Untouchable

di lilyhachi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I - Tied in knots ***
Capitolo 2: *** II - I'm ready as long as you're with me ***
Capitolo 3: *** III - Clocks ***
Capitolo 4: *** IV - Dreams ***



Capitolo 1
*** I - Tied in knots ***


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Untouchable
 

I
 
Tied in knots
 
 
“You and I, bloodline.
We come together every time.
Two wrongs, no rights”.
 

Stiles era completamente stretto in tanti nodi.
Ogni punto del suo corpo non sembrava altro che un nodo pronto ad aggrovigliarsi ad un qualsiasi punto disponibile, mozzandogli il fiato ed impedendogli anche di pensare.
Stiles aveva la pelle completamente stretta in tanti nodi.
Sentiva una pressione su tutto il corpo, come se la sua pelle fosse avvolta da un qualche corpo estraneo che stringeva così forte da impedire una corretta circolazione del sangue.
Stiles aveva la gola completamente stretta in tanti nodi.
Non riusciva ad emettere alcuna sillaba, come se avesse un nodo di dimensioni sconfinate al livello della faringe che risaliva fino alla bocca, impedendogli di parlare.
Stiles aveva lo stomaco completamente stretto in nodi.
Non aveva le tipiche “farfalle nello stomaco”, no. Era un sensazione ancora più potente: una vera e propria occlusione quasi dolorosa, che gli provocava crampi e Stiles non capiva se fossero dovuti alla fame, visto che non mangiava da diverse ore, o dall’agitazione.
Stiles aveva le labbra completamente strette in nodi.
Un nodo chiuso sigillava le sue labbra, martoriate in precedenza dai suoi continui morsi, così che nulla potesse uscire da esse…neanche un sibilo.
Stiles aveva il cuore completamente stretto in nodi.
Sembrava che le vene fossero tutte ingarbugliate fra loro, mentre il sangue veniva pompato in quantità industriali, ma senza permettergli di capire se fosse ancora sano o meno.
Ogni volta che si trovava dinanzi a Derek, tutti i nodi venivano “al pettine”.
I nodi si facevano sempre più stretti e attorcigliati, creando un disordine di sensazioni decisamente confuso e ombroso, quasi paralizzandolo, al punto che ogni movimento risultava impossibile. Quei nodi erano una congettura che si mostrava ogni volta che il lupo era a poca distanza da lui, perché il filo conduttore di tutti quei nodi non era altro che Derek.
Era Derek a guidare tutti quegli avvolgimenti e quelle ripiegature su Stiles, che non faceva altro che tendersi come una corda ad ogni pressione, lasciandosi circondare, come una preda tra le spire di un serpente.
Solo che Derek non poteva certo essere classificato come tale.
Il silenzio forzato, il desiderio di parlare, la paura di dar voce ai suoi pensieri, lo sguardo di Derek sulla sua figura glabra e longilinea: tutte quelle variabili stringevano Stiles in quella morsa di nodi, che da solo non sarebbe mai riuscito a sciogliere…perché non ne era lui la causa. Tuttavia, quel giorno c’era qualcosa di diverso nell’aria.
Era bastato un passo avanti ed uno sguardo differente da parte di Derek per far sì che quella corda, diramata in tutto il corpo del ragazzo, si tendesse completamente, facendolo sussultare.
L’atmosfera che li circondava era satura di imbarazzo ma soprattutto di speranza…sembrava che ogni molecola di ossigeno presente in quella stanza fosse carica di aspettative, e non solo da parte di Stiles. Derek aveva qualcosa di strano quel giorno, una nota nuova in quella melodia bassa e sommessa che era il suo volto costantemente serio e cupo.
Quando Derek sfiorò le dita lunghe e affusolate di Stiles come se fosse la cosa più naturale del mondo, accadde qualcosa alla sua pelle, alla sua gola, al suo stomaco, alle sue labbra e, infine, al suo cuore. A dirla tutta, Stiles non sapeva se fosse tutto frutto della sua immaginazione, ma l’immagine delle dita di Derek attorcigliate alle sue era troppo reale per sembrare un’illusione.
Era reale la consistenza della sua mano e il calore che essa trasmetteva.
Era reale il dolore che iniziava a scemare, evidenziando come il contatto umano fosse in grado di alleviare il dolore, cosa che Derek stava facendo con quella leggera pressione.
Stiles riuscì a sentire il suo cuore inciampare in tutti quei nodi, allentandoli leggermente e facendosi spazio…finalmente libero.
Il filo conduttore era sempre Derek: colpevole e innocente allo stesso tempo.
E Stiles non fu più stretto in quei nodi famelici e opprimenti, ma si sentì libero di parlare, respirare e muoversi, perché Derek li stava sciogliendo pian piano.
Derek gli era accanto e Stiles non era più prigioniero.
 
 

Angolo dell’autrice
 
Ehm…sì, l’ho fatto di nuovo. Mi sento sempre terribilmente in colpa a scrivere di loro ma amo tutte le coppie, Stydia e Sterek sono tra le mie preferite e mi piacciono tanto. Ad ogni modo, ci sono ricaduta e incolpo Ally M poiché la colpa per questa raccolta è anche sua, in quanto mi porta a sfornare queste “cose”. Comunque, ho deciso di rendere questa storia una raccolta perché la voglia di iniziare una mini-long è pari a zero. Le one shots saranno varie. La paura quando scrivo qualcosa su di loro c’è sempre, perché mi sento praticamente una novellina e l’indecisione è galoppante poichè sono una coppia particolare, e non vorrei guastarli con storie prive di senso come rischio di fare ad ogni pubblicazione. Quindi, mi limiterò a delle flash introspettive, giusto per non rischiare. Siate clementi e fatemi sapere cosa ne pensate (siete autorizzati a lanci di oggetti contundenti), i commenti sia positivi che negativi sono sempre ben accetti e se ci sono errori, vi invito a farmelo presente ^^
I versi messi prima dell'inizio della one shot sono presi da "Wildest Moment" di Jessie Ware.
Ringrazio sempre la meravigliosa pagina Photoshop is the secret to my power ~ per il bellissimo banner.
Alla prossima settimana, un abbraccio :)

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Capitolo 2
*** II - I'm ready as long as you're with me ***


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II

I’m ready as long as you’re with me

 
“Say something, I’m giving up on you. And I am feeling so small.
It was over my head, I know nothing at all and I will stumble and fall.
I’m still learning to love, just  starting to crawl”.

 
 
Relazione: vincolo, legame di varia natura tra due o più persone o gruppi di persone.
Questa parola veniva usata spesso, combaciando perfettamente e andando a creare, nel caso di due persone unite e innamorate, una relazione stabile. Tuttavia, questo termine, se abbinato a Derek Hale, era in grado di produrre uno stridio fastidioso, come le unghie che grattavano la lavagna, provocando brividi continui.
Derek Hale aveva una relazione iniziata da pochissimo tempo e la cosa sembrava turbare più sé stesso che le persone attorno a lui.
Probabilmente c’era qualcosa nel suo organismo che lo portava a vedere quell’evento, apparentemente lieto, come la cosa più strana e assurda che si potesse mai verificare sulla faccia della terra. L’attacco di un branco di alpha, i sacrifici del Darach, addirittura l’apocalisse, non gli sembravano proprio nulla a confronto. Soprattutto se la persona con cui intratteneva quella relazione era Stiles Stilinski.
Già, Stiles Stilinski: un ragazzo magro e dinoccolato con enormi occhi ambrati e la bocca che sparava frasi a caso senza prendersi nemmeno il tempo di respirare. Più passavano i giorni, più Derek si chiedeva come fosse possibile una cosa del genere; era stato così impegnato a porsi domande completamente prive di senso che quasi si stava perdendo tutto ciò che di bello c’era in quell’avvenimento.
Eppure, Derek ci aveva messo molto tempo per accorgersene.
Al contrario suo, Stiles era evidentemente felice della cosa, nonostante non lo urlasse ai quattro venti: c’era una luce diversa sul suo viso, che gli appariva pulito, sereno, senza occhiaie o smorfie di fastidio e angoscia dovute a qualche disavventura passata. Per Stiles non c’erano più incubi, notti di sonnambulismo e omicidi architettati da uno spirito maligno, ma solo tanta tranquillità, dovuta sia alla fine della vicenda del Nogitsune, sia alla presenza di Derek accanto a lui.
Era come un antidolorifico, la cui presenza bastava a rendere il ragazzo calmo, come se niente potesse intaccare quello stato di silenziosa felicità. Derek assorbiva il suo dolore, senza neanche bisogno di sfiorarlo.
La consistenza solida e reale del suo corpo, il calore che emanava, permettendogli di realizzare che fosse davvero accanto a lui: questo bastava per alleviare ogni sofferenza. Peccato che non si potesse dire lo stesso di Derek, il quale non sembrava essersi abituato a quel cambiamento di dimensioni bibliche che aveva travolto la sua vita.
Perché sì, Stiles Stilinski lo aveva travolto in pieno, portandosi dietro una serie di sconvolgimenti e mettendo completamente a soqquadro la vita ordinaria di Derek. I cambiamenti sono positivi, è questo che dicono sempre, ma per una persona emozionalmente costipata come Derek (così lo definiva Stiles) le cose potevano essere leggermente più complicate della norma. Gli faceva uno strano effetto non trovarsi sempre solo, gli sembrava surreale sentire l’odore del caffè o di biscotti provenire da quella cucina che non aveva mai utilizzato.
Derek, in fin dei conti, non aveva mai condiviso nulla e ora si trovava a dividere ogni minuscolo aspetto della sua vita quotidiana con quel ragazzo logorroico e iperattivo. Per tutti quei motivi, la relazione stava per terminare ancor prima che cominciasse davvero, perché Derek Hale non si sentiva affatto pronto per affrontarla. Era decisamente troppo per lui e per i suoi standard.
Dove sarebbero andate a finire le sue mattinate solitarie passate a leggere libri?
Dove sarebbero finiti i suoi allenamenti sfiancanti di prima mattina?
Derek stava rinunciando ancor prima di poter arrivare a ciò che aveva agognato, solo che non riusciva a stare in piedi.
Si sentiva come un bambino che cercava con tutte le sue forze di imparare a camminare, ma non faceva che cadere e sbucciarsi le ginocchia. Derek era caduto così tante volte che aveva perso il conto. Se quella fosse stata un’altra caduta violenta che gli avrebbe provocato molto più di un ginocchio ferito? Credeva di potersi rinchiudere nel suo loft, impedendo che qualcun altro oltre lui avesse accesso a quella porta. Credeva di potersi proteggere e che nessuno sarebbe venuto a bussare alla sua porta, pretendendo spiegazioni. Appunto, credeva…e si era sbagliato, pensando che una settimana passata in totale solitudine senza avere alcun contatto con Stiles potesse bastare ad allontanare il ragazzo. Non aveva risposto alle sue telefonate e lo aveva ignorato. Eppure sapeva che non sarebbe bastato…neanche a lui, in realtà. Erano le sette di sera quando un rumore sordo si era abbattuto contro la porta del loft e a Derek ci era voluto pochissimo per capire che si trattava di Stiles. Lo aveva intuito già prima che il ragazzo salisse le scale e gli era sembrato che una bomba ad orologeria stesse per scoppiare proprio lì dinanzi a lui.
“Derek”, la voce leggermente roca di Stiles attraversò la porta senza difficoltà, arrivando a Derek come degli schiaffi in pieno viso. “So che ci sei”.
Derek non rispose: era un bambino che non sapeva parlare in quel momento.
La bocca non tentò nemmeno di aprirsi per provare a mettere insieme due parole.
Semplicemente, Derek se ne stette in silenzio dall’altro lato della porta, ad ascoltare il battito accelerato del cuore di Stiles, il suo respiro ansante e il fruscio delle mani che si sfregavano contro il tessuto dei suoi jeans.
Era come se potesse vederlo, come se non ci fosse nessuna porta a dividerli, perché ormai conosceva così bene ogni suo movimento che poteva catalogarli, individuandone la perfetta successione, come un film visto così tante volte da conoscere a memoria ogni singola scena e ogni battuta. Derek vedeva Stiles mentre se ne stava sul pianerottolo, con un braccio abbandonato lungo e il fianco e l’altro che vagava dai capelli, leggermente scompigliati, al collo in un moto di agitazione, mentre si dondolava da una gamba all’altra, sospirando.
Derek continuò a rimanere in silenzio anche quando Stiles bussò un’altra volta, e poi lo sentì appoggiarsi al metallo freddo, ascoltando il suo respiro ancora più vicino. Si era calmato rispetto a prima, ma Derek poteva cogliere quella nota di sconfitta che faceva capolino in lui: riusciva a vedere il suo viso affranto, per colpa sua. Allungò una mano sulla superficie che li separava, come se potesse toccarlo, eppure non voleva proprio decidersi ad aprire quella maledetta porta. Derek non fece nulla quando Stiles andò via, indugiando ancora un po’ prima di avviarsi verso le scale e dire semplicemente: “Sei un idiota, sourwolf”.
Quelle parole fredde come il ghiaccio e affilate come una lama che lentamente si faceva sentire sulla pelle di Derek aleggiarono in quell’atmosfera ancora più triste e cupa. Derek le lasciò lì a vorticare sopra la sua testa, accompagnate dal senso di colpa.
 
Quella notte, Derek non riuscì a dormire.
Le parole di Stiles si aggiravano ancora nel suo loft, come fantasmi che non sarebbe riuscito a scacciare…lo perseguitavano, rendendo il suo sonno agitato. Sperava che mettere da parte Stiles sarebbe stato più semplice, ma la verità era che Stiles non era un semplice oggetto da riporre su una mensola dimenticata e impolverata. Stiles era reale, come i sentimenti che provava per lui, come le sue dita lunghe che gli sfioravano la nuca, come le labbra che si arricciavano in un sorriso, come gli occhi grandi che lo guardavano rapiti ogni volta che Derek piegava le labbra all’insù. Si rigirò nel letto innumerevoli volte, senza prendere sonno perché Stiles era davanti a lui, reale come mai prima di allora, che lo fissava con espressione contrita.
Derek si alzò di scatto, tenendo le mani salde tra le lenzuola sfatte e osservando i pulviscoli sospesi nell’aria notturna e gelida del suo appartamento. Il loft era sempre gelido quando non c’era Stiles, e quel gelo si rifletteva anche in lui.
Si prese diverso tempo prima di alzarsi in piedi definitivamente, poiché ogni volta che cercava di farlo, due forze contrapposte agivano per conto proprio. Una lo riportava giù, impedendogli di fare ciò che il suo animo bramava, mentre l’altra lo spingeva avanti il più possibile, per far sì che soddisfasse quel desiderio sopito. Quando finalmente riuscì ad allontarsi dal letto, Derek sapeva che stava andando incontro a qualcosa di permanente e stabile, qualcosa a cui sarebbe stato imprescindibilmente legato.
Ammesso sempre che Stiles fosse disposto ad ascoltarlo.
 
Derek Hale credeva di aver superato la fase adolescenziale, in cui ogni emozione era triplicata e si manifestava con le tanto risentite “farfalle nello stomaco” oppure con agitazione perenne nel confrontarsi con la persona amata.
In quel momento, Derek era ovviamente agitato, cosa che lo imbarazzò non poco, ma poi si disse che stava solo andando da Stiles, e ormai lo conosceva così bene che sarebbe stato quasi naturale vederlo in quel modo. Si disse che forse lo avrebbe preso a pugni, e avrebbe fatto bene.
Recarsi a casa di Stiles dopo mezzanotte non era stata una buona idea, ma Derek non aveva decisamente familiarità con le idee buone o pessime, per lui erano solo idee. La finestra di Stiles era chiusa, cosa che non lo stupì visto il gelo di quella notte, e bussò, sentendosi un completo idiota, senza ricevere risposta, così rimase seduto sul tetto, accanto alla finestra, mentre le parole da dire si accavallavano nella sua mente.
Non riusciva ad articolarle, per quanto si sforzasse: erano un ammasso di parole senza un filo logico perché Derek con le parole non era mai stato bravo e mai lo sarebbe stato. Sospirò pesantemente, con le gambe incrociate, e guardando la finestra ogni tanto.
Fece per andarsene quando un odore familiare lo investì in pieno: Stiles era sveglio.
Si voltò di poco, e vide la sagoma del ragazzo accanto alla finestra, che guardava in basso.
Stiles aveva sollevato di poco la finestra, senza aprirla del tutto, come se volesse farlo entrare e lasciarlo fuori allo stesso tempo, come se avesse bisogno di sentire qualcosa per convincersi a fare in modo che Derek si facesse spazio nella sua vita, una volta per tutte.
“Così sei venuto”, sussurrò il ragazzo, poggiandosi alla finestra.
“Sì”, rispose Derek, tremando leggermente, e osservando il profilo perfetto di Stiles.
“Perché sei qui?”, domandò Stiles, passandosi una mano sulla maglietta bianca del pigiama.
“Credo…per essere perdonato”, confessò Derek, smettendo di osservarlo.
Quanto dolore potevano provocare le parole? Quanto male poteva fare una confessione pronunciata da un cuore come il suo che di amore non ne sapeva quasi niente? Derek parlava e feriva sé stesso: era come conficcare gli artigli nel suo stesso petto.
“Io…”, continuò lui, mentre Stiles aveva cominciato a prestare più attenzione. “Non sono bravo in queste cose, non capisco nulla di relazioni”.
Derek gattonava, proprio come un bambino, e il suo mondo crollava.
Stiles continuò ad osservarlo e un sorriso accennato ma bello come il sole si dipinse sul suo volto stanco, segnato forse da un sonno non molto tranquillo, come quello di Derek. Il ragazzo aprì del tutto la finestra e si sporse meglio per guardare Derek, trovandosi ad un palmo dal suo viso, al punto che poté sentire il suo fiato caldo sulle labbra.
“Neanche io”, esclamò Stiles, scrollando le spalle con fare sereno. “Non so nulla, so soltanto che sarò pronto a capire il resto, fin quando tu sarai insieme a me”.
Stiles aveva ragione, come sempre. Poteva anche essere più piccolo di Derek ma in quanto a ragionamenti di quel tipo, il licantropo sentiva una mancanza che Stiles, invece, non aveva affatto.
Il ragazzo sorrise sulle sue labbra, notando dallo sguardo di Derek che aveva fatto centro con quelle parole sensate e ben calcolate, mentre un leggero venticello si abbatteva su di loro. Il freddo di quella notte non scalfiva il tepore di quell’attimo perfetto: fu in quel momento che la loro storia iniziò davvero, o forse era già iniziata da tempo e non lo sapevano. Ad ogni modo, dopo quella notte, Derek non pensò più di scappare.


Angolo dell’autrice
 
Salve a tutti! Eccomi con la nuova one shot, pubblicata in anticipo per qualche strano scherzo del destino. Semplicemente sono riuscita a buttarla giù oggi (non so come sinceramente) e a pubblicarla poiché postarla domenica sarebbe stato un po’ difficile.
L’ho scritta di getto quindi personalmente più la rileggo e più mi sembra senza senso: ho provato a descrivere un Derek impaurito all'idea di stare con qualcuno e spero di non essere uscita fuori personaggio, ho solo pensato che poteva essere un'esperimento interessante analizzare Derek in preda alla paura di lasciarsi coinvolgere in una relazione seria che sarebbe completamente diversa da quelle precedenti. Spero che il risultato sia almeno decente. Non credo di avere altro da dire, spero solo che non vi abbia deluso perché avendola scritta di getto a me sembra un po’ priva di senso logico, quindi fatemi sapere un po’ cosa ve ne pare, se vi va.
Ringrazio di vero cuore tutte le persone che hanno recensito la scorsa one shot, messo tra le seguite/preferite/ricordate, siete tutti dei tesori e mi confortate, visto che è il mio primo progetto in campo Sterek e ho il terrore ad ogni cosa che scrivo, quindi grazie!
Alla prossima settimana, un abbraccio :)

 

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Capitolo 3
*** III - Clocks ***



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III

Clocks

 

“Cause you had a bad day, you're taking one down.
You sing a sad song just to turn it around”.


C’era una sola cosa che Stiles Stilinski amava più della sensazione di starsene avvolto tra le coperte mentre fuori pioveva a dirotto, sentendo il suono delle gocce di pioggia che si infrangevano contro il vetro: osservare le lancette dell’orologio, anche se erano le quattro del mattino, per realizzare che sarebbero trascorse almeno altre quattro ore prima del suo completo risveglio.
Era un gesto diventato parte della sua routine, e soprattutto, della sua strana quanto amabile personalità.
Alle volte, gli capitava di mettere la sveglia molto prima dell’orario in cui avrebbe dovuto abbandonare il suo amato letto da una piazza e mezzo, solo per sorridere beato nel vedere che avrebbe potuto dormire ancora per un bel po’ di tempo.
Poggiava la testa sul cuscino e si lasciava cullare dal ticchettio delle lancette che avrebbero dovuto fare ancora molta strada prima di raggiungere l’orario definitivo in cui Stiles avrebbe potuto abbandonare il suo giaciglio.
Quando Scott aveva notato questa sua mania, mentre teneva fra le mani il suo cellulare con la sveglia impostata alle cinque e mezza, anziché alle sette del mattino, lo aveva guardato in maniera lievemente confusa. Aveva aggrottato le sopracciglia e arricciato le labbra, formando una specie di smorfia che risultava un misto tra il divertito e il preoccupato. Tuttavia, Scott si era detto che si trattava di Stiles Stilinski ed era risaputo che il suo miglior amico non avesse proprio nulla che potesse rientrare nella categoria “ordinario”.
Quella mattina, Stiles rimase ancor più volentieri nel suo letto, vista la pioggia che ancora tamburellava con forza contro la finestra della sua stanza. Sapeva che si sarebbe dovuto alzare, prima o poi, ma preferì godersi quel momento di assoluta pace, ascoltando quel lieve ticchettio.
Quando arrivò il momento di mettersi in piedi una volta per tutte, Stiles non la prese male, ma si alzò in tutta calma, decidendo di affrontare con il sorriso quel triste giorno di pioggia che per nulla al mondo avrebbe intaccato il suo buon umore. Peccato che quella giornata non fosse dello stesso avviso, in quanto non era per nulla intenzionata a lasciare Stiles Stilinski indenne e allegro.
Armato di ombrello e giacca, Stiles si inoltrò per le strade di Providence, cercando di farsi spazio tra la marea di persone che camminavano frettolosamente, chi per raggiungere il college, chi per recarsi al lavoro, chi per prendersi un buon caffè prima di iniziare la giornata, come lui.
Fino a quel punto, sembrò andare tutto nel migliore dei modi: la cartella con al suo interno il fidato libro di “Criminalità informatica”, l’ombrello che lo proteggeva, impedendogli di essere anche solo sfiorato da una goccia di pioggia. Sembrava tutto tranquillo, fin quando una folata di vento improvvisa decise di mandare il suo ombrello a farsi benedire, costringendo Stiles ad imprecare e a beccarsi l’occhiataccia di una vecchietta che gli stava passando accanto. Stiles le rivolse un sorriso tirato mentre quella ancora lo fissava, passando oltre.
Mentre tentava inutilmente di aggiustare quel dannato ombrello, Stiles si ritrovò completamente inzuppato e alzare il cappuccio sulla testa non cambiò di molto le cose. Decise di lasciar perdere lo stupido ombrello e cominciò a correre, per raggiungere la caffetteria dell’università quanto prima, e rimanere lì fino a nuovo ordine. Doveva correggersi: quella giornata non era iniziata bene. In uno slancio di ottimismo, Stiles aveva pensato che una giornata iniziata in quel modo non poteva certo andar peggio, quindi sarebbe migliorata pian piano…invece no.
Arrivò alla caffetteria della Brown, aprendo la porta che con un tintinnio segnalò la sua entrata, come un vero e proprio pulcino bagnato. Solo in quel momento, Stiles capì la vera definizione di quell’espressione utilizzata spesso per scherzare: la sua tracolla era completamente bagnata e Stiles pregò ogni religione da lui conosciuta, affinché il suo libro fosse intatto; i capelli, seppur coperti dal cappuccio, erano bagnati anch’essi; i suoi pantaloni erano zuppi fino al ginocchio, segno ancora ben visibile dell’incontro ravvicinato fra Stiles e una pozzanghera.
Il ragazzo trattenne uno starnuto e dovette frenarsi dall’imprecare ancora una volta, quando si accorse della sfumatura limpida che il cielo stava assumendo, mentre si liberava poco a poco da quelle nuvole grigie e poco rassicuranti che lo avevano accompagnato per tutto il tragitto.
Non appena aveva messo piede nella caffetteria, il cielo si era rasserenato: un vero classico.
Stiles scosse la testa, lasciando fuoriuscire qualche goccia di acqua dai suoi capelli, quasi come avrebbe fatto un cane e portò il polso all’altezza del viso per vedere l’ora, notando con piacere che ci aveva messo molto meno del previsto per arrivare all’università.
Per sua fortuna, la lezione sarebbe iniziata tra mezz’ora, in modo da dargli tutto il tempo per bere con calma il suo caffè e prendersi un po’ di calore, dopo tutta quella pioggia. Sicuramente si sarebbe beccato un bel raffreddore. Tuttavia, poiché le disgrazie si presentavano sempre una per volta, cogliendo chiunque di sorpresa, quella giornata aveva in serbo ancora un paio di cosucce per Stiles Stilinski. Fra quelle, soltanto una poteva essere considerata in qualche modo piacevole, ma Stiles avrebbe dovuto penare ancora un bel po’ prima di arrivarci.
Quando si avvicinò al bancone, notò quella familiare ondata di riccioli scuri che ornavano un viso piuttosto spigoloso, creando, tuttavia, un’armonia in quel volto che si presentò dinanzi a Stiles.
Isaac Lahey aveva qualcosa nel suo viso e nella sua completa figura, che Stiles avrebbe definito come “greco”, ma non come lo intendeva la sua amica, Lydia Martin, quando diceva che Isaac ricordava un dio greco, con la voce bassa e gli occhi sognanti rivolti a lui. In Isaac c’era qualcosa di euritmico che creava un accordo di dettagli e gesti che, insieme, erano quasi tranquilli e confortanti.
Isaac, suo amico ormai da anni, aveva quell’effetto su chiunque.
“Caffè con una spruzzata di vaniglia”, esclamò Isaac, dall’altro lato del bancone. “E un muffin al cioccolato, ho dimenticato qualcosa?”.
Stiles rise, facendo un cenno ad Isaac, e pagando il conto, per poi ritirare la sua ordinazione.
“Non hai nulla da seguire oggi?”, domandò poi Isaac, notando che Stiles, rispetto alle altre mattine, si era presentato un po’ più tardi del previsto.
“Ho il corso di criminalità informatica tra mezz’ora”, rispose Stiles, tenendo stretto il caffè fra le mani per riscaldarsi un po’.“Tu?”.
“Stacco fra un’ora e filo dritto ad anatomia artistica”, affermò Isaac, trattenendo uno sbadiglio e stiracchiandosi, con i residui del sonno ancora evidenti.
Stiles non avrebbe mai trovato un indirizzo più adatto per una persona come Isaac Lahey: fin dal liceo, lo aveva visto spesso in silenzio e ricurvo sul blocco da disegno che teneva gelosamente conservato nel suo zaino, nascondendolo a chiunque tentasse di sbirciare i suoi lavori, semplicemente per timidezza. L’idea che qualcuno a lui vicino potesse vedere ciò che le sue mani erano in grado di realizzare, lo spaventava a morte, come se temesse il giudizio altrui. Eppure, con il tempo Isaac aveva smesso di temere sia lui che Scott, mostrando loro ciò di cui era stato capace fin da bambino.
Stiles sorrise, ripensando ad alcuni schizzi del viso di Lydia Martin custoditi in quel blocco e che forse un giorno avrebbero visto la luce.
Stiles sorseggiò un po’ del suo caffè, controllando l’orologio al polso: per poco non rischiò l’infarto, poiché le lancette erano ferme nello stesso punto in cui si trovavano dieci minuti fa. Un brivido gli percorse completamente la spina dorsale, e Stiles voltò lo sguardo verso l’orologio appeso al muro che aveva ben pensato di non degnare neanche di uno sguardo. Erano le dieci e la sua lezione stava per iniziare o semplicemente era già iniziata.
Rivolse un cenno di saluto ad Isaac, divorò quel muffin che avrebbe voluto gustare e si precipitò fuori dalla caffetteria, senza considerare che correre per il campus con del caffè bollente fra le mani non era proprio una scelta saggia. Infatti, ne pagò immediatamente le conseguenze: per Stiles fu come andare a sbattere contro il muro, oppure contro un armadio; ad ogni modo, aveva sbattuto contro qualcosa di solido e non avrebbe mai pensato potesse trattarsi di una persona. Al leggero dolore che si propagò per tutto il petto seguì un calore insopportabile che si espanse sulla stessa zona, quasi ustionandolo, e poi l’odore del caffè che gli penetrava nelle narici. A quel punto, Stiles Stilinski imprecò, di nuovo.
Quando alzò lo sguardo, trovò due occhi verdi spalancati ad aspettarlo che appartenevano ad un ragazzo di poco più alto di lui e sicuramente più grande, almeno per la sua struttura fisica. A Stiles sembrò davvero un armadio. Si allontanò in fretta e furia da lui, ed emise un gemito di frustrazione, notando la maglia blu sporca di caffè, dopodiché fulminò lo sconosciuto con gli occhi.
“Guarda dove vai!”, esclamò Stiles, senza nascondere il fastidio nella sua voce.
Si soffermò involontariamente sul suo viso, cogliendone con minuzia ogni peculiarità, come la linea dritta delle labbra sottili, oppure la ruga che si era formata a livello della fronte. L’interpellato mostrò un’espressione indignata mentre saettava lo sguardo da lui al caffè che entrambi avevano perso e per un attimo, Stiles credette di vedere del fumo uscirgli dalle orecchie per quanto era infastidito. Le sopracciglia scure e folte si aggrottarono, inasprendo quello sguardo già rigido e la mascella si indurì: nell’insieme, la sua faccia non aveva proprio nulla di amichevole.
“Io?”, ribatté l’altro, senza preoccuparsi di alzare la voce. “Sei arrivato come una trottola”.
Stiles borbottò qualcosa e lo superò, conscio di non poter perdere tempo con un idiota palestrato che gli stava soltanto peggiorando quella giornata.
Lo sconosciuto gettò il contenitore del suo caffè perso sulle mattonelle. Riservò un’ultima occhiata irritata a quel mucchietto di ossa, chiedendosi quando le matricole fossero diventate così fastidiose da fargli venir voglia di mandarle a quel paese, poiché quel ragazzino non poteva essere altro che una matricola, e anche abbastanza irritante.
 
Ad ora di pranzo, Stiles poteva definirsi avvilito da quella giornata insostenibile.
Prima di tutto, il professore del corso, vedendolo entrare in ritardo e tutto sporco di caffè, non aveva evitato di farlo notare a tutta la classe; inoltre, la doccia che si era beccato per strada iniziava a far sentire i suoi effetti, provocandogli starnuti e colpi di tosse, aiutati anche dai suoi vestiti umidi.
“Sì, sembri un pulcino bagnato”, esclamò Lydia, sorseggiando la sua coca.
“Smetti di farglielo notare”, la rimproverò Allison, senza riuscire a trattenere un sorrisino, ma avendo la gentilezza di guardare male il suo ragazzo, Scott, che voleva scoppiare a ridere.
“Begli amici che ho”, si lamentò Stiles, guardando il suo panino senza appetito. “Come se non bastasse puzzo ancora come una caffettiera, grazie a quel dannato Mister Muscolo”.
Isaac lo guardò un po’ sconsolato, rivolgendogli un sorriso di conforto, mentre Lydia rideva per l’ennesimo nomignolo che Stiles aveva affibbiato al povero malcapitato che lo aveva urtato.
Stiles sperava solo che quella giornata finisse quanto prima, permettendogli di rintanarsi nel suo appartamento, lontano da tutti quei piccoli fastidi quotidiani. Avrebbe guardato il suo orologio ma era andato a farsi benedire insieme al suo ombrello, così prese il cellulare dalla tasca dei pantaloni, rischiando di farlo cadere sul pavimento della mensa e perdere anch’esso.
“Direi che posso andarmene a casa”, dichiarò il povero sfortunato, battendo una mano sul tavolo.
“Hai finito?”, domandò Scott, dando un morso al suo hamburger.
“Sì, grazie a Dio!”, rispose Stiles, raccattando la sua tracolla. “Qualcuno torna con me?”.
“Temo di no”, dichiarò Allison, realmente dispiaciuta. “Io ho il corso di storia della letteratura francese alle tre e Lydia quello di meccanica e termodinamica”.
“Amico, mi spiace ma ho una lezione pratica di anatomia veterinaria”, aggiunse Scott, scrollando le spalle.
“Ed io ho un seminario di estetica delle arti visive”, concluse Isaac.
“Ho capito, tutti prigionieri qui dentro”, sentenziò Stiles, scrollando le spalle, per poi rivolgere loro un sorriso amichevole. “Vuol dire che ci vedremo domani, allora. Io filo a casa, buona permanenza, sfigati!”.
I suoi amici lo salutarono, raccomandandogli di non finire addosso a nessun altro, e ricevendo una smorfia di Stiles come risposta.
Stiles era a metà strada da casa sua, quando la pioggia decise di fargli nuovamente visita.
“Non è possibile”, gemette il ragazzo, irritato fino all’inverosimile per quel tempo burlone che gli stava tirando colpi bassi da quando aveva messo piede fuori casa. Si avvolse nella giacca ma la pioggia, rispetto alla mattina, era molto più forte e così fu costretto a rintanarsi sotto un balcone, nell’attesa che quel diluvio universale si calmasse almeno un po’.
Stiles prese a battere nervosamente il piede per terra, fremendo per ciò che gli era toccato sopportare, e ripercorrendo tutta la giornata, immaginando sé stesso sul divano: l’unico pensiero in grado di farlo sentire leggermente più sereno.
Dopo diverso tempo passato al riparo, la pioggia sembrava solo aumentare la sua intensità, senza dare alcun segno di cedimento. In un gesto automatico, guardò il suo polso, per poi mordersi il labbro inferiore, e riprese ancora il suo cellulare.
La lista degli oggetti andati a farsi benedire cresceva, poiché anche il suo cellulare aveva deciso di spegnersi, e se Stiles lo avesse messo a caricare il giorno prima, questo non sarebbe accaduto. Mugolò in segno di disapprovazione e richiamò all’attenzione il primo passante che invase il suo raggio visivo, per sapere almeno che ora fosse, giusto per avere un riferimento.
“Mi scusi, saprebbe dirmi-“, cominciò Stiles senza terminare quella domanda, lasciata in sospeso tra lui e il suo interlocutore, ovvero l’armadio che aveva urtato quella mattina. “Ah, sei tu”.
“Ti serve qualcosa?”, domandò quello, tenendo l’ombrello blu sopra la sua testa.
“Volevo solo sapere l’ora ma non fa nulla”, esclamò Stiles, incrociando le braccia al petto.
L’altro ragazzo sospirò, portando uno sguardo al suo orologio. “Le due e mezza”.
Stiles sgranò gli occhi. Era stato più di mezz’ora sotto a quel maledetto balcone a prendere freddo.
Fece per dire qualcosa ma uno starnuto bloccò ogni sua intenzione.
“Grazie”, sussurrò Stiles, rivolgendosi all’armadio e accorgendosi di non sapere il suo nome.
“Derek”, aggiunse lui, osservando il ragazzo con un cipiglio preoccupato, e vedendo la macchia di caffè in bella vista sulla maglia, grazie alla giacca lasciata aperta.
“Stiles”, affermò il ragazzo, stringendosi meglio nella giacca e infilando le mani nelle tasche.
“Dove abiti?”, chiese lui, con tono autorevole e uno sguardo che non si rapportava con la voce.
“A dieci minuti da qui”, rispose il ragazzo, senza chiedersi il motivo di quella domanda.
“Posso darti un passaggio con l’ombrello”, dichiarò l’altro, facendo voltare Stiles di scatto che si mostrò immediatamente sorpreso per quello strano moto di gentilezza, in contrasto con l’atteggiamento che gli aveva riservato la mattina al campus.
Stiles fece per rifiutare, ma la voce dell’altro lo fermò prima che potesse aprire bocca.
“Muoviti, prima che cambi idea”, berciò lui, roteando gli occhi e trattenendo uno sbuffo.
A quel punto, Stiles si infilò sotto l’ombrello senza dire una parola.
 
I dieci minuti che li avevano condotti fuori la porta del palazzo di Stiles erano trascorsi in religioso silenzio, mentre l’imbarazzo aleggiava attorno alle loro figure vicine che quasi sussultavano, come se avessero ricevuto la scossa, ogni volta che si sfioravano un po’ di più.
Diverse volte Stiles aveva portato gli occhi su di lui, attento a non farsi cogliere in flagrante ma incontrando gli occhi verdi di Derek a metà strada, impegnati nel suo stesso intento. Non aveva mai bloccato il fiume di parole che cominciava a fuoriuscire dalla sua bocca senza alcun freno. Eppure, accanto a quel Derek, ogni parola gli sembrò del tutto superflua.
Ogni insulto e ogni nomignolo che gli aveva attribuito si volatilizzò, perché Stiles era troppo impegnato ad osservare di nascosto quel viso rigido e diverso da tutti quelli che aveva incontrato.
La sua bocca si era aperta con timore per rivolgergli un’unica domanda: “cosa studi?”.
Stiles si era pentito quasi subito del modo stupido in cui l’aveva posta, ripetendo a sé stesso che avrebbe potuto essere più specifico e magari evitare di balbettare come un completo idiota.
Aveva frenato quei pensieri alla risposta di Derek che gli aveva detto di studiare architettura.
Stiles avrebbe voluto chiedergli di più, come il motivo della sua scelta, e dirgli lui cosa studiava.
Avrebbe voluto farsi guardare in maniera confusa da Derek che forse si sarebbe chiesto come mai un tipo simile potesse scegliere di studiare criminologia. Infatti, la domanda di lui arrivò così velocemente che Stiles dubitò di averla udita davvero, credendo che fosse soltanto uno scherzo della sua immaginazione. Quando rispose “criminologia”, Derek si voltò davvero a guardarlo con espressione sorpresa, per poi fare un cenno di assenso e tornare a guardare la strada senza aggiungere altro.
Stiles avrebbe voluto chiedergli cosa stesse pensando al riguardo. Avrebbe voluto averlo di fronte e non di lato, per guardare meglio gli occhi verdi, nei quali aveva scorso qualche pagliuzza dorata, che donava maggiore intensità al suo sguardo austero.
“Eccoci qui!”, esalò Stiles, tirando un sospiro e guardando Derek. “Grazie”.
“Figurati”, fu la risposta lapidaria e scarna dell’altro che sicuramente non aveva una gran parlantina.
“Credo di doverti un caffè”, aggiunse Stiles, senza neanche sapere perché stesse rivolgendo un sorriso a quel ragazzo semi-sconosciuto dal tono burbero.
“Forse te ne devo uno anche io”, constatò Derek, riflettendoci su mentre il viso pallido del ragazzo di fronte a lui si fece più risentito, come se gli avesse rivolto la peggiore delle offese.
“Forse?”, ripeté Stiles, gesticolando nervosamente e facendo perdere a Derek il filo dei suoi pensieri, perché troppo distratto a seguire quelle mani, le cui dita lunghe si muovevano velocemente.
“D’accordo, ti devo un caffè e un bucato”, si arrese Derek, osservando l’espressione di lui che cambiava, mostrando un sorriso deliziato, mentre gli occhi ambrati si facevano più luminosi, irradiando quella giornata uggiosa, in cui il sole aveva deciso di non fare capolino.
“Allora…vado”, aggiunse Stiles, dondolando sulle gambe, come in attesa di qualcosa, e osservando di sottecchi Derek, il quale non poté fare a meno di sorridere.
Derek voleva ridere, soprattutto per la strana piega che quella giornata aveva preso, portandolo a guardare quel ragazzo irritante che lo aveva travolto, nel vero senso della senso della parola, con occhi completamente diversi. Per qualche motivo, aveva smesso di trovarlo irritante.
Forse era per il suo viso così semplice e ingenuo da fargli tremare le mani; forse per il tono fastidioso che gli aveva rivolto quella mattina; o forse per il comportamento imbarazzato che aveva assunto in sua presenza, mentre quella pioggia improvvisa li univa.
“A domani, Stiles…con il caffè”, asserì Derek, mostrando un sorriso divertito.
Il sorriso di Stiles si allargò a quella specie di promessa, carica di aspettative e speranze silenziose.
Il giorno successivo, l’uno offrì all’altro quel caffè che avevano perduto il giorno prima.
Il giorno dopo, continuarono ad offrirsi il caffè, fingendo che si fossero trovati per caso nella stessa caffetteria e che non vi si fossero recati apposta nella speranza di incontrarsi.
Presero a cuore quella tradizione del caffè, che continuò il giorno dopo ancora e ancora, mentre le lancette dell’orologio si muovevano veloci, solo che Stiles non le guardava, non più.
 
 
Angolo dell’autrice
 
Eccomi con una nuova one shot!
Chiedo perdono per averci messo più del previsto e spero che l’aggiornamento vi sia mancato almeno un pochino. Comunque, questa volta ho pensato di cimentarmi in una AU ambientata in un universo privo di licantropi dove i protagonisti frequentano il college e vivono una vita normale.
E’ palese che non avranno mai una vita così tranquilla, ma vabbè! Ad ogni modo, spero che questo piccolo esperimento senza capo né coda vi sia piaciuto, vi invito sempre a farmi sapere cosa ve ne pare con un commento anche piccino e ringrazio tutti coloro che stanno seguendo la storia, che hanno recensito, messo tra seguite/preferite/ricordate. Alla prossima, un abbraccio!
Ps: forse la prossima one shot sarà l’ultima, non odiatemi…è ancora da decidere.

 

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Capitolo 4
*** IV - Dreams ***


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Prima di proseguire, ci tengo a precisare che questa ultima flash contiene spoilers sulla puntata 4x08 di Game of Thrones,
precisamente "The Mountain and The Viper".

 
IV

Dreams


“Carry your world, I’ll carry your world
”.
(Coldplay – Atlas)
 
 
Un silenzio innaturale dominava il soggiorno del loft di Derek, anche se definirlo “soggiorno” non era propriamente corretto, visto che Stiles si limitava a considerarlo come un semplice spazio aperto senza personalità e senza mobili che potessero riconoscerlo come tale.
Derek non aveva neanche tentato di proferire parola, poiché una ventina di minuti prima aveva osato parlare e Stiles si era voltato a guardarlo con un’espressione omicida di chi non voleva essere disturbato, così il licantropo aveva optato per il silenzio forzato.
Stiles lo aveva avvisato: “Prova a lasciarti sfuggire qualche spoiler, e troverai lo strozzalupo nel caffè”.
Su quello, il ragazzo era stato abbastanza chiaro prima di accendere la tv di Derek e lasciare che la puntata tanto attesa della sua serie preferita, Il Trono di Spade, cominciasse. In realtà, Derek sapeva cosa sarebbe successo, poiché aveva letto tutti i libri della saga, a differenza di Stiles che si era ripromesso di farlo in un prossimo futuro, motivo per cui Derek non perdeva mai occasione di infastidirlo, con suo enorme disappunto.
Sentiva il battito accelerato di Stiles che premeva inesorabilmente contro la cassa toracica del ragazzo, rischiando quasi di sfondarla, mentre il suo respiro si mozzava in continuazione e aveva portato le mani alla bocca, mordendo la manica della camicia a quadri per tranquillizzarsi.
Derek osservava la puntata trasmessa con una calma che riusciva soltanto ad irritare Stiles più del dovuto, mentre le mani passavano alla testa e sullo schermo La Montagna finiva al suolo, infilzato dalla lancia di Oberyn Martell.
A quel punto, Stiles balzò in piedi, incredulo ed esultante.
Derek poggiò i gomiti sulle ginocchia, allungando il busto per osservare meglio la scena: si trattenne dal ridere sonoramente per l’entusiasmo di Stiles che sarebbe stato smorzato presto.
Stiles, intanto, non si scomodò neanche a voltarsi verso il suo ragazzo, troppo preso dalla vittoria di Oberyn e dal fatto che avesse appena messo al tappeto quel bestione, al di là di ogni aspettativa.
“Vai così!”, urlò, come se fosse ad una partita. “Di’ il suo nome, bastardo!”.
Derek sollevò un sopracciglio, voltandosi verso Stiles ancora in piedi con le mani strette a pugno e il cuore che batteva sempre più forte, mentre la gioia lo invadeva: non aveva mai visto Stiles così preso, e davvero non volle immaginare l’espressione che avrebbe mostrato di lì a poco.
Quando La Montagna colpì Oberyn, trascinandolo a terra e poi sotto di sé, Derek temette che a Stiles sarebbe venuto un infarto, poiché sussultò, ricadendo sul divano e portandosi le mani alla bocca, il tutto sotto lo sguardo attento e lievemente mortificato di Derek.
Mentre il guerriero ripeteva le parole pronunciate da Oberyn, cavandogli gli occhi con le sue stesse dita, Stiles rimaneva immobile sul divano in pelle a sopperire quelli che sembravano essere gridolini e strizzava gli occhi per non assistere del tutto alla vista del sangue, delle dita che affondavano sempre di più negli occhi di quel personaggio che aveva adorato fin da subito, e dei resti di cranio sparsi.
La puntata terminò in quel modo, e Stiles rimase nella stessa identica posizione anche quando i titoli di coda apparvero sullo schermo.
“Ma perché?”, sbottò ad un tratto il ragazzo, cercando una risposta nello sguardo di Derek.
“Se tu avessi letto i libri, non avresti sofferto tanto”, lo canzonò l’altro e Stiles poté leggere il divertimento negli occhi del suo ragazzo che sembrava spassarsela alla vista di lui emotivamente e psicologicamente distrutto.
Stiles assottigliò lo sguardo, desiderando davvero riservargli un bel pugno, ma dovette riconoscere che avrebbe probabilmente perso l’uso della mano sinistra, così optò per un cuscino che finì dritto in faccia a Derek.
L’altro non batté ciglio, e lasciò che Stiles lo colpisse, ghignando.
Il ragazzo si abbandonò sullo schienale del divano, afflitto e sconsolato.
“Dimmi che tornerà in vita”, piagnucolò il ragazzo, guardandolo speranzoso.
“Stiles, non è Supernatural”, gli fece notare Derek, ricevendo uno sbuffo in risposta.
"Urge l'intervento di Castiel! Sono sicuro che potrebbe risolvere la situazione", ribattè l'altro, con voce convinta.
Derek sorrise alla vista di Stiles imbronciato a quel modo e gli si avvicinò, per poi prendergli la mano e intrecciare le dita con le sue.
Era ancora nuovo tutto quello che avevano costruito: sembravano così quotidiani e “domestici” che Derek faticava ancora a farci l’abitudine, poiché fino a qualche mese fa non avrebbe mai immaginato di condividere una serata di quel tipo insieme al petulante e logorroico Stiles Stilinski.
Guardò le loro dita strette, ricordando tutto quello che gli era capitato, tra Peter, il Kanima, Jennifer, Deucalion e infine, il Nogitsune.
Il solo ricordo di quel mostro che si era impossessato della mente di Stiles fino a consumarlo, sospinse un dubbio nella mente che già vacillava, ripetendo che quel quadro era davvero troppo perfetto per essere vero.
Forse stava sognando. Forse tutto quello che avevano portato avanti non era reale.
Eppure, non c'era un modo preciso per saperlo, magari poteva continuare a lasciare quella dolce illusione lo avvolgesse, pregando che la verità non arrivasse mai, abbattendosi su di lui come una secchiata di acqua gelida, poi ricordò qualcosa.
“Come facevi a saperlo?”, domandò Derek, tenendo lo sguardo fisso sulle loro dita.
Stiles voltò il capo verso di lui, senza capire cosa intendesse con quella domanda.
“Come facevi a sapere se stavi ancora sognando?”.
Percepì il cuore di Stiles perdere un battito nel realizzare l’entità della domanda e quasi si pentì di avergliela posta, di aver portato di nuovo a galla qualcosa che il ragazzo cercava di archiviare.
“Le dita”, rispose Stiles, portando lo sguardo sulle loro mani e cominciando a giocherellare con le dita di Derek, intrecciandole e poi distendendole come pasta frolla. “Nei sogni hai più dita”.
Derek prese delicatamente il polso destro di Stiles, lasciando che aprisse meglio il palmo, e per un secondo anche lui perse un battito, al pensiero che le dita potevano essere più di cinque. Tuttavia, le dita di Stiles non erano di più, erano cinque, non aveva più dita e non era un sogno.
Derek rilassò le spalle, riappoggiandole leggermente sul divano, mentre Stiles stringeva nuovamente la mano nella sua e sorrideva, volgendo il capo verso di lui, quasi intenerito da quel gesto. Derek era spaventato anche se non lo avrebbe mai ammesso ma a Stiles andava bene.
“E’ tutto reale”, sussurrò con convinzione.
Il licantropo si voltò verso il ragazzo, e gli sorrise, sospirando con tranquillità.

Stiles serrò la presa sulle sue dita, sentendo Derek che ricambiava, forse per rassicurarlo a sua volta, forse per far capire non soltanto a sé stesso ma anche a lui che quello non era un sogno, che non c’era nessuno nelle loro menti e che erano davvero insieme.
Derek guardava Stiles e vedeva l'essere umano più coraggioso che avesse mai conosciuto, qualcuno che era stato capace di rialzarsi dopo quello che aveva subito, che ancora zoppicava per ciò che il Nogitsune gli aveva fatto ma che non intendeva arrendersi.
Ricordava come fosse stato difficile i primi tempi, come avesse scorto Stiles agitarsi nel bel mezzo della notte, impaurito all'idea di chiudere gli occhi con il terrore di trovarsi ancora nei meandri bui e inesplorati della sua mente dove solo il Nogitsune era entrato.
Ricordava come Stiles avesse sentito il bisogno di essere rassicurato, ad ogni gesto e ad ogni parola.
Strinse di più la presa, quasi per fare in modo che le loro mani diventassero un'unica entità.
Non era un sogno, non lo era mai stato e mai lo sarebbe diventato.
 
 
Angolo dell’autrice
 
- il dialogo tra Stiles e Derek sulle dita e sui sogni è ripreso dalla puntata 3x24.

Finalmente ce l’ho fatta, ormai non ci speravo più.
Non ho molto da dire, mi limito solo a chiedere scusa per averci messo tanto ma purtroppo tra i vari impegni, una storia che ho concluso giorni fa e un’altra che sto portando avanti, aggiornare con regolarità è diventato un bel problemino. Ad ogni modo, spero che questa ultima one shot che chiude la raccolta vi sia piaciuta. Ho deciso di finirla al quarto capitolo perché vista la lentezza non vorrei aggiornare con tempi ancora più lunghi, quindi meglio prevenire. Magari scriverò qualche altra cosa su questi due, intanto vi lascio quest’ultima flash con dei richiami alla serie Il Trono di Spade. Onestamente, l'idea mi è venuta praticamente all'improvviso e non so quanto questa scelta sia stata saggia, ma comunque spero vi sia piaciuta.
Se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate con un commentino.
Ringrazio tutti coloro che hanno seguito, letto, recensito, messo tra le seguite/preferite/ricordate. Grazie di vero cuore!
Alla prossima, un abbraccio!

 

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