Come una cicatrice sulla mia pelle

di nisa95_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1 Street dance ***
Capitolo 3: *** 2 Cambiamento ***
Capitolo 4: *** 3 Vulnerabile ***
Capitolo 5: *** 4 Scontro di mostri ***
Capitolo 6: *** 5 Mattinata da incubo ***
Capitolo 7: *** 6 Nella tana del lupo ***
Capitolo 8: *** 7 In cerca di guai ***
Capitolo 9: *** 8 Una luce nelle tenebre ***
Capitolo 10: *** 9 Noi due? ***
Capitolo 11: *** 10 Rush sei un idiota! ***
Capitolo 12: *** 11 Verità svelate ***
Capitolo 13: *** 12 Rivalità ***
Capitolo 14: *** 13 Cioccolato variegato alla vaniglia ***
Capitolo 15: *** 14 Buio ***
Capitolo 16: *** 15 Black out ***
Capitolo 17: *** 16 Memoria ***
Capitolo 18: *** 17 Ti amo ***
Capitolo 19: *** Epilogo ***
Capitolo 20: *** Ringraziamenti ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


La prima volta che incrociai il suo sguardo intenso, fu il primo giorno di scuola alle superiori.

 
I suoi occhi color mercurio brillavano quasi d’argento screziati di varie
 
tonalità di grigio al sole che si affacciava sull’ampia vetrata dell’aula;
 
doveva essere alto quanto me, solo i suoi fiammeggianti ricci facevano da
 
volume in più. Non avevo mai visto un rosso tanto vivido come colore di
 
capelli se non nelle tinte, ma dubitavo fortemente che quei ricci non
 
fossero “veri”…
 
In più, facevano risaltare la sua pelle pallida vivacizzata solo da qualche
 
lentiggine color pesca alla radice del naso che sembrava scolpito per non
 
dire perfetto, come le sue labbra ben delineate e serie.
 
Per non parlare poi dei capi griffati che indossava: un cardigan color
 
indaco spento con sotto una camicetta azzurra e dei jeans bianchi come i
 
suoi denti.
 
Sembrava il ragazzo perfetto, ma un occhiata più attenta mi fece cambiare
 
subito idea; si atteggiava un po’ troppo per i miei gusti come se l’intero
 
 liceo fosse suo, mi ricordava il Malfoi della situazione.
 
Sorrisi debolmente di quella battuta mentale così geniale nei riguardi di
 
quel ragazzo… Chissà come si chiamava?
 
Notò che lo fissavo insistentemente e imbarazzata voltai lo guardo altrove,
 
facendolo vagare fra altri visi che non erano belli come il suo.
 
Per cinque lunghi anni, sarei stata assieme a lui e queste persone
 
assonnate, diventando una classe.
Sembravano tutti annoiati, forse per via della cantilena del professor
 
Coffin che io non stavo ascoltando; una parola per descriverlo: lugubre.
 
Il prof di Storia dell’Arte sembrava un armadio imponente, vestito
 
interamente di nero con un lungo bastane e scarpe lucidate di vernice dello
 
stesso colore, ricordava vagamente un becchino e il fatto che non ridesse
 
mai, non faceva altro che confermare questa ipotesi… Il che metteva i
 
brividi.
 
Fu allora che udii dei risolini provenire dal tipo che stavo fissando prima.
 
Di sottecchi cercando di non farmi notare, intravidi un altro ragazzo con la
 
stessa sicumera, ma in quanto a bellezza non era paragonabile a Rosso Mal
 
Pelo, biondo cenere e più scuro di me di pelle; entrambi mi osservavano,
 
parlottando fra loro e così divorata dalla curiosità, tesi l’orecchio
 
ascoltando ogni loro parola:
 
“Hai visto Rush, in questo istituto fanno entrare proprio tutti… Anche tipe
 
così mal messe. Guardala! Se ne va in giro con dei pantaloncini da uomo e
 
una maglia grigia semplicissima, ma dove pensa di stare? Al mare… E poi,
 
siamo sicuri che sia una ragazza?! Ha un taglio di capelli che uno: è
 
orrendo e due: è troppo corto…”
 
Rush era il nome del tipo dagli occhi dalle tonalità più varie di grigio! Ma stanno sparlando di me?!
 
“Sì ho notato Joel, non ha neanche un accenno di curve se guardi e ti
 
dirò che hai ragione, ragazze così dovrebbero essere cancellate dalla faccia della Terra… Secondo te è roba comprata dai cinesi quello che calza?”
 
Mi irrigidii sbiancando in volto come il professor Coffin, stavano parlando proprio di me…
 
Joel trattenne a stento una risata che il prof miracolosamente non sentì – o semplicemente ignorò – borbottando:
 
“Chissà se i manichini la giudicano… Perfino loro indossano roba
 
migliore”
 
Anche Rush rise sommessamente, concludendo la battuta commentando:
 
“Già… Anche i capelli dei manichini sono meglio di quel groviglio scuro,
 
ma cosa ha usato per tagliarli?! Una scodella…”
 
Era troppo.
 
Volevo piangere dalla rabbia e gridargli in faccia tutto il mio rammarico
 
nei loro confronti; disgustata dai loro commenti cercai di mantenere la
 
calma, anche se ribollivo d’ira.
 
Offesa e mortificata nel profondo, mi girai di scatto nella loro direzione
 
incenerendoli con lo sguardo.
 
Erano solo dei bambini viziati cresciuti in altezza troppo in fretta per una
 
scuola superiore.
 
Li colsi in fragrante mentre sogghignavano ancora e in risposta, alzai il
 
dito medio mimando con le labbra a chiare lettere:
 
“F-I-N-O-C-C-H-I”
 
Joel che fino a quel momento rideva e scherzava con il suo amichetto, divenne incredibilmente serio scostandosi da lui lentamente.
Dovevo averci preso, chissà se Rush lo era? Forse stavano insieme…

Quest’ultimo però, assottigliò lo sguardo serrando la mascella e mimando in una risposta velenosa:

“Che c’è? La verità offende…”

Credeva di essere spiritoso…  la rabbia cresceva sempre più e serrai le mani lungo i fianchi a pugno, sbiancando ancora di più le nocche; indicai con un movimento lieve del mento Joel, sbottando:

“Se parliamo di verità, io ho detto solo quello che ho visto. Non c’è nulla di male nel vedere una coppia felice dell’altra sponda”

I nostri nuovi compagni sparsi in mezzo a noi ci osservavano come se stessero assistendo ad una partita di tennis, le loro facce erano sgomente e divertite.

Lui sembrava solo turbato, irato quanto me, il suo cipiglio confermava la mia teoria.

Poi scoppiò, urlando:

“Ripetilo se hai il coraggio stracciona!”

Coi nervi a fior di pelle gli saltai addosso, letteralmente. Sopra al suo grembo, tempestandogli il volto di schiaffi mentre Rush mi colpiva ripetutamente a pugni sul corpo, cercando in contemporanea di difendersi.

Il prof becchino dovette chiamare in suo soccorso altri colleghi per dividerci, spedendoci dritti dalla preside.

Questo fu il mio primo incontro con Rush Pendragon.

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Capitolo 2
*** 1 Street dance ***


Al ritorno da scuola nella macchina di mia sorella maggiore, piansi a lungo lamentandomi di quel verme per tutto il tempo… Da quando erano periti i nostri genitori in un orrendo incidente d’auto quasi dieci anni fa, l’unica che si occupava di me era Lyla. Sembrava la mia copia fra sei anni: pelle color caramello con gli occhi color cioccolato fondente dello stesso colore della lunga chioma mossa. La fissavo con gli occhi ancora sgorganti di calde lacrime di vergogna, seduta sul lato del passeggero aspettandomi un qualche rimprovero da lei; mia sorella invece, rimase immobile con gli occhi vigili sulla strada dicendomi: “E così ti ha chiamata stracciona e ha definito che tu fossi d’aspetto ambiguo… Ho capito bene?” Scoppiai di nuovo in singhiozzi con la voce alta di un ottava: “Esatto! Quello stronzo si crede chissà chi, non me ne importa se è una parolaccia, lui è proprio questo. Un tipo che ti giudica osservandoti dall’alto in basso e pensa di sapere tutto di te… Non ti sembra un bastardo ipocrita, deficiente menefreghista del cazzo?! A me sì e molto…!” Lyla sorrise lievemente girando a destra, ma ammonendomi severa come una mamma: “Ehi piano con le parole signorinella, non nella mia auto” Per un attimo mi irrigidii, non volevo passare per una volgare. La nostra macchina era una Rosa della Sead bianco panna, alquanto piccola. Ottima da parcheggiare. Quel giorno come magra consolazione a casa, ricevetti solo un cioccolatino per il mio pessimo linguaggio scurrile. Durante il primo anno, ricordo che stare con quel tipo nella stessa stanza, era una cosa impossibile per me. Inoltre Rush cominciò a farmi dispetti pesanti, ho memoria solo di quelli peggiori: mi ritrovai sporca di zuppa di fagioli in pausa pranzo interamente gettata sulla mia testa, almeno era fredda. Poi un pomeriggio intero, rimasi chiusa nell’aula di chimica dove gli animali impagliati del professor Crasy, ti fissavano con occhi vitrei che ti mettevano una fifa blu addosso. Ed infine, un altro orribile gesto che entrò nella mia Top gan di scherzi idioti, fu quando all’ora di ginnastica Rush mi legò come un salame sopra ad un ramo di un albero, imbavagliata senza che potessi chiedere aiuto, sostenuto da quelli del terzo anno… Indimenticabile insomma. Fuori però mi vendicai anch’io, l’unico dispetto degno di nota fu che gli smontai pezzo per pezzo la sua bella BMX da acrobazie. Nascosi ogni cosa in un punto visibile del cortile, ma distanti l’uno dall’altro e mi divertii un sacco a scorgere il ragazzino viziato correre avanti e indietro, recuperando quello che restava della sua bicicletta costosa. Per festeggiare quella vittoria sul nemico, mi concessi una passeggiata in giro per le vie poco conosciute, ad avviarmi per il mio paese. Fin da piccola, mi era sempre piaciuto esplorare nuovi luoghi saziando la mia curiosità vorace, mi faceva sentire in fibrillazione ed eccitata all’idea di qualcosa d’inaspettato o di nuovo. In una serie d’ incroci, di scorciatoie e strade secondarie, venni attirata da una musica a me sconosciuta: era ritmica e sorprendentemente piena di aspettativa, quasi provocatoria da ballare; ne venni attirata come una falena con la luce, giungendo al un vicolo ceco dove notai dei ragazzi di colore che si muovevano a tempo, accerchiati dagli altri che facevano il tifo, sorrisi da un orecchio all’altro pensando che mi ricordava il film Step up 2 solo che dal vero era molto meglio. Ad un tratto, una ragazza con un sacco di pircing sul viso e sulle orecchie mi venne incontro con fare minaccioso, urlandomi: “Ehi tu ragazzino! Non c’è nulla da vedere…” Perché mi scambiavano tutti per un sfottuto maschio?! Incollerita con la tizia dai tratti asiatici, urlai di rimando: “Io non sono un ragazzino! Sono una ragazza e se mi chiami ancora così, ti riempio di pugni” La ragazza dal volto pieno di pircing si ficcò una gomma da masticare in bocca, sogghignando beffarda ed avvicinandosi a me, potei ammirare i suoi lunghi capelli neri raccolti in tante treccine che ad ogni passo, ondeggiavano lungo il suo corpo sinuoso e perfetto: “Ma che caratterino... Scusa non avevo capito che fossi una bimba, comunque questo posto non è per te. Siamo gente di strada noi” Dietro di lei, si aggregò un ragazzo molto più alto di me che aggiunse tutto sicuro si se stesso: “Sentito il capo mocciosa? Smamma da qui, vogliamo divertirci noi e non fare da babysitter a tipe come te…” Aveva un bel fisico per la sua età, i capelli a spazzola scuri con dei vispi occhi castano verdi. Arrossii imbarazzata, ma mi ripresi subito commentando: “Potresti avere sì e no un paio di anni in più di me! Mentre tu asiatica non sembri cosi vecchia. Sono stata attirata qui dalla musica a dire il vero” Lei sorrise amicante nei miei riguardi: “Ah sì? E sentiamo cosa ti suscitano i Madcon con Beggin?” La osservai improvvisamente incuriosita, ricambiando con un vivace sorriso: “Non conoscevo il titolo della musica, mi trasmette un senso di euforia come se non riuscissi a stare ferma…” Bastarono queste parole alla ragazza piena di pircing per dire la frase più epica di tutto l’anno: “Mmm… Brava. Senti ragazzina, visto che mi stai simpatica e tieni testa a questo bisbetico di Fenix, ti andrebbe di far parte della nostra compagnia. Se ti va, ti insegnerò tutti i passi che vorrai, ci serve un membro in più e tu capiti proprio a fagiolo. Approposito io sono Mary” Mi tese la mano con le unghie laccate di fuxia che non esitai a stringere dalla felicità a mia volta: “Artemisia e mi piacerebbe davvero molto imparare a ballare, se non altro mi renderà un po’ più femminile” Udii Fenix borbottare: “Impossibile” E per ripicca, gli tirai un pugno sulla spalla. Fu così che conobbi i miei più grandi amici.

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Capitolo 3
*** 2 Cambiamento ***


Il secondo anno di liceo fu alquanto pesante. Passavo le mie giornate a fare esercizi di ginnastica ritmica e compiti sui libri. Ventiquattro ore non bastavano nell’arco della giornata e dormivo più o meno cinque ore a notte… Il poco tempo libero che avevo lo dedicavo all’estetica; iniziai anche ad adoperare un filo di trucco sugli occhi: mascara e a volte, il sottile contorno a matita rigorosamente bianca che metteva in risalto la pelle bronzea, sotto suggerimento di Mary. Fissandomi allo specchio, capii che dovevo diminuire il mio guardaroba di vestiti maschili e che in effetti, il taglio di capelli che mi ero fatta fare era proprio orrendo, così li lasciai crescere, senza più tagliare un solo ciuffo. Notai anche che ero diventata più alta rispetto all’anno scorso e questo mi piaceva… Anche l’idiota stava crescendo: continuava a tagliarsi i capelli con la stessa identica acconciatura dell’anno passato, ma cominciava già a radersi il viso e spaventosamente impressionante, durante le vacanze estive si era alzato molto più di me, almeno una spanna. L’unica cosa però che non era mutata affatto era il nostro odio reciproco; rammento che per tutto il primo quadrimestre, lo passammo andando avanti e indietro in presidenza, finchè la vicepreside per l’esasperazione, non ci sospese ad entrambi per tre giorni di fila… Un trauma; e tutto per colpa di una stupida gita scolastica. La nostra classe quell’anno, aveva fatto in scienze un approfondimento sull’acqua e la signorina Hold – uno scheletro dalle mille rughe e vestita sempre come una ventenne in carriera – si impuntò al consiglio docenti, di condurre la seconda D giù al fiume… Ci condusse tutti in aperta campagna raccontandoci dei suoi numerosi viaggi da esploratrice alla ricerca: di piante, minerali, fossili, professori importanti o scienziati famosi a cui aveva dedicato l’intera vita. Chissà perché, ma io la immaginavo sempre vestita come Indiana Jhons ed inseguita da sette segrete e quant’altro per salvare il mondo – o in questo caso, la fama del liceo – … Il torrente era limpido e tranquillo, per tutto l’anno la prof di scienze ci aveva preparati a classificare le piante d’acqua dolce con insetti compresi. Ricordo che faceva molto caldo quel giorno e mancava poco alla fine del secondo anno. Mi trovavo sulle sponde del fiume incantata da quel luccichio che la luce faceva riflettendosi sulla liscia superficie. Ero così presa da quel bagliore, che mi ridestai solo quando Rush e due suoi amichetti, mi raggiunsero alle mie spalle, dicendo acido: “Guarda guarda guarda, un rifiuto umano sulle rive del fiume… ” Finsi indifferenza, come se non fosse lì a ridersela coi suoi compari del cazzo… Poi, dopo qualche istante di silenzio, Rush continuò e stavolta, nella sua voce udii una vena d’irritazione: “Cosa c’è, il cesso parlante non apre più la sua boccaccia adesso?” Sentii una spinta sulla schiena che mi sbilanciò pericolosamente nel fango, turbandomi parecchio: “Ehi scemo, lasciami stare che se io sono cessa, tu sei omosessuale…” E gli sorrisi beffarda, con una scintilla di vittoria nello sguardo mentre il suo si assottigliò come una lama, freddo come il ghiaccio: “Non osare chiamarmi così mostriciattola che non sei altro!” Senza che me ne rendessi veramente conto, mi spinse nelle acque gelide del torrente, ma non prima di essere trascinato anche lui con me nella melma viscida, afferrato per un braccio saldamente dalla mia mano. Tornammo a casa entrambi bagnati fradici fino alle ossa, infreddoliti e con una nota di demerito direttamente scritta da quella civetta della preside sul libretto personale. In più, come se tutto questo non fosse stato abbastanza, quel giorno mi arrivò la prima mestruazione e il dolore nel basso ventre, precedette giorni d’inferno passati a bere schifose tisane e a maledire Rush Pendragon.

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Capitolo 4
*** 3 Vulnerabile ***


Durante l’estate dimagrii di quasi undici chili a forza di passare ore ed ore ad allenarmi in spiaggia sotto al sole cocente, ricavandone una favolosa tintarella come quella di Lyla. Inoltre, le mie curve cominciavano anche a farsi notare mentre un delizioso caschetto con tanto di frangetta mi incorniciava il visino ovale; potevamo dire che non somigliavo più ad un maschio. Il terzo anno si concluse con un party megagalattico, esclusivo solo alla sezione della terza D, inclusa me. L’idea era venuta in mente a Lilly – la classica biondina ossigenata – che abitava in un’immensa casa di campagna dove si estendevano prati e campi in fiore… Di quella festa però ho solo un brutto ricordo. Il party si tenne alle otto di sera e optai per qualcosa di semplice: indossai degli shorts di jeans, sandali col tacco bianchi e una camicetta a scacchi rossi e blu; rossetto rosso e un po’ di eyeliner nero sugli occhi. Eravamo tutti sparsi nel rigoglioso giardino dove una musica da discoteca scadente si diffondeva attorno a noi. Fu allora che si udii un rombo di un motore di una moto, spegnersi non molto lontano da me. Non avevo bisogno di sapere chi fosse arrivato, lo sapevo già. Rush in sella alla sua nuova Ducati nera metallizzata. Lo intravidi togliersi il casco sistemandosi il suo codino di ricci rossi, infilandosi i suoi Ray Ban sugli occhi spettacolari e sorridere falsamente alle sue ammiratrici di classe – proprietaria della casa compresa – A volte mi domandavo se non fossi l’unica a non sbavargli addosso… Era davvero un bel ragazzo e l' ho ammettevo, se non avesse avuto un pessimo carattere, ci avrei fatto davvero un pensierino. Rimasi assorta nei miei pensieri scrutandolo attentamente, doveva aver iniziato anche a far palestra perché la giacca di pelle bruna, gli cadeva lungo le braccia toniche, davvero bene. Abbassai il volto, guardandomi le unghie dei piedi laccate di rosso sangue a rimuginare su quello che stavo pensando, quando una voce maschile che conoscevo fin troppo bene, sussurrò al mio orecchio provocandomi dei brividi lungo la spina dorsale: “Come sei adorabile ora, dove hai lasciato i tuoi stracci di stamattina?” Indietreggiai immediatamente di un passo, sbraitandogli in faccia: “Non avvicinarti! Lasciami in pace…” Anche se avevo guadagnato dieci centimetri con le scarpe, lui restava sempre più alto di me e questo mi dava fastidio, perché mi faceva sentire piccola in confronto a uno come Rush. Non riuscivo a scorgere i suoi occhi per via delle lenti scure, ma avrei giurato che era alquanto divertito per il mio tono bellicoso… Comunque non potei confermarlo con assoluta certezza per via di Lilly che urlò da un grosso megafono: “Ehi ragazzi dai gusti pazzi, su radunatevi tutti qua che ci si diverte col gioco della bottiglia...!” Ci voltammo tutti ad osservarla. Gioco della bottiglia?! Che cos’era? Riluttante imitai la classe, sedendoci tutti in cerchio in mezzo al prato mentre la proprietaria di casa, posava un vassoio di legno con sopra una bottiglia vuota di birra in orizzontale, dicendo gioiosa: “Dunque, il gioco è semplice. Uno gira la bottiglia e quando essa si ferma puntando come una bussola verso nord, in direzione di una persona, questa dovrà baciare chi ha girato la bottiglia. Se uno dei due non vorrà baciare l’altro la punizione sarà correre nudo per tutto il mio quartiere… E vale per tutti” I fili d’erba mi davano fastidio alle nude cosce ma era una tortura più che accettabile in confronto a donare il mio primo bacio ad una qualsiasi persona. Volevo morire. Così urlai immediatamente contrastando i bisbigli euforici e preoccupati degli altri partecipanti: “Io non ci voglio giocare!” L’idiota si intromise, borbottando sarcastico: “Benone, tanto nessuno voleva baciarti…” Lo fulminai con lo sguardo, rispondendogli acida: “Peccato che Joel non sia potuto venire, avresti truccato il gioco per poterlo baciare” Lui si tolse gli occhiali digrignando i denti, irascibile: “Ripetilo se hai il coraggio mostriciattola!” Come al solito aveva passato ogni limite e per l’ennesima volta, ci prendemmo a schiaffi e pugni. La voce di Lilly poi, mi arrivò lontana: “Smettetela subito! Questa è la mia festa e non voglio che voi due la roviniate!” Mi distrassi un attimo e accadde l’inevitabile. Ricevetti un pugno dritto in un occhio con estrema violenza e un anello d’argento del ragazzino viziato, mi graffiò sopra allo zigomo. Il dolore pizzicava sulla pelle delicata, facendomi tremare convulsamente mentre lacrimavo. Le piccole gocce calde bruciavano nel punto in cui ero stata colpita. Serrai gli occhi gemendo dal dolore, faceva troppo male; mi sentii ferita non solo fisicamente, ma anche nel profondo del mio orgoglio. C’era attorno a me un assordante silenzio di stupore e sentivo chiaramente il corpo di Rush ancora difronte a me. Immobile e non avevo il coraggio di alzare lo sguardo sul suo viso. Non avevo mai pianto davanti a qualcuno in tre anni e alla vista del sangue sulle mie dita tremanti, scappai via…

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Capitolo 5
*** 4 Scontro di mostri ***


Per tre mesi estivi il grosso livido prese diverse sfumature di rosso, viola e nero carne. Non mi curavo di coprirlo con cipria o correttore; doveva essere un ammonimento nei miei confronti a stare sempre vigile e attenta… Quando riprese la scuola e venni promossa l’anno scorso, di quella botta era rimasta solo una sottile cicatrice pallida e si notava appena. Ovviamente Rosso Mal Pelo non mi chiese scusa. Stranamente si era fatto qualche pircing: uno sulla lingua e più di uno sulle orecchie. Aveva cambiato di nuovo taglio di capelli, li teneva col gel buttati sulla fronte dandomi l’idea di un tenebroso ragazzo dagli occhi grigi… Ok, più cresceva più diventava sexy. Diventò anche più taciturno degli altri anni e per quanto le ragazze gli morissero dietro, nessuno sapeva nulla della sua vita sessuale… Non che mi interessasse ovviamente. Per tutto il primo quadrimestre, non ci degnammo di uno sguardo a vicenda e sinceramente fu meglio per tutti, ma la nostra piccola tregua durò poco… All’ora di motoria indossavamo: pantaloncini neri e maglietta bianca per fare palestra, la prof Strange organizzò due gruppi formate da otto elementi per sfidarsi a palla guerra. Rush era uno dei miei avversari e il suo sguardo minaccioso era inchiodato al mio, voleva il conflitto. Le lo leggevo in faccia… E l’avrei accontentato. Senza abbassare gli occhi sul pavimento lucido dell’edificio, legai i miei capelli lisci in una coda scompigliata e facendo un bel respiro, gli lanciai un avvertimento: “Pendragon braccherò solo te” Lui per tutta risposta ghignò famelico come un lupo all’agnello, rispondendomi calmo e risoluto con un luccichio sinistro nello sguardo: “La cosa è reciproca mostriciattola” Dopo quattro anni cominciavo a detestare quel soprannome. La professoressa fischiò per annunciare l’inizio del gioco lanciando una palla gialla in mezzo ai due campi. Rush e Joel fecero lavoro di squadra acchiappandola, avendo la meglio su di noi. Corsi più veloce che potei dalla parte opposta, in cui per poco non venni colpita per mano sua; fortunatamente non prese nessuno, ma la cannonata che aveva tirato mi fece prudere le mani dall’ irritazione. Voleva farmi deliberatamente del male quel bastardo… Così presi al volo la palla da un mio compagno e mentre lui saltellava da un capo all’altro, cercai di colpirlo più volte riuscendoci appieno, anche se Rush si liberava sempre troppo presto… Risultato, la partita finì con un pareggio per mancanza di tempo. Alla fine sul campo eravamo rimasti solo lui ed io, ma il fastidio che provai fu come aver perso… Qualche giorno dopo, conobbi July la fidanzata del mio migliore amico Fenix, una ragazzina bionda con gli occhi chiari e tutta pepe. La migliore in assoluto a tirarti su il morale; Mary invece fu un tesoro a farmi i buchi alle orecchie, più due pircing sopra al lobo, regalandomi dei piccoli cerchietti metallici. In più cominciarono a propormi di fare dei “confronti” di tecnica con altri ballerini di strada, organizzando delle gare improvvise per vedere chi fosse il miglior gruppo di tutta la città; fu emozionante confrontarsi con altre tipe e conoscere ragazzi nuovi che ti fissavano come se fossi stata l’ultima costoletta di manzo sulla tavola, ma io non volevo una storia d’amore. Ero troppo presa a migliorare me stessa col mio stile di Breake dance…

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Capitolo 6
*** 5 Mattinata da incubo ***


Ora: Ticchettavo con la penna nera sul banco mentre pensavo al passato. Il rumore si unì alla voce dell’insegnante e a quello dell’orologio sopra alla lavagna. Erano passati cinque anni ed ero quasi un estranea come il primo giorno; mi guardai attorno riconoscendo ogni faccia attenta alla prof di matematica, la signora Black, una donna sui quarant’anni con un occhio di vetro opaco e lunghi capelli corvini. Fissai la mia immagine riflessa sulla finestra dell’aula che ci aveva accolti quella prima mattina. Ne avevo fatta di strada d’allora… Rimasi assorta nell’osservare i miei lunghi e lisci capelli scuri che al sole assumevano dei riflessi dorati, gli occhi dalle folte ciglia dello stesso colore marrone, la solita pelle color caramello con il nasino all’insù e le labbra dalla forma particolare ereditata dalla mamma: il labbro superiore molto fine mentre più carnoso quello inferiore. Lyla mi ripeteva sempre che più crescevo più somigliavo fin troppo a nostra madre, ma il carattere fortunatamente era quello ribelle di papà. Sorrisi ai dolci ricordi che invasero la mia mente e senza rendermene conto, voltai lo sguardo assorto su Rush. Quest’anno portava un taglio rasato da un lato con un lungo ciuffo riccioluto dall’altro. Indossava una camicia senza maniche giallo canarino che metteva in risalto il corpo asciutto e tonico, jeans consumati e anfibi nuovi di zecca. Già al quarto anno i tratti del suo viso erano meno dolci di quando era poco più di un bambino, ma la faccia d’angelo non era sparita, l’aveva caratterizzata solo da un nuovo pircing al sopracciglio opposto ai fiammeggianti ricci rossi, brillando come gli altri sul suo orecchio scoperto; era sempre il più bel ragazzo che io avessi mai visto… Notai che era pensieroso e cupo, fissando la prof senza davvero vederla, passandosi una mano piena d’anelli metallici incurantemente tra i boccoli dall’aspetto davvero morbido. Distolsi in fretta l’attenzione su di lui con le guance che mi andavano a fuoco, non volevo farmi beccare dagli altri a contemplare la sua bellezza come tutte le altre oche giulive del liceo. La voce dell’insegnante divenne più attenta e solenne, segno inequivocabile che stava per assegnarci qualcosa d’importante: “Come ben sapete tutti e come vi ripeto dall’inizio dell’anno, l’esame è ormai vicino e voglio che voi diate il massimo… Anzi, pretendo l’eccellenza da questa classe. Per cui come ultimo compito, vorrei una ricerca dettagliata dei matematici che hanno fatto la storia dei numeri. Lo so è faticoso, ragion per cui vi farò lavorare a coppie, ma l’estrazione ovviamente la farò solo io…” La prof Black – minuta come una bambina dell’elementari – passeggiava per l’aula con le mani conserte dietro alla sua ampia e lunga gonna nera; a volte pensavo che lei ed il prof becchino sarebbero stati la coppia dark perfetta… Mettevano entrambi i brividi. Poi si diresse alla cattedra estraendo i numeri dell’elenco dell’appello scolastico. Eravamo in sedici, per cui saremmo stati otto coppie di studio: “Sedici con… Tre, prima coppia di lavoro Lia con Joel. Dodici con… Tredici, seconda coppia di lavoro Kat con Scarlett. Otto con…” Drizzai la testa che era appoggiata incurantemente sulle braccia, ero io la numero otto. La prof di matematica appena lesse il numero dopo il mio, esitò un attimo: “Otto con… Quindici. Artemisia con Rush…” Il sangue che si era accumulato sulla mia faccia qualche minuto prima, lo sentii defluire dal mio volto. Cosa?! Era uno scherzo?! Una stupida presa per il culo…?! Stavo per oppormi quando lui lo fece per prima: “Non esiste prof! Mi metta con qualcun altro, ma non con lei…” Impercettibilmente sentii una leggera fitta di risentimento nei suoi confronti, ma la cancellai subito supportando la sua lamentela: “A ragione prof, anch’io non voglio fare coppia con uno così” Rush mi fulminò con lo sguardo sibilando: “Così come?!” Gli scoccai uno sguardo seccato, scandendo bene le parole come se stessi parlando ad un bimbo capriccioso: “Irritante…” Lui assunse una smorfia di profondo sgomento, girandosi col busto intero in direzione del mio posto: “Ah. Quindi sarei io quello irritante e non tu, mostriciattola” L’insegnante urlò diventando rossa in viso: “Ora basta! Voi due farete la ricerca insieme se non vorrete prendere NC nel compito. Punto, proseguiamo e guai chi si lamenta ancora, chiaro?!” Volevo sprofondare nel pavimento e non uscire mai più, ma il rumore agghiacciante di un tuono mi fece sobbalzare sul posto… Alla fine delle lezioni, il diluvio universale ci colse come una doccia fredda; pioveva addirotto, ma me l’aspettavo fortunatamente. Munita di ombrello iniziai ad avviarmi verso casa quando scorsi quel ragazzino viziato un paio di metri davanti a me bagnato fradicio come un pulcino e un po’ lo ammetto, mi dispiacque….

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Capitolo 7
*** 6 Nella tana del lupo ***


Il giorno seguente Malfoi versione chioma fiammeggiante, non si presentò a scuola e in seguito, venni a sapere dal suo migliore amico gay che si era preso una bella influenza. Cavolo! Questo significava che dovevo andarlo a trovare per fare quella dannata ricerca… La casa Pendragon era una magnifica villa bianca a due piani – uno non bastava? – con tanto di piscina in giardino. La sua “umile” dimora, trasudava lusso da tutti i pori: a partire dall’entrata rifinita da due gigantesche colonne decorative; a quanto pare i suoi genitori avevano una passione per l’antica Grecia. All’improvviso dal retro dell’angolo, sbucò un grosso omone di mezza età con in mano delle cesoie ancora sporche di terra e foglie; entrambi ci scambiammo degli sguardi interdetti, finchè il giardiniere non mi rivolse la parola un po’ intimorito: “Ehm… Salve, cosa posso fare per lei bella signorina?” Sorrisi timidamente per quel complimento che mi era sconosciuto: “Salve sto cercando Rush Pendragon, dobbiamo assolutamente fare un gruppo di studio assieme…” Il grosso omone si grattò la zucca protetta da un capellino blu, dicendomi esitante: “Non so se posso farla entrare, veda il signorino è rinchiuso in camera sua dall’alba e i suoi genitori sono fuori città…” Per poco non scoppiai a ridere in faccia a quell’uomo tanto gentile; l’idea che quell’idiota fosse un signore era esilarante. Cercai di ricompormi, rispondendo: “Scusi, ma per me… e al signorino, è una questione molto importante…” Poi feci il mio faccino imbronciato che conquistava perfino Fenix che era duro di cuore. Il giardiniere dopo un attenta osservazione sospirò frustrato, arrendendosi ai miei occhioni da cucciolo: “E va bene, entri pure bella signorina. Chissà che lei lo distragga un po’ dall’inferno che sta passando…” Corrucciai lo sguardo, bloccandomi per un attimo: “In che senso scusi?” L’omone gigante scosse la testa come per cancellare quello che aveva detto: “Nulla bella signorina venga, entri per il garage. L’entrata principale è appena stata imbiancata…” Il vestibolo dell’ingresso sembrava alto almeno di tre piani. La balconata di marmo terminava ai lati su una scala di legno verniciata, che portava al piano di sopra. A sinistra c’era un’immensa sala da pranzo sulla quale incombeva un enorme lampadario di lacrime cristalline e un tavolo di mogano, rotondo con attorno sei sedie dello stesso stile. Sulla destra, c’era il salone grande almeno come tutte le mie stanze dell’appartamento dove abitavo e decorata con uno stile ipermoderno. Deglutendo rumorosamente, salii lentamente per la lunga gradinata legnosa e incuriosita, sbirciai in tutte le porte chiuse per il corridoio più lungo della pista di un aeroporto internazionale, fino ad arrivare all’ultima stanza chiusa. Bussai delicatamente, un po’ incerta sul dafarsi, aspettai minuti interminabili, senza ricevere una risposta. Girai lentamente la maniglia e aprii la porta, entrando di soppiatto, cercando di non farmi sentire. La luce delle vetrate del corridoio, invase la camera da letto ariosa e le sue spesse tende blu, erano chiuse. Il signorino doveva avere un arredatore personale, la sua stanza non avrebbe sfigurato sulla copertina della Rivista della stanza più bella. Accanto alle tende, su una scrivania modulare grigia, c’era il gigantesco schermo piatto del computer grande almeno come la mia tv nel salotto. Su un lato della stanza c’era un divano-futon bianco, una custodia di una chitarra elettrica e una libreria a muro, piena di libri, giochi per PC e ottimi CD. Ultimo e più agghiacciante, il letto a due piazze nero con la testiera a forma del suo nome. Quasi ebbi un conato di vomito. Da sotto il piumone, vedevo spuntare i famosi ricci rossi all’inverosimile di Rush. Avrei tanto voluto rimboccagli le lenzuola sotto al materasso per intrappolarlo o mettergli una mano nell’acqua tiepida; invece mi misi a curiosare, passeggiando per la camera spaziosa. Aprii due ante di un enorme armadio candido che si dimostrò essere una piccola stanza piena di roba griffata da vestire, con difronte uno specchio grande come tutta la parete… Non avevo parole. Poi lo sentii muoversi sotto le coperte, scoprendosi il busto. Saltellai fino al letto in punta di piedi. Wow, era senza maglietta… Aveva un bel torace sviluppato, girovita stretto e al posto della pancia piatta, addominali marcati sbucavano dal lenzuolo facendomi ciao. Il volto era rilassato, sembrava un angelo più pallido del solito. Improvvisamente la luce del sole che filtrava nel buio della stanza si fece più intensa, colpendolo in pieno viso e per lo spavento della sua espressione corrucciata, mi accovacciai ai piedi del letto. Ascoltai la sua voce assonnata: “Che succede?” Mi appiattii per terra, cercando di non respirare; ma mi sentii subito dopo un imbecille. Perché mi sono nascosta?! “Bob… Sei tu?” Il nome doveva essere del giardiniere… Non avevo via di fuga, dovevo passare al piano B. “Ciao Pendragon!” dissi saltando su. Spaventato, il ragazzino viziano si lasciò scappare un urletto maldestro, tirandosi a sedere e coprendosi con il piumone: “E tu che cazzo ci fai qui?” Tentai di articolare una frase di senso compiuto con voce incerta e guardandomi attorno, in cerca di un qualche appiglio: “Sono solo…” Lui continuava scrutarmi attentamente, lasciando perdere le mie scuse, domandandomi: “E come sei entrata?” Sorrisi diabolica, mentre mi sistemavo una ciocca sciolta dietro l’orecchio coi pircing, sfottendolo: “La tua tata mi ha fatto entrare, non mi sorprende che tu ne abbia ancora una…” Rush ignorò la mia ottima battuta passandosi una mano fra i boccoli aggrovigliati. Anche così era sexy… Incuriosito, mi rifece la stessa domanda di prima: “Cosa ci fai nella mia stanza?” Posai la borsa hippy per terra, tirando fuori il diario: “Dobbiamo fare la ricerca… Ricordi…?” Lui mi osservò per un tempo che mi sembrò infinito, fino a dirmi: “Ora?” Io assentii col capo e Rush sbottò: “Ma sei fuori di testa?!” Toccò a me ignorare quel commento pessimo, continuando con fare altezzoso: “Non abbiamo molto tempo, molti dei nostri compagni hanno già iniziato da ieri. Non è colpa mia se ti sei ammalato perché non ti sei portato dietro l’ombrello signorino” Sottolineai quella parola dirigendomi dalle tende per scostarle bruscamente. Lui si coprì gli occhi screziati d’argento col braccio ben definito, urlandomi: “Smettila!” Per la seconda volta lo ignorai del tutto, finchè la stanza non fu pienamente illuminata. Mi ordinò, fessurando le palpebre frustrato: “Esci da qui mostriciattola!” Dopo di che, si alzò scoprendo che indossava dolo dei pantaloni lunghi del pigiama e col volto contratto dalla rabbia, disse: “Vattene subito” Non mi schiodai di un millimetro, dicendogli acida: “No fino a quando non ti siedi col culo sulla sedia e finiamo questa cazzo di ricerca!” Il ragazzino viziato allora fece una faccia da schiaffi, riprendendo un tono accondiscendente: “Bene allora, puoi fare tutte le scenate che vuoi ma io sai che farò? Ritornerò nel mio letto caldo caldo a dormire e tu non potrai fare nulla per impedirlo, altrimenti ti sbatto fuori”

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Capitolo 8
*** 7 In cerca di guai ***


Scappai letteralmente fuori da quella stanza con il sangue che mi ribolliva nelle vene, scendendo di corsa le scale e precipitandomi in strada, mi scontrai con il pancione di Bob, l’omone gigante non che giardiniere: “Ehi piano, va con calma altrimenti inciamperai sulle tue stesse gambe” Il tono era giocoso, ma io ero troppo nervosa per scherzarci su, dovevo averlo scritto in faccia perché poi l’omone gigante assunse un espressione preoccupata nei miei confronti: “Tutto bene bella signorina?” Ero furiosa di rabbia con gli occhi lucidi per il mio orgoglio ferito e un forte istinto omicida nei riguardi di quell’idiota; non mi ero mai trattenuta prima d’ora nel picchiarlo… Quasi quasi tornavo dentro per sfogare su Rush, non m’importava se era malato. Con voce roca dissi: “No, non va bene. Non riesco a sopportarlo, è solo un arrogante ragazzino viziato che pensa di avere il mondo ai suoi piedi!” Il giardiniere sospirò rumorosamente, cercando di sorridermi gentile: “Non siate così dura con quel povero ragazzo…” Lo fissai con gli occhi sbarrati, sbalordita dalle sue parole: “Stai scherzando vero… Hai visto dove vive? Tutto questo è meglio di un albergo a cinque stelle!” Lui rise sguaiatamente, ma gli occhi rimanevano tristi, quasi spenti: “Vedete bella signorina, alcune persone quando subiscono un brutto trauma da bambini cambiano. E magari anche in peggio. Il signorino non ha avuto un infanzia felice… I risultati si possono notare ancora oggi” Stavolta fu il mio turno di ridere esageratamente, ma Bob mi interruppe bruscamente: “Lo so, può sembrare assurdo pensando a come vive, ma Rush non è un cattivo ragazzo, fa così solo per proteggersi. Da bambino è stato abusato da una coppia d’amici dei genitori, per tanto tempo… Non se la passa tanto bene ora” A quella frase, rimasi di sale e nella mia mente, immagini di un bambino spaventato dai ricci ramati, mi fece salire la bile alla bocca… Non riuscivo a parlare e adesso mi sentivo una perfetta idiota. Una goccia solitaria e silenziosa, mi cadde lungo la guancia mentre giravo la testa in direzione dell’unica finestra con le tendine di nuovo chiuse. Nei giorni seguenti, la ricerca la feci da sola e misi anche il suo nome dentro. Non andai più a disturbarlo. Per cui non vidi Rush fino alla settimana dopo… Sembrava rilassato e tranquillo come se quello che avevo sentito su di lui, fosse falso. Dovevo capire meglio, anche se non erano affari miei. Così alla ricreazione mentre rideva e scherzava con Joel, mi avvicinai al suo banco: “Ti devo parlare… In privato” Rush mi scoccò un occhiata incurante, dicendomi con un gesto pigro della mano: “Io invece non ho nulla da dirti per cui vattene, mi disturbi” Continuai a fissarlo compatendolo e vellutando la voce dissi: “So tutto Rush… Bob mi ha raccontato ieri la tua storia da bambino” Lo vidi bloccarsi sulla sedia con una espressione indecifrabile sul viso. Joel intanto ci osservava stranito, chiedendoci: “A cosa si riferisce Rush?” Lo vidi indurire la mascella e senza rispondere al suo amico, mi afferrò per il polso trascinandomi fuori in maresana. Mi spinse contro la quercia secolare del cortile dove in giro, non c’era anima viva… Mi guardava spiritato col ciuffo che oscillava lievemente in preda al fresco venticello. La sua voce era un sibilo appena udibile tanto era in collera: “Che cosa intendi esattamente?” Era più che irato. Atterrita, deglutii col cuore in gola: “Da bambino non hai avuto vita facile… Quella coppia non avrebbe dovuto farti del male. Mi dispiace io so…” Nei suoi occhi scattò qualcosa di orrendo e con scatto felino, tirò un pugno micidiale accanto al mio volto, colpendo il tronco e scheggiando il legno: “Non osare dire che ti dispiace o che sai quello che provo! Tu non sai nulla di cosa sia il dolore di essere soli! Di non avere una madre e un padre presenti. Non sai nulla tu di quello che ho passato io. Guai a te se lo dirai a qualcuno mostricciattola!” Ad ogni parola, il mio cuore subiva un duro colpo, come se lo stesse prendendo a pugni. I miei occhi si riempirono di lucide lacrime, ma non proferii parola; in fondo che ne sapevo io, giusto? E invece ne sapevo più di lui nel restare soli. Profondamente offesa e colpita per la terza volta nell’ orgoglio bucherellato sempre dalla stessa persona, lo spinsi via e gli tirai un ceffone così forte da lasciargli l’impronta dell’intera mano sullo zigomo come nei cartoni animati. “Non dire mai più una cosa simile sui tuoi genitori…” Non riuscì ad aggiungere altro perché la voce mi si spezzò in due e lacrime copiose tornarono ad irrigarmi il volto. Senza aggiungere ne togliere una parola, corsi via dall’edificio scolastico rifugiandomi al cimitero di paese.

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Capitolo 9
*** 8 Una luce nelle tenebre ***


Non volevo andare a scuola, non volevo rivederlo. Bruciai per tre giorni di fila, andando a trovare Fenix e July che intanto, mi insegnavano ad andare in scatboard e disegnare murales sui muri, con le bombolette sprai… Successe in un pomeriggio di Mercoledì: stavo tornando a casa mentre mi raccoglievo i capelli in una coda alta, quando accanto al portone del mio palazzo, scorsi l’idiota coi suoi soliti Ray Ban sugli occhi, vestito con una camicia blu abbastanza scollata e jeans strappati a vita bassa. Era bello da paura, ma io ce l’avevo a morte con lui… Come sempre del resto. Notai che tentennò con la testa nella mia direzione; ed io da brava boy scaut, feci retro marcia ritornando sui miei passi, ma non andai molto lontano che la sua voce mi raggiunse: “Resterò qui tutti i giorni se necessario! Ti devo parlare…” Mi voltai di scatto, incenerendolo con lo sguardo mentre lui si faceva piccolo piccolo. Ah. Ora dovevamo parlare brutto stronzo… Rush mi raggiunse, abbassando molto il tono di voce: “C’è un posto dove possiamo parlare senza essere ascoltati da orecchie indiscrete?” Osservandolo riluttante, gli feci cenno di seguirmi, conducendolo in un parco giochi per i bambini del quartiere, menomale che quel giorno, non era affollato. Ci sedemmo su una panchina gialla lì accanto, lui ad un’estremità ed io altra, senza dire nulla. Con la coda dell’occhio, sbirciai il suo profilo a dir poco perfetto; aveva l’ombra di un sorriso sul viso, ma non riuscivo a scorgere i suoi occhi. Che cosa vuole ora da me?! E perché sorride se ieri voleva ammazzarmi…?! “Questi bimbi si divertono davvero con poco, non hanno alcun tipo di preoccupazione…” A quelle parole che mi suonarono un po’ malinconiche, il mio cuore perse un battito, avrei voluto anch’io delle lenti scure con cui nascondermi, ma mi limitai ad abbassare lo sguardo afflitta. A colmare il silenzio che ci divideva, c’erano solo i gridolini di gioia dei bambini che giocavano lontano. Ad un certo punto, una bimba castana corse nella nostra direzione, inciampando nell’erba ed inseguita da un suo coetaneo dagli occhi chiari, che le urlò giocondo: “Ora non scappi più piccolo mostro!” La bambina tutta intimorita, disse col suo tono acuto: “Fatti sotto brutto prepotente!” E iniziarono ad inseguirsi a vicenda. Erano davvero buffi e mi scappò una risata sincera che si spense subito nel sentire… Un complimento fatto da Rush… “Che bel suono. Dovresti ridere più spesso, mi piace molto. Hai visto che sembravano noi due. Incredibile non siamo più maturi di due bambini dell’elementari… Assurdo non credi?” Dopo qualche secondo imbarazzante di silenzio opprimente, lo vidi alzarsi per poi risedersi accanto a me, a pochi centimetri di distanza. Anche se era un po’ rigido… Chissà cosa gli avevano fatto per ridurlo così… Mi sentivo male al solo pensiero. Lo fissai incuriosita per quello che mi sembrò un secondo, ma poi distogliendo gli occhi da lui, vidi chiaramente che il sole ormai era tramontato e che i bimbi erano spariti. Divenni bordeaux in volto mentre udivo chiaramente che cercava di trattenersi dal ridere, riuscendoci a malapena… Imbronciata gli dissi: “Non ridere di me Rush!” E scoppiò in una risata fragorosa, di quelle quasi liberatorie e quel suono al contempo, mi sembrò così triste. Mi si sciolse il cuore nel vederlo così. Ora capivo un po’ di più di quel superficiale ragazzino viziato che in realtà, nascondeva un bambino traumatizzato da una serie di eventi che per me, erano ancora sconosciuti… Questo era lui. Cercai di trovare le parole adatte, facendo una cernita accurata del mio vocabolario: “Io… Ecco, non avrei dovuto domandarti nulla. Scusami. Sappi che non dirò niente a nessuno e…” Rush scosse la testa come se avessi sbagliato risposta, interrompendomi: “Scusami tu, io… Sono stato indelicato e… Oggi volevo presentarmi a casa tua per fartela pagare l’ ho ammetto, ma poi tua sorella mi ha aperto la porta e tra una chicchera e l’altra… Diciamo che… Al diavolo! Perché non mi hai detto che sei orfana da quasi undici anni, santo cielo?! Mi sono sentito un vero coglione…” Sorrisi debolmente all’orizzonte ormai roseo: “Anch’io mi sono sentita così quando il tuo giardiniere mi ha detto che eri stato abusato da piccolo…” Lui aggiunse: “Anche picchiato e preso a parole da una mostriciattola, ma questo non conta giusto?” Risi di nuovo cristallina, scherzando col suo stesso tono: “Che battuta del secolo Malfoi…” Rush si tolse gli occhiali, sorpreso ma felice: “Malfoi?! Davvero mi paragoni ad uno così…” Continuai a ridere: “Preferivi Ron forse? Siete entrambi rossi” Lui a quel punto disse qualcosa che mi spiazzò: “Vero, ma tu sei molto più bella di Hermione” Mi soffermai a fissarlo intensamente, smettendo di ridere e perdendomi in quei suoi occhi argentei mentre lui si perde nei miei; finchè non iniziò a parlare senza mai staccare lo sguardo dal mio: “Era estate e avevo cinque anni. Mio padre era fuori a fare la grigliata mentre mamma discuteva animatamente con le sue amiche di shopping. Io ero sul retro, a giocare da solo quando una donna bionda, mi sorprende con un sorriso che mi sembrava sincero… Diceva di voler giocare con me ed io come uno stupido ci sono cascato. Mi ha condotto dietro ad un albero e…” La sua voce si fermò e scrutandolo attentamente, notai che tratteneva a stento le lacrime. Così gli tolsi le lenti scure da mano e con molta delicatezza, gli coprii lo sguardo annebbiato, bisbigliandogli: “Non voglio vederti piangere, mi distruggeresti un mito…” Riuscii a strappargli una risata, ma il dolore che traspariva sul suo viso non lasciava nessun dubbio. Stava piangendo in silenzio. Commossa da quella visione, cercai di confortarlo: “Rush su, basta così. Me lo racconterai un'altra volta d’accordo? Ti riporto a casa…” Dicendo questo, mi alzai e gli tesi una mano. Lui però mi strattonò e mi abbracciò forte, dicendomi all’orecchio: “Sai, per quanto tu ed io ci siamo presi a botte, eri una distrazione continua a miei brutti pensieri… Senza di te e alle tue provocazioni, probabilmente il senso di colpa mi avrebbe portato al suicidio… Ora l’ ho capito, tu mi fai stare bene Arte.” A quel punto anche le mie guance si rigarono di calde lacrime e cercando di sorridere, dissi: “Speriamo che piova maledizione… non so mai come comportarmi quando le persone fanno le sdolcinate con me”

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Capitolo 10
*** 9 Noi due? ***


La mattina seguente ebbi l’irrefrenabile impulso di farmi balla per lui. Anche se mi sembrava tutto così ambiguo… Indossai i miei jeans neri preferiti – i più belli e costosi che avevo – e una maglia scollata bianca con le mie inseparabili Nike sporche. Mi sciolsi i capelli, pettinandoli per molto tempo, togliendo tutti i nodi e truccandomi le ciglia con un filo di mascara, tanto per dare l’idea di essermi messa in tiro ma non troppo per Rush. Scesi di corsa la gradinata dei due piani che mi dividevano dal grande portone, neanche il tempo di fare due passi sul marciapiede, che udì un paio di fischi d’apprezzamento dietro di me… Ma che cazzo…?! Mi voltai afferrando il vocabolario pensante d’inglese, pronta a tirarlo dietro a qualunque troglodita avesse fischiato: “Riprovaci se ne hai il coraggio! Aspetta… Rush?!” Il sorriso felino e luminoso, mi colse impreparata. Appoggiato alla sua Ducati nera come la notte con una nuova giacca di pelle scura e Ray Ban che gli nascondevano gli occhi particolari, mi sembrava un divo del cinema. Il pircing al sopracciglio che brillava come una stella, catturò la mia attenzione; anzi c’era più di un luccichio sul suo viso, spartito tra i denti immacolati e l’orecchio bucherellato d’oro bianco. E poi c’erano quei suoi capelli così sexy e la sua faccia d’angelo caratterizzata da quelle adorabili lentiggini. Per poco non sbavavo sull’asfalto, forse avevo perso per strada anche la mandibola… “Come siamo belle e provocanti oggi… Posso domandare per chi angelo?” Notai in un secondo momento, i muscoli che si intravedevano sotto alla maglia bianca e hai jeans di ieri. Come diceva quella pubblicità? La semplicità fa gola e lui era la lussuria in persona… Dopo mi resi conto che mi aveva rivolto la parola e cercai di rispondergli più sarcasticamente possibile: “Ora sono angelo? Credevo che per te fossi una mostriciattola…” Lui mi si avvicinò di qualche passo, trattenendo un sorriso a fatica; sembrava qualcun altro e non il solito ragazzino viziato: “Mmm… Vuoi che continui a chiamarti con quell’orrendo soprannome?” Scossi la testa un po’ troppo energicamente ed improvvisamente seria, strappandogli un’altra vivace risata: “Mi fanno troppo ridere le facce buffe…” Sorrisi timida, ma con la mente ero altrove e Rush ovviamente, se ne accorse. Incerto mi domandò: “Che cos’hai?” Cercai di sorridere di nuovo, fallendo miseramente e passandomi una mano fra i lisci capelli, dissi: “Il fatto è… Che sembri così diverso da come ti conosco. N-Non ci sono abituata ecco tutto…” Lui si tolse gli occhiali da sole, squadrandomi come per prendere le misure: “Vuoi che bilanci i complimenti comportandomi per qualche minuto da stronzo?” Lo fissai torva, ma Rush faticava a rimanere serio… E anch’io continuavo a sorridere come un’idiota. All’improvviso disse: “Facciamo così, che ne pensi di bruciare quest’altro giorno insieme a me e andare in giro in città?” Mi morsi un labbro, la proposta era assai invitante e ci stavo davvero pensando su… “E Joel?” Lui fece spallucce con quel sorriso bello da morire ed io con fare amicante, dissi: “I bravi ragazzi non dovrebbero fare certe proposte…” Rush sorrise ancora di più, salendo sulla sua moto e porgendomi un casco, rispose: “Allora ringrazia che non lo sono mai stato” Ci divertimmo un sacco. Prendemmo un gelato per fare colazione, mi portò in un maniero diroccato a giocare a nascondino e poi, mi condusse su una via alberata bellissima: dove gli alberi da frutto erano i più vari, lontano dal trambusto di paese. Passeggiavamo chissà come mano nella mano; era morbida con dita lunghe e affusolate, salda nella mia che mi sembrava esile messe a confronto. Sentivo anche il metallo freddo dei suoi numerosi anelli, in netto contrasto con il calore del suo palmo, una sensazione unica nel suo genere. Cercando di essere più disinvolta possibile, sbirciai di nuovo il suo profilo da dio greco, ma quando posai lo sguardo su di lui, ad aspettarmi trovai quegli occhi magnetici di mercurio liquido dai riflessi più rari e vari. Mi sentii avvampare in viso e distolsi il mio sguardo dal suo, senza lasciare quella mano sicura. Il silenzio che era sceso tra noi non era affatto sgradevole, anzi era carico di… Qualcosa… Buttai di nuovo un occhio sul ragazzo che avevo accanto e il suo sguardo vigile era sempre incollato al mio. Imbarazzata, gli feci il broncio: “Perché continui a fissarmi?” Lui con la sua faccia da schiaffi che cominciava a piacermi, rispose: “Per lo stesso motivo per cui vuoi farlo tu” Che razza di risposta era?! L’osservai entusiasta, provocandolo: “Ah sì? E quale sarebbe, sentiamo…” Rush mi attirò un po’ di più vicino a sé, ghignando come se avesse trovato un tesoro: “Semplice, io ti piaccio. Ammettilo” Rimasi di sale. Mi bloccai, improvvisamente non avevo più voglia di andare aventi. Fissavo il vuoto finchè il suo volto d’angelo preoccupato, non incrociò il mio campo visivo: “Tutto bene Arte?” La mia voce fu a malapena un sussurro udibile. Lui dovette avvicinarsi molto alle mie labbra per ascoltare la domanda lieve: “Io ti piaccio?” In quegli occhi che mi catturavano come una calamita, si accese un sentimento nuovo per me. Poi il suo sguardo penetrante scese piano sul mio naso fino a fermarsi alla mia bocca che automaticamente, le schiusi come un fiore. Lo vidi passarsi la lingua su quel labbro superiore tanto invitante, ma prima che potessimo fare qualcosa, Rush interruppe bruscamente quel contatto magico che si era creato, sciogliendo pure le nostre dita intrecciate. Distaccandosi, disse freddamente: “Si è fatto tardi e sarà meglio che ti riconduca a casa…” Cosa?! No! Io volevo il mio primo bacio… Un po’ incollerita con lui, salii in sella alla sua moto metallizzata, infilandomi il casco intonato al suo e lì, mi venne un idea. Quando montò anche lui, io per tenermi in equilibrio, mi aggrappai saldamente al suo busto con i palmi aperti sul torace fasciato dal tessuto leggero, sentendo il suo battito cardiaco che accelerava di poco sotto ai muscoli. Lo sentii irrigidirsi come al solito, ma dopo un paio d’istanti mise in moto, senza dire nulla.

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Capitolo 11
*** 10 Rush sei un idiota! ***


Il rombo del motore si spense sotto al mio palazzo, nello stesso identico punto in cui l’avevo visto quella mattina; scesi meno impacciatamente che potei, riconsegnandogli il casco che lui aveva ancora indosso. La sua voce ovattata mi colse alla sprovvista: “Mi è piaciuto stare con te oggi, dovremmo rifarlo…” Rimasi per qualche secondo stordita da quel commento, pensando a come mi aveva rifiutata nel baciarmi e di getto chiesi: “Davvero, non ti faccio schifo?” Rush invece di rispondermi, rianimò la Ducati sotto di se lasciandomi completamente scombussolata sul ciglio della strada. Per un’intera settimana non mi rivolse la parola ne mi guardò mai per sbaglio e la cosa mi fece alquanto male. Come poteva evitarmi dopo quel nostro quasi bacio?! Avevo bisogno dei miei amici, così quel pomeriggio mi sarei dedicata solo a loro, come consulenti sentimentali erano il massimo. Mi cambiai vestendomi con dei vecchi jeans scuri e larghi, indossando un top color sabbia con sotto delle culotte intonate che spuntavano da sotto i pantaloni e mi legai i capelli in una crocchia trasandata. Notando meglio nel piccolo specchio ovale di camera mia, sul mio viso poco più sotto all’occhio, era spuntato un neo che ne richiamava un altro più piccolo sotto al mento. Fantastico, altre preoccupazioni… Dovevo prenotare una seduta dal dermatologo e cercare di non spaventare mia sorella. Ogni volta che trovava un nuovo neo sulla pelle, andava in iperventilazione pensando che fosse un tumore… Sossi la testa alla mia immagine e uscii direttamente dalla finestra, dove c’era un albero abbastanza robusto che dava sul mio giardino. Ci trovammo io, Fenix e July nella piazza abbandonata ad usare un po’ di colore. Scecherai la mia bella bomboletta sprai difronte a quell’imponente parete sporca, ingrigita dal tempo e deliziosamente spoglia, libera da qualsiasi scarabocchio. Avevo in mente un paio di ideuzze per sfogarmi su quel ragazzino viziato… Il color petrolio della bomboletta, uscì sicuro in un unico spruzzo e la mia mano disegnò a caratteri cubitali: RUSH SEI UN IDIOTA! Poi presi una bomboletta rossa e lo ripassai, facendoci delle ombre di colore; definendolo con lo sprai bianco. Non male come scritta… Fenix mi piombò alle spalle, facendomi saltare in aria dallo spavento: “Wow, figa la scritta! Aspetta… Rush non sarà mica quel tipo che ti prende per il culo da cinque anni…?” Incrociai le braccia nude e scure al petto, notando il doppio senso ed ignorandolo completamente: “Già… Proprio quel ragazzo” Lui per un attimo osservò prima me e dopo il mio grafito, finchè non domandò: “Dolcezza toglimi una curiosità, ma questo tipo ti piace?” Per poco non mi andava di traverso la saliva. Avvampai in volto, balbettando di un ottava: “C-Cosa?! Stai… Stai scherzando vero?” Fenix scrollò le spalle indifferente, continuando ad esaminare con sguardo critico il mio disegno. Si spostò la visiera del suo cappellino preferito di lato e dichiarò come se fosse un critico d’arte: “No perché dal tuo disegno sembra così…” Lo guardai scettica, boccheggiando senza emettere alcun suono, ma ad un tratto July arrivando con il suo vecchio scatboard, indicò un vicolo poco distante, dietro di noi e dicendoci: “Qualcuno ci spia…” Quando mi voltai di scatto, due occhi dalle sfumature argentee mi sorpresero in fragrante. E senza rendermene conto, bisbigliai a denti stretti: “Merda è qui”

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Capitolo 12
*** 11 Verità svelate ***


Il cuore mi rimbombava nelle orecchie ad ogni suo passo verso di me; era affaticato, forse dalla corsa perché indossava dei pantaloni della tuta e una semplice canotta blu. Come poteva essere sensuale anche vestito in maniera così sciatta?! Sul suo viso c’era un espressine indecifrabile, eppure nei suoi occhi leggevo qualcosa, rabbia forse… Fenix mi cinse le spalle col suo braccio con fare protettivo e Rush cambiò totalmente sguardo, minacciando il mio migliore amico: “Toglile. Le. Mani. Di. Dosso!” Fenix continuò a fissarlo con sufficienza e spavaldo, disse: “Se no che fai damerino delle mie scarpe da ginnastica?” Rush non aggiunse nient’altro, a pochi passi da lui sotto gli occhi stupiti di July, caricò un pugno colpendolo sul mento. Se non mi fossi messa in mezzo, probabilmente l’avrebbe ammazzato di botte da quello che gli leggevo in faccia. “Fenix vattene, July il tuo ragazzo ha un piccolo taglio sul labbro che sanguina, ti dispiacerebbe aiutarlo a medicarsi in un angolino della piazza?” Tenevo il volto basso, senza guardare il ragazzo che adesso, mi era davanti… Quando il silenzio tornò sovrano fra noi due, Rush l’ ho interruppe frustrato come se fosse preda da mille pensieri: “Che cazzo Arte! Cosa significa quella scritta? E perché quel tipo ti stava così dannatamente vicino se è il moroso dell’altra?!” Puntai gli occhi nei suoi, incenerendolo con lo sguardo e seria, risposi incollerita: “Dovrei fartele io le domande! Si può sapere che ti è preso?! Prima sei tutto improvvisamente dolce, poi mi eviti e ritorni lo stronzo di prima, ora invece colpisci il mio migliore amico perché mi sta troppo vicino…?! Sei sicuro di non avere dei problemi mentali?” Mi osservò truce, ribattendo come se avessi fatto una battuta nel momento meno opportuno: “Non è divertente angelo…” Appoggiai con non curanza una spalla sulla parete sgangherata, continuando impassibile: “Non sto mica scherzando Rush…” Lui si mise la mano piena d’anelli metallici fra i boccoli fiammeggianti, esasperato: “Sono complicato va bene?! Tu sai solo il minimo di quello che mi è successo, cosa ho dovuto subire da quella coppia malata e poi, quel tuo amico ti ha appoggiato un braccio sulla spalla così naturalmente, mentre io devo raccogliere tutto il mio coraggio per fare una cosa del genere e non sudare freddo quando mi abbracci o mi tieni per mano… Io… Io sono geloso ok?!” Rush non aveva più solo la chioma rossa, anche la sua faccia ora lo era; cercando di nascondere un sorriso, mi avvicinai e gli chiesi: “Sei arrossito… Cos’è che non vuoi confessarmi?” Lui roteò quegli occhi inverosimili screziati d’argento, dicendomi: “Se te lo dirò, mi prenderai in giro a vita Arte…” Misi il broncio, sfoggiando i miei occhi da cucciolo e sbattendo le ciglia un paio di volte, addolcendo il tono imitando una bimba: “Per favore…” Rush sbuffò e scuotendo la testa, borbottò: “Non posso credere che ti rivelerò proprio tutto… Io… Io non ho mai baciato una ragazza” Rimasi senza parole. Guardandolo come un fenomeno da baraccone mentre il suo viso rimaneva acceso come una lucetta di natale… Più tardi ci sedemmo sul muretto a chiacchierare e riprendere il discorso lasciato in sospeso, che lui mi stava raccontando: “Suo marito era la persona peggiore che un bambino di cinque anni possa mai incontrare nella sua vita… Non ricordo esattamente il numero preciso delle notti in cui piansi dopo averlo visto… In più sua moglie si divertiva ad assistere alla violenza ed io…” Fece una pausa col viso contratto in un cipiglio di disgusto e sofferenza, cercava di trovare delle frasi di senso compiuto supponevo: “Io restavo lì a subire colpo su colpo, cercando di bere le lacrime di dolore che mi sgorgavano dagli occhi…” Era terribile. Gli presi una mano che gli era in grembo e cercai di stringerla il più saldamente possibile, per ricordargli che quei momenti erano finiti e che adesso era con me nel presente… Rush sembrò ridestarsi dal passato, osservando le nostre dita intrecciate in quel caldo contatto. Poi un lieve sorriso gli affiorò sul viso, continuando: “Quando mio padre lo venne a sapere, li chiuse a vita in una galera lontano da qui e mi ricoprii di regali, forse per pulirsi la coscienza di non essere stato abbastanza attento; ma non è servito a molto, ricordo ancora fin troppo bene lo scempio che ho dovuto subire per mesi da quei due…” Il suo dolce sorriso scomparve e appoggiò la sua testa sulla mia nuda spalla. Sentivo il freddo pircing del sopracciglio sulla mia pelle mentre io ero paralizzata da scene atroci di un bambino dagli occhi di ghiaccio torturato per ore, giorni e mesi da due mostri… Lo sentii ispirare forte e proseguire incerto: “I miei genitori non sanno tutto questo che ti ho raccontato. Solo il mio psichiatra sa tutto, ma sono sempre stato da solo a combattere i miei demoni… Hai visto che bel contrasto hanno le nostre mani giunte, il tuo colore di pelle è bellissimo, mi ricorda lo zucchero di canna. Mi viene voglia di assaggiarti, anche se hai un intenso odore di Timo e menta piperita…” Stava cambiando discorso?! Com’è lunatico a volte… Forse è bipolare… Deglutii con la gola improvvisamente secca per l’imbarazzo, chiedendogli quasi timidamente: “Perché mi racconti tutto questo Rush?” Lui ci mise un po’ a rispondermi, alzò il volto scrutando il mio ad un respiro di distanza, sentivo chiaramente il profumo del suo dopobarba: “Perché sento che tu puoi capirmi al volo… Voglio dire che tu sai fin troppo bene cosa significa fingersi forti per le persone che ti stanno vicine… E questo mi fa pensare che di te posso fidarmi angelo” Fu allora che annebbiata da quell’aroma intenso e dalle sue gentili parole, gli scoccai un bacio sulle labbra.

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Capitolo 13
*** 12 Rivalità ***


Si irrigidii sotto a quel tocco innocente, ma non si scostò affatto. Quando riaprii gli occhi trovai i suoi vividi e sorpresi, stranamente non eravamo imbarazzati come mi aspettavo. Somigliava più ad una silenziosa promessa o almeno, questa era la mia sensazione. Nessuno dei due schiuse la bocca ne abbassò le palpebre e in quel momento Mary arrivò come una furia, cogliendoci in fragrante: “Si può sapere perché Fenix ha un labbro rotto e… Oh… S-Scusate…” Piena di vergogna, mi staccai da lui subito e mi sentii tremendamente in colpa per essermi dimenticata il mio migliore amico, ferito dal ragazzo che volevo baciare; balbettai qualcosa cercando un appiglio per spiegare l’accaduto: “C-Ciao Mary e-ecco… Lui è Rush e diciamo che non l’ ha fatto apposta. C’è… In realtà sì, ma era tutto… Un grosso malinteso, per cui…” La mia vecchia amica mi osservò stranita, parlandomi sopra: “Ti senti bene dolcezza? Un attimo… Rush non è il nome di quel tipo che ti prende per il culo da cinque anni o sbaglio?” Rimasi basita e quasi sotto shock, perché tutti dicevano così di lui?! Lo vidi indurire la mascella e ghignare diabolico a Mary: “No, a volta la prendo anche per la figa. Mi piace alternare…” E dicendo questo, mi attirò possessivo al suo fianco, afferrandomi saldamente per il bacino, incollandomi al suo corpo. Quasi non respiravo dall’emozione e da quello che gli era appena uscito dalla bocca; la forza di un incendio mi aveva tolto il fiato per la sua vicinanza e il palmo della sua mano, mi scatenava brividi incontrollati su tutta la spina dorsale… Fantastico. La mia vecchia amica lasciò cadere l’argomento per mia fortuna, ma il suo tono cambiò: “Non ho tempo per queste stupidaggini, ho già riunito i due piccioncini e manchi solo tu dolcezza per ballare. Dobbiamo sfidare i Cobra… Ricordi?” Cazzo è vero… Era oggi… Merda… Divenni pallida come un cencio, mi era completamente passato per la testa e non mi sentivo affatto pronta per affrontarli. Non avevo organizzato nulla… Ad un certo punto, Rush mi voltò con forza davanti a lui, dicendo visibilmente colpito: “Tu balli?! Da quanto? E vai conciata così? Quanti ragazzi ci saranno a sbavarti dietro?!” Osservai con la bocca aperta il ragazzo bello e impossibile dell’intero pianeta. Come potava pensare che un maschiaccio come me, avesse una fila di spasimanti ai miei piedi? Questo era ridicolo, per non dire comico! Stavo per rispondergli per le rime quando Mary intervenne prima di me, rivolgendosi a lui: “Senti bellezza, mi dispiace interrompere questa bella litigata sentimentale di coppia, ma a meno che tu non sappia qualche passo di Hip Hop non mi servi, mentre la mia Artemisia sì…” Volevo ucciderla. Come al solito la mia vecchia amica era molto schietta con la gente, poi si rivolse a me con la voce carica d’ansia: “Ora ti vuoi muovere dolcezza?” Rush a quel punto disse qualcosa che perfino Mary ne rimase scioccata: “Sì anch’io so ballare e qualche passo lo conosco. Street dance? Conosco qualche mossa…” Per la mia vecchia amica bastò per trascinarlo insieme a me, dal Clan contro cui avremmo gareggiato… Il posto era niente di meno che un locale anonimo di paese. Luci soffuse. Rosso fosforescente e blu elettrico con musica assordante; mi stordivano fra la folla di ragazzi, ma rendevano il ragazzo a cui stringevo le dita davvero intrigante. Il locale doveva essere nuovo, perché non ci ero mai entrata prima d’ora… I Cobra ci aspettavano al centro della pista da ballo, la folla attorno a loro, li incitavano a proseguire con le loro mossette. Mi alzai in punta di piedi e sussurrai all’orecchio bucherellato d’oro bianco di Rush: “Da quanto balli?” Intravidi i suoi occhi come carboni ardenti nella luce colorata che si alternava al buio e abbassandosi, mi bisbigliò di rimando: “Un paio d’anni. Prima facevo solo Parkour, ma non mi distraeva abbastanza dai miei incubi, così mi hanno consigliato anche di praticare la Breacke dance… Tu da quanto balli invece?” Ricambiai il sorriso felino che mi dedicò: “Da quasi cinque anni perché volevo essere più femminile, ma a quanto pare il risultato non è affatto cambiato; mi comporto più come un maschio che come una femmina…” I suoi occhi vispi guizzarono sul mio corpo, guardandomi dal basso verso l’alto con un bel ghigno d’apprezzamento: “Io direi che fisicamente i risultati si vedono, il tuo visino è delizioso all’inverosimile e il tuo fisico è perfetto… Forse solo il tuo seno è troppo piccolo per i miei canoni, ma sono un ragazzo che si accontenta con poco per tua fortuna angelo” E mi fece l’occhiolino. Gli diedi un pugno affettuoso sulla spalla nell’esatto momento in cui il presentatore annunciò il nostro arrivo al centro di tutti.

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Capitolo 14
*** 13 Cioccolato variegato alla vaniglia ***


“Wow Rush hai battuto quel pivello solo con quattro passi! Non sembrano neanche due anni che pratichi Street dance… Non ho mai visto un Halo fatto così bene ed iniziato con un semplice Footwork” Eravamo seduti belli comodi sul suo divano di pelle nera; grazie a lui e Fenix – che avevano fatto gruppo – avevamo vinto. E per festeggiare Rush aveva offerto a tutti una birra, senza mai staccare gli occhi dai miei. Adesso mi era seduto accanto nel suo grande salone che ridacchiava spensierato: “Su Arte, smettila di fissarmi con aria sognante. Mi metti in imbarazzo…” Poi si alzò, osservandomi con quei suoi occhi screziati d’argento che sorridevano con lui, dirigendosi in cucina: “Ho voglia di un gelato, ne vuoi un po’ anche tu? Intanto scegli pure il film, a me va bene qualsiasi cosa…” Gli sorrisi dolcemente e girai i canali dell’immensa tv a schermo piatto, collocata in mezzo a due librerie bianche dove c’era anche uno stereo d’ultimo modello. Ad un tratto, girai su un canale dove trasmettevano il film preferito di Mary: Street dance. Mi sciolsi i capelli, portandomeli tutti da un lato e cercando di pettinarli con le dita. Ero così assorta dal film che non mi resi conto di Rush che continuava a fissarmi come se io fossi la sua preda e lui il predatore… “Sei molto bella sai Arte…” Quelle parole mi colsero alla sprovvista e voltandomi verso di lui, vidi quegli occhi che man mano, sembravano diventare più scuri. Avvampai in volto e smisi di toccarmi i capelli facendogli spazio accanto a me, mentre lui si sedeva con una ciotola di gelato variegato alla vaniglia e due cucchiaini. Quando i suoi occhi fissarono per un paio di minuti il film, disse con un sorriso sulle labbra: “Guarda che coincidenza, Street dance… Singolare scelta” Gli sorrisi timida e Rush poi, prendendo un cucchiaino pieno di gelato al cioccolato, disse: “Il cioccolato dal gusto intenso e deciso sei tu. Apri la bocca…” E mi porse la cucchiaiata di gelato sulle labbra ed io l’ho assecondai, ma a questo gioco avremmo partecipato in due. Presi l’altro cucchiaino e lo immersi nelle vaniglia, porgendoglielo: “La vaniglia dal gusto delicato e fine invece sei tu. Fai Aaaa…” Sorrise fissando il cucchiaio e divorando il gelato che vi era depositato sopra. All’improvviso venimmo distratti da una canzone che era molto ritmatica: Get sexy e la scena era molto hard l’ho ammetto… Guardammo rapiti i fondoschiena delle ragazze che si dimenavano nello schermo e dei loro fianchi che ancheggiavano a tempo di musica. Udii il suo sorriso amicante, lanciandomi una scommessa: “Io dico che non riusciresti ad essere così provocante” Alzai un sopracciglio formando un arcata perfetta e ghignai di rimando: “Una sfida Pendragon?” Lui sorrise con fare innocuo, ma nei suoi occhi c’era malizia. Così portai indietro il film e la canzone di prima partì; mi alzai comoda comoda e quando riprese la scena dei sederi che ondeggiavano a tempo, li imitai alla perfezione. Dopo di che mi voltai verso di lui e mi mossi nello stesso identico modo in cui si muoveva la bionda protagonista; da come mi osservava possessivo, mi sentii come Afrodite e fu quando mi rivoltai con un sorriso smagliante che due braccia forti, mi buttarono a terra sul tappeto immacolato davanti al divano. Urlai divertita: “Rush smettila, mi fai il solletico… Eddai così non vale… No! Sulla pancia no…!” Anche lui rideva ed era un bel suono. Le risate infine cessarono e per un tempo che mi sembrò infinito, rimanemmo sdraiati lì a fissarci insistentemente a riprendere fiato; finchè non mi baciò lui stavolta, ma non fu come prima. Sentii la sua lingua sulle mie labbra affamate di lui e il pircing solleticarmi il labbro inferiore, in una richiesta silenziosa di entrare ed io le lo permisi, schiudendo la bocca e sentendo il sapore vaniglioso del gelato mischiato a quello metallico. Ci baciammo come se fossimo affamati l’uno dell’altro. Come se fosse l’aria di cui avevo un disperato bisogno… E a quel punto, la natura del bacio cambiò. Non so come, ma mi ritrovai sotto di lui con le mani immerse nei suoi capelli mentre Rush mi massaggiava i fianchi in senso circolatorio. Ci staccammo solo per riprendere fiato, anche se lui continuava a lasciarmi una scia di baci lungo il mento fino al collo ed io sorridevo felice, perché era la sensazione più bella che avessi mai provato. Il suo profumo mi dava alla testa e i suoi ricci rossi erano morbidi come mi aspettavo. Purtroppo il suono della voce agghiacciante di una donna interruppe l’incantesimo: “Tesoro mio dove sei? La tua mammina è tornata…”

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Capitolo 15
*** 14 Buio ***


“Merda mia madre è tornata… rimani nascosta dietro al divano, intesi?” Assentii piano e senza parlare. Lui si alzò da sopra di me e cercando di prendere il controllo di se stesso, si diresse all’ingresso, urlando apatico: “Ciao mamma, come è andato il viaggio di lavoro?” La voce della donna divenne incredibilmente sdolcinata: “Tesoro mio eccoti qua! Il viaggio è andato benissimo e… Guarda, mi sono rifatta il naso” Il tono seccato di Rush mi fece sorridere: “Ancora Mamma, non ti fanno male tutti questi ritocchi?” Sua madre rispose con indifferenza: “Affatto amore mio, non preoccuparti per la tua mammina” Udii anche lo schiocco di un bacio e lui urlare di disgusto: “Che schifo mamma, porti il lucidalabbra rosa…!” La tentazione di sbirciare era troppo forte e così con la coda dell’occhio, vidi una donna vestita in giacca e cravatta rosa, bionda con la pelle un po’ troppo abbronzata – forse per le troppe lampade? – La ascoltai proseguire con le domande: “Allora come va a te tesorino della mamma, tutto bene?” Stavo morendo dal ridere dentro di me, l’avrei preso in giro a vita. Lui a quel punto guardò nella mia direzione e mi sorrise tenero e il mio cuore cominciò a palpitare: “Veramente mamma c’è una ragazza che… Ultimamente mi piace molto…” Che dolce sembrava un bambino. La Barbie rifatta si fermò ad osservarlo attentamente: “Una ragazza amore mio? E com’è… Ricca? Di buona famiglia?” Rush esitò, visibilmente a disagio: “No mamma… Lei è orfana, vive con sua sorella maggiore e…” Sua madre l’ho interruppe alzando la voce: “Ah questa è bella! Un orfana, chissà come sarà cresciuta male senza dei genitori presenti…” Brutta troia rifatta…. Lui continuò, lasciando perdere cosa aveva detto la sua dolce mammina: “Si chiama Artemisia ricordi?” Sua madre si mise ad urlare: “Quella mostriciattola che ti ha buttato nel fiume quattro anni fa, rovinando un capo da trecento euro?! Quella stessa ragazzina che un anno dopo ti scippò sul braccio?! Hai fatto bene a dargli un pugno, io le avrei dato il resto… Per non parlare di quella bicicletta che era costata una fortuna all’inizio della scuola… Ragazze come quella devono starti lontano, sono infette e vogliono solo derubarci della nostra fortuna perché sono gelose… Ti invidiano figlio mio…” Era troppo. Ora capivo di più l’intercalare di Rush Pendragon, con una madre così snaturata era un miracolo che fosse rimasto se stesso… Stavo per scoppiare a piangere. Sua madre continuò: “Promettimi che non rivedrai mai più quella mostriciattola… Giuralo!” Speravo con tutto il cuore che lui mi difendesse, ma non lo fece. Disse solo rassegnato: “Te lo prometto mamma…” Un singhiozzo soffocato mi si fermò in gola. L’umiliazione era troppa e mi alzai dal mio nascondiglio correndo più forte che potevo verso l’uscita di quella raggia, spintonandoli entrambi via da me e passando la strada, ma non mi resi conto di una cosa… Udii i freni di una macchina troppo vicino e un dolore acuto per un secondo farsi strada in tutto il corpo; la voce di Rush squarciò ogni mio pensiero: “Artemisia No! L’auto… No!” Poi piombò il buio su di me.

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Capitolo 16
*** 15 Black out ***


Non so per quanto dormii; ma mi svegliai colpita da un potente malore, senza fiato e rendendomi conto troppo tardi che stavo urlando dalla paura. Nel mio campo visivo comparve un ragazzo, sembrava un modello: Ricci rossi – probabilmente erano tinti – con un magnifico taglio rasato, occhi color perla screziati di ghiaccio con una serie di pircing sull’orecchio e uno sul sopracciglio, tratti perfetti se non per le profonde occhiaie sotto ad uno sguardo colmo di preoccupazione e pelle pallida come la neve se non per qualche lentiggine alla radice del naso. Non riuscivo a capire bene cosa mi stesse dicendo, la sua voce mi arrivava lontana, come se provenisse alla fine di un tunnel: “Arte?! Angelo mi senti?! Sono io, guardami per favore è tutto passato! Arte guardami! Ti prego rispondi?!” Il dolore alla testa si fece più intenso. Il bel tipo divenne solo un ombra sfocata, poi di nuovo il buio ed infine, anche la sua dolce voce si spense. Il dolore era cessato. Sentivo il calore del sole sul viso e in lontananza il cinguettare spensierato degli uccellini. Ero distesa su un letto, ma non sapevo dove fossi. Sapevo di essere cosciente, ma vedevo solo buio attorno a me. Cercai di alzare le palpebre e di muove qualche muscolo. Quando aprii gli occhi, una luce bianca invase tutto finchè non misi a fuoco la stanza immacolata. In un secondo momento, notai l’invitro in vena e dei ragazzi esausti su un divanetto; poi ne scorsi un altro. Il ragazzo modello dell’altra volta. Con i capelli spettinati e una smorfia corrucciata. Non avevo la più pallida idea di chi fosse e dove fossi finita. E fu a quel punto che non ricordavo nemmeno chi fossi io. La paura mi attanagliò lo stomaco, mettendolo sottosopra, ma non avevo mangiato nulla. Stavo morendo di fame e dovevo andare in bagno. Presa dal panico mi agitai sul letto, svegliando quegli estranei che mi guardavano con una gioia infinita negli occhi. Una donna mi si avvicinò, era graziosa: lunghi capelli castano scuri, pelle bronzea e occhi color del cioccolato. Il suo tono di voce era gentile e spezzato dai singhiozzi: “Ehi Artemisia ciao, come ti senti? Stai bene?” Chi è Artemisia? Sono io? E lei chi è? La fissai spaventata, cercando di indietreggiare sul letto. Il tipo modello mi guardava in modo diverso dagli altri, sembrava tremendamente in colpa; ma per cosa? E come potevo essere così sicura di quello che stava pensando se non lo conoscevo neanche…? Cercai di parlare, biasciando qualcosa: “Chi… Chi sei? Co… Cosa vuoi da me? Cosa… C-Cosa è successo?” La ragazza graziosa sembrò rimanere di sale alle mie parole. Perché? Mi conoscevano? E perché io non conoscevo loro? Un ragazzo con un berretto in testa mi fissò come se fossi una marziana: “Artemisia ti senti bene?” Ero esasperata e così gli urlai contro un po’ arrabbiata: “Insomma perché mi chiamate così? Chi è Artemisia?!” A quel punto anche le altre due tipe stese sul divano si alzarono a squadrarmi nello stesso identico modo del ragazzo: “Arte se stai scherzando non è divertente…” Divertente? Erano fuori di testa!!! Cominciai a tremare e ad alzare sempre di più la voce: “Andate via! Io non vi conosco, andate via! Lasciatemi stare…” La ragazza bionda che fino a quel momento non aveva aperto bocca, disse a tutti: “Vado a chiamare il medico…” Ero in un ospedale… Perché? Mi toccai incurantemente la testa, stranamente la sentivo leggera. Invece di toccare setosi capelli, sentii una fasciatura e quando cercai di toccare lisce ciocche, non sentii nulla. Ero rasata. Tutto il cranio lo era. Presa dallo sconforto, cercai i contorni della fasciatura che mi circonferivano la testa: “C-Cosa mi è successo?! Perché sono qui?!” Poi li guardai tutti negli occhi e comincia a piangere, urlando: “E voi chi siete?! Che cosa volete?!” Era tutto sbagliato. Un uomo con un camice bianco addosso e degli occhiali sulla punta del naso, entrò nella camera accompagnato dalla bionda con fare professionale. Doveva essere il medico. Mi puntò una lucetta sugli occhi che mi annebbiò la vista per qualche secondo, dicendo: “Segua la luce per piacere” Era una parola segui la luce, così mi acceca! L’uomo alla fine spense quella fottuta lampadina, continuando con un tono professionale e calmo: “Non dovete preoccuparvi di nulla, la paziente sta bene. Lei è solo scossa dall’incedente, vedrete che piano piano recupererà al cento per cento la memoria” Cosa stava dicendo quel tipo?

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Capitolo 17
*** 16 Memoria ***


Nei giorni seguenti, Fenix – il ragazzo buffo col capellino – veniva a trovarmi quasi tutti i pomeriggi, raccontandomi le nostre peripezie e le figuracce più divertenti; facendomi sempre ridere: “Oh dolcezza devi ricordartelo! Successe tre anni fa, eravamo in compagnia di una mia amica che era uscita fuori a cena con altri amici, la discussione era su chi fosse il più giovane a tavola e tu, tutta convinta ti sei girata da quella ragazza affianco a te e hai messo la mano sulla sua pancia, dicendole: "Noooo ! il più giovane è questo bel bambino!" la ragazza si offese a morte perché in realtà era solo cicciottella!” Ero sempre più divertita e stavo per scoppiare a ridere, quando un ricordo affiorò nella mia mente: “Dio, mi sono vergognata a morte… Ho dovuto scusarmi almeno tre volte!” Il mio migliore amico smise di sorridere, guardandomi come se fossi una pietra preziosa e cominciò a lacrimare, dicendo con un filo di voce: “Esatto… Te lo ricordi?” Gli sorrisi raggiante continuando con la storia e riprendemmo a ridere. Col passare del tempo, ricordai quasi tutte le burle che ebbi con lui, finchè non mi venne a trovare la bionda, una graziosa ragazza con un bel sorriso. La salutai calorosamente: “Ciao tu devi essere July sua morosa, io sono…” Lei scoppiò a ridere, completando la mia frase: “Artemisia, so chi sei… Solo che non lo ricordi…” Il suo commento mi rattristò molto. Volevo ricordare a tutti i costi! Feci spallucce un po’ sconsolata: “Scusa è l’abitudine…” I suo grandi occhi verdi mi rassicurarono: “Non temere, ti aggiornerò io. Dunque noi due, ci siamo conosciute un paio d’ anni fa nella piazza abbandonata, dove volevi imparare a fare scatboard per forza…” La fissai stupita, senza nascondere la mia meraviglia e un altro ricordo affiorò nella mente, dicendolo ad alta voce: “Ricordo che tu mi tendesti una mano e mi insegnasti a stare in equilibrio sulla tavola a quattro ruote, ma io volevo quella che usavi tu, che ne aveva due… Lo voglio ancora…!” Scoppiammo tutti a ridere e poi a piangere dalla contentezza. Dopo July invitò Mary; un asiatica della stessa età della brunetta che inaspettatamente era mia sorella, anche se non mi ricordavo ancora di lei… Che strano, mamma e papà non li avevo mai visti… Dove saranno? La ragazza dai capelli corvini, mi salutò molto rudemente e facendomi sorridere: “Ehilà maschiaccio come butta? Ti ricordi di me ora?” Scossi la testa divertita e gli chiesi curiosa: “Perché parli così?” Lei mi osservò ricambiando lo sguardo, addolcendolo: “Anche tu parlavi così… Solo per farci ridere quando ballavamo…” Rimasi basita, dicendo colta dalla sorpresa: “Perché noi sappiamo ballare?!” E un altro ricordo mi investì la mente: “Certo che balliamo, io pratico la Street dance da cinque anni… Oddio… Cosa mi è successo?” Lyla. Questo era il nome di mia sorella. Appena la rividi, ricordai tutti i bei momenti passati con lei e piangemmo insieme per tutto il giorno… Mi raccontò di nuovo tutto da capo sull’incedente mortale che i nostri genitori avevano subito e lacrime copiose tornarono ad irrigarmi il volto… Fu orribile e devastante rivivere quei momenti atroci per entrambe. Poi fu il turno di Rush…

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Capitolo 18
*** 17 Ti amo ***


Nel tempo libero che mi restava, dormivo. Sognavo quegli occhi di mercurio liquido screziati d’argento di un ragazzino viziato dai folti boccoli rosso vermiglio e quella pelle di panna che ti veniva voglia di assaggiare, per sapere se davvero avesse avuto un sapore cremoso. Per non parlare di quelle lentiggini color pesca da baciare una ad una e quelle labbra, da mordere e stuzzicare senza mai smettere. Ogni volta sognavo il suo volto d’angelo, mi mancava il respiro perché era lui che mi mancava. Ricordai tutto di Rush nei miei sogni, ma lui non venne mai a trovarmi e questo faceva più che male, era atroce e credule. Sentivo il cuore sanguinare ed ogni volta che pensavo a lui, il groppo in gola aumentava, destabilizzandomi. Facendomi sentire l’unico calcolo sbagliato in una verifica di matematica perfetta. Quando venni dimessa, l’infermiera raccomandò calorosamente – quasi insistentemente – a mia sorella, di farmi rimanere al sicuro in casa per almeno due giorni; senza uscire coi miei amici o andare tutte le mattine a scuola… Così rimanevo sola a casa e in fondo forse era meglio non vedere nessuno. Accesi la radio nell’esatto momento in cui partiva una delle mie canzoni preferite: Locket out of Heaven di Bruno Mars, bellissima. Cominciai a volteggiare per le stanza senza mai fermarmi. Volevo muovermi dopo tanto tempo imprigionata in un letto di clinica. E fu allora che il campanello del mio appartamento suonò. Chi poteva essere? Lyla non si era dimenticata le chiavi… Con voce esile e ancora anestetizzata dai farmaci, chiesi: “Chi è?” Ci fu solo silenzio e più convita, forzai il tono: “Chi è?!” A quel punto, una voce familiare che conoscevo fin troppo bene, rispose: “Sono io… Voglio dire, sono Rush… Ehm io… Ecco…” Tergiversava con le parole ed io sopirai dalla frustrazione, dicendo improvvisamente seria: “Entra!” Gli aprii il portone e andai in cucina a mettere su la macchinetta del caffè. Perché è così che si accoglievano gli ospiti ben voluti… Giusto? Ascoltai la porta chiudersi lieve e Rush comparì sulla soglia dell’ingresso. Indossava solo dei semplici jeans strappati e una felpa bianca quanto la sua pelle, ma cazzo quanto stava bene! Notai con occhio più attento che non dormiva da giorni e che continuava a fissarmi il capo rasato: “Ti… Ti stanno crescendo di nuovo i capelli, ma sei bella anche così…” E il suo sguardo di tempesta, tornò a fissare il pavimento. Mi avvicinai a lui con le lacrime agli occhi: “Ricordo tutto ora Rush. E dopo tutto quello che è accaduto, tu ti preoccupi dei miei capelli?!” Lui mi fissò con quello sguardo mortificato che avevo visto in ospedale, cercando di parlare: “Mi dispiace… Io ho visto l’auto, il tuo sangue sull’asfalto… L’ambulanza che non arrivava e tu non respiravi più! Poi quando ti sei ripresa… Non ricordavi nulla… Ed io sono morto nel preciso istante in cui tu hai urlato a tutti di andare via…” Rush Pendragon stava piangendo. Per la prima volta vedevo quel suo bel faccino, deturpato dalle lacrime e fu commovente, talmente tanto che gli buttai le braccia al collo e tra una lacrima ed un dolce sorriso, sussurrai: “Vieni, dimentichiamoci del mondo…” Continuò a baciarmi il viso fino alla camera da letto, in un modo che mi scioglieva il cuore. Ridevo cristallina mentre lui sorrideva felice e le sue mani mi aiutavano a spogliarlo. Ad un tratto, lui si scostò dal mio abbraccio, dicendo in tono basso: “Mi piacerebbe guardarti mentre ti spogli” E accese di nuovo la radio che avevo spento prima. Una melodia che non conoscevo molto bella, uscì fuori dall’ aggeggio e Rush disse con un dolce sorriso: “Adatta per l’occasione, gli Snow Patrol non mi piacciono in particolar modo ma What if this storm ends è una delle mie preferite…” Lentamente ripresi a spogliarmi, togliendomi prima la maglia giallo limone con gesti pigri e calcolati, scoprendo il modesto reggiseno nero. Lui continuava a puntarmi come se fossi l’unica cosa di cui aveva un disperato bisogno e intanto io, giocavo con la cerniera dei suoi pantaloni. Quando entrambi rimanemmo in intimo, fui io a fare un passo indietro per godere meglio del panorama che avevo difronte. Era bellissimo anche senza indumenti, forse meglio; mentre pensavo questo mi morsi il labbro con fare provocatorio e Rush per tutta risposta, disse malizioso: “Fallo di nuovo e te ne pentirai angelo…” Lo fissai con un espressione di finto spavento e poi continuai con i denti a torturarmi la bocca, indietreggiando sempre più veloce mentre lui accelerava. Mi ritrovai a correre per tutta la casa da Rush in intimo, urlando gioiosa: “Non mi prenderai mai!” Ritornai nella mia stanza e cercai di chiudere la porta, ma lui fu più veloce e la spalancò con un solo movimento fluido del braccio tonico, scaraventandomi sul mio letto. Rush mi imprigionò fra le sue braccia divorando la mia pelle di baci e carezze. Era tutto magico. Quando però fu il turno del reggiseno, lui ebbe non poche difficoltà per sfilarmelo, dicendo: “Arte questo arnese mi sta mandando in pappa il cervello! Come cazzo si toglie?!” Gli baciai il naso e me lo sfilai con due semplici gesta, ridendo cristallina: “Sai togliere un paio di mutande da donna, ho devo farlo io?” Eravamo sul mio letto a crogiolarci di coccole, nudi e appagati. Era stata una prima volta per entrambi ed era stato bellissimo, per quanta pazienza ci era voluta… Non facevamo altro che sorridere nonostante fossimo sfiniti; ed i sorrisi erano di quelli stupidi a trentadue denti. Il suo naso continuava a solleticarmi il collo: “Mmm… Hai un buon profumo sai angelo” Mi voltai su un fianco nella sua direzione, beandomi del suo abbraccio caldo che mi faceva anche un certo effetto: “Anche tu hai un buon profumo Malfoi” Lo ascoltai ridere sommessamente, intravedendo il pomo d’Adamo che gorgheggiava su e giù facendomi sorridere. “Ancora così mi chiami?” Lo guardai negli occhi con fare innocuo, domandandogli: “Perché non ti piace?” Rush continuò a sorridermi, rispondendomi: “Se a te fa piacere puoi farlo, ma avrei preferito un altro soprannome…” Corrucciai le sopracciglia, chiedendo curiosa: “Del tipo?” Si spostò il ciuffo con le dita piene di anelli metallici, dicendo un po’ imbarazzato: “Ehm… Tipo… Tipo amore… O che mi ami magari…” Rimasi a fissarlo per qualche minuto, finchè non l’ ho sfidai con un filo di voce: “Fallo tu per prima…” Rush ricambiò il mio sguardo divertito: “No tu. Scommetto che sarai tu a dirmi quelle due paroline fatate” Lo canzonai civettuola, guardandolo con due occhi da cucciolo: “E se invece me lo dirai prima tu, allora voglio che ogni mattina tu me lo dica col cuore…” A quel punto lui con fare provocante, disse: “Ci sto! Ma se me lo dirai prima tu, allora… Dovrai sposarmi…” Rimasi senza parole. Anzi, qualcosa dissi: “… Ti amo…”

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Capitolo 19
*** Epilogo ***


Cinque anni dopo: “Pronto qui parla la disadattata orfana di genitori e moglie di un uomo problematico, abusato da piccolo…” Sentii attraverso il cellulare, la sua risata come miele fuso sulla pelle: “Eddai amore non avercela con me, è tutta colpa del mio capo che mi tiene in ostaggio a lavoro…” Roteai gli occhi seccata, borbottando: “Sei tu il capo Rush! Dio… Sto pensando di lasciarti…” Stentavo a trattenere un sorriso, mentre lui mi rispondeva: “Sai eri quasi convincente angelo, questa sarà la millesima volta che me lo dici dopo quel fantastico Ti amo da parte tua…” Che colpo basso brutto ragazzino viziato. Sorrisi diabolica: “Già… Quasi quanto il giorno in cui nacque Scarlett e tu scoppiasti a piangere come un bambino” Lo udii ridere ancora, dicendo: “Così giochi sporco Arte, dove sei che ti vengo a prendere?” Sorrisi raggiante, dicendogli: “Al liceo, ti dice nulla a te? Volevo andare a trovare la nostra cara e vecchia vicepreside” Sapevo che stava sorridendo maliziosamente, infatti la sua risposta traboccava di divertimento: “Oh sì mia bella mostriciattola… Ci vediamo tra poco” Appena chiusi la chiamata, scorsi quella marmotta paffutella della signora Strange che cercava di caricare il bagagliaio che rischiava di esplodere da un momento all’altro… “Buongiorno vicepreside, come sta? Sono cinque anni che non ci vediamo…” La prof Strange sembrò non riconoscermi ed io le feci un caloroso sorriso, togliendomi le lenti scure: “Artemisia prof, come sta?” La vicepreside si sistemò meglio gli occhiali, urlando felice: “Oh cara ciao, guarda come sei bella! Sembri una giovane donna in carriera. Io vado avanti ringraziando il cielo e tu che hai fatto di bello per tutto questo tempo?” Con la mano, spostai la frangia corta all’indietro, mi ero tagliata i capelli di recente; il nuovo taglio era analogo a quello della prima superiore e sorrisi nel ricordare la faccia di Rush quando mi aveva vista: “Bene bene vicepreside, insegno ad una scuola di ballo per bambini traumatizzati che mio marito sponsorizza. Sono vestita così elegantemente, perché ho il pranzo di lavoro per l’incontro genitori insegnanti…” Indossavo una camicetta verde acqua, con una gonna a vita alta e stretta color turchese, abbinata a dei tacchi alti e neri. Una delle poche volte che indossavo roba griffata del genere. La prof Strange mi osservò con aria sognante: “Congratulazioni mia cara! Con chi ti sei maritata?” In quell’esatto momento un grosso e lucido Pic up nero, accosto vicino a noi e un giovane uomo scese dall’abitacolo. E che uomo. I suo occhi perlacei screziati d’argento, erano nascosti dai soliti Rai Ban, ma la pelle color panna valorizzata dalle poche lentiggini, richiamavano l’attenzione sui suoi rossi capelli che il vento sollevò. Aveva un taglio scalato all’altezza poco più sotto delle orecchie, che lasciava scoperti i lineamenti d’angelo del viso e i numerosi pircing che fortunatamente non si era tolto. Vestito con una giacca gessata blu scuro e sotto una camicia candida come i suoi denti, senza cravatta e un paio di jeans scoloriti, nuovi di zecca. Il mio dio greco. La vicepreside appena scorse Rush, divenne pallida come la morte. Osservando prima me e poi lui attentamente… Stavo per buttarmi a terra dal ridere. Nessuno sapeva che eravamo sposati se non pochi compagni di classe… Cominciò a balbettare come un ossesso: “Lo giuro! S-Se vi mettete a litigare… A… A mazzate, chiamerò la polizia!” Mio marito si tolse gli occhiali da sole con fare teatrale, mostrando il suo sguardo mozzafiato e dicendo pacato: “Anche per me è un piacere rivederla…” Dopo spostò i suoi occhi su di me, ritornando quell’odioso ragazzino di dieci anni fa, sorridendo malvagio: “Ciao mostriciattola, non sentirti superiore solo perché per una volta nella vita indossi roba firmata…” L’ ho ammetto, avrei voluto prenderlo a pugni… Feci una smorfia di disgusto: “Ciao anche a te Pendragon, dove hai lasciato Joel?” La prof Strange, urlò: “Basta! Sono stufa di sentirvi, dopo cinque anni fate ancora così…” Con tono sincero, aggiunsi: “Ci siamo sposati prof, lui e mio marito” Stavamo passeggiando tranquillamente prima del pranzo lavorativo, non riuscivamo a smettere di ridere: “Hai visto la faccia della vicepreside?! Per poco non sveniva sul ciglio della strada…” Rush mi prese a braccetto, borbottando un po’ stufo: “Perché è così difficile da credere che siamo marito e moglie?!” Me lo strinsi più vicino a me, cercando di non cadere su quei trampoli: “Ehm… Forse perché per quasi cinque anni ci siamo presi a mazzate senza mai concludere nulla…” Lui alzò un sopracciglio, fissandomi vagamente pensieroso: “Cos’è cambiato?” Corrucciai le sopracciglia, domandandogli confusa: “Non riesco a seguirti, in che senso?” Lui si fermò continuando ad osservarmi: “A me quei giorni di dieci anni fa, otto anni fa, sembrano solo un brutto sogno. Non ricordo nemmeno perché ti odiassi tanto… Mi sento uno stupido…” L’ho abbracciai stretto stretto al mio corpo, sussurrandogli all’orecchio: “Oh amore, che importanza può avere ora? Semplicemente è passato e quei momenti non torneranno più… E devo dire che un po’ mi mancano sai…” Rush mi prese il volto tra le mani, depositando un casto bacio sulle labbra, bisbigliandomi: “Arte prima di conoscerti meglio, il mio cuore aveva un taglio profondo che nessuno riusciva a cicatrizzare, poi sei arrivata tu ed ora non solo non ho più incubi ma mi hai donato una splendida bimba e sei riuscita a rendermi veramente felice; tu sei indelebile ora. Come una cicatrice sulla pelle…”

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Capitolo 20
*** Ringraziamenti ***


Innanzitutto chiedo scusa per il ritardo ma il mio computer ha avuto dei problemi con internet  Prima di ringraziare qualcuno, ecco un po’ di curiosità sulla storia in generale: Di recente, si era conclusa la serie tv Merlin (Fine di merda se posso aggiungere); infatti il carattere di Rush somiglia vagamente a quello di re Artù. In più il suo cognome Pendragon è legato a quello del re. Per quanto riguarda Artemisia: il suo nome è preso dal generale di Serse persiano (Vedi i trecento 2), mentre il suo aspetto fisico è simile a quello di Nina Dobrev. I professori nominati nella storia, sono tutti veri tranne per il cognome che ho semplicemente sostituito con una parola adatta a loro, in inglese. Il parco per bambini dell’ottavo capitolo inoltre esiste nella vita vera e nella storia è menzionato un film: Street dance che consiglio vivamente di vedere  L’ultima canzone invece che menziono nella storia, consiglio a tutti di sentirla perché è molto dolce e bella. Presa dal libro Cinquanta sfumature di Grigio. Passando ai ringraziamenti: Senza Emma Suriani la storia si sarebbe fermata al terzo capitolo; perché era iniziata come semplice passatempo mentre la mia prof d’italiano interrogava… Ringrazio Nicole Giusti per avermi supportato col suo bel sorriso e kyaruccia che è stata la prima a recensionare la storia, se non fosse stato per quel primo commento, l’avrei conclusa all’undicesimo capitolo. In più ringrazio le altre dolci fanciulle che hanno recensionato gli altri capitoli, incitandomi a continuare e di questo non smetterò mai di ringraziarvi: ceccia_96, jeeday29, romy2007, petalo_di_cristallo, icesakura. Purtroppo la storia è conclusa è sinceramente un po’ mi dispiace; ma ultimamente mi ronza nella testa una storia che spero vivamente diventi un libro un giorno; metterò anche Rush e Artemisia nel “romanzo”. La storia si chiamerà: Spiraglio di luce ma non so se la pubblicherò, perché non credo che il soprannaturale piaccia molto qui :/ se mai vorrete leggere qualcos’altro di mio c’è Anime gemelle che però è sdolcinata all’inverosimile ed è anche questa sul soprannaturale, ma è la mia preferita ^^’ Manca ancora un ringraziamento, ringrazio di vero cuore tu che leggi e mi hai sopportato nonostante magari ti abbia annoiato. Grazie e un sincero bacio affettuoso da nisa :*

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