Dal diario di Irene Price

di berlinene
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione - Sinopsi ***
Capitolo 2: *** Incontri fatali ***
Capitolo 3: *** Gli allenamenti per farli conoscere ***
Capitolo 4: *** Never on a first date ***
Capitolo 5: *** I muscoli del capitano ***
Capitolo 6: *** Patty chiari... ***
Capitolo 7: *** Wind of Change ***
Capitolo 8: *** Fare il proprio dovere ***
Capitolo 9: *** Baby Warner ***



Capitolo 1
*** Introduzione - Sinopsi ***


Prima di iniziare un paio di parole sulla genesi e la struttura di questa FF.
L’idea di base affonda le sue radici in una specie di gioco di ruolo, in dei soprannomi che ci davamo da bambini. Siccome, per lo più plagiati da me, molti miei amici erano fan di Holly & Benji, i soprannomi venivano da lì. È così che nacque Irene Price. Quindi, in origine, Irene Price sono io.
Un giorno, quasi per gioco, perché grafomane lo sono sempre stata, iniziai a scrivere il suo diario. Inevitabilmente c’era molto di me ma anche molto di quello che vedevo nell’anime, che volevo, avrei voluto, sognavo, speravo e quant’altro.
In origine scrivevo quasi tutti i giorni e la storia si sviluppava in ordine cronologico. Con gli occhi di oggi però molto di quei brani risultano infantili e poco originali, ho deciso quindi di postare solo quelli che secondo me sono i migliori, insieme a qualcosa di nuovo, spostandomi però qua e là sulla linea del tempo.

Il punto di partenza è molto spesso dato da situazioni tratte dall’anime, che possono servire da semplice spunto o essere ri-raccontate attraverso gli occhi di Irene o modificatemotivate in base alla sua a volte ingombrante presenza.
L’impegno era di essere più fedele possibile ma a volte si è resa necessaria qualche “variazione” ai fini della mia storia (per es. la partenza di Benji avviene un anno dopo mentre Tokio e Fujisawa sono più vicine di quanto dovrebbero…) o per conciliare elementi provenienti da serie diverse (l’entrata in scena di Ed Warner per parare il rigore di Callaghan nella serie "Road to 2002" non c’è: arriva direttamente per la finale, ma l’incontro nella nebbia con Benji è troppo bello per non meritare un riferimento).

Come avrete notato, uso i nomi dell’anime perché li conosco meglio e perché ci sono affezionata. E pazienza per il Verfremdungseffekt anglo-nipponico.

La fanfiction è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
A parte uno che è parecchio mio, gli altri personaggi sono di Yoichi Takahashi. Grazie di esistere.


E grazie a tutti gli eventuali lettori, revisori, recensori etc.
Invito caldamente chiunque sia versato in tale arte a me aliena, a disegnare i miei personaggi. Non so cosa darei per vedere Irene Price in volto. Sarei anche ben lieta se qualcuno avesse situazioni dell’anime, del manga (che con sommo dispiacere conosco pochissimo) o di qualche FF propria con cui far confrontare il mio personaggio, insomma sono apertissima all’on-demand, tempo permettendo.

Grazie infine ai miei principali, perché per lo più leggo e scrivo FF in orario di lavoro :P.

Solo altre due parole, poi a parlare sarà solo quella matta della Price. Sul quaderno che ospita la versione amanuense del “Diario Segreto di Irene Price” c’era scritto che solo una certa Elisa Hutton avrebbe potuto leggerlo “perché noi abbiamo un segreto”. Beh, questo non è più possibile perché lei, Elisa, non c’è più. E stavolta non è fiction. Ma a quanto pare neanche il segreto era tale o comunque non era solo nostro. Quindi, credo sarà felice se lo condivido con voi.
Tanto per orientarsi, di seguito ho riassunto a grandi linee l’intera storia (siete liberi di non leggerla se non volete rovinarvi qualche sorpresa). I capitoli, o meglio gli episodi, sono risistemati di volta in volta nel giusto ordine cronologico. Qui sotto li trovate in ordine di pubblicazione, comunque ognuno sarà preceduto da un breve inquadramento temporale.
Buona lettura!

1. Appuntamento col destino.
2. I muscoli del capitano.
3. Patty chiari…
4. Wind of change
5. Fare il proprio dovere
6. Baby Warner
7. Gli allenamenti per farli conoscere
8. Never on a first date

Novità: Guardate in faccia i personaggi, visitate il mio account autore... 



SINOPSI
Benjamin e Irene sono gemelli. La prima diatriba che li riguarda è chi dei due sia il più vecchio. Si sa che Benji è uscito prima e di conseguenza la prima a essere concepita, a ciò che si dice, sarebbe stata Irene. Quindi? Non si sa. Quello che si sa è che sono ancora piccoli, quando i genitori vengono portati dai loro affari a trasferirsi in Europa ma decidono di lasciare i piccoli nel natio Giappone, in una grande, splendida villa circondati da cameriere, tate, maggiordomi e… allenatori. Sì perché Benji non è che un bambino quando Freddie Marshall, ex portiere della nazionale, vedendolo giocare scorge in lui un talento portentoso per il ruolo di estremo difensore e si offre di allenarlo personalmente. Ma non è facile convincere un bambino chiuso (e un filino testardello) ad allenarsi da solo, fare esercizi particolari e indossare una maglia diversa. Allora, per spronarlo, il mister chiede sempre più spesso a quella bambina dagli occhi identici a quelli del promettente portiere che li guarda dal bordo del campo privato, di partecipare agli esercizi.
È così che anche Irene per anni si allena a fare il portiere e, pare, con buoni risultati. E pare anche che finché il regolamento lo ha permesso, sia stata lei il secondo del fratello. O almeno così dice lei. Benji entra a far parte della S. Francis e nasce il mito del SGGK o portiere paratutto. Irene è sempre lì e con i ragazzi ha un fantastico rapporto cameratesco, che non manca di suscitare invidie e veleni da parte di altre ragazze, una su tutte Patty, sedicente manager di quella squadra di schiappe che è la Newppy. O almeno lo è finché il radioso sorriso di un ragazzino chiamato Holly non viene a illuminarne le sorti (e della Newppi e di Patty) e a far rabbuiare Benji. Non riuscendo a decidere qual è la squadra più idonea a rappresentare la città, viene presa la storica decisione di crearne una nuova prendendo giocatori dalle due squadre suddette ma non solo. Per Irene è la fine di un’epoca ma anche un nuovo inizio: non solo infatti, in virtù di un corso fatto presso il massaggiatore della S. Francis si guadagna un posto nello staff della nuova squadra, ma in seguito a un incontro, proprio in occasione delle selezioni per la New Team, con un certo capitano di una certa squadra chiamata Muppet, comincia a vedere i ragazzi in un’ottica… diversa.
A causa dell’ infortunio di Benji, i gemelli Price raggiungono la squadra ai campionati nazionali solo per la finale. Qui ci sarà un nuovo incontro col suddetto Mark Landers e anche col misterioso portiere della sua squadra, Ed Warner che con la scusa di “imparare i fondamentali” comincia a presentarsi spesso a casa Price e, dopo molti tentennamenti, si dichiara a Irene, salvo poi…sparire per alcuni mesi. Irene ci rimane molto male ma non si arrende e vuole scoprire cosa è successo. Si ritrovano, si raccontano e cominciano una bella storia fatta di sport, allegria, cameratismo e ovviamente amore. Sullo sfondo si gioca il secondo campionato, giocato, in via sperimentale, non a eliminazione diretta ma a punti.
Tutto sembra perfetto se non arrivassero due cattive notizie: Patty ha fatto il corso dal massaggiatore e insidia il posto di Irene in squadra mentre Benji andrà presto a giocare in Germania. È il momento di dare una svolta e Irene accetta la proposta di entrare nello staff della Toho.
Quando suo fratello parte, lei si iscrive alla Toho e lascia villa Price per dividere un appartamento al campus con Ed, Mark e Danny. Coi quali non si darà solo a serate di bagordi ma parteciperà anche a un’avventura… nazionale.
Finita la scuola tornerà a villa Price con un nuovo portiere al suo fianco.

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Capitolo 2
*** Incontri fatali ***


Siamo alla vigilia dell'epica prima finale fra Muppet e New Team. Ripresosi dall'infortunio, finalmente anche Benji, insieme a Irene, raggiunge la squadra...

Finalmente anche noi siamo arrivati! E le sorprese sono cominciate subito.
È stata una cosa fulminea, questione di un secondo. Eravamo vicino alla pensilina ad aspettare l’autobus per andare allo stadio a vedere l’altra semifinale. C’era molta nebbia e i mezzi erano in ritardo. Ho sentito un fischio, quello inconfondibile di un pallone che, calciato con molta forza, fende l’aria. Ho visto mio fratello passarmi davanti muovendosi, come di riflesso, verso sinistra. Nella stessa frazione di secondo, un’ombra mi ha afferrato e spinto verso destra. Senza neanche capire come, mi sono ritrovata a terra. O meglio: a terra c’era lui, l’ombra, le braccia strette attorno a me, e io ero sdraiata sopra. Mi ci è voluto qualche momento per realizzare. Sentivo mio fratello rimbrottare qualcuno circa “la pericolosità di un tale comportamento” e due voci rispondere in coro. Due facce uguali guardavano verso di me – i gemelli Derrick! penso in un angolo della mia mente. Cavolo se sono uguali, invece io e Benji…
“Ma che cazzo fai?” ha esclamato poi mio fratello, un pallone in mano e, sul volto un’espressione di sorpresa. “Come ti salta in mente di gettare le persone a terra così?” prosegue afferrandomi per un polso e strappandomi dalle braccia dell’ombra.
“Io credo” mi intrometto “che volesse solo togliermi dalla traiettoria del pallone, ecco”.
“Bastava afferrarlo” ha detto Benji tenendo con una mano sola il pallone appena bloccato e facendolo dondolare. È odioso quando fa così.
“Non ci sarei mai arrivato” ha risposto l’ombra “mi è sembrata l’unica soluzione, per quanto avventata.” E poi rivolto a me: “Non ti sei fatta male, vero?”
“No, tu piuttosto: sono io che ti sono…” ho pensato che in effetti era strano: era stato lui a spingermi e poi… era finito sotto di me! Ho capito in un istante che lo aveva fatto apposta. Si era tuffato in modo da attutirmi la caduta col proprio corpo. Incredibile!
“Sono io che ti sono caduta addosso e non sono proprio un peso piuma”. Gli ho teso la mano per aiutarlo ad alzarsi.
“Non ti preoccupare. Se sai come cadere, difficilmente ti fai male” ha risposto lui ignorando la mia mano e alzandosi agilmente in piedi. Era molto alto, un po’ più di Benji ma più esile: le spalle e il petto erano più stretti di quelli di mio fratello, le gambe lunghe e slanciate. Ma quando mi aveva abbracciato avevo sentito, sotto la maglietta oversize, un corpo tonico al punto giusto. Si è dato una spolverata ai vestiti, ha raccolto lo zaino e il berretto persi durante la caduta e si è sistemato quest’ultimo sui lunghi capelli neri.
“Beh” mi fa mio fratello. “Andiamo? L’autobus sta arrivando”.
“Arrivo, Benji”. Poi rivolta al ragazzo.”Ciao e…grazie. Comunque io sono Irene, piacere”. Ho teso la mano.
“Price?”
Sono rimasta interdetta: com’è che sa il mio cognome? Poi mi sono accorta che la mia mano tesa era stata ignorata di nuovo e che l’ombra stava fissando mio fratello.
“Benji Price. Dovevo immaginarmelo. Dai riflessi, dalla presa e dalla boria” ha detto con un sorriso ironico. Ha fatto per andarsene.
“E tu chi saresti?” ha chiesto Benji.
E lui girandosi da sopra la spalla gli ha risposto solo “Lo scoprirai molto presto” ed è scomparso nella fitta nebbia.
Mio fratello era ufficialmente incazzato, ci avrei scommesso. In effetti quel tipo aveva colpito anche me. Ma tutto questo sarebbe rimasto un episodio se più tardi non…
Ma andiamo per ordine.
Abbiamo sbagliato autobus (e Benji sempre più incazzato). Quando siamo riusciti finalmente a capirci qualcosa, ci chiama Paul per dirci che la partita era finita, che la Muppet aveva vinto e di aspettarli in albergo. Ha anche blaterato qualcosa su un rigore parato a Philip e un nuovo portiere ma ce lo raccontava dopo altrimenti spendeva troppo. Inutile dire che ognuna delle affermazioni di Paul aveva contribuito a far imbufalire ulteriormente mio fratello, cosicché, quando siamo arrivati in albergo e mi ha intimato “Andiamo ad allenarci” non ho osato ribattere. Che palle. Però nel grande parco vicino all’albergo si stava davvero bene. Dopo un paio d’ore buone di fondamentali la sagoma di Holly si stagliava, mai così agognata all’orizzonte. Ci ha raggiunto, ha accennato un saluto al mio indirizzo e ha monopolizzato mio fratello. Ho deciso di liberarli della mia ormai inutile presenza e di farmi un giretto per quel bellissimo parco. Stavo passeggiando quando ho visto…indovinate chi? Lui! Quello che invece del pallone ha parato me! L’ombra! Era intento in esercizi di stretching ai limiti del contorsionismo. Adesso indossava una tuta che però sul momento non sono riuscita ad associare a nessuna squadra. Mi sono avvicinata da dietro, quindi non poteva vedermi. “Toh” ho esordito “Il mio salvatore!”
Si è voltato di scatto.
“Scusa” proseguo, “non volevo spaventarti”.
Non sembrava molto felice di vedermi, anzi, sembrava piuttosto scocciato. Si è voltato del tutto e ho visto il logo della squadra sulla maglietta: la Muppet!
“Se disturbo...” Sono arretrata di qualche passo.
“No, scusa. È che sono un po’ nervoso. Ne sono successe così tante da ieri…” si blocca, come se avesse parlato troppo. Poi cambia discorso: “Venendo qua ti ho visto allenarti con Price. Interessanti gli esercizi che facevate…” Si blocca di nuovo. “Sei piuttosto brava. Giochi anche tu?”
“No è che spesso mi alleno con lui per fargli compagnia. Da sempre”.
“Lui è il tuo… voglio dire voi state…siete…”
“Fratelli” concludo io. “Gemelli per la precisione”.
“Ah”.
Silenzio.
“Sei molto sciolto per essere un calciatore. Prima sembravi un contorsionista” riprendo io, tanto per dire qualcosa.
“Figurati. Facevo solo un po’ di Yoga per rilassarmi. A dire il vero oggi non sono in gran forma, mi fa male tutto”.
“Spero non perché ti sono caduta addosso”.
“No” ride. “È che ho passato la notte in treno e non è il massimo della comodità. E poi sono entrato in campo, così, a freddo…” di nuovo si rabbuia e si blocca come se avesse parlato troppo. Ma solo un attimo poi sorride e riprende: “Ho la schiena a pezzi, per non parlare delle spalle e del collo…Insomma un catorcio”. Ha riso di nuovo. Mi sono trovata a pensare che è carino quando ride.
“In tal caso, vorrei che mi permettessi di sdebitarmi”.
Sguardo interrogativo dell’ombra.
Gli ho girato intorno e mi sono seduta dietro di lui, gli ho appoggiato le mani sulle spalle e ho cominciato a massaggiare piano.
“Cerca di rilassarti” gli ho detto. “E magari anche di respirare.”
Sentivo i suoi muscoli rilasciarsi sotto il mio tocco mentre il respiro si faceva lento e regolare. Ho proseguito per un po’, nel silenzio più totale. Dopo un buon quarto d’ora gli ho sussurrato: “Tutto bene là sotto?”
“Be…” si è schiarito la gola “Benissimo.”
“Visto, eh? Salvare la vita all’assistente del massaggiatore della New Team ha i suoi vantaggi”.
Sotto le mie dita, lo sento irrigidirsi di nuovo.
“Non ti preoccupare, avrai i tuoi buoni motivi per non volermi dire che giochi nella Muppet. E per non presentarti. Non a un’avversaria. Non il giorno prima della finale.” Mi sono alzata piazzandomi davanti a lui: “Ricordati che sono la sorella di Benji Price, segreti tattiche e misteri sono all’ordine del giorno. Magari me lo dirai domani dopo la partita. Ora devo andare”.
Mi ha guardata come se non credesse alle proprie orecchie e poi ha risposto:
“Ok, se non lo scoprirai da sola, te lo dirò domani. A proposito… grazie del massaggio.”
“Grazie del salvataggio.”
“E…” esita, poi mi guarda fissa negli occhi “A domani”.
Stavo per rispondergli “A domani”, quando una voce dal sentiero dietro di me mi ha fatto sobbalzare.
“Ah, eccoti qui finalmente”.
Eppure quella voce…
Il mio cuore se n’è accorto subito e si è messo a battere all’impazzata, era quello! Quello del tiro dopo le selezioni della New Team, il capitano della Muppet… Mark Landers! Si è avvicinato e mi ha guardata.
Ancora una volta mi sono persa in quegli occhi scuri e freddi, ad ammirare le sopracciglia folte, scure e ben disegnate, la carnagione olivastra, il naso dritto e insolente, le labbra sottili sempre lievemente imbronciate a dargli quell’aria un po’ da incazzato fisso. Il tutto su un corpo mozzafiato: spalle larghe, bicipiti in bella vista, pettorali suggeriti dalla maglietta aderente, ventre piatto e fianchi stretti, gambe dritte e muscolose e un culetto…
Anche se oggi aveva l’aria stanca.
A un altro livello di coscienza, sentivo proseguire la loro conversazione.
“Capitano! Cosa ci fai qui? Dovresti riposare… hai un aspetto orribile” ha detto l’ombra.
“E tu dovresti essere a ‘fare stretching nel parco’.” ha replicato Mark in tono ironico, sottolineando le ultime parole.
“Capitano… io…” ha farfugliato l’altro, imbarazzato.
“Rilassati, cosa vuoi che me ne freghi cosa fai e con chi, a me basta che domani fai il tuo dovere in…E tu cos’hai da fissarmi con quella faccia?”
Diceva a me? In effetti dovevo avere un’espressione fra il beato e l’idiota. Ma più idiota.
“Ehi, dico a te?”
Ho deglutito a vuoto. Non mi usciva una sillaba.
“Cos’è? Sei sorda, muta o solo stupida?” Si è avvicinato. Riuscivo solo a pensare: “Dio, dio quant’è bello”.
“Ciao” tiro fuori in fine.
“Ci conosciamo?”
“Sì… cioè no… io… dopo le selezioni della New Team…”
“Aspetta ora ricordo (Davvero??????). Eri in tribuna…Tu sei… cazzo! Sei la sorella di Price! È arrivato anche lui? Giocherà domani?”
“Certo che giocherà.”
“Vedrai” ha detto tornando a rivolgersi all’altro ragazzo. “Vedrai sarà un degno avversario da battere.”
Queste parole sono ovviamente andate a infiammare la mia parte Price.
“Tsè! Battere! Voglio proprio vedevi!”
“Ora sì che sembri sua sorella. La stessa aria strafottente. Lo stesso sguardo…”
Ormai la parte Price era partita e neanche i begli occhi di Mark avevano più effetto.
“E poi mi avete rotto con questo ‘la sorella di’, Ok? Ho un nome, mi chiamo Irene, chiaro?”
I due ragazzi mi hanno guardata, stupiti Forse avevo un po’ esagerato ma, ho pensato, potevo ancora ritirarmi con un certo onore.
“Ehm, scusate a volte mi lascio un po’ trasportare. Comunque, in bocca al lupo per domani, che vinca il migliore”.
“L’hai detto” ha replicato Mark. Ma c’era qualcosa nella sua voce. L’ho guardato: si era portato la mano alla fronte ed era pallidissimo.
Neanche il tempo di dire: “Si sente male” che l’ho visto accasciarsi, ma io e l’altro siamo riusciti a impedirgli di cadere a terra.
Quando l’ho afferrato l’ho sentito caldissimo.
“Ha la febbre alta” ho esclamato.
“Sì, subito dopo la partita aveva avuto un malore. Credevo fosse in stanza a riposare invece è venuto qui… Dannato testone… Cosa facciamo?”
“Innanzitutto, distendiamolo e tiriamogli su le gambe. E poi ecco: vai a bagnare questo fazzoletto alla fontanella. E dammi la tua felpa”.
Così lo stendiamo a terra, il ragazzo gli tiene le gambe su, mentre io lo copro con la felpa perché sta tremando, e gli metto il fazzoletto sulla fronte.
“Dobbiamo portarlo in albergo ma siamo troppo lontani per portarlo a braccia” dice.
Mi è venuto in mente che Freddie, l’allenatore di mio fratello a quell’ora doveva essere arrivato con la macchina. L’ho chiamato e ci è venuto a prendere. Arrivati all’albergo, Freddie ha aiutato il ragazzo ad accompagnare Mark in camera. L’ombra ha continuato a fissare Marshall per tutto il tempo e quando lui gli ha intimato di chiamare subito l’allenatore, il medico della squadra e la famiglia di Mark, ha balbettato solo un “Sì, signor… signor Marshall”. Sembravo io di fronte a Mark!
Poi sono tornata qui in camera a scrivere. Mio fratello ancora non è tornato…anzi no, eccolo. Ora gli racconto tutto!

********


Hey sono ancora io! Oggi non ho fatto altro che scrivere ma d’altronde sono successe un casino di cose. Quando gli ho detto di Mark, mio fratello è andato su tutte le furie dicendo che “se non c’è Landers non c’è competizione”.
E quando più tardi gli ho detto che sarei andata a vedere come stava, lui ha risposto “Vengo con te. Ci penso io a far svegliare quel vigliacco. Non è malato, se la fa solo sotto dalla paura”. Menomale che Landers non può sentirlo altrimenti finirebbe con le mani nel viso!
La porta era socchiusa e sono entrata nella stanza: Mark era disteso nel letto col ghiaccio sulla testa. Era madido di sudore, pallidissimo e agitato. Per un attimo l’ho fissato poi mi sono guardata intorno.
C’erano una signora di mezz’età con tre bambini, due maschi e una femmina, e un altro giocatore della Muppet, credo si chiami Danny Mellow. Nonostante avessi cercato di fare meno rumore possibile, tutti si erano voltati verso di me. Mi accorgo che mio fratello non mi aveva seguita dentro.
“Come sta?” ho chiesto.
“Insomma,” ha mormorato Danny.
“La febbre gli è leggermente calata,” ha detto la signora. La madre di Mark immagino, gli somiglia molto. “Ma non ha ancora ripreso conoscenza. Ma tu chi sei, una sua amica?”
“Io… ecco ero con lui quando si è sentito male…”
“Ah, allora sei tu.” Poi rivolta al bambino più grande che non stava fermo un attimo: “Su, sta’ buono, non vedi che Mark sta dormendo?”
“Non è vero.” Risponde il bambino, “se ne andato come papà e non torna più”.
Quell’affermazione mi ha raggelato il sangue.
“Matthew! Non dire queste brutte cose”.
“Stai mentendo” continua il bambino “Mark non dormirebbe mai invece di allenarsi! Non Mark Landers”.
Della serie: buon sangue non mente.
In quel momento il bambino più piccolo che dormiva in braccio alla signora Landers si è svegliato e ha chiesto:
“Mamma, si è svegliato Mak?”
“No, Michael, non…”
“Già” interviene Matthew, “come può è morto!”
“Matthew!”
Intanto il piccolino si è messo a piangere dicendo “Mak, Mak” e anche la bambina, che giocherellava tranquilla sulle ginocchia di Danny, gli è andata dietro.
Il centrocampista della Muppet la guardava senza sapere che fare: so che è il giocatore più giovane del campionato ma in quel momento aveva un’espressione tesa e seria, da adulto.
“Signora” azzardo, “Forse i bambini sono stanchi. E anche lei. Vada a casa. Resterò io qui”. Non chiedetemi perché l’ho detto.
“Ma…” fa Danny, “Fra poco devo andarmene anche io…Resti qui da sola?”
“Non c’è problema. Domani mica devo giocare, io”.
Poi mi rivolgo a Matthew.
“Ti fidi a lasciarmi con tuo fratello?”
Lui mi ha squadrata perbene. Poi con aria seria mi ha chiesto: “Cos’è? Sei la sua ragazza?”
Mentre penso “Magari” rispondo: “Nooo! Sai chi è mio fratello? Benjamin Price! Mi ucciderebbe se …”
“Ok, mi fido” conclude.
“Grazie, tesoro” mi dice la madre “Chiamami se succede qualcosa”.
Mentre si preparavano per andare, ho visto mio fratello sulla porta. Sono uscita.
“Ho sentito tutto” dice “Ma possibile che devi fare sempre la crocerossina del cazzo? E sia. tanto appena la famigliola se n’è andata, ci penso io a farlo svegliare”.
“Vergognati!” gli ho risposto. “Comodo prendersela con chi non può reagire. Sei un vigliacco!”
“Per tua informazione, il vero vigliacco sta là dentro” dice accennando alla stanza.
“No, sta proprio qui di fronte a me!”
“Abbassa la cresta, signorina” mi ha fatto prendendomi per il bavero.
“E tu tieni le mani in tasca” gli ho detto colpendolo sulle dita.
“Benjamin Price.” ci siamo voltati entrambi. Era la voce di Freddie. “Tua sorella ha ragione. Il vigliacco sei tu. Ora, hai due possibilità: o entri civilmente in quella stanza o te ne torni nella tua”.
Dentro mio fratello combattevano orgoglio e coscienza ma, si sa, il primo non lo batte nessuno. E così si è gloriosamente (per modo di dire) ritirato.
Sono rientrata nella stanza, non prima di aver lanciato uno sguardo complice a Freddie che però non ha ricambiato. Di solito siamo cane e gatto invece oggi è corso ben due volte in mio aiuto…mah!
“Ti ho sentito discutere” ha detto la signora Landers. “Ci sono problemi?”
“No, no. Con mio fratello parliamo sempre così”.
“Ah, ok. Grazie ancora”.
“Arrivederci”.
Resto lì con Danny che però combatte per stare sveglio.
“Vai a letto anche tu. Ci sarà bisogno di te, domani”.
Annuisce e va nella sua camera.
Ero sola. In una camera. Con Mark. Cazzo.
Solo che lui era privo di conoscenza…sigh! E poi mi faceva pena. Gli ho sfiorato i capelli con una mano e gli ho baciato la fronte: e quando mi ricapita!
Era sudatissimo e scottava. Poverino.
Devo essermi un po’ appisolata perché dopo quello che è sembrato un istante mi sono sentita sfiorare la spalla.
Era la signora Landers.
“Ho lasciato i bimbi da una vicina. Io tanto non riuscirei a dormire. Ma tu sì, mi pare. Vai pure a letto e grazie”. Mi ha sussurrato, accarezzandomi i capelli.
Ho sentito un braccio scivolarmi intorno alla vita. E ancora una volta mi sono trovata a pochi centimetri dai grandi occhi neri del ragazzo del parco.
“Ce la faccio da sola” ho detto divincolandomi da quell’abbraccio.
“Ti accompagno in stanza”.
In realtà era solo al piano di sotto, ma tant’è. Ho bussato, sperando che quel ghiro di mio fratello si svegliasse. Ho sentito del movimento.
“Beh, allora buonanotte.” Mi sono affrettata a dire nel tentativo di far andar via il ragazzo prima che Benji aprisse. “E… in bocca al lupo per domani”.
Per l’ennesima volta oggi me lo sono ritrovato a una spanna. Eppure non so ancora il suo nome. Stavo per farglielo notare quando la porta è scattata, io mi sono voltata verso il rumore e un attimo dopo… l’ombra era scomparsa di nuovo.
I ragazzi sono proprio un rebus… ma a quanto pare domani avremo il risultato…non solo della finale.
Auguri Mark ma… FORZA NEW TEAM!!!!

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Capitolo 3
*** Gli allenamenti per farli conoscere ***


Ecco la risposta alla domanda che, forse, qualcuno si è fatto... com'è nata la storia fra Ed e Irene?



Oggi come da programma Ed è venuto a casa nostra per allenarsi con Benji e Freddie. Quando ieri sera avevo ricordato a mio fratello che Ed sarebbe arrivato col treno delle dieci, la brusca risposta era stata: “Vai tu a prenderlo. In fondo questa seccatura è opera tua”. Beh, è vero. Quando dopo la finale ho incontrato Ed, lui mi ha fatto una testa così con gli esercizi che ci aveva visto fare al parco. Mi aveva chiesto se potevo aiutarlo ad allenarsi e io gli ho proposto di venire il sabato a casa nostra, così sia lui sia Benji si sarebbero allenati con qualcuno alla propria altezza, e io mi sarei risparmiata le sfacchinate del sabato mattina. Almeno così credevo…
Insomma, stamattina sono uscita di casa sotto lo sguardo di Benji ancora in pigiama. Sulla porta ho incrociato Freddie che già brontolava perché non eravamo ancora pronti: “Ho chiuso con gli allenamenti del sabato,” gli ho gridato uscendo, “vi ho trovato un nuovo compagnuccio!”
Sono arrivata al binario in tempo per vedere Ed scendere dal treno: dei jeans molto attillati gli fasciavano le gambe slanciate e anche la maglietta aderiva abbastanza al torace tonico da lasciare poco spazio alla fantasia. È sembrato sorpreso di vedermi.
“Ciao Ed! Tutto bene il viaggio?”
“Irene-san” mi ha salutata con un educato inchino. “Sì, grazie tutto ok” ha aggiunto.
“Mio fratello e il signor Marshall ti aspettano” gli ho detto salendo in auto.
Lui non mi ha risposto: guardava con occhi spalancati la Mercedes nera e l’autista. E li ha spalancati ulteriormente vedendo la casa.
“Cavolo,” ha mormorato “Mark aveva proprio ragione”.
“Cosa?”
“Vivete in una specie di reggia! È un sogno!”
“Beh, no è… una casa” dico arricciando il naso.
Mi ha guardata e ha riso.
“Beh?” gli ho chiesto un po’ scocciata.
“No, scusa è il tuo naso”.
Lo so, penso. È brutto, grande e a patata. Nonché uguale a quello di mio fratello. O c’era qualcosa che non sapevo già?
“Cos’ha il mio naso?” gli ho domandato un po’ risentita.
“Niente. Cioè è… carino. Quando lo arricci come prima, intendo… lascia perdere”.
Era un complimento? Non so, comunque ho cambiato discorso: “Andiamo al campo”.
“Dovrei cambiarmi”.
“Ci sono gli spogliatoi”.
“Sono aperti al sabato mattina?”
“Ehm… Ed?”
“Sì?”
“Vedi, in effetti… il campo, gli spogliatoi e la sala attrezzi sono… nostri, sono qui nel giardino”.
“Ah…”
Siamo andati sul retro dove Benji e Freddie ci aspettavano vicino alla porta.
“Warner” saluta mio fratello toccandosi il cappello.
“Signor Marshall, Price” dice Ed esibendosi in un perfetto inchino. “Grazie per l’opportunità che mi offrite”.
“È un piacere” risponde brusco Freddie. “E poi farà bene a entrambi”.
“Beh”, mi sono intromessa, “allora io vi lascio-”
“Non ti alleni con noi?” chiede Ed.
“No, tesoro: è proprio per questo che sei qui: per sostituirmi negli allenamenti del sabato” rispondo con un sorriso.
“Veramente preferirei che rimanessi” ha invece incalzato Freddie con quel suo tono che non ammette repliche. “Potresti aiutare Ed e poi… starò via qualche settimana e potrai supervisionare tu i prossimi allenamenti”.
Incastrata. Di nuovo. Tento: “Ma non credo abbiano bisogno di me…”
“Infatti” rincara la dose Benji “posso benissimo fare da solo”.
“Io preferirei (e dai con ‘sto “preferirei”! Farebbe prima a dire “comando e voglio”) che vi supervisionasse tua sorella. Un esterno può controllare che le posizioni siano corrette, cronometrare gli esercizi etc.”
“Ok,” taglio corto “resterò, ma cominciamo”.
Corsa, riscaldamento, pesi. Pranzo veloce e leggero. Ancora pesi, addominali e infine tecnica.
Devo ammettere che guardare da fuori è molto meglio.
Ed è incredibilmente allenato e sciolto e ha fatto tutti gli esercizi senza battere ciglio. Benji aveva stampata in faccia la sua solita aria indifferente, ma io vi leggevo anche una certa ansia da prestazione. Infatti spingeva molto più del solito. Credo che Freddie abbia ragione quando dice che è una cosa buona per entrambi.
Sulla tecnica, Ed è molto carente rispetto a Benji ma per lo più sopperisce con la sua agilità portentosa. E anche se Freddie non ha fatto che ripetergli che la traiettoria di un tiro va intuita prima e non intercettata fuori tempo massimo, io mi ci incanto a vedere le sue acrobazie!
Sono andati avanti fino verso le cinque poi, dopo la doccia e una bella merenda, ho riportato Ed in stazione. Era raggiante. Mi ha ringraziato mille volte per avergli dato questa opportunità e “per l’aiuto”… Mah, per avergli passato due pesi e corretto delle posizioni?!?
La cosa che però mi ha fatto più piacere e che anche Benji aveva l’aria soddisfatta anche se distrutta, tanto che, prendendola alla larga mi ha fatto: “Certo, è un po’ che non ti faccio più da cavia per i massaggi”, riferendosi a quando facevo il corso e lui (volentieri) si prestava per farmi esercitare. Che poi è il suo modo contorto per implorarmi di fargli il defaticamento. Ragion per cui ho risposto “È vero, potrei perdere l’esercizio”.
Ero troppo felice che la storia degli allenamenti con Ed gli andasse a genio per fare polemica!

****1 settimana dopo****

Anche oggi Ed è venuto ad allenarsi solo che stavolta non c’era Freddie così ho guidato io gli allenamenti. Ci siamo divertiti e abbiamo riso un sacco ma hanno anche lavorato… Voglio dire, si sa che mio fratello non accetta di perdere neanche a pari o dispari, figurarsi farsi superare dal primo “capellone con la lisca” come lo ha chiamato. Ma si vede che in fondo Ed gli sta simpatico e che trova stimolante allenarsi con lui.
Comunque, per la cronaca, che è un capellone è vero ha dei capelli folti e nerissimi che gli arrivano alle spalle: sono stupendi, li avessi io! E quanto alla lisca, sì, è vero ma preferisco la definizione che ne ha dato Mrs. Bright “un modo delizioso di pronunciare la ‘s’”. Delizioso… è proprio un aggettivo da Mrs. Bright… e da Ed: ha dei modi carissimi che hanno decisamente deliziato la nostra tata… Comunque parlando di spirito di competizione non è da meno di mio fratello. Nonostante come portiere sia tutto istinto, quando deve fare un esercizio ha una disciplina incredibile e lo esegue con scrupolo, senza fiatare.
Alla fine gli ho chiesto di mostrarci un po’ di quegli esercizi di stretching che faceva nel parco, così ha preso lui il ruolo del “maestro” e, come se non avesse fatto altro in vita sua, ci ha guidati in una serie di esercizi di stretching e di rilassamento fantastici… mi ci sono quasi addormentata…

****1 altra settimana dopo****

Altra seduta senza Freddie. Come sabato scorso abbiamo riso ma anche sudato… Ed si diverte a costringermi a esercitarmi con loro. Divertente niente da dire, ma per i miei gusti abbiamo indugiato un po’ troppo sui tuffi e i modi di cadere senza (teoricamente) farsi male ma riempiendosi (in pratica) di lividi… Ed ci ha anche mostrato cose nuove, imparate dal padre che ha un dojo di karate.
Abbiamo (Ho) insistito perché restasse a cena così gli abbiamo fatto fare un tour di “Fujisawa by night”, che non è ‘sto gran che ma un paio di locali carini ci sono. Ci siamo fatti qualche sakè con ghiaccio e lime in compagnia di Paul, Johnny e Ted e poi lo abbiamo riaccompagnato al treno.

****1 altra settimana dopo****

Oggi la New Team aveva un’amichevole con una squadra importante ma mio fratello si era dimenticato di avvertire Ed e, come sempre, è toccato a me metterci una pezza: “Te ne puoi occupare tu, no? Chiedigli se può fermarsi a dormire da noi e domani mi alleno con lui”.
Così ho fatto. Ed ha accettato di buon grado. L’ho aspettato in salotto mentre telefonava per avvertire i suoi poi mi ha raggiunta e si è seduto di fronte a me. Dopo un attimo di titubanza, ha sfoderato il suo bel sorriso e chiesto: “Allora, cosa facciamo?”
“Pensavo, se ti va, potremmo andare a vedere l’amichevole della New Team…”
“Non ci alleniamo noi due?” fa un po’ deluso.
“Vuoi allenarti sia oggi che domani?”
“Beh, quando si ha almeno un Price, c’è sempre da imparare….”
Rido. “Ok, ma niente di pesante, giusto qualche fondamentale, ok?”
Siamo andati avanti ancor meno del previsto, però, perché il mio allievo oggi era un po’ indisciplinato, o piuttosto distratto. Avrò percorso mille volte l’area di rigore per correggergli la posizione. E ogni volta che lo sfioravo, si metteva a ridere per il solletico. Evidentemente era di buon umore. Pure troppo. Alla fine ho rinunciato.
“Basta così” ho sospirato.
“Sei già stanca?” mi ha chiesto con aria di sfida.
“No sei tu che oggi non riesci a fare le cose seriamente” è stato il mio bonario rimprovero.
Lui si è avvicinato e con un gesto rapido mi ha afferrata per i fianchi e ha iniziato a farmi il solletico. Sai che non lo resisto: infatti ho preso a ridere e a divincolarmi, la sua presa era salda ma infine sono riuscita a scappare. Lui mi ha rincorsa finché non mi ha placcata e, proprio come il giorno in cui ci siamo conosciuti, ha frapposto il suo corpo fra me e il terreno. Solo che stavolta ci siamo trovati faccia a faccia. Per un lunghissimo momento ci siamo guardati negli occhi. Aveva uno sguardo strano. Ho sorriso: sono cresciuta facendo la lotta con mio fratello e con gli altri ragazzi e sai quante volte mi è capitato! A quei tempi di solito mi liberavo dalla stretta con una ginocchiata ai gioiellini, ma con un ospite non mi pareva educato. E anche un pizzicotto fra il collo e la spalla funziona. Ed ha gridato “ahia” e mi ha guardato con aria ancora più strana. Infine mi ha lasciata andare.
“Vai pure tu a fare la doccia” ha detto accennando alle due docce nel piccolo spogliatoio. “Io farò un po’ di stretching”.
“Guarda che ci sono altri sei bagni in questa casa, non c’è bisogno di fare a turno. Però se fai stretching ti faccio compagnia”.
Il suo umore era cambiato all’improvviso. Per fare allungamento si è seduto a un paio di metri da me e non ha detto una parola fino alla fine. Evidentemente avevo fatto qualcosa di sbagliato. Dovevo rimediare.
“Il soggiorno a villa Price è comprensivo di un trattamento gratuito… sauna o massaggio?” ho esordito, con aria da tour-operator.
“Avete anche la sauna?”
“Beh, è molto piccola… allora sauna? Vieni”.
Gli ho mostrato dov’era e ho acceso la macchina per il vapore. Poi siamo andati in camera di Benji, ho preso un costume e glielo ho porto.
“Ci cambiamo e ci troviamo giù alla sauna, ok?”
Pochi minuti dopo, eccolo arrivare: i pettorali e gli addominali erano proprio come me li ero immaginati attraverso la maglietta, i boxer gli scendevano di alcuni centimetri sotto l’ombelico perché è più magro di Benji. Davanti a tanta grazia non mi sentivo molto a mio agio in costume. Avrei preferito il massaggio. Almeno io potevo restare vestita e poi… ho cominciato, mio malgrado, a pensare che non mi sarebbe dispiaciuto...
Ma non ci devo neppure pensare. Figurati se a uno così piaccio io. È qui per mio fratello mica per me. Eppure quando prima ci eravamo ritrovati l’una sopra l’altro… No, non mi devo fare film, altrimenti poi ci sto male e basta.
Comunque, siamo entrati e ci siamo seduti sulla panca di legno, a una certa distanza l’uno dall’altra
Mi sono appoggiata alla parete, decisa a guardare in un’altra direzione per non permettere a pensieri troppo licenziosi di sfiorarmi. Eppure sapevo che lui mi guardava e sapevo bene cosa pensava: che avevo muscoli troppo sviluppati e qualche chiletto in più. Sono d’accordo.
Forse avrei dovuto attaccare discorso. Per fortuna lo ha fatto lui.
“E se sceglievo il massaggio? Veniva fuori un cameriere –fisioterapista?”
“No… in effetti ti saresti dovuto accontentare di me. Sai, ho preso lezioni dal massaggiatore della New Team e quando posso faccio pratica. E mio fratello spesso ne approfitta… Specie dopo le sessioni di allenamento con te”.
“Lo credo bene, sono delle sfacchinate. Immagino sia piacevole…”
Cosa avrei dovuto fare? Propormi o… Ma è stato lui a riprendere.
“Anzi, ne sono sicuro. Ricordo che quella volta nel parco…Beh, pazienza, ormai ho scelto la sauna. Almeno te la godi anche tu…”
Faccio spallucce. “Mi fa piacere anche fare pratica…” butto là.
“Beh, visto che tu ti presti per gli allenamenti, esercitati pure su di me”.
Devo aver avuto uno sguardo strano. Perché lui guardandomi ha smesso di sorridere e ha detto quasi spaventato: “Se ti va, eh…”
“Sì, sì” lo rassicuro.
Con la mano lo sospingo delicatamente per farlo sdraiare, mi siedo in mezzo alle sue gambe e comincio a massaggiargliele. Chiude gli occhi.
In quel momento si è spalancata la porta ed è apparso Benji. Il rumore ha spaventato Ed che forse si stava appisolando: scattando seduto ha perso l’equilibrio, e dalla panca si è ritrovato con il sedere a terra e le gambe incastrate col mio corpo.
Benji ci guarda con aria strana, un sopracciglio sollevato.
Silenzio glaciale nonostante il vapore. Atmosfera da sparatoria a mezzogiorno di fronte al saloon.
“Abbiamo perso” ha detto infine mio fratello, mentre Ed si ricomponeva velocemente e si alzava in piedi.
“E quanti ne hai presi?” ha detto Ed.
Mi sono sentita gelare: decisamente quella non era né il modo né il momento per rivolgersi a mio fratello.
“Eh, beh, erano professionisti…” tento di rimediare.
“Soltanto uno” sibila mio fratello fissando Ed negli occhi, coi nasi che quasi si sfioravano.
“Ah, i tuoi non ne hanno fatto neppure uno? E poi si dà la colpa ai portieri..ah… attaccanti” ha commentato Ed tornando a sedersi.
Benji lo ha fissa qualche altro istante e poi ha detto: “Già…” e si è gettato a sedere in mezzo a noi, costringendoci a scartare di lato per fargli posto.
Ancora silenzio, greve come il vapore nella stanza. Era insostenibile. “Mi fa troppo caldo” ho dichiarato. “Vado a dire di far preparare la cena”.
Poi niente, abbiamo cenato a base di conversazione monotematica sull’amichevole del pomeriggio e poi ci siamo visti un film. Non siamo usciti, domani nuova training session…
Da cui ovviamente non mi potrò esimere… uff…
Notte!
*****
Se la giornata di ieri è stata strana, quella di oggi batte ogni record. Tutto è iniziato stamattina prestissimo, quando sono stata svegliata da un rumore nella stanza accanto, dove dormiva Ed. Devo ammettere che ieri sera prima di addormentarmi un po’ ci ho pensato, voglio dire, che lui era lì a pochi metri e… vabbè. Comunque, siccome il rumore continuava, sono andata a vedere se non avesse qualche problema. Ho bussato. Lui mi ha aperto: indossava solo un paio di pantaloni bianchi molto larghi, legati in vita, che, come il costume di ieri, calavano pericolosamente lungo il pancino piatto e i fianchi strettissimi. I lunghi capelli erano morbidamente trattenuti da una fascia. Il petto e la fronte, imperlati da goccioline di sudore.
“Tutto bene?” gli chiedo.
“Sì… perché? Oh, scusa devo averti svegliato. In casa mia tutti si alzano all’alba e non ho pensato…”
“Oh, no sono io che ho il sonno leggero… Vuoi che faccia preparare la colazione?”
“No, aspetto voi. Anzi vado fuori in giardino e quando siete pronti mi chiamate, ok?”
Che dovevo dire? Ho risposto ok e gli ho raccomandato di coprirsi un po’. Fa freddo alle sei del mattino.
Ha annuito, arrossendo lievemente, come si rendesse conto solo adesso del suo deshabillé.
Va da sé che non sono più riuscita a dormire. Sono andata alla finestra ma non riuscivo a scorgerlo. Così mi sono vestita sono scesa giù e ho fatto preparare la colazione che poi ho portato fuori su un vassoio.
Finalmente ho visto Ed, mi sono soffermata un attimo a guardarlo, nascosta da una siepe: stava eseguendo delle mosse di karate, ma con una grazia tale che sembrava danzasse. Certo che questo non è mai stanco! Sono rimasta un bel po’ col vassoio in mano, finché, infine, non è stato lui a scorgermi.
Ha interrotto quella specie di danza e mi è venuto incontro sorridendo e sciogliendosi i capelli. Ha scrollato la testa e poi ha detto:
“Ora che sai il mio segreto dovrei ucciderti ma siccome hai portato la colazione ti perdono. Sto morendo di fame”.
Ho appoggiato il vassoio sul tavolo sotto il gazebo e ci siamo seduti. Ed si è messo a mangiare di gusto, bofonchiando a bocca piena apprezzamenti per la colazione occidentale.
“Qui è tutto occidentale. I nostri genitori ci hanno sempre allevati con la prospettiva di portarci in Europa, prima o poi: tate inglesi e tedesche, cucina europea…Ricordati che dopo hai l’allenamento” aggiungo vedendolo ficcarsi in bocca il terzo muffin. “E poi mi devi spiegare come fai a mangiare quanto mangi e ad essere così magro… vorrei avere il tuo pancino piatto oltre ai tuoi capelli” sospiro io.
Mi guarda con gli occhi spalancati e la bocca piena che sembrava un pesce palla. Siamo scoppiati a ridere e lui ha bofonchiato “Allora è vero che sono da donna”.
“Certo che ve la spassate un sacco voi due…” dice Benji arrivando e sfoderando il suo solito sorrisino di sbieco®. “E allora Warner? Pronto per sudare un po’?” dice mio fratello tirando a Ed una pacca sulla schiena tanto forte che per poco non si strozza con le ultime briciole di muffin. Poi lo guarda meglio e prosegue: “Ma come sei vestito?”
“Stavo andando a cambiarmi. Con permesso,” ha risposto Ed alzandosi e accennando un inchino.
Mio fratello si è messo a mangiare guardandomi storto.
Dopo un po’ Ed è riapparso: si era cambiato e parlava al cellulare: “Beh, Mark, non lo so, mica sono in casa mia…E che ti devo dire se sei quasi già qui… ok, a dopo. Ciao”.
Ha riattaccato. Poi si è rivolto a noi: “Spero non vi dispiaccia ma il mio capitano è un po’…come dire… impulsivo. Stamattina ha deciso che voleva vedermi e…beh… sta venendo qui…” dice con aria fra l’incazzato e l’imbarazzato.
Il solo pensiero di Mark che varcava il cancello di casa mia mi ha mandato in brodo di giuggiole. Senza che potessi fare nulla per impedirmelo mi è partito un film…visto che oggi c’era Freddie, mentre loro si allenavano io avrei intrattenuto Mark, gli avrei mostrato la casa, offerto uno spuntino, poi magari il pranzo, chissà se a lui la sauna sarebbe piaciuta… Questa ridda di pensieri si è tradotta in una conferma chiesta con voce sognante, cui ha fatto eco quella di mio fratello. stesse parole ma tono incazzato: “Mark Landers?”
Ed ha annuito, rinnovando le scuse per quella visita senza invito.
Ovviamente ho sfoderato un sorrisone e affermato prima che Benji potesse aprir bocca: “Ma ti pare, nessun problema”.
Sulle ali della felicità sono salita in camera a cambiarmi… chissà se a Mark piacevano più le tipe sportive, romantiche, casual, eleganti… boh, solo che il mio fisico e il mio guardaroba non permettono grandi voli. Ho optato per gonna di jeans, scarpe da ginnastica e una canottierina molto carina. Ci devo aver messo un po’ a decidere perché quando sono scesa, Lui era già lì. Freddie e i tre ragazzi erano fermi a parlare fra loro. Quando mi scorgono tutti mi guardano con aria sorpresa. Il primo a parlare è Ed: “…e questa, Mark, è sua sorella Irene ma credo vi conosciate… di solito si allena con noi…”
“Già” interviene mio fratello “ma oggi deve avere qualche impegno. Dov’è che vai vestita così, Ire?”
Mentre passavo mentalmente in rassegna le morti più dolorose possibili per scegliere quella da infliggere a mio fratello, minimizzo “No, da nessuna parte, le prime cose che ho trovato…”
“Beh, ora che ci siamo presentati e siamo tutti amici, vogliamo continuare l’allenamento?” continua Benji, con aria annoiata.
“Mio fratello è un pessimo padrone di casa, accomodati pure, Mark, posso offriti qualcosa?” cinguetto.
“Non sono qui per disturbare né incomodare nessuno, mi metterò seduto qua e guarderò l’allenamento. Ero solo curioso di vedere cos’è che il mio migliore amico fa tutti i santi finesettimana anziché uscire con me…”
Mi sono seduta con lui sotto il gazebo e per una mezz’ora buona ho cercato di intavolare una conversazione ma Mark aveva gli occhi fissi sui due portieri e alle mie domande rispondeva solo con monosillabi al limite dell’educazione. Avevo ormai rinunciato quand d’un tratto lui mi fa: “Scusa, Irene…”
“Sììììì?”
“… dov’è il bagno, per favore?”
Beh, poteva andare meglio, ma magari ne avrei approfittato per fargli fare un giretto della casa, ho pensato, ma non avevamo fatto che qualche passo, quando sento un’imprecazione e poi Freddie che urla “Svelta, Irene, il ghiaccio”.
Di corsa entro nello spogliatoio, prendo il ghiaccio dal frigo e, seguita da Mark raggiungo gli altri.
Ed tendeva una mano verso di me per avere il ghiaccio, mentre con l’altra si teneva il naso: aveva del sangue sulla maglietta.
“Facevamo degli esercizi con la palla medica e se l’è presa in faccia” ha spiegato mio fratello.
“Wow, è pesantissima. Speriamo non si sia rotto il naso” esclamo.
“Sto bene,” dice Ed togliendo il ghiaccio dal volto, “Possiamo continuare”.
Senza tante cerimonie, Freddie gli ha afferrato il naso strappandogli un gemito.
“Non sembra rotto, non ti preoccupare, avrai ancora il tuo bel profilo” lo ha rassicurato l’allenatore, “ma tieni un altro po’ il ghiaccio e vatti a ripulire”.
Sempre seguita da Mark ho accompagnato Ed nello spogliatoio. L’ho fatto distendere sulla panca. Ricordandomi della richiesta di Mark, gli ho mostrato che anche lì c’era il bagno. Quando è uscito, accertatosi che l’amico stesse bene, si è congedato “Beh, magari vado a fare due tiri con Price mentre voi, sì insomma… a dopo”.
Mentre penso “Noi cosa?”, Ed impreca di nuovo, toglie il ghiaccio e con cautela si tocca il naso. “Cavolo se fa male, speriamo davvero che non sia rotto…”
“I portieri col nasino dritto sono rari, caro mio… Fa’ vedere”. Con delicatezza ho verificato che non fosse rotto, confermando la “diagnosi” di Freddie. “Però tieni ancora il ghiaccio o domani oltre all’agilità di un gatto ti ritroverai la faccia di un panda”.
Ha riso. “Sei molto gentile a prenderti cura di me” si è tirato su a sedere sulla panca. “E stai bene vestita così”.
“Sei molto gentile anche tu. Però… eri più carino stamattina…”
Si è avvicinato allo specchio e guardato: aveva sul viso una chiazza rossa a causa della botta e del ghiaccio, il volto sporco di lacrime e sangue. “Beh in effetti” ha riso e si è sciacquato la faccia. Ho preso un nuovo involto col ghiaccio e glielo ho appoggiato sul naso, lui si è portato le mani al volto per tenerlo e per un attimo ha trattenuto anche la mia mano.
La porta si è aperta e Benji ci ha avvisato che il pranzo era pronto. È sembrato il replay della scena nella sauna. Ma Ed è stato pronto come al solito, sempre tenendosi il ghiaccio sul volto, ha oltrepassato Benji ed è uscito. Mio fratello ha continuato a fissarmi finché non sono uscita a mia volta.
Il pranzo è stato piacevole, all’insegna dello sfottò nei confronti di Ed e del suo incidente. Dopo, nonostante Ed continuasse a ripetere che stava benissimo e che si poteva continuare, è apparso abbastanza chiaro che non era il caso, così i due giocatori della Muppet se ne sono andati.
-sigh-
Appena si sono allontanati, Benji mi si è parato davanti e guardandomi negli occhi mi ha chiesto “Adesso vuoi spiegarmi cosa c’è fra voi due?”
“Ma dai andiamo, Benji, solo per uno stupido vestito…” minimizzo, terrorizzata al solo pensiero che avesse capito che mi piaceva Mark.
“Ah, al vestito non ci avevo neanche pensato… mi riferivo piuttosto alla sauna, alle risatine di stamattina e poi poco fa nello spogliatoio…”
Evidentemente mi sfuggiva qualcosa.
“Beh, insomma, uno che si prende una palla medica in faccia per te avrà i suoi buoni motivi…” continuava Benji.
Stava parlando di… Warner?
“…Menomale che è venuto Landers - senti cosa mi fai dire! – che altrimenti mi sembrava di rovinare la luna di miele… allora?”
Ero senza parole. Non che la cosa non avesse una sua logica, in effetti avrebbe spiegato certe reazioni di Ed… ma… insomma… uno come lui… piacergli io?
“Non ne ho idea” ho ammesso.
“A me non la dai a bere. Andiamo, perché è nata questa storia dell’allenamento?”
“Ed voleva allenarsi con te e Freddie…”
“Ma smettila. Piuttosto con te”.
“Ma smettila tu” ho tagliato corto e sono venuta in camera.
Più ci penso, più mi vengono a mente particolari che sembrerebbero sostenere la tesi di Benji. Ma io continuo a dire che non è possibile. Eppoi, voglio dire… siamo stati molte volte da soli, mi avrebbe detto qualcosa, no?
Mah… comunque il problema non si pone per due settimane: sabato prossimo Freddie non c’è e la New Team ha un’altra amichevole quindi l’allenamento è stato rimandato a fra due sabati.

****1 altra settimana dopo****

Non so se vivere come una sconfitta il fatto che mio fratello avesse notato qualcosa che a me, per quanto evidente, non mi aveva neppure sfiorata, o festeggiare come una vittoria il fatto di AVERE UN APPUNTAMENTO CON ED WARNER!!!!!
Sto continuando a ripetermelo come un mantra perché non mi sembra possibile…eppure…
Oggi sono andata a vedere l’amichevole della New Team, ma in panchina c’era Patty e quindi ho optato per le tribune. Va da sé che in piena estate a guardare un’amichevole sotto il sole c’ero solo io. Per questo ho sentito subito i passi lungo la scaletta di accesso e subito dopo, ho visto l’ombra di qualcuno molto alto allungarsi a pochi passi da me. Mi volto e scorgo in controsole l’inconfondibile sagoma del portiere della Muppet che mi guarda dall’alto del suo metro e ottanta. O almeno credo che mi guardasse perché sotto l’ombra di un cappellino i suoi occhi erano nascosti, ma dato che non c’era nessun altro... Per un attimo sono rimasta ad osservare la bella immagine del suo corpo slanciato controluce. I discorsi fatti da mio fratello domenica scorsa, cui avevo accuratamente evitato di pensare per una settimana, mi sono echeggiati in testa.
… uno che si prende una palla medica in faccia per te…
Giusto, avrei dovuto chiedergli come stava…
“Ciao,” una voce incerta veniva dal suo volto in ombra, “disturbo? La vostra tata mi ha detto che eravate qui”.
…voleva allenarsi con te e Freddie…
“Ciao, no che non disturbi, anzi. Ma… non ti ricordavi che oggi Freddie e mio fratello non c’erano?”
“In effetti cercavo te”
…Ma smettila. Piuttosto con te…
“Beh,” dico io sorpresa, ostentando più sicurezza di quella che provassi. “A quanto pare mi hai trovata”
Con un colpetto delle dita ha alzato la tesa del cappello. La luce gli ha illuminato il volto. Aveva un’aria seria.
“È quasi guarito” dico accennando al suo naso. A ricordare l’incidente della scorsa settimana non restavano che due sottili tracce marroncine vicino agli occhi.
“Già. Però lunedì sembravo più un pugile che un portiere,” ha sorriso, “o un panda”. Ha sorriso ancora. Mi ha guardata negli occhi ed è tornato serio.
“È successo qualcosa?”
“In effetti sì. Vado alla Toho”.
“Davvero?”
“Sì, oltre a Mark, hanno chiesto anche a me e a Danny di unirsi alla loro squadra. È una grande società, è anche un’ottima scuola, e poi sono contento di tornare in classe con Mark…” Si è interrotto. Ha fatto qualche passo e si è seduto a circa mezzo metro da me.
“Sei venuto a dirmi che il sabato non verrai più ad allenarti?”
“No, anzi, quando vivrò al campus saremo ancora più vicini. Sì, insomma… e comunque non cominciamo fino a settembre…”
Ha contratto a pugno le mani appoggiate sulle gambe.
“Senti” ha ripreso, lo sguardo fisso sul campo. Mio fratello guardava nella nostra direzione e ha preso un goal stupidissimo ma Ed è sembrato non accorgersene. “Domani sera c’è una festa alla sede della Toho per la presentazione della squadra. Mi vorresti accompagn…?” La voce gli si è spenta in gola.
“Mi vorresti come… ‘dama’?” Non chiedetemi come mi è uscita quella parola.
“Beh, sì” ha risposto. Poi si è affrettato ad aggiungere: “Non sei obbligata. Pensaci. Il mio numero lo sai e io… ora devo andare. Ci sentiamo stasera o domani in giornata… se ti va”.
Si è alzato e se n’è andato.
Sono rimasta lì imbambolata per un tot. Chi l’avrebbe mai detto che mio fratello fosse un osservatore tanto acuto e un sì profondo conoscitore della mente umana. O che fossi io ad avere i paraocchi? Ma soprattutto, era successo davvero o era stato un’allucinazione data dal sole?
A riscuotermi è stata la voce di mio fratello dal campo: “Cosa voleva da te Warner?” ha chiesto con aria allusiva.
“Mi ha fatto una domanda”.
“Ed è venuto fin qui per farti una domanda?”
“E per vedere te prendere goal a culo”.
“Tanto a casa non mi scappi” ha detto entrando nello spogliatoio.

Quando più tardi a casa glielo ho raccontato è scoppiato a ridere. “Lo sapevo, lo sapevo!” ha iniziato a gridare. “Avevo dei sospetti già prima, ma ieri quando tu eri con Landers e noi ci allenavamo, era distratto e non faceva che guardare cosa facevate. E quando vi siete alzati, per vedere dove andavate si è preso la palla in faccia! Deve imparare a essere meno emotivo se vuole fare strada. Ah! Mia sorella… che storia! Non vedo l’ora di raccontarla in giro”.
“E cosa racconterai, di grazia?”
“Che mia sorella se la intende con la concorrenza… ah, ah, ah… Tu e Warner…”
“Parli come se già avessi accettato”.
“Oddio… non lo farai? Davvero? Ti adoro sorellina!”
“E invece dirò di sì”. Così dicendo sono andata dritta al telefono e ho fatto il numero: “Sì, ciao Ed sono Irene. Volevo dirti che per domani sera va bene. Ok, sì, alle 19 al cancello della Toho School, a domani”.
Ho riattaccato e sono venuta in camera. Ovvio che non l’ho fatto per ripicca verso mio fratello, ho sempre avuto intenzione di accettare. Ma Benji va preso per il suo verso..
Ora però sono nel panico totale!!! Cosa mi metto? Cosa gli dirò? Aiuto…

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Capitolo 4
*** Never on a first date ***


Il coronamento del sogno nato in Gli allenamenti per farli conoscere... o no? 

Lo dicevo io, che non dovevo illudermi… Sono appena tornata dalla festa…uff… una noia mortale, sembrava una di quelle serate di gala cui ci trascinano i nostri genitori quelle poche volte che siamo con loro… Forse ha portato sfiga riciclare l’abitino da cocktail azzurro acquistato per una di quelle occasioni…

In realtà la serata era iniziata alla grande, insomma, scesa dalla macchina mi son trovata davanti un Ed b-e-l-l-i-s-s-i-m-o: scarpa elegante, jeans scuri, camicia bianca un po’ stropicciata indossata con studiata nonchalance fuori dai pantaloni e, infine, cravatta coi colori della Toho portata lenta. I capelli erano raccolti in parte in un codino alto e lasciati sciolti sul collo. Mi ha accolta con un educato inchino seguito da uno dei suoi sorrisi dolcissimi, infine mi ha porto il braccio e mi ha guidata dentro. Qui ho salutato Mark e conosciuto ufficialmente Danny, per poi essere presentata all’intera Toho, non senza qualche imbarazzo ai vari: "Ah, la tua ragazza Ed non sapevo ce l’avessi…" etc.

La conversazione è stata piacevolissima ma la festa era una palla assurda, una specie di galà di presentazione della scuola e della squadra con tanto di premiazione di ex alunni. Ed sembrava imbarazzato, ma non saprei perché, alla fine, non abbiamo avuto neanche un minuto per scambiare due parole da soli. Mezzanotte è arrivata in un lampo e con essa il mio autista. Non c’è molto altro da dire del mio primo appuntamento se non --------------

 

RITIRO TUTTO. È passata poco più di un’ora dalle ultime parole che ho scritto eppure… niente è uguale ad allora.

Mentre scrivevo è suonato il cellulare: Ed. Ho risposto. Mi ha detto solo: "vediamoci in giardino dove c’è la porta". E ha riattaccato. Sorpresa e curiosa, facendo attenzione a non farmi sentire, sono scesa in giardino. Appena arrivata vicino alla porta, qualcuno oltre il muro di cinta ha sussurrato il mio nome. Neanche il tempo di dire "Sì, sono io", che un’ombra si è delineata sopra il muro stesso e, dopo essersi dondolato brevemente al ramo di un albero, Ed mi è atterrato davanti, ancora più bello di prima, coi bei vestiti sporchi e sgualciti, qualche rametto fra i capelli spettinati e i grandi occhi neri velati di tristezza.

Non so se potete immaginare come mi sono sentita: ho cominciato a pensare che la gente ha ragione quando dice che casa mia è una reggia, perché in quel momento io mi sentivo davvero una principessa. E lui sembrava il principe azzurro, reduce dalla lotta col drago.

"Perdonami se ti ho disturbata" ha attaccato lui "ma volevo, ecco, chiederti scusa per stasera".

"E di cosa?" ho chiesto conciliante.

"È stata una palla di festa".

"Ma va… sai quante me ne sono sciroppate coi miei? Ci sono abituata…"

"Appunto. Non è quello che avrei voluto per il nostro… primo appuntamento. Non doveva andare così".

"E come doveva andare?"

"Beh…" mi ha guardata stupito ed è arrossito lievemente "almeno stare un po’ da soli…"

"Ora lo siamo" ho detto sorridendo e appoggiandomi con la schiena al palo più vicino.

"È per questo che son venuto fin qua in motorino".

Azz… non ci avevo pensato… Ma ora che me lo faceva notare… beh, lo ammetto: gongolavo. Ma ho minimizzato:

"Appunto, non c’era bisogno".

"Invece sì" ha detto lui con decisione "Io ne avevo bisogno. Avevo bisogno di seguirti, di chiederti scusa, di vederti ancora qualche minuto, di stare un po’ solo con te e di…" Si è avvicinato, la sua voce tremava, e anche le mie gambe. Il suo volto vicinissimo al mio, il profumo buonissimo della sua pelle e dei suoi capelli misto a quello delle foglie e della polvere…Non era la prima volta che ci trovavamo così vicini, eppure… quel profumo era una sensazione nuova. Come lo erano lo strano formicolio sulle labbra e la fitta al basso ventre.

Con le sue grandi mani mi ha sfiorato le spalle poi, cingendomi con le braccia, si è appoggiato al palo dietro di me. Ho sentito tutto il suo corpo snello e muscoloso sul mio e il suo… beh, ci siamo capiti, che premeva sul mo bacino.

Ho chiuso gli occhi per abbandonarmi a quella sensazione di forza e protezione, cui si è aggiunta di lì a poco la pressione leggera delle sue labbra che, dolcissime, si sono dischiuse, quindi il brivido caldo, umido e morbido della sua lingua che s’insinuava delicatamente fra le mie labbra, che avide, rispondevano da sole. Senza neanche accorgermene mi sono ritrovata ad abbracciare e carezzare le spalle forti, il corpo magro e muscoloso, i capelli morbidi e folti.

"Proprio non ce la facevi, eh, ad aspettare la prossima volta" gli ho detto quando, infine, ci siamo sciolti dall’abbraccio.

"Più che altro avevo il terrore che non ci sarebbe stata una prossima volta" ha sorriso sfiorandomi di nuovo le labbra con un bacetto. "Adesso mi sento un po’ più tranquillo. Credo sia ora di andare, mi aspetta un bel po’ di strada".

"Sì, e io rientro, prima che qualcuno ci veda. A sabato, allora?"

"Ok" ha fatto per andarsene, poi è tornato indietro e mi ha baciato di nuovo. "Ciao".

Con la solita agilità da gatto si è arrampicato sull’albero, quindi è saltat osul muro di cinta e giù dallo stesso.

Ho ancora addosso il suo profumo e in bocca il suo sapore. Sono felicissima!

Ancora non so cosa trovi in me uno così, ma qualunque cosa sia, sono felice che ce la trovi e spero che continuerà a farlo a lungo…

 

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Capitolo 5
*** I muscoli del capitano ***


Siamo in pieno secondo campionato. La storia di una strana convalescenza a villa Price... Questo episodio è direttamente collegato ai due che seguono "Patty chiari" e "Wind of Change".

Le cose con Ed vanno alla grande, sono troppo felice e sempre più convinta del nostro rapporto. Anche se le tentazioni non mancano… ma andiamo per ordine.
Ieri, tanto per cambiare, ci siamo trovati al campino per una partitella con un po’ di gente raccattata qua e là, un sei contro sei, con mio fratello, Holly, Paul, Ted, Bruce e Jack da una parte e dall’altra i gemelli Derrick, Ed, Danny, Bob e Mark che però tardava ad arrivare. Ovviamente tutti erano impazienti di cominciare e ovviamente mi sono dovuta prestare, così Ed è andato in campo e io ho preso per un po’ il suo posto in porta, ma giusto alcuni minuti: di lì a poco infatti, abbiamo sentito l’inconfondibile motorino di Mark e lui che, parcheggiandolo, ci urlava: “Scusate il ritardo!”
L’ho osservato: c’era qualcosa di strano nel modo in cui è sceso dal motorino e poi giù lungo il sentiero. Tanto che, incrociandolo mentre uscivo dal campo gli ho chiesto se era tutto a posto. Guardandomi storto ha risposto bruscamente: “Certo, cosa ci dovrebbe essere?”
Eppure non giocava come al solito, c’era qualcosa di strano ma non riuscivo a capire… non zoppicava da nessuna gamba, poi mi sono resa conto: uno fa così se gli fa male la schiena! Stavo per dire qualcosa quando lo vedo prepararsi per una rovesciata. Mentre pensavo “è cretino” mi sono avvicinata al punto in cui si trovava, non aveva ancora toccato il suolo che già avevo afferrato la borsa del ghiaccio.
Mark era disteso a terra, prono e non piangeva proprio perché non fa parte del suo personaggio. Lentamente lo abbiano voltato. Non sapevo come trasportarlo senza fargli troppo male…magari la barella.
“Ma quale barella” ha detto Mark tra i denti, “ce la faccio da solo”.
Ha provato ad alzarsi ma è impallidito ricadendo giù semisvenuto e solo i riflessi di mio fratello che lo ha afferrato da sotto le ascelle gli hanno impedito di sbattere la testa. Ed lo ha preso per le gambe e ha aiutato Benji a distenderlo sulla panchina.
“Ha bisogno di un letto” ha osservato Holly.
“Portiamolo da noi, Benji” ho suggerito, “è vicino e abbiamo un sacco di stanze vuote.
Ho chiamato a casa perché mandassero l’autista a prenderci e preparassero una stanza.
Quando è arrivata la macchina, gli altri se ne sono andati a casa.
Non senza difficoltà, io e Benji abbiamo portato Mark nella stanza.
“Però mica possiamo metterlo a letto così sporco e sudato” ho osservato “Va’ a preparare la vasca, Benji, un bagno caldo gli farà bene”.
Ho guardato Mark. Era seduto sul bordo del letto, sostenendosi con le braccia. Mi sono chinata per slacciargli le scarpe.
“Cosa fai, Price?”
“Beh, non credo tu riesca a farlo da solo”.
Così l’ho aiutato a spogliarsi, dicevo, le tentazioni. Ora, non per dire: di ragazzi nudi ne ho visti diversi ma il fisico di Mark ce l’hanno veramente in pochi! Praticamente perfetto! Persa in questi pensieri lascivi lo aiutavo a sfilare i calzoncini quando mi sono apparsi dei boxer attillatissimi che mi hanno mozzato il respiro.
“Questi te li togli di là con Benji, ok?” ho detto alzandomi di scatto.
L’ho sorretto fino al bagno dove Benji lo ha preso in consegna chiudendo la porta. Poco dopo mio fratello è uscito.
“Ma non lo aiuti a lavarsi?”
“Irene, cerca di capire è… è imbarazzante, per tutti e due…”
“Avrei dovuto lasciare che Ed rimanesse. Non può fare da solo, magari tenta anche di uscire dalla vasca senza chiamarci”.
“Io non ci sto”.
“Ok, allora prendi un tuo costume, daglielo e poi lo aiuto io”.
“Toh! Da dove viene adesso tutto questo pudore? Hai paura del suo pisellino?”
“Ma quanto sei scemo! Fra l’altro è il migliore amico del mio ragazzo e non mi sembra proprio il caso!”
“E poi le vecchie fiamme…”
“Finiscila! E portagli quel costume!”
Che cretino di fratello…però non aveva tutti i torti: con Mark nudo fra le mani avevo davvero paura di non rispondere di me!
Insomma, fatto sta che ho fatto il bagnetto a Mark Landers. La stanza era calda ma regnava un silenzio glaciale: no, dico, ve lo immaginate? Io che cercavo di mantenere un “distacco professionale”, lui che lottava col suo orgoglio perché comunque si rendeva conto di aver bisogno.
“Va un po’ meglio?” azzardo alla fine.
“Sì, grazie…” ha risposto senza guardarmi.
“Vieni ti aiuto a uscire”.
Cercavo di non farci caso ma quel corpo muscoloso e abbronzato era davvero un miracolo della natura.
Mentre lo aiutavo a mettere l’accappatoio di mio fratello mi ha guarda e mi ha fatto: “Questa Price è meglio non raccontarla a nessuno”.
Mi sono messa a ridere e anche lui.
“Non mi far ridere, che mi fa male tutto”.
“Non ti preoccupare: dato che siamo sotto segreto puoi anche piangere”.
Menomale che l’atmosfera si era rilassata!
Ho lasciato che Benji lo aiutasse a indossare un suo pigiama e a mettersi a letto.
Subito dopo mio fratello mi ha raggiunto in salotto.
“Ma guarda te” borbottava “se avrei mai pensato di fare da balia a Mark Landers”.
“Neanche io. Non è affatto facile”.
“E come mai?” ha chiesto con malcelata ironia.
“Non hai notato il fisico leggermente…perfetto?”
“Come? Con un fusto così per casa” si è alzato la maglietta “sei ancora così sensibile alla bellezza maschile? E poi ti capita no, di vederne…”
“Sì, certo… Tu, Ed , Paul… siete bei ragazzi ma… la perfezione è un’altra cosa!”
Il telefono ha interrotto questa edificante conversazione. Era Ed che voleva sapere come stava l’amico. Ha detto che sarebbe passato dopo cena. Appena riattaccato, ho chiamato casa di Mark per avvertire che restava per un po’ da noi.
Verso le otto gli ho portato su la cena (avevo chiesto alla madre quale fosse il suo piatto preferito e l’ho fatto preparare a Ms Bright!)
Ho bussato e sono entrata.
“Dormivi?”
“No, no… a dire il vero ho più fame che sonno”.
Gli ho sistemato il tavolino da letto e vi ho appoggiato il piatto. Mark ha fatto per alzarsi ma è ricaduto con una smorfia di dolore.
“Non ce la fai a sederti?”
“Fa un po’ male”. Tanto per usare un eufemismo.
Insomma per farla breve l’ho anche imboccato. Che roba. Cercavo di pensare ad altro e fare l’aria più indifferente possibile. Avrei dato qualsiasi cosa per trovare un argomento ma, inaspettatamente, è stato lui a rompere il silenzio.
“Non so più quant’era che qualcuno non mi trattava così… mangiare a letto… il mio piatto preferito… il bagno caldo”.
“Beh, credo che ogni tanto faccia bene sentirsi un po’ coccolati… specie quando uno non sta bene…”
“Già” ha detto abbassando gli occhi. Non l’avevo mai visto così, sembrava quasi…commosso.
Forse io tante cose le do per scontate, mentre la sua vita dev’essere più dura di quanto mi possa immaginare. Ho cambiato discorso:
“Non mi hai ancora detto come ti sei fatto male”.
“Non me l’hai ancora chiesto” aveva di nuovo la sua aria strafottente ma non mi guardava negli occhi. “E poi lo hai visto”.
“Quello che ho visto, è che ti faceva già male quando sei arrivato”.
“Non ti si può nascondere niente… Vabbè credo di essermi fatto uno strappo sollevando una cassa nel magazzino dove lavoro”.
“E poi DOVEVI giocare, eh?”
“Avevo bisogno di distrarmi”.
“No, solo di riposarti un po’. Anche ai veri uomini capita, sai? Ora per una cazzata, ti sei giocato la partita di domenica”.
“Ma se è solo mercoledì!?! Pensavo mi avresti fatto uno dei tuoi massaggi… Ed dice che sono miracolosi…”
“Ah, dice così? Beh, non pretenderai mica lo stesso trattamento? A parte gli scherzi, vado a mangiare anch’io e poi ti do un’occhiata… ma non sperare di essere in campo domenica!”
No capito? Anche le proposte… o forse sono io che ci voglio vedere il male… in fondo è il mio “lavoro”…
Comunque, dopo cena ci sono andata. Volevo venisse anche mio fratello ma usciva con Holly, lasciandomi sola con le mie tentazioni.
Ho aiutato Mark a sdraiarsi sulla pancia (non senza lamenti) e, prendendo un profondo respiro, gli ho alzato la maglietta. Mi sono fatta indicare il punto e ho cominciato a tastare per sentire di cosa si trattava.
“Porca… più che i miracoli fai male, ahia”.
“Ti facevo meno lagnoso. E poi puoi ringraziare la tua testa dura. Ti sei fatto uno strappo coi fiocchi… dimentica la partita di domenica e comincia a pensare a cosa fare per una settimana in casa Price”.
“Una settimana? A letto?”
“No, fra tre o quattro giorni potrai alzarti. Ma non ti faccio tornare a casa, altrimenti non ti riguardi. E ora zitto che devo continuare”.
“Oh calma, non approfittare della situazione”.
Dopo diversi minuti se ne esce con un “Sai che Ed ha proprio ragione? ci starei tutta la notte”.
Per fortuna non ha visto di che colore sono diventata. Ancora una volta il telefono mi ha salvata. O meglio, l’interfono. Era Lucy, la cameriera.
“Signorina Price… c’è il signor Warner” mormora con voce incerta.
“E allora? Fallo salire, no?”
“Ecco, io pensavo… credevo che lei avesse… altri programmi stasera”.
“Ma che cavolo dici? Fallo salire!” No capito? Credeva che io e Mark….
“Vado in bagno a lavarmi le mani” ho detto, e a rinfrescarmi il viso, che è in fiamme, ho pensato.
“Come già finito? E io che cominciavo a prenderci gusto”.
“Sta salendo Ed…”
“E allora? È terapeutico no? Forza, Price. Mi fa male, continua”.
Stavo per svenire. In quel momento la porta si è aperta ed è entrato Ed.
“Di’ qualcosa alla tua donna, Warner. Non vuole continuare a massaggiarmi!”
“Certo ora ci sono io” ha detto con il suo bel sorriso. Poi mi ha abbracciato e baciato. Come sempre la sua vicinanza mi ha dato sicurezza. E voglia di lui. Per fortuna.
“Ma sentiteli” sbotto, fingendomi arrabbiata. “Cosa sono la vostra serva? Potrei anche scioperare, sapete?”
“Non vorrai mettere i bassi istinti di Warner con la mia cura!”
“Questo è vero” ha risposto Ed. “Devi rimetterci in sesto il capitano”.
“O acciaccarlo definitivamente per il bene della New Team…Scherzo! Solo un altro po’, anche io sono stanca”.
Poi ho raccontato loro quello che aveva capito Lucy e si sono messi a ridere. Per fortuna quei discorsi allegri e la presenza del mio Eddie mi hanno distratto perché quel corpo stava risvegliando i miei, di bassi istinti. Insomma, tanto per concludere perché ho scritto un poema e ho i crampi alla mano, anche ora Mark è di là. Prima di mettermi a scrivere gli ho portato (e dato) il pranzo. Adesso riposa, più tardi mi aspetta un’altra conturbante seduta di massaggi. Lo faccio volentieri, ovviamente, ma non posso negare che la cosa mi turbi un po’… non solo parlarci e toccarlo ma perché non è rustico e distaccato come al solito ma piuttosto… zuccheroso, ecco.
E questo complica notevolmente le cose. S’è fatta l’ora. Vado.

Rieccomi. L’ha fatto ancora. Fa lo zuccheroso. Secondo me più che uno strappo alla schiena è una lesione cerebrale… questo non è lui.
Ho deciso di parlarne con Ed, tanto mio fratello sa solo sfottere e poi… è anche affar suo!

***************

Oggi pomeriggio sono uscita con Ed e gli ho raccontato di Mark, tutto quello che fa e dice, e tutto quello che abbiamo fatto insieme. Ho deciso di calare le braghe fino in fondo e gli ho anche raccontato che prima di stare con lui avevo preso una cotta terribile per Mark… e che tutt’ora non sono immune al suo fascino.
Dovevo essere sincera. Ho concluso dicendo “ e questo è tutto”.
Ed mi ha guardata: per un attimo ho temuto che si fosse incazzato ma poi si è messo a ridere. La sua lunga risposta è stata più o meno questa:
“E tu credevi che nessuno lo sapesse? Alla Muppet era l’argomento fisso nello spogliatoio… tutte le volte che incontravi Mark cominciavi a balbettare e gli incollavi gli occhi addosso,e io lo so bene perché i miei di occhi erano incollati su di te, ma se ne erano accorti anche gli altri. E rompevano le palle a Mark: coi soliti discorsi da bulletti di periferia del tipo, ‘perché non te la fai Landers, almeno lo dici a suo fratello quando infili anche lui’. Mark rispondeva sempre che non gli interessavi ma io immaginavo che il problema fossi io. La cosa è andata avanti qualche mese. Poi quando ci fu la festa per il passaggio alla Toho mi ero deciso a farmi avanti con te ma prima volevo chiarire con Mark e finalmente ne parlammo. Mi disse che io non c’entravo niente e che era vero che non gli interessavi, ti trovava simpatica ma non eri il tipo adatto a lui: due caratteri troppo forti, forse troppo simili…”
“ E poi ne voleva una più bella…” l’ho interrotto io.
“Beh, forse… Probabilmente è vero che non sei bellissima, ma mi sei piaciuta fin da quella prima volta e non saprei…”
Che dolce. L’ho abbracciato e baciato. Mi chiedo se se ne accorge di dire queste cose meravigliose. Se lo fa apposta o se gli vengono così.“E poi?”
“Beh, il resto lo sai”.
“No, non lo so. Anche se queste tue rivelazioni sono già state abbastanza sconvolgenti, non hai risposto alla mia domanda fondamentale, quella circa il comportamento di Mark in questi giorni.
“Sinceramente non ho la risposta. Quello che so è che hai ragione quando dici che non è lui. Non può sentirsi lui in casa tua e trattato in quel modo. Credo che non ricordi nemmeno l’ultima volta che qualcuno si è preso tanta cura di lui… se mai c’è stata.
Tu pensi di conoscerlo ma in realtà sai poco di lui. La sua infanzia è finita con la morte di suo padre. Era solo un bambino eppure ha dovuto cominciare ad aiutare la madre, a fare da padre ai suoi fratellini, a chiedersi con quali soldi andare avanti. Il suo atteggiamento da duro è soprattutto quello di chi ha dovuto crescere troppo in fretta. Quello che hai visto in questi giorni è solo un Mark finalmente rilassato… che può fare un po’ il ragazzo… Forse il vero Mark. Così adesso ti piace ancora di più, vero?” mi ha chiesto a bruciapelo. Ma sorrideva.
La domanda mi ha sorpresa. Ho scrollato la testa. Mi sono accoccolata ancora di più fra le sue braccia e appoggiandogli la testa sulla spalla gli ho detto all’orecchio, il mio naso a sfiorare a sua guancia:
“Da quando sto con te ho capito cosa vuol dire amare, avere una persona che ti sostiene e capisce sempre…come adesso. Quella per Mark è un’attrazione puramente fisica… Bisogna ammettere che spogliarlo, lavarlo e massaggiarlo non è di grande aiuto. Ma resisto. E poi credo abbia ragione lui che siamo troppo uguali…”
“È per questo che siete le persone più importanti della mia vita” mi ha detto voltandosi per baciarmi. E non una volta sola…
Più tardi mi ha riaccompagnata a casa. Prima che se ne andasse gli ho detto:
“Terrò Mark a casa mia più a lungo possibile… Al diavolo i risultati della Toho, Mark ha bisogno di riposarsi”.

******************

Più che casa Price sembra la sede della Toho. A mio fratello la cosa non andava tanto a genio ma quando gli ho spiegato la situazione ha saputo essere all’altezza, come sempre (quando vuole). Un paio di volte è venuta anche la signora Landers e come sempre si è profusa in ringraziamenti per la “signorina Price”.
A Mark girano le palle a duemila perché domani non potrà giocare ma sta meglio, anche per la schiena ma soprattutto di spirito.
È calmo, parla molto più del solito, è anche simpatico. Lo sto proprio vedendo sotto un’altra luce…
Dicevo,della schiena sta meglio, già da ieri sta seduto e mangia da solo. Ha un fisico davvero eccezionale!
Stasera dovrebbe scendere a cena con me e Benji, in quella stanza sta diventando claustrofobico. Anzi, è ora che vada ad aiutarlo a prepararsi.

******************

Oggi sono stata a vedere la Toho, con la telecamera perché è stato l’unico modo per convincere Mark a non venire al campino. Nonostante la sua assenza si sono comportati bene, hanno segnato sia Danny che Eddie Bright e hanno chiuso sul 2 a 1.Un po’ peggio è andata alla New Team alle prese coi gemelli Derrick, alla fine hanno pareggiato. Peccato non aver visto la partita, mi sarebbe proprio piaciuto vedere mio fratello incassare due goal: comunque l’ho visto a casa e mi è bastato.
Ma le sorprese non finiscono mai, infatti dopo si è calmato…. Guardando la partita della Toho con Mark! Beh di solito sono più portati a menarsi che a fare conversazione comunque…
Mi crollano i miti. I veri uomini non esistono più… se oltre a Mark mi diventa zuccheroso anche il fratello….

******************


Mark ormai è guarito e domani se ne va. Peccato! cominciava a piacermi avere due fratelli.
Oggi è uscito per la prima volta, gli ho proposto di fare una passeggiata e lui, ovviamente, è voluto andare al campino a vedere l’allenamento della New Team.
Per la gioia un po’ di tutti c’era lì Patty che, a quanto pare, ha trovato una nuova amichetta (Susie) insieme fanno le “manager” come amando definirsi, in realtà fanno piuttosto le casalinghe della squadra: lavano magliette, lustrano palloni, portano asciugamani etc.
Appena ha visto Mark lo ha guardato come fosse un criminale: “Non credo che lui” mi dice indicandolo, “dovrebbe stare qui”.
Cercando di mantenere la calma le ho chiesto perché.
“Gli avversari” attacca lei petulante, “non possono assistere agli allenamenti e una vera tifosa lo dovrebbe sapere. Beh, certo non posso pretendere che tu capisca queste cose, viste le tue preferenze per la concorrenza…per quanto mutevoli…”
“Che cazzo vuoi dire?” Mi stavo arrabbiando.
“Sbaglio o lui non è Ed Warner? Eppure pare che sia stato una settimana a casa tua e che abbiate giocato al dottore…”
“Patty, finiscila, non mi provocare…”
“Hai imparato molto da questo qui in una settimana…Adesso fai a pugni anche tu?”
Ero fuori di me. Volevo picchiarla con tutta me stessa, ho cercato convulsamente la mano di Mark, poi ho fatto un respiro e sono riuscita a trattenermi.
“Te lo chiedo per l’ultima volta” ho scandito fra i denti, “Torna al tuo bucato e non azzardarti mai più a parlare di me, di Mark e di Ed in questi termini”.
Lei non ha battuto ciglio: “Non ci siamo capite, Price, lui deve andarsene”.
Non ci ho visto più. La mia mano stava partendo per colpirla ma la stretta forte di Mark mi ha fermata. In quel momento per fortuna è arrivato Holly.
“Capitano,” si lamenta Patty la cui voci si è fatta improvvisamente di miele, “stavo giusto dicendo…”
“Mark!” esclama Holly col suo solito sorriso stampato in faccia. “Mi fa piacere che ti senta meglio. Benji lo diceva, che saresti guarito in fretta. Mi raccomando, fra un mese, quando ci incontreremo dovrai essere in perfetta forma”.
Mark ha ringraziato e io, ormai calma, ho chiesto a voce alta perché la squinzia sentisse, e mettendoci più miele di quanto avesse fatto lei ho detto: “Non ti dispiace, vero, Oliver, se restiamo un po’ qui a guardarvi? È in crisi di astinenza da calcio”.
“Fate pure” ha detto con un sorriso che se non aveva le orecchie gli si apriva la testa, ed è tornato dalla squadra.
Se uno sguardo potesse uccidere, sarei caduta lì, trafitta da quello di Patty. Poi stizzita, si è volta tornando al suo bucato, accompagnata da un mio trionfante “Contenta?”

Ci siamo trattenuti un po’ lì, abbiamo guardato e commentato l’allenamento, e parlato un po’ del più e del meno. Più di calcio e meno di altre cose, ma tant’è. Più tardi ci ha raggiunti anche Ed.

Lì per lì non ho pensato più a Patty, anche perché non avevo voglia di incazzarmi di nuovo ma adesso mi sto chiedendo come ha fatto Mark a rimanere in silenzio durante tutta la discussione, che peraltro lo coinvolgeva direttamente e poi… è stato lui a fermarmi la mano. Mi sa che questa convalescenza gli ha proprio dato al cervello!

‘notte!

******************


Mark se n’è andato. Ma prima ho voluto chiedergli di ieri…. Lo sai cosa mi ha risposto? “Mi sembrava che te la stessi cavando a meraviglia anche da sola… e poi ero abbastanza d’accordo con Patty”.
Lì per lì sono rimasta basita. Entrambi le affermazioni erano un po’ strane. Infatti si è spiegato: era d’accordo con Patty nel senso che neanche lui ha piacere che gli avversari guardino gli allenamenti, ovviamente non approvava il suo tono e le altre insinuazioni. Poi si è messo a ridere e ha detto che ieri gli è sembrato di vedere se stesso o mio fratello ovvero qualcuno con cui è meglio non litigare. “Se non c’ero io la picchiavi!” ha concluso, ridendo più forte.
“Già, ora ti ringrazio ma perché lo hai fatto?” ho chiesto.
“Anche se se le era un po’ cercate, le botte è meglio evitarle”.
“Senti chi parla….”
“…uno che l’ha sperimentato in prima persona. E poi ti ho sempre considerata un esempio di self-control… Ho sempre pensato che quello impulsivo e irascibile fosse tuo fratello e che tu fossi la parte calma e razionale”.
“Beh, di solito…ma in fondo in fondo siamo uguali”.
“Già, tutti e tre!”
“A questo punto potrei nominarti terzo fratello Price ad honorem”.
Rideva. Di cuore. Dio se è bello. Poi mi ha piantato addosso i suoi occhi scuri, di solito tanto gelidi, che adesso brillavano della luce morbida di un sorriso dolcissimo. Il mio cuore ha mancato un colpo e un brivido mi ha percorso, mio malgrado, la schiena. La mia risata si è fatta forzata, ho deglutito a vuoto.
“Quasi, quasi” ha detto “Mi dispiace andarmene”.
“Per me” ho detto a mezza voce, “potresti restare per sempre”.
“No. È stata una bella vacanza, ma non è la mia vita. E poi i miei casini mi mancano. Non mi guardare così (non so come lo stessi guardando): non ho bisogno della tua compassione. Non è compito tuo risolvere i miei casini. Hai già fatto più del necessario…”
“Sai che lo faccio volentieri… e ch non è un problema”.
“Irene (la sua voce che sussurrava il suo nome e quel sorriso così dolce…), non è colpa tua se hai la villa, e neanche se io devo pagare l’affitto…”
So che ha ragione lui ma non potevo impedirmi di pensare che avrei la possibilità, anzi… i soldi per risolvere tanti dei “suoi casini”… Credo che non ne uscirò mai… di sentire la mia ricchezza come una colpa… o meglio come una grossa responsabilità… anche se non so di cosa.
Ma (per fortuna?) ci sono ancora cose che non si possono comprare. Oltre allaamore, all’amicizia bla bla bla, c’è n’è un’altra e l’ho chiesta a Mark quando è arrivato alla fatidica domanda retorica:
“Come posso ricambiare?”
“Beh una cosa ci sarebbe….”
Mark ha spalancato gli occhi: “Non credo di potermi permettere i tuoi desideri”.
“Il denaro non c’entra è qualcosa di più… fisico”.
Mi ha guardata con sospetto, socchiudendo quei suoi begli occhi disegnati. Confesso che l’idea mi ha sfiorata ma via, non crederete che…
Sono scoppiata a ridere e ho precisato “Voglio dire che riguarda, l’attività fisica… Mi dedichi un goal? Non l’ha mai fatto nessuno, sai com’è… Ed e Benji di solito… evitano”.
“Solo uno? Facciamo sette. Uno per ogni giorno che sono stato qui, ok?
“…in due partite” aggiungo.
“Devo fare sette goal in due partite?”
“Se pensi di non farcela…” dico guardandolo in tralice.
“Ehi, stai parlato con Mark Landers. Va da sé che accetto, Price. Anche se preferirei farli a tuo fratello”.
“Impossibile!”
“Beh, si è fatto davvero tardi. Vado e ancora… grazie”.
“Di niente” ho risposto pensando che, a dire il vero, non me l’aveva ancora detto… ma so cosa significa per lui!
Credete sia finita così?
Stava per voltarsi verso la porta quando l’ho abbracciato di slancio e baciato sulla guancia. Lui ha ricambiato l’abbraccio. Gli ho sussurrato: “Abbi cura di te. Ricordati che per me sarai sempre il mio secondo fratello…nonché il ragazzo più bello del mondo e che… ti voglio bene”.
Si è staccato… mi ha guardato un po’ (gulp!) e ha detto: “Lo so. Ci vediamo, Price”.
Ed è uscito chiudendosi la porta alle spalle.
Non vorrei averlo turbato…forse la cosa era un po’ ambigua… al solito, forse ho perso una delle mie splendide occasioni per stare zitta.
Ma non credo di dovermi preoccupare per Ed, lui sa bene quali siano i miei sentimenti, verso tutti e due.
Tanto per cambiare è tardissimo. Buonanotte!

"I muscoli del capitano" è una canzone di De Gregori, che non c'entra niente ma, siccome amo i titoli evocativi, tant'è.

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Capitolo 6
*** Patty chiari... ***


Praticamente il seguito de "I muscoli del capitano" ma il focus si sposta su altri accadimenti.

Finalmente sono riuscita a passare un po’ di tempo con Ed. Lo avevo un po’ trascurato ultimamente, su queste pagine come nella vita. Eppure è lui a esserne il centro e la ragione…ogni complimento gli va stretto. Stare con lui mi ha cambiata molto: finora coi ragazzi avevo sempre avuto un ottimo rapporto e ne ero felice. Non immaginavo che quel “qualcosa più di un’amicizia” potesse essere tanto bello e importante… e poi con lui! Chi se lo sarebbe mai aspettato… Sai quelle persone che non ti colpiscono più di tanto? Per l’amor del cielo è davvero un bel ragazzo ma così timido e modesto, non fa particolarmente figura… tranne quando è fra i pali o sul tatami, ovviamente. Invece oltre che un portiere fenomenale è un ragazzo specialissimo: dolce sensibile, intelligente e capace di arginare la mia irruenza…sta quasi riuscendo a fare di me una ragazza dal maschiaccio che ero… cosa che non manca ovviamente di suscitare l’ilarità un po’ di tutti al campino.
Non capisco perché Patty e Susie possano scodinzolare quanto vogliono mentre se io per una volta indosso qualcosa anche di vagamente più femminile della tuta, diventa un affare di stato.
Già…Patty. L’unica nota stonata in questo periodo così bello. Non capisco cosa sia successo, sì è vero, è dai tempi della San Francis e della Newppy che ci battibecchiamo, ma sembrava che la creazione della New Team avesse appianato tutte le ostilità e invece… insomma, l’altro giorno con Mark è stata proprio inqualificabile. E non è stato che l’ennesimo litigio. Ultimamente è sempre fra le palle al campino, forse è gelosa dei miei rapporti con l’allenatore e i ragazzi… e allora lei e le sue amichette (c’è anche una certa Evelyn) sono sempre lì a fare le casalinghe (della serie a ognuno il suo ruolo). E ogni occasione è buona per rinfacciarmi i miei rapporti con la Toho… Uff… Ma come dice Ed devo fare buon viso a cattivo gioco e considerarla il meno possibile… Non ti curar di lor..

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Altra domenica, altre partite! La New Team ha giocato al mattino. Hanno vinto 4 a 3 ma è stata abbastanza dura, infatti nella Otomo, oltre agli ex Jack Morris, Charlie Custer e Jill Taylor gioca Patrick Everett che, oltre a essere un bel tipino, ha un destro portentoso che lui chiama “il tiro del falco” e che per ben tre volte ha infilato mio fratello. Per fortuna il nostro attacco è stato all’altezza.
Nel pomeriggio ha giocato la Toho, anche se non Mark, che ha ripreso ad allenarsi da poco. Giocavano con la fortissima Flynet di Callaghan che non ha esitato ad approfittare dell’assenza del capitano. Ed e compagni sono comunque riusciti a rimediare un pareggio.
Ma la cosa più sconvolgente è stata una scoperta su Patty: pare che anche lei abbia fatto il corso col massaggiatore e stia insidiando il mio posto in squadra. Sono incavolatissima… per fortuna andare a cena fuori con Ed mi ha un po’ distratta ma domani voglio scoprire come stanno davvero le cose!

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È VERO! Ve ne rendete conto!!!!!! Oggi l’allenatore è arrivato da me tutto giulivo annunciandomi che d’ora in poi non avrei più dovuto fare tutto da sola perché mi avrebbe aiutata Patty. Figuriamoci! Prima di collaborare con lei do le dimissioni. Benji dice che sono scema ma io ho già deciso. La tollero da quando andavamo alle elementari ma solo col tacito accordo di non starsi troppo vicendevolmente fra i coglioni, ma lavorare insieme… no davvero. Non ho voglia di passare le giornate a litigare. Mi faccio da parte. Se non altro avrò più tempo per Ed.
Comunicherò domani stesso la mia decisione.

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“Guarda che volevo solo aiutarti non cacciarti” FALSA!!!! Falsa come i soldi del Monopoli e i coglioni di Holly. Si vedeva da lontano che era contenta come una pasqua.
Benji dice che i ragazzi sono dispiaciuti e che temono di essere trascurati rispetto al capitano. Anche a me dispiace, ma non fare più parte della squadra non vuol dire abbandonarla… Sarò sempre una tifosa!
E poi, Patty a parte si possono consolare con Susie ed Evelyn che, fra l’altro, sono davvero carine! Evelyn poi è anche molto simpatica…

*********************

Domenica finalmente! Dopo una settimana sfiancante, finalmente lo studio passa in secondo piano rispetto alla partita. E siccome la New Team riposava, siamo andati in massa a vedere la Toho di uno scatenatissimo Landers! Non ci crederete: i famosi sette goal li ha fatti tutti oggi! E me li ha dedicati! Tanto che Paul mi ha chiesto: “Ma che vuole da te Landers?”
“Niente,” faccio io con noncuranza, “Mi doveva sette goal”.
“Ah” ha commentato Bob “Guarda di non contrarre debiti quando ci giochiamo noi. Oggi Mark è davvero incontrollabile!”
Al che Benji ha detto: “Non vi preoccupate. Lo controlliamo, lo controlliamo”.
“Già, avete una saracinesca, mica un portiere”. L’affermazione mi è costata uno scappellotto.

Ma il bello è venuto dopo la partita. Ed si è avvicinato (non è lui il bello di cui parlavo…beh sì, anche….) alla tribuna e dopo i convenevoli sulla sua prestazione (oggi scrivo per doppi sensi…sì sono emozionata) mi ha chiesto se potevo andare nello spogliatoio. Lì per lì ho pensato che qualcuno si fosse fatto male, anche se non mi sembrava… Tutto mi sarei aspettata tranne che…
Ma procediamo con calma.
Aiutata da Ed, mi sono calata dalla tribuna e, dopo essermelo sbaciucchiato adeguatamente, l’ho seguito lungo il tunnel fino nello spogliatoio.
“Cos’è successo?” gli chiedo cercando di tenere il passo delle sue lunghe falcate.
“Ti dobbiamo parlare”. Quando fa l’enigmatico è affascinante ma anche terribilmente fastidioso. Chi fosse poi quel “noi” proprio non lo capivo.
Ha aperto la porta e ho visto tutti i giocatori della Toho che mi guardavano (qualcuno anche in mutande). Ed si è andato a sedere in un angolo. Ero un po’ a disagio. Dopo un tempo che mi è sembrato infinito Mark si è alzato e ha attaccato in tono formale:
“Abbiamo saputo che hai lasciato lo staff della New Team (lo avevo detto a Ed qualche giorno fa, ho annuito). Come capitano della Toho, ti chiedo ufficialmente di entrare a far parte del nostro”.
Sono rimasta senza parole.
“Io…io” ho cominciato a balbettare, “non so, non credevo, non…non so cosa rispondere”.
“Non devi farlo subito. Pensaci pure”.
“E poi… non frequento la Toho School…”
“A parte che puoi sempre iscriverti dall’anno prossimo. Beh, in realtà l’allenatore ha detto che non ci sono problemi, non saresti mica tesserata per giocare…”
Ero emozionantissima: “Io vi ringrazio tantissimo, devo pensarci un po’, però…”
“Non devi farlo qui vero? Noi dovremmo fare la doccia” ha detto Mark abbandonando il tono professionale e sfoderando un sorrisino ironico e beh… affascinante.
Scusandomi ho fatto per uscire, poi riprendendomi un po’ dalle mille emozioni degli ultimi due minuti, ho aggiunto:
“Ah, goal bellissimi, capitano, grazie”.
“Ogni promessa è debito, Price”. Forse era un’impressione mia, ma in quella frase ho risentito un po’ del tono dolce che aveva quando se ne andò da casa nostra, qualche giorno fa.
La proposta mi ha colpito e lusingato moltissimo…anche se sono proprio indecisa sul da farsi. Magari domani ne parlo con Benji…
Che bello…

*********************


Sono appena tornata da scuola e ho trovato in camera un biglietto con sopra una rosa. Lì per lì ho pensato a una crisi (nel vero senso della parola) di romanticismo da parte di Ed, ma figuratevi il mio stupore quando ho scoperto che era di Benji. Mi invitava a cena: mi ha lasciato un biglietto perché fra scuola e allenamenti non lo avrei visto fino a stasera. Cito direttamente:

Stasera fatti trovare pronta e molto elegante alle 20.00, passerà un taxi a prenderti e ceneremo insieme. Il permesso al cavaliere ufficiale l’ho chiesto, spero non ti dispiaccia cambiare portiere, per una volta.
Benjamin

Che finezza! La cosa mi incuriosisce… Deve avere qualcosa di grosso da farsi perdonare… comunque torna bene anche a me, così gli dico della Toho!
Adesso vado a prepararmi perché rendere me “molto elegante” richiede il suo tempo…

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Capitolo 7
*** Wind of Change ***


Terza e ultima parte di questa piccola trilogia. Al centro, stavolta, c'è un annuncio disarmante...

Vi starete chiedendo perché ieri non mi sia precipitata a raccontare la cena dell’altra sera. Forse dovevo riprendermi dallo shock.
Non che ora l’abbia superato, ma forse raccontarlo mi potrà aiutare, anche a fare ordine nella mia vita.
Le premesse sono state fantastiche. Tanto per cominciare, aprendo l’armadio ho trovato un vestito da sera bellissimo che sembrava o meglio era fatto apposta per me, scarpe e borsa comprese, un altro regalo di Benji. Ho cominciato a preoccuparmi, soprattutto quando guardandomi nello specchio, stavo per darmi del lei… La tata e la cameriera hanno strabuzzato gli occhi!
Comunque, alle 20 è arrivato il taxi e mi ha portato in un ristorante bellissimo…c’eravamo già stati coi nostri genitori: tanto per capirsi, uno di quelli in cui, letto il menù, hai già speso abbastanza. Non che questo sia un problema, ma di solito evitiamo. Il taxi era ovviamente già pagato. Ma il bello stava sulla soglia: Benji con un frac da principe azzurro, capelli ingelatinati e un sorriso dolcissimo. Ma che gli era preso?
“Buonasera,” gli ho detto, “Caspita (non ho detto “caspita”) mi dispiace quasi che tu sia mio fratello, sei così elegante, così…bello”.
“Questo lascialo dire a me, ti ho riconosciuta solo perché il vestito l’ho scelto io”.
“Non credevo ci sapessi fare così con le donne, faresti impazzire chiunque!”
“Sì però ho fame, andiamo” Per fortuna è venuto fuori il Benji di sempre! Però era arrossito! Lì per lì ho pensato che quella sera avrei conosciuto o sarei venuta a sapere di una “cognata” e la convinzione permaneva mentre lui diceva di dovermi parlare di una cosa importante, che ero la prima persona con cui si confidava e non sapeva da dove cominciare… Aveva una faccia… Ho pensato di aiutarlo cominciando io: “Anche io ho una cosa importante da dirti”.
Ha annuito. Lì per lì non ho capito la sua espressione, ora so che voleva dire “mai come la mia”. Anche la sua reazione quando gli ho detto della proposta della Toho sul momento mi ha sconvolta: praticamente nessuna!
“Ah, e che farai?”
“Tutto qua?!?! Ma se quando mi misi con Ed mi desti della ‘traditrice’? E ora che forse entro nello staff dei vostri ‘più acerrimi nemici’ non te ne frega niente?”
“Beh, in fondo sto per fare di peggio…”
“Non vorrai cambiare squadra? La New Team è la migliore!”
“In effetti ho ricevuto un ingaggio interessante…”
“Che cosa?” lo interrompo di nuovo.
“Che cazzo, Irene, fammi parlare…perché devi rendere sempre le cose tanto difficili? Ho ricevuto un dannatissimo ingaggio che non posso rifiutare…in Germania”.
Le bacchette mi sono cadute di mano e per poco non mi strozzo col sushi.
“Germania?” ho esclamato “Non vorrai andare laggiù? Non vorrai lasciarmi SOLA?”
“Ire, è una cosa fantastica per la mia carriera. E poi” il tono da dolce si è fatto brusco, “E poi lo sapevamo, no, che prima o poi sarebbe successo. I gemelli Price non potevano restare insieme per sempre. Sapevamo che la mia carriera mi avrebbe portato via… e così la tua vita Ire, la TUA, non la nostra. Io credo che tu debba smettere di seguirmi e trovare la tua strada. E credo che la tua vita e la tua strada siano qui, con Ed. Forse il primo passo l’hai mosso proprio mettendoti con lui. Non mi puoi accusare di lasciarti sola: hai Ed, hai tutta la New Team e, a quanto pare, fra poco anche tutta la Toho. Certo, se vuoi, puoi venire con me ma non credo sarebbe giusto…”
Ho pianto, diario mio, ho pianto tanto da non poterselo immaginare, continuavo a ripetere “mi stai abbandonando, tu mi odi, non t’importa niente di me, ti odio…” e simili.
Con delicatezza Benji mi ha preso per mano e, sostenendomi, mi ha accompagnata in terrazza. Mi ha abbracciata e, non so per quanto ho continuato a piangere sul suo petto, prendendoglielo a pugni, finché non mi ha preso le mani e, scuotendomi, mi ha staccato da sé per guardarmi in viso.
“Smettila.” ha detto con voce ferma “Non puoi, non devi prenderla così. Credi che per me sia facile? Che lo faccia a cuor leggero? Ma è il mio sogno…” Mi ha lasciato le mani e con gli occhi lucidi (ebbene sì) ha abbassato la testa. “Egoisticamente pensavo che fosse anche il tuo. Pensavo che, questa cosa ti avrebbe resa triste, sì ma che saresti stata anche felice per me e… orgogliosa”.
Cavolo se lo ero. Cavolo se lo sono. Solo che ho così paura di restare sola… lui è sempre stato al mio fianco…fin dai primi minuti di vita. Cercando di respirare profondamente per calmare i singhiozzi che mi squassavano il petto ho tentato di dar voce a questo mio dissidio e di rincuorarlo. Vaffanculo, Irene, perché non ti sei accorta che era questo che lui ti stava chiedendo?
“Egoisticamente” ho detto infine “Credevo di essere più importante della tua carriera. Ma saresti uno stupido a non cogliere questa occasione. Sto malissimo ma… voglio essere la sorella del portiere più forte del mondo… vai Benji, spaccagli il culo”.
“Vieni con me, Ire”.
“No, hai ragione tu, la mia vita è qui, ed è diversa, separata dalla tua”.
Mi sono calmata un po’ e siamo tornati al tavolo.
Benji mi ha raccontato i particolari: finirà la scuola qui e poi andrà a giocare ad Amburgo. Abbiamo una casa là, dove i nostri genitori vivono in alcuni periodi dell’anno. Intanto frequenterà l’università e studierà economia per poi prendere le redini della Price&Price.
Tutta quella sicurezza mi ha messo un’ansia… Da quanto tempo quell’automa di mio fratello sta programmando la sua vita? Ho sempre pensato che la nostra andasse benissimo così e che così sarebbe andata sempre…o almeno per un altro po’…
Invece all’improvviso tutto DEVE cambiare.
Benji vuole tenere la cosa nascosta ancora un po’, a breve sarà il nostro compleanno e ha idea di fare una bellissima festa che nessuna tristezza dovrà turbare. Tanto c’è tutto il tempo, in fondo Benji parte solo fra alcuni mesi.
“Ma a qualcuno dovevo dirlo, Ire, e a chi, se non a te?”
Sono riuscita tuttavia a ottenere il permesso di parlarne almeno con Ed, ho bisogno di rifletterci con lui, anche se forse so già cosa farò.
Ti voglio bene fratellino mio, come farò senza di te? Sì lo so, doveva succedere. Ma speravo più tardi possibile.

*********************

Anche io ho preso la mia decisione: vado alla Toho! Intanto come assistente della squadra ma con ogni probabilità continuerò lì i miei studi. Tanto ho ancora qualche mese per pensare. Penso sia la cosa giusta da fare: mi terrà occupata e sarà solo mia, niente a che fare con mio fratello. Sarà un modo per cominciare il distacco e, quando sarà via, per pensarci il meno possibile. Restare alla New Team sarebbe stato un tormento…
E poi starò tanto tanto con Ed… potremmo anche andare a vivere insieme nel campus della Toho…
Domani vado a conoscere la squadra!

*********************
Spettacolo! L’incarico alla Toho è una cosa troppo professionale! Mi hanno dato anche la divisa! Pantaloni lunghi blu e una felpa grigia con le maniche blu, sul petto la “T” e dietro, al posto del nome e del numero la scritta “Staff”. Wow.
I ragazzi sembrano simpatici ma per ora sono un po’ imbarazzati, spero si sciolgano presto (beh, la massaggiatrice è qui per questo…).
Anche l’allenatore è un tipo simpatico, un po’ severo forse ma molto competente e professionale, mica quel beone di Turner (non facciamoci sentire da Ed e Mark, però, che lo venerano come Colui-Che-Ha-Indicato-Loro-La-Strada).
Comunque, credo di avergli fatto una buona impressione anche se ha confessato, con un po’ di imbarazzo, di non aver mai avuto un collaboratore prima ha detto “così giovane” poi ha ammesso “e femmina”, e tutti abbiamo riso, ma ha concluso dicendo che le referenze dategli da Ed e Mark lo hanno convinto… e che con la schiena di Mark avevo fatto un ottimo lavoro.

Le premesse sono buone, speriamo bene!

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La New Team aveva giocato ieri (e vinto!) quindi era al gran completo sugli spalti a vedere la Toho –sigh- e io che speravo di mantenere ancora un po’ il riserbo sul mio incarico…
Benji mi ha raccontato che tutti si chiedevano dove fossi, e lui, stronzo, non diceva nulla. In particolare Patty continuava a ripetere: “Dov’è Irene? Perché non viene a vedere la sua squadra, anzi, i suoi giocatori del cuore?” ma nessuno le dava spago.
Non sapete cosa avrei dato per vedere la sua faccia quando sono uscita dallo spogliatoio con la divisa della Toho.
Benji si è gustato tutta la scena dello stupore generale. Johnny ha chiesto se era il motivo delle mie dimissioni e Benji accennando (dice lui) esplicitamente a Patty ha risposto: “Casomai la conseguenza”.
Bruce ha detto accennato a dire che a questo punto la squadra favorita è la Toho ma Patty lo ha fulminato con lo sguardo!
Che scena deve essere stata, sono morta dal ridere al solo sentirla raccontata da Benji!
Quando a fine partita mi sono avvicinata, lo stupore iniziale era passato e tutti hanno espresso sorpresa ma anche congratulazioni e dispiacere.
Io, diplomatica al massimo, ho detto che in fondo avevo lasciato la New Team in buone mani mentre alla Toho il posto era vacante…
La stronza ha osato dire: “Sì, brava Price, lecca il culo. Traditrice. Hai abbandonato la squadra di tuo fratello e dei tuoi amici d’infanzia per tastare Landers a piacimento”.
“Vedi?” Ho detto stringendo i pugni fino a infilarmi dolorosamente le unghie nei palmi, ma la mia voce è rimasta calma. “Anche se cerco di essere gentile, mi aggredisci… Se fossi restata sarebbe stato peggio per tutti: per me, per te e SOPRATTUTTO per la MIA squadra. E poi così tu puoi “tastare” Holly, no? Non è per questo che hai fatto il corso? E poi non ho abbandonato nessuno. Tifo ancora la New Team. Ma anche la Toho, anche loro sono miei amici e li aiuto volentieri.” Ho girato il culo e ho fatto per andarmene. “E, a proposito, Gatsby” ho sibilato “Un altro accenno del genere a Mark e ti gonfio di botte davvero, lo giuro.” Poi a voce alta ho aggiunto: “Ciao ragazzi”.
Che donna!
Ah, la partita è andata bene… menomale o mi avrebbero accusato di portare sfiga…

"Wind of Change" è una bellissima canzone degli Scorpions ma che non ha nessun collegamento diretto con l'episodio. Come ho già detto, amo fare giochi di parole nei titoli.

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Capitolo 8
*** Fare il proprio dovere ***


Siamo dopo la semifinale dei Mondiali vinta ai rigori contro la Francia. Già era abbastanza complicato essere la ragazza e la sorella dei due portieri che si giocano la maglia di titolare... Ma essere stata anche scelta come vice-allenatore per occuparsi proprio dei portieri...

Ed alla fine si è addormentato… Ho chiesto a Mark di andare a dormire con Benji. Non m’importa cosa diranno tutti. Stanotte voglio stargli vicino. Che giornata! Abbiamo conquistato la finale, diario mio, ci crederesti? Sì, ma a quale prezzo, povero amore. Il suo polso destro è conciato male. Ma come sempre incomincio da metà, anzi dalla fine. Andiamo per ordine.
Oggi abbiamo giocato la finale con la Francia, partita faticosissima ma emozionante: espulsioni, cartellini gialli, gol annullati… ma come sai odio trasformare le pagine di questo diario in un referto quindi vado al sodo: Ed (e non mi riferisco al suo bel culetto…). Come ti avevo detto, durante la partita con il Grunwald Ed aveva preso una botta piuttosto forte alla mano che lo aveva costretto a uscire. Nonostante lì per lì gli facesse molto male, non era niente di grave e con ghiaccio, pomata e una fasciatura la cosa sembrava risolta. Se non che, durante la partita di oggi, uno degli avversari gli va a calpestare proprio quella mano! Ed ha urlato di dolore ma, quando io e il massaggiatore ci siamo avvicinati ci ha assicurato che poteva continuare. Così ha finito la partita e giocato i tempi supplementari usando la mano ferita con apparente nonchalance, ma osservandolo bene si vedeva che qualcosa non andava: non ha più bloccato un pallone, li respingeva soltanto. Mio fratello in panchina aveva un’espressione indecifrabile. Sapevo bene, invece, cosa pensava tutta l’altra gente: ma come si può far giocare Ed Warner, per giunta infortunato, e tenere in panchina Price? Che situazione! Ma perché Freddie mi ci ha voluto mettere? E chi me lo ha fatto fare di accettare! Comunque, finora avevo portato avanti la tesi del maggiore affiatamento di Ed con la squadra perché gioca nello stesso campionato dei compagni, ha partecipato ad allenamenti e ritiri etc. E poi è bravo. E non lo dico perché è lui ma perché è vero. Forse mio fratello lo è di più, ma ciò non toglie niente a Ed. E poi anche Freddie, nonostante non ami l’impostazione di Ed e nonostante nel suo cuore nessuno potrà mai prendere davvero il posto da titolare del suo pupillo, è d’accordo che far “crescere” anche Ed a livello internazionale non può che essere un vantaggio per la squadra. Ma ora? Ora aveva ragione la gente. Poi Ed stava male, era pallidissimo e si teneva il braccio infortunato…non riuscivo a vederlo soffrire in quel modo. Così a metà dei supplementari, con tutta l’autorità da vice-allenatore possibile ho detto: “Benjamin, inizia a riscaldarti. Entri tu.” Mi sono alzata per andare a dirlo a Freddie, ma mio fratello mi ha afferrata per un braccio, trattenendomi.
“Dio solo sa quanto vorrei giocare. Per me, per la squadra ma soprattutto per Ed, lo vedo che soffre. Ma so che se fossi lui non vorrei essere sostituito. Non vedi che sguardi lancia alla panchina? Ha il terrore che lo cambiate. Ire, il ragazzo che dici di amare sta giocando la semifinale dei mondiali! Una volta mi disse che uno dei motivi per cui ti ama, è che pensi come noi e non come le altre ragazze. Ti prego Ire, pensa da portiere, non da mammina”.
“Dovrei pensare da allenatore, Benji. Dovrei pensare al bene della squadra, senza lasciarmi influenzare dai miei sentimenti per Ed…”
“La squadra ha bisogno di fidarsi ciecamente del suo portiere. E Warner, oggi, sta dando la prova inconfutabile della sua affidabilità. Stai sicura che Freddie è d’accordo: è lui che me l’ha insegnato.”
M sono riseduta, poco convinta.
“E comunque mica puoi costringermi a entrare”.
Cavolo, in Germania è diventato filosofo anche mio fratello!
Ma ogni parata di Ed è stata un dolore fisico anche per me. Più di una volta ho chiuso gli occhi e stretto convulsamente la mano di mio fratello. I tempi supplementari sono finiti e il risultato era ancora di parità. Con le lacrime agli occhi ho implorato mio fratello di entrare. La sofferenza mi faceva dolere lo stomaco, mentre i ragazzi si avvicinavano alla panchina quasi non riuscivo ad alzarmi per andare loro incontro. Ed era rimasto indietro rispetto agli altri. Mark gli circondava le spalle con un braccio, non so se per incoraggiarlo o per sorreggerlo.
Quando si è avvicinato, ho visto che era pallidissimo. Qualcuno gli ha passato una borraccia, lui l’ha presa con la sinistra e ha bevuto qualche sorso. Sembrava evitare di guardare nella mia direzione. Mi sono avvicinata.
“Eddie” ho sussurrato sfiorandogli il braccio ferito.
Lui si è girato di scatto.
“Non farmi uscire”.
“Siediti un attimo”. L’ho sospinto delicatamente verso la panchina.
Si è avvicinato anche Benji.
“Stai andando alla grande, Warner” gli dice.
“Lo so che tu faresti meglio ma…”
“Guarda che non è me che devi convincere. Anzi, se non era per me, la tua donna ti aveva già fatto sostituire”.
Stronzo, ho pensato facendo poi notare: “Ma non l’ho fatto”.
Benji ha messo le mani sulle spalle di Ed e, tirando su la tesa del capello, si è accovacciato per guardarlo negli occhi: “È la tua partita, Ed. Non entrerò se non sarai tu a chiedermelo. Pensa alla squadra e sappi che, se lo riterrai necessario, io sarò qui pronto a sostituirti”.
“Grazie” ha sussurrato Ed.
“Ok,” mi intrometto, “che ne dite se invece di fare questi discorsi melensi non sfruttassimo questo intervallo di tempo prima dei rigori per mettere un po’ di ghiaccio su quel polso e rifare la fasciatura?”
Spavalda? No, tentavo solo di non mettermi a piangere come una fontana.
Vorrete ammettere che una scena del genere fra quei due, fra i miei due più grandi amori, avrebbe fatto piangere anche i sassi. Oserei dire che avrebbe pianto anche Mark, se fosse stato a portata di orecchio. In realtà era qualche metro più in là, probabilmente a concentrarsi per il rigore che di lì a poco era chiamato a battere.
Ho avvicinato a Ed un secchiello pieno di ghiaccio e lui ha infilato la mano dentro. Il suo volto si è fatto ancora più pallido, ma non si è lamentato. Lo sguardo ostinatamente fisso a terra, penosamente distante.
“Vorrei rifarti la fasciatura, ma temo che se sfiliamo il guantino e il polso si gonfia non riuscirai più a rimetterlo” gli dico atona fingendo di rovistare nella valigetta dei medicinali. Ma la mia voce vibrava di pianto.
“Ok”.
“Eddie…” mi mordevo le labbra per non piangere. Mi sono avvicinata a lui e gli ho preso la testa fra le mani, stringendolo al petto. Con un bacio gli ho sfiorato i capelli.
“Sei stato grande. Un ultimo sforzo, coraggio… amore mio” gli ho sussurrato.
L’arbitro stava già chiamando i ragazzi in campo. Ho preso un asciugamano, mi sono inginocchiata e con delicatezza gli ho asciugato la mano ferita, che poi ho sfiorato con una carezza. Prima che si alzasse finalmente i nostri sguardi si sono incontrati. Ha sorriso. Quant’è bello.
Il resto è storia: i nostri rigoristi sono stati impeccabili e poi Ed ci ha regalato la finale parando il tiro di quel presuntuoso di Napoleon.

Mentre i ragazzi facevano baldoria nello spogliatoio e io raccoglievo maglie, borracce e simili abbandonati intorno alla panchina, Freddie si è avvicinato.
“Vai tu con Warner in ospedale?”
“Volentieri, mister”.
“Appena torni in albergo raggiungimi nella mia stanza per ragguagliarmi. Faremo una piccola riunione tecnica”.
“Certo, mister”.
Sistemato tutto in due borsoni, li ho afferrati e mi sono avviata lungo il tunnel, verso l’uscita dove ci aspettava il pullman. Dallo spogliatoio venivano ancora urla e risate. Cosa non darei per entrare: ma quella porta sarà sempre il mio limite. Mi sono soffermata un attimo per ascoltare, quando ho sentito scattare la maniglia. Sono usciti Ed e il signor Parson.
“Oh, bene sei qui” fa quest’ultimo col suo solito tono sbrigativo. “Vi do io uno strappo fino all’ospedale”.
“Ire, diglielo anche tu che non è necessario…” azzarda Ed.
“No, invece è proprio necessario vedere cosa ti sei fatto” gli rispondo.
“Andiamo?” insiste il signor Parson. Certo che ne mette di ansia.
“Vuoi una mano?” mi chiede Ed accennando ai due borsoni.
“Seeee” rido io “giusto quella ti è rimasta. Non ti preoccupare, eroe, ce la faccio”.
Lasciate le borse all’autista del pullman, ci siamo diretti alla macchina di Parson, che intanto si era acceso una sigaretta.
Un viaggio strano. Ed beveva da una borraccia e guardava fuori, perso nei suoi pensieri. Morivo dalla voglia di parlare e congratularmi con lui, ma la presenza di Parson che, dietro quei suoi occhiali scuri, non sai mai dove guarda e cosa pensa, è inquietante mica poco. Dal sedile posteriore dove mi trovavo mi sono limitata dunque ad appoggiare sulla spalla di Ed una mano, che lui mi ha preso meccanicamente.
Forse cogliendo il movimento con la coda dell’occhio, Kirk ha accennato un sorriso e detto: “E così voi due state insieme…eh eh eh”.
Io ed Ed ci siamo scambiati uno sguardo interrogativo e all’unisono ci siamo voltati verso di lui. Che cavolo c’era da ridere?
“Beh sì dai, Warner, lei è la sorella del tuo più grande rivale e ora anche la tua allenatrice”.
“Lei è Irene. È la mia ragazza” ha risposto semplicemente Ed.
Cristallino, serio, inamovibile. Fantastico. Lui. Il mio ragazzo…
La sagoma dell’ospedale ha salvato la penosa situazione.
“Grazie, signor Parson” cinguetto “Ci vediamo dopo alla riunione tecnica?”
“Credo di sì, a più tardi, Price”.
Scesi dalla macchina, siamo rimasti a osservarlo. Ci siamo guardati e siamo scoppiati a ridere.
“Che personaggio! Si intenderà pure di giovani talenti ma è un po’ assurdo” ho detto.
“Anche se credo che in molti pensino quello che ha detto lui”.
“A me basta che tu pensi quello che hai detto a lui.” L’ho guardato e lui aveva quel sorriso dolcissimo che mi manda in pappa le gambe. “A proposito non mi sono ancora congratulata col mio peggior nemico nonché allievo prediletto che ci ha portato in finale…”
“… e che si è infortunato…” mi fa lui con aria da bambino.
“Ah, mi fai morire! Finché sei in campo con gli altri non batti ciglio, appena sei solo con me ti lamenti per avere le coccole, vero?”
“Chi io?” dice ostentando innocenza.
Gli sono saltata al collo e l’ho baciato a lungo. Poi siamo entrati.

“Il tendine è molto infiammato e c’è qualche microfrattura nella mano e nel polso” ha detto il medico dopo aver esaminato il braccio e le lastre. “Dovrai mettere questa pomata, che ti segno quattro volte al giorno e fare una fasciatura rigida, ti mostrerò come. Poi stasera un po’ di ghiaccio e ovviamente una decina di giorni di riposo assoluto”.
Era esattamente quello che mi aspettavo e forse anche Ed lo sapeva, ma quando ha sentito le sue paure farsi parole ha nuovamente puntato lo sguardo a terra e la mano buona si è contratta in un pugno. Avrebbe volentieri picchiato qualcuno o qualcosa in quel momento, lo sapevo.

Il viaggio di ritorno sul taxi verso l’albergo era ancora più silenzioso dell’andata. Ed si è seduto in un angolo del sedile posteriore, il braccio ferito sulla spalliera, l’altro a sorreggersi il viso ostinatamente girato verso il finestrino. Gli ho appoggiato la testa sulla spalla e mi sono accoccolata sul suo petto, carezzando con le mani i pettorali scolpiti e ascoltando il suo respiro e il battito del cuore.
“Certo” dico tanto per sdrammatizzare, “che non hai proprio la faccia di chi ha appena vinto di persona una semifinale dei mondiali”.
“Sono stanco. E la mano mi fa malissimo”, è stata la sua laconica risposta. Neanche il suo corpo reagiva alle mie lusinghe.
Mi sono tirata su facendo leva con le braccia sul suo collo, fino a trovarmi coi miei occhi all’altezza dei suoi. Prendendogli il mento in una mano, l’ho costretto a voltarsi.
“Ahia, così mi spezzi anche il collo. Cos’è? Vuoi vedere la faccia di uno che ha conquistato la finale per tuo fratello?”
Finalmente c’eravamo arrivati. Faccio per dire qualcosa ma è lui a riprendere.
“So di non essere in condizioni di giocare, so che tuo fratello vuole giocare e che è lui il miglior portiere della squadra ma… mi girano le palle, ecco. Non è giusto. Tutto qui. Scusa, ma non ho voglia di parlarne, non credere che non capisca la difficile posizione in cui ti trovi. Grazie per avermi sostenuto finora ma ora, beh, ora sono davvero una causa persa”.
“Ho cercato di essere obiettiva, anche se non è stato facile”.
“Sei stata brava” ha sussurrato, baciandomi, finalmente.

Quando siamo arrivati in albergo gli ho chiesto se voleva venire alla riunione. Ha rifiutato dicendomi che voleva solo sdraiarsi un po’. Ci siamo dati appuntamento a dopo per la fasciatura. “Io ho fatto il mio, adesso sta a te fare il tuo dovere” mi ha detto, sfiorandomi la tempia con un bacio, poi si è avviato stancamente per le scale.

Mi sono diretta verso la stanza di Freddie che gli fa anche da ufficio. Dentro c’erano anche il massaggiatore, Kirk e Julian. Scusandomi per il ritardo mi sono seduta. Julian ha ricominciato da dove si era interrotto. Parlava della formazione lodi sperticate per Holly e Philip bla bla bla. Non stavo ascoltando più di tanto, quando le parole “e in porta…” mi hanno fatto tornare alla realtà.
Con tono neutro e asciutto ho riferito quanto detto dal medico. E con lo stesso tono ho aggiunto “Non credo che Warner sia in condizioni di giocare” citando le stesse parole usate da Ed. Ma loro non l’avrebbero mai saputo.
Tutti sono rimasti in silenzio per un attimo. Julian mi ha guardata e ha sorriso.
“Price ha ottenuto il nulla osta dal Grunwald” ha detto Freddie. “Quindi mi pare di capire che domani il titolare sarà lui”.
“Price” ho mormorato annuendo.
La riunione si è protratta ancora un po’ per pianificare gli allenamenti del giorno successivo, i rapporti con la stampa etc. Ma ero di nuovo sprofondata nel nulla. Mi sono riscossa solo quando Freddie ha detto:
“Beh, credo sia ora di cena signori”.
Ci siamo alzati, i grandi erano già quasi usciti quando Julian si è avvicinato e mi ha messo una mano sulla spalla.
“Ti capisco sai. Non è facile mettere un amico fuori squadra, figuriamoci… Beh, sei stata brava. Andiamo a cena?”
“Salgo prima a vedere cosa fa il grande escluso” gli ho detto e sono salita da Ed.

“Cena in camera?” ho detto entrando e scorgendo il vassoio.
“Beh, credo che ve la godrete di più voi due, scendo dagli altri disgraziati giù” mi ha risposto Mark alzandosi con un balzo dal letto. Sorrideva ma sembrava forzato, quando mi è passato vicino aveva uno sguardo strano.
“Mark” ho improvvisato “Il mister mi ha detto di avvisarti…” con quel pretesto l’ho seguito in corridoio.
“Che c’è?”gli ho chiesto.
“Non l’ho mai visto così. Io, ecco… stagli… vicina”.
Cavolo. Di solito è sempre Mark che fa ragionare Ed… e viceversa. Se non c’era riuscito lui…
Sono tornata dentro. Ed era disteso sul letto, la cena intatta nel vassoio sul comodino, lo sguardo fisso sulla televisione che però non sta guardando. La mascella serrata era scossa da fremiti, la mano infortunata in grembo col ghiaccio, l’altra a stringere convulsamente le coperte.
“Eddie”.
“Domani gioca tuo fratello vero?” ha chiesto con una voce mai sentita.
“Sì” gli ho detto avvicinandomi per carezzargli i lunghi capelli.
Dal letto si è proiettato verso di me e stringendomi forte i fianchi ha cominciato… a piangere!
Un pianto disperato, il suo corpo era scosso da forti singhiozzi mentre sentivo fiumi di lacrime bagnarmi la maglietta.
È andato avanti a lungo poi si è addormentato, come un bambino: i suoi singhiozzi si sono fatti sempre più sommessi finché non è sprofondato in un sonno agitato. L’ho sistemato nel letto, gli ho rifatto la fasciatura. Adesso mi distenderò vicino a lui. “Stagli vicina” ha detto Mark. Lo stringerò forte, cercherò di non piangere, dormire è chiedere troppo. Domani è un gran giorno. Ma per noi un po’ meno.
È dura, a volte, fare il proprio dovere.

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Capitolo 9
*** Baby Warner ***


Ambientato in un futuro anteriore di cui non avrei mai pensato di scrivere, un piccolo cammeo dedicato al mio quartetto preferito, al Pannolini!Challenge e alla saga di Mark-mammo-perfetto inaugurata da Maki... così irresistibilmente e paradossalmente IC!



Oggi siamo tornati dall’ospedale con Edwin. Ad aspettarci c’erano i due zietti “europei”, arrivati insieme per l’occasione.
“Fammelo vedere, fammelo vedere” ha cominciato a gridare Benji in preda a una strana agitazione, non appena abbiamo varcato la soglia. Mi ha strappato il bambino dalle braccia e tenendolo goffamente per le ascelle ha esclamato: “Ah! Sapevo che avremmo avuto un maschietto, guarda che mani grandi e come è lungo e che gambe robuste… Signori, il progetto genetico per la creazione del portiere perfetto sta procedendo benissimo. Ah! Che bello! Tutto suo zio”.
“Guarda Price, che puoi farne uno anche tu, non è difficile” gli ha detto Ed tentando di riprendersi suo figlio.
“Sai che nell’antica Roma molti uomini adottavano i figli della sorella perché almeno erano sicuri che fossero sangue del loro sangue?”
“Beh, io ne sono sicuro. E proprio perché è uno Warner” ha incalzato Ed un po’ irritato, “potrebbe anche scegliere di fare karate”.
“Farà quello che vuole” intervengo io. “E smettila di sventolarlo così Benji, da’ qua”, dico sedendomi faticosamente (e dolorosamente, maledetti punti!) sul divano e tendendo le braccia per riprendere il pupo.
Mark stava esprimendo i suoi personali dubbi circa la paternità di Warner dato che il bambino era calvo, quando Edwin ha prodotto un suono strano seguito da un odore nauseabondo. Accorgendosene Mark ha aggiunto:
“Già inizia a fare quello che vuole”.
Tutti ci siamo messi a ridere, poi Benji si è alzato dicendomi: “Vado a chiamare Mrs. Bright”.
Stavo per ringraziarlo quando Ed ha esclamato:
“Come? Non vuoi cambiare il primo pannolino di tuo figlio?”
“Dovrei?” chiedo sorpresa.
“Beh, per nove mesi non hai fatto che ripetere che non farai come tua madre e che sarai presente nella vita di tuo figlio…”
“Sì vabbè, dai, Ed. Mi riferivo a cose più… profonde, ecco” mi giustifico. “E comunque a me e a Benji lo ha sempre cambiato lei e siamo venuti su b-e-n-i-s-s-i-m-o”.
Mio fratello ha annuito.
“Lasciala stare… se non è capace…” ha buttato là Mark.
Stavo per partire con un ultrasonico “NON È VERO CHE NON SONO CAPACE” ma uno sguardo d’intesa accompagnato da un sorrisino sotto i baffi fra i due ex giocatori della Toho mi ha fatto sentire puzza di bruciato. Così ho fatto un profondo respiro e ho detto piatta. “Non siamo più a scuola, carini. Sono finiti i tempi in cui, facendo leva sulla mia ‘parte Price’ riuscivate a farmi fare quello che volevate. E poi, mio caro Warner, è anche figlio tuo, se ci tieni tanto…”
“Io, veramente…”
“Mi avete proprio rotto” ha sbottato infine Mark. Con un gesto rapido quanto incredibilmente preciso e delicato mi prende Edwin di braccio , lo appoggia sul fasciatoio e, con pochi gesti esperti, toglie-lava-improfuma-rimette e me lo riconsegna profumato, gorgogliante e felice. Poi, sotto i nostri sguardi allibiti si rimette seduto e a braccia conserte e borbotta “Se vuoi una cosa fatta bene, mai affidarsi a un portiere. Non puoi mai sapere dove andrà a… parare”.

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