Oltre lo Specchio

di Bellis
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** La Sfida ***
Capitolo 3: *** The Path of Excess ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Oltre lo Specchio

Note dell'Autrice:
- Questa storia della quale sto iniziando la stesura e' dedicata ad una persona che mi ha dimostrato immensa ed immediata fiducia, in un modo che non avrei mai potuto nemmeno immaginare.
Anche se probabilmente non leggerai mai questo brano, Danuta, perche' l'Italiano non e' la tua lingua madre, dedico a te questo frammento di romantica, totalmente illusoria, immaginazione. E faro' del mio meglio.
- Ora che ho terminato la fase della dedica :D Vorrei pregare il Lettore di recensire, perche' necessito di apprendere ancora molto sulla via della scrittura.
Ringrazio inoltre chiunque si prenda la briga di seguirmi nelle mie elucubrazioni folli.
- Un'ultima nota: il rating. E' Arancione non perche' io voglia descrivere scene di violenza fisica (non riuscirei mai, heh). Forse il Lettore se ne rendera' conto, il mio sara' un tipo di narrazione introspettivo e ansioso, secondo me non adatto ad un Pubblico giovanissimo. Critiche e consigli sempre ben accetti! :D

Ho terminato? Si'. Allora...
Buona Lettura!

Prologo

L'uomo appoggio' le spalle ossute alla paratia liscia e levigata, fredda di metallo, grigia, scarna.
Quasi gli sembrava di aver perso la capacita' di percepire i colori.
La penombra, i colori opachi della stanza, l'immobilita' stagnante dell'aria, tutto gli confermava l'impossibilita' attuale di appagare la propria vista con brillanti e vivaci tonalita'.

Rabbrividi', mentre piegava il capo a destra ed a sinistra, metodicamente, ritmicamente, le braccia rigide e dure, distese contro i fianchi.
Non riusciva a rammentarsi da quanto tempo si trovasse li'.
Sapeva, e questa convinzione era profondamente radicata nel suo animo, che stirare i muscoli del collo lo avrebbe aiutato a calmarsi e a ritrovare la concentrazione.

Ispeziono' con lo sguardo la stanza piccola e rettangolare.
Una branda dagli angoli appuntiti, priva di materasso o imbottitura di sorta. Un basso tavolinetto circolare, un bicchiere esagonale vuoto. Le pareti nude ed essenziali, forme senza colore e senza vita, linee scure, confini di un piccolo mondo inesplorato, oltre i quali la mente dell'uomo non poteva giungere.
Levo' le iridi chiare verso l'alto. Sul soffitto tetro, una finestrella squadrata, tripartita, fiocamente illuminata.

Un brivido freddo di orrore corse lungo la sua schiena.
Un flash doloroso ed immediato gli attraverso' i pensieri stanchi e rattrappiti, le palpebre calarono, debole scudo dell'intelletto umano.

Mosse qualche passo innanzi, comandando inconsciamente e strenuamente alle proprie ginocchia di non tremare e di reggere il peso del corpo.
Giunta al centro della stanza, la figura allampanata si fermo'. Evitando accuratamente il contatto visivo con la fonte di luce, l'uomo passo' la mancina sulla manica viscida e sterile della tuta leggera che lo vestiva. Abbasso' lo sguardo verso le scarpe plastiche e uniformemente nere.

Si sentiva svuotato, derubato della propria intimita' vitale, privato di quell'ombra che costantemente bisbiglia all'orecchio interno dell'anima: sei vivo, hai un passato, puoi contare su un'esperienza.
Inquieto, stordito dal freddo dell'aria immobile, poso' distrattamente lo sguardo vacuo su un ampio Specchio.
Esso copriva quasi interamente la parete di destra, riflettendo l'angusto spazio della stanzetta.

Un singulto scosse il petto magro dell'uomo, mentre le pupille si focalizzavano sull'immagine delineata nello Specchio...
La superficie liscia e cristallina mostrava un interno ligneo, con pesanti travi saldamente unite a formare un soffitto pendente. Un comodino dalle linee smussate affiancava la testata lucida di un confortevole e soffice letto a castello. Una tazza di porcellana era appoggiata su un piattino decorato. Luce tiepida inondava l'ambiente, una tranquillizzante armonia di colori.

Un turbinio di emozioni, di ricordi, di sensazioni si fece strada nel suo cuore, e lo strazio'. Prima che se ne potesse render conto, egli era in ginocchio di fronte allo Specchio, come un pellegrino dinanzi alla sacra reliquia.

I minuti passavano, scorrevano imperterriti attraverso il suo dolore, incuranti, insuperbiti dal loro compito distruttore. Poche fredde lacrime scorsero sulle guance pallide dell'uomo, mentre la sua fragile corporatura ondeggiava per la violenza dei singhiozzi.
Lo Specchio non restituiva lo squallore della sua immagine derelitta. Un bambino pregava inginocchiato di fronte ad una sediola, un libro di dottrina aperto dinanzi, le labbra lievemente schiuse, il visino paffuto atteggiato a leggera ed inevitabile noia, compreso tuttavia di una solennita' dolce ed infantile.

Le ore trascorrevano implacabili, e l'uomo trovo' la forza di trascinarsi alla branda. Dormi' d'un sonno interrotto ed agitato.
Fu risvegliato dallo stridere di una porta metallica che si apriva. Scatto' in piedi reggendosi come pote' ai bordi taglienti del giaciglio sottile.

Sono venuti anche oggi. Vengono sempre, penso', il concetto divenne chiaro nella sua percezione mentale con qualche difficolta', ed il suo significato complessivo sfuggiva alla confusa comprensione del risveglio.

Due paia di occhi lo osservavano.
L'uomo mantenne lo sguardo basso, rivolto a quel bambino che poteva scorgere ancora li', inginocchiato, eternamente immobile. Solo, le labbra si muovevano piano, sillabando l'arcaico linguaggio della devozione.

"Buongiorno." disse una voce. L'uomo non si curo' di verificare se provenisse da una delle due figure che lo sovrastavano. "Il suo questionario di oggi. E' sempre il medesimo, vede."

Le mani ossute dell'uomo si intrecciarono, nervose e sudate, dietro la schiena, gli occhi chiari non volevano discostarsi dallo Specchio.

"La finestra della sua stanza." La voce parlo' ancora, "Quante sezioni puo' vedere?"

Ribrezzo e disgusto assalirono l'uomo. Repulsione nei confronti di quella sfocata e malefica fonte di luce. Non vi rivolse nemmeno la propria attenzione.
Rimase immobile.

"Quante sezioni puo' vedere?" ripete' la voce, marcando le parole, con accento di impazienza. Ad un rapido e piccolo movimento delle due figure, l'uomo indietreggio'.

Deglutendo il proprio stesso orrore, mentre il cuore crudele faceva balzi nelle vicinanze dello stomaco, riusci' a sollevare per un istante il volto, solamente per avere la conferma materiale della quale non aveva bisogno, "Tre." proferi' timidamente.

"Guardi bene." incalzo' la voce, ora secca e dura, minacciosa, "Guardi bene. Sono quattro sezioni, giusto?"

Qualcosa di bollente e selvaggio si risveglio' nell'animo annichilito dell'uomo. Un frammento di ricordo, una rabbia repressa ed interna. Non pote' trattenersi.
"Tre." ripete', senza nemmeno alzare gli occhi, ritornando al fanciullo chino, "Sono tre."

"Sono quattro. Guardi, almeno. Sono quattro." l'eco rimbombava sulle pareti metalliche. Una figura aquilina si sposto', portando il suo camice bianco ad interporsi tra lo Specchio e l'uomo.
"Quattro." ripete'.

L'uomo strinse i pugni, boccheggiando nell'odio e nell'agitazione che lo permeavano tutto.
"Sono tre. TRE! SONO TRE!" grido', spaventato in parte dallo stesso tono distorto e roco del suo urlo sconnesso.

"Molto bene." la voce era sprezzante e maliziosa.

Vide le due figure avanzare contemporaneamente verso di lui, avverti' una lieve pressione sulle spalle e sulla gola.
Quindi ogni cosa fu inghiottita dall'oscurita'.

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Capitolo 2
*** La Sfida ***


Note dell'Autrice:
Eccomi nuovamente, col primo vero capitolo di questa fanfiction! Vorrei innanzitutto ringraziare, con tutto il cuore, coloro che hanno letto il Prologo, e che si son presi l'arduo incarico di intorcinarsi un poco i pensieri con le mie descrizioni.

Quindi, passando a chi mi ha lasciato delle Recensioni:

- francy91: sì, hai ragione :S Dovrei veramente usare le lettere accentate. Il motivo della mia negligenza è che... ho usato per diversi anni una tastiera Inglese, alla quale gli accenti erano fieramente sconosciuti. Ho provato a darmi una regolata, forse mi è scappato ancora qualche apostrofo, mi affido alla tua acuta vista :D (Povera te che mi hai recensito, ghgh).
Sono comunque molto contenta che tu voglia seguire l'evoluzione di questa folle trama, e ti ringrazio (arrossendo) per i complimenti. Grazie! :D

- AnAm: AnAm mi recensisce di nuovo *__* Grazie mille per il tuo commento sempre semplice e sincero, tuttavia profondo, mi fa un piacere enorme. Certo che continuerò a seguirti e a lasciarti commenti di volta in volta, e aspetto con ansia la tua fic sui Rammstein che la tua mente sta ponderando :D
Lo so, il mio stile è - ed è sempre stato, purtroppo - contorto, ho cercato molte volte di ovviare, specialmente troncando le frasi (cerco di scrivere sempre periodi più corti, finirò col ridurmi a soggetto-predicato-complementooggettoseproprioserve... ghgh). Comunque spero di ricevere ancora da te commenti e consigli. Grazie! nuovamente per le bellissime parole :D
(Ah, piccolo commento che non c'entra niente :S Ho avuto qualche difficoltà col tuo indirizzo email, spero che almeno una delle prove che ho fatto ti sia arrivata, se poi sono arrivate tutte... ehm :D)

- Fefina: mi hai fatto arrossire :D Veramente, quando ho letto la tua recensione il mio Ego si è tutto compiaciuto, anche perchè leggere le tue storie per me è stato un vero piacere, e sono contenta che tu abbia una così buona opinione di me. :D Spero vivamente che continuerai a darmi qualche impressione dei nuovi capitoli, per sapere se continuo ad essere all'altezza della tua stima :)
L'uomo senza nome e senza passato presto risolverà il suo mistero, vedremo se riuscirà a 'sfondare lo specchio'. :D

Detto ciò, ...Buona Lettura.

Capitolo I - La Sfida

Jono piombò nella veglia di soprassalto, ansante, tremante.
Sollevò una mano fiacca ed intorpidita, portandola lentamente a toccare la fronte e gli occhi, come volendo accertarsi che quella fosse la realtà, non un surreale proseguio del suo sonno agitato.
Toccando le coperte avvoltolate e madide di sudore caldo, si levò a sedere, guardandosi intorno nel buio completo. Passò le dita della mancina tra i capelli scarmigliati e, quasi inconsapevolmente, alleggerì il proprio respiro, moderando i movimenti, col chiaro intento di produrre meno rumore possibile. Gli bastò un istante per capire di non esser stato sufficientemente cauto.

"Sei nuovamente sveglio." una voce robusta, vetusta, e notevolmente assonnata proruppe improvvisamente.
Non molto lontano, alcuni oggetti furono bruscamente scostati, producendo vari tintinnii di ogni sorta. Una piccola fonte fotonica fu accesa, una lampada da campo a basso consumo.
Una rapida occhiata intorno rassicurò alquanto la mente agitata di Jono: le pareti della tenda, marroni e lisce, riflettevano la luce fredda e fioca in disordinati sprazzi di un nocciola più chiaro.

L'altro non rispose alla domanda retorica.
Si limitò a scrollare le spalle ossute ed esili, gli occhi grigi che evitavano di incontrare il viso chiaro di Dajil.
Il mio amico Dajil. Sempre preoccupato, sempre paterno, sempre vicino.
Mentre le sopracciglia nere e sottili si avvicinavano, ed una lieve ombra di sospetto si faceva strada nell'animo di Jono, la sua figura sottile e fragile rotolò sino ad assumere una posizione prona. Strisciando come potè attraverso il claustrofobico ambiente della tenda, raggiunse la chiusura magnetica che sigillava la zona termocontrollata, la sbloccò, uscì.
Accolse con sollievo il pungolo dell'aria fredda sulle braccia nude.

Ruotò lo sguardo a scrutare l'orizzonte, come un antico marinaio che annoti mentalmente la posizione delle stelle.
Percorse la pianura brulla, illuminata fiocamente dalla luce riflessa del Gemello, la grande luna: spoglia, priva di vegetazione più alta o più robusta di un cespuglio secco.
Giunse a contemplare l'altezza maestosa del Monte, ammasso roccioso imponente dalla vetta ancora inesplorata ed invisibile allo sguardo, avvolta nelle nubi rossastre.
Inspirò la sottile e povera aria del suo Pianeta. Nuova Gea, meno di un milione d'abitanti. Un mondo di pionieri, di coraggiosi. L'ultimo avamposto della civiltà Umana nella Galassia.

"Lyre è molto preoccupata, sai." Jono quasi sobbalzò nell'udire improvvisamente il timbro scuro della voce dell'amico. "Tua moglie è spaventata da questo sogno ricorrente a causa del quale soffri."

"Te lo ha detto lei?" ribattè bruscamente il più giovane, sollevando il mento e fissando le iridi chiare e penetranti sul volto cinereo dell'amico. Vide i suoi occhi scintillare nell'opacita' uniforme della pelle.
Senza aspettare una risposta, chinò il capo con un lieve sospiro.
"Certo, te lo ha detto lei. Se avessi una madre, Dajil, probabilmente non potrebbe essere più onnipresente ed onnisciente di Lyre." le labbra pallide si incurvarono in un amaro sorriso.

"E' solamente ansiosa di assicurare la tua salute." fu la tranquilla replica.

Il silenzio, la quiete assoluta senza fine dello Spazio! Quel vuoto che pare penetrare nell'animo rendendolo pacifico ed inerte!
Jono poteva avvertirlo, lo permeava, si insinuava in ogni centimetro del suo essere e della sua percezione.
"Già." esalò, rilassando la muscolatura delle spalle ed assumendo una postura più rilassata.

Una pausa, un turbinio di pensieri intricati che lasciavano posto ad una pace assoluta e corroborante.
"Eccolo lì, Dajil. Il Monte. La nostra sfida." con un ghigno scherzoso si volse alla massiccia figura dell'amico. Sollevò le sopracciglia nere ed annuì ripetutamente. "Cosa diranno i Terricoli, quando avranno i risultati della nostra spedizione?" il tono si era fatto sottilmente canzonatorio.

Dajil non rispose, mantenendo il suo paziente sguardo posato sul volto del giovane.

Vermi di terra, pensava Jono, sprezzante ed infastidito, credete forse che due pallidi Esterni non possano scalare la vetta più alta della Galassia? Credete di avere l'esclusiva dell'Esplorazione? Certo non siete stati voi a fondare e terraformare le prime Colonie, avete lasciato il lavoro sporco e fastidioso a noi, quindi lo avete sfruttato.
Nuova Gea non vi appartiene, però. Nè vi apparterrà mai!


"Sarebbe opportuno che tu dormissi qualche ora. Non vorrei essere costretto a portarti in spalla, domani." lo rimproverò gentilmente l'altro, interrompendo consapevolmente il filo rabbioso dei suoi pensieri.

"Perchè no?" scherzò Jono, "In fondo, non sono che un Esperto in Classificazione. Uno Scienziato. Sei tu il Rocciatore."

Il capo pesante di Dajil ondeggiò appena, "Solo per hobby." ribattè, con tono leggero. Dopo una breve attesa, una esitazione solenne e composta, riprese, "Piuttosto, sei certo di voler proseguire in questa spedizione, Jono?"

Lievemente allarmato, il giovane rivolse la propria completa attenzione all'amico.
"Certo che sì!" esclamò, senza riflettere nemmeno un istante.
"Anche il Computer ha confermato che siamo i soggetti più adatti a questo compito, nella Colonia." aggiunse, dopo aver ponderato la domanda, ed aver deciso che probabilmente Dajil si aspettava una risposta più circostanziata.

Sollevando un sopracciglio bianco, questo annuì, "Lo so. Sto solamente cercando di valutare la tua condizione psico-fisica." proferì, il volto impassibile e calmo.

Una lieve risata nervosa scosse il fisico esile di Jono, "Andiamo, è tutto a posto, Dajil." Sapeva che il suo comportamento estremamente familiare avrebbe quasi messo a disagio l'amico, se qualche cosa avesse mai avuto il potere di 'metterlo a disagio'. Tuttavia, gli battè la destra sulla spalla, mantenendo il proprio sorrisetto tirato con qualche difficoltà.
"Non vorrai che qualche Terricolo ci batta sul tempo, vero?" aggiunse, con ironico divertimento. Sapeva benissimo che nessun Terrestre sarebbe sbarcato sul Pianeta.

Serrando le labbra, Dajil considerò freddamente la figura che gli stava innanzi.
Jono era a conoscenza del fatto che atteggiamenti di premura e di contemporanea glaciale tranquillità facevano parte della naturale disposizione d'animo dell'Esterno, così come la razionalità e l'obiettività.
Oltre a ciò, per molti anni egli si era comportato come un fratello maggiore nei confronti del giovane, e questo glie n'era molto grato.
Da quando Lyre mi è stata data in moglie, ricordò con un pizzico di nostalgia, Sì, dal preciso giorno in cui mi fu assegnata.

"Sai, Jono, esteriormente non sei molto dissimile da un abitante della Terra." commentò Dajil, con un luccichio di giocoso scherno negli occhi celesti e nei lineamenti pallidissimi del volto. I capelli bianchi, privi di pigmento, tipici dei Pionieri, risplendevano della tenue luce del Gemello.

Abitanti dello Spazio sin dalla prima ondata esplorativa, gli Esterni erano divenuti sempre più avvezzi alla gravità controllata ed all'assenza di patogeni nella sterile atmosfera delle Stazioni Spaziali.
Il loro fisico era esente da pecche, rifinito a livello genetico; le potenzialità mentali, schedate alla nascita.

Nel primo insediamento terraformante di Marte, fondato e costruito dagli Esploratori, avvenne il grande progresso scientifico e tecnologico che portò alla colonizzazione di mondi all'esterno del Sistema Solare.
Gli Spaziali assunsero la dignità di popolo, di stirpe.
Una razza che ebbe la sua evoluzione, costruì la propria gerarchia con attenzione microscopica, affidando alla perfezione degli elaboratori elettronici le scelte e le decisioni più rilevanti.

Innumerevoli battaglie politiche, lotte per il potere e per l'indipendenza, anche una certa riluttanza dell'intera Umanità nei confronti di quella che si annunciava come l'ennesima distruttiva guerra civile, garantirono loro il possesso esclusivo di un Mondo Esterno: Nuova Gea.

Dajil Iret era il prodotto di questo lungo ed accidentato percorso: stabile fisicamente e psicologicamente, efficiente, razionale, longevo. Portava indelebilmente il marchio degli Esterni: la mancata pigmentazione della capigliatura, la chiara colorazione degli occhi aguzzi.

Jono Resi era anomalo, frutto di una mutazione, di un imprevedibile errore. La corporatura si era sviluppata esile e fragile: sarebbe invecchiato in fretta. Il carattere incostante, passionale e leggero, non mostrava di esser frutto di una attenta selezione cromosomica.

Avvicinò il proprio volto a quello dell'amico, esponendo alla soffice luce notturna i capelli neri ed i lineamenti colmi di un'ira naturalmente mitigata dalla calma di Dajil.

"Ma sono qui. Su Nuova Gea." qualcosa di interiore ed animalesco ribollì per un istante nell'animo del giovane, "E tu non ne sei sorpreso."

Immobilità completa ed assoluta.
La mano forte di Dajil si sollevò e si schiuse, mostrando una piccola pillola violacea al centro del palmo.
I sottili pollice ed indice di Jono la raccolsero, mentre la sua mascella esprimeva, coi nervi tesi, la propria istintiva resistenza al silenzio imposto dalla debole voce della ragione.

Mentre inghiottiva la minuscola pastiglia, il giovane strisciò al proprio giaciglio, trovandolo disordinato e caotico.
Non vi badò.
Piombò nel sonno prima che Dajil disattivasse la fredda luce da campo, oscurando l'angusto spazio della tenda.

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Capitolo 3
*** The Path of Excess ***


Note dell'Autrice!
Innanzitutto, debbo ringraziare chi sta continuando a leggermi, perchè è un onore per me sapere di avere un consistente pubblico :D Grazie mille a tutti, sì, anche a te, che stai leggendo ora :P

Quindi, vediamo chi mi ha lasciato una Recensione:

- francy91: Grazie, grazie, grazie delle tue recensioni sempre così particolareggiate... e lusinghiere anche :D Sono contenta che i personaggi ti piacciano, Jono in fondo è un bravo giovane, anche se un po' anomalo eh :)
Spero che continuerai a seguirmi e a scrutare con la tua buona e paziente vista ogni virgola (ed ogni apostrofo) del mio racconto. :D

- Fefina: E' un vero piacere sapere che sono riuscita ad attrarti verso l'intricato ma nondimeno piacevole mondo della Fantascienza! :D Spero di non deludere le tue aspettative e di mantenere sempre lo stesso livello di introspezione e di accuratezza lessicale, se così non fosse, ti prego di farmelo notare. Ancora, Grazie! Per aver recensito :D

Ora, introduco questo Capitolo con una frase tratta dalla canzone "Gravity of Love" degli Enigma: The Path of Excess leads to the Tower of Wisdom.
Il brano mi ha ispirato un sacco nella creazione di questa fan-fiction, quindi sapete con chi prendervela :P

E' un po' corto come Capitolo, spero di fare di meglio prossimamente :S Comunque...
Buona Lettura!

The Path of Excess

L'organismo materno ed unitario del Pianeta Terra era ormai irrimediabilmente avvelenato. Stava morendo, si stava perdendo nel caos e nel disordine.

L'amore dei suoi figli prediletti era venuto meno, dal giorno in cui essi avevano toccato il cielo, raggiunto le vette dell'atmosfera, infranto quel velo trapunto di Stelle, gli occhi di una divinità abbandonata e relegata ad una dimensione di puro misticismo.

Kev aveva quasi dimenticato il Sole. Ricordava pochi giorni durante i quali il cupo e plumbeo grigiore del cielo si fosse squarciato, lasciando penetrare qualche fuggevole, limpido, tiepido raggio. E questi momenti erano lontani, sepolti nella sua infanzia.
Opachi anch'essi.

Mantenne lo sguardo fisso sulla plastica spessa della finestrella, tremolante di pioggia battente, lasciando che il piccolo dispositivo portatile si appoggiasse alla sua coscia per rimanere lì, pazientemente, ad attenderlo.

Quei pomeriggi di confortevole e piacevole luce... sprecati nella lettura e nella preghiera... e nello studio. Se potessi farli rivivere! Se potessi riportare indietro quei luoghi, quelle armonie, quelle...
Ebbe un rapido sussulto.
... quelle persone.

Non ricordava suo padre. Non poteva rammentarsi il suo aspetto.
Jeicyn, la sua dolce madre, gli aveva detto e ripetuto che i capelli, neri e ribelli, li aveva ereditati da lui. Gli occhi verdi e profondi, invece, erano eredità materna.
Scrollò le spalle, infreddolito dall'umidità che il povero tessuto del suo abito logoro non poteva trattenere.

"Kev. Sei ancora impegnato? Non puoi riposarti un poco?" una soffice voce femminile giunse al suo orecchio come una lontana apparizione.

Il ragazzo si volse, alzandosi in piedi. Sorrise, allargando i lineamenti del volto pallido, "Devo consegnare i risultati delle mie analisi, dopodomani. Non posso riposare." rispose, avvicinandosi alla donna.
La osservò, notandone i capelli scarmigliati ed il viso smunto.

Sì, la bella Jeicyn, la fata della sua infanzia, se n'era andata per sempre.
Come il Sole.
Abbracciò la figura esile della madre, senza appoggiarsi a lei, sorreggendola, piuttosto, sostenendola.

"Cosa dicono le tue analisi?" intervenne ancora quella voce, colma d'amore e di ingenua ammirazione per la scienza del figlio. Tuttavia, Kev notò in essa una punta di sarcasmo.
"Dicono forse che siamo in troppi? Che il clima del Pianeta è sbilanciato, del tutto scompensato?"

Il ragazzo si esibì in una rauca risata.
"Sì, mamma, proprio questo. Ma..." esitò, con un fare sommesso e cauto, come se, continuando a parlare, rischiasse di spezzare un delicato incantesimo.

Il visino gracile, circondato da una chioma bionda, si inclinò.
"Ma...?"

"... forse c'è una via che nessuno ha mai considerato." completò il ragazzo. Il suo volto da ventenne si adombrò, mentre il suo pensiero viaggiava veloce, percorrendo a ritroso il filo del ragionamento, in cerca di errori.

Jeicyn allungò le mani scheletriche per afferrare le sue spalle.
"Non voglio perdere anche te, figlio mio." sussurrò, i begli occhi velati da lacrime spuntate a causa di un subitaneo e sottile turbamento.

Kev attrasse il viso sciupato della madre al suo petto, lo sguardo ancora vacuo, rivolto agli intimi e reconditi meandri del suo essere.
"Resterò sempre con te, non temere." mormorò in risposta, "Guadagneremo il tempo di vivere." aggiunse, la voce divenuta improvvisamente dura.

, ripetè a se stesso il giovane scienziato, se la diplomazia non ha effetto sugli Assassini dello Spazio... se il loro cuore di pietra e la loro mente metallica non si degnano di ascoltare la voce dei loro progenitori...

La voce tenue e commossa della madre interruppe il filo minaccioso delle sue silenziose invettive.
"Sii prudente, figliolo." ella sollevò il mento a scrutare il suo volto, "Sii prudente, Kev! Non sempre il sentiero dell'eccesso conduce alla Torre della Saggezza."

E, all'unisono, i loro occhi verdi, luccicanti di lacrime, si volsero alla finestrella sporca del loro appartamento. Due stanze plasticate del sessantunesimo piano.
Fuori, pioggia scrosciante ed incessante sulla selva interminata di palazzi scuri e ciminiere annerite.

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