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Titolo:The end Personaggi:Harry Potter, Hermione Granger, Sorpresa Generi:Fluff, Introspettivo, Dark Rating:Verde
Capitoli:8
Beta reader: Jaybree, I loveyou Note personali:Questa
storia è stata archiviata nel mio pc per quasi due
anni finché MusicDanceRomance non mi ha “costretto” a
continuarla perché secondo lei aveva tanto potenziale per diventare una bella
storia. Quindi se ha visto la luce, è solo merito suo e ovviamente di Jaybree che l’habetata e mi ha incoraggiato, mettendo a tacere le mie
paturnie.
Vi avviso che sono presenti tematiche
religiose, ma non dimenticate che questa è solo una fanfiction
e che io, roxy_xyz, non cercherò di convertire nessuno. Siamo in un paese laico
e questo è solo un esercizio stilistico, siamo intesi?
Infine, ringrazio come sempre il mio lovvetto per il banner… Lights, sei fantastica!
The end
Ifheaven and hell decide Thattheyboth are
satisfied Illuminate the no's
on theirvacancysigns Ifthere's no onebesideyou Whenyour soul embarks Then I'llfollowyouinto
the dark
(“I willfollowyouintodarkness”- Death Cabforcutie)
I
#Paure
Quando
ero piccola, mia madre mi diceva sempre di non mentire
e di andare in Chiesa per essere una buona cristiana. Tutte le domeniche,
entravo in quel luogo sempre con un misto di timore, perché c’era quell’uomo
che, con lo sguardo, sembrava trapassarmi da parte a parte; sapevo che lui era
a conoscenza delle mie marachelle e non osavo incontrare quegli occhi castani,
così buoni. Temevo che, una volta alzato il viso verso di Lui, mi avrebbe sgridato, urlato contro e scacciata via da casa
sua e io non volevo deludere mia madre.
Avevo
cercato di imparare tutte le preghiere a memoria in modo da non fermarmi mai
durante la messa, non volevo che mia madre si vergognasse della sua unica
figlia. E poi, mi piaceva leggere, anche se quel libro, la Bibbia, era così
strana e piena di creature sovrannaturali che non potevano esistere. Non
c’erano angeli, demoni e profeti a Londra. Era solo un libro scritto da
qualcuno che aveva anche più fantasia di me.
Questo
era quello che pensavo prima di scoprire la Magia in me. Ero una strega, una di
quelle creature magiche, maledette, ricercate e
condannate a morte per la loro stessa natura; una di quelle donne che si
trovano nei libri che ci assegnava le maestre da leggere e che non potevano
esistere.
Ero
arrivata a un punto della mia esistenza in cui non sapevo più cos’era reale e cosa no.
Anche
ora mentre avanzavo in questo vicolo cieco, sapevo che tutto era reale e allo
stesso tempo non lo era. Non esisteva né il Paradiso
né l’Inferno.
Eppure
la terra tremava, e i miei piedi affondavano nel fango. Ce n’era ovunque e
sembrava volermi intrappolare, non lasciarmi andare. La pioggia continuava a
scendere giù e i miei vestiti ormai laceri e sporchi non offrivano nessuna
copertura al freddo. Quando ero piccola, mi bastava alzare gli occhi, fissare
intensamente il soffitto e sperare che Lui mi sentisse, in modo da poter
finalmente dormire senza pensare al mostro che, probabilmente, stava dentro
l’armadio e che non aspettava altro per uscire e divorarmi.
“Cosa?” Mi rivolse uno
sguardo che non mi ingannò neanche per un secondo.
“Lo sai…” continuai.
“È colpa sua, non mia,” si giustificò, alzando pigramente le spalle.
“Sei un adulto di
ventinove anni, però.”
“Dettagli,” disse, prima di dare un’altra gomitata al sedile.
“Harry! Finiscila di
litigare con il bambino… cavolo, sembrate quasi coetanei.”
Mi ero girata verso la
piccola peste in questione: un bimbo di appena sette anni che per tutta la
durata del tragitto non aveva fatto altro che dare calci al sedile, al sedile
dove era seduto Harry per essere precisi. Se non fosse
stato per quella spruzzata di lentiggini sul naso, sarebbe stata la copia
identica di Harry.
La madre sembrava non
vedere il comportamento del figlio; appoggiata al finestrino
osservava le macchine nell’altra direzione, senza rimproverarlo per la
maleducazione dimostrata.
“Solo se la smette
anche lui.”
Improvvisamente provai
un impulso irresistibile e mi avvicinai verso di lui per baciarlo. Avevo
conosciuto Harry quando aveva scoperto il suo ruolo nel Mondo Magico e lui non era mai stato come gli altri ragazzi della nostra età. Non
era stato uno dei tanti adolescenti che preferiva le attività sportive o le
ragazze allo studio, lui era uno di quelli che nell’agenda degli appuntamenti
aveva anche la scritta ‘Sconfiggere Voldemort’.
Come poteva essere come gli altri? No, sarebbe stato sempre
diverso. Da me, da Ron, da tutti.
“Ehi!” proruppi in un
gridolino, quando sentii vibrare il sedile in cui ero seduta. Mi girai verso il
bambino seduto dietro, e dimenticai per un momento di essere io l’adulta,
mentre Harry cercava di soffocare una risata nell’incavo del mio collo.
“Hai ventinove anni
anche tu, Hermione.”
“Dettagli.”
“Hermione,
cara, ce la fai?”
Molly
Weasley non aveva mai smesso di trattarmi come una
figlia, anche dopo la fine della mia relazione con Ron. Non c’erano state urla
o porte sbattute, anzi era stata una separazione così tranquilla e pacifica che
Harry, per giorni, rimase nella convinzione che i suoi migliori amici sarebbe tornati insieme presto.
Dopotutto,
durante i nostri studi a Hogwarts, io e Ron avevamo
litigato tante volte, soprattutto per ragioni stupide e insignificanti. Poi,
era scoppiata la guerra e tutto era successo in fretta. Io. Lui. Un bacio veloce e pieno di passione, e poi una brusca frenata.
Ci trovammo in una situazione in cui ci era concesso
di procedere con calma, a piccoli passi, eppure volevamo correre, agire in modo
frenetico.
Mi
sembrava di voler impazzire di desiderio, volevo
vivere Ron, la nostra storia d’amore e dimenticare tutto. Il più presto
possibile.
Non
dovetti aspettare molto: in poco tempo riuscii a rovinare qualcosa che avevo
sempre desiderato. Mi bastarono sette mesi e una decina di giorni.
“Sei
sicura di non voler venire a cena da noi?”
“Sì, Molly. Sono troppo stanca e ho intenzione di
farmi una doccia e andare a dormire presto.” Sperai
con tutta me stessa che credesse alle mie parole, perché non avevo nessuna
intenzione di andare alla Tana e continuare la mia vita come se non fosse
successo nulla.
“Ho
capito, andrai da Harry come tutte le sere.”
“Ti
prego…” La implorai di capirmi. Come potevo chiacchierare tranquillamente con i
miei amici, quando non riuscivo ad allontanarmi da Harry nemmeno per un’ora?
“Vi
ho sempre considerato come miei figli, lo sai anche tu.
Quando sarai pronta, troverai la mia porta aperta e un piatto caldo.” Sapevo che continuava a preparare la tavola con i nostri
piatti, quello mio e di Harry, come se si aspettasse il nostro arrivo da un
momento all’altro. Non ero la sola a fingere di non
vedere.
“Grazie,” dissi. Dopodiché rimasi sola, come ormai succedeva da
parecchi mesi.
Percorsi
quei pochi passi che mi separavano dalla stanza dove ormai passavo la maggior
parte del tempo e vi entrai. La luce del comodino era accesa e il libro che
aveva iniziato a leggere il giorno prima era ancora accanto all’abat-jour.
Guardai
per un’ultima volta fuori dalla finestra e osservai le minuscole gocce
attaccate al vetro. Non aveva smesso di piovere nemmeno per un attimo, ormai
faceva così da due giorni e sembrava che il sole non volesse più comparire.
Odiavo Novembre, quel mese era capace di mettermi su ancora più angoscia di
quanto già ne avessi.
Presi
il libro e lo aprii là dove avevo piegato l’angolo
della pagina e cominciai a leggere ad alta voce.
Nessuno
interruppe la mia lettura, nessuno. Nemmeno Harry che odiava quel libro.
Quante
volte me l’aveva strappato di mano? Non capiva perché mi ostinassi a rileggerlo
con così tanta frequenza, dopotutto lo conoscevo a memoria.
Non
capiva il mio desiderio di perdermi dentro quel libro, tra le pagine ormai
ingiallite dal tempo, tra le avventure di quella ragazzina spaurita che si
trovava catapultata in un mondo che non era suo e che alla fine arrivava ad
amare più del proprio.
Lo
leggevo di proposito tutti i giorni, speravo che Harry aprisse gli occhi,
sbuffasse infastidito e mi rimproverasse di essere la solita sognatrice.
Eppure
nei miei sogni non c’era lui steso in un letto d’ospedale, immobile, pallido.
In coma. I miei sogni mi erano strati strappati da una donna che non si era
fermata ad un incrocio, che non aveva visto il rosso
del semaforo, distratta dal pianto di suo figlio e Harry si trovava lì per
caso, felice perché aveva finito prima le pratiche e poteva tornare a casa, da
me.
La
morte aveva cercato di prenderlo così tante volte
senza successo che, alla fine, si era arresa all’ineluttabilità degli eventi:
Harry Potter sarebbe morto di vecchiaia.
A
quel semaforo rosso non fu lei a spingere sulla leva dell’acceleratore, perché
non era nei suoi progetti e anche lei si era affezionata a Harry.
Forse
fu proprio Lui a farlo.
Quel
Lui che non avevo più smesso di pregare affinché lasciasse Harry e portasse via
me.
Prendi
me, gli dicevo.
Prendi
me, lascia Harry.
Il
libro cadde per terra. E io con lui.
NdA: Bbbene,
ecco che cominciamo a scoprire qualcosina
in più. Non credevate mica lasciassi vivo o completamente funzionante uno dei
due, vero? Suvvia Harry è in coma, quindi non è morto
e non sta parlando con Melinda Gordon! A parte gli
scherzi, non temete, perché questa storia è un mix di fluff (in ogni capitolo
troverete un flashback romantico) con un pizzico di ambientazione dark, ma è
soprattutto un viaggio dentro Hermione.
Il libro a cui faccio riferimento è in realtà un manga, FushigiYuugi, che narra appunto
le vicende di questa liceale che finisce dentro il libro che sta leggendo e per
il quale si troverà a combattere pur di salvare se stessa e le persone che ama.
Lo A-D-O-R-O! Nelle mie storie c’è sempre un po’ della
passione che nutro verso i manga.
Grazie,
grazie mille per tutto! Ci si legge la prossima settimana quando la suddetta “autrice”
tornerà più abbronzata e felice… saluti da Ibiza!
“Allora,
cosa hai deciso di fare per il tuo compleanno?”
L’avevo
guardato per alcuni istanti, prima di alzare le spalle. Non ne avevo idea, e a
dirla tutta non avevo voglia di festeggiare. Era così importante, dopotutto?
“Mi
piacerebbe passare una serata tranquilla.”
Dalla sua
espressione, capii di averlo sorpreso, eppure mi conosceva sin troppo bene; non
ero una persona che amava le feste, e neanche lui. Eravamo una coppia perfetta nel nostro essere assolutamente asociali.
“Non credo
che i Weasley te lo lasceranno fare.”
“Potrebbero
anche regalarmi un momento di pace!”
Mi aveva
accarezzato la testa, prima di chinarsi e di baciarmi sulla guancia. “Te lo meriteresti. Posso far parte di
quel momento?”
Chiusi gli
occhi, respirando a pieni polmoni la sua vicinanza: era qualcosa capace di
scacciare via ogni pensiero e di rilassarmi, come nessun altro sapeva fare.
Forse solo mio padre era capace di avere quel potere su di me: quando non
riuscivo a prendere sonno e continuavo a rigirarmi sul letto, allora arrivava
lui che mi rimboccava le coperte e mi accarezzava il viso. Un semplice gesto
che però mi rassicurava e mi permetteva di addormentarmi e di sognare, a volte.
“Vieni
qua” dissi, prima di tuffarmi tra le sue braccia. Era così caldo. Così vivo.
Quando ero piccola c'era un solo luogo in
cui mi sentivo protetta e dove passavo la maggior parte del tempo. Mia madre
non capiva il perché di quella strana scelta, lamentandosi del fatto che una
ragazzina della mia età avrebbe preferito la compagnia di un'amichetta e non la
solitudine in una chiesa. Neanche io sapevo bene perché tutti i pomeriggi al
ritorno da scuola mi rifugiassi in quel luogo, piuttosto che in un parco
giochi, forse perché in quel luogo e al cospetto di quell'Uomo riuscivo a
smettere di piangere, fino ad accettare me stessa.
A quell'epoca non avevo al fianco Harry e Ron, e nonostante i
mille sforzi dei miei genitori per farmi sentire amata, non avevo confidenti o
amici.
Hermione Granger era l'unica che non veniva
mai invitata alle feste e ai pigiama party, perché era una secchiona che non
aiutava mai nessuno.
Solo in chiesa riuscivo a calmare la mia tristezza e a fare pace
con me stessa, perché Lui mi ricordava che dovevo solo aspettare e che il mio
tempo sarebbe arrivato.
E così mi sedevo su una delle panche in fondo alla sala e leggevo;
c'era così tanto silenzio che mi sembrava da stupidi
non approfittarne per la cosa che amavo di più.
A casa c'era sempre mamma che cercava di riempire i miei silenzi
con le sue mille domande.
“Com'è andata a scuola?” Come ieri, mamma.
“Ho incontrato la mamma di Liz, domani è il suo compleanno. Vuoi andarci?” Liz mi odia e se anche mi presentassi alla sua
porta, me la chiuderebbe in faccia.
“Che ne dici di fare una passeggiata in centro domani?” Voglio
finire questo libro, scusa.
Mio padre era più comprensivo, forse perché avevamo lo stesso
carattere introverso e capiva il mio desiderio di rimanere sola. Quando le
attenzioni di mia madre diventavano troppo pressanti e fastidiose, mi rifugiavo
da lui che mi mostrava gli arnesi del suo mestiere e mi spiegava come passare
il filo interdentale. Eravamo una coppia strana, però in quei suoi piccoli
gesti mi sentivo davvero felice, non avevo bisogno di parlare o di fare
conversazione perché mi bastava ascoltarlo e imitare i suoi gesti.
Perché una bambina preferiva il silenzio di un'enorme Chiesa? Non
saprei, però fui grata di quei momenti perché potei prepararmi a quello che
successe dopo.
Durante i miei anni a fianco di Harry ero convinta che quel Dio,
quell'uomo così buono che aveva passato i pomeriggi
con me, lo proteggesse sempre perché meritava di vivere.
Forse era per queste mie sbagliate
convinzioni che mi stavo dirigendo verso quel luogo: avevo bisogno di sapere
che cosa era cambiato perché Harry si meritasse di rimanere imprigionato in quello
stato. Non si era già sacrificato abbastanza?
Non
avevo già perso troppe persone importanti nella vita? Non lui, non Harry:
l’unica persona che mi capiva anche senza parlare, che riusciva a entrare dentro la mia mente e a lenire ogni mia sofferenza con un
suo semplice sorriso.
Mi inginocchiai su quel marmo freddo e pregai Dio di
restituirmelo, di smettere di giocare con lui. Non era giusto, no, niente in
quegli anni lo era stato e ora volevamo solo godere quegli attimi di pace.
Volevo
vivere con lui. Svegliarmi al suo fianco e addormentarmi tra le sue braccia,
come in un sogno in cui non avrei mai messo la parola fine.
Perché
Dio era così ingiusto da portare via l’unica persona che io avessi mai amato?
Perché?
Per
la prima volta dopo parecchi giorni riuscii finalmente a piangere, mentre
urlavo al cielo la mia rabbia e la mia disperazione.
Perché
doveva sentirmi e ascoltarmi, avevo preparato il mio discorso ed era
impossibile negare quanto avessi ragione e Lui torto. Perché doveva riconoscere
i suoi sbagli e riportarmelo, altrimenti l’avrei ripreso io. Con la forza e la
mia fede. Non in Lui, ma nell’unica persona che mi aveva salvato la vita senza
neanche conoscermi.
Come
in passato, raggiunsi una delle ultime panche e mi sdraiai alla ricerca di un
po’ di pace o forse, semplicemente perché mi ero stancata di scappare dal
dolore e avevo solo voglia di affogare in esso.
Chiusi
gli occhi, smettendo di scalciare e di graffiare e arrendendomi agli incubi
che, ogni sera, mi torturavano e mi svuotavano di ogni ricordo felice.
Chiusi
gli occhi e chiesi a Dio di portarmi da Harry.
NdA: ed
eccoci al terzo capitolo! Come sempre scena fluff +scena secamentumvenarum, perché altrimenti non sarei la scrittrice sadica
e strunz che voi conoscete e amate (mi amate, vero???ahaha). Dal prossimo capitolo,
scoprirete il motivo di quel “sorpresa” tra i
personaggi della storia. Siete pronti al grande viaggio che ci porterà da
Harry? A giovedì!
A
svegliarmi non fu un mite prete che mi invitava a
lasciare la chiesa, né tanto meno il freddo di quell’ambiente così vasto e poco
riscaldato.
Fu
la sensazione di essere fissata, come se qualcuno non smettesse di guardarmi.
Era qualcosa di fastidioso che mi aveva impedito di continuare a dormire,
spingendomi ad aprire gli occhi e a scoprire chi fosse la persona misteriosa.
Ero
sempre stata una persona razionale che preferiva riflettere a mente lucida e
risolvere i problemi o le difficoltà, però non riuscii a trovare le parole
adatte o la spiegazione più logica per quello che si presentò di fronte ai miei
increduli occhi.
La
chiesa era scomparsa, solo la panca era rimasta e si trovava in mezzo ad un
ambiente ostile e ricoperto da quello che sembrava fango. Allungai i piedi e lo
toccai con la punta delle dita per assicurarmi che non stessi
ancora sognando.
Dove
mi trovavo?
Nonostante
non ci fosse nessuno attorno a me, la sensazione fastidiosa rimaneva sempre lì
e pur non sapendo dove mi trovassi e chi mi avesse fatto quello strano scherzo,
decisi di incamminarmi alla ricerca di qualcuno che
potesse aiutarmi o, almeno, spiegarmi ogni cosa. I miei piedi affondarono nel
fango: era caldo e mi arrivava fin sopra le caviglie.
Come
la cosa più normale al mondo, guardai il sole e decisi di incamminarmi in
quella direzione, dopotutto cosa poteva mai succedermi?
“Devi smetterla, Harry!”
“Di fare cosa?” mi
aveva rivolto uno sguardo innocente, come se non capisse dove volessi andare a
parare.
“Di buttarti a
capofitto in ogni cosa che fai. È
rischioso, ecco.” Mi ero morsa la lingua, frenando le parole che avrei voluto
realmente dire. Sapevo benissimo come Harry ragionasse e si comportasse di
conseguenza, solo che una parte di me aveva paura che, prima
o poi, questo suo comportamento stupido l’avrebbe in qualche modo
danneggiato.
“Sono un Auror,
Hermione e il mio lavoro si svolge sul campo, lo sai benissimo anche tu.” Mi
aveva guardato e stretto le mani prima di continuare. “Non voglio morire, non
quando ho finalmente trovato una ragione.”
“Una ragione?” avevo
domandato senza capire.
“Per tornare a casa e
vivere insieme a te. Non credere che a me piaccia
essere sempre in procinto di cadere e di magari ferirmi. Sì, mi piace mettermi
alla prova e conoscere nuovi avversari, ma nei miei sogni ci sono sempre io che
torno da casa e tu sei lì. A rimproverarmi, magari con un mestolo in mano!”
“Sei uno stupido.” Le
sue parole mi avevano colpito, ma non gli avrei mai dato soddisfazione.
“Vorresti prendermi a
forchettate, forse?”
“Stupido.” Questa
volta il mio era stato quasi un sussurro.
“Questo l’avevo già
capito da prima,” aveva detto Harry dolcemente.
“Scusami, sono una
ragazzina immatura e troppo ansiosa. So benissimo che è il tuo lavoro e che non
puoi sottrarti al dovere, però non posso non fare queste scenate ogni tanto.”
“Hermione?”
Avevo alzato lo
sguardo e incontrato i suoi occhi verdi, pensando che avrebbe messo fine alle
nostre discussioni con uno dei suoi soliti baci.
“Tu non sei una
ragazzina, hai quasi trent’anni.”
“Accio mestolo!”
Se
c’era una cosa che avevo sempre odiato era quello di
non sapere: dove stavo andando? Dove mi trovavo? Avevo camminato per quelle che
mi sembravano parecchie ore, ma il paesaggio attorno a me sembrava sempre il
medesimo e durante il cammino non avevo incontrato nessuno. Solo quando notai
la panchina, capii che non mi ero mossa di un millimetro; per tutto il giorno
non avevo fatto altro che camminare in circolo.
Era
stanca, affamata e il sole era quasi in procinto di tramontare. Temevo quello
che sarebbe successo una volta calata la notte;
nonostante tutti i miei anni a fianco di Harry e Ron rimanevo una ragazzina con
una maledetta paura del buio, soprattutto visto che per la prima volta mi
ritrovavo sola.
Harry! Non sarei potuta
andare a leggere per lui quella sera e non avrei potuto vedere i suoi
miglioramenti, sperare in un miracolo.
Mi
sedetti, completamente esausta, cercando di riposare almeno per
poco le mie gambe stanche. Fu allora che sentii nuovamente quella
sensazione fastidiosa e subito dopo vidi una di quelle persone che mai e poi
mai mi sarei aspettata di incontrare in quel luogo.
Osservai
Albus Silente sedersi con una lentezza disarmante al
mio fianco e sorridermi, prima di offrirmi delle arachidi che aveva nel palmo
di una mano e che stava sgranocchiando, come se fosse la cosa più normale del
mondo.
“Professore!”
“Signorina
Granger, mi sembra che si sia diplomata e che la scuola sia finita. Ne mangi un
po’, sono buonissime! Ho sempre avuto una passione insana per queste cose, ne
divoravo e ne chiedevo a mio fratello sempre tantissime ogni volta che andavo a
trovarlo al pub. Però manca qualcosa …”
“Cosa?”
“Ho
sete e non c’è nulla da bere. Ha qualche bevanda nella sua meravigliosa
borsetta?”
Lo
guardai stralunata, perché non avevo nulla con me, eppure continuava a fissarmi
e ad aspettare una mia mossa.
Guardai
alla mia sinistra e la vidi: la borsetta di perline che mi aveva accompagnato
durante la ricerca degli Horcrux e nella quale avevo
messo veramente di tutto. L’aprii e infilai una mano,
trovando inaspettatamente una bottiglietta d’acqua.
“Ecco,
tenga.”
“Gentile come sempre. Piuttosto
cosa ci fa qui?” chiese, con una punta di curiosità.
“A
dire il vero non so nemmeno dove mi trovo. Che posto è questo?”
“Lo
capirà presto, però non deve temere nulla qua. Quando capirà ogni cosa, potrà
tornare a casa, ma si ricordi che la strada è lunga e che non deve smettere di
credere.”
Quando
Harry ci raccontava dei suoi incontri con il Preside, la parte saccente di me
sbuffava innervosita perché forse Harry non prestava abbastanza attenzione agli
indizi che gli venivano lasciati. Ora invece, mi
ritrovavo nella stessa identica situazione: lui sapeva, ma preferiva non
rivelare la verità, e fare giri e giri di parole per
non dire nulla alla fine. Una cosa davvero irritante! Mi ritrovavo in un posto
sconosciuto e lui mangiava e chiacchierava come se ci trovassimo a Hogsmeade.
“Cosa devo capire, Professore?”
“Carissima
ragazza, ha fatto la domanda giusta, e quando troverà
la risposta potrà trovare ciò che cerca.”
Altro
mistero, altre parole non dette.
“E
cosa sto cercando?”
“Guardi
un altro po’ in quella borsetta, scommetto che troverà qualcosa che non si
aspetta e che l’aiuterà a capire.”
Guardavo
quegli occhi celesti e anche se continuavo a non capire, una parte di me non
poteva smettere di seguire i suoi consigli e di ascoltarlo con assoluta
fiducia.
Controllai
nuovamente l’interno della borsa e ne toccai il fondo: le mie dita sfiorarono
qualcosa di duro, ma nello stesso tempo leggero. Un libro, ne ero assolutamente
certa, solo che quando mi ritrovai a fissare la copertina, capii che non era un
tomo qualsiasi.
Cosa
ci faceva il mio vecchio diario, quello che usavo quando ero ancora una
bambina, dentro la borsa? Non sapevo neanche di averlo ancora, pensando di
averlo messo in uno dei tanti scatoloni quando avevo impacchettato tutti i miei
giocattoli e ricordi di infanzia.
“Ma come…” Alzai lo sguardo per sentire quali parole
enigmatiche mi avrebbe propinato Silente, ma con mia grande sorpresa trovai il
lato della panchina completamente sgombro, come se avessi sognato o immaginato
tutto.
Stavo
forse impazzendo?
Mi
trovavo in un luogo sconosciuto con in mano un vecchio
quaderno dove annotavo tutte le mie paure, i miei sogni e il mio ex Preside mi
aveva confuso ancora di più le idee. Accarezzai le pagine ingiallite, alla
ricerca di un senso, di un perché; non potevo arrendermi, non quando qualcuno
aveva cercato di suggerirmi le risposte che forse avrei trovato alla fine della
mia ricerca.
Ma io, Hermione Granger, cosa stavo veramente
cercando?
Chiusi
gli occhi e desiderai con tutta me stessa di rivedere Harry.
NdA:
Ovviamente se ci fossi stata io al posto di Hermione, dalla borsetta avrei
preso una bottiglietta con spritz! Dai Silly, facciamoci un happy hour come si deve!
Primo personaggio a sorpresa svelato, ma nell’ovetto
roxy c’è ancora tanto da scoprire quindi non temete e
ci ritroviamo sempre qua, con lo spritz in mano, la
prossima settimana.
“Taci,
Hermione! Non portarmi male… prima fammelo superare e poi, ti
dirò che cosa ha intenzione di fare il grande Harry Potter!” mi aveva risposto
facendo il gradasso, ma il tono della voce mi suggeriva quando fosse in realtà
nervoso e preoccupato per il test decisivo che avrebbe fatto l’indomani.
“Dovresti
fidarti delle tue capacità una volta tanto.”
Mi guardò,
rivolgendomi un sorrisetto sghembo. “La fai facile tu.
Sei brillante in ogni cosa che fai.”
“Io passo ore e ore sui libri, mentre tu hai un dono particolare e non hai
bisogno di studiare. Dovrei essere io a invidiare te, piuttosto.”
Era vero, diamine!
Avevo passato così tante notti insonni per la preparazione di un qualche esame,
mentre Harry studiava il necessario, talvolta anche poco ad
essere sinceri, e invece riusciva in ogni materia. Difesa contro le Arti Oscure
era la sua passione e gli bastava poco per essere il migliore all’Accademia.
“Sarai un’ottima
insegnante, lo sai, vero?”
“Penso che sarà una
strada lunga, invece.”
La sua mano aveva
sfiorato il mio viso in una lunga carezza. “Ce la faremo, come sempre del
resto. Siamo una squadra, io e te.”
“Siamo due testoni che
non si arrendono mai.”
“Ben detto, signorina
Granger. Ora che ne dici di accompagnarmi a cena? Ho intenzione di provare quel
nuovo ristorantino messicano e tu verrai con me!”
“Harry, devo rileggere
alcune cose…”
“Non ne hai bisogno.
Hai tutto quello che ti serve.”
L’avevo guardato
scettica prima di replicare. “Ossia?”
“Me.”
“Sbruffone.”
Mossi le labbra in una muta preghiera, desideravo solo una cosa,
la persona più importante della mia vita, e forse mi ritrovavo in uno di quei
sogni, terribilmente reali, ma che si concludono
sempre in fretta. Aprii gli occhi, aspettandomi di ritrovarmi nuovamente in Chiesa, ma nulla di tutto ciò che avevo ipotizzato accadde.
Una spiaggia immensa, ecco dove ero stata catapultata. Non c’era
più traccia di fango o di Silente, ma solo una distesa di sabbia e di mare, e io ero sempre seduta sulla panchina.
C’era qualcuno che si stava divertendo alle mie spalle, facendomi
perdere tempo prezioso.
Sfogliai quel maledetto diario alla ricerca di un indizio, ma non
trovai nulla di importante o comunque di rilevante;
erano solo annotazioni di una bambina che sentiva il peso della solitudine e
che desiderava avere amici, sentirsi amata. Nulla di impossibile,
eppure così lontano dalla sua portata.
Lessi quelle parole, provando la stessa angoscia di un tempo.
Mi ricordai di tutte le volte che ero stata disprezzata dalle
compagne di scuola: troppo intelligente, troppo bruttina per la mia età, troppo
noiosa per giocare con loro.
Troppo e
nulla.
Quando avevo ricevuto la lettera di Hogwarts, mi ero sentita
speciale per la prima volta e avevo pregato con tutte le forze di trovare
amici, magari complici, e di non essere più presa in giro.
Neanche i maghi mi avevano dato un caloroso benvenuto. Sangue sporco.
Quelle parole incise sul braccio bruciavano ancora, tutti i
giorni.
Harry era corso in quel bagno per salvarmi dal Troll di montagna,
eppure avevo scambiato con lui solo poche e futili parole. Nonostante tutto,
lui aveva rischiato la vita pur di portarmi in salvo, perché era riuscito a
leggere in me la sua stessa solitudine. Eravamo due esseri che avevano sempre
vissuto ai margini della società, abituati a vivere soli e ad
essere beffeggiati.
Non avevo mai amato nessuno come lui, anche se mi faceva perdere
la pazienza come nessun altro, a volte riusciva a essere persino peggio di Ron. Era lunatico e quando qualcosa non andava, si
chiudeva in se stesso, evitando tutto e tutti. E se perdeva la pazienza… be’, era meglio lasciarlo solo perché tanto avrebbe passato
la serata a borbottare qualche parola sconnessa per cercare di farsi perdonare.
Dio, quanto le mancava!
“Ha intenzione di rimanere per sempre seduta su quella panchina,
signorina Granger?”
Non sentiva quella voce da tanto tempo e, se aveva trovato
giustificabile la presenza del Preside, ora si domandava che cosa ci facesse il
professor Piton di fronte a lei.
Era come lo ricordava, forse più sereno. Non c’era più traccia di
astio o di fastidio nei suoi occhi, come se avesse dimenticato ogni
impertinenza che era stato costretto a sopportare.
“Lei… qui?”
“Guardi, me lo sto chiedendo anche io.
Vorrei trascorrere il mio tempo in modo migliore, piuttosto che passeggiare per
ore in questa spiaggia e raccogliere conchiglie.”
“Questa spiaggia… cos’è?”
Non mi aveva risposto subito, come se stesse cercando le parole
adatte. “ Credo sia una specie di limbo, ci troviamo a metà strada perché
qualcuno è così ostinato da non arrendersi.”
“Arrendersi a cosa?” domandai, pur sapendo la risposta.
“Alla morte, no? La reputavo più sveglia.”
“Io sono viva!”
“Non sia così egocentrica, oltre che ottusa. Chi mai potrebbe desiderare
di rovinarmi la giornata e rintanarmi in questo posto?”
“Harry?”
Si era avvicinato di qualche passo e seduto al mio fianco. “Perché
sono qui?”
Ero l’ultima persona che avrebbe potuto rispondere al quesito.
“Non lo so.” Cercavo di collegare ogni cosa, di trovare una risposta alle mie
mille domande e la testa sembrava sul punto di scoppiarmi da un momento all’altro.
“Cosa devo fare?”
“Lui è qui, nascosto da qualche parte. Deve trovarlo e riportarlo
indietro.”
“Come?”
“Credo di conoscere abbastanza il soggetto in questione e sappiamo
entrambi quanto sia irritante e ostinato, quindi non
le rimane altro che capire cosa lo blocca qui. Lo troverà e lo riporterà
indietro, così potrò finalmente passare la mia eternità in santa pace senza che
Potter mi rovini ulteriormente l’esistenza. Non l’ha già
fatto abbastanza?”
Il suo tono acido sembrava nascondere molto di più. “È strano che abbia scelto lei per dirmi queste cose. Cioè
ho capito il professore Silente, ma lei… ecco, non
siete mai stati uniti.”
“Strafottente e maleducato, oltre che beatamente ignorante e fiero
di esserlo.”
Per la prima volta in quelle ore riuscii a ridere, perché aveva
dannatamente ragione, ma io non avrei cambiato nulla di Harry.
“Sì, ecco… grazie, Signor Piton. Quindi come faccio a muovervi da qui?”
“Non deve spostarsi, non ne ha bisogno. Pensi ad
un gioco di mimetismo e lo cerchi, sono sicuro che lo troverà facilmente. Addio, signorina Granger.”
E così come si era presentato, se ne andò, lasciandomi nuovamente
sola. Aveva detto che Harry era lì, nello stesso luogo in cui mi trovavo eppure
i miei occhi non scorgevano altro che sabbia e mare. Mi avvicinai alla riva, le
mie mani sfiorarono l’acqua: era calda e piacevole come uno dei suoi abbracci.
Lentamente vi entrai e mi tuffai; se lui era qui da qualche parte
l’avrei trovato nell’unico luogo in cui si sentiva in pace.
Presi un respiro profondo e m’immersi, lasciandomi abbracciare da
quel mare così limpido e tranquillo, come l’uomo che avrei salvato.
NdA: Piton,
guarda quante conchiglie ho raccolto! E non cominciare a lamentarti che ti ho
portato in una spiaggia di Ibiza e non in un paesino sperduto. Tsk, quell’uomo si lamenta sempre!
Bene, se siete arrivati alle note e
state leggendo le mie demenziali uscite, sappiate che
come sempre vi ringrazio e vi do appuntamento alla prossima settimana.
“Ho alcuni
giorni liberi, che ne dici di passarli a mare?” mi aveva proposto in un giorno
di Luglio, uno di quelli in cui il caldo era così opprimente da impedirmi di studiare.
Fissavo la stessa pagina da una decina di minuti e la mia concentrazione era
quasi del tutto evaporata.
“Tra due
settimane ho un esame, Harry.”
“Ma se non
riesci a concludere nulla con questa afa! Dai, devi
rilassarti ogni tanto.”
“Non so…”
Aveva
allungato una mano per afferrare la mia e rivolto il suo solito sguardo, quello
che usava per ricattarmi. A breve avrebbe iniziato la sua solita sceneggiata,
impersonando il ruolo di povero orfanello maltrattato dagli zii e usato tutto
il suo potere persuasivo per convincermi ad andare con lui.
“Perché
non vai con Ron?” chiesi, cercando una via di fuga.
“Non può,
ha da fare con Luna.”
“Quindi,
sono la tua ruota di scorta?” avevo chiesto, un tantino
dispiaciuta che avesse domandato prima a Ron piuttosto che a me.
“Guarda
che è quella a salvarti quando buchi! Io non la sottovaluterei…”
Tipico di
lui, rigirare la frittata e buttarla sul ridere. “Perché non chiedi a Neville,
allora!”
“Impegnato
anche lui.”
Chiusi di
scatto il libro, completamente infuriata. “Bene! Vacci
da solo allora.”
“Sei
proprio ingenua, a volte.”
Avrei
potuto scaraventare quel tomo di incantesimi se solo
lui non si fosse avvicinato bruscamente a me, e poggiato le sue labbra sulle
mie. Erano secche e screpolate per il troppo caldo.
“Non riuscirai
ad addolcirmi con i baci, Potter!”
“Io avevo
in mente altro…”
Riemersi dopo poche bracciate. Di fronte a me non c’era più il
mare sconfinato, bensì una zolla di terra con una piccola casa di mattoni.
Sembrava una di quelle che si vedevano nei libri di
favole; con le sue tendine gialle ricamate e la porta dipinta rossa.
Uscii dall’acqua e m’incamminai verso di essa, decisa a porre fino
a questo strano sogno.
Non ebbi difficoltà ad entrare visto che la
porta non era stata chiusa a chiave, come se qualcuno mi stesse aspettando. Chi
avrei incontrato questa volta? Sirius? Remus?
Il pavimento di legno scricchiolava sotto il peso dei miei passi,
eppure nessuno usciva allo scoperto. Era forse disabitata? No, qualcosa mi
suggeriva che presto avrei fatto conoscenza con un’altra persona importante per
Harry, solo che dovevo aspettare il momento giusto.
Raggiunsi la cucina e mi sedetti su una sedia, guardando con
curiosità ciò che mi circondava. Era davvero deliziosa, curata nei piccoli
dettagli e ben arredata. Per un attimo pensai ci potesse abitare una donna, e
la mia mente corse subito a Lily. Forse era lei che stavo aspettando.
Finché non sentì dei passi farsi sempre più vicini, finalmente
qualcuno si sarebbe rivelato e dato indizi per raggiungere il prossimo stadio.
Ero convinta che elencare tutte le possibilità mi avrebbe aiutata a gestire al meglio l’apparizione del personaggio
misterioso, per evitare di cadere vittima delle mie emozioni.
Le avevo pensate tutte, eppure vidi andarmi incontro una bambina
di circa sette, quasi otto anni che assomigliava terribilmente… a me. Ero io e non lo ero. La mia mente
lucida, quella che mi aveva aiutato sempre durante le difficoltà, si arrese
all’evidenza e accettò il fatto come se fosse la cosa più normale del mondo.
Mi trovavo in cucina con una versione più giovane di me stessa,
solo che sembrava diversa, piatta, senza spessore. Come una foto incollata in
un vecchio album di famiglia.
“Ciao.” Cos’altro potevo dire?
“Ciao. Chi sei tu?”
“Passavo di qui e ho visto questa casa…”
“Bugiarda.”
Il tono che aveva usato mi sorprese molto. “Come hai detto, scusa?”
“Stai mentendo. Io lo so.”
Forse, dovevo usare una tecnica diversa e addolcire il suo astio.
“Vuoi giocare con me?”
“Io gioco sempre sola.”
“Per una volta potresti farlo con me.” Stavo cercando in tutti i
modi di entrare nelle sue grazie.
“Non voglio essere presa in giro.”
“Non lo farei mai.” Potevo provare tristezza e anche un po’ di
compassione verso me stessa?
“Non mi piace giocare, io preferisco leggere e scrivere.”
Le avevo sorriso dolcemente. “Ah sì? E cosa scrivi?”
“Parlo di lui nel mio diario.”
“Lui
chi?” avevo domandato con una punta di curiosità.
Si
era avvicinata ad una delle sedie e vi si era seduta,
cominciando a pettinare una bambola che si trovava sul tavolo. “La persona con
cui parlo spesso e che mi dà sempre consigli.”
“Un
tuo amico?” chiesi ancora.
“Non
ho amici io. Lui sta sempre con me ogni pomeriggio e non mi prende in giro
quando gli racconto quello che mi succede a scuola o casa. Lui
sa cosa provo.”
Con
molta calma si era alzata e aveva preso un libro, o qualcosa cui assomigliava e
si era avvicinata a me. “Gli scrivo tutti i giorni, poi vado da lui e gli leggo
ogni cosa.”
Non
sapevo cosa dire, la mia testa sembrava sul punto di scoppiare. Perché in
questo limbo, se limbo era, c’era la mia versione ed
era così reale? Non avevo mai raccontato a Harry della mia infanzia, né tanto
meno gli avevo mostrato il mio vecchio diario.
Nessuno
l’aveva letto, neanche mia madre visto che l’avevo
custodito gelosamente fino ad mio ingresso nel mondo magico, e poi protetto con
un incantesimo per evitare che qualcuno potesse aprirlo e quindi leggerlo.
Perché
mi trovavo con una giovane Hermione? Silente mi aveva detto che dovevo capire e
che solo allora avrei trovato ciò che cercavo. Guardavo me stessa e mille idee
giravano vorticosamente nella mia testa, senza però trovare una soluzione
all’enigma.
“Hai
mai provato a confidarti con tua madre?”
“Lei non capirebbe, è diversa. Lui sa, mi conosce
e, a volte, non ho bisogno di parole. È come se lui fosse dentro di me e
sapesse ogni cosa. Lui mi guarda e mi ascolta in silenzio, e ho capito.” Aveva terminato di parlare, rivolgendomi un timido dolce
sorriso.
“Capito cosa?” era stata la mia domanda, più che legittima.
“Non
sono sola. Lui ci sarà sempre per me. Sempre.”
Guardavo
me stessa bambina e potevo sentire l'enorme fiducia che provava verso Dio,
quegli stessi sentimenti che avevano fatto parte della mia vita per molto
tempo, prima dell'arrivo di quel giorno e della caduta di ogni mia
speranza nel rivedere Harry al mio fianco. Anche se i dottori continuavano a
ripetere che c'era ancora possibilità di recupero, anche se minime, io non
riuscivo più a credere alle loro parole, non volevo illudermi per poi
svegliarmi un giorno sapendo che non avrei più sgridato quel testone del mio
ragazzo.
Mi
sentivo completamente sola, come se Lui avesse messo i paraorecchie e si fosse stancato
di quella strana bambina divenuta ora una donna vuota, priva di fede e
speranza.
“Neanche
tu lo sei,” mi aveva detto, leggendomi nei pensieri.
“Scusa?”
dissi incerta, curiosa di conoscere la sua risposta.
“Non
sei sola, il mio amico mi ha detto di dirti di non
arrenderti e che presto tornerai a sognare.”
Il
suo amico? No, io ero quella razionale, non potevo farmi trascinare
dalle emozioni e ascoltare una mia versione giovane quando mi ritrovavo in una
specie di limbo. Dovevo rilassarmi e pensare a ciò che era reale e tangibile.
Aprii
gli occhi e rividi lo stesso ambiente di prima, una casa che non esisteva su
una spiaggia in cui avevo incontrato poco prima il mio ex
Professore di Pozioni deceduto.
“Smettila
di pensare. Se aprirai quella porta troverai ciò che
cerchi.” disse, indicando quello che doveva essere l'ingresso in una delle
stanze. “Va' da lui e riportalo a casa.”
Come
una marionetta, seguii i suoi consigli: abbassai la maniglia ed entrai.
E
caddi nel vuoto.
NdA:
Questa volta niente spritz e niente passeggiate in
riva al mare, anzi molta introspezione di Hermione per capire meglio il
personaggio. Ho voluto inserire una Hermione piccina per spiegare meglio cosa doveva capire prima di andare a recuperare Harry.
Spero di non avervi confuso le idee ma era necessario questo colloquio tra le due Hermione e bisognava riprendere il
diario e spiegarlo, altrimenti la sua introduzione nel capitolo con Silly sarebbe stata inutile e confusionaria.
Ora che siete arrivati vicini vicini ad Harry, siete ancora convinti che sia solo
un sogno?
“Hai ricevuto posta?”
Harry era entrato in cucina e mi aveva trovato seduta e con una lettera in
mano.
“Si
e no,” avevo risposto.
“Hermione
l’enigmatica!” aveva scherzato lui, cercando di capirne di più.
“È un invito di
matrimonio da parte di una mia ex compagna di classe.”
“Hai intenzione di
andarci?” mi aveva chiesto, con un pizzico di curiosità.
“A dire il vero la
odio e lei odia me. Non capisco proprio perché me l’abbia
inviato.”
Era vero, Loren Steel
aveva reso quegli anni odiosi e terribili, mettendomi in imbarazzo quasi ogni
giorno e trovando ogni pretesto per ridicolizzarmi e sottolineare
quanto fossi una nullità rispetto a lei.
“Quando si sposa?”
Guardai Harry per
capire quali fossero le sue intenzioni. “Domani. Perché?”
“Perché ci andremo e…”
“Non se ne parla
neanche, Harry!” Non avevo intenzione di presentarmi alla cerimonia, come se in
passato non fosse successo nulla. Lei non era una mia amica e
io non ero una persona ipocrita.
“Potresti avere la
possibilità di vedere cosa vuole, sapere il motivo dell’invito. E poi, serbare
rancore non serve a nulla.”
“Harry il pacifista!”
La mia replica non
aveva fatto altro che suscitare la sua ilarità. “Non nasconderti,
Hermione. Tu sei splendida, mostrati anche agli altri. Il bello di essere
adulti è proprio questo: quei maltrattamenti, quella solitudine, quegli anni ci
hanno resi più forti e siamo quello che siamo grazie ad una Loren o a un
Dudley. È tempo di andare avanti e poi…”
“Cosa?”
“Scommetto che è
diventata una cicciona e non ha un lavoro!”
“Ti sbagli, è sempre
bellissima e ha aperto uno studio medico. I
soldi le sono sempre piovuti addosso.” Mia madre mi aveva tenuto aggiornata su
ogni cosa, anche sulle notizie meno rilevanti.
“Oh, avanti Hermione! Noi ci andremo, la saluterai e poi ci dirigeremo verso il buffet.”
“Cosa?” L’avevo
guardato stralunata, sperando di aver sentito male.
“Mi tieni a stecchetto
da un mese… ho fame, muoio di fame.”
“Sei incredibile, Harry.”
“Lo so, incredibilmente
sexy.”
“Mi hai convinto,
domani andremo alla cerimonia.”
“Ti sei arresa, eh?”
“No, è che non abbiamo
nulla in frigo e ora non ho proprio voglia di andare a fare la spesa.”
“E di cosa hai
voglia?” Il suo tono di voce era improvvisamente cambiato.
“Baciami e dimmi che
sono bella, anche se indosso una vecchia tuta e ho i capelli disastrosi.”
“Aspetta che tolgo gli
occhiali, allora…”
Harry
era lì, davanti a me, seduto sulla spiaggia e intento a giocare con la sabbia.
Non
riuscivo a credere ai miei occhi e per un attimo pensai che fosse un altro
gioco di illusione, dopotutto lui si trovava su un
letto di ospedale. Fu solo quando mi vide e mi sorrise che capii quanto fosse
stupida e limitativa la mia logica. Lui era lì, davanti a me e
io non smettevo di farmi domande inutili e che non sarebbero servite a nulla.
I
miei piedi si mossero da soli e presto mi ritrovai a correre. Harry. Harry. Harry!
Mi
avvicinai e, istintivamente, allungai le mani verso il suo viso. Era così
pallido e magro, lontano dall’essere quell’uomo massiccio e forte che adorava
prendermi in giro.
“Harry?”
“Cosa
ci fai qui, Hermione?”
Non
mi aspettavo la banda o il tappeto rosso, ma neanche quella freddezza nei miei
confronti. “Ti stavo cercando.”
Mi
aveva guardato ancora una volta prima di alzarsi e di allontanarsi da me, e io ero scattata in avanti, temendo di perderlo quando
finalmente l’avevo trovato.
“Fermati,
ti prego!” Le mie dita si era strette intorno al suo
polso.
“Non
hai pensato che forse non volevo essere trovato?”
Cosa stava dicendo? No, quello non poteva essere
lui. Non l’uomo che aveva sempre lottato per il bene e che aveva deciso di
tornare indietro quel giorno a King’s Cross.
“Non
capisco…”
“Dimenticami, Hermione. Sarebbe il tuo più
grande affare.”
Sentii
il sangue salirmi alla testa e le mie unghia
graffiarono la sua pelle. “Non potrei mai farlo, tu sei la mia vita e lo sai
benissimo. Vieni con me.”
“Vattene via. Nessuno ti ha chiesto di venire e di
salvarmi, come in una di quelle stupide favole.” Si era
liberato della mia presa e continuato a camminare sempre più velocemente.
“Sbaglio o stai scappando da me?
“Hai
sempre avuta troppa immaginazione. Non ne ho passate
già abbastanza? È così strano che io voglia solo dormire? Lasciami
in pace, ti prego.”
“No!”
“Hermione,
svegliati e torna a vivere.” Non l’avevo mai sentito così arrendevole, neanche
quando su quella rampa di scale decise di lasciarmi indietro, perché lui si
sarebbe sacrificato per tutti e non avrebbe permesso a me, come a nessun altro,
di morire al suo posto. Non più. Era tempo di morire per Harry Potter. Come
ora, su quella spiaggia infinita e desolata.
“Non
ce la faccio, ho bisogno di te,” ammisi in un soffio.
“Non
è vero, sei sempre stata tu la più forte, la più intelligente. Senza di te, sarei morto al primo anno.”
“Smettila di dire certe scemenze! Non credi veramente
alle cose che dici, giusto? Io, te e Ron siamo sempre
stati una squadra. Senza di te e Ron sarei morta per mano di quell’enorme Troll
di montagna che voi avete affrontato con uno degli incantesimi più innocui e
che, per giunta, non riuscivate ancora a padroneggiare bene. Non è questione di
chi-ha-salvato-chi, ma di quanto siamo
importanti l’uno per l’altro. Io ti amo Harry Potter e da quando sei su quel
letto di ospedale io ho smesso di vivere. Tu sei la
mia unica ragione per andare avanti e per non gettare la spugna.” Avevo urlato, come non mi succedeva da tanto, messo a nudo
ciò che avevo cercato di nascondere agli occhi di Molly e di tutti i miei
amici. Io non volevo vivere senza di lui, senza l’unica persona che mi faceva
sentire speciale.
“Tu
sei Hermione Granger e so che non ti arrenderesti per nessuna ragione al
mondo.”
“Invece sì! Perché io non sono sempre stata così,
mi hai reso tu forte e testarda… io sono ancora quella bambina brutta e magra
che non risponde agli insulti delle sue compagne di classe.”
“Non
c’è più nessuna Loren Steel a torturarti.”
“Hai
ragione, ora ci sei tu.”
Aveva
cominciato a torturarsi i capelli, un gesto che faceva solo quando era nervoso.
“Perché
non capisci, Hermione? Troppe volte ho rischiato di
morire, troppe volte hai sofferto per me. Io non ti merito, ecco.”
“Se
c’è una persona di cui mi sono sempre fidata, sei tu,
Harry. E questa maledetta spiaggia non segnerà la tua fine. Oh sì, ti impedisco di passare la vita qua, come un eremita insieme
a Piton e a parlare di cose senza senso con Silente!”
“P-Piton? Silente? Cosa stai
dicendo?”
Puntai
l’indice contro il suo petto. “ Tu, mio caro, passerai la vita con questa
brutta megera e ti proibisco di arrenderti proprio ora, altrimenti…”
Era
comparso un piccolo sorriso sul suo viso. “Cosa?” “Leggerò tutte quei romanzetti rosa, seduta al tuo capezzale.
Sappilo, Harry Potter, perché Voldemort
ti sembrerà poco pericoloso rispetto a me!”
Il
sorriso era sempre più ampio. “Cosa devo fare con te?”
“Amarmi
e restare con me.”
Avevo
allungato la mano, in attesa di una sua decisione che forse avrebbe segnato per
sempre la mia vita, chiedendo a quell’uomo così buono di farci
tornare a casa. Insieme.
“Vieni
con me, Harry Potter.”
NdA: Che dite, farà la solita vittima
o alzerà il suo bel culetto per andare con Hermione? Se c’è una cosa che odio
del suo personaggio è proprio questa sua presunzione nel credere che le persone
starebbero meglio senza di lui e che nessuno dovrebbe sacrificarsi per lui. Matricella, che nervoso mi fa venire! Comunque, spero che
anche questo capitolo vi sia piaciuto e che non lancerete pomodori verso la
sottoscritta.
Visto che
il prossimo giovedì sarò un tantinello impegnata, l’ultimo
capitolo sarà pubblicato martedì 17.
A prestissimo!
“Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo.”
(Vangelo
secondo Matteo 28, 19 – 20)
Ero stata una bambina anche fin troppo
remissiva, avevo sopportato insulti senza mai ribellarmi, perché credevo di
essere io in difetto e che gli altri avessero ragione.
Per molti anni avevo pensato che mia madre si
vergognasse di avere una figlia come me, fino a quel giorno in cui, per la
prima volta, mi ero sentita speciale. Ero una strega e
io, ingenua come sempre, avevo attribuito le mie sofferenze proprio a quella
diversità. Erano gli altri che non capivano e per questo non riuscivano a
vedermi realmente. Io non ero inferiore a nessun altro e avrei voluto gridarlo
al mondo.
I miei genitori mi guardavano e sorridevano,
non scappavano e non urlavano “al mostro”, perché per loro ero sempre stata
perfetta e troppo intelligente per gli altri.
Quanti bambini preferivano la solitudine di una
Chiesa e un vecchio libro di storie ai giochi di un parco insieme ai propri
coetanei?
Avevo dovuto aspettare il mio incontro con
Harry per vedere le cose in maniera nitida: non c’erano più i dispetti di una
Loren Steel o i mancati inviti per dei compleanni, tutto era più grande, più
complicato. Io mi sentivo una formica che cercava di
non essere calpestata e che si affannava per sopravvivere, per evitare quelle
grandi ombre che volevano solo dire la fine di tutto. Finché lui con un gesto
della mano, le aveva scacciate, facendo fare capolino a un timido sole e mi
aveva mostrato che non bisognava temere nulla, se si ha fede
in qualcosa. Non solo in un’entità superiore, ma nelle persone, quelle stesse
che ci avevano rifiutato durante la nostra infanzia, perché c’era del buono in
ognuno di noi.
Ron mi aveva chiesto un giorno perché Harry
avesse salvato DracoMalfoy
nella Stanza delle Necessità e messo in pericolo le nostre vite. Lui non aveva
mai capito il perché; per troppi anni aveva sentito insulti sulla sua famiglia
lungo i corridoi di Hogwarts.
Come poteva perdonare Draco,
quando suo padre aveva messo con noncuranza uno degli Horcrux
nel cestino di Ginny, mettendola in pericolo?
Eppure Harry non aveva esitato un attimo ad
allungare la mano verso quel ragazzino che non aveva fatto altro che insultarlo
e gioire delle sue sofferenze.
Io e Ron non saremmo mai come lui, capaci di perdonare e di mostrare pietà verso
il Male stesso e di continuare a sorridere.
L’avevo sempre reputato forte per me, per Ron,
per tutti noi, ignorando quanto invece fossimo noi i suoi pilastri e che da
solo non era altro che un bambino costretto a passare le notti in un
sottoscala. Avevo camminato lungo i labirinti della sua mente, alla sua ricerca
e trovando alla fine anche me stessa.
Io ero Hermione Granger, quella timida bambina
seduta in fondo alla navata di una Chiesa, e non me ne sarei mai andata senza
l’unica persona che mi aveva insegnato ad amare. Sarei uscita dall’armadio e
affrontato le creature mostruose per portare in salvo il mio principe azzurro e
vissuto con lui per sempre, felici e contenti.
Perché nelle storie dei miei libri avevo
cancellato la parola “fine”, nessuno mi avrebbe detto come concludere
la mia favola.
Perché l’avremmo fatto io e
Harry, insieme.
“E allora Jack si avventò sulle sue labbra,
succhiandole e mordendole”
“È per caso un Dissennatore?”
“Stai zitto, Harry! Come poteva
resistere al candido fascino di Katherine e continuare la sua solita e
ordinaria vita?”
“Io non mi faccio tutte queste paturnie mentre bacio!”
“No, perché lei era e sarebbe stata la sua unica ragione di
vita.”
“È un malato terminale?”
“Lei era l’aurora e il tramonto, non avrebbe più chiuso gli
occhi senza prima fissarne l’immagine di cotanta
perfezione.”
“Hermione Granger, chiudi quel maledetto libro!”
“No, voglio torturati un altro po’”
“Hai tutta la vita per farlo.”
NdA: E con questo mettiamo la parola
fine, o meglio “the end”, anche a questa mia storia. Non sarà l’ultima perché ho sempre voglia di scrivere qualcosa sulla mia coppia
preferita, è più che altro una questione di tempo e di volermi cimentare anche
con altri fandom.
Spero che
questo finale aperto vi piaccia lo stesso, anche se visto che
Hermione sta leggendo un romanzetto rosa sappiamo che si trova al suo
capezzale, come lo aveva minacciato, e che quindi Harry è uscito dal coma. Un
happy ending come promesso!
Tengo
molto a questa storia perché ho messo me stessa in Hermione e forse, molti di
voi se ne sono accorti, quindi spero di non avervi deluso.
Ringrazio
tutti coloro che mi hanno seguito e recensito come Natsumi, Lights, Kia, Bea,Tennant,
Spettinato e ovviamente Jaybree e MusicDanceRomance,
le persone che mi hanno incoraggiato a pubblicare.
Alla
prossima storia… magari una bella commedia, eh?