Sorry, but I've to kill you, my Love

di Liaris_Giu_1D
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO

 
Buio.
Non vedevo niente eppure sapevo che era qui.
Ne ero più che certo: sentivo il suo respiro.
Era venuta all’appuntamento.
“Hai intenzione di rimanere lì fermo o vuoi queste dannate informazioni?”
Una voce femminile, tagliente come un coltello ruppe quel silenzio. Sorrisi nel buio: diretta e concisa, senza giri di parole, come piaceva a me. Mi avvicinai alla voce e dissi, con la mia calma caratteristica: ”Allora dammele, se non vuoi perdere tempo” sorrisi beffardo, aspettando che capitolasse e mi dicesse tutto ciò che volevo sapere. Invece mi sorprese, mi porse una busta che presi velocemente e, con voce tremolante sussurrò: “Ora, però devi mantenere la promessa: io ho mantenuto la mia. Lascia in pace me e la mia famiglia”
Si voltò e scappò via.
Risi.
Nessuno poteva dirmi cosa fare, tantomeno quella creatura.
L’avrei uccisa, poco ma sicuro. Anzi, perché non farlo subito? Corsi alla mia moto, partii velocemente e in men che non si dica la raggiunsi.
Era sulla spiaggia, già completamente nuda e pronta ad immergersi e scomparire. Estrassi la mia pistola speciale e gliela puntai contro. Un click e la ragazza dalla pelle candida era riversa a terra in una pozza di sangue aveva riassunto la sua forma originaria: quella delle creature che mi avevano portato via tutto ciò che mi rimaneva. Soffiai sulla canna della pistola come facevano in molti film western e la riposi nel retro dei jeans che indossavo, tra pelle e pantalone.
Partii sgommando vero la mia prossima meta, ignaro che, dall’acqua, qualcuno mi guardava.
 
 
 
Era un cacciatore, ne ero certa e il fatto che aveva appena ucciso una mia sorella senza scrupoli me lo confermò.
Non piansi, semplicemente guardai quel corpo freddo in riva al mare e m’immersi nuovamente. Era strano, di cacciatori ne avevo visti a bizzeffe ma nessuno mi aveva colpito come lui. Forse sarà perché è giovane e, devo ammetterlo, anche abbastanza attraente. Scossi la testa scacciando i pensieri quando vidi la sagoma di una barca che galleggiava.
Sorrisi.
Cominciai a cantare avvicinandomi alla barca dal basso ed emersi dall’acqua molto lentamente.
Avvicinai un ignaro pescatore servendomi di un infallibile gioco di sguardi, appoggiandomi con le braccia al bordo dell’imbarcazione.
Lo presi dal colletto e continuando a cantare lo tirai giù con me, fino oltre il pelo dell’acqua. Nemmeno si dimenava o si era accorto di essere rimasto senz’aria, tanto era preso dalla mia bellezza e dal mio canto.
Era un giovane mozzo: il mio piatto preferito.
Perfetto.
E addio definitivamente ai miei piani di rinunciare a quel tipo di dieta.






*Spazio autrice* 
Ciao a tutti! Allora, questo è il prologo della mia seconda storia... Il raiting potrebbe cambiare più avanti, credo... Comunque.. Questa storia è un 'esperimento' diciamo. Niente, vi ringrazio se avete letto e se vi piace recensite! 
Mi farebbe molto piacere! 
Baci, 
Giugiu.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


CAPITOLO 1

 


Parcheggiai la mia amata moto nera vicino ad altre e scesi. Mi tolsi il casco e mi sistemai la giacca. Mi diedi un’ultima occhiata nello specchietto della moto e m’incamminai verso l’entrata del palazzo. Era enorme. Non avevo mai visto tanto lusso in vita mia. Ma, d’altronde, dove se non nel palazzo reale si poteva ostentare tutta la propria ricchezza? Dissi il mio nome all’ingresso, per farmi annunciare ai presenti nella sala, com’era usanza. Entrai in quell’enorme palazzo e percorsi un ampio corridoio dai soffitti altissimi, dove alcune dame dai vestiti delle più varie tonalità di ogni colore e signori in smoking conversavano amabilmente o, come me, si recavano alla sala dove si teneva il vero ballo. Sorrisi cordiale in segno di saluto verso quelli che già conoscevo e risposi alle occhiate più che maliziose delle dame intraprendenti. Ero abituato a questo genere di eventi ma mai avevo avuto l’onore di partecipare ad uno di essi organizzato dalla famiglia reale.
Dicono che la principessa sia la donna più affascinante dell’intera isola: era giunto il momento di verificare personalmente. Io, di donne, potevo definirmi esperto visto che non ero proprio un santo. Sogghignai leggermente abbassando il capo.
Arrivai alla fine del corridoio e mi feci annunciare. Molti occhi nella sala si posarono su di me mentre scendevo i pochi gradini ed entravo ufficialmente nella pista da ballo. La sala era enorme. Una specie di passerella rialzata larga due metri circa correva lungo tutto il perimetro ed era delimitata da una ringhiera di ferro elaborato. Su questa passerella sostavano le donne che attendevano un invito a ballare o assaggiavano gli antipastini dai tavoli sparsi o che chiacchieravano. Molti uomini si erano già ritirati nelle stanze da gioco e rimanevano solo i più giovani a ballare. Di fronte a me, un’enorme scalinata dalla quale a breve sarebbero scesi i reali. Più vicino a me le danze erano nel pieno del loro svolgimento. Il tutto era illuminato da grandissimi lampadari in cristallo appesi al soffitto. Sembrava una di quelle feste che t’immagini c’erano nel ‘800, se non fosse stato che i candelabri e i lampadari avevano lampadine al posto delle candele e i vestiti che le donne indossavano erano moderni, con gonne corte, lunghe, strette o pompose e la musica era moderna, non certo da discoteca, ma si sentiva chiaramente l’influenza del moderno. Era il perfetto mix tra antico e contemporaneo.
Uno squillo di tromba mi riscosse dal mio ammirare l’ambiente ed ecco che a gran voce veniva annunciata la famiglia reale nel più completo silenzio e nella trepidazione generale.
“Accogliamo il Re Peter, la Regina Leonora, il Principe Jacopo e la Principessa Alexis”
Dalla porta in cima alle scale  fecero il loro ingresso a braccietto la Regina e il Re. Lei era davvero bellissima in un abito d’epoca rosso che la fasciava perfettamente, con una scollatura a cuore e uno scialle di pelliccia a coprirle le spalle. Una collana in legno con una pietra blu sul ciondolo le cingeva il collo e i capelli marrone rossastri erano riccissimi attorno al suo viso segnato dall’età solo da due leggere rughe d’espressione accanto agli angoli della bocca e agli occhi marroni. Il portamento regale e gli occhi penetranti colpivano chiunque la guardasse.
Il Re al suo fianco indossava uno smoking nero con la cravatta rossa. Era un uomo che pareva burbero al primo sguardo. Cosa accentuata dal suo sguardo che sapeva leggerti dentro e sempre attento. Era un uomo riflessivo ma gioviale, il contrario della moglie che, stando a quanto si diceva in giro, era imprevedibile, impulsiva e molto dolce. In poche parole, gli opposti si attraggono, no? Il Re era davvero un uomo fortunato e di aspetto apprezzato dalle donne. Non si poteva certo negare che fosse un bell’uomo, anche se questa sera la leggera barba gli adornava il volto e i capelli erano leggermente scompigliati. Dietro di loro venivano i due figli. Sapevo che il maggiore, Jacopo, aveva la mia età, venticinque anni, mentre la minore, Alexis, ne aveva ventitre.
Il Principe aveva dei freddi occhi azzurri e dei capelli folti neri, come quelli del padre. Il colore dei suoi occhi nessuno sapeva da dove venisse, probabilmente da un genitore di uno dei sovrani visto che essi avevano occhi marroni lei e marrone verde lui. Jacopo era affascinante e a breve si sarebbe anche sposato con lady Valentina, la migliore amica della principessa.
Il mio sguardo si posò infine sulla principessa. Rimasi come congelato: era bellissima.
Indossava un abito rosso a sirena che si apriva con uno spacco appena sotto il ginocchio mostrando un tessuto bianco con ricami oro molto delicati. Un ricamo argento circondava l’intera circonferenza appena sopra lo spacco e risaliva su davanti sul lato sinistro fino a poco prima di incontrare la fascia ricamata argento sotto il seno. La scollatura a cuore chiudeva il vestito senza lasciar intravedere nulla d’indiscreto. Le spalle e circa metà schiena erano lasciate nude. I capelli biondi erano racchiusi in un’acconciatura elaborata e un fermaglio di piume rosse adornava il lato sinistro di essi. Degli orecchini pendenti d’argento completavano l’opera. Rimasi a bocca aperta a fissarla e, quando, da lontano, i miei occhi incontrarono i suoi rimasi senza fiato: erano di un bellissimo verde azzurro chiaro. Limpidi e intensi.
Era affascinante, non avevo mai visto una donna tanto bella. Forse fu proprio questo a farmi capire che non era una semplice donna. Quella consapevolezza mi trafisse e non potei fare a meno di chiedermi se fosse effettivamente una di loro.
Nonostante questo mio dubbio non potei fare a meno di guardarla rapito e affascinato mentre scendeva con eleganza le scale. Piano, ad un gesto del Re, la musica ripartì e i due sovrani riaprirono le danze. Mi affrettai ad avvicinarmi a una giovane che attendeva un accompagnatore facendosi piano aria con un ventaglio in un angolo. Era carina e, con un’elegante inchino, le chiesi di ballare. Accettò immediatamente: facevo quest’effetto alle donne. Mi si poteva tranquillamente definire un donnaiolo incallito o un dongiovanni.
Mentre danzavamo, cominciai a chiaccherare e scoprii che la misteriosa dama si chiamava Isabella. Era molto aggraziata e i capelli biondi le scendevano in morbidi boccoli sulle spalle ad incorniciare un viso dalla carnagione chiara. Gli occhi verdi erano truccati con il blu e l’argento, i due colori che ornavano l’abito che indossava. Quest’ultimo era davvero bellissimo: le balze erano, invece che in orizzontale, in diagonale, una in un senso e una nell’altro. Tutte blu. Dalla scollatura a cuore partiva un ricamo d’argento che ricordava i fiocchi di neve e che arrivava fino alla vita. L’abito era senza spalline.
L’insieme dava l’idea dell’eleganza, un’idea confermata dalla grazia con cui la donna si muoveva.
Era molto piacevole danzare con lei.
“E lei, qual è il suo nome?” la sua voce mi distrasse dal contemplarla.
“Bryan, mi chiamo Bryan.” le dissi guardandola negli occhi. Mi sorrise.
“Mi dica Bryan, cosa la porta a questo ballo?”
“Diciamo che le mie sorelle mi hanno pregato di accompagnarle.”
Non mentivo, le mie sorelle erano davvero a questo ballo, solo che non le avevo ancora viste.
“Oh… E, se non sono indiscreta, chi sono le sue sorelle?”
“Vi prego, datemi del tu, mi fate sentire vecchio” le sorrisi e lei ricambiò.
“Solo che anche tu lo farai.” Ammiccò. Ridacchiai.
“Si chiamano Lana, Diana e Patricia, in ordine di età. Lana è la maggiore, ha ventinove anni, quattro in più di me, Diana ne ha ventitré e Patricia ne ha diciotto.”
“Aspetti… Ehm, volevo dire aspetta. Sono le amiche della Principessa?”
La guardai confuso: le mie sorelle non avevano mai accennato alla principessa come una loro conoscenza. Un momento. Questo era tipico loro. Le conoscevo abbastanza da poter intuire che avessero stressato la principessa parlandole di me per sperare di accasarmi. E quale moglie poteva competere con una principessa?
“Le conosci?” Chiesi cortese alla dama con cui stavo danzando.
“Certamente, sono mie amiche da qualche anno e in più sono molto legate a mia sorella.” Aggrottai la fronte confuso e lei mi chiarì le idee: “Mia sorella, Valentina, la futura moglie del principe Jacopo.” Mi sorrise e ricambiai. Stavo ballando con la cognata del principe. Ero sbalordito, non lo immaginavo.
“Ehm, non lo sapevo, perdonami.” Liquidò la faccenda con un sorriso e la musica finì. Un sorriso enigmatico le spuntò sul volto mentre si allontanava. Ero frastornato mentre con lo sguardo cercavo quelle tre pesti delle mie sorelle. Intravidi un vestito viola tra i ballerini che cambiavano compagno per le danze o chiacchieravano in attesa del riprendere della musica. Mi feci strada verso quel vestito e trovai mia sorella maggiore, Lana, che parlava con un gentiluomo. Le toccai leggermente la spalla e lei si girò. Stupenda era dire poco, e non ero per niente di parte, anche se ero suo fratello. L’abito viola fasciava il suo busto perfettamente fino alla vita per poi aprirsi in leggere balze. Un piccolo fermaglio era posato sul punto d’inizio delle balze. I capelli biondi erano stati tirati su in parte ai lati, in modo da lasciare alcune ciocche lisce e più corte ad incorniciarle il viso, mentre il resto dei capelli ricadeva sulle spalle. Il trucco leggero esaltava la perfezione della sua pelle e i suoi occhi marroni.
“Bryan!” mi salutò con un sorriso.
“Dove sono Pat e Dia?” le domandai usando i soprannomi che avevo affibbiato alle mie sorelle più piccole quando eravamo ancora bambini.
“Con la Principessa” mi fece l’occhiolino e tornò a parlare con il ragazzo di prima. Lo fissai un momento e poi decisi di lasciar perdere.
Cercai la principessa con lo sguardo e la vidi che chiacchierava in un angolo della sala. Come predetto da Lana, le altre due erano accanto a lei. Mi avvicinai con calma al trio cui si era appena aggiunta Valentina.
Patricia, nonostante avesse solo diciotto anni, ne dimostrava molti di più. I capelli color cioccolato fondente le cadevano in morbidi boccoli fin sotto il seno, ad incorniciare un viso ancora con tratti tipicamente infantili che la rendevano molto dolce. I suoi grandi occhi grigi erano contornati da matita nera. Il suo vestito era tipico di una principessa delle fiabe: azzurro cielo con leggerissimi ricami argento. Niente spalline, solo una scollatura a cuore.
Accanto a lei c’era Diana. Bionda con occhi azzurro grigio, simili ai miei ma molto di più a quelli della sorella minore. Era delicata nel suo vestito rosa scuro semplicissimo. Una sola spallina argento reggeva la scollatura nello stile di quella di Pat. Era attillato fin sotto i fianchi, dove, su un lato, un piccolo fermaglio argento stringeva la stoffa che poi si allargava leggermente. I capelli erano legati in un’elaborata acconciatura sulla nuca.
Valentina indossava un vestito blu scuro largo alla base con due ‘strisce’ di ricami argentati e un enorme fiore del colore dell’abito su un fianco. Il corpetto attillato finiva in un motivo argentato. Il vestito, come gli altri, non aveva le spalline e la ragazza aveva i capelli dritti come spaghetti che scendevano sulle spalle. Era bella. Il suo viso mi ricordava vagamente qualcuno. Quel qualcuno comparve accanto alla bionda: Isabella si era appena unita al quartetto. Non mi lasciai scoraggiare e raggiunsi il gruppo.
“Salve” salutai educato. Tutte le teste si voltarono immediatamente verso di me. Barcollai indietro sorpreso quando mia sorella Patricia mi buttò letteralmente le braccia al collo, dimentica dell’etichetta. L’abbracciai a mia volta sorridendo.
“Dio Bry, mi sei mancato! Non dovevi tornare ieri?” sussurrò al mio orecchio per non farsi sentire.
“Ho avuto… Uhm.. Un contrattempo. La persona che dovevo vedere ha rimandato l’appuntamento.” Lei capì al volo e mi lasciò, sciogliendo l’abbraccio. Annuì e si allontanò leggermente, improvvisamente imbarazzata. Notai, tra tutti, lo sguardo curioso della principessa che mi stava fissando.
“Lexi, lui è Bryan, mio fratello” annunciò sorridente la piccola peste che mi aveva appena abbracciato.
“Bryan, lei è la principessa Alexis” continuò rivolgendosi a me. Chinai leggermente il capo in segno di rispetto senza staccare gli occhi dai suoi e le presi la mano, baciandole il dorso da perfetto gentiluomo.
Diana mi fissò in modo strano. Sapeva che non facevo il galantuomo con nessuno. M diamine, era la principessa!
A mia sorella non potevo mentire e so che mi capiva con un solo sguardo. Accettai la verità che lessi nei suoi occhi e mi rassegnai ad ammettere con me stesso che alla principessa in quel senso, ci avevo già pensato. Non appena le mie labbra toccarono la sua mano, un brivido elettrico mi percorse la schiena. I miei occhi saettarono nei suoi e seppi che anche lei l’aveva sentito. No, se quello che era appena successo era ciò che pensavo, non era decisamente una tranquilla umana.
 
 
Alexis
 
Lo avevo ammirato da lontano, anche mentre scendevo le scale, il mio sguardo si era incatenato al suo per un momento.
 Era bello, dannatamente bello e familiare. Non mi toglieva gli occhi di dosso ed io, d'altronde non staccavo i miei da lui, era il cacciatore che avevo visto, ne ero più che certa.
Una strana forza mi spingeva a guardarlo. Lo osservai mentre danzava con Isabella, la sorella della mia migliore amica Valentinaa. Era un ottimo danzatore.
O andiamo, ammettilo che non ti dispiacerebbe vedere se è bravo come dicono anche in qualcos’altro!
Maledii la vocina nella mia testa, che faceva solo commenti poco consoni e per niente graditi. Sapevo della sua fama di dongiovanni. Molte delle dame che passavano dal suo letto raccontavano estasiate a feste come queste quanto lui fosse… Non volevo nemmeno saperlo. Ognuna di queste donne, però, la mattina si era ritrovata sola a piangere perché si era illusa di avere trovato quello giusto. Non lo trovavo per niente un comportamento di cui andare fieri, ma morivo dalla curiosità di conoscerlo e poi ero una grande amica delle sue sorelle, quindi è stato facile invitarlo questa sera.
Ridevo tranquilla con le mie amiche quando una voce profonda ci fece voltare tutte verso il ragazzo che era appena arrivato.
Era lui.
I suoi occhi azzurri esaminavano le sorelle e, in quello che sembrava un gesto meccanico, si spostò i capelli scuri, quasi neri, dalla fronte. La sorella minore, Patricia, gli saltò al collo facendolo barcollare. Sorrisi divertita dalla spontaneità di quel gesto.
Quando si staccò, fece le presentazioni. Lo vidi avvicinarsi, gli occhi puntati nei miei. Il nostro era un gioco di sguardi che ero decisa a non perdere.
Guardò per pochi secondi la sorella Diana e poi si chinò per baciarmi la mano. Non appena le sue labbra toccarono la mia pelle, un brivido percorse entrambi. Fin da quando ero una bambina, mi avevano insegnato che al minimo tocco con la persona che ti è destinata, un brivido ti attraversa e svieni. Ero una sirena. Nata dall’unione straordinaria di mio padre, il Re della terraferma, e mia madre, la Regina delle acque. Ero la principessa di due mondi diversi eppure così simili. Possibile che a me fosse destinato un cacciatore di sirene, delle mie sorelle? Eppure doveva essere così, visto quello che era appena accaduto. Lo fissai sconvolta mentre tutto attorno al suo viso spariva, diventando nero. I suoi occhi furono l’ultima cosa che vidi prima che tutto diventasse nero.
 
 
Mi svegliai in un letto. Mugugnai qualcosa d’incomprensibile persino a me e scossi leggermente il capo mentre portavo una mano alla fronte, cercando di alleviare il mal di testa che mi stava torturando. Aprii lentamente gli occhi e scorsi mia madre china su di me che mi osservava. Era preoccupata.
“Oh, grazie a Zeus ti sei svegliata!” esclamò prima di abbracciarmi. Mia madre e i suoi strani modi di dire…
“Se mi lasci respirare lo rimarrò anche, sveglia” sussurrai. Non avevo perso il mio sarcasmo. Sentii qualcuno ridacchiare e scorsi mio fratello, mio padre e Veronica che mi guardavano. Mia madre mi lasciò borbottando delle scuse. La fermai con un gesto della mano e lentamente mi alzai.
“Patricia, Diana e Lana… Dove sono?” chiesi. Ricordavo solo che erano con me. Occhi azzurri mi apparvero improvvisamente come un’allucinazione e ricordai tutto: Bryan, il brivido che ci aveva colpito e la consapevolezza di quello che era successo.
“Bryan…” sussurrai senza quasi rendermene conto.
“Chi?” chiese mia madre guardandomi confusa. Scossi la testa.
“Comunque, le ragazze sono di là e sono molto preoccupate per te.” Disse Veronica venendomi incontro. Le sorrisi e la seguii fuori da quella stanza. Tornammo nella sala dove si teneva il ballo e ci avvicinammo alle tre figure preoccupate.
“Ci hai fatto prendere un colpo!” quasi urlò Lana correndomi incontro. Mi stritolò in uno dei suoi abbracci e risi ricambiando quel gesto d’affetto. Diana aveva lo sguardo sfuggente e si tormentava le mani. Patricia sostituì Lana abbracciandomi ma il mio sguardo era puntato sulla bionda che sembrava nervosa. Non chiesi niente, semplicemente mi guardai intorno, cercando inconsapevolmente quegli occhi azzurri.
Diana mi fece cenno con lo sguardo di seguirla e così feci. Ci allontanammo lentamente dalla festa e raggiungemmo il giardino. Un’ombra catturò il mio sguardo e riconobbi il fratello della ragazza al mio fianco. Ero confusa: perché mi aveva portata qui? E perché c’era anche lui?
Lo raggiungemmo: guardava la luna, perso tra i suoi pensieri.
“Immagino sia successo quello che penso” disse piano Dia fermandosi accanto al fratello.
Nessuno dei due parlò.
“Andiamo, ragazzi, so benissimo cos’è successo!” quasi urlò la ragazza. Fissai Bryan che non si era mosso di un millimetro.
“Non potete continuare ad ignorarmi e ignorarvi!” ora si che urlava.
Finalmente Bryan si voltò e incrociò il mio guardo. I suoi chiarissimi occhi azzurri erano più freddi del ghiaccio e lampeggiavano per quella che sembrava rabbia. Non interruppi il contatto visivo: potevo reggere quello sguardo senza alcun problema, non mi faceva paura. “Quindi avevo ragione, eri troppo… Bella per essere una semplice umana.” Sputò quelle parole con ribrezzo.
Sorrisi: era davvero bravo come cacciatore se riusciva a riconoscere una sirena solamente dall’aspetto.
“Non posso credere che sia successo a me!” disse incredulo.
“Credi che io sia felice di trovarmi in questa situazione? Con te poi! Rappresenti tutto ciò che mi hanno sempre insegnato ad odiare!” risposi a tono.
“Tu… Tu sapevi di me?” la sua spavalderia era andata a farsi fottere.
Un ghigno di superiorità comparve sul mio volto: “Come tu sai riconoscere le sirene con uno sguardo, io so farlo con i cacciatori” mormorai incrociando le braccia al petto.
Diana, che era rimasta in silenzio durante il nostro scambio di battute, disse: “ Se voi bambini avete finito di litigare gradirei sapere cosa avete intenzione di fare.” Era stizzita. Ridacchiai per come ci aveva chiamati. Mi allontanai di qualche passo.
“Quello che succederà a lui mi sembra ovvio. Sarà in grado di respirare sott’acqua entro una settimana, visto che non è completamente umano nemmeno lui” quella acida ero stata io, stavolta. Nessuno dei due fiatò mentre mi allontanavo. Rientrai nel castello ma la mia voglia di ballare era scomparsa. Feci annunciare che mi ritiravo e andai dritta nelle mie stanze.
Sbattei la porta della mia camera con più forza del necessario e con lentezza mi sciolsi i capelli. Una cascata bionda mi piovve sulla schiena mentre appoggiandomi alla parete con una mano mi toglievo le scarpe. Avevano un tacco vertiginoso ed erano una vera e propria tortura. Le lanciai in un angolo senza curarmene tanto. A fatica mi tolsi il vestito mentre mi dirigevo verso il bagno. Lasciai lo splendido abito rosso tutto ammucchiato sul pavimento appena fuori la porta ed entrai nella stanza.
Sì, avevo il bagno in camera.
Aprii l’acqua della vasca e aspettai che si riempisse. Aggiunsi i Sali e tolsi velocemente l’intimo che avevo ancora addosso. M’immersi nell’acqua calda, andando sempre più giù, con la testa sott’acqua. Era una sensazione bellissima. I muscoli si rilassavano mentre mi lasciavo andare.
Mi sentivo a casa.
 
 
Bryan
 
Come lo sapeva? Nessuno mai l’aveva scoperto, perché lei lo sapeva?
“Cosa significa che non sei completamente umano, Bryan?” Diana sembrava calma ma era davvero tutto il contrario.
“Papà era un dongiovanni, peggio di me. Un giorno..” deglutii. “Un giorno finì con una ragazza bellissima. Non era una semplice umana, ma questo lui non lo sapeva. Lei rimase incinta. Era furiosa con nostro padre, colui che le aveva fatto questo. Quando nacqui mia... Madre… Mi lasciò davanti alla porta di casa. Papà capì che ero frutto di quell’errore dai miei occhi. I miei occhi erano quelli della sirena con cui era stato. Aveva già conosciuto la mamma e le disse tutto. Lei fu sul punto di lasciarlo ma poi si arrese e lo sposò. Mi fecero passare per figlio loro. Avevo sette anni quando la mia madre biologica si vendicò. La storia la sai.” Avevo gli occhi chiusi, la testa bassa. Diana era sconvolta. Non si immaginava certo che le rispondessi adesso e in modo così sincero. Mi passai una mano sul viso e tra i capelli: ero stanco.
“Se raduni Pat e Lana, vi scorto fino a casa...” M’incamminai verso il castello.
Diana si affrettò a seguirmi e a superarmi, probabilmente per trovare in fretta le nostre sorelle. Sbuffai. Possibile che capitassero tutte a me?
Rientrai giusto mentre le note dell’ultimo valzer della serata cominciavano a riecheggiare. Non ero in vena di ballare e nemmeno di rispondere alle occhiate maliziose delle signore. Molte rimasero deluse dal mio atteggiamento apatico ma non poteva importarmi di meno in quel momento. Avevo un solo pensiero fisso che mi ronzava in testa: Alexis e quello che era successo.
Ripensai a quel poco che sapevo del legame: una sirena e l’uomo che le è destinato, cioè il suo unico amore, si può dire così, al minimo tocco rimangono legati. Questo legame porta all’avvicinamento dei due, finché entrambi non riescono a fare a meno dell’altro. Lui, se è umano, o, come me, umano solo per metà, acquisisce la capacità di respirare sott’acqua e di trasformare le gambe in una coda da sirena all’occorrenza. Perché la trasformazione permetta di ‘avere la coda’, è necessario che la sirena e l’uomo si bacino, altrimenti la trasformazione rimane incompleta e può portare alla morte dell’uomo. Per completare del tutto la trasformazione è necessario il matrimonio tra sirena e ragazzo.
Mi sentivo un’enciclopedia vivente. Queste cose me le aveva insegnate il mio Maestro. Scossi la testa, non volevo pensare a Lui. Misi le mani in tasca mentre uscivo dal palazzo reale. Appena fuori mi voltai a guardare la facciata. I miei occhi fissarono per un momento una finestra. Un’ombra sembrava spiare da quest’ultima. Anche se ero curioso di sapere chi fosse, mi voltai e continuai a camminare verso la mia moto.
Vidi uscire le mie sorelle, indossai il casco e montai in sella. Diedi gas e partii a tutta velocità, in testa, un unico nome che mi tormentava: Alexis.
 
 
Alexis
 
Dopo il bagno mi ero messa il pigiama: una canottiera e dei pantaloncini. Ero sul letto ad ascoltare musica con le cuffie e a rileggere il mio libro preferito. Strano che una principessa abbia questo genere di abitudini, no? Eppure ero fatta così, ero sempre stata diversa. All’improvviso mi ricordai di una cosa e velocemente misi il segnalibro e tolsi le cuffie. Mi alzai il più velocemente possibile ed entrai nella cabina armadio. Corsi velocemente in fondo a questa e spalancai l’anta di un mobile abbastanza grande. In fretta afferrai una tuta attillatissima rosso marrone, degli stivali e dei guanti dello stesso colore, il tutto rigorosamente in cuoio. Presi la spada che era appoggiata su un ripiano e tornai in camera. Mi cambiai indossando i pantaloni attillati, la maglia a maniche lunghe con uno scollo profondo sul davanti e il colletto rialzato. Misi i guanti e gli stivali, presi un laccio e velocemente raccolsi i capelli in una coda alta che poi arrotolai su se stessa fino a formare uno chignon ordinato. Afferrai la spada ed uscii dalla stanza, chiudendola alle mie spalle.
M’incamminai per il corridoio, scesi rapidamente le scale e feci uno scatto fino a raggiungere il retro del palazzo. Svelta percorsi l’enorme giardino sul retro passando davanti all’albero dove avevo parlato con i due fratelli soltanto qualche ora prima e raggiunsi l’estremità settentrionale della tenuta, laddove finiva il palazzo e iniziava il territorio militare. La caserma apparve di fronte a me, illuminata a giorno e con uomini di vedetta che passeggiavano.
La nostra non era propriamente un’isola: quando la marea era bassa, emergeva un collegamento sabbioso che conduceva alla terraferma, mentre, come ora, se c’era l’alta marea, eravamo isolati.
Anche se eravamo in un’epoca dove il progresso era avanzato, le armi come fucili, pistole, cannoni erano stati banditi. Se le guerre dovevano per forza esserci, ci sarebbero state con armi tradizionali: spade, lance… Era, in un certo senso, una cosa positiva.
Scossi la testa scacciando i pensieri e furtivamente strisciai lungo il muro della caserma, evitando con esperienza gli sguardi delle guardie e le macchie di luce. In effetti, sembrava più una prigione che una caserma. Con lentezza evitai le guardie dell’ingresso, arrampicandomi sulla rete che circondava il lato anteriore della struttura mentre la luce illuminava un altro punto e le guardie si erano allontanate. Rapida corsi verso il campo dove ci si allenava e trovai la mia ‘classe’. Spie e soldati. Li allenavo da almeno due anni. Erano il corpo scelto, l’elite dei migliori venti combattenti del mio paese e, forse, di tutto il mondo. Io ero una guerriera, una tra le più temute. Nessuno sapeva chi io fossi, tranne i miei uomini che cercavano di proteggermi, quando potevano.
Ok, forse è meglio che spieghi un po’… Fin da piccola ho preso lezioni di scherma, lotta libera, karate e qualsiasi tipo di lotta. Avevo imparato a usare spada, lancia, mazza chiodata. Eppure ero anche una perfetta dama di corte, educata e professionale, all’occorrenza.
“Riscaldamento!” urlai ai venti giovani uomini in fila di fronte a me.
Scattarono tutti in perfetta sincronia e cominciarono a correre lungo il perimetro del campo d’addestramento. Sorrisi mentre li osservavo. Corsero per circa mezz’ora e si fermarono, rimettendosi in fila in attesa dei miei ordini. Nessuno di loro aveva il minimo segno di stanchezza: erano freschi come rose.
“Cinquanta flessioni e cinquanta addominali, per tipo!” urlai. Conoscevo diversi modi per fare gli addominali e non saprei come spiegarli.
In meno di quindici minuti tutti avevano finito gli esercizi.
“Spade!” urlai e tutti presero una spada. Lo feci io stessa e poi mi avvicinai a uno di loro, quello che mi sembrava meno in forma degli altri e lo indicai con il capo. Subito corse al centro del campo per dimostrare con me l’esercizio.
Sferrai rapidamente un colpo dall’alto con la spada. Lo parò con facilità e provò ad attaccare a sua volta. Mi abbassai rapidamente per evitare il fendente laterale e lo colpii senza sforzo al ginocchio, prendendolo di sorpresa. Cadde in ginocchio davanti a me e mi parve di vedergli sul viso un’espressione di dolore.
Lo guardai disgustata.
“Era una smorfia di dolore quella?” chiesi fredda. Lo vidi annuire debolmente. Gli tirai uno schiaffo in pieno viso, buttandolo a terra. Non un’emozione comparve sul suo volto.
“Bene, l’obiettivo dell’allenamento di oggi è la sorpresa. Dovrete sorprendere i vostri avversari durante il duello.” Feci per andarmene, per salutare il capitano me poi mi voltai un’altra volta: “Ah, se scopro che avete mostrato emozioni durante l’allenamento sarete immediatamente ritornati al ruolo di soldato semplice, sono stata chiara?” uno dei più grandi disonori per una guardia scelta era tornare al più umile dei gradi. Annuirono e camminai lentamente verso la stanza di comando. Entrai senza nemmeno bussare, interrompendo una riunione tra i generali. Tutti si alzarono immediatamente in piedi e chinarono la testa. Feci un gesto con le mani e raggiunsi il vecchio comandante dell’esercito.
“Fronte ovest a rischio di attacco marino da parte delle truppe di Collinsport. Nord e sud potrebbero essere un buon modo per evitare l’attacco frontale e attaccare su tre fronti impiegherebbe l’impiego delle nostre forze al completo, quindi  è possibile che scelgano una strategia simile… A est siamo coperti dalla terraferma, nostra alleata.”
“Causa del possibile attacco?” domandai seria fissando la carta sul tavolo.
“Territori. Vogliono ridurci ad una colonia, il Re Carlos non è contento che gli rubiamo le possibilità di commercio sul mare.” Rispose uno dei generali. Annuii.
“Avvisate le reclute più promettenti che le selezioni per altri venti agenti speciali si terranno domani, nel pomeriggio.” Affermai.
“Ma Principessa, è un’impresa impossibile riuscire ad addestrare venti uomini e a portarli al livello appena raggiunto dagli altri!” si oppose uno dei generali.
“Vorrà dire che faremo l’impossibile. Non ho intenzione di trovarmi impreparata di fronte ad un attacco, soprattutto se si tratta del regno di Collinsport. Non venitemi a dire che i miei soldati speciali potrebbero annientarli da soli anche se sono solo venti! Non ho intenzione di perdere tempo con nuove selezioni se uno di loro morisse” detto questo, mi congedai e uscii. Tornai al campo ed esaminai ognuno dei combattenti mentre ancora si allenavano eseguendo l’esercizio ignari della mia presenza.
“Ottimo lavoro, vi aspetto domani per le selezioni del pomeriggio.” Annuirono tutti fermandosi e tornai verso il palazzo. Mi spogliai e feci una doccia veloce. Era mia abitudine fare più di una doccia al giorno, per me era normale. Messo il pigiama, controllai il cellulare.
Era l’una di notte, perfetto. Un messaggio. Lo aprii:
 
Da: Dia <3
Mio fratello è strano da quando ti ha vista,
non so cosa fare… Odia questa situazione. Cosa devo fare?
Diana.
 
Sospirai. La verità è che nemmeno io avevo idea di cosa fare. Scrissi veloce la risposta.
 
A: Dia <3
Non è l’unico ad essere strano, ho quasi amputato una gamba ad uno dei
miei agenti speciali… Non so cosa fare, so solo che tuo fratello avrà l’onore,
volente o nolente, di rubare il primo bacio alla principessa…
Help!
 Alexis.
 
Sospirai e mi stasi sotto le coperte. Il telefono vibrò sul comodino. Lo presi e lessi.
 
Da: Dia <3
Hahaha… Viva il tuo umorismo! Ti adoro… Si, mio fratello è proprio fortunato…
Anche se ancora non lo sa… Vedrai che cadrà ai tuoi piedi, fagli solo vedere come sei brava con la spada ;)
Vada, notte <3
Diana.
 
Risi vedendo che era tornata la spigliata ragazza di sempre.
 
A: Dia <3
Hahaha sei un mito! Notte <3
Alexis.
 
Spensi il cellulare e lo posai sul comodino. Pensai un’ultima volta a quegli occhi azzurri, scossi la testa e spensi la luce. 











Ehilà, salve a tutti! 
Ecco qua il primo vero e proprio capitolo della mia seconda storia. Allora, questo capitolo è una specie di introduzione, in cui presento i personaggi principali, cambio spesso punto di vista in base alle situazioni, non riesco a raccontare solo dal punto di vista di una persona, perciò, sorry! 
Comunque, non so che altro dire su questo capitolo... 
Ok, allora, visto che una certa persona ha fatto una cosa dolciosa per me, vorrei ricambiare ;)
Ringrazio tantissimo una persona speciale conosciuta qui su EFP, Giveyourheartabreak, bravissima a scrivere, davvero simpatica e che mi ha chiesto più volte di aggiornare presto! Sei un mito! <3 
Ringrazio anche una delle mie migliori amiche che mi ha prestato il suo nome, grazie Bella :*
Niente, qui sotto ecco a voi i personaggi...

Alexis: 




Ps: quello che sta indossando è la tuta descritta quando va in caserma. 

Bryan: 





Queste sono le famiglie dei due: 

Famiglia di Bryan:





Famiglia di Alexis: 




Isabella: 



Valentina: 



E i vestiti delle ragazze: 




Ok, è tutto... Al prossimo capitolo, spero che vi piaccia e recensite! :)
Baci,
Giugiu.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


CAPITOLO 2

 
Occhi verde azzurro chiarissimi puntati nei miei mentre mi avvicinavo lentamente alla loro proprietaria, come un leone che caccia la sua preda, solo che non era ben chiaro chi dei due fosse il leone e chi la gazzella. Non riuscivo a distogliere lo sguardo da quella donna. Piano, lei mi venne incontro e, comandato da un istinto irrazionale mi fiondai sulle morbide labbra rosse di Alexis. Ricambiò il bacio con la stessa passione e presto ci ritrovammo entrambi senza fiato mentre il bacio era diventato più profondo, a coinvolgere non più solo le labbra. 
Senza staccarmi da lei la spinsi verso il muro grigio alle sue spalle, fino a premermi su di lei, intrappolandola tra il mio corpo e il muro. Le sue mani scivolarono tra i miei capelli, accarezzandoli e giocandoci.
Era una sensazione bellissima.
La sentii sospirare mentre piano le mie mani scendevano ad accarezzarle i fianchi al di sotto della leggera canottiera che indossava. 
Mi staccai leggermente poggiando la fronte sulla sua e incatenando nuovamente i miei occhi ai suoi.
Vidi un’espressione insieme spaventata e perfida farsi largo sul suo viso e un dolore lancinante mi colpì alla gola. Mi portai le mani a quest’ultima, cercando sollievo. Provai ad urlare ma nessun suono fuoriuscì dalle mie labbra mentre mi sentivo soffocare. I miei occhi si spalancarono mentre guardavo la ragazza che fino a pochi secondi prima stavo baciando muovere le labbra, terrorizzata, ma non sentii nulla, ero come sordo. Il dolore alla gola aumentò facendomi cadere in ginocchio mentre cercavo di capire cosa mi stesse succedendo. 
Mai in vita mia ero stato più spaventato di così.
Scivolai disteso sul pavimento mentre sentivo il bruciore alla gola farsi sempre più intenso e allora urlai, con la voce che avevo appena ritrovato, urlai tutto il dolore che mi stava consumando.
 
 
 
Mi svegliai urlando, madido di sudore e avvolto nelle coperte del mio letto. Portai le mani alla gola, sentendo un leggero fastidio torturarla. Bruciava leggermente, ma era una sensazione sopportabile. Rabbrividii sia per il freddo del sudore sulla mia pelle a contatto con l’aria che per il ricordo del dolore lancinante di quello che era un sogno. Mi alzai spostando violentemente le coperte di lato e corsi in cucina. Bevvi due bicchieri d’acqua, sentendo il bruciore diminuire leggermente.
Cosa mi stava succedendo?
Ripensai al sogno, all’inizio del sogno. Io che baciavo Alexis. Scossi la testa incredulo. Sapevo che prima o poi avrei dovuto baciarla per davvero ma per me, cresciuto con l’odio per le sirene, non era una cosa facile da accettare il fatto di baciare una di loro. Mi passai una mane sul viso, improvvisamente stanco. Trascinai i piedi fino al bagno, aprii l’acqua della doccia e mi fiondai sotto di essa dopo essermi spogliato dei pantaloni e dei boxer che indossavo per dormire. Insaponai e sciacquai corpo e capelli con cura, finendo poi per chiudere gli occhi e lasciare che l’acqua mi scivolasse addosso, rilasssandomi. Chiusi gli occhi beandomi di quella sensazione. Solo dopo dieci minuti buoni mi decisi a chiudere l’acqua e ad uscire. Mi asciugai e vestii velocemente per poi uscire di casa. Camminai fino alla moto e presi la pistola, nascondendola tra pantaloni della tuta e pelle. Era illegale usare armi moderne, solo i cacciatori come me ne possedevano una, che, comunque, non era in grado di ferire gli umani, solo per le sirene era letale. Il Re Peter stava cercando da anni di abolire la caccia alle sirene, perché lui stesso aveva sposato una di loro. Nessuno conosceva questo dettaglio, però, perché nessuno sapeva dell’esistenza di queste creature. Conservavano bene il loro segreto, anche se molto spesso intere navi scomparivano e dei corpi dei marinai non vi era traccia. Si, perché le sirene erano carnivore. Alcune di loro, avevo sentito avevano abbandonato questa ‘dieta’ per dedicarsi a frutti di mare, pesci e cose varie.
Scossi la testa, riemergendo dai miei pensieri. Salii in groppa alla moto e partii. Sapevo esattamente dove andare: ci ero stato così tante volte.
Fermai la moto e scesi di fronte ad una casa malandata, di legno mezza decadente.
Sorrisi. Misi le mani in tasca e camminai verso quella catapecchia. Aprii la porta lentamente entrando con calma. Nonostante dall’esterno potesse sembrare per niente curata, l’interno nascondeva un arredamento moderno e ben tenuto. Non vi erano muri e in una sola stanza si trovavano una cucina e un salotto. Sul divano alla mia sinistra, intenti a guardare un film, c’erano due ragazzi.
Shane e Adara se ne stavano abbracciati sul divano. Lui alzò la testa sentendo la porta aprirsi e mi guardò. Un sorriso si espanse sul suo volto.
“Bro! Pensavamo di doverti sostituire!” esclamò ridendo e alzandosi per venire a salutarmi con la nostra stretta segreta. Shane era più grande di me, aveva da poco compiuti trent’anni, ma eravamo davvero molto amici, avrei potuto definirlo tranquillamente il mio migliore amico. Poco dopo ci raggiunse la bionda Adara, la fidanzata di Shane, e mi strinse in un abbraccio. Era più grande di tutti e due, ma si sa: al cuor non si comanda.
Aveva trentasette anni e lei e Shane stavano insieme da tre anni. Lui mi aveva accennato al fatto di voler rendere ufficiale e più seria la loro storia, ma era quasi un mese che non li vedevo e non sapevo se avevano fatto quel passo oppure no.
“Come stai Bry?” chiese Adara staccandosi dall’abbraccio. Feci una smorfia e li sorpassai, appropriandomi del divano.
“Bro, ehm.. Abbiamo una cosa da dirti…” annunciò lui imbarazzato. Feci un gesto con la mano, incitandolo a continuare. Adara alzò la mano sinistra, voltando il dorso verso di me e muovendo le dita, emozionata, stringendosi a Shane con l’altro braccio. Un anello di quello che sembrava argento le cingeva l’anulare sinistro. Mi alzai sorpreso  e felice, andando ad abbracciare entrambi. Ero davvero contento che finalmente si fossero decisi.
“Però ci sposeremo solo ad una condizione!” annunciò all’improvviso Shane guardandomi serio mentre Ada annuiva.
“Quale?” chiesi preoccupato.
“Tu sarai il mio testimone!” ritornò sorridente.
Risi: mi aveva fatto prendere un colpo.
“Certo che sarò il tuo testimone!” dissi stringendolo in uno dei nostri rari abbracci. Ada applaudì contenta sorridendo.
Ridemmo ancora per un po’ mentre mi raccontavano dei preparativi e del giorno della proposta.
“Insomma, eravamo in questo ristorante e arriva il cameriere. Shane gli parla e sembrava avere una specie di tic all’occhio! Allora gli ho chiesto se stava bene e lui si è preso la testa tra le mani. Il cameriere gli ha portato un bicchiere d’acqua perché credeva che stesse male e Shane gli ha detto che era un’idiota!” stava dicendo Adara ridendo come una matta.
“Non è vero, non gli ho detto così” protestò lui.
“Oh si che gli hai detto così”
“Gli ho detto che era un’imbecille, non che era un’idiota” disse Shane con aria superiore facendo ridere tutti.
“E poi siamo andati sulla spiaggia e Shane è inciampato nello scalino tra sabbia e marciapiede” rise Adara.
“Non è vero, ho solo messo male il piede”
“In altre parole sei inciampato” gli fece una linguaccia lei. Risi. Era da tanto che non ridevo così.
“Poi però è andata meglio, mi sono inginocchiato…”
“… E mi ha chiesto se volevo passare il resto della mia vita svegliandomi la mattina a letto con lui…”
“Se voleva addormentarsi nel mio stesso letto…”
“Se volevo sentire un ‘Ti amo’ sussurrato al posto del buongiorno..”
“Se voleva litigare tutte le mattine per il bagno…”
“Se volevo essere sua moglie” concluse Ada. Erano davvero bellissimi e dolcissimi quando si completavano le frasi a vicenda come avevano appena fatto. Si guardarono negli occhi e poi si baciarono dolcemente a stampo.
Chissà, magari sarò anche io così, un giorno… Con Alexis…
Aspetta. Cos’avevo appena pensato? Avevo appena pensato a me e Alexis insieme?
Avevo seriamente bisogno di parlare con qualcuno e loro due erano quelli più indicati, al momento.
“Ragazzi, ho combinato un casino”
 
 
Alexis
 
Ero seduta sulla mia poltrona rossa, le gambe ripiegate accanto a me e la testa sorretta dal palmo della mano, il gomito sul bracciolo. In mano il cellulare e davanti a me Valentina che provava l’abito per le sue future nozze con mio fratello. Era davvero bellissima. Ed io ero la sua damigella d’onore. Un sorriso enorme le andava da orecchio a orecchio mentre si guardava allo specchio e mi chiedeva cosa ne pensavo.
“Sei più che bellissima, Tina” le sorrisi felice.
Chissà, magari sarò anche io così, un giorno… Con Alexis…
Un pensiero non mio comparve nella mia mente. Era di Bryan, ne ero certa. Il ‘legame’ che si era creato tra di noi permetteva di percepire i pensieri dell’altro che riguardavano espressamente te. Bryan mi stava pensando.
Così come? Mi chiesi, confusa e provai a leggere i pensieri del cacciatore, come mia madre mi aveva insegnato a fare, senza che facessi però pratica, perché si poteva fare solo dopo il legame. Vidi, attraverso gli occhi di Bryan, due ragazzi parlare di una proposta di matrimonio e poi baciarsi dolcemente. Due nomi comparvero nella mente del cacciatore: Shane e Adara.
Presi velocemente il cellulare e scrissi un messaggio.
 
A: Dia <3
Ehi, Dia, chi sono Shane e Adara?
Alexis.
 
Inviato. Sorrisi a Vale che si stava togliendo il vestito e mi raccontava di ieri sera, quando era scappata con mio fratello in camera sua e avevano parlato per ore, entrambi agitatissimi per le nozze imminenti. Una vibrazione mi distrasse e lessi il messaggio.
 
Da: Dia <3
Sono il migliore amico di Bry e la sua fidanzata (Di Shane, eh!) 
Ma perché? Li conosci?
Diana.
 
Sospirai. Quindi Bryan stava pensando a me e lui come possibile coppia innamorata, in procinto di sposarsi. Scossi la testa rispondendo a Diana.
 
A: Dia <3
No, ma posso leggere i pensieri di tuo fratello quando pensa a me. 
Save me! Pensava una cosa che diresti assurda pure tu se la sapessi O.O.
Alexis.
 
Risi con Valentina per la fine del suo discorso: mio fratello era caduto dal letto per il troppo ridere a una battuta. Jacopo era maldestro e impacciato quando si trattava di Vale. Era così tenero! Mi divertivo tantissimo a vederlo arrossire come un peperone ogni volta che gli raccontavo di Vale che girava in mutande per la mia camera durante i pigiama party mentre lui era nel corridoio accanto al mio.
Mi alzai e a braccetto con Vale uscimmo da quella stanza ridendo. Sembravamo una normalissima coppia di adolescenti spensierate. Ma non eravamo più delle ragazzine. Avevamo ormai superato la soglia dei vent’anni entrambe.
Un servo ci raggiunse e s’inchinò fin quasi a far scontrare la fronte con il pavimento.
“Signorina Principessa, Signora! Il generale vi aspetta per le selezioni!” annunciò usando un numero spropositato di titoli. Annuii e corsi con la mia amica nella mia stanza. Entrambe indossammo una tuta di cuoio come quella che avevo la sera scorsa e rifacemmo la stessa identica strada.
Arrivammo al campo d’addestramento in pochissimo tempo.
Cinquanta ragazzi dai quattordici ai sedici anni erano fermi, in fila uno accanto all’altro. Valentina mi guardò, una muta domanda nel suo sguardo. Annuii impercettibilmente e lei disse, rivolgendosi ai ragazzi: “Spero sappiate perché oggi siete qui. Le selezioni per diventare parte della squadra d’elite della Principessa è dura e siete giovani ma ce la farete. I ragazzi che ora fanno parte della squadra ce l’hanno fatta. Io ce l’ho fatta.”
Sorrise.
Già, Vale era una tosta. Aveva fatto le selezioni anche lei, l’anno scorso. La prima donna ad entrare nell’elite dell’esercito, dopo di me. Era il mio ‘consigliere di guerra’, così le piaceva definirsi. Mi aiutava e dava consigli su qualsiasi cosa. Mio fratello era contento che facesse parte attivamente dei comandanti, così non avrebbe dovuto sforzarsi per tenerla fuori da questioni politiche e militari.
Vale aveva un intero reggimento ai suoi comandi, esattamente come ogni membro della mia squadra. Era addirittura candidata come prossimi capo stratega militare. Niente da dire, una ragazza dolce e dal pugno di ferro.
La adoravo proprio per questo.
“Mezz’ora di corsa, cinquanta flessioni e cinquanta addominali.” disse autoritaria.
“Chi sarà ancora in grado di reggersi in piedi passerà alla fase successiva.”
“Tomers, a te la supervisione. Se non ce la fanno falli rallentare, non importa quanto ci mettono.” Sussurrai nell’orecchio di uno dei miei uomini.
Scortata da Valentina raggiunsi la stanza del generale.
“Giorno signori” dissi entrando. Valentina s’inchinò e mi seguì fino al tavolo con sopra la carta. La fissai per qualche istante constatando che c’era qualche errore nella disposizione delle forze. Guardai Vale e lai annuì, preparandosi a parlare.
“Signore, perché questo dispiegamento di forze eccessivo lungo la costa nord? Non sarebbe più saggio ricoprire interamente il perimetro dell’isola con piccole unità autosufficienti in grado di richiedere rinforzi se necessario?”
“Si, sarebbe più semplice ma lascerebbe la capitale nella quale ci troviamo completamente scoperta, un ottimo bersaglio per i nemici infiltrati.”
“Nemici infiltrati? La città non rimarrebbe comunque scoperta. La squadra della Principessa è impegnata nelle selezioni e rimangono comunque le guardie di palazzo.”
“Non addestrate a combattimenti in campo aperto come la guerra vera e propria. Lo avete detto voi stessa: la squadra della Principessa è impegnata nelle selezioni. Questo non permetterebbe ai militari di combattere al meglio, considerato il fatto che la caserma pullula di ragazzini inesperti da proteggere. Dispiegando solamente quattro squadrone ai quattro punti cardinali sarebbe dunque la soluzione migliore per proteggere l’Isola.” Concluse il generale.
Analizzai la situazione.
“Un dispiegamento di questo tipo, Generale, comporta la possibilità che le truppe nemiche riescano ad aggirare il battaglione e inoltre sarebbe molto più semplice per i ribelli interni dirottare le scorte di cibo e armi dirette agli accampamenti. Io sono d’accordo con Valentina, per quanto riguarda la sua idea di ricoprire interamente il perimetro, anche se la città rimarrebbe scoperta. I miei uomini sono addestrati, le ricordo. Sanno quali sono le priorità ed ognuno di loro è in grado di combattere contro cinque soldati contemporaneamente e uscirne vincitore.” Dissi gelida e il mio discorso non faceva una piega.
“Inoltre, se la situazione dovesse farsi critica, si potrebbe chiedere l’intervento dei Cacciatori. Naturalmente offrendo loro la giusta ricompensa” azzardò Vale. La guardai.
Bryan, chissà se accetterebbe…
Mi chiesi. Decisi di provare una cosa nuova: parlare con Bryan attraverso i pensieri.
Bryan, sono Alexis. Quelli che senti sono i miei pensieri. Li puoi sentire solo se penso a te o se voglio dirti qualcosa senza parlare. Se mi senti basta che pensi al mio nome. 
Sperai che funzionasse.
Alexis. 
La voce del cacciatore nella mia testa. Ci era riuscito. Sorrisi fissando il tavolo.
Ho bisogno del tuo aiuto. Sei un cacciatore, il che implica che conosci altri cacciatori, giusto?
Lo sentii ridere nella mia testa.
Taglia corto, sirena. 
Sbuffai.
Siamo a corto di forze armate per proteggere la città durante l’imminente attacco da parte di Collinsport e le truppe sono interamente, o quasi, lungo il perimetro delle coste. I cacciatori sono addestrati, lo so. Potrebbero aiutarci e verranno ricompensati tutti con un’ingente somma di denaro, se necessario. 
Incrociai le dita, sperando con tutta me stessa che accettasse.
Io non me ne faccio niente dei soldi, sono ricco. La maggior parte dei cacciatori però non lo è. Io per convincerli ho bisogno di un incentivo, cosa avrò in cambio?
Sorrisi.
Se convinci gli altri cacciatori io cercherò un modo per sciogliere il legame.
Ok, ora non restava che sentire la sua risposta. Guardai Valentina che ancora discuteva con il comandante. Mi avvicinai e ascoltai le teorie secondo le quali coinvolgere i cacciatori era un’ottima idea. Ridacchiai pensando alla prima volta che mio fratello e Valentina si erano toccati. Avevano dieci anni lui e sette lei. Il legame era subito scattato, segnando l’inizio della storia d’amore più bella di sempre, dopo quella di mio padre e mia madre.
Accetto.
Il mio cuore perse un battito sentendo quella risposta. Era fatta.
 
 
Bryan
Accetto.
Una parola, sette lettere, una promessa.
Avevo raccontato tutto ciò che era successo a Shane e Adara e mi avevano guardato sorpresi. In un certo senso speravano che mettessi la testa apposto essendo legato ad una sola donna e che smettessi così di passare, diciamo, di letto in letto. I loro consigli sono stati utili. Adara mi ha detto di provare, buttarmi, anche se la odiavo a prescindere da cos’era. Shane mi aveva consigliato, invece, di rimanere distaccato, quanto basta per non innamorarmi di lei ma riuscire a rimanere in vita, assecondando le varie fasi della trasformazione al fianco della principessa.
Lui condivideva l’odio profondo che anche io provavo verso le sirene, anche a lui avevano portato dolore.
Tutta la famiglia di Shane era stata sterminata dalla fame delle sirene.
Due sorelle, un fratello e i genitori, ecco cosa gli avevano portato via.
Scossi la testa ritornando al presente.
Ero nel retro della casa malandata, una sigaretta tra le labbra, la schiena contro il muro e una gamba piegata all’indietro. Non fumavo di solito, era solo un piccolo sfizio che mi prendevo quando ero nervoso. Shane era dentro, a guardare un film, Adara era qui con me. Se ne stava comodamente distesa su una poltroncina da esterno bianca, una sigaretta tra le sue labbra.
Mi guardava.
Io ero preso dalla conversazione appena conclusa con Alexis e ora aspettavo solo che arrivasse il Maestro.
“Sai, non dovresti giudicare un libro dalla copertina: il fatto che le sirene ti abbiano fatto… quello che ti hanno fatto, non significa che lei sia come loro. Magari è diversa. Ok, so che detto da una cacciatrice non è proprio il massimo, considerato che anche io uccido e odio le sirene. Ma che ne sai tu?” fece un lungo tiro e trattenne il fumo per un po’ prima di buttarlo fuori tutto insieme e riprese: “Lo dice anche il Maestro: nulla è mai ciò che sembra, una bambina può essere il più temuto killer del mondo mentre un ragazzo ricoperto di tatuaggi che fuma e si droga può essere un dolce uomo che va regolarmente a fare volontariato. Pensaci.” Si alzò, spense il mozzicone in un posacenere e rientrò in casa.
Sorrisi. Era saggia.
Sentii delle risate provenire dall’interno e poi la porta sbatté accanto a me: qualcuno era uscito.
Voltai piano il capo e notai un uomo seduto dove poco prima c’era Adara. Una barbetta gli incorniciava il viso e i capelli erano grigi. Gli occhi scuri mi fissavano.
Il Maestro sorrise prendendo una sigaretta e accendendola.
“Ah ragazzo… Tutte a te capitano, eh?” ridacchiò guardandomi. Sorrisi sconsolato annuendo.
Solo lui riusciva a capirmi con uno sguardo, anche se sospettavo i ragazzi gli avessero raccontato tutto.
“Non so cosa dirti, ragazzo mio. Segui il tuo cuore* mi sembra così banale! Mmm… Dovrebbero fare un manuale per queste situazioni” sbuffò. Risi. Adoravo il mio Maestro.
“Mi ha appena chiesto se i cacciatori sono disposti ad aiutare la famiglia reale a proteggere il castello e l’isola stessa durante l’imminente attacco di Collinsport. Le ho detto che avrei provato a convincere i cacciatori e lei in cambio ha offerto agli altri una ricompensa in denaro…” abbassai lo sguardo fissandomi le scarpe.
Il Maestro sospirò rilasciando una nuvola di fumo a forma di anello. Come ci riuscisse era un mistero.
“Mmm… Già a questo punto sei arrivato nella trasformazione? Riesci già a parlare con lei attraverso il pensiero? E a te che ha offerto? Non sei il tipo che fa qualcosa senza un minimo di tornaconto personale…”
“Conosci la mia natura, questo velocizza la trasformazione, me l’ha confermato lei stessa. E mi ha proposto in cambio la libertà, mi ha detto che cercherà un modo per dissolvere il legame.”
“Quindi lei sa della tua natura a metà? Sareste perfetti, anche lei è come te, in fondo. Ed è un ottimo incentivo, la promessa che ti ha fatto.”
Il Maestro era impassibile, non si era minimamente scomposto alle mie affermazioni. Niente lo sconvolgeva, mai. Scossi la testa.
“Io odio…”
“Lo so lo so… Odi tutte le sirene a prescindere per quello che tua madre ti ha fatto passare”
“Lei non è mia madre. Mi ha abbandonato, dimmi, è questo quello che fa una madre? Non mi sembra.” Risposi ormai quasi in preda all’ira, i pugni stretti e la sigaretta caduta a terra. La pestai con un piede riappoggiandomi al muro.
“Ti capisco, ragazzo, ma non tutte le sirene sono crudeli come tua madre, perché è tua madre e lo sai bene, anche se non si è presa cura di te ti ha fatto nascere, ti ha donato la vita e ha avuto la premura di abbandonarti sulla porta di tuo padre invece di lasciarti in mezzo alla strada.”
“A questo ha rimediato più avanti, però” sputai con rabbia quelle parole stringendo nuovamente i pugni e incrociando le braccia al petto.
“Controlla la rabbia Bryan. Sai benissimo che è in grado di accecarti e ricordi cos’è successo l’ultima volta che la rabbia ha preso il controllo su di te?” chiese il Maestro spegnendo la sigaretta e accendendone un’altra. Si riferiva a due anni prima, quando Shane ha cercato di farmi capire che mia madre, quella che mi ha partorito, la sirena, aveva deciso di lasciarmi in vita e che era stata generosa a farlo. Gli ho quasi staccato un braccio con la spada perché ero accecato dalla rabbia, fermo nelle mie convinzioni che non erano ancora cambiate. Ora il mio migliore amico aveva una cicatrice sulla spalla, che gli ricordava di non farmi arrabbiare.
“Bene, ora che ti sei calmato possiamo ricominciare a parlare. Adara ha ragione, ascoltala. È adulta da più tempo di te. Anche lei prova il tuo stesso odio, come tutti noi, ma lei sa che non tutte le sirene sono cattive, carnivore. Si, comportano gravi danni, uccidono persone con una vita. Cerca di capire, però, che lo fanno per mangiare, esattamente come tu uccidi una mucca per mangiarne la carne, o un maiale per fare il salame. Quegli animali potrebbero pensare che sei tu un assassino, che li privi di parenti, amici… Pensaci, perché in fondo è la stessa cosa.” Il maestro me fece l’occhiolino spegnendo il mozzicone e alzandosi.
“Basta chiacchere,mi sono stufato di essere saggio. Forza, alleniamoci un po’, voglio vedere se hai perso il tuo tocco.”
Risi. In fondo era ancora il Maestro, la persona più vicina ad un padre per me.
“In effetti mi stavo giusto domandando se fossi tu quello che mi dava consigli e non un sosia” ridacchiai e ricevetti una sberla dietro la nuca come unica risposta. Ridemmo insieme camminando verso la foresta, il luogo dei nostri allenamenti.
Ci inoltrammo tra la vegetazione, fino a raggiungere una radura a cielo aperto. Era grandissima. Tra gli alberi al limitare dello spiazzo erboso vi erano vari tipi di armi, dalle spade alle cerbottane. Nessuna di queste armi s’intravedeva, tanto erano nascoste bene. Sul lato della radura opposto a dove c trovavamo noi c’era una piscina enorme, fatta in modo che somigliasse in tutto e per tutto alla depressione marina, per imparare a combattere sia sulla riva che nell’acqua profonda e in apnea.
Mi diressi verso un albero e mi arrampicai agile fino a raggiungere i primi rami, tra i quali trovai una spada. Scontento, salii ancora e trovai una frusta arrotolata. La presi. Con entrambe le armi scesi dall’albero, trovando il Maestro al centro della radura, intento a provare vari fendenti contro il nulla.
“Sei diventato più  lento del solito ad arrampicarti. Mi deludi” esclamò senza nemmeno guardarmi e continuando i suoi esercizi.
“Sono andato piano di proposito.” Risposi andando verso la piscina. Poggiai le armi a terra e tolsi la maglietta, rimanendo solo con i pantaloni della tuta.
Avanzai verso l’acqua con di nuovo le armi in mano.
Provai vari colpi veloci cercando di combattere contro la resistenza dell’acqua. Raggiunta una certa profondità dell’acqua, lanciai spada e frusta sul terreno e mi tuffai, cominciando a nuotare.
Poco dopo, ero quasi arrivato dall’altra parte della piscina, che era davvero lunghissima, misurava poco più di cinquecento metri, sentii un altro corpo nuotare velocemente verso di me.
Mi bloccai voltandomi e rimanendo a galla. Shane si era appena tuffato dal lato della piscina e mi stava raggiungendo. Mi fece un mezzo sorriso di sfida prima di tirarmi un pugno al di sopra del pelo dell’acqua. Lo schivai appena in tempo e cominciammo a lottare, buttandoci uno contro l’altro e senza esclusione di colpi provammo uno ad annegare l’altro, ribaltando in continuazione le parti.
Eravamo pari, non facevamo che immergerci e ritornare a galla in un susseguirsi di mosse rallentate dall’acqua.
Dopo ore di combattimento sfrenato venimmo richiamati da Adara per la cena. Come due bambini iniziammo a spintonarci e a fare a gara a chi sarebbe arrivato prima. Adara e il Maestro ci guardavano divertiti per il nostro essere eterni bambini.
Ridendo entrammo in casa e ci sedemmo a tavola.
“Amore, dimmi che hai preparato la pasta con i gamberoni in sugo!” esclamò con una faccia da bambino capriccioso Shane: quello era il suo piatto preferito, indubbiamente.
“Ma certo piccolo” esclamò lei accarezzandogli dolcemente una guancia. Shane fece una specie di urletto di gioia e tutti ridemmo. Era così bello stare qui, con loro. La mia seconda famiglia. Avrei ucciso per loro, sarei anche morto, per loro. E so che per loro è lo stesso.
 
 
Alexis
 
Entrai nella vasca e decisi di fare una cosa che non facevo da tempo.
Mi lasciai andare completamente, lasciando che le mie gambe si unissero tra loro, fondendo la pelle e i muscoli al di sotto. La superficie rimasta divenne squamosa e piano le squame andarono definendosi, fino a trasformare le mie gambe in una coda grigio azzurra, del colore dei miei occhi. I capelli immersi liberi nell’acqua accanto a me diventarono marroni, come una ricrescita improvvisa dopo la tinta, il biondo dei miei capelli sembrava scivolare giù, fino a che non fui completamente mora.
Mi sentivo bene, rilassata. Dopo una giornata di allenamenti e selezioni, cena con ospiti e consigli militari sull’imminente guerra, finalmente era giunto il momento di riposare.
Non avevo più percepito nessun pensiero di Bryan, il che significa che non mi ha pensata.
Rimasi quasi delusa da questo e non avevo idea di come spiegarmi il motivo di questa mia delusione. Forse, nel profondo, speravo che mi pensasse, anche solo per distrarmi da tutta questa serietà, per creare un diversivo alla monotonia.
Sentii bussare piano. Un servo urlò da dietro la porta: “Principessa, desidera che le faccia preparare la carrozza per la sua nuotata serale?”
Sbuffai.
“Solo se viene anche mia madre, dille pure che devo parlare con lei di una cosa importante.”
Sentii i passi del servo allontanarsi e velocemente mi ritrasformai. Mi posizionai di fronte allo specchio a forma intera che c’era in un angolo. Eccomi qui, di nuovo bionda, magra e con due gambe. Sospirai: mi ero arresa da tempo al mio essere due persone diverse, per così dire.
Corsi in camera mia e mi preparai, indossando semplicemente un costume da bagno e dei pantaloncini con una canottiera.
Legai i capelli in una coda alta e corsi giù per le scale, attraversai miliardi di corridoi dai più stretti e lunghi ai più larghi e corti. Mi sembrava di essere in un labirinto.
Più volte, da piccola, mi ero anche persa cercando la sala da pranzo, le cucine o un salotto. Ora semplicemente potevo percorrere quei corridoi con sicurezza, ad occhi chiusi. Mi sentivo potente ogni volta che riuscivo ad arrivare da camera mia nell’ala est del palazzo fino alle stanze dei miei genitori nell’ala ovest, completamente ad occhi chiusi. Io e Valentina giocavamo sempre a chi raggiungeva prima il traguardo ad occhi chiusi. Di solito arrivavamo insieme ognuna da una strada diversa oppure arrivavo prima io e viceversa. Era davvero divertentissimo, perché ridevamo come pazze e finivamo sempre per percorrere una strada cortissima in due ore per le troppe risate.
Sorrisi ripensando a questi ricordi, anche se lo facevamo ancora, come ieri mattina, per esempio.
Affrettai il passo raggiunto l’ingresso ed uscii nell’aria fresca della serata.
Rabbrividii.
Raggiunsi velocemente la carrozza e salii in fretta.
Poco dopo il cocchiere fece partire i cavalli. Già, cavalli. Mia madre odiava il gas di scarico delle automobili e per questo usavamo solo carrozze trainate dai cavalli. Mia madre era seduta esattamente davanti a me e mi guardava sorridendo. Indossava solo un vestito lungo fin sopra il ginocchio. Era davvero una donna bellissima.
Arrivati alla spiaggia scendemmo entrambe e facemmo una corsa verso l’acqua, spogliandoci e rimanendo solo con un costume da bagno, i vestiti abbandonati lungo il percorso.
Arrivata in acqua mi tuffai e riemersi pochi secondi dopo già trasformata.
Mi guardai intorno e anche la mia dolce mammina era già in acqua, trasformata anche lei. Solo a me cambiava il colore dei capelli durante la trasformazione, ero una specie di rarità per questo.
Mi avvicinai a mia madre e insieme scendemmo sott’acqua, senza dire una parola.
Nuotammo per un po’ in silenzio poi fui io stessa a rompere quel silenzio: “Mamma, mi sono legata ad un cacciatore.”





Buooongiornoooo! 
Ok, il capitolo l'ho messo ieri sera e per farlo sono arrivata con dieci minuti di ritardo alla cena di classe, anche se non ero l'unica, perciò, AMATEMI! XD 
No dai, a parte gli scherzi, ieri sera è stato bellissimo, non riesco a credere che non li vedrò più... *Piange come una fontana* 
Cooomunque, tornando al capitolo, qui ho deciso di dare un po' di spazio a quella che è la quotidianità dei due protagonisti, che viene leggermente alterara dal legame che unisce i loro pensieri. 
Abbiamo anche la proposta di alleare cacciatori e truppe reali nell'imminente guerra, cosa non da poco perché, sostanzialmente, molti dei cacciatori sono ricercati... 
Poi... Finalmente compare il nostro Maestro, un personaggio che io personalmente adoro *-* a voi piace? 
Comunque, la frase che il Maestro dice a Bryan, quella a cui ho aggiunto un *, segui il tuo cuore, era una secie di omaggio a Zac Efron, il volto di Bryan, e al suo bellissimo film che mi ha fatto piangere :') 
Ah, che bello quel film *-* 
Vabbè, passando a cose più serie, nel prossimo capitolo vedremo la famosa chiaccherata di Alexis e la madre. 
In questo invece abbiamo molti indizi sul passato di Bryan, che ne pensate? 
RECENSITE!!! 
Ok, vi ho già annoiato abbastanza, vi lascio alle foto dei personaggi.

Shane: 



Adara:



il Maestro: 



Alexis: 



E Bryan:



A presto,
Baci,
Giu.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


CAPITOLO 3

 
Mia mamma si bloccò, come paralizzata smettendo di nuotare. Si voltò lentamente verso di me, un’espressione indecifrabile sul suo volto.
“Cosa?” chiese semplicemente, come se non avesse capito bene.
“L’ho incontrato per la prima volta al ballo, è il fratello di Diana, Patricia e Lana, ma non sapevo che fosse un cacciatore. L’ho visto per la prima volta di sfuggita durante una delle mie uscite e ha sparato ad una nostra sorella. Poi l’altra sera l’ho incontrato per la seconda volta e quando mi ha baciato la mano sono svenuta, come mi hai detto che è successo a te con papà. Ecco perché poi Vale mi ha portato da voi.” Sussurrai, quasi timorosa.
Mia madre mi si avvicinò piano, un’espressione dolce e materna sul viso. Mi poggiò delicatamente una mano sulla spalla e parlò: “Amore mio, sono così felice che finalmente hai scoperto chi era il ragazzo, uomo, destinato a te, ma sono così dispiaciuta che sia un cacciatore. Ti racconterò due storie simili alla tua, se le vorrai sentire.”
Annuii e lei cominciò: “Avevo una sorella, più grande di me di due anni, Eflia. Tua zia Eflia era destinata ad un cacciatore. Si odiavano ma al contempo si amavano. Lei non sapeva che fare, nostra madre era assolutamente imparziale e nostro padre non sopportava l’idea di vedere la sua figlia maggiore legata ad un cacciatore, un disprezzatore della nostra razza, un assassino. Lei impazzì, combattuta tra l’amore per il suo uomo e la decisione del padre. Il suo amato si era ricreduto sulle sirene e aveva giurato di non uccidere mai più nessuna di noi. Ma comunque nostro padre non si fidava e tua zia, in un momento di assoluta follia afferrò un coltello e lo piantò nel cuore del cacciatore, uccidendolo. Appena si riebbe e vide il cadavere del suo amato cacciatore estrasse il coltello e si uccise a sua volta, incapace di sopravvivere senza il ragazzo a lei destinato. Morirono entrambi quel giorno e nostro… Mio padre fu distrutto dal dolore e dai sensi di colpa. La nonna era l’ombra di se stessa, pallida e dimagrita. Io incontrai tuo padre due mesi dopo la morte di mia sorella e il nonno non disse nulla, approvò in silenzio e non discusse, accettando il fatto che era un umano. Non ha mai più ritrovato il coraggio di disprezzare quel che il legame unisce.”
Rimasi colpita, sconvolta da quella storia. Avevo una zia di cui non sapevo nulla che si è suicidata dopo aver ucciso l’uomo che amava. Guardai mia madre terrorizzata che potesse accadere anche a me una cosa del genere e lei mi fissò truce. Sentii i miei occhi riempirsi di lacrime che andarono disperdendosi nell’acqua salata. Mia madre sorrise piano, rassicurante.
“Non ti ho raccontato questa storia per spaventarti, nemmeno per dimostrarti che è sbagliato cercare di dividere ciò che il destino vuole unire, no. Te l’ho raccontata per farti capire che l’amore tra cacciatori e sirene non è mai facile. Ma vuoi sentire una storia a lieto fine tra una di noi e uno di loro?” chiese sorridendomi.
Annuii, volevo essere rassicurata.
Mia madre sorrise.
“ La mia domestica preferita, una dolce ragazzina di poco più di quindici anni, timida e riservata, salì in superficie per una commissione: recuperare delle erbe medicinali che sott’acqua non crescono. Camminava a testa bassa quando finì addosso ad un giovane ragazzo più grande di lei di circa quattro o cinque anni. Gli svenne tra le braccia e lui la portò con se, a casa sua. Si prese cura di lei, curandola e aiutandola a rimettersi in sesto. Dopo quasi un mese lui cominciò a sentire dolori sempre più forti alla gola e un giorno cadde addirittura a terra tenendosi la gola per il troppo dolore. Lei, capendo ciò che stava succedendo, prese tutto il coraggio che possedeva e lo baciò, annullando all’istante i dolori dell’uomo che non riuscì a fare a meno di manifestare i suoi sentimenti e il suo desiderio per quella ragazza, che l’aveva colpito fin da subito. Si raccontarono tutto quella notte, mentre si scoprivano a vicenda, unendo i loro corpi e le loro anime. Lui le disse di essere un cacciatore e lei gli confessò di essere una sirena. A nessuno dei due importava cosa fosse l’altro, l’unica cosa che volevano era stare insieme e da quel giorno lo fecero. Tornarono una sola volta a palazzo, un anno dopo, una fede al dito e un bambino in fasce in braccio. La mia domestica mi raccontò questa storia e io ne rimasi colpita. Sai ora dove sono quei tre? Sono la duchessa Liza, il duca Hylder e loro figlio Alexander.” Mia madre concluse il suo racconto facendomi un occhiolino. La guardai incredula.
“Dite davvero? Io non credevo che… Wow… È una storia così bella…” sussurrai. Mia madre sorrise. Conoscevo quella famiglia, Alexander era un mio grandissimo amico e compagno di giochi fin dall’infanzia, non credevo che suo padre fosse un ex cacciatore.
Com’è strana la vita, a volte, unisce ciò che noi vogliamo separare e separa ciò che noi vogliamo unire. Sorrisi guardando mia madre.
“Forza, andiamo che il nonno ci aspetta” mi sorrise riprese a nuotare.
“Lexi bella, figlia mia, sappi che non mi opporrò alla tua unione con quel ragazzo, a patto che mi dimostri il suo valore. Tuo padre mi ha informato della proposta di farci aiutare dai cacciatori nell’imminente battaglia e sono certa che tu hai già contattato il tuo cacciatore… Cosa ti ha risposto? Cosa vuole in cambio?”
Sorrisi: mia madre era una donna che andava dritta al punto, senza troppi giri di parole.
“Madre, mi conoscete fin troppo bene e sapete che odio rimandare quel che posso fare subito, perciò si, ho già chiesto l’aiuto del cacciatore e ho promesso un’ingente somma di denaro a coloro che ci aiuteranno. Ma a lui ho promesso che cercherò un modo per scindere il legame che pesa ad entrambi. Voi sapete se esiste un modo?”
Avevo ripreso ad usare il voi per rivolgermi a lei, visto che eravamo in un territorio prossimo a Byon, la città sott’acqua su cui un giorno avrei regnato. Mio fratello avrebbe infatti ottenuto il trono sulla terraferma mentre io quello sott’acqua, come prevedevano le leggi della terraferma secondo cui al primogenito spettava la corona.
“No, mia cara, purtroppo non conosco un modo, forse il nonno lo conosce. Ma sappi che noi non potremmo mai dividere ciò che il destino ha deciso di unire, un modo per rimetterli insieme lo troverà sempre.” Disse piano mia mamma mentre raggiungevamo i cancelli d’ingresso dell’enorme città di coralli. Due guardie dalla coda verde e con una lancia in una mano presidiavano l’ingresso e appena ci videro arrivare si esibirono in un inchino aprendo gli enormi cancelli formati da tantissime spugne di mare. La vista che ci si presentò fu uno spettacolo unico e mi fermai qualche secondo ad ammirare il mio regno.
Era una città vera e propria, come quelle in superficie ma formata interamente di coralli, spugne di mare, anemoni, alghe e altre miriadi di specie marine. La strada era lastricata da spugne, le case più grandi erano di corallo e, al posto dei fiori che sulla terra si trovavano nelle terrazze, qui c’erano vasi di anemoni rigogliosi.
Sirene dalle code di tutti i colori sfrecciavano o nuotavano piano dirette chissà dove. Vari gruppetti di maschi sostavano davanti ai bar e fischiavano al passaggio delle ragazze più belle.
Sorrisi e raggiunsi velocemente mia madre che era qualche metro più avanti. I gruppetti che prima facevano apprezzamenti vari si zittivano al nostro passaggio salutandoci con inchini rispettosi e sorrisi ammirati. Io rispondevo a tutti coloro che ci salutavano con un sorriso e un saluto mormorato mentre mia mamma sorrideva gentile a tutti.
In poco raggiungemmo il palazzo reale, un’enorme costruzione interamente composta dai coralli più rari e preziosi del regno, con varie decorazioni di conchiglie e alghe che formavano disegni intricati su tutta la facciata e rendevano uniche le altissime torri. Sorrisi guardando lo stemma del mio regno al centro della facciata principale, sopra il grande portone: una corona d’argento con una pietra azzurra al centro su uno sfondo bianco, con fili azzurri e blu che sembravano nascere dagli angoli dello stemma e si intersecavano tra loro e si moltiplicavano. Una cornice blu scuro con fili azzurri circondava lo sfondo bianco della corona e in alto, al centro, vi era la scritta bianca con contorni blu che recitava il motto di famiglia: “Reclama Te Stesso”.
Era la Corona Perduta, il più potente manufatto del regno delle sirene. Era andata perduta più di cent’anni fa, nessuno sapeva nulla se non che era stata rubata. Da chi, resta ancora un mistero. Sorrisi scambiando un’occhiata con mia madre ed entrammo. All’interno, il palazzo era bellissimo. Mia nonna e mio nonno, i sovrani, amavano mantenere una forma umana all’interno del castello, per cui appena si entrava era obbligatorio riprendere sembianze umane, data la mancanza di acqua.
Gli arredamenti erano di un pregiato legno della terraferma e richiamavano lo stile moderno antico del castello sulla terraferma. Immediatamente il mio sguardo cadde su mia nonna Camille che parlava animatamente con delle serve.
Era una donna arzilla, capelli grigi sempre in rodine, espressione sicura di sé e dolcezza e fierezza negli occhi verdi, vestiti sempre eleganti e portamento fiero. Sorrisi vedendola che si voltava verso di noi e si illuminava in un sorriso venendoci incontro.
L’abbracciai e sorrisi.
“Ciao nonna” dissi e lei mi sorrise per poi abbracciare mia madre.
“Oh tesoro, chi è lui?” mi domandò dopo essersi staccata da mia mamma. La guardai confusa e lei si spiegò.
“Chi è il fortunato che ha avuto l’onore di essere legato a te?” la guardai con la mascella che  quasi toccava terra.
“Su, chiudi la bocca, non è educato tesoro” mi rimbeccò poggiandomi due dita sul mento e chiudendomi la bocca. Sorrisi e decisi di rispondere.
“Nonna, ma come fai a saperlo?” il sorriso materno che mi rivolse mi fece quasi arrossire mentre pronunciavo queste parole.
“Bambina mia, la luce che hai negli occhi è la stessa che ha tua madre da quando è legata a tuo padre ed è la stessa che ho io da quando sto con tuo nonno. Il legame illumina lo sguardo di chi ha trovato la sua anima gemella.” Mi fece l’occhiolino e sorrisi imbarazzata.
“Un cacciatore, nonna. Lui è… Un cacciatore.” Sussurrai abbassando lo sguardo. “Ci odiamo a pelle, come può essere che siamo destinati?” domandai quasi disperata.
“Cara, non sempre quello che ci dice il cervello corrisponde a ciò che vuole il cuore. Gli occhi vedono una cosa, il cuore un’altra.” Mi rispose accarezzandomi dolcemente una guancia.
“Su, ora andiamo a parlare con tuo nonno, ho come la sensazione che devi chiedergli qualcosa.” Disse tornando la regina fiera e sicura.
Io e mia madre la seguimmo attraverso quei corridoi che conoscevo come le mie tasche. Poi mi ricordai che indossavo solo il costume da bagno e Camille annuì in risposta al mio sguardo. Cambiai direzione lasciando le due donne a proseguire la loro strada. Mia madre era andata a cambiarsi mentre parlavo con mia nonna.
Sovrappensiero finii addosso a qualcuno dopo aver svoltato velocemente imboccando un altro corridoio.
“Oh, perdonami, non ti avevo visto” quella voce la conoscevo. Alzai lo sguardo incontrando quello verde di un ragazzo che conoscevo bene. Barbetta marrone incolta, capelli dello stesso colore perfettamente disordinati, sigaretta tra le dita e fisico… Ehm, ben piazzato, diciamo.
“Alexander” dissi.
“Alexis” esclamò sorpreso.
“Quando sei tornata?” chiese abbracciandomi. Ricambiai l’abbraccio ridendo.
“Cinque minuti fa” ridemmo entrambi. “Stavo andando a cambiarmi, mi accompagni?” annuì e cominciammo a camminare uno di fianco all’altro verso le mie stanze. Gli raccontai le ultime novità, compreso del legame e lui mi raccontò che aveva trovato anche lui la sua anima gemella.
“Te la farò conoscere, mi ha accompagnato per chiedere a tuo padre se ci può sposare lui, sai, ci tenevamo…”
“Oh ma che cosa dolce!” dissi con gli occhi a cuoricino abbracciandolo di nuovo. “E così lo scapolo più ambito del regno sommerso si sposa, eh?” chiesi maliziosa staccandomi dall’abbraccio. Lo vidi arrossire leggermente e sorridere imbarazzato.
“Già, Séraphine mi ha cambiato.” Sorrisi vedendolo con gli occhi sognanti mentre pronunciava questa frase.
“Francese? Io adoro il francese!” esclamai e lui rise di gusto.
“Si, è francese, l’ho conosciuta mentre vagavo per la costa della Francia e ci siamo scontrati.”
“Sono svenuta e si è preso cura di me finché non mi sono svegliata, ci siamo presentati e abbiamo iniziato a parlare. Non so quando ho scoperto che, legame a parte, mi sono innamorata di lui.” Disse una bellissima ragazza bionda mentre ci raggiungeva con passo elegante e accento francese che rendeva bellissimo il suono di ciò che diceva. Era davvero molto bella, occhi verde marrone molto chiaro e lineamenti delicati. Mi ritrovai a sorridere mentre lei si rifugiava tra le braccia di Alexander con naturalezza. Si abbracciarono e rimasero con un braccio attorno all’altro anche quando sciolsero l’abbraccio.
“Ser, lei è la principessa Alexis. Lexi, lei è Séraphine, la mia fidanzata.” Ci presentò Alex. Feci per stringere la mano della ragazza quando mi abbracciò. Ricambiai felice. Ero contenta che fosse lei la ragazza destinata al mio migliore amico, mi stava simpatica.
“Oh, Alexander mi ha parlato così tanto de toi! Tu est trés trés belle! Il n’a pas menti!*” disse e rimasi affascinata dal suo perfetto accento francese.
“Oh… Ehm, merci beaucoup.” Risposi titubante. Lei mi sorrise e tornò ad abbracciare il suo ragazzo.
“Mi piacerebbe conoscerti meglio, sai, mi ha detto Alexander che sei praticamente una sorella per lui.”
Amavo l’accento francese, non mi sarei mai stancata di dirlo.
“Adoro il tuo accento, sai?” le chiesi e lei ridacchiò per poi battere le mani contenta.
“Et J’adore ton accent! Est-tu d’accord, Alex?”
Lui scosse la testa. “Preferisco il tuo di accento, sono d’accordo con Alexis, mon amour”
Vidi Séraphine fare una smorfia. “Il tuo accento est terrible! Non parlare più en francais, s’il te plaît.” Disse allontanandosi da lui e tutti ridemmo.
“Oddio ragazzi, mi piacerebbe veramente rimanere ma ho un’udienza con il nonno!” esclamai ricordandomi improvvisamente del perché mi trovavo qui.
“Va pure, tornerai a trovarci o dobbiamo venire noi sulla terraferma a darti linvito per le nozze?” domandò Alex sorridendo e abbracciandomi. Abbracciai anche Séraphine e ridendo dissi. “Verrò, forse” ridemmo nuovamente.
“Ok, io vado, ciao piccioncini!” li salutai allontanandomi verso le mie stanze. Entrai e mi fiondai all’armadio, recuperando dei pantaloni lunghi e un maglione a maniche lunghe. Faceva freddo sott’acqua, soprattutto a queste profondità. Ripercorsi la strada verso l’ufficio del nonno e bussai piano prima di entrare. Il camino acceso alla mia destra riscaldava l’ambiente e gli dava un aspetto accogliente. Davanti al camino, rivolte verso di esso c’erano due poltrone imbottite sulle quali da piccola mi accoccolavo mentre il nonno mi raccontava storie. Di fronte a me una finestra da cui si vedevano pesci di tutte le taglie che nuotavano tranquilli e guardie che presidiavano l’ingresso del giardino. Alla mia sinistra la scrivania del nonno e dietro di essa tutto il muro era ricoperto da una libreria che si interrompeva solo per lo spazio necessario ad ospitare un quadro con la foto della Corona Perduta. Sopra il camino, alla stessa altezza a cui era posto il quadro con la Corona, vi era quello del mio bisnonno, Re Jilmer.
Mia madre e mia nonna erano sedute sulle poltrone e mio nonno era alla scrivania.
“Ciao nonno” esclamai andando ad abbracciarlo.
“Xsisa cara come va?” feci una smorfia andando a sederti a terra davanti al fuoco, abbracciando le ginocchia e tirando giù le maniche, tanto da coprire le mani. Fissavo il fuoco mentre rispondevo.
“Nonno, lo sai come va, mamma te l’ha raccontato, vero? Siamo prossimi ad una guerra, la mia squadra sta lavorando per selezionare nuovi ragazzi da addestrare che non avranno un anno intero per imparare, avranno si e no tre mesi per diventare perfette macchine da guerra. Sono legata ad un cacciatore a cui ho chiesto una cosa praticamente impossibile che sono sicura, più o meno, non farà e gli ho promesso in cambio una cosa che non posso dargli.”
La mia voce si affievoliva ad ogni parola che pronunciavo e finii per nascondere il viso nelle ginocchia che strinsi ancora di più al petto. Ero disperata, nulla andava per il verso giusto e io stavo perdendo la mia classica freddezza, il mio sangue freddo, quello che mi caratterizzava in situazioni come questa.
“Ma bambina mia, i tuoi soldati sono ottimi combattenti e saranno in grado di trasformare quei ragazzi in perfette macchine da guerra, come dici tu, in poco tempo, vedrai. E poi ci siamo noi. Lo so che nessuno è al corrente della nostra esistenza ma possiamo far sparire miracolosamente intere imbarcazioni di soldati nemici, se vuoi. E poi ho ottimi combattenti tra le mie schiere che se la cavano anche sulla terraferma, potrei cederti qualche battaglione. Non serve necessariamente l’aiuto dei cacciatori, anche se sono scuramente all’altezza dei tuoi migliori soldati, considerando il duro allenamento a cui sono sottoposti.” A quella dichiarazioni mi alzai di scatto raggiungendo mio nonno che era comodamente seduto alla scrivania ad analizzare carte di chissà che genere.
“Nonno, è impossibile che dei semplici contadini cresciuti nella miseria siano in grado di eguagliare la mia squadra. È un’offesa per i miei combattenti.” Dissi, arrabbiata.
“Mia cara, tu hai mai visto un cacciatore combattere nel pieno delle sue facoltà? Senza freno alcuno alla sua potenza?” domandò il nonno abbassando le carte che aveva in mano e fissandomi con sguardo duro. Abbassai lo sguardo e scossi la testa.
“Ti consiglio di provare ad osservare la grazia che uno di loro è capace di combinare alla forza durante un combattimento. Non ti accorgeresti nemmeno di quanto sono veloci, saresti morta in poco più di un minuto, se solo si mettessero d’impegno.” Lo sguardo di mio nonno era duro, come se lo avessi offeso nel profondo. Poi ricordai. Il duca Hylder, l’ex cacciatore era molto amico di mio nonno, nonostante la differenza d’età.
“Perdonate nonno, non intendevo offendere i cacciatori”
“Però è quello che hai fatto, bambina. Ma non te ne faccio una colpa, sei solo molto stressata ultimamente.” Il suo sguardo si era addolcito.
Feci un pallido sorriso mentre tornavo a sederti di fronte al fuoco, nella stessa identica posizione di prima.
“Comunque non resta altra scelta, dire a Bryan che non posso scindere il legame.” Sussurrai sconfitta poggiando il mento sulle ginocchia.
“Mia cara, un modo per scindere il legame vi è eccome!” esclamò mio nonno. Mi voltai di scatto verso di lui, sorpresa.
“Cosa? Io non ne sapevo niente!” protestai. Mi accorsi solo in quel momento che mia madre e mia nonna erano uscite, lasciandoci soli. Il nonno sorrise guardandomi.
“La Corona Perduta. Solo quella può dividere due cose che sono state unite. Ma attenta, una volta che il legame sarà scomparso, non potrete mai più toccarvi. Altrimenti il legame scatterebbe immediatamente e potrete dire addio ad ogni altra possibilità di neutralizzarlo. Il legame diventerebbe più forte di qualsiasi altro. Comincerebbe a tirarvi uno verso l’altro, inconsapevolmente comincerete a cercarvi in ogni secondo. I tuoi pensieri saranno i suoi, le tue emozione saranno le sue. Qualsiasi cosa tu stia facendo, lui saprà esattamente dove sei e che fai e viceversa. Sarà quasi un incubo che vi terrà svegli anche la notte. Ma tutto questo accadrà solamente se cercherete di rimanere lontani, di rinnegare il potere del legame e l’amore che sboccerà inevitabilmente. Se deciderete spontaneamente di toccarvi nuovamente, dovrete essere sicuri dei vostri sentimenti, o sarà un inferno. Solo nel caso in cui vorrete ricreare il legame, allora esso avrà effetti meno potenti, la tua mente sarà la sua per un tempo determinato, quello che serve perché ognuno di voi sappia esattamente tutto sull’altro, poi il legame tornerà ad essere come quello che state provando ora, ma molto più potente.” Mio nonno sembrava un’enciclopedia vivente quando faceva così, parlava senza quasi prendere fiato ripetendo le esatte parole che venivano usate nel libro da cui erano tratte. Annuii concentrata. Poi espressi i miei dubbi con un’unica domanda.
“Dove si trova, ora, la corona? Da quello che viene raccontato in proposito, è scomparsa più di cent’anni fa…”
Il sorriso furbo che mi rivolse il nonno mi mise quasi paura.
“È questo il bello, nipote. La Corona decide da sola a chi mostrarsi. Per trovarla ci sono milioni di indizi che si possono seguire, sta solo a te capire quali sono fasulli e quali veri. La Corona è più vicina ma anche più lontana di quello che pensi.” Mi fece  l’occhiolino concludendo e alzandosi dalla sedia. Mi si avvicinò e mi posò la mano sulla spalla sorridendo gentile.
“Buonanotte nipote.” Sussurrò per poi chinarsi a baciarmi la fronte ed uscire dallo studio. Mi accoccolai sulla poltrona, rannicchiandomi su me stessa.
Bryan, mi senti?
Pensai, non sapevo perché ma avevo voglia di sentirlo, dopo una giornata così faticosa.
Alexis.
Il mio nome pronunciato dalla sua voce nella mia testa. Sentii un brivido percorrermi la schiena accorgendomi di quanto bello sembrasse il mio nome se a pronunciarlo era lui.
Che fai?
Una domanda idiota e scontata, la mia.
Mi sto allenando, ho appena finito di cenare. Tu?
Mi persi qualche secondo a guardare le fiamme che ardevano nel camino. Era un controsenso pensare che ci fosse del fuoco sott’acqua, eppure eccolo qui, davanti a me.
Niente di interessante. Vorrei vederti mentre ti alleni, un giorno di questi, mi è stato consigliato di osservare un cacciatore all’opera, senza freni alla sua forza.
Percepii chiaramente che stava sorridendo anche se non era qui.
Con piacere principessa. Vieni qui e mi vedrai.
Rimasi sorpresa da quell’affermazione. Era pericoloso, sentivo, dai pensieri precedenti di Bryan, che era nel luogo dove c’erano almeno altri tre cacciatori, oltre a lui. Eppure era così eccitante l’idea di andare a trovare il nemico nella sua tana.
Dimmi dove sei, arrivo il più velocemente possibile.
Avevo deciso, era fatta. Mi alzai velocemente e corsi fuori dallo studio del nonno per raggiungere l’ingresso. Alexander e Séraphine erano lì nell’ingressso, abbracciati e parlavano con calma. Mi avvicinai sorridendo e li salutai.
“Alex, Séraphine, potreste avvertire voi mia madre che torno in superficie ma non vado al castello, sono di fretta.” Sorrisi cercando di non far capire che stavo, sicuramente, per cacciarmi nei guai.
“Certo, ciao Lexi, ci vediamo presto per consegnarti l’invito.” Mi abbracciarono entrambi e li salutai per poi uscire dal palazzo dopo essermi spogliata nell’ingresso. Mi trasformai e cominciai a nuotare.
Siamo nel bosco a sud del castello.
Sorrisi indirizzandomi verso la direzione che Bryan mi aveva indicato.
Posso arrivarci a nuoto in poco tempo, poi mi dovrai guidare.
Sorrisi aumentando la velocità muovendo più velocemente la coda.
 Ti vengo a prendere sul limitare del bosco dalla parte del mare e ti accompagno.
In poco tempo vidi l’immagine distorta della luna attraverso l’acqua.
Sono già qui.
Pensai mentre emergevo dall’acqua e mi portavo i capelli bagnati indietro con le mani e poi me le passavo sul viso.
Ti sto guardando. Emersione dall’acqua con stile, ti do un otto e mezzo scarso, puoi fare di meglio.
Risi cominciando a muovere piano la coda per avvicinarmi alla riva e rimanere can la testa in superficie. Eccolo lì, solo dei pantaloni bagnati di una tuta addosso e ancora tutto gocciolante. Sorrisi mentre sollevavo la coda all’indietro sopra il pelo dell’acqua e poi la riemergevo in acqua con una spinta molto forte e mi ritrasformavo. Mi guardò ammirato mentre mi alzavo in piedi e camminavo verso di lui, in costume da bagno e come se emergessi dall’acqua, come avevo fatto.
Piano lo raggiunsi e mi strizzai i capelli con le mani salutandolo.
“Vieni”
Una sola parola. Lo seguii attraverso la boscaglia e sbucammo in una grandissima radura con una piscina altrettanto grande. Il dislivello di quest’ultima ricordava quello del mare. Notai varie armi a t5erra e due persone in un angolo. L’unica luce era quella della luna che rischiarava la radura. I due ragazzi si avvicinarono lentamente e riconobbi i due fidanzati con cui stava parlando Bryan e di cui avevo chiesto a sua sorella. Shane e Adara, mi sembra si chiamassero.
“Ragazzi, lei è Alexis, la principessa. Alexis, loro sono Shane e Adara, altri due cacciatori” ci presentò Bryan.
“Piacere” dissi senza paura.
“Il piacere è nostro, principessa” disse la bionda, Adara. Sorrisi.
“Perché è qui?” domandò Shane fissando in modo indecifrabile Bryan accanto a me. Lui si strinse nelle spalle.
“Le ho detto che poteva venire per vederci all’opera.”
“Naturalmente, quello che vedrò qui rimarrà qui. Volevo solo cimentarmi in uno scontro alla pari con un cacciatore esperto.” Mi affrettai ad aggiungere. Inaspettatamente i tre sorrisero.
“Mia cara, allora sei nel posto giusto.” Ammiccò Shane. Ero confusa, non capivo proprio questi ragazzi. Prima mi odiano a morte e non vogliono vedermi e poi mi invitano direttamente a casa loro. Bryan e Shane cominciarono a correre e si tuffarono nella piscina velocissimi. Adara li seguì dopo poco e decisi che non volevo essere da meno. Mi avvicinai lentamente al bordo e mi tuffai in modo impeccabile trasformandomi nell’esatto istante in cui il mio corpo toccava l’acqua. Riemersi dopo poco con grazia, facendo uscire prima il viso e facendo in modo che i capelli bagnati rimanessero indietro e non mi finissero sul viso. Nuotai leggermente e mi voltai verso i tre che ora erano fermi e mi guardavano ammirati.
“Che c’è, non avete mai visto una sirena trasformata?” domandai seccata facendo scendere la coda e mettendomi in posizione eretta nell’acqua alta.
“No.. cioè si, ma mai così da vicino e al di fuori di un combattimento” balbettò Adara. Sorrisi.
“Oh beh, avete di fronte il più bell’esemplare del mio regno, non poteva capitarvi di meglio come… Ehm.. Prima volta?” dissi ridendo piegandomi all’indietro per far risalire la coda in modo che potessero vederla sotto la luce della luna.
“Wow” sussurrò Bryan.
“Sorpreso?” chiesi visibilmente divertita dalla sua reazione. Si ripresero tutti e tre in fretta dallo stupore e mi fissarono tutti con un mezzo sorriso. Senza preavviso, Adara mi si scagliò contro. Era rallentata visibilmente dall’acqua ma potei notare con sorpresa che si muoveva veloce lo stesso. M’immersi rapidamente e passai sotto di lei afferrandole i piedi e risalendo tenendoli con le mani. Lei urlò mentre veniva inevitabilmente sbilanciata e finiva con la testa sott’acqua. Riemerse subito, dopo essersi ripresa dalla sorpresa per quella mossa inaspettata. Mi venne incontro e provò a colpirmi con un pugno. Di nuovo m’immersi e lei fece lo stesso. L’unica differenza era che io ero in grado di muovermi a velocità quasi normale e respiravo sott’acqua, mentre lei no. Ero decisamente in vantaggio. Cominciammo a lottare senza freni, usando tutte le tecniche che conoscevamo. Dopo mezz’ora abbondante, riuscii ad imprigionarla e vinsi l’incontro. Esultai mentre mi appoggiavo con le braccia al bordo della piscina e allungavo la coda dietro di me.
“Ma tu non eri bionda?” mi domandò Bryan confuso. Sorrisi.
“Complimenti per lo spirito d’osservazione. I miei capelli cambiano colore in base alla trasformazione. Quando sono umana sono bionda e quando sono sirena mora.” Spiegai facendo leva sulle braccia per uscire dall’acqua. Mi ritrasformai in meno di un secondo ed eccomi in piedi.
“Ti va un combattimento ad armi pari sulla terraferma?” mi chiese Bryan avvicinandosi con due spade in mano.
Annuii e presi una delle spade dalla sua mano. Mi misi in posizione di difesa e aspettai, lasciando che fosse lui il primo a colpire. Scattò in avanti con un affondo e prontamente misi l’arma di traverso per fermare il suo colpo. All’ultimo secondo la lama si abbassò per risalire in un fendente dal basso. Velocemente saltai all’indietro per poi fare una giravolta su me stessa con la spada tesa. Lui fece appena in tempo ad allontanarsi che subito ripartii all’attacco e le lame si scontrarono per la prima volta con il classico rumore di acciaio contro acciaio. Ritirai la lama e girando nuovamente su me stessa con la punta della spada verso l’alto mi preparai a colpirlo con un affondo laterale. Lo parò con non poco sforzo e subito spinse con la spada verso la mia sfidandomi in una prova di forza. Ci avvicinammo sempre più, le spade a dividerci e un’espressione impassibile sul volto di entrambi.
“Non ho ancora cominciato a duellare sul serio” affermò lui fissandomi dritto negli occhi.
“Nemmeno io se è per questo” risposi impressi maggiore forza sulla lama e lui si allontanò. Rimase qualche secondo a studiarmi prima che il vero combattimento iniziasse. E allora cominciammo a danzare, una danza vecchia di secoli la cui musica erano i nostri respiri appena affannati e il clangore delle lame che si scontravano.
Era quasi un’ora che andavamo avanti così, la mezzanotte era passata da un pezzo, quando all’improvviso i colpi di Bryan divennero meno potenti e persero di frequenza. Diminuii a mia volta l’intensità del combattimento mentre lo guardavo.
“Bryan! Bryan che hai!?” urlò qualcuno dietro di me. Immediatamente mi voltai e vidi Adara sul limitare della foresta. Accanto a lei, Shane guardava preoccupato l’amico che stava duellando con me. Abbassai la spada e lo costrinsi a fare lo stesso, afferrandogli un polso. Faticava a deglutire e sul suo viso comparve un’espressione di dolore.
Alexis!
Un urlo nella mia testa. Bryan mi guardava mentre si portava piano una mano alla gola. In quell’stante capii.
“Acqua! Aiutatemi a portarlo in acqua!” urlai prendendo un braccio di Bryan e mettendomelo sulle spalle. Shane si precipitò verso di noi e Adara lo seguì. Shane afferrò l’altro braccio del ragazzo e cominciammo a camminare portandolo con noi. “Acqua di mare, dobbiamo portarlo nell’Oceano!” dissi in preda ad una specie di crisi di panico.
Che sta succedendo? Perché l’acqua di mare? Non posso trasformarmi! Non mi sono mai trasformato prima, non può essere così avanzato il legame!
Urlò nella mia mente.
Sta calmo, ok? So quello che faccio!
Cominciavo ad essere irritata, oltre che spaventata.
E allora spiegami a cosa serve portarmi in mare!
Sbuffai cercando di andare più velocemente e notando che le gambe di Bryan stavano cominciando a strisciare sul terreno, invece di muoversi come pochi minuti prima.
L’acqua aiuta, se ti bacio mentre siamo in acqua non rischio di trasformarmi e cadere a terra.
Risposi stizzita scambiando un’occhiata preoccupata con Shane: anche lui aveva notato che Bryan non muoveva più le gambe.
Cosa significa?
Chiese. Arrossii di botto.
Le emozioni che un bacio scatena può essere in grado di farmi trasformare all’istante e, se siamo in acqua c’è meno probabilità che io cada a terra. E poi tu dovrai comunque provare a respirare sott’acqua, mio caro, perciò perché non subito?
Chiesi mentre cominciavo ad intravedere gli ultimi alberi. Ma era un’impressione mia o quando ero arrivata la strada era più breve?
Quindi adesso noi… Cioè, noi ci baceremo?
Sembrava un bambino. Arrossii ancora di più.
N, balleremo la conga in acqua!
Risposi sarcastica. E ridacchiai tra me e mentre scendevamo sulla spiaggia con Bryan che ormai era un peso morto, quasi.
La conga? Ma che cazzo dici? Ti pare questo il momento di scherzare?
Sbuffai.
 Si, ci baceremo, è l’unico modo per farti passare il male alla gola.
Un respiro tremante gli sfuggì dalle labbra e lo vidi fare una smorfia di dolore. Finalmente, dopo quelli che sono sembrati secoli, raggiungemmo l’acqua e io e Bryan cominciammo a nuotare, lasciando Shane sulla riva a guardarci. Lo trascinai, quasi, fino a dove l’acqua era profonda e nessuno dei due toccava il fondo. Mi avvicinai e lo fissai negli occhi.
Su, fallo.
Lo spronai.
Lo guardai e lui si avvicinò, poggiando le mani sulle mie guance e avvicinando lentamente il viso al mio. Le sue labbra si posarono sulle mie e dimenticai tutto, c’eravamo solo io e lui, Alexis e Bryan, solo noi. 



Ehilà! 
Come va? Scusate l'immenso ritardo ma mi sono innamorata del libro La Sedicesima Luna e poi ieri è nata la figlia della cugina di mio papà e siamo tutti felicissimi! *-* 
Vabbuò, torniamo al capitolo... Che ve ne pare? Io ho deciso che non faccio commenti... A proposito, ecco la traduzione di quelle frasi in francese: 
Séraphine: "Oh, Alexander mi ha parlato così tanto di te! Tu sei molto molto bella! Non ha mentito!"
Alexis: " Oh... Ehm, grazie mille" 
Séraphine: " E io adoro il tuo accento! Sei d'accordo, Alex?" 
Alexander: "Mon amour = Amore mio"!  (Ma questo è ovvio XD) 
Séraphine: " Il Tuo accento è terribile! Non parlare più in francese, ti prego!" 

Ok, a voi i commenti su tutto, vi lascio le foto dei personaggi: 

Alexander e Séraphine: 



I nonni: 



Ed ecco lo stemma di famiglia (Fatto da mia sorella): 



Poi, ho provato a fare il trailer video, ditemi se fa schifo, io provo a lasciarvelo :) 

 http://www.youtube.com/watch?v=1_sRm6PLBnA&feature=youtu.be

V
ado, 
VI ADORO!
Baci, 
Giu.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Attenzione. 

date un'occhiata alle note autrice in fondo al capitolo, grazie :)



CAPITOLO 4

 

 

Stavo lottando con Alexis, non sapevo perché l’avevo invitata al nostro rifugio così, su due piedi, senza nemmeno chiedere consiglio al Maestro, a Shane e ad Adara. Sapevo soltanto che era da tempo che volevamo provare a batterci ad armi pari in un corpo a corpo con una sirena, per vedere se eravamo al loro livello. Comunque, ormai era qui ed era bellissima. Una strana sensazione mi aveva pervaso guardandola uscire dall’acqua con solo quel costume addosso ma avevo fatto finta di niente. Alexis era brava, sia in acqua che sulla terra, con una spada. Notevole per una principessa. All’improvviso un dolore atroce alla gola mi aveva impedito di respirare e i ragazzi mi avevano subito trascinato in acqua. E ora Alexis che mi chiedeva di baciarla. Non pensavo di essere giunto già a questo punto della trasformazione. Da piccolo, sapendo chi era mia madre avevo provato più volte a trasformarmi in un tritone ma non era mai successo niente. La guardai. I capelli marroni le cadevano bagnati sulle spalle e le punte galleggiavano per dieci centimetri buoni immerse nell’acqua. Mi avvicinai e le presi lentamente il viso tra le mani. Le mie labbra toccarono le sue e una scossa elettrica mi percorse la spina dorsale. Avevo dato molti baci in vita mia, da quelli passionali a quelli più dolci ma nessuno era anche solo lontanamente paragonabile a questo. Le mie mani scesero sulle sue spalle, le accarezzai le braccia e la vita e raggiunsi i suoi fianchi mentre le nostre labbra si schiudevano piano. Rimasi come paralizzato quando al posto della stoffa del costume incontrai squame di pesce. Sorpreso accarezzai più volte il tratto di pelle che sfumava lento in brillantissime scaglie argentate. Non mi ero mai soffermato a osservare una sirena da così vicino, pensavo vi fosse una linea netta all’inizio della coda e invece non era così. Sorrisi senza separare le nostre labbra. Le sue manine, così piccole in confronto alle mie, si agganciarono dietro la mia testa, e sentii le sue dita giocare con i miei capelli. Non mi accorsi che si stava lentamente piegando all’indietro trascinandomi con sé fin quando l’acqua non mi raggiunse la punta del naso. Immediatamente mi staccai da lei e nuotai all’indietro, riguadagnando la distanza di sicurezza. Sollevò la testa dall’acqua e mi osservò confusa piegando leggermente il capo di lato. La fissai arrabbiato e provai a nuotare verso la riva ma fui bloccato dalla sua mano che si strinse delicata ma forte intorno al mio braccio. Mi sorpresi a pensare che non aveva mani da guerriera, con i calli tipici di chi passa il suo tempo a maneggiare le armi.
“Dove stai andando?” mi chiese piano allarmata.
La guardai freddo.
“Il più lontano possibile da te” risposi glaciale e con uno strattone mi liberai della sua presa. Indietreggiò ferita e il suo sguardo divenne presto tagliente.
“Bene, se è questo che vuoi, vattene pure, io non dirò niente di questo posto, ma sappi che quando non riuscirai più a respirare un’altra volta o quando ti trasformerai in modo incontrollato non dovrai venirmi a cercare perché io non sarò disposta ad aiutarti.” Sibilò e scomparve sott’acqua. Sentii una strana sensazione, qualcosa che mi spingeva a fermarla ma riuscii a reprimere quell’impulso e nuotai verso la riva. Voleva portarmi sott’acqua, come avevo visto fare moltissime volte. Le sirene erano pericolose. Ti attiravano con la loro voce suadente e il loro bell’aspetto e poi ti trascinavano ignaro sott’acqua ed era la fine: diventavi il loro pasto. Raggiunsi la riva stanco come non lo ero mai stato, e non solo fisicamente. Shane e Adara mi aspettavano ansiosi.
“Cos’è successo? Perché se n’è andata così?” Adara e la sua empatia tutta femminile. Sbuffai superandoli senza rispondere.
“Oh no bello! Tu adesso rispondi o giuro che sono capace di andare al castello a chiedere un’udienza con lei per chiederle di rinchiuderti!”
Adara sembrava indemoniata mentre mi urlava contro di fermarmi. Mi girai e la fulminai con lo sguardo.
“Voleva trascinarmi sott’acqua, cosa dovevo fare? Assecondarla?” urlai alzando le braccia al cielo furioso.
“Siete legati, idiota! Non avrebbe potuto ucciderti nemmeno volendo! Si sarebbe suicidata lei stessa appena avesse ucciso te! Cosa ci avrebbe guadagnato, eh? Un solo cacciatore in meno non avrebbe di certo salvato le altre sirene, lo sai tu e lo sa lei che noi cacciatori siamo più di due mila su questa dannata isola!”
Rimasi immobile, spiazzato. Adara era furiosa e sembrava sull’orlo delle lacrime. La fissai assimilando ciò che aveva detto. Mi ero lasciato accecare dalla rabbia per ciò che aveva fatto mia madre e non avevo minimamente pensato a questo aspetto del legame. Ero un coglione.
Mi portai le mani tra i capelli ripetendolo a voce alta.
“Sono un coglione. Ora non mi aiuterà con la trasformazione”
Adara se ne andò senza più guardarmi, era ancora furiosa. Guardai Shane, sull’orlo della disperazione. Lui si strinse nelle spalle e seguì la fidanzata. Diedi un calcio ad un albero vicino arrabbiato con me stesso e crollai a sedere su un tronco semi distrutto ai margini del sentiero prendendomi la testa tra le mani. Non so quanto tempo rimasi fermo nella stessa posizione , forse un’ora, forse due. Erano passati solo tre giorni da quando l’avevo conosciuta eppure quella ragazza era riuscita a sconvolgere completamente la mia vita. Sentii dei passi avvicinarsi e alzai pigramente la testa per osservare il cielo. Qualcuno si sedette accanto a me e sentii una mano posarsi sulla mia spalla. Passò qualche minuto di assoluto silenzio mentre entrambi osservavamo il cielo, persi ognuno nei propri pensieri.
“Ragazzo mio, finirai mai di darmi grattacapi?” chiese il Maestro rompendo la tranquillità della notte.
“Non so cosa mi sia preso… Io credo di averla ferita rifiutandola in quel modo, ma…”
“Il ricordo di tua madre ti ha sopraffatto. È un blocco difficile da superare, il tuo. Sei cresciuto nell’odio chiedendoti perché proprio a te. Capisco che sia stato difficile sopravvivere al dolore che ha portato la tua perdita ma hai le tue sorelle. Sono rimaste con te per tutto questo tempo, loro sono state la tua famiglia. Ricordo ancora quando mi chiedesti di insegnarti il mestiere. Eri fin troppo giovane per diventare uno spietato assassino. Nessuno a nove anni dovrebbe soffocare ogni tipo di emozione per superare il dolore. Facendo così non l’hai eliminato, l’hai congelato fingendo non esistesse. Quella ragazza… L’hai mai vista su un campo di battaglia? O dirigere un battaglione? È il comandante più spietato dell’isola, ha creato lei stessa dal nulla il corpo speciale delle spie di palazzo. Da sola. Eppure non ha paura del dolore o delle responsabilità. Non ha paura di legarsi a qualcuno: lo hai visto con i tuoi occhi che è circondata di amiche. Il Paese sta per entrare in guerra e lei rischia la corona, la famiglia, il regno, le vite di milioni di persone dipendono da lei. Hai mai guardato l’altra faccia della medaglia? Essere un reale non è solo ricevimenti sfarzosi, balli e lusso, Bryan.”
Portai lo sguardo sul Maestro. Aveva ragione, come sempre. Ma qualcosa non mi tornava.
“Il corpo speciale è stato istituito da Alexis? Scende in campo durante le battaglie?” ero confuso e sbalordito. Il Maestro sorrise enigmatico e si alzò.
“Credo che ormai siate entrambi abbastanza grandi per sapere, ma dovrete essere insieme, altrimenti non dirò una sola parola. Và a dormire, domani pomeriggio andrai a palazzo e le parlerai, le spiegherai ogni cosa. Le dirai di tua madre, di quello che ha fatto e di quello che hai passato. Non importa se racconterai tutto a grandi linee, l’importante è che ti perdoni.” Decretò il Maestro e s’incamminò verso la casetta. Sospirai e lo seguii a passo lento. Entrai e guardai Adara e Shane addormentati sul divano, abbracciati. Presi un pezzo di carta e scrissi velocemente delle scuse per la ragazza. Aggiunsi anche che sarei andato il pomeriggio stesso a scusarmi con Alexis e imboccai la porta. Salii sulla moto e mi allontanai velocemente, alle mie spalle l’alba sorgeva.
 
 
Mi svegliai frastornato e scossi la testa per scacciare gli ultimi residui di sonno. Andai a lavarmi la faccia con l’acqua fredda, per poi ritrovarmi sotto la doccia dopo aver cambiato idea all’ultimo secondo. Mi asciugai e vestii con dei semplici pantaloni pieni di tasche neri, una maglia dello stesso colore e la mia giacca di pelle. Montai in moto dopo aver dato una veloce occhiata all’orologio: le quattro del pomeriggio. Non avevo nemmeno mangiato ma non mi importava. Raggiunsi il palazzo e parcheggiai. La regina odiava i mezzi di trasporto che inquinavano e non li lasciava nemmeno entrare nei confini della tenuta. Fortuna che la mia moto era l’ultimo modello elettrico che quindi non consumava benzina. La tecnologia sull’isola era avanzata in maniera incredibile. Scossi il capo scacciando quei pensieri e mi passai una mano tra i capelli mentre raggiungevo il servitore che sostava sempre al portone principale.
“Signore, aveva appuntamento con il Sovrano?” domandò cortese e lo guardai scuotendo la testa. Lui sembrava seccato di dovermi tirare fuori le parole di bocca ma la sua irritazione mi faceva solo ridere.
“Signore, cosa desidera?” chiese sforzando di essere cortese. Lo superai e poggiai la mano sulla maniglia. Il maggiordomo terrorizzato urlò: “Signore! Non può entrare così, senza permesso!” sbuffai e indietreggiai.
“Devo vedere la principessa” comunicai apatico e svogliato. Il maggiordomo fumava di rabbia.
“Aspetti qui signore” intimò calcando bene il qui. Ridacchiai sotto i baffi e lo vidi aprire il portone. Una sorridente Alexis stava venendo proprio in quella direzione. Rimasi paralizzato a fissarla qualche secondo. Dei pantaloncini corti bianchi lasciavano scoperte le sue lunghissime gambe, una felpa bianca aperta su una maglia rosa con delle scritte bianche le coprivano il busto e i capelli erano raccolti disordinatamente sulla testa con un mollettone. Era bellissima. Si voltò verso qualcuno alla sua destra ridendo e seguii il suo sguardo confuso. Un ragazzo biondo e molto più alto di lei stava dicendo qualcosa. Qualcosa di simile al fastidio mi fece fare una smorfia mentre osservavo quella scena. Il servitore che mi ero divertito a far arrabbiare si schiarì la gola attirando l’attenzione dei due.
“Signorina Principessa, signora! C’è qui un ragazzo che vorrebbe parlare con lei. La vidi aggrottare le sopracciglia e alzarsi sulle punte per guardare oltre il servitore. Mi vide e sbiancò. Sussurrò qualcosa nell’orecchio del ragazzone biondo che le poggiò un braccio sulle spalle e mormorò dolcemente.
“Và pure, James, me ne occupo io” sorrise al servitore che si dileguò con un inchino più che profondo. Alexis si avvicinò alla porta sempre in compagnia di quel tipo e uscirono, chiudendosi l’enorme anta alle spalle. Mi guardò fredda e alzò il mento per incitarmi a parlare. Sbuffai.
“Devo parlarti” mormorai piano e trattenni un ringhio quando il ragazzo accanto a lei se la strinse di più addosso. Non capivo il motivo di tutto questo fastidio.
“Vieni” esclamò seccata incamminandosi verso il parco a sinistra del palazzo.
“Deve proprio venire anche lui?” non riuscii a trattenermi dal chiedere con una punta di disprezzo.
Lui si voltò verso di me con un ghigno derisorio e disse: “SI, devo proprio, ti crea qualche problema?”
Scossi la testa seguendoli tra la vegetazione. Alexis si fermò in una piccola radura curatissima con una fontana al centro e diverse panchine. Andò a sedersi su una di queste fissando l’acqua scorrere. Stranamente il tipo rimase in piedi e andò dall’alto lato della fontana. Raggiunsi la bionda e mi sedetti accanto a lei. Sospirai sbilanciandomi leggermente con la schiena all’indietro e allungando le gambe, con le mani nelle tasche.
“Anche se fuori è inverno, io mi sento bellissima, mi sento più sicura, non ho paura… “ sentii Lexi canticchiare piano mentre si portava le gambe al petto. La fissai e mi persi a osservare il suo profilo.
“Che cosa volevi dirmi?” sussurrò appena, sembrava quasi timida.
“Hai una bella voce quando canti” mormorai. Sorrise e spostò lo sguardo su di me.
“Questa canzone mi piace troppo… Non riesco a smettere di canticchiarla” alzò lo sguardo verso il sole chiudendo gli occhi.
“Volevo scusarmi… E chiederti perdono per il mio comportamento di ieri” sussurravo. Si voltò di scatto verso di me, sorpresa.
“Io… Mia madre era una sirena, avevi ragione, ma non sai la storia che c’è dietro” presi fiato alzando gli occhi al cielo e confessai quello che solo io e le mie sorelle sapevamo.
“Mio padre era un dongiovanni, da giovane. Ogni sera ne cambiava una diversa alle palle della madre di Diana, Patricia e Lana, che allora era solo la sua fidanzata. Una sera incontrò una ragazza bellissima e non se la fece scappare. La mattina dopo l’abbandonò prima ancora che lei si svegliasse. Era una sirena ma mio padre non lo sapeva. Lo scoprì nove mesi dopo quando mia madre mi lasciò in fasce davanti alla sua porta. Sposò la sua ragazza convincendola a farmi passare per figlio loro e passarono sette anni. Era il mio settimo compleanno quando qualcuno bussò alla porta. Era mia madre. Furiosa ci costrinse tutti a uscire in giardino aiutata da due tritoni in forma umana e ci trascinò sulla spiaggia lì vicino.” Deglutii ma decisi di continuare.
“Cominciò a cantare, attirando mio padre in acqua mentre la madre delle ragazze piangeva disperata tenendoci vicini a lei. Quando ritenne di essere abbastanza in profondità lo baciò e lo trascinò sott’acqua. Un tritone fece lo stesso con la donna che ci teneva a sé, non ricordo neppure il suo nome, ma so che non dimenticherò mai l’acqua diventare improvvisamente rossa in corrispondenza dei punti in cui erano affondati. Fu tremendo quando anche mia madre riemerse dall’acqua completamente zuppa si sangue e si uccise davanti a noi. Non ho mai capito perché si è uccisa…” stavo per continuare con il racconto di cosa era successo dopo quando due braccia mi si strinsero intorno al collo e mi accorsi che Alexis stava piangendo abbracciata a me.
“Tutto… Tutto apposto?” le chiesi confuso. Si staccò di scatto fissandomi con gli occhi pieni di lacrime.
“Stai scherzando? Hai passato delle cose terribili! Sono io che dovrei scusarmi con te per essere stata troppo avventata, io… Io non lo sapevo” scoppiò nuovamente a piangere e provò ad asciugarsi le guancie con le maniche della felpa, sciogliendo l’abbraccio. Non sapevo che fare e pensai a cosa faceva Shane quando Adara piangeva. L’abbracciai piano, poggiandomi la sua testa sul petto. Ci vollero pochi minuti perché smettesse di piangere e mi guardasse. Si avvicinò piano al mio viso e mi accorsi che no aspettavo altro che il bacio che stava per arrivare da quando l’avevo vista poco fa mentre sorrideva prima di accorgersi di me. Qualcuno si schiarì la gole e sobbalzai come fece anche lei e ci voltammo verso il biondino che aveva assistito a tutta la scena.
“Oh, si, giusto!” esclamò Lexi incrociando le gambe sulla panchina. Tirò giù le maniche della felpa nascondendo le sue manine e voltandosi verso di lui. Sorrise con le guancie finalmente asciutte.
“Alex, lui è Bryan, Bryan, lui è Alexander, il mio migliorassimo amico!” esclamò. Sorrisi facendogli un cenno con la mano.
“Alex! Où tu est?” sentimmo urlare. Francese?
E questa chi è?
Mi chiesi vedendo una bionda niente male comparire dal sentiero da cui arrivavamo anche noi.
“Alex! Finalmente ti ho trovato!” esclamò con un adorabile accento francese andando a stampare un bacio sulle labbra del biondo. Sentii tutta l’antipatia provata fino a quel momento verso il ragazzo scomparire. Era fidanzato.
“Oh, e tu chi sei?” chiese la bionda spostando la sua attenzione su di me.
“Attends! Je sais qui tu est! Tu est le copain de Alexis!” esclamò contenta abbracciandomi. La osservai confuso.
“Cos’ha detto?” chiesi e ridacchiai imbarazzato guardando Alexis che scoppiò a ridere.
“Ha detto che sa chi sei” aggrottai la fronte. Io non l’avevo mai vista prima.
“Ha detto che sei il mio… Ragazzo” spiegò la ragazza al mio fianco arrossendo. Non sapevo che dire.
“Bien. Alex le père de Alexis ha detto che ci sposerà demain si tu est d’accord” disse tutta contenta la bionda voltandosi verso il Alex. Lui sorrise raggiante.
“Certo! Non vedo l’ora che tu sia mia moglie” mormorò e baciò piano la fidanzata.
“Oh, che… sbatata? Si dice così? Non mi sono nemmeno presentata! Je suis Séraphine et toi?” si presentò rivolgendosi a me.
Alexis al mio fianco rise.
“Sbadata, si dice sbadata” la corresse e Séraphine fece gesto che non le importava.
“Io sono Bryan” mi presentai a mia volta con un sorriso.
“Bien!” esclamò lei. E poi parve ricordarsi di qualcosa di importante. Diede un colpetto ad Alex sulla spalla e continuò.
“Perché non lo inviti al tuo addio al selibàto?” provò a chiedere.
“Ser, amore, hai parlato troppo in una lingua che non è la tua per oggi, che ne dici se torni a parlare solo francese?” le chiese dolce e rimediò un pugno sulla spalla.
“Comunque per me va bene, che ne dici di venire a festeggiare la mia ultima sera da uomo libero?” chiese lui guardandomi.
“Ehm.. Io non lo so” provai.
“OH, andiamo, di cos’hai paura? Oh si, beh sarai circondato da tritoni ma è tradizione che si festeggi sulla terraferma in forma umana quindi non ti devi preoccupare” mi incoraggiò Lexi e la guardai dubbioso. Mi sorrise incoraggiante.
“io non conosco nessuno…” tentai l’ultima debole resistenza.
“Oh, andiamo, conosci lo sposo!” affermò lui stesso sorridendomi.
“E va bene, verrò” mi arresi. Séraphine esultò e batté le mani felice. Guardai Alexis che mi sorrideva.
“Dove si va a festeggiare?” chiesi ormai rassegnato all’idea.
“Ala est del palazzo per le ragazze a ala ovest per i ragazzi!” annunciò la principessa.
“E i sovrani?” chiesi perplesso.
Lexi sorrise furba. “Dimentichi che mio padre è diventato un tritone dopo aver sposato la mamma”
Sospirai ma sorrisi contagiato dall’entusiasmo delle due ragazze.
“Se vuoi poi puoi fermarti qua a dormire, visto che i servitori non ti lascerebbero mai guidare ubriaco” mi informò la proprietaria del castello mentre gli altri due si congedavano con un vi aspettiamo. Annuii. Eravamo rimasti soli in quel giardino. Il sole stava per tramontare mentre mi alzavo e raggiungevo la fontana. L’acqua era abbastanza alta e mi chinai leggermente a guardare i sassolini decorativi sul fondo. Accadde tutto velocemente: prima la pressione di due mani sulla schiena e poi il contatto con l’acqua fredda. Mi girai sulla schiena piegando le gambe e sputacchiando acqua mi sollevai sui gomiti. Alexis era in piedi vicino al punto da cui ero caduto e rideva tenendosi la ancia. Mi alzai veloce a sedere e la trascinai per le braccia in acqua. Lanciò un urlo sorpresa e continuò a ridere mentre mi finiva praticamente sopra. Risi anche io per la situazione assurda in cui ci trovavamo. E solo quando smettemmo di ridere mi resi conto che era sopra di me. Mi sorrise e si puntellò con le mani sul mio petto per sollevarsi leggermente e guardare il cielo con la testa rovesciata all’indietro.
“Le stelle!” esclamò felice e guardai anche io il cielo che si era scurito mentre noi cadevamo nella fontana. Mi sollevai sui gomiti accorciando la distanza tra i nostri visi e lei si girò incontrando i miei occhi. Questa volta niente avrebbe potuto interromperci e veloce catturai le sue labbra. Rispose al bacio e la lasciai fare quando mi spinse piano giù, con la testa nell’acqua. Schiudemmo le labbra e sentii una sensazione di benessere pervadermi. Mi sentivo completo. Ci staccammo con calma dopo un tempo infinito e mi sorrise. Si alzò e mi aiutò a uscire dalla fontana. Ridemmo quando rischiammo di scivolare e anche quando, percorrendo il sentiero che riportava al castello gli irrigatori automatici scattarono e urlammo sorpresi mentre ci bagnavamo più di quanto eravamo prima. Ci baciammo ancora, fradici sotto la pioggerellina sottile creata dagli irrigatori e poi corremmo a palazzo. Mi prese per mano e mi trascinò per i corridoi. Mi ero già perso alla terza svolta ed eravamo tipo alla ventesima. Rallentammo gocciolando sui pavimenti in marmo e si fermò davanti a una porta. Bussò e sentimmo un tonfo all’interno, delle risate e femminili e passi strascicati. La porta si aprì rivelando Jacopo, il fratello della principessa. Ci guardò stralunato.
“Sorellina, devi dirmi qualcosa?” chiese confuso.
“Po, lui è Bryan, Bryan questo idiota è Jacopo” mormorò con un sorriso sarcastico al fratello e lo scostò entrando in camera sua senza chiedere il permesso.
Lo salutai alzando la mano davanti a me, imbarazzato. Lui mi studiò in silenzio qualche secondo e fummo distratti da un urlo. Allarmati entrammo in camera per accorgerci che non c’era niente di strano.
“Ommio… Wow!” urlò Alexis osservando l’anello che ornava l’anulare della sua migliore amica. Fissò il fratello sconvolta e corse ad abbracciarlo. Gli saltò letteralmente addosso facendogli i complimenti per l’ottima scelta. Ridacchiai e salutai con un cenno Valentina che ricambiò con un sorriso. Riportai lo sguardo su Alexis che era scesa dal fratello e stava frugando tra i vestiti di Jacopo. Quello la guardava stranito ma non disse nulla. Mi guardò e sorrise notando il mio imbarazzo.
“Ormai ci ho fatto l’abitudine alle sue stranezze, se prende confidenza diventa un uragano” ridacchiò e una sberla dietro il collo lo fece gemere dal dolore.
“A chi hai dato dell’uragano, eh?” chiese Alexis fingendosi offesa mentre tra le braccia stringeva dei vestiti.
“A te” rispose il maggiore dei fratelli e le fece la linguaccia. Ridemmo tutti mentre i due iniziavano a insultarsi.
“Banana”
“Peperone”
“Sabbia”
“Idiota”
“Scemo”
“Che razza di insulti sono banana e sabbia?”
“Beh, e uragano e peperone?”
Scoppiarono entrambi a ridere, poi la bionda fradicia mi trascinò fuori dalla camera del fratello urlando dei saluti. La seguii ancora stranito da quello che avevo appena visto. Si fermò dopo aver svoltato una sola volta e aprì una porta chiara.
“Questa è la mia camera, ho preso dei vestiti di mio fratello che dovrebbero andarti bene, avete quasi la stessa taglia” parlava a macchinetta mentre poggiava i vestiti sull’enorme letto al centro della grandissima stana e spariva dietro una porta. Mi guardai intorno osservando le pareti ognuna di un colore diverso e l’arredamento. La parete alle mie spalle, quella della porta era azzurra, alla mia sinistra una porta finestra enorme dava su una terrazza non troppo grande e quel poco di muro che delimitava la finestra era viola. Il letto era poggiato alla parete di fronte a me, colorata di un argento molto simile agli occhi della proprietaria della stanza. Le coperte del baldacchino matrimoniale era di un rosso acceso con i cuscini gialli. Al posto dei comodini, ai lati del letto, vi erano due enormi librerie alte fino al soffitto stipate di libri. Alla mia destra due porte si aprivano nel muro ricoperto da scritte fatte con le bombolette. Una porta era la cabina armadio e riuscivo a vedere Alexis che si toglieva la felpa e rimaneva con la maglietta rosa zuppa e completamente attaccata alla pelle. Uscì con il mollettone tra le labbra, la felpa sulla spalle e le mani impegnate a rifare la crocchia con i capelli bagnati. Aprì l’altra porta che scoprii celava un bagno e aprì l’acqua della doccia. Una musica si propagò nella stanza e Alexis si muoveva a passo di musica. Uscì nuovamente dal bagno e mi sorrise. La felpa era sparita e i capelli erano di nuovo apposto. Riconobbi la canzone che stava canticchiando prima la principessa e non potei fare a meno di pensare che era davvero una bella.
“Puoi farti una doccia, se vuoi, ti ho aperto l’acqua. Io vado a farla nel bagno qui fuori, se hai bisogno di qualcosa basta che esci nel corridoio, giri a destra e sono nella prima porta a sinistra. Gli asciugamani sono nel mobiletto e i vestiti te li ho messi sul letto… Il necessario per la doccia è nel box” mi sorrise e sparì in corridoio. Entrai in bagno togliendomi la maglietta e la posai nel cesto della biancheria sporca, sopra alla sua felpa. Mi guardai in giro nell’enorme bagno in cerca dell’armadietto degli asciugamani. Lo trovai e ne presi uno qualsiasi. Finii di spogliarmi ed entrai nella doccia. Fu un sollievo sentire l’acqua calda lavare via il freddo lasciato dai vestiti bagnati. Mi lasciai cullare per un po’ da quella bella sensazione e poi presi il bagnoschiuma. Lo aprii e non potei fare a meno di annusarlo. Sapeva di lei. Sorrisi e mi sbrigai a finire la doccia per poi uscire e avvolgermi nell’asciugamano. Mi maledissi mentalmente quando mi accorsi di aver dimenticato i vestiti nell’altra stanza. Aprii la porta del bagno e vidi Alexis che si pettinava i capelli bagnati con indosso un bellissimo abito più corto sul davanti e più lungo dietro. Era composto da veli leggerissimi che le scendevano morbidi sulle gambe. Appena sotto il seno una striscia di un blu appena più scuro del vestito e ornata da brillantini argento le partiva sulla destra, tagliava il petto come una tracolla e finiva in una spallina sottile. Rimasi impietrito a fissarla. Era davvero bellissima. Si accorse di me incontrando il mio sguardo nello specchio. Si voltò di scatto e arrossì.
“Scusami! Pensavo avessi portato i vestiti in bagno” si giustificò balbettando. Sorrisi mentre raggiungevo il letto, prendevo i vestiti a tornavo verso il bagno.
“Tranquilla, li avevo dimenticati per sbaglio. Sei bellissima, comunque” e sparii dietro la porta del bagno. Mi ci appoggiai contro e sospirai. Cosa mi stava succedendo? Prima la baciavo, ci ridevo insieme, ero geloso se qualcuno le si avvicinava e ora andavo pure a dirle che era bellissima. Scossi la testa e mi vestii, deciso a ritornare distaccato senza  però ferirla. Notai con sorpresa che aveva ragione, avevo quasi la stessa taglia del fratello. Mi osservai nello specchio con indosso un completo blu scuro, quasi lo stesso colore della fascia sul suo vestito. La camicia bianca risaltava moltissimo sulla mia pelle leggermente abbronzata e decisi di non mettere la cravatta, lasciando l’ultimo bottone della camicia e la giacca aperta. Uscii e la raggiunsi. Si era asciugata i capelli in tempo record e li aveva raccolti in un’acconciatura sulla testa. Ora stava finendo di truccarsi. Mi appoggiai con una spalla al muro vicino allo specchio e mi misi a fissarla con le mani nelle tasche. Sorrise mentre chiudeva un occhio e si passava la matita sulla palpebra. Notai che la matita non era nera ma blu brillanti nata. Sorrisi notando che ai piedi aveva dei sandali argentati con un bel tacchetto a spillo. Nonostante questo, non riusciva ancora ad essere più alta di me. Finì di mettere la matita e si allontanò dallo specchio. Notò solo in quel momento la somiglianza tra i colori dei nostri vestiti e arrossì.
Ridemmo per quell’assurda coincidenza e sentimmo bussare alla porta. Lexi urlò un invito a entrare e la porta si aprì rivelando Jacopo vestito elegantemente a braccietto con Valentina. Quest’ultima indossava un elegantissimo tubino nero decorato da pieghe della stoffa e piccoli punti luce argento su un fianco. Come Alexis, anche lei indossava sandali argentati, ma di un modello diverso. Si salutarono con un abbraccio e Valentina sussurrò all’altra qualcosa nell’orecchio che la fece arrossire.
Jacopo prese la parola spezzando il nostro silenzio.
“La festa sta per iniziare, sono tutti nell’ingresso pronti ad applicare la linea” annunciò e lo seguimmo per i corridoi. Le ragazze rimasero indietro a parlottare e mi avvicinai al principe. Insomma, ero un cacciatore, mi ero legato a sua sorella e non gli avevo rivolto più di quattro parole in totale, mi sentivo leggermente in soggezione sotto il suo sguardo tranquillo e indagatore.
“Linea?” chiesi.
“Si, la linea divisoria con cui separiamo la zona delle ragazze e la nostra” annuii svoltando nell’ennesimo corridoio e ci ritrovammo nell’ingresso pieno di gente in abiti da sera che chiacchieravano. Alexis mi trascinò per un braccio dalla coppia che domani si sarebbe sposata e baciò entrambi sulle guancie. Strinsi la mano dello sposo e baciai la mano della sposa. Era davvero incantevole avvolta in un abito nero stretto fino alla vita che si allargava morbido finendo in una gonna corta di grandi strass rotondi neri verso l’alto e dorati verso il basso.
Alex fece cenno a un servitore di fermare il chiacchiericcio e in men che non si dica quello suonò un motivo con la tromba e tutti si zittirono. Alexis sorrise cordiale ai presenti e prese parola.
“Signori e signore, cedo volentieri il mio castello per celebrare l’ultima notte prima del matrimonio di questi due giovani” pronunciò con voce solenne e porse un rotolo di nastro adesivo spuntato da chissà dove agli sposi. Le ragazze si radunarono tutte da un lato e seguii gli uomini dall’altro. Lentamente i due sposi cercarono l’inizio del nastro e quando finalmente lo trovarono si posizionarono di fronte al portone d’ingresso. Si scambiarono un bacio a fior di labbra e poggiarono il nastro sul pavimento, srotolandolo man mano che andavano verso la porta da cui si accedeva alla sala da ballo. Una volta che ebbero raggiunto l’estremità della sala partirono gli applausi e le urla.
“Inizino i festeggiamenti” proclamò Jacopo e i due gruppi, maschi e femmine, si avviarono ognuno in un verso. Rimasi con lo sguardo in quello di Alexis finché potei e poi mi girai con un mezzo sorriso. Non capivo perché avessero insistito tanto per farmi partecipare a questa festa, io non c’entravo niente con loro. Dopo qualche svolta ci trovammo in una stanza fornita di un grandissimo bar, alcuni divanetti, tavoli da gioco, tavoli stracolmi di cibo e luci stroboscopiche. Questo castello era una sorpresa continua. Subito i tritoni esplosero in grida di acclamazione e fu offerto un primo giro di alcolici. Niente di troppo pesante, dato che dovevamo resistere fino alla mezzanotte come minimo. Alex mi presentò tutti i suoi amici, una ventina circa di tritoni più simpatici di quel che speravo. Quello che successe dopo il ventesimo bicchiere di superalcolici non lo ricordo pienamente, ricordo solo che mangiai abbastanza da sentimi pieno, bevvi abbastanza da ritrovarmi a ballare e ridere come un idiota e ricordo che non ero l’unico in quelle condizioni. Quando mi svegliai la mattina dopo ero completamente vestito gettato su un divano e puzzavo di alcol. Scossi la testa guardandomi intorno e constatai che ero nella stanza in cui avevamo festeggiato la sera prima. Aggrottai la fronte confuso notando Jacopo disteso sul pavimento e beatamente addormentato. Aveva una scritta sulla fronte fatta di sicuro con un pennarello indelebile.
Il prossimo, diceva. Ridacchiai e mi alzai colto da un improvviso terrore di avere anche io una scritta. Barcollai per colpa di un violento capogiro e mi aggrappai al divano con un tremendo mal di testa. Cercai uno specchio e mi osservai in quello dietro al bancone constatando che non avevo strane scritte. Sentii qualcuno mugugnare di dolore e mi guardai intorno. Alex era seduto su un divanetto e si reggeva la testa. La scosse come avevo fatto io poco prima e si alzò.
“Che è successo?” chiese una voce poco distante mentre un altro tritone si alzava e ci raggiungeva. Mi guardai in giro cercando il resto della compagnia e trovai solamente altri quattro uomini sparsi per la stanza, alcuni dormivano e altri si stavano svegliando.
“Dove sono gli altri?” chiese confuso uno di questi con voce impastata. Mi strinsi nelle spalle  ancora mezzo stordito dal sonno e dai postumi della sbronza.
“Andiamo a cercare le ragazze” disse qualcuno e nello stesso istante Alex chiese che ore fossero.
“Sono le dieci e mezza del mattino” rispose qualcuno. Alex annuì e lo seguimmo fuori da quella stanza, verso l’atrio.
“Gli altri sono andati a farsi una doccia e a prepararsi a casa, ci hanno lasciato un biglietto” annunciò Jacopo che nessuno aveva visto mentre si alzava e beveva un bicchiere d’acqua. Rallentai fino a trovarmi in coda al gruppetto e fui presto raggiunto dallo sposo. Mi mise una mano sulla spalla.
“Naturalmente voglio che sia presente anche tu al matrimonio, si terrà oggi pomeriggio alle tre, Alexis ti porterà sul posto” gli sorrisi e lo ringraziai. Raggiungemmo l’atrio dove un servo prese il biondo al mio fianco e lo trascinò via per chiedergli qualcosa. Era tradizione che gli sposi non si incontrassero la mattina del matrimonio e passassero la notte separati, perciò non fui sorpreso di trovare Alexis e Valentina che ridevano strappando il nastro adesivo applicato sul pavimento la sera prima. Fui sorpreso di trovare anche Patricia, Diana e Lana che ridevano con loro e le aiutavano. Le mie sorelle erano vestite normalmente, con pantaloncini e magliette semplici, mentre le altre due erano ancora vestite a festa, come la sera precedente. L’acconciatura di Lexi non aveva retto alla nottata, dato che aveva finito per raccogliere i capelli sulla nuca con lo stesso mollettone di ieri e a quanto pare anche i tacchi l’avevano stancata dato che indossava comode pantofole. Alzò lo sguardo come avvertendo il mio su di lei e mi sorrise. Patricia seguì subito il suo sguardo e lanciò un urletto di gioia correndomi incontro come la sera del ballo. L’abbracciai stretta e le baciai i capelli. Mi sorrise raggiante e poi fu la volta delle altre due, cui riservai lo stesso trattamento.
“Dobbiamo venire a palazzo adesso, per incontrarti?” chiese sarcastica Lana mettendosi le mani sui fianchi.
“Piuttosto, sono io che dovrei dire così, visto che di venire a casa mia a salutarmi non ne volete sapere” ribattei con un sorriso. Alexis si avvicinò e la salutai con un baciamano leggero.
“Ragazze, devo trovargli un vestito decente, Alex e Ser l’hanno invitato al matrimonio, perciò noi andiamo” annunciò prendendomi a braccetto.
“Tutte a te le fortune, fratellino” Patricia mi fece la linguaccia. Ridendo mi avviai con Alexis verso un corridoio. Lanciai un bacio alle mie sorelle e mi voltai definitivamente.
“Allora, dove sarà questo matrimonio?” chiesi. Alexis si bloccò immediatamente guardandomi dispiaciuta.
“In una chiesa sott’acqua.”





*Spazio Autrice* 
Salve a tutti! Allora, innanzitutto mi devo SCUSARE ENORMISSIMAMENTE PER IL MOSTRUOSO RITARDO!
Poi... Volevo chiedere un favore a voi, mie care lettrici... Siccome sono un'impedita che più impedita non si può devo chiedere a voi un favore... Avevo una mezza ideuccia di mettere un banner per questa storia e per l'altra... Se qualcuna di voi ha tempo, pazienza e voglia di aiutare questa povera impedita me lo dica, mi farebbe un enorme piacere! Potete scrivermi nei messaggi o anche nelle recensioni :) 
Devo proprio andare, scusate ancora per il tremendo ritardo e spero che il capitolo vi sia piaciuto :) 
Baci, 
la vostra Giugiu. 

 

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