che sia venuta ad aprirmi la famiglia al completo? No, manca il padre.
 
- Buongiorno, sono venuto a trovare Hig –
 
- MA ENTRA PURE, CARO! – esclama lei anche troppo entusiasta, facendomi sobbalzare. Metto un piede nell’ingresso dove senza nemmeno rendermene conto le mie scarpe sono già sparite. Il nonno mi fissa di sotto in su senza dire una parola.
 
- Sei il ragazzo di mia sorella? – mi chiede invece il fratellino, rischiando di farmi sputare il pranzo di oggi. Scuoto la testa con decisione.
 
- Sorellona! C’è il tuo ragazzo qui! –  urla lui. Mi ha ignorato.
 
Proprio mentre cerco di oltrepassare l’ingresso incolume, qualcosa mi passa tra i piedi facendomi inciampare: un gatto.
 
- Ah, lui è Buyo! – mi informa il fratellino. – E io sono Sota. –
 
- Inuyasha. – rispondo io dopo essermi rialzato.
 
- CHE NOME FIGO! – urla Sota. L’ultima cosa che mi aspettavo di sentire. La madre di Kagome però sta aspettando che io riesca a oltrepassare l’ingresso.
 
- Senta, mi spiace non aver portato nulla, ma passavo per caso e così.. –
 
- Oh no, non preoccuparti caro! – mi rassicura. A sinistra in fondo al corridoio saliamo una scala. La madre di Kagome bussa a una porta.
 
- Tesoro, c’è il tuo amico Inuyasha qui! – avvisa, aprendo la porta.  – Prego, caro, entra pure. Io vado a preparare qualcosa! –
 
Mi spinge nella stanza e mi chiude la porta alle spalle.
 
- E’ davvero gentile, tua madre. – dico, e Kagome annuisce. E’ seduta sul letto, in pigiama. La gamba sinistra del pantalone è arrotolata fino al ginocchio e si vede la fasciatura, che lei continua a tormentarsi con le dita.
 
- Non dovresti toccarla. – dico, indicando la gamba. – Ti da fastidio? –
 
- Un po’ – ammette. – Mamma l’ha fatta un tantino stretta, ma tra poco viene a cambiarla. – mi spiega, e infatti poco dopo la madre rientra, seguita da Buyo, portando sia un vassoio con bevande e dolce sia l’occorrente per le fasciature.
 
 
 
 
- Grazie, mamma! – tiro un sospiro di sollievo. Il prurito sta diventando insopportabile.
 
- Scusa tesoro ma lo sai, per fortuna nessuno di voi ha mai avuto bisogno di più di un cerotto, quindi proprio non ne sono capace! – mi risponde, poggiando il vassoio sulla scrivania. Inuyasha le sorride cortese quando lei lo invita a occupare la sedia li vicino. Non credevo sapesse essere tanto educato.
 
- Signora, se non le spiace potrei rifarla io la fasciatura. Purtroppo ho dovuto farne parecchie, quindi le so fare bene. E almeno ripagherei per non aver portato nulla. –  propone Inuyasha e io resto di sasso.
 
Cos'è, gioca a fare il dottore? Mamma che imbarazzo...
 
Le mie guance cominciano a friggere e io prego che non si noti. Perché d’un tratto è diventato tanto premuroso?
 
- Oh caro, ti ho già detto che non c’è bisogno di preoccuparsi... –
 
Alle parole di mia madre tiro un sospiro di sollievo.
 
- Tuttavia, Kagome forse è meglio lasciar fare a lui. Almeno smetterà di darti fastidio. – propone.
 
Se dicessi di no, potrei far dispiacere Inuyasha e mi ritroverei a dover spiegare il perché, cosa che non ho alcuna intenzione di fare, così annuisco.
 
- Bene, Inuyasha, allora lascio fare a te e ti ringrazio. Sei molto gentile, torna a trovarci quando vuoi. – dice e io passo dal rosso peperone al viola melanzana. Alla fine lascia la stanza.
 
Siamo di nuovo soli. Si inginocchia davanti a me.
 
- Dimmelo, se ti faccio male. – mi raccomanda e io annuisco, incapace di dire una sola parola.
 
Scioglie la fasciatura incastrando le dita con delicatezza nei vari strati. Ha un tocco sorprendentemente delicato. Lo osservo, il volto intriso di concentrazione, deciso a non farmi provare il benché minimo dolore. Guida dolcemente il mio piede verso terra quando deve lasciarlo per prendere l’occorrente dalla scrivania.
 
Prende il tubetto di crema antidolorifica e non so che colore ho in viso in questo momento. Avevo dimenticato che c’era la crema da spalmare.
 
- Se vuoi, questo lo faccio io... – sussurro. Lui scuote la testa, svita il tubetto, ne spreme un po’ sulle dita e spande il gel sulle mani, per poi iniziare a massaggiarmi dolcemente la caviglia.
 
- Sei così bravo per tutte le ferite che ti sei dovuto curare da solo? – gli chiedo, cercando di distrarmi dalla carezza leggera delle sue dita.
 
- Non solo. – risponde, senza staccare gli occhi dalla mia caviglia. – Negli ultimi tempi Kaede tendeva a cadere spesso e avere dolori ovunque e per farla stare meglio facevo cose come questa tutti i giorni. – mi spiega e, per quanto cerchi di trattenersi, sento la sua voce vacillare un po’, così decido di non chiedere più nulla.
 
Di nuovo, lascia andare il mio piede, stavolta per prendere una benda pulita. Comincia ad avvolgerla attorno alla caviglia e al piede, stretta ma non troppo.
 
C’è un silenzio così profondo che riesco a sentirlo respirare, almeno fin quando la porta non si spalanca all’improvviso, svelando dietro di essa Eri, Yuka e Ayumi.
 
- Allora, Kagome come st.. ooooh! – esclama Yuka.
 
- Che carini! – squittisce Eri.
 
- Povero Hojo! – si lamenta Ayumi.
 
- Ragazze, non cominciate con le vostre solite scene! – le rimprovero.
 
Ayumi si guarda le unghie con aria di sufficienza.  –  Non sono mica cieca! – esclama, alzando un sopracciglio.
 
- Comunque ha ragione Ayumi! Chissà che direbbe Hojo, se sapesse... – sospira Eri.
 
- Non c’è niente da sapere! – esclamo io, agitata non per me, ma per Inuyasha, i cui gesti si sono fatti un po’ meno delicati: è nervoso.
 
- Ah no? A vedervi non mi pare... – ironizza Yuka, e in quel momento Inuyasha finisce di fasciarmi la caviglia, recupera la sua borsa ed esce dalla stanza senza dire una sola parola.
 
 

 *Angolo autrice* 

Ciao di nuovo a tutti :) Ecco quindi il secondo capitolo. Comincio col chiarire che il passaggio dalla prima persona alla terza (quando descrivo le tre amiche di Kagome che notano Inuyasha) è voluto. Poi vi ringrazio per aver letto la storia :) Come sempre vi invito a recensire, per farmi sapere se vi sta piacendo o meno :) 
Sperò di non farvi aspettare così tanto per il prossimo capitolo, scusatemi tanto :(

 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** Sentimenti e Imprevisti... o sentimenti imprevisti? ***


Capitolo III
-Sentimenti e imprevisti... o sentimenti imprevisti?–
 

Detesto le ragazze stupide. E poi, stavo solo cercando di rendermi utile.

Pensando a questo mi ritrovo di nuovo accanto all’albero sacro e sento la mia mente finire nuovamente preda di quella pacifica sensazione di familiarità. Ci giro attorno, rendendomi conto solo ora di quanto sia massiccio. Un albero secolare.

E’ autunno, anche se fa ancora piuttosto caldo, così qualche foglia cade nel momento in cui la chioma viene scossa un po’ troppo forte dal vento. Una mi sfiora il viso, andandosi a posare a pochi centimetri dai miei piedi. Decido di sedermi sotto la sua ombra, dal lato opposto della casa di Kagome, e chiudo gli occhi.

Passo qualche minuto così, senza far nulla, completamente immerso nel fruscio delle fronde, un po’ di sole sul viso. Altre foglie mi sfiorano come carezze, quelle della madre di cui non ho memoria.
Solo quando le tre stupide amiche di Kagome escono di casa chiacchierando, interrompendo quel suono rilassante, mi rendo conto di quanto tempo io abbia passato qui in realtà: il sole sta tramontando.

Tendo le orecchie e mi nascondo meglio. Cosa penserebbero nel vedermi ancora qui e quanti altri commenti stupidi dovrei ancora sentire?

- Inuyasha! – esclama qualcuno, proprio quando penso di averla scampata, e sobbalzo, sporgendomi lentamente da dietro il tronco dell’albero e ritrovandomi davanti non le tre stupide ragazzine, ma Kagome.
 
 
- Allora non è stata solo un’impressione... mi pareva di aver visto i tuoi capelli. – osservo a voce bassa, poi guardo verso la scalinata che le mie amiche stanno scendendo proprio ora. Non è il caso che mi sentano. Ma perché è rimasto?
Comunque non dice nulla, si limita a guardarmi come fossi un qualche strano animale uscito fuori dal nulla.

- Ehi, c’è qualcuno? – chiedo avvicinandomi e sventolandogli una mano davanti al viso. – Perché te ne sei andato a quel modo? –

- Non ti saresti dovuta alzare dal letto con la caviglia in quello stato. –  si limita a osservare, come se non gli avessi fatto alcuna domanda. La cosa mi irrita molto.

- Cosa c’entra questo? Rispondi! – esclamo impaziente. Mi sto stancando. Prima è  un bullo di prima categoria, poi scopro delle cose su di lui che mai mi sarei immaginata e diventa talmente gentile da portarmi in braccio in infermeria e venirmi a trovare, e adesso questo: è tornato freddo come una statua di marmo. Perché fa così? 

L’impazienza mi mette in uno stato di agitazione tale da farmi venire da piangere. La caviglia fa male, sto sentendo freddo e lui mi ignora e non mi piace essere ignorata. Sento una lacrima sfiorarmi piano la guancia prima che io possa fermarla. Dapprima me ne vergogno ma poi decido che non ne vale la pena e la lascio fare, singhiozzando piano. Resto così per un minuto che mi pare eterno, poi inizia a piovere. Fantastico, ci mancava soltanto questo!

Crollo in ginocchio mentre i singhiozzi aumentano e in qualche secondo la pioggia ha preso a tamburellarmi sulla schiena.
 
 
 
Non so che cosa fare. Tendo una mano titubante verso la sua schiena scossa dai singhiozzi.
 
- E adesso perché piangi? – chiedo.
 
- STA ZITTO! – urla. – Sei solo un cretino. – sussurra poi. – Ti avevo detto di dirmi quando avessi avuto bisogno di me. Eri a disagio e te ne sei andato senza dirmi niente! Non sai che vuol dire, fare una promessa a qualcuno? – chiede.
 
E io so che è stupido sentirsi in colpa per una cosa del genere, ma vedere lei così mi ci fa sentire e la colpa è una cosa nuova per me, che mi stringe lo stomaco in una morsa quasi dolorosa.
 
Kaede, quando ero triste per qualche motivo, soprattutto quando tornavo a casa da scuola ed ero stato messo per l’ennesima volta in punizione, mi stringeva sempre in un abbraccio, senza dire nulla. Sapeva che avevo bisogno di aiuto e quello era il suo modo di darmene. Io stretto tra le sue braccia non piangevo quasi mai, ma l’orgoglio era una mia caratteristica.
 
Quasi senza rendermene conto stringo Kagome tra le mie braccia.
 
 
 
Fa così caldo qui, tra le braccia di Inuyasha. Sono così vicina da poter sentire che la sua pelle sa di foresta. Una cosa molto strana per chi vive in città. Forse è la sua natura, una delle prove del fatto che non appartiene a questo posto, e mi piace.
Prima di rendermene conto sento la faccia andarmi a fuoco per l’imbarazzo.
 
- Va bene... mantengo la promessa e rispondo alla tua domanda. – lo sento dire. – Me ne sono andato perché... –
 
CRACK!
 
Entrambi sussultiamo e alziamo il viso a guardare verso la scalinata. Il suono del legno che si spezza. Solo in questo momento mi rendo conto che sta piovendo forte e siamo bagnati fradici.
 
- Sembra provenire dal pozzo... – sussurro, poi mi alzo e zoppico proprio in quella direzione. Inuyasha mi raggiunge proprio mentre apro la porta e scendo le scale che portano al pozzo sigillato. Mi fermo sull’ultimo gradino, incredula: c’è una crepa sul pesante coperchio in legno e attraverso essa sgorga una luce che illumina un poco la stanzetta.
 
- Che roba è questa? – chiede Inuyasha, indicando il pozzo.
 
- Mio nonno lo ha sempre chiamato “Pozzo mangiaossa”, perché un tempo lo si usava per sbarazzarsi delle carcasse dei demoni che infestavano particolarmente questa regione nell’epoca... Sengoku. – snocciolo a memoria, per una volta grata a mio nonno di avermi raccontato la storia di questo posto.
 
- Anche l’albero sotto il quale stavamo prima risale a quei tempi, si chiama Goshimboku. – aggiungo.  – Senti, immagino non sia un problema per te spostare questo coperchio. – gli dico.
 
 
 
Ovviamente con la forza che mi ritrovo è un giochetto da ragazzi, e infatti ci metto un secondo, ma quel che trovo al di sotto di quel coperchio quasi me lo fa cadere di mano:  sotto il mio sguardo sottili nuvole bianche attraversano un inequivocabile cielo azzurro, spinte dal vento, che sembra riversarsi fuori dall’apertura e circondarmi, risucchiandomi all’interno del pozzo.  Resto ad osservare quella scena per un po’, con Kagome accanto a me, ugualmente impressionata.
 
All’improvviso, qualcosa mi passa fra le gambe. Sobbalzo sorpreso e, nel tentativo di spostarmi, spingo Kagome nel pozzo.

- Aaaaaah! –
 
Le prendo la mano al volo e la sto tirando su, ma il vento si fa improvvisamente più forte e vengo risucchiato anche io.
 
Lo spazio che ci circonda ha qualcosa di simile al cielo notturno. Sembra di essere immersi nelle stelle. Sento la mano di Kagome stringersi nella mia. La guardo e sul suo viso scorgo dipinta la paura. Ha ancora le guance rosse e le labbra turgide per il pianto, ma qualcosa di lei è sorprendentemente bello anche così.
 
Scuoto la testa: che diamine vado a pensare? Ma le stringo più forte la mano, per farle capire che ci sono. E’ stato sufficiente vederla piangere una volta, per oggi.
 
All’improvviso sento il terreno sotto i piedi. Atterro senza problemi, aiutando Kagome che si trova poco sopra di me perché non cada, viste le condizioni della sua caviglia. Guardo in alto e vedo lo stesso identico cielo che si vedeva dall’imboccatura nel pozzo. Non è molto in alto l’uscita, posso portarci entrambi lassù.
 
- Sali. – le dico, indicandomi la schiena. – A me ci vuole un attimo, e la tua caviglia non è ancora guarita. –
 
Annuisce, poi fa del suo meglio per arrampicarsi sulla mia schiena senza farsi male e la aiuto. Spicco un solo balzo, sentendo le sue mani attorno al mio collo, ed è sufficiente per uscire fuori.
 
Mi sfugge spontaneamente un: - Wow! –
 
Mi guardo intorno. Un prato si estende a perdita d’occhio da ogni lato, per poi inoltrarsi più avanti in un fitto bosco. Il vento mi rinfresca il viso e lo sento immediatamente più leggero e fresco di quello della città.
 
Non credo di essermi mai sentito tanto a mio agio in un posto.
 
 
 
Guardo Inuyasha osservare affascinato il paesaggio che ci circonda. Mi ha già detto di aver sempre avuto l’impressione di non appartenere al nostro mondo, a Tokyo. Di non essere fatto per il traffico, per la vita frenetica, per il grigiore dei palazzi, e infatti vedo i suoi occhi ambra brillare molto più del solito, estasiati da questo trionfo della natura. Anche io sento la differenza con la città, c’è qualcosa di magico nel silenzio e nella purezza di questo posto, come se il tempo all’improvviso si fosse fermato.

- Ehi... – gli dico. Lui si volta di scatto, come colto a fare qualcosa che non avrebbe dovuto.
 
- Ti piace questo posto, eh? – domando divertita. Lui mi osserva per un momento senza parlare, poi annuisce.
 
- Mi sembra addirittura familiare. – risponde, sorpreso forse dai suoi stessi pensieri. – Come se io fossi già stato qui ma non me lo ricordassi con esattezza per qualche ragione. –
 
- Be... magari è uno dei ricordi che hai perso. – suggerisco. – Potrebbe addirittura essere il luogo da cui provieni davvero. – ipotizzo. Non mi risponde.
 
- E se andassimo a farci un giro? – mi propone, eccitato come un bambino alle prese con le giostre al Luna Park. E’ un’immagine che mi fa un po’ ridere e mi fa tenerezza, e vorrei farlo contento, ma ho paura.
 
- Non so... forse sarebbe meglio tornare indietro e organizzarci. Che so... una tenda per esempio, qualche provvista... –  ribatto, sperando di riuscire a convincerlo. Con mio grande sollievo annuisce e con un altro balzo riscende nel pozzo. Mi preparo mentalmente alla sensazione di non avere peso provata poco fa, ma non arriva. Inuyasha poggia i piedi sul fondo del pozzo, incredulo.
 
- Ma cosa...? – si chiede, ad alta voce. Comincia a pestare i piedi sul terreno, senza successo.
 
- Inuyasha... non mi dirai che ora non possiamo più tornare a casa? – gli chiedo, tremante. Mi aggrappo alla giacca della sua divisa tentando disperatamente di non entrare nel panico. Come faremo ora?
 
- Mi sa tanto di si. – risponde, perplesso, continuando a battere i piedi a terra. Eppure potrei giurare di aver visto un piccolo sorriso incurvargli le labbra.

 



Angolo autrice 

Ciao :)  Come ormai sono abituata a fare, mi scuso per l'enorme ritardo. Ne sono consapevole, ma sono i soliti impegni a tenermi lontana dalla tastiera :) Comunque come vedete prima o poi riesco a pubblicare, perciò se la storia vi sta piacendo abbiate fede, i capitoli nuovi arriveranno :) 

Detto questo, che ne pensate? Come credete che si evolverà la storia? :) Fatemelo sapere :) 

Un bacio, e grazie per aver letto questo capitolo :) 

 
 
 

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