a place to belong

di Martiz Kenway
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Io sono Haruka Ookami ***
Capitolo 2: *** Un'infanzia tormentata ***
Capitolo 3: *** Il bambino della sabbia ***
Capitolo 4: *** Pain ***



Capitolo 1
*** Io sono Haruka Ookami ***


Osservo la comitiva dei quattro ninja della roccia avanzare nel sentiero costeggiato dalla foresta. Alla testa sta un uomo esageratamente muscoloso, con il coprifronte del villaggio legato intorno al collo. Dietro di lui lo seguono due ninja molto giovani, probabilmente sui vent’anni, che fischiettano un motivetto allegro ma alquanto ripetitivo. Dietro di loro, infine, cammina un ragazzino della mia età. Dodici anni. Sta scortando il nostro bersaglio. Calvo, cinquant’anni, sopracciglia fin troppo cespugliose nere come la pece e un’ altezza pari a quella di un bambino di dieci anni. I suoi polsi sono imprigionati da delle manette di roccia.
Sorriso e affondo le zampe sul terreno soffice. Silenziosamente mi muovo in avanti, tenendomi ben nascosta tra i cespugli.
-Che aspetti ad attaccare?- la voce di Zetsu bianco mi sorprende alle spalle
Ringhio e mi giro verso di lui. Fa spuntare la testa da un tronco e sorride, scoprendo una fila di denti bianchi.
-Lo sai che è sempre stata una tipa riflessiva..- continua Zetsu nero con la sua voce pungente
Alzo gli occhi al cielo e ritorno a concentrarmi sul bersaglio –Parla per te, Zetsu-
Ridacchia divertito e si posiziona di fianco a me – Allora? Ti decidi o no?- continua
-Tu prendi Daisuke, portalo da Pain.. io mi occupo dei ninja della roccia..- gli ordino
-Non tardare troppo..- mi saluta sparendo nuovamente nel terreno
Mi avvicino silenziosamente e, una volta che il gruppo mi ha superato, sbuco dalla foresta e torno in forma umana. Comincio a correre verso il ragazzino e con un salto lo supero, atterrando sulle spalle dei due ninja e affondando due kunai sui loro colli. Si accasciano a terra, dissanguati, senza esalare un solo respiro. Il ragazzino comincia ad urlare e il capo della comitiva si gira verso di me. Gli assesto un calcio sullo stomaco, poi una ginocchiata sulla mascella che gli fa sanguinare il naso. Indietreggia, componendo una serie di sigilli. Una decina di massi si proiettano verso di me, velocissimi. Con estrema facilità li evito e ricado a terra. Decido di provare la tecnica che mi ha insegnato Kisame e compongo i complicati sigilli, più veloce che posso.
-Arte dell’acqua, tecnica della prigione acquatica!- urlo, attingendo l’acqua da un ruscello che scorre vivace poco lontano da qua.
L’acqua si raccoglie attorno al ninja e lo imprigiona in una sfera perfetta. Rimango inginocchiata a terra, gli occhi chiusi e il corpo rigido. Non posso permettermi di sbagliare, devo rimanere concentrata al massimo. Quando non percepisco più il chakra nemico riapro gli occhi. Il suo corpo galleggia ancora imprigionato nella sfera d’acqua. Sciolgo la tecnica e mi rialzo sorridendo, aggiustandomi il ciuffo disordinato che mi ricade sulla fronte. Sbadiglio annoiata e faccio per andarmene quando un lamento impaurito giunge alle mie orecchie. Mi giro accigliata e solo ora mi accorgo del ragazzino che poco prima scortava il nostro bersaglio. E’ ranicchiato contro un albero, gli occhi pieni di lacrime ed il corpo tremante. Man mano che mi avvicino nasconde il viso tra le ginocchia e singhiozza sempre più forte. Mi accuccio davanti a lui e inclino la testa per guardarlo –Torna al tuo villaggio, riferisci ai tuoi superiori cosa è successo qua..- gli ordino tramutandomi di nuovo in lupo. Il ragazzino alza la testa e mi guarda ad occhi sgranati, infine annuisce. Gli concedo un sorriso e arruffo i suoi folti capelli scuro con il muso –Bravo ragazzino..- dico andandomene via
Raggiungo un posto tranquillo, in mezzo alla foresta e mi siedo a terra. Tra poco Pain dovrebbe richiamarci. Dopo qualche secondo vengo proiettata in uno dei rifugi tramite la tecnica speciale di Pain. Mi guardo attorno, mettendo a fuoco i presenti nel buio del covo.
Kisame si avvicina a me salutandomi con un sorriso –Prestazione perfetta, a quanto pare gli allenamenti sono serviti..- commenta soddisfatto
Annuisco – Grazie maestro..- sussurro spostando lo sguardo su Pain
Il rosso avanza verso di me, il viso ricoperto da tutti quei piercing orrendi che gli conferiscono un’aria ancora più spaventosa, oltre allo sguardo impassibile –Ottimo lavoro, Deidara si occuperà di portarlo, possibilmente vivo, alla polizia per riscuotere la taglia..-
Deidara sbuffa –Come vuoi te capo..- poi si rivolge a me –Misericordiosa come sempre, eh Ookami? Perché risparmiare quel moccioso?-
-Perché ucciderlo?- rispondo io di rimando
Deidara alza gli occhi al cielo –Ah che noiosa..- borbotta
-Fatti i cazzi tuoi Deidara..- interviene Kisame brandendo pelle di squalo –ha dimostrato più volte ciò di cui è capace..-
La tecnica si scioglie improvvisamente e ritorno nel mondo reale. Il vento leggero mi scompiglia il pelo color sabbia, uguale a quello dei miei capelli. Alzo gli occhi e osservo le nuvole muoversi lente nel cielo scuro, costellato de mille diamanti argentati. Sembra di guardare il cielo stellato di Suna, il profumo e il calore di quella città immersa nella sabbia dorata non lo dimenticherò mai anche se a volte cerco di farlo. Quei ricordi fanno troppo male, anche a distanza di anni. Gli occhi indemoniati di quella creatura si fanno largo nella mia mente, minacciosi e crudeli. Quegli artigli compaiono vicini al mio viso, pronti a ferirmi ancora una volta. Apro gli occhi di scatto e scuoto la testa, sfiorandomi la lunga cicatrice che parte della mascella e continua sul collo, fino alla clavicola. Perché a me? Perché tutto questo dolore solo a me?
Non posso raccontare la mia storia partendo da qua, dal mio presente. Devo partire dal principio, da dove tutto è cominciato. Partirò dal villaggio della nebbia.

ANGOLO AUTRICE:
Questa è la mia prima FF su Naruto e sono abbastanza in ansia! D: Era da un po' che avevo questa idea che mi frullava nella testa ma non ho mai avuto il coraggio di mettermi a scrivere seriamente, forse per paura di non farcela anche perchè la storia di Haruka è ambientata durante tutto il manga e, come ben sapete, esso non si è ancora concluso, quindi non so fino a dove portare avanti questa storia.. Mah, deciderò più avanti se tutto va bene :) Comunque, spero che la mia FF sia di vostro gradimento, spero di ricevere almeno qualche recensione e sopratutto tanti tanti consigli ma anche complimenti se la storia vi piace :D Un po' di incoraggiamento non fa mai male a nessuno :D Detto questo vi saluto, aggiornerò probabilmente domani perchè i prossimi capitoli li ho già bene in mente e saranno decisamente più lunghi di questo :) 

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Capitolo 2
*** Un'infanzia tormentata ***


Al contrario di quanto si possa pensare, non ho mai amato il mio villaggio. Il villaggio della nebbia non era altro che un agglomerato di palazzi e casette immerso nella nebbia e circondato dal verde delle foreste. Il giorno in cui nacqui il sole splendeva alto nel cielo riscaldando quel luogo in cui per tutto l’anno dominava il freddo e l’umidità. Assieme a me, circa cinque minuti prima, nacque il mio gemello. Kichiro Ookami. Fin dal primo giorno in cui venne al mondo, mio fratello fu il preferito in tutto e per tutto. Dovete sapere che nel mio clan, la nascita di una femmina è una grande sfortuna. Perché vi chiederete voi? Semplice. Il fatto è che le femmine non possono tramandare il gene degli Ookami, solo i maschi. Credo che mio padre mi odiò fin dal primo giorno. La mia unica ancora di salvezza era la mamma, Asami. Quella meravigliosa creatura dai lunghi capelli corvini e gli occhi nocciola, non dimenticherò mai il suo sguardo amorevole quando mi presentavo a casa coperta di fango, insieme al mio fratellino più piccolo. Si, perché poco tempo dopo i nostri genitori decisero di regalarci un altro fratellino. Masaki. Scelse il papà quel nome. Significa “albero che fiorisce”. Ogni volta che tornavamo a casa, prima del tramonto, papà lo prendeva in braccio e lo sistemava sulle sue spalle
 –Eccolo il mio alberello in fiore..- diceva –Diventerai grande e forte un giorno!-
Quanto avrei voluto essere io al suo posto, quanto avrei voluto che dicesse anche a me quelle parole. Ma il sorriso di mio fratello, così alto sulle spalle di papà, mi bastava per essere felice. Se lo era lui, lo ero anch’io.
Con Masaki avevo un rapporto speciale, non importa dove eravamo o con chi eravamo, noi trovavamo sempre il modo di divertirci, anche se questo voleva dire rimanere distesi su qualche tetto a fissare il cielo. A noi bastava rimanere assieme, sempre. Ricordo quelle mattine in cui uscivo presto di casa insieme a papà e Kichiro per allenarmi nella trasformazione, lui piangeva sempre poi però mi salutava con un bacio sulla guancia e con un sorriso che avrebbe sciolto qualsiasi cuore di ghiaccio. Gli allenamenti erano duri e faticosi, papà non mi incoraggiava molto spesso e qualunque obiettivo raggiungessi non era mai abbastanza per lui. Mio fratello Kichiro era sempre un gradino più in alto di me. Nonostante questo non mi facevo abbattere e continuavo gli allenamenti con impegno e sacrificio, ero fin troppo determinata per avere solo otto anni.
Non soffrivo poi tanto questa situazione, dopotutto intorno a me non è che le cose fossero tanto migliori. Nel Villaggio della Nebbia regnava la paura. Il Quarto Mizukage, Yagura, forza portante della tartaruga a tre Code, era forse il Kage più crudele della storia del Villaggio della Nebbia. Lo diceva la mamma e io le credevo. Potevo benissimo vederlo anche con i miei stessi occhi, da come venivano allenati i ninja e da come veniva insegnato loro a uccidere senza pietà, persino tra compagni. Avevo paura della mia stessa casa. Mio padre era uno dei consiglieri del Kage e approvava ogni sua scelta, giustificando anche quelle più folli e crudeli. E cosa potevo fare io se non assecondarlo in tutto ciò che diceva? Solo per ricevere una lode, o anche un sorriso, avrei fatto di tutto, perfino cercare di amare quell’inferno che stava intorno a me. Non mi scorderò mai la visita che facemmo al Kage, voleva conoscere la famiglia del suo consigliere più fidato, e ci invitò tutti al suo palazzo. Ci provai, ma proprio non ce la facevo a farmelo stare simpatico. Un moccioso dall’aria arrogante, con quella ridicola cucitura sotto l’occhio. Della sua voce poi non ne parliamo. Era colpa sua se il villaggio aveva una così brutta reputazione. Non vi dico quanto mi riempì di schiaffi mio padre quando tornammo a casa, diceva che dovevo essere più gentile e che si era vergognato di me, di avermi come figlia. Mi buttò fuori di casa, sotto la pioggia battente, per quasi tre ore. Fu in quell’occasione che incontrai Kisame. Vi dico la verità, era l’ultima persona con cui mi aspettavo di allacciare un qualsiasi rapporto. Ricordo di essermi seduta vicino ad un piccolo laghetto, a osservare i cerchi che creava la pioggia sulla sua superficie. Starnutii più volte e nascosi la testa tra le ginocchia.
-Non credo ti convenga rimanere così sotto la pioggia..-
Alzai di colpo la testa e guardai il mio interlocutore. Davanti a me si ergeva, in tutta la sua grandezza, uno squalo enorme. Già lo conoscevo ma soltanto di vista, faceva parte dei famosi Sette Spadaccini della Nebbia. Non mi ero mai avvicinata così tanto a lui, più per timore che per altro. Gli Spadaccini non erano molto amichevoli, e tutti al villaggio preferivano evitarli.
Non seppi cosa rispondere, rimasi a guardarlo impaurita. Non avevo il coraggio di muovere un solo muscolo. Quando lo raggiunsero anche gli altri spadaccini mi alzai in piedi, pronta a scappare a gambe levate.
Zabuza si appoggiò la spada sulla spalla e si accigliò –Che fai Kisame?- chiese indicandomi
Lo squalo sorrise, scoprendo le piccole zanne aguzze –Niente, stavo solo chiedendo a questa ragazzina perché se ne stava qua sotto la pioggia..- rispose
Un altro degli spadaccini, Mangetsu, si avvicinò al gruppo e ridacchiò –Allora? Ti hanno mangiato la lingua?- chiese.
Accanto a lui, un bambino della mia stessa età, probabilmente suo fratello, rise divertito –Guardala fratello, sta tremando di paura!-
Corrugai le sopracciglia e deglutii, facendomi coraggio –Mi hanno.. buttato fuori di casa..-
Kisame scoppiò a ridere –Vedi di non prenderti un raffreddore..- si raccomandò
Annuii –Ci proverò, signore- dissi mordicchiandomi il labbro inferiore
Mangetsu fece un cenno a suo fratello –Perché non lei fai compagnia, Suigetsu?-
Il bambino mi squadrò dall’alto in basso e alzò gli occhi al cielo –Devo proprio fratello? Io voglio stare con voi!-
-Abbiamo delle cose importanti da fare con il Kage.. ti vengo a riprendere io dopo..-
Suigetsu sbuffò e si sedette di fianco a me, con le braccia incrociate e un’espressione seccata stampata in faccia mentre gli altri spadaccini se ne andarono, avanzando come spettri in mezzo alla pioggia.
Suigetsu non mi piaceva per niente, suo fratello era molto più simpatico e meno arrogante. Inoltre, dicevano che sarebbe potuto diventare una specie di secondo Zabuza.. il problema era che lui ne andava fiero! Una cosa però ci fece andare d’accordo, il semplice fatto che lui amava gli animali ed io ero un lupo. Appena mi trasformai gli si illuminarono gli occhi e mi prese subito in simpatia.
-Che figata! Vuoi vedere la mia abilità?- mi chiese con un sorrisino quasi angelico
Non potei non ricambiarlo così annuii –Si dai!-
Lentamente il suo corpo cominciò a sciogliersi tramutandosi in acqua, che andò a depositarsi in un buco sul terreno, davanti ai miei piedi.
Sgrani gli occhi e mi inginocchiai, scostandomi il piccolo ciuffo di capelli bagnati dalla fronte –Ma come ci riesci?- gli chiesi sorridendo mentre si ricomponeva nella sua forma naturale
-Che domande! E’ l’abilità innata del nostro clan! Dovresti saperlo..- mi disse incrociando le braccia al petto
Sorrisi e mi trasformai nuovamente in lupo, scrollandomi l’acqua dal pelo –Vediamo chi arriva primo al palazzo del Kage?- lo sfidai saltellando su qualche pozzanghera
Lui rise –E’ una sfida impossibile per te da vincere!-
Scossi la testa e scattai in avanti –Dai fatti sotto!- gli urlai mentre acceleravo la corsa
-Ehi! Non hai detto via!- mi urlò di rimando scattando verso di me, per raggiungermi
Fu così che scoprii una delle abilità che più mi servirono durante il corso della mia avventura. Una velocità fuori dal normale. Mentre Suigetsu mi superava con facilità, mescolandosi con l’acqua sul terreno e avanzando velocemente decisi che non avrei perso. Avevo già mio padre che mi sottovalutava, non volevo che lo facesse anche quel bambino. Allora accelerai, sfrecciai per le strade con le zampe che si muovevano sempre più veloci spinte dalla mia voglia di vincere, di dimostrare qualcosa. Arrivai non solo prima, ma anche in anticipo di qualche minuto. Quando Suigetsu tornò in forma normale aveva un’espressione inebetita e incredula stampata in faccia. Ululai e saltellai di gioia quel giorno, come mai avevo fatto nella vita.
-Ma è impossibile! Come puoi essere più veloce dell’acqua??- protestò lui sbattendo i piedi a terra
-Ho vinto! Ho vinto!- continuavo a urlargli, senza smettere di saltare
Lui si accucciò a terra e prese un mucchio di fango tra le mani, per poi lanciarmelo addosso. Mi colpì in pieno muso e, dopo avergli ringhiato contro, feci lo stesso anch’io. Ci guardammo silenziosamente negli occhi, completamente coperti di fango, per poi scoppiare a ridere e continuare la nostra battaglia. Suigetsu ed io stringemmo un forte legame d’amicizia da quella volta, ogni giorno che pioveva ci trovavamo nella riva del solito laghetto e giocavamo per ore, lanciandoci sfide sempre più impossibili. Mi accorsi però di quanto ero debole rispetto a lui. Suigetsu conosceva già molte tecniche complicate che io nemmeno riuscivo a sognarmi.. l’unica cosa che sapevo era trasformarmi, cosa assolutamente naturale per noi del clan Ookami, era come alzare un bastoncino spezzato, non consumava nemmeno una piccola quantità di chakra e la nostra forza aumentava del 30%. Decisi un giorno di chiedere a mio padre di allenarmi seriamente, volevo diventare una ninja forte quanto Suigetsu e frequentare l’accademia.
Lui si limitò a rispondermi con una grossa risata –Vedremo se ne sarai capace! Cominciamo anche subito se vuoi!-
Di certo non mi tirai indietro. Per tutto il giorno testò le mie capacità, la mia forza, i miei riflessi. Non una cosa che sembrava andare giusta, qualsiasi cosa facessi era mediocre se non ridicola. Allora provai a mostrargli la mia velocità, per un attimo sembrò quasi sorpreso! Mi guardò negli occhi seriamente e poi alzò le spalle –Niente di speciale..- commentò demoralizzandomi definitivamente
-Ma ero più veloce del vento!- protestai cercando di convincerlo
Lui scosse la testa e mi voltò le spalle, camminando verso casa –Non potrai mai essere ninja..-
Rimasi a guardarlo mentre se ne andava senza dire altro. Quanto avrei voluto piangere in quel momento, ma mi trattenni. Che cosa avrei risolto? Se il mio stesso padre diceva che non sarei mai potuta diventare ninja allora era sicuro che non lo sarei mai diventata. Il mio sogno era stato infranto. Che sogno stupido! Diventare ninja? Perché poi? La risposta non la conoscevo ancora, forse ero troppo piccola per capirlo, ma ora a distanza di anni posso dire di averla trovata la risposta. Avevo disperatamente bisogno di essere apprezzata. Avrei voluto affrontare missioni pericolosissime per poi tornare a casa a testa alta, con la testa del nemico in mano, mentre mio padre mi cingeva le spalle con il braccio e si complimentava con me, e mi concedeva il suo sorriso. Quel sorriso che avevo tanto desiderato e che mai ricevetti.
Una strana sensazione mi pervase, come se mi stessero osservando. Mi girai di scatto e, appostato dietro ad un albero, riconobbi il Mizukage. Corrugai le sopracciglia e inclinai la testa. Perché ci stava guardando? Doveva aver visto tutto l’allenamento. Feci finta di niente e me ne andai, ma la sua voce mi costrinse a girarmi.
-Ottimo scatto, non ho mai visto nessuno di più veloce..- commentò
Rimasi a bocca aperta e mi girai verso di lui, facendo un piccolo inchino –Salve Mizukage, in realtà non è stato niente di speciale..-
I suoi occhi, così spenti e inespressivi, si assottigliarono –Io credo di si, invece..- disse andandosene via
Un brivido mi percorse la schiena e mi poggiai una mano sul cuore, per calmare i battiti impazziti. Quel ragazzo mi incuteva timore, sembrava quasi una marionetta. Non aveva espressioni ne movenze particolari, sembrava come intrappolato in una specie di trans, come se fosse stato incantato o qualcosa del genere. Comunque nessun altro aveva quella strana sensazione, soltanto io, e quindi non diedi molta importanza alla faccenda.  
I giorni seguenti vagai per il villaggio come un fantasma, senza più sogni nel cassetto, senza più aspettative future. Le parole del Kage continuavano a rimbombarmi in testa. Che cosa voleva dire? Il freddo pungente mi penetrava fin dentro le ossa e starnutii più volte, ormai avevo sempre il raffreddore in quel periodo.
-Ti piace proprio andartene in giro, eh?- la voce di Kisame mi distolse dai miei pensieri
Mi bloccai di colpo e alzai lo sguardo, cercando di distinguere il suo viso azzurrognolo nella fitta nebbia che si addensava in quelle stradine.
Schiusi le labbra e mi schiarii la voce –Ehm.. No.. cioè si, un po’- balbettai
L’uomo- squalo sorrise –Sei ancora in punizione? E’ da stamattina che ti vedo fuori!-
Scossi la testa –No, signore.. E’ solo che non ho molta voglia di tornare a casa..-
-Litigato con i genitori?- mi chiese
Abbassai lo sguardo –In realtà.. Volevo diventare ninja, ma papà ha detto che non fa per me..-
Kisame assottigliò gli occhi e sbuffò –Mmh, bhe ognuno ha le sue idee..- tagliò corto picchiettando le unghie sull’impugnatura della spada
Starnutii di nuovo e tirai su col naso –Si..- sussurrai con un mezzo sorriso
-Dai, se non hai proprio voglia di tornare a casa vieni pure a casa mia.. ok?- mi propose
Sgranai gli occhi e cominciai a tremare. Un membro dei Sette Spadaccini mi stava offrendo un tetto sopra la testa? Da quando erano così gentili? Magari mi voleva cucinare per cena. Osservai i suoi denti aguzzi e deglutii –Credo.. credo che non sia opportuno, signore.. non mi conosce neanche..-
Lo squalo si avvicinò a me, sovrastandomi con la sua immensa mole, per poi accucciarsi e guardarmi meglio negli occhi –Guarda che non ti mangio mica..- ridacchiò scoprendo le zanne
Quel gesto, più che pauroso, mi sembrò quasi rassicurante tanto che decisi di accettare –Allora accetto, signore- risposi cercando di sorridere
Kisame si rialzò in piedi e mi fece cenno di seguirlo –Dai, non è molto distante da qui..-
Dopo meno di cinque minuti eravamo già arrivati. Kisame aprì la porta della modesta casetta, affiancata da altre abitazioni. Lo seguii fino all’interno e mi guardai attorno, mentre lui se la richiudeva alle spalle e appendeva il cappotto all’appendiabiti. L’interno era molto spoglio, al muro erano appese spade di tutti i generi che mi soffermai a guardare con interesse. Nel soggiorno c’erano solo due poltrone con un caminetto e la cucina era disordinata e sporca, ma nonostante tutto profumava di dolci appena sfornati. E io che mi aspettavo cadaveri e sangue ovunque!
Mi fece sedere su una delle poltrone e andò in cucina –Hai fame?-
-No no, grazie..- risposi velocemente
La sua testa fece capolino dalla porta della cucina –Cioccolata calda va bene?-
Sorrisi e annuii –Si, grazie signore-
Dopo qualche minuto mi ritrovai con una tazza fumante di cioccolata tra le mani. Temetti che ci avesse messo dentro qualcosa tipo veleno, ma il profumo era così invitante che non resistetti a lungo. Ricordo che quando la assaggiai era tutto tranne che qualcosa di nocivo, anzi, era la cioccolata più buona che avessi mai assaggiato. La bevvi silenziosamente mentre lui mi osservava seduto sulla poltrona di fronte a me.
-Allora.. perché vuoi diventare ninja?- mi chiese
Allontanai con rammarico la tazza dalle labbra e mi grattai il mento, intenta a pensare ad una valida risposta –Io.. non lo so, signore- risposi facendo spallucce
Kisame sorrise ma non fece altre domane, probabilmente aveva già capito tutto.
-Bene, allora se tuo padre non vuole.. ti allenerò io..- propose
Sgranai gli occhi e rimasi basita a guardarlo –L-lei signore? Uno degli Spadaccini vuole fare da maestro.. a me?- chiesi
Kisame sorrise –Certo..-
Mi accigliai e lo guardai sottecchi –Perché dovrebbe?-
Scoppiò a ridere –Sei una bambina sveglia! In realtà, il Mizukage ha espresso la volontà di volerti allenare per diventare una ninja..- mi spiegò
-Ma come è possibile signore? Io.. non posso diventare ninja, lo ha detto anche mio padre-
-Bhe tuo padre dovrà farsene una ragione, ordini del Kage..- mi sorrise facendomi l’occhiolino
Quel giorno in cui lo incontrai doveva aver assistito a tutto il combattimento. Ma se mio padre non aveva visto niente di speciale in me..come poteva averlo visto il Kage? Il ninja più potente del villaggio! Forse possedevo davvero delle qualità per diventare un ninja..
-Io.. non so cosa dire signore- sussurrai guardando il fumo caldo che si alzava dalla tazza
-Cominceremo domani stesso, sei d’accordo?-
Gli occhi mi si riempirono di lacrime e strinsi più forte la tazza, abbassando lo sguardo per nascondere il viso imporporato di rosso per l’emozione. Finalmente qualcuno si era accorto di me, aveva visto qualcosa di buono. Sentivo di poter fare tutto ciò che volevo e niente mi avrebbe più fermato. In quel momento amai il mio villaggio più di qualunque altra cosa al mondo e promisi di diventare il ninja più forte di tutti, così finalmente mio padre mi avrebbe sorriso.
-Certo che sono d’accordo.. maestro..- singhiozzai mentre lacrime di felicità rigavano il mio viso.
 
Gli allenamenti con Kisame erano duri, praticamente non ero mai a casa. Spesso ci allontanavamo molto dal villaggio e stavamo via per settimane intere. Mi insegnò le tecniche base dei ninja e, cosa che mi stupì, le imparai in fretta e con facilità. Tecnica della moltiplicazione del corpo, della sostituzione e della trasformazione. In una sola settimana ero già in grado di eseguirle perfettamente. Sia Kisame sia il Kage studiarono minuziosamente la storia del mio clan, scoprirono cose di cui nemmeno io ero a conoscenza. Mio padre non me ne aveva mai parlato, forse perché pensava che non mi sarebbero mai servite a niente.
-Abbiamo scoperto che ci sono diversi stadi di trasformazione..- cominciò il discorso mentre stavamo seduti ad una locanda ad attendere il pranzo
Corrugai le sopracciglia –Stadi? Mio padre non me ne ha mai parlato..-
-Il tuo stadio attuale è quello del lupo, è la forma base di ogni membro del clan. Quando si raggiunge la maturazione, all’età di sedici anni più o meno, la tua forma base può tramutarsi in altre due forme..-
-Come?- chiesi incuriosita appoggiando il mento sul bancone
-Con pazienza e tanto allenamento.. non è una trasformazione naturale, in più dovremmo cercare i sigilli che permettono di sbloccarla.. probabilmente nel tempio segreto del tuo clan le troveremo-
-Mio padre ci va spesso con mio fratello!- esclamai
-Bene.. allora, il secondo stadio di trasformazione è una forma più evoluta del lupo, a quanto pare puoi reggerti sulle zampe posteriori come gli umani e le dita di quelle anteriori possono comporre liberamente i sigilli!-
-Quindi posso usare alcune tecniche anche in forma di lupo!-
-Esatto.. ma per la trasformazione nel secondo stadio ti serve una quantità enorme di chakra, se ci provassi adesso probabilmente moriresti..-
-Capito! E il terzo stadio?- continuai
-Il terzo stadio è quello probabilmente più impossibile da raggiungere, il Kage mi ha riferito che nessun attuale membro del clan Ookami è mai riuscito ad arrivarci senza morire, solo alcuni dei tuoi lontani antenati..-
Sgranai gli occhi e sorrisi ammirata –In cosa consiste?-
-Il terzo stadio mischia il secondo stadio con l’elemento del tuo chakra..-
-L’elemento del mio chakra?-
-Come abbiamo potuto vedere, l’elemento del tuo chakra è l’acqua.. Nei membri del clan, per ogni tipo di chakra esiste una diversa forma del terzo stadio..-
Corrugo le sopracciglia –Quindi.. se io ho il chakra dell’acqua.. la mia forma sarà diversa da un lupo che per esempio ha il chakra del fulmine, giusto?- chiesi mordendomi le labbra
Kisame mi sorrise soddisfatto –Esatto! Ma per ora a noi non interessa.. prima devi imparare tutte le variazioni dell’arte dell’acqua e quando ci riuscirai potremo pensare a raggiungere tutti gli stadi..- mi assicurò sorridendo ancora
Annuii determinata e fissai il vuoto pensosa. Se fossi riuscita a raggiungere il terzo stadio mio padre mi avrebbe sicuramente presa sul serio, sarei stata un degno membro del clan Ookami e mio fratello non mi avrebbe più eclissata. Ma le cose sarebbero andate in maniera diversa, in una maniera che mai mi sarei aspettata.
 
Successe tutto in un freddo pomeriggio di nebbia. Una nebbia fitta e umida, che avvolgeva tutto il villaggio. Era impossibile vedere oltre il proprio naso ma quel giorno volli uscire lo stesso insieme a Masaki.
-State attenti!- mi urlò mia madre prima di vederci uscire di casa e sparire nella nebbia
Non diedi molto peso alle sue parole, mi limitai a salutarla con la mano mentre con l’altra tenevo stretto Masaki. Era diventata più ambiziosa e intraprendente grazie agli allenamenti di Kisame e così decisi di andare a giocare in un posto troppo, decisamente pericoloso. Era un palazzo in costruzione, circondato da impalcature, un posto perfetto dove arrampicarsi. Arrivammo ai suoi piedi e cominciai a salire le scale a pioli mentre Masaki mi guardava esterrefatto.
-Sei pazza Haruka? Ci faremo male!- mi avvertì
Ma come feci con mia madre, non diedi peso a quelle parole –Ma che dici! E’ facile!-
-Io non ci riesco.. ho paura..-
Mi girai verso di lui e gli tesi la mano –Fidati di me..-
Dopo un attimo di esitazione me la strinse e accennò un sorriso poco convinto. Salimmo fino a raggiungere il piano superiore, procedemmo verso l’interno e raggiungemmo l’altro lato della casa saltando su delle colonne.
-Vedi? Non era difficile!- gli dissi scompigliandogli i capelli bruni
-Per poco non cadevo! Non si vede niente con questa nebbia!-
Scossi la testa e continuai a non ascoltarlo. Mi girai verso il prossimo ostacolo. Un palo orizzontale lungo più o meno dieci metri, sospeso nel vuoto. Dall’altro lato del palo c’era una specie di ascensore che ti permetteva di tornare giù.
-Guarda Masaki!- urlai indicando l’ascensore –Con quello possiamo tornare giù! Basta che superiamo il palo!-
-No Haruka! Ho paura.. non ho tanto equilibrio-
-Ma va Masaki! Te guarda me!- gli dissi avanzando
Percorsi il palo senza problemi, ero una ninja dopotutto, ma forse una ninja troppo ingenua.
Masaki sospirò e camminò lentamente sul palo, con le braccia alzate per non perdere l’equilibrio. Barcollò un po’ ma ritornò subito dritto mentre la mia risata risuonava nel silenzio della nebbia. Come avevo potuto essere così stupida? A metà percorso il viso di Masaki sbiancò e cominciò a barcollare paurosamente. Corrugai le sopracciglia –Dai Masaki!- lo incitai
Questa volta non riuscì più a raddrizzarsi e il suo corpo si sbilanciò, cadendo nel vuoto. Sgranai gli occhi e guardai la scena impotente. Forse potevo salvarlo, forse no, ma in quel momento non riuscii a fare niente, il mio cervello era come se si fosse spento. Il suo urlo echeggiò, per poi svanire lentamente come il suo corpo, nella fitta nebbia. La sua vita svanì, per sempre. Urlai disperata, mentre correvo giù dal palazzo. Quando raggiunsi il suo corpo senza vita, riverso nel terreno fangoso non riuscii nemmeno a toccarlo. Divorata dal senso di colpa e dal dolore corsi a casa, chiamai i miei genitori, li portai da Masaki. Mio padre stette chino sul suo corpo per quasi un’ora, nel tentativo di rianimarlo. Tutto il villaggio si era riunito intorno a noi, perfino il Kage. I ninja medici rinunciarono a curarlo dopo circa dieci minuti, ma mio padre continuava a provare. E urlava e piangeva, non l’avevo mai visto così.
-Come è successo?- chiese il kage
I miei genitori e mio fratello si girarono verso di me. Li guardai con aria colpevole e gli occhi pieni di lacrime.
-E’.. è stato un incidente.. noi stavamo solo giocando..-
Mia madre venne verso di me e mi diede un ceffone in pieno viso. –Ti avevo detto di stare attenta!- mi urlò disperata mentre si strappava i capelli con le dita
Caddi a terra e mi massaggiai la guancia –Mamma..- sussurrai
-E’ tutta colpa tua..- mormorò mio fratello girandomi le spalle –Secondo me l’ha spinto apposta..- aggiunse
Mi rialzai –Cosa? No, lo giuro! Non l’avrei mai fatto!- singhiozzai
Mio padre si rialzò piano e venne verso di me. Ritrassi la testa per paura di ricevere un altro ceffone, ma lui mi prese la mano e mi trascinò via. Lontano da tutti quanti. Si trasformò in lupo e mi sistemò sul suo dorso, sotto gli sguardi confusi e disorientati della gente, compresa mia madre. Mi tenni stretta a quel manto color sabbia, più scuro del mio. Corse così veloce che quasi mi mancò il fiato e in meno di cinque minuti arrivò ad uno dei porti più vicini. Il mare era piatto come una tavola e le barche, nere e immobili, approdate al porto, mi misero i brividi solo a guardarle. Tornò in forma umana e mi trascinò verso un molo. Incrociammo Kisame e Zabuza mentre avanzavamo spediti. Il mio maestro ci fermò, guardandoci storto.
-Che succede?- mi chiese notando gli occhi gonfi di lacrime
Non riuscii a parlare, ma cosa avrei potuto dire? Come potevo anche solo immaginare ciò che voleva farmi?
-Non sono affari tuoi Kisame Hoshigaki.. se permetti, insegno io l’educazione a mia figlia..- rispose urlando
Kisame corrugò le sopracciglia e gli puntò la spada contro –Stai attento a come parli.. Haruka è anche una mia responsabilità..-
-Non è figlia tua..-
-La considero tale- rispose sostenendo lo sguardo di fuoco di mio padre
Rimasi sconcertata dalle sue parole, per una volta mi sentii davvero amata. Volevo solo abbracciarlo e andarmene via da tutto quel casino, volevo solo che finisse. Mio padre voleva solo insegnarmi l’educazione, pensai che volesse picchiarmi o qualcosa del genere, così lo rassicurai.
-Ha ragione papà, maestro.. ho fatto una cosa terribile, vai al villaggio..-
Kisame e Zabuza si scambiarono due sguardi perplessi –Cosa è successo?- chiese
Mio padre fece un cenno con il capo –Vai a vedere tu stesso..- rispose per poi andarsene, trascinandomi con lui
Mentre mi allontanavo salutai Kisame con un sorriso, ma lui non ricambiò. Mi guardò preoccupato, forse consapevole che quello che stava per succedere era qualcosa di grave. Ma come potevo io immaginarlo?
Con tutta quella confusione che avevo in testa non riuscivo neanche a capire le intenzioni di mio padre.
Mi trascinò sopra ad una grossa nave, quelle che trasportano le merci. Parlò con il capitano e gli consegnò un sacchetto pieno di monete. Lo capii dal tintinnio che emetteva. Il capitano mi guardò penoso, come se avesse pietà di me. Mio padre mi condusse all’interno della nave, scendemmo sempre più giù fino ad arrivare ad una stiva adibita al trasporto degli animali. Era stracolma di gabbie incrostate di calcare, l’aria di escrementi e sangue era praticamente irrespirabile e le mosche ronzavano fastidiose in grande quantità.
-Papà cosa ci facciamo qui?- chiesi impaurita
Senza parlare aprì una gabbia e, afferrandomi per la maglietta, mi ci scaraventò dentro. Andai a sbattere sulle sbarre con la testa ma mi rialzai subito e corsi verso mio padre, che intanto aveva già chiuso la gabbia.
Avvolsi le mani intorno alle sbarre incrostate –Papà?- continuai a chiamare cercando di decifrare il suo sguardo
Chiuse a chiave il lucchetto ed io gli appoggiai una mano sulle dita. La scansò subito con uno schiaffo.
-Papà.. fammi uscire..- lo pregai piangendo –E’ colpa mia se è morto Masaki, ma non l’ho buttato io giù..-
-Lo so che non l’hai fatto.. ma è comunque colpa tua.. sono stanco di te, lo sono stato fin dal giorno in cui sei nata, ma ti ho sopportato.. ora però ho raggiunto il limite, non voglio più vederti in faccia e non voglio che tu metta in pericolo un’altra volta tua madre e tuo fratello..- se ne andò così, senza aggiungere altro.
Piansi e urlai. Feci di tutto per uscire ma non funzionò, ero completamente senza forze. Ero talmente disperata che non riuscivo nemmeno a comporre i sigilli con le mani. Urlai il nome di Kisame, mi maledissi per averlo lasciato andare via, per averlo rassicurato. Speravo solo che mi trovasse, poi però la nave ebbe un sussulto. Caddi a terra e mi guardai attorno spaventata. La nave prese a muoversi, lo sentivo. Sentivo il rumore delle onde sulla sua fiancata. Dopo qualche minuto prese ad ondeggiare e capii che stava raggiungendo il largo. Percepivo le urla e i canti dei marinai che lavoravano sul ponte, perfino i versi dei gabbiani che svolazzavano intorno al porto. Capii che quella terra non l’avrei mai più rivista, capii di essere stata abbandonata. Ora non ero più figlia di nessuno e non appartenevo più a nessun luogo. Ero sola.  Rinchiusa in quella stiva puzzolente insieme ad altri animali, mentre le immagini di mio fratello che cadeva nel vuoto affollavano la mia mente. Cominciava un nuovo capitolo della mia vita, un capitolo altrettanto doloroso.

ANGOLO AUTRICE:
Eccomi di nuovo :) Questo capitolo è stato un parto xD Ci ho messo un bel po' per scriverlo, non perchè non avessi una precisa idea in testa, ma piuttosto perchè volevo cercare di esprimere e rendere bene le emozioni che prova Haruka così da suscitarvi tristezza e pena nei suoi confronti.. spero di esserci riuscita e che il capitolo vi sia piaciuto! Almeno è bello lungo :D Nel prossimo capitolo ci sarà la seconda parte del flashback di Haruka, ci sarà poi una terza parte e poi si ritorna nel presente e la storia proseguirà seguendo il filne narrativo del manga :) Alla prossima e grazie a tutti i lettori/ lettrici :D ;D

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Capitolo 3
*** Il bambino della sabbia ***


Non seppi per quanto rimasi distesa in quella gabbia, raggomitolata su me stessa con solo il folto pelo a proteggermi dal freddo. Quando la nave si fermò e il capitano aprì la porta della stiva, la luce inondò il mio viso costringendomi a chiudere gli occhi. Non ero più abituata a tutta quella luce, i miei occhi si erano adattati al buio pesto di quel luogo. Il capitano aprì la mia gabbia e si inginocchiò davanti a me.
-Senti.. tuo padre mi ha detto di portarti il più lontano possibile e di accertarmi che non proverai a ritornare a casa.. l’unica soluzione sarebbe ucciderti, ma non voglio farlo..- mormorò mentre mi stringevo sempre di più nell’angolo della gabbia
-Ora siamo al villaggio della foglia, nel Paese del Fuoco.. voglio lasciarti andare ma devi promettermi che non tornerai mai più..-
Le lacrime presero a scivolare di nuovo lungo le guance. Anche se avessi voluto come potevo tornare indietro? Non ero abbastanza forte per attraversare l’oceano usando l’Arte dell’Acqua e di infiltrarsi clandestinamente in qualche barca non se ne parlava. L’unica cosa che mi rimaneva da fare era andarmene lontano, cercare un altro posto da chiamare casa. Un altro posto a cui appartenere.
Il capitano si scostò appena per farmi passare e mi sorrise, come per incoraggiarmi. Sgattaiolai fuori con la coda tra le gambe e corsi su per le scale, verso il ponte.
-Buona fortuna!- mi urlò mentre me ne andavo
Mi girai verso di lui e lo ringraziai con un cenno del capo, per poi sbucare sul ponte e superarlo a gran velocità, saltando sul molo a cui era approdato.
Marinai e commercianti mi guardavano esterrefatti mentre sfrecciavo tra i moli e le bancarelle e i bambini mi indicavano sorridenti mentre le mamme se li trascinavano dietro, cariche di borse. Mi ricordarono mia madre. La mia guancia pizzicò appena, quando mi ricordai di quello schiaffone che mi aveva rifilato pochi giorni fa. Lei, la mia mamma, la persona che amavo di più e che pensavo mi amasse. Ringhiai di rabbia e continuai a correre fino a raggiungere i limiti di un fitto bosco, che si estendeva per chilometri sparendo all’orizzonte. Sospirai e mi avventurai al suo interno, senza una meta né un obiettivo preciso.
 
Camminai per giorni e giorni, lungo la strada incrociai molto creature, molte persone e anche qualche ninja della foglia che però mi limitai ad evitare mimetizzandomi con la vegetazione circostante. Era un’altra delle abilità che scoprii in quella rigogliosa foresta, oltre alla profonda connessione che avevo con la natura. Non ci avevo mai fatto caso prima, forse perché non ascoltavo. Non sentivo o più semplicemente non capivo. Potevo captare i movimenti di una lepre a centinaia di chilometri di distanza grazie al mio udito, al mio olfatto e alle vibrazioni che il terreno mandava alle mie zampe. Durante la notte scoprii di possedere una vista a infrarossi potentissima, che illuminava a giorno anche i luoghi più oscuri e in qualche modo mi faceva sentire più sicura. Avevo sempre avuto paura del buio.
Finalmente, dopo settimane, il bosco si diradò e davanti a me comparve una praterie d’erba immensa che, all’orizzonte, terminava con una fila frastagliata di bassi rilievi rossicci. In un solo giorno superai la distesa d’erba che sembrava quasi infinita ed arrivai ai piedi dei rilievi rocciosi, colorati dalla luce arancione del sole. Il caldo cominciava a farsi sentire sempre di più e, prima di avventurarmi in quel luogo spoglio e secco, riempii lo stomaco di acqua, bevendo da un ruscello che scorreva vivace tra le rocce. I lupi potevano resistere a lungo senza acqua né cibo, ma quanto ci avrei impiegato a superare quello che sembrava essere un deserto? Ma che mi importava? Aveva poi tanta importanza la mia vita, ora?
Corsi per due giorni interi senza fermarmi, con le zampe che affondavano nella sabbia alzando al mio passaggio una scia di polvere dorata. Il sole batteva feroce sulla mia testa aumentando il mio bisogno di acqua e di riposo, ma io non mi fermavo, continuavo a correre senza un preciso motivo, come se volessi consumarmi lentamente. Non smisi di correre nemmeno quando la stanchezza mi annebbiava gli occhi e stringeva in una morsa dolorosissima i muscoli delle gambe. Davanti a me, infine, comparvero le imponenti mura di quello che sembrava un villaggio. Un villaggio costruito nel bel mezzo di un deserto. Mi fermai e ansimai cercando di inumidire la gola con la poca saliva che avevo in bocca. Mi trascinai in mezzo a dei piccoli cespugli e caddi a terra sfinita, gli occhi mi si chiudevano e non riuscire a comporre dei pensieri razionali. Forse era solo un miraggio quella città o forse no, e in quel luogo avrei potuto cominciare una nuova vita.
 
Riaprii gli occhi a fatica e mi umettai le labbra. La sete fu il primo pensiero, appena sveglia. Era notte fonda, dovetti aver dormito per quasi un giorno interno, eppure i muscoli mi dolevano ancora di più. Rimasi distesa tra i cespugli, incapace di muovermi, e con il freddo pungente della notte che mi trafiggeva il corpo come mille lame.
All’improvviso il rumore di un pianto raggiunse le mie orecchie. Corrugai le sopracciglia e girai la testa di lato. Un bambino sedeva a terra, un pupazzo a forma di orso stretto in un braccio e la testa nascosta tra le ginocchia. M rialzai a fatica e mi avvicinai lentamente, annusando l’aria circostante. Non sembrava pericoloso, era solo un bambino, per di più della mia stessa età. Guaii per attirare la sua attenzione e lui alzò di colpo la testa, guardandomi con le iridi cristalline circondate da profondi segni neri. Si asciugò le lacrime e mi guardò in silenzio, più sorpreso che spaventato. Mi avvicinai ancora un po’ e mi accucciai a terra, inclinando la testa. Lui sorrise appena e allungò la mano verso di me, dopo un attimo di esitazione tesi la testa e le sue dita affondarono nella mia pelliccia color sabbia.
-Ciao lupetto.. almeno tu non hai paura di me..- sussurrò ritraendo la mano
Raddrizzai le orecchie e mi misi seduta, continuando a guardarlo confusa.
-Io… sono un mostro- aggiunse abbassando lo sguardo demoralizzato
Guaii e gli sfiorai i folti capelli rossi. Una strana sensazione mi pervase, l’istinto di protezione mi diceva di stargli vicino, di non abbandonarlo mai più. Anche lui come me era stato abbandonato? O aveva una casa? Quasi sicuramente viveva dentro le mura di quel villaggio, ma perché era così lontano da casa?
-Avrai sete!- esclamò rialzandosi velocemente –Vieni! Fuori dalle mura c’è un pozzo!-
Acqua! Era proprio quello che mi serviva! Gli corsi dietro e arrivammo al pozzo. Con fatica sollevò la corda e tirò fuori il secchio colmo d’acqua, appoggiandolo a terra. Affondai il muso nell’acqua fresca e bevvi a grandi sorsi, spazzando via l’arido nella mia gola. Mi leccai le labbra e mi sedetti di nuovo, mentre il bambino mi guardava soddisfatto.
-Chissà da dove vieni, e se hai un nome..- pensò ad alta voce inginocchiandosi davanti a me
Non me la sentivo di trasformarmi proprio in quel momento, avevo paura di spaventarlo e di farlo scappare via, non volevo che se ne andasse.
-Comunque non ti lascerò qua fuori al freddo.. vieni, andiamo a casa mia..- mi disse con un sorriso
Mi alzai pronta a seguirlo. Un letto su cui dormire non mi sarebbe dispiaciuto e di sicuro non avrei declinato l’offerta. Lo seguii all’interno delle mura del villaggio, superammo le alte costruzioni di pietra dai tetti a cupola e arrivammo ad un elegante palazzo che si ergeva sopra tutti gli altri, in tutta la sua imponenza. Supposi che fosse il palazzo del capo del villaggio, ma sembrava strano che un bambino così piccolo vivesse là. Forse era il figlio del Kage.
-Non dare troppo nell’occhio va bene?- si raccomandò
Entrammo nel palazzo e salimmo per le ampie scale di pietra, percorrendo lunghi corridoi illuminati dalla luna che filtrava dalle finestrelle ritagliate sulle pareti. Aprì una grossa porta di legno e mi fece segno di entrare. Guardai la stanza incuriosita, era molto spaziosa, con un grande letto dalle lenzuola candide addossato ad una parete, sotto una finestra dalla quale si poteva ammirare il cielo stellato.
Qualcuno bussò alla porta ed io mi nascosi sotto il letto impaurita –Gaara? Sei tornato?- domandò la voce di un ragazzo
-Si zio, adesso vado a letto..- rispose lui
-Va bene, buonanotte..-
Gaara si distese davanti a me e ridacchiò –Era solo mia zia, non avere paura..-
Raggiunse il tavolo e mi portò un piatto colmo di carne, appoggiandolo a terra –Questa era la mia cena, non avevo molta fame..-
Annusai la bistecca e mi leccai le labbra, addentandola. Era molto buona e la mangia velocemente ripulendo perfino l’osso. Gaara corse in bagno e tornò con indosso il pigiama per la notte, saltò sopra il letto e si coprì con le coperte fino a sotto il mento.
-Dai salta su! E’ ora di dormire!- mi disse sbattendo una mano sul letto
Non è che avessi proprio sonno ma comunque i miei muscoli erano stanchi ed il corpo scosso da brividi di freddo. Saltai sul letto e mi distesi al suo fianco, appoggiando il muso tra la sua spalla e il collo. Lui mi circondò il corpo con le mani e affondò la testa nella mia pelliccia. Non dormì per tutta la notte, chiudeva gli occhi per qualche minuto poi li riapriva di scatto e si stringeva a me. Rimasi a vegliare su di lui, incapace di trovare una soluzione alla sua insonnia. Fu così anche per le altre notti, era come se qualcosa lo tormentasse, oltretutto gli altri bambini lo odiavano. Più che odio era paura, lo evitavano come se fosse un mostro. Ma più lo guardavo più mi convincevo del contrario. Così piccolo ed indifeso, con i capelli rossi arruffati e gli occhi cristallini sempre lucidi. Ma c’ero io con lui, e l’avrei protetto ad ogni costo.
Fu durante una delle nostre passeggiate nel deserto che decisi di dirgli tutta la verità. Stavamo distesi tra la sabbia, a guardare le stelle come facevamo tutte le notti.
-Il mio unico vero amico fino ad ora sei tu.. e sei un lupo.. riuscirò mai a trovare qualcuno come me, che mi voglia bene?- chiese fissando il cielo
Lo guardai e sorrisi, come potevo non ascoltarlo? Così mi trasformai e continuai a rimanere distesa affianco a lui, con i capelli che si confondevano tra la sabbia. Allungai una mano e gli scostai i capelli rossi dal viso, lui sgranò gli occhi e girò la testa verso di me.
Gli sorrisi e lui scattò a sedere, senza togliermi gli occhi di dosso –Ma tu sei!!-
-Scusa se non te l’ho detto prima..- dissi rialzandomi e abbassando lo sguardo
-Non importa..- sussurrò concedendomi un sorriso –Come ti chiami?-
-Haruka!- risposi sorridendo mentre la luna illuminava i miei occhi blu notte
Gaara inclinò la testa pensoso –Come sei arrivata fin qua?-
Sospirai e frugai nelle tasche, tirandone fuori il copri fronte della Nebbia e porgendoglielo.
-Vieni dal Villaggio della Nebbia? Ma che ci fai qua allora?-
-Ho fatto una cosa terribile e mi hanno cacciata..- spiegai con le lacrime agli occhi
Lui abbassò lo sguardo triste –Così anche te sei un mostro come me..-
-Ma tu non sei un mostro! Sei un bambino normale!-
-No..-
-Perché no?-
Mi guardò con gli occhi pieni di lacrime –Io..-
La voce di sua zia ci interruppe e tornai subito in forma di lupo. Perché non me lo voleva dire? Perché non mi diceva cosa lo tormentava? E perché tutti lo evitavano?
-Ti prego non andare via!- mi supplicò
Scossi la testa –No, non ti preoccupare!- risposi seguendolo alle porte di Suna
Lo zio lo rimproverò ordinandogli di tornare a casa. Lui era l’unico che gli stava vicino, l’unico che forse gli voleva veramente bene.
-Vieni Haruka..- mi chiamò Gaara mentre raggiungevamo il palazzo
-Così le hai trovato un nome..- commentò lo zio sorridendomi
-Si..- tagliò corto Gaara guardando a terra
Una volta arrivati a palazzo raggiungemmo la camera e finalmente potemmo parlare.
-Devi stare attenta.. potrebbero scoprirti e mio padre ti manderebbe via subito..-
Feci spallucce –Sono abituata ad essere cacciata..-
Lui mi abbracciò stretta –Sono contento di averti come amica..-
Gli leccai una guancia bagnata di lacrime –Anch’io-
 
Quei mesi passati al fianco di Gaara mi aiutarono a superare il trauma, non riuscii mai a dimenticare, ma almeno ero riuscita a raggiungere una quasi felicità. Decisi che non me ne sarei mai più andata da quel posto e mai avrei lasciato il mio amico. Ma il destino, come sempre, era a mio sfavore e la mia felicità non era destinata a durare. Tutto successe in una calda sera d’estate, la luna piena splendeva alta nel cielo e illuminava con la sua pallida luce la città di Suna. Noi due, seduti su una piccola terrazza, eravamo intenti ad ammirare il panorama. Appoggiata sulle ginocchia di Gaara mi stavo quasi addormentando, cullata dalle sue leggere carezze sulla pelliccia.
-Oggi ho provato a chiedere scusa a quel bambino.. ma non ha voluto sapere..- mi disse con voce spezzata
Alzai la testa e lo guardai negli occhi –Non è colpa tua.. lui ha esagerato..-
-Anche io.. gli devo aver fatto molto male..-
Scossi la testa e la riappoggiai sulle sue gambe –E’ solo un pappamolle..- borbottai
Gaara sorrise appena ma la sue espressione tornò subito triste –Comunque ha ragione.. sono un mostro..-
Quelle parole mi fecero male, non erano vere. Lui non era un mostro, gli altri erano mostri. Anch’io ero stata ferita dalle persone che amavo ma almeno lui aveva me e suo zio, noi gli volevamo bene.
Un sibilo improvviso mi fece scattare a quattro zampe e un muro di sabbia si alzò dietro le spalle di Gaara. Il suo viso sbiancò e i suoi occhi si riempirono di lacrime.
-Che cosa è successo?- chiesi spaventata
Non rispose. Balzai giù dal muretto e mi guardai attorno. Sul muro di sabbia erano conficcati circa dieci shuriken, li aveva tirati un individuo col volto coperto. Gli ringhiai contro pronta a balzargli addosso e lui mi tirò un altro shuriken che mi colpì di striscio sulla zampa. Guaii e intanto Gaara rispedì tutti gli altri shuriken indietro, colpendo l’uomo. Indietreggiò fino ad incontrare il muro e scivolò a terra, completamente insanguinato. Gaara ed io ci avvicinammo e lui scostò la maschera dal viso per scoprire il viso pallido di suo zio. Indietreggiò incredulo scuotendo la testa mentre io rimasi a guardarlo piena di rabbia e rancore.
-Zio.. perché? Perché??- urlò scoppiando in un pianto disperato
Ringhia contro lo zio, che cercò di colpirmi, ma Gaara lo intrappolò in un cumulo di sabbia. Lo guardai spaventata mentre, con lo sguardo pieno di rabbia, stringeva i pugni, ordinando alla sabbia di muoversi. Questa schiacciò il corpo dello zio per poi farlo ricadere a terra, privo di vita.
Indietreggiai guaendo, cercando di scorgere lo sguardo dolce di Gaara in quello di odio che dipingeva il suo viso.
-Nessuno.. nessuno mi ama..- singhiozzò abbassando la testa
Le sue lacrime gocciolavano a terra e quando rialzò lo sguardo, un incisione sulla sua fronte sanguinava copiosa tra gli occhi. Che cosa si era fatto? Si era scritto “Ai” sul viso.. amore.
Indietreggiai ancora –Gaara?- chiamai
-BASTA!- urlò ancora mentre il suo corpo si tramutava in qualcosa di orribile
Sembrava che un demone si fosse impossessato di lui. I suoi occhi da azzurri divennero gialli e crudeli, sul suo viso comparve una strana corazza marroncina con venature violacee e due grosse orecchie spuntarono da sopra la testa. Il suo corpo si gonfiò sempre di più finchè i vestiti non esplosero e al suo posto si erse una mostruosa creatura con un enorme coda guizzante, ricoperta da grosse scaglie appuntite.
Il terrore mi impediva di muovere un solo muscolo, la voce non usciva e rimasi a guardare. Mi sentii proprio come quando morì Misaki, impotente. Dov’era finito il mio Gaara? Dov’era finito il bambino a cui volevo così bene? Era un mostro, era per questo che tutti lo evitavano al villaggio.
Non potevo abbandonarlo, avevo promesso di restargli affianco per sempre, ed era quello che avrei fatto. Provai ad avanzare lentamente –Gaara! Ci sono ancora io!- urlai
Il mostro abbassò la testa verso di me e spalancò la mascella nera, pronto a inghiottirmi. Balzai via velocemente e provai a colpirlo con l’arte dell’acqua.
I miei proiettili acquatici non gli fecero neanche un graffio ma servirono solo a farlo arrabbiare ancora di più.
-Non è vero che non c’è nessuno che ti ama! Io ti voglio bene!-
La bestia si fermò per un attimo, fissandomi con i minuscoli occhietti ambrati.
Mi avvicinai ancora –Fidati di me..- sussurrai mentre le lacrime mi pizzicavano gli occhi
Con uno scatto impercettibile alzò la zampa e la calò verso di me, squarciandomi il viso con un artiglio. Venni sbalzata giù dalla terrazza e caddi malamente a terra, rompendomi un braccio e qualche costola.
Mi sfiorai il viso con la mano. Lo squarcio partiva dalla tempia e percorreva il lato sinistro del viso, per poi finire sotto la clavicola. Quella cicatrice non scomparve mai, era sempre lì, come se volesse ricordarmi ogni giorno cosa avevo passato.
Non ricordo molto di quello che feci dopo essere stata colpita. La mia mente era annebbiata dalla paura e feci l’unica cosa in cui riuscivo meglio, scappare. Per mesi non avevo fatto altro che scappare. Scappare dal pericolo, dalla paura.. dal dolore. Era l’unica cosa che sapevo fare.
Così, con le ultime forze che mi rimanevano, mi rialzai a fatica e scappai più veloce che potevo. Superai i cancelli di Suna e arrancai tra la sabbia bollente del deserto mentre i ruggiti spaventosi di Gaara mi rimbombavano nella testa, facendomi tremare il petto.
Mi lascia alle spalle quella che pensavo fosse una nuova vita. Ora avevo un altro peso da portare sul cuore, un’altra voragine nello stomaco. Mi chiesi come avrei potuto superare tutto quello che mi stava succedendo. Mentre correvo per il deserto pensai a qualsiasi cosa, mi venne perfino in mente di tornare a casa. Ero disperata, sola ed impaurita.
Per caso arrivai ad uno strapiombo di roccia, mi avvicinai al bordo e mi sporsi. Era altissimo e nel fondo potevo scorgere  la linea azzurrina di un fiume, oltre ad esso si estendeva una foresta di pini verdi smeraldo che si perdeva all’orizzonte. Il sole stava tramontando, donando al paesaggio un’atmosfera silenziosa e malinconica. Piansi le ultime lacrime rimaste, e i singhiozzi che scuotevano il mio petto cessarono.
Cosa potevo fare? Cosa dovevo fare? Non trovai una risposta, non vedevo più niente nel mio futuro. Avevo perso ogni speranza, ogni emozione.. c’era solo il dolore. Un dolore che mi bruciava dentro. Non ce l’avrei mai fatta ad andare avanti, mai.
Così, mi avvicinai lentamente al bordo dello strapiombo e guardai il sole scomparire dietro ai picchi dei pini, privando il paesaggio della sua luce calda e confortevole, che calò nell’ombra. Anche la luce nella mia anima era tramontata per sempre e non sarebbe mai più ritornata.
Chiusi gli occhi e mi feci cadere nel vuoto con le braccia spalancate, pronta ad accogliere la morte.


ANGOLO AUTRICE:
Nuovo capitolo, nuova parte dell'infanzia di Haruka! :D Questo è il penultimo flashback, spero vi sia piaicuto ;) Gaara sarà molto importante nel corso della storia, lo vedremo rispuntare un po' più avanti ma non ancora, prima voglio concentrarmi su Haruka e cercare di definirla psicologicamente al meglio così da farvici anche un po' affezzionare ^.^ Bhe che dire ancora, Grazie a tutti i lettori eeee alla prossimaa :D

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Capitolo 4
*** Pain ***


Quando riaprii gli occhi e la luce del sole mi abbagliò cominciai a piangere. Perché non ero morta? Attorno a me si estendeva il mare, piatto come una tavola, che rifletteva la luce arancione del tramonto.
Avanzavo veloce nell’acqua, eppure non stavo nuotando, qualcosa mi trasportava. Mi alzai sui gomiti e sgranai gli occhi. Ero a cavallo di un enorme squalo blu scuro, con profonde branchi nere e petto bianco. Rimasi immobile cercando una qualsiasi via di fuga, ma invano. C’era solo acqua, tantissima acqua.
Solo dopo qualche secondo capii che lo squalo non poteva essere un semplice animale, era fin troppo intelligente, e poi, quale squalo sulla faccia della terra si sarebbe mai lasciato cavalcare? Nessuno.
Sicuramente era uno squalo comandato da qualche ninja, e come potei non pensare a Kisame. Le lacrime pizzicarono ancora una volta i miei occhi e la speranza rinacque in me. Appena ci avvicinammo alla terra ferma lo riconobbi subito. Se ne stava in piedi su bordo di una scogliera con una nuova spada allacciata dietro la schiena. Lo squalo superò velocemente alcuni scogli e poi si immerse. Strinsi le braccia attorno al suo corpo e chiusi gli occhi mentre il freddo dell’acqua penetrava la mia pelle come tante piccole schegge di ghiaccio. Dopo essersi dato lo slancio con l’enorme coda, lo squalo schizzò in alto e saltò fuori dalla superficie, rimanendo a mezz’aria per qualche secondo, mentre il sole illuminava la sua pelle lucida. Con un colpo mi sbalzò via dal suo dorso e urlai avvolgendomi le braccia intorno alla testa, pronta a cadere. Qualcosa però mi fermò e sentii solo lo scroscio dell’acqua che provocò la ricaduta dello squalo.
Respirai a fondo per qualche secondo, poi riaprii gli occhi continuando a tenermi le braccia attorno alla testa. Una risata che ben conoscevo raggiunse le mie orecchie e girai leggermente la testa.
Ero sopra ad una spada, ricoperta da fasce bianco latte, percorsi con gli occhi la sua lunga lama fino ad arrivare all’impugnatura. Una mano dalle affusolate dita blu la stringeva. I miei occhi si riempirono di lacrime quando capii che lo spadaccino era veramente lui, Kisame. Sembrava diverso però, indossava una strana tunica nera con nuvole rosse e il suo copri fronte era attraversato da un profondo solco, proprio sopra il simbolo del nostro villaggio.
Senza pensarci due volte mi rialzai e corsi lungo la lama della spada per poi spiccare un balzo e buttarmi addosso a lui, circondandogli il collo con le braccia.
Piansi di felicità mentre affondavo il viso nella morbida tunica nera
-Kisame.. Kisame..- continuavo a ripetere scossa dai singhiozzi
Lui rimase immobile e lo sentii solo ridacchiare. Mi afferrò per la maglietta e mi mise giù per guardarmi meglio.
-Guarda un po’ come sei ridotta..- osservò riponendo la lunga spada nel fodero sulla schiena
Mi asciugai le lacrime e singhiozzai –Kisame.. per fortuna che mi hai trovata..-
Si inginocchiò di fronte a me e mi asciugò le lacrime, tirandomi un pugnetto amichevole sulla guancia. Sorrisi e tornai a fissare la sua nuova spada.
-E’ Pelle di Squalo quella?- domandai
-Già.. l’ho presa in prestito dal mio maestro..- disse scoprendo la fila di zanne bianche
-E’ impossibile! Non si separava mai da Pelle di Squalo! Non dirmi che..-
Kisame si schiarisce la gola e mi fa cenno di seguirlo –Forza andiamo.. sembri affamata-
Quando sentii la parola “affamata” dimenticai tutto il resto. Era da giorni che non vedevo un misero pezzo di pane. Deglutii leccandomi le labbra quando pensai ad una bella tavola imbandita e gli corsi dietro, per poi afferrargli una mano e stringerla nella mia.
Lo squalo abbassò lo sguardo e mi osservò accigliato mentre io gli sorrisi a quaranta denti, più felice che mai. Avevo ritrovato la persona a cui volevo più bene al mondo e nessuno mi avrebbe mai separata da lui.
 
Kisame mi osservava mentre trangugiavo il terzo piatto di Sudon, alzai gli occhi verso di lui e sorrisi mentre risucchiavo gli ultimi spaghetti rimasti.
-Dovresti raccontarmi come sei riuscita a sopravvivere..- cominciò appoggiandosi al bancone
Presi una fettina di Tonkatsu con le bacchette e la addentai, assaporandola con gli occhi chiusi
-E tu mi devi raccontare come mi hai trovata..- risposi di rimando
Kisame sospira –Comincia te.. poi ti spiegherò io-
Mi incupii e lasciai le bacchette per un attimo, ranicchiando le mani in grembo
-Quando il papà mi ha abbandonato su quella nave, appena hanno approdato sono riuscita a scappare.. Credo di essere passata per diversi villaggi ma avevo paura e mi limitavo a rubare del cibo finchè non sono arrivata in un villaggio circondato dalla sabbia..-
-Suna..- sussurrò Kisame bevendo del Sake dalla sua tazza –Come mai ti sei fermata là?-
Smisi di mangiare e abbassai subito gli occhi, intimorita dal suo sguardo penetrante
-Bhe.. ho incontrato un bambino che mi ha ospitato in casa sua.. era molto gentile però poi è successa una cosa brutta e lui è diventato un mostro..-
Kisame si accigliò –Un mostro? Spiegati meglio..-
-Era grandissimo e con una lunga coda piena di scaglie, poi aveva degli occhi gialli e malvagi..- scossi la testa cercando di scacciare quei pensieri
-E’ stato lui a farti quel taglio?-
Mi sfiorai il viso e deglutii. Non mi ricordavo nemmeno più di averlo eppure la ferita era ancora aperta.
Annuii e allontanai il piatto di Sudon, incrociando le braccia al petto
-Non ti preoccupare.. dopo te la farò ricucire..- mi rassicurò scostandomi i capelli per controllare meglio il danno
-Tu come mi hai trovato? Non penso sia stato un caso.. perché cercarmi?-
-Tra un po’ capirai.. abbi solo un po’ di pazienza..- disse mentre pagava il ristoratore che ci salutò con un piccolo inchino
 
Camminammo per un po’ nel villaggio dove ci eravamo fermati per poi addentrarci nella foresta lasciandoci alle spalle il rumore delle onde e lo scricchiolio delle navi al porto. Man mano che avanzavamo una strana sensazione mi pervadeva, rigirandomi lo stomaco sotto sopra mentre il mio battito cardiaco aumentava sempre di più. Paura, timore. Era questo che provavo. Guardavo Kisame dal basso e mi domandavo se anche lui mi avrebbe abbandonata. Cosa avrei fatto allora? Avevo bisogno di risposte o l’angoscia mi avrebbe divorata lentamente dall’interno fino a consumarmi. Mi fermai e rimasi a fissare il terreno con le lacrime che pizzicavano gli occhi. Kisame se ne accorse solo dopo qualche secondo e tornò indietro, guardandomi accigliato.
-Bhe? Adesso che hai pulce?-
Incrociai il suo sguardo e per un po’ rimanemmo a fissarci intensamente negli occhi. Quando sentii le lacrime rigarmi le guance presi a parlare.
-Ti prego.. ti prego, promettimi che non te ne andrai anche tu.. che non mi abbandonerai e non mi lascerai da sola..- singhiozzai affondando la testa tra le spalle
Kisame sospirò alzando lo sguardo al cielo per poi inginocchiarsi davanti a me. Mi sorrise arruffandomi i capelli con una mano.
-Sei una ragazzina sveglia-
-Non mi hai ancora risposto però..-
Frugò sotto la tunica all’altezza del collo e si sfilò una collana, sventolandola davanti ai miei occhi. Era molto semplice, un cordino nero a cui era legata una zanna di squalo, bianca come il latte e seghettata su un lato.
-Questa è la zanna del capo degli squali, si chiama Kotei, ed è molto difficile evocarlo.. si può farlo solo con questa zanna ma richiede comunque moltissimo chackra e a volte nemmeno quello basta. Quindi, questa collana è molto importante per me e finchè ce l’avrai tu stai pur sicura che starai sempre al mio fianco, va bene?-
Sorrido e la prendo delicatamente tra le mani per poi mettermela al collo –Grazie Kisame- sussurro
Si rialza e torna a camminare –Forza andiamo.. c’è qualcuno che devi conoscere-
 
Tramite la tecnica dello squalo volante arrivammo molto presto al luogo dove voleva portarmi Kisame. Quella città era più grigia e bagnata del Villaggio della Nebbia. Edifici alti e scuri che sfioravano il cielo nuvoloso dal quale scendeva imperterrita la pioggia battente.
-Dove siamo?- chiesi mentre varcavamo degli imponenti portoni in ferro
-Villaggio della Pioggia- rispose secco Kisame
Mi affrettai a stargli dietro, tirandomi su il cappuccio per ripararmi. La gente che incrociavamo non ci degnava nemmeno di uno sguardo, i loro coprifronte avevano il simbolo della pioggia sbarrato proprio come Kisame. Ma perché?
Arrivammo al centro del villaggio, ai piedi di un’alta statua. Raffigurava una specie di stregone con la bocca aperta e la lingua rossa che spuntava di fuori. Sulla punta di essa una figura dai capelli rossi se ne stava seduta ad osservare tutto il villaggio.
Corrugai le sopracciglia e indicai lo strano individuo –Ma che fa quello?-
-Osserva..- mi rispose una voce sconosciuta
Mi girai di scatto e sgranai gli occhi. Un uomo alto e slanciato, con indosso una lunga tunica nera, in piedi sotto la pioggia. Il suo viso era coperto da una strana maschera da cui poteva guardare solo attraverso un buco. Scorsi il suo occhi rosso fiammeggiare dietro la maschera e rabbrividii. Sharingan. Mio padre me ne aveva parlato molto tempo fa, o meglio, avevo origliato le lezioni private che dava a mio fratello.
-Bene, sei riuscito a trovarla alla fine..- disse indicandomi –Pain vi sta aspettando..-
Strattonai la tunica di Kisame finchè lui non abbassò lo sguardo verso di me –Chi è?-
L’uomo ridacchiò –Mi dovresti conoscere bene ormai! Per anni sono stato il Kage del tuo villaggio!-
Sgranai gli occhi –Non assomigli per niente a quel nanerottolo!-
Rise ancora e si avvicinò a me arruffandomi i capelli –Povera piccola-
Digrignai i denti –Che vuol dire che sei stato il capo del mio villaggio?-
Kisame mi afferrò per una spalla e mi fece indietreggiare –Tramite una tecnica controllava le mosse del Kage..-
Un brivido mi percorse la schiena. Per tutti quegli anni il Kage era stato impossessato da questo qui, che aveva comandato a suo piacimento il mio villaggio e usato gli abitanti come pedine. Mio padre lo stimava così tanto e io.. io lo odiai ancora di più.
-Tu…- sussurrai per poi lanciarmi verso di lui, pronta a tirargli un pugno –Come hai potuto!!!- urlai
Appena lo raggiunsi mi sembrò quasi di colpirlo eppure passai soltanto attraverso il suo corpo ritrovandomi alle sue spalle. Rimasi immobile ad occhi sgranati, incapace di capire come avesse fatto.
Mi girai lentamente e me lo ritrovai a pochi centimetri dal viso. Urlai di paura ed indietreggiai velocemente, cadendo di sedere sul terreno bagnato.
Il suo sguardo rosso mi penetrò gelandomi il sangue e facendomi rabbrividire ogni centimetro del corpo. Lo sentii infine ridacchiare e prese ad arruffarmi di nuovo i capelli.
-Coraggiosa e veloce.. forse un tantino impetuosa però- commentò rialzandosi
Kisame sorrise –Imparerà… ora è meglio andare..-
Corsi dietro a Kisame mentre varcava le porte dell’imponente statua. Gli afferrai la mano mentre continuavo a guardare l’uomo mascherato.
-Ah..- cominciò alzando una mano –Io sono Madara ma puoi chiamarmi Tobi, ci si rivede Haruka..- mi salutò
Corrugai le sopracciglia e mi girai completamente, scuotendo la testa.
-E’ tutta colpa sua..- sussurrai
-Tuo padre rimane comunque un verme.. anche se non ci fosse stato Tobi-
-Ma il nostro villaggio! Ci ha usati!- protestai
-Tutto ti sarà più chiaro dopo che avrai parlato con Pain.. fidati di me-
Mi avvinghiai a lui stringendogli ancora di più la mano –Ok..-
 
L’ultima stanza in cima alla statua aveva una forma a cupola, l’unica apertura da cui penetrava la luce era la bocca, con la lingua che si allungava nel vuoto. Non che entrasse molta luce, l’atmosfera là dentro era abbastanza cupa e fredda. L’unico arredamento che caratterizzava la stanza era un imponente trono in pietra da cui partivano innumerevoli cavi, era nascosto in un angolo buio della stanza e non riuscivo a vederlo interamente. In più, in mezzo, era sistemato un massiccio tavolo in ferro con soltanto una sedia.
-Quindi l’hai trovata..- sussurrò un voce nascosta nel buio
Mi guardai attorno confusa cercando di capire da dove venisse. Kisame si avvicinò al trono e abbassò la testa per qualche secondo in segno di rispetto.
-Si, Haruka Ookami, proveniente dal Villaggio della Nebbia, e portatrice di una delle tecniche speciali più potenti al mondo..-
-Si, ne sono a conoscenza.. sarei proprio curioso di vedere questo suo potere..-
Kisame si girò verso di me e mi fece cenno di avvicinarmi. Due occhi si aprirono nel buio come fari nella notte. Viola e cupi. Seguii la loro luce e mi ritrovai ai piedi del trono, sul quale era seduto un uomo talmente magro da non riuscire nemmeno a muoversi. Era legato allo schienale tramite degli strani cavi, le sue ossa costali spuntavano dalla pelle e i suoi capelli rossi coprivano una parte del suo viso. Sembrava un vecchio di novant’anni ma capii che era molto più giovane. Forse aveva qualche malattia, un po’ provai pena per lui.
-Puoi pure lasciarci soli Kisame, grazie- disse l’uomo
Kisame annuì e mi sorrise come per rassicurarmi. Sapeva che dentro stavo morendo di paura. No, non potevo stare da sola con questa sotto specie di zombie. Mi avrebbe mangiata e in più c’era quel ragazzo seduto sulla lingua della statua che mi metteva una certa angoscia. Non sapevo se guardare davanti a me o guardami le spalle per paura di ritrovarmelo dietro.
Appena Kisame uscì deglutii e rimasi a fissare la punta delle mie scarpe.
-Ti chiederai perché sei qui..- cominciò
-Si.. signore..- cercai di essere il più educata possibile
-Non ti preoccupare ti spiegherò tutto.. però prima, fammi vedere come ti trasformi-
-Va bene..- taglio corto concentrandomi sul mio corpo
Lentamente la mia forma umana si tramutò in quella di lupo. Scossi la folta pelliccia beige e mi sedetti a terra, guardando gli occhi violacei dell’uomo.
Mi parve di scorgere un’espressione sorpresa nel suo viso impassibile e scheletrico.
Un’altra figura comparve dall’oscurità. Una donna. Scattai su quattro zampe e guaii indietreggiando.
-Non credi sia uguale a…- si interruppe fissandomi
La donna mi guardò e annuì impercettibilmente –Si…-
Ci fu un silenzio infinito che mi mise abbastanza in soggezione, poi finalmente riprese a parlare.
-Vai da quello laggiù..- mi disse indicandomi il ragazzo seduto fuori con un cenno del capo
Mi girai per guardarlo e deglutii –Perché?-
-Gli farai vedere di cosa sei capace..-
Lo guardai ancora, titubante –Devo proprio chiamarlo io?-
La donna sorrise appena mentre l’altro annuì semplicemente. Tornai in forma umana e mi avvicinai all’apertura, cercando di fare meno rumore possibile. Il ragazzo non si era spostato da là nemmeno di un millimetro per tutto quel tempo. Salii sopra la lingua e camminai, ripetendomi di non guardare giù per nessun motivo. Arrivata alle spalle del ragazzo gli diedi due colpetti sulla spalla con l’indice. Nessuna risposta. Deglutii e gli passai di fianco guardandolo di profilo. Sgranai gli occhi quando vidi quegli strani aggeggi neri attaccati al viso e alle orecchie.
-Salve..- sussurrai
Niente. Non voleva saperne di ascoltarmi. Forse era una bambola, anzi una marionetta. Magari apparteneva a quell’ossuto là dentro, pensai. Mi spostai sulla punta della lingua e mi ritrovai a faccia a faccia con la presunta marionetta. Aveva gli stessi identici occhi dell’ossuto e solo allora riconobbi che si trattava del Rinnegan. Non ne sapevo niente a proposito ma dicevano che era un’arte oculare molto potente.
-Scusa.. quello lì dentro mi ha chiesto di chiamarti..- dissi
Ancora niente. Quello rimaneva lì impalato. Guardai all’interno della stanza e mi scostai il ciuffo zuppo d’acqua dagli occhi.
-Che cosa devo fare?- urlai cercando di farmi sentire dall’ossuto nel rumore scrosciante della pioggia
Il ragazzo marionetta si alzò di scatto e indietreggiai, barcollando sulla punta della lingua, prossima a cadere nel vuoto. La marionetta però mi afferrò per il cappuccio alzandomi completamente da terra e mi riportò dentro. Mi lasciò ricadere a terra, ai piedi del trono.
Guardai tutti i presenti per poi rialzarmi –E’ una marionetta vero?-
L’ossuto socchiuse gli occhi –No..-
Corrugai le sopracciglia e guardai di nuovo il ragazzo –E allora che cos’è?-
Nessuna risposta.
Deglutii e mi concentrai, cercando una risposta valida. Ma cosa ne potevo sapere io a quell’età? Così ignorante su qualsiasi arte magica, perfino sulle mie.
-Combatti contro di lui, dimostrami tutta la tua forza e poi te lo dirò-
Alzai lo sguardo verso la marionetta dai folti capelli rossi, che mi guardava dall’alto, minaccioso e implacabile. Mi avrebbe fatto a pezzi, ne ero sicura. Conoscevo solo poche tecniche e in più in quella stanza non c’era neanche dell’acqua per usare la mia arte. Forse però la pioggia poteva aiutarmi.
Mi preparai in posizione d’attacco con le mani congiunte, pronta a comporre i sigilli. Il rosso si avventò su di me velocissimo. Corsi per la stanza saltando da un muro all’altro per confonderlo, poi mi attaccai al soffitto concentrando il chakra sulla pianta dei piedi. Un calcio be assestato mi colpì alla schiena e caddi a terra, mordendomi la lingua. Sputai sangue ma mi rialzai subito cercando di non farmi prendere dal panico. Composi una serie di sigilli e mi concentrai chiudendo gli occhi. Dovevo attingere l’acqua dalle numerose pozzanghere che ricoprivano le strade di quel paese. Riuscii a far fluttuare l’acqua in aria fino a farla arrivare dentro la stanza. Sorrisi e mi preparai ad usare la tecnica.
-Tecnica dei Cinque Squali Famelici!- urlai
Le masse d’acqua si trasformarono in cinque squali dai riflessi argentati che si scagliarono a tutta velocità addosso al rosso. Cominciò a schivare ogni loro attacco. Dovevo riuscire a colpirlo almeno una volta e così continuavo a comandare i miei squali e a scagliarli contro l’avversario, non curante dell’enorme quantitativo di chakra che stavo consumando. Infine, esausta, caddi a terra in ginocchio. Il rosso si preparò ad attaccare e corse verso di me ma prima che potesse anche solo sfiorarmi mi trasformai e schivai l’attacco appena in tempo, riuscendo perfino a mordergli una mano. Ricaddi a terra e non riuscii più a rialzarmi.
-Notevole..- commentò l’ossuto
Tornai in forma umana e cercai di rialzarmi –Io.. posso fare di più-
-Basta così.. sei esausta-
Mi sedetti e cercai di riprendere fiato
 –Ora mi può dire chi è lui?- chiesi indicando il rosso
L’ossuto sorrise –Si chiama Yahiko.. e tempo fa era una persona viva-
Sgranai gli occhi e deglutii –Ora.. è morto?-
-Si… ma posso controllare il suo corpo e fargli fare quello che voglio.. e non solo con lui..- lasciò in sospeso la frase –Ma con tutti loro..- continuò
Dall’oscurità allora comparirono altri cinque uomini, tutti con gli stessi strani piercing in faccia e tutti con gli stessi capelli rossi.
Deglutii impaurita –Ma.. chi sarebbero?-
-Loro sono le Sei vie di Pain, i miei poteri divisi nei corpi di persone decedute..-
-Li controlli tramite quei cosi neri vero?-
L’ossuto sorrise ancora –Si…-
-E’ per questo che sei così magro? Hai trasferito i tuoi poteri su di loro..-
-Si..- continuò
Mi girai verso Yahiko e arricciai le labbra –Lui è il tuo preferito vero?-
L’ossuto abbassò lo sguardo –Cosa te lo fa pensare?-
Feci spallucce  –Bho.. lo penso e basta.. Lo conoscevi quando era in vita?-
-Si..- sussurrò
-Dovevi proprio odiarlo se ora lo usi come una marionetta..- osservai
L’ossuto corrugò le sopracciglia –Questa conversazione sta prendendo una piega spiacevole..-
Abbassai lo sguardo –Mi scusi signore..-
-Konan.. consegnale pure la roba..- ordinò
La donna si avvicinò a me e mi porse una veste nera e dei pantaloni grigi ripiegati accuratamente con sopra appoggiati un anello, una fascia e un paio di sandali. Presi gli oggetti fra le mani e li guardai confusa.
-Cosa sono?-
-Le vesti dell’Akatsuki..- disse l’ossuto
-Akatsuki?-
-Si, un’organizzazione che mira a porre fine al dolore, alle ingiustizie e alle guerre che rovinano questo mondo..-
I miei occhi si illuminarono nell’udire quelle parole. Un mondo senza dolore né ingiustizie. Era tutto quello che avevo sempre sognato. Mi sentivo in dover di aiutare questa organizzazione e non ci pensai due volte ad accettare.
-Sarei contenta.. di farne parte- sussurrai
-Ora ne sei un membro ma se vuoi collaborare a questo progetto dovrai allenarti duramente e diventare una ninja esperta, ne saresti in grado?-
Sorrisi più che potevo e annuii convinta –Certo!-
-Bene, comincerai subito. Tutti i membri di Akatsuki sono ninja esperti e con esperienza, ascoltali e impara da loro, saranno tutti tuoi maestri-
-Anche lei?- chiesi
L’ossuto annuì –Certo.. testerò le tue abilità ogni settimana-
-Ma.. dove mi allenerò?-
-In uno dei nostri covi, in una piccola isola molto lontano da qua, nel bel mezzo dell’oceano.. Non ti preoccupare, è un bel posto e non sarai mai sola- mi rassicurò
-Avrò un compagno di squadra?-
-Si, lo conoscerai una volta arrivata sull’isola.. ora puoi andare, ti attende un lungo viaggio-
-Grazie maestro.. ehm..- balbettai
-Puoi chiamarci Pain..- sussurrò per poi richiudere gli occhi violacei 


ANGOLO AUTRICE:
Scusate, scusate, scusate T.T Non aggiorno da millemila anni (cit. LogicamenteJim xD) causa scuola, amici, sport, di tutto insomma D: Sono stata impegnatissima e dovevo studiare tutti i giorni, anche di notte! Risultato? Debito in matematica -.-'' Vabbuò tralasciamo e parliamo del capitolo! Haruka ha il piacere di conoscere Tobi, Pain/ Nagato e Konan, a quanto pare le stanno abbastanza simpatici eccetto Tobi, ma col tempo imparerà ad amarlo dai xD Se avete domande sul capitolo chiedetemi pure senza esitazioni ma spero di aver spiegato tutto per bene :) Nel prossimo capitolo, che aggiornerò presto (si spera), Haruka conoscerà gli altri membri dell'Akatsuki e il suo compagno di squadra, già mi vien da ridere al pensiero xD Grazie a tutti i lettori e grazie a quelli che recensiscono la mia storia :D Spero vi stia piacendo ^.^ BACIONIIIII

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