How to save a life

di Eveine
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Momenti di un'ordinaria domenica ***
Capitolo 2: *** In compagnia è meglio! ***
Capitolo 3: *** I dubbi di un Capitano ***
Capitolo 4: *** Mai toccare gli amici! ***
Capitolo 5: *** Volevo solo darti la buonanotte! ***
Capitolo 6: *** Una festa mostruosa e opprimente ***
Capitolo 7: *** La partita ***
Capitolo 8: *** Mi manchi ***



Capitolo 1
*** Momenti di un'ordinaria domenica ***


“Chiunque può arrabbiarsi: questo è facile.
Ma arrabbiarsi con la persona giusta, e nel grado giusto,
 e al momento giusto, e per lo scopo giusto, e nel modo giusto:
questo non è nelle possibilità di chiunque e non è facile.”
-Aristotele-
 
 
Adorava indossare la divisa da Quidditch e, se fosse stato per lei, l’avrebbe messa ogni giorno, ma era costretta a infilarsi quella della sua Casa: le piaceva sentire la stoffa ruvida e rigida che le sfiorava la pelle, le trasmetteva un senso di calore e per questo la preferiva a quella liscia e sempre fredda della camicia.
Quella mattina, però, sarebbe voluta rimanere in pigiama sotto le coperte, a oziare, per quel poco che glielo permetteva lo studio: era domenica, l’unico giorno in cui riusciva a riposarsi un po’. Tuttavia, quel giorno, man mano che passavano i minuti malediceva sempre di più quell’idiota del suo Capitano, Noah Baston, che aveva mandato sua sorella, la piccola Angie, poco più che undicenne, a svegliarla. Il ragazzo conosceva l’irascibilità della sua miglior giocatrice, Charlotte Paciock, e sapeva perfettamente che avrebbe schiantato qualsiasi persona tranne la sua sorellina. Ai più, infatti, era noto il fatto che Charlie aveva un debole per gli studenti del primo anno, soprattutto per quelli che avevano grandi occhi scuri e guanciotte piene e rosee, proprio come Angie. Questa sua “predilezione” per i bambini che si affacciavano per la prima volta allo studio della magia era da attribuire al suo passato, poiché non aveva mai dimenticato l’ansia e la paura che l’avevano accompagnata durante i suoi primi giorni a Hogwarts, e il fatto che gli studenti più grandi facessero di tutto per farla sentire ancora più a disagio. A tutti questi fattori andava ad aggiungersi anche la lontananza dalla sua famiglia al punto che, dopo neanche un mese, Charlie se ne voleva andare dalla scuola per poter proseguire gli studi a casa. Fu una ragazza, che all’epoca frequentava il sesto anno, ad aiutarla facendole capire che all’interno di quella scuola, oltre che apprendere importanti nozioni sulla magia e su come usarla, avrebbe anche potuto divertirsi e fare nuove amicizie, che sarebbero diventate le più importanti della sua vita. Presa, allora, la decisione di rimanere, si impegnò lei stessa in prima persona ad aiutare tutti i futuri studenti, prendendoli sotto la sua ala protettiva e mostrando loro solo le bellezze della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.
Charlie sentiva il vento ululare all’esterno e vedeva la pioggia battere con tutta la sua forza sui vetri dei lucernari degli spogliatoi: l’idea di allenarsi con quel tempo non era di certo una delle migliori di Noah e non vedeva l’ora di farglielo sapere.
Dopo aver allacciato l’impermeabile rosso per coprirsi dal temporale che imperversava fuori, prese la sua scopa dallo stanzino e si diresse verso l’esterno, assaporando la sfuriata che avrebbe fatto a breve; non fece in tempo a mettere il piede sul prato bagnato, però, che venne investita dalle grandi gocce di pioggia. Più si avvicinava al centro del campo, dove gli altri giocatori la stavano aspettando, più il vento aumentava di potenza e più le sue scarpe affondavano nel miscuglio di erba e fango facendo aumentare la rabbia della ragazza.
-Charlie, finalm…- Noah provò a dire qualcosa, ma fu subito interrotto.
-Ma cosa hai nella testa? È domenica mattina e, per di più, c’è un tempo così orribile. Non potevi rimandare gli allenamenti?- la ragazza dovette urlare per sovrastare il rumore della pioggia e per questo non ricevette il risultato sperato.
-Abbiamo la partita contro Serpeverde tra due settimane.- anche lui dovette urlare per farsi sentire, ma la sua voce e il suo tono lasciavano trasparire soltanto calma, almeno per il momento.
-Non me ne frega assolutamente nulla. Manca ancora un sacco di tempo e ci alleniamo già abbastanza al di fuori del week-end. Abbiamo bisogno di riposare, o vuoi che arriviamo alla partita sfiniti?- la voce di Charlie si alzò ancora di più e, stavolta, insieme alle parole, riuscì a sputare fuori anche tutta la rabbia.
-Non sei tu il Capitano. Devi smettere di dare ordini e decidere quando dobbiamo allenarci e tutto il resto. Io sono il Capitano e io ho deciso che oggi ci saranno gli allenamenti, che tu lo voglia o meno.- la vena che aveva sul collo iniziò a pulsargli vistosamente, ma lui continuò. –Quindi, se vuoi continuare a far parte di questa squadra, sali su quella dannata scopa, prendi la pluffa e inizia a tirare rigori, altrimenti girati, torna negli spogliatoi, togliti la divisa e lascia questa squadra per sempre.- la cosa che più di tutto faceva innervosire e arrabbiare Noah era l’atteggiamento della Cacciatrice: odiava quando si atteggiava a Capitano e ignorava completamente la sua autorità. Sapeva di essere brava e quasi indispensabile per la squadra, e questo le dava una sicurezza tale da decidere di fare qualsiasi cosa di testa propria.
-Non puoi permetterti di buttarmi fuori dalla squadra. Senza di me non segnerete neanche un goal e sarà difficile per te proteggere quegli anelli.- si difese lei, stringendo talmente forte il manico della scopa da far diventare bianche le nocche della mano destra.
-Non ho bisogno di una giocatrice arrogante e presuntuosa come te, non mi interessa se buttarti fuori significa perdere ogni incontro. Sarei anche disposto a prendere con noi tuo fratello pur di farti tenere la bocca chiusa e non sentire più le tue lamentele.- non aveva fatto in tempo a finire la frase che si era già reso conto di aver esagerato: non avrebbe dovuto mettere in mezzo il fratello di Charlie.
-Tu non hai il diritto di nominare mio fratello! Sei solo uno spregevole raccomandato: sei il Capitano solo perché tuo padre è un giocatore famoso. Mi fai schifo, come persona, ma soprattutto come giocatore.- la replica di Charlie non si era fatta di certo attendere, e, alla fine, la ragazza buttò la scopa a terra e si diresse minacciosamente verso Noah che, consapevole della sciocca scenetta che stavano mettendo in atto, strinse i polsi della giovane, bloccandola e cercando di scusarsi prima di ricevere un pugno in pieno volto come era successo qualche anno prima.
-Hai ragione!- quelle due semplici parole avevano il potere di calmarla, almeno per il tempo sufficiente a formulare delle valide scuse. Noah la conosceva da più di sette anni e sapeva quanto lei adorasse avere ragione, soprattutto quando era lui a dargliela.
-Non avrei dovuto parlare di Neal: siamo entrambi arrabbiati e, come al solito, diciamo cose che non pensiamo. Sai perfettamente quanto voglio bene a quel piccoletto e anche che non sopporto quando pretendi di decidere per la squadra, perché quello è compito mio.- a questo punto Charlie si era calmata del tutto; Noah aveva il grande potere di farla arrabbiare nel giro di pochi secondi, ma anche quello di trovare le parole giuste per tranquillizzarla. Lei, nonostante tutto, era l’unica ragazza che stimava più di se stesso e, non a caso, era l’unico componente di sesso femminile della squadra.
Charlie, ormai calma, abbassò le braccia e, con aria colpevole, disse:
-E’ che… ho sonno. La domenica ho bisogno di dormire.-
Noah scoppiò a ridere, seguito dagli altri giocatori che avevano assistito, sconsolati, alla quotidiana litigata tra i due.
-Potrai dormire solo dopo aver segnato almeno una cinquantina di goal ai Serpeverde.- il Capitano si voltò per poter iniziare finalmente la sessione di allenamenti, quando  lei lo chiamò.
-Ah, Noah… bella mossa usare tua sorella.-
 
 
Il giovane Baston passò buona parte della mattinata a dispensare consigli ai suoi giocatori e a osservare Charlie, per quel che la pioggia gli permetteva. Era inutile nascondere, almeno a se stesso, che quella ragazza lo intrigava: era piccola, bassa ed esile, aveva il fisico perfetto per essere agile e poter scartare facilmente i giocatori avversari e andare a segno senza che gli altri se ne rendessero conto. Tuttavia, lei non era esattamente il suo tipo ideale, visto che a lui piacevano con un po’ più di forme, possibilmente nei punti giusti, alte e aggraziate. Nonostante non incarnasse il suo ideale di donna, però, aveva qualcosa di particolare che lo attirava, forse i lunghi capelli scuri sempre legati in una coda di cavallo, o gli occhi neri, penetranti e sinceri, o quel sorriso dolce, delicato e travolgente che riusciva a nascondere con la durezza e la cocciutaggine. In realtà la cosa che più lo affascinava, però, era la sua ambizione, la sua determinazione; infatti, era pronta a qualsiasi cosa pur di raggiungere i suoi obiettivi, anche se, comunque, per farlo non avrebbe mai calpestato gli altri: non era mai stata sleale né con gli amici né con i nemici, caratteristica che, probabilmente, aveva ereditato dalla madre.
Un’altra cosa che la rendeva diversa dalle altre era ciò che le aveva permesso il suo ingresso a Grifondoro: il coraggio. Non aveva paura di niente e di nessuno, e si sarebbe battuta con il ragazzo più grosso e muscoloso di tutta Hogwarts se solo avesse messo in mezzo il fratello, come aveva dimostrato poco prima.
-Cosa stai guardando?- la voce di James lo impaurì e lo destò dai suoi pensieri: si era quasi dimenticato di essere sul campo di Quidditch.
Nel frattempo, Charlie stava strillando a uno dei suoi battitori usando un linguaggio non proprio forbito. E, in quel momento, Noah riuscì a ricordarsi perché non le aveva mai chiesto di uscire: era troppo maschiaccio e a lui piaceva la femminilità.
-Se Charlie non la smette di rimproverare i miei giocatori, giuro che la butto fuori. Tu non dovresti essere alla ricerca del boccino?- si girò verso uno dei suoi migliori amici con uno sguardo di finto rimprovero.
-Già fatto.- così dicendo James alzò la mano destra chiusa a pugno su una sfera dorata dai cui lati uscivano un paio di ali sottili che svolazzavano freneticamente. –Ho cercato di attirare la tua attenzione per ore per dirtelo, ma tu eri troppo preso da Charlie.-
-Stavo solo guardando il suo modo di rubarmi il ruolo. Le rimane solo di buttarmi giù dalla scopa e mettersi lei stessa tra i pali.- replicò, sentendosi punto sul vivo.
-Sai, Noah, ho perso il conto delle volte che mi hai detto che l’avresti buttata fuori. Ammettilo, ti piace il suo modo di prendere il comando e soprattutto devi ammettere che con lei la squadra ha una marcia in più. Dovresti chiederle di uscire.- come sempre, James era riuscito a cogliere nel segno, come se gli avesse letto nel pensiero.
-Ma smettila. Non vedi che è un maschio? Non ha niente che la faccia sembrare donna, neanche le tette.-
Gli sguardi dei due Grifondoro erano puntati sulla ragazza in questione che nel frattempo aveva spintonato un compagno facendolo cadere rovinosamente dalla scopa e rischiando di fargli rompere qualche osso. Lei, ignara di essere il centro del discorso che stavano avendo i suoi amici, alzò lo sguardo e incrociò il loro. Impiegò un attimo a raggiungerli e, non appena si trovò vicino, diede una pacca sulla spalla di Noah così forte da mozzargli quasi del tutto il fiato.
-Potter, Baston, stavate parlando di me?- chiese, sempre con il sorriso sulle labbra.
-Certo, Paciock. Stavamo dicendo che assomigli più a un uomo che a una ragazza.-
Noah non sarebbe mai riuscito a dirle una cosa del genere e ogni tanto si ritrovava a chiedersi se, per caso, non avesse paura della sua reazione.
-Dovresti correggere con: Charlie, sei più uomo tu di quanto non lo siamo io o Noah.- anche se meno di due ore prima aveva avuto quella forte discussione con il suo Capitano, adesso si mostrava allegra e gioiosa, come d’altronde era sempre. Un’altra bella virtù della ragazza, infatti, era quella di riuscire a buttarsi tutto alle spalle e a sorridere quasi in ogni occasione. O, perlomeno, era così che si mostrava agli altri.
 
 
 
 
 
NdA: questa long è nata dalla mia voglia di cimentarmi di nuovo nella scrittura e dal mio amore per la nuova generazione del mondo di Harry Potter, i capitoli avranno tutti, più o meno, questa lunghezza. Ovviamente questo è un capitolo introduttivo, la storia prenderà corpo con i prossimi.
Se avete voglia di farmi sapere cosa ne pensate, ne sarei felicissima.
Un grazie speciale, ovviamente, va alla mia beta Lady Viviana (http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=146007) che ha la pazienza di leggere i miei capitoli e di aiutarmi con le mie lacune.

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Capitolo 2
*** In compagnia è meglio! ***


“Qual è il primo dovere dell’uomo? La risposta è breve: essere se stesso.”

-Henrik Ibsen-

 

 

Charlie aveva il vizio di esagerare ogni cosa, ma in quel periodo era davvero stanca: lo studio, gli allenamenti e i suoi doveri da Caposcuola le prosciugavano quasi totalmente le energie. Quando era piccola credeva che avere un padre all’interno del corpo docente di Hogwarts le avrebbe fatto avere dei privilegi, magari i professori le avrebbero assegnato meno compiti o voti più alti, insomma, credeva che avrebbe avuto vita facile. “Beata innocenza” si trovava a pensare ogni volta che le ritornavano in mente questi sogni di bambina. Purtroppo avere come padre il professore di Erbologia la costringeva a studiare perfettamente sia quella materia che le altre. Durante i primi anni si era resa conto che ogni volta che arrivava a una lezione in ritardo, oppure era impreparata o prendeva un brutto voto, suo padre ne veniva a conoscenza nell’arco di poche ore e, alla fine dell’orario delle lezioni, iniziava una lunga ramanzina che spesso veniva seguita da una punizione. I professori si sentivano in dovere di avvertirlo dell’andamento della figlia e lei non poteva di certo biasimarli.

Al secondo anno, dopo aver preso parte alle selezioni per la squadra di Quidditch, suo padre le aveva espressamente detto che, se voleva farne parte, avrebbe dovuto continuare a studiare e collezionare buoni, anzi ottimi, voti. Così, dal momento in cui aveva letto il suo nome tra i nuovi giocatori che sarebbero entrati a far parte della squadra, iniziò a studiare il doppio per evitare di dover abbandonare il suo sogno a causa del padre. Ora che era arrivata all’ultimo anno lo studio era triplicato, ma lei non mollava: avrebbe indossato la divisa da Quidditch dei Grifondoro fino all’ultima partita.

Il lunedì mattina arrivò in fretta e il sole attraversò troppo presto le pesanti tende rosse dei letti a baldacchino del dormitorio femminile. Charlie venne svegliata dai raggi di quest’ultimo che le colpivano violentemente gli occhi e alzò le coperte fin sopra i capelli, ma ormai non c’era più niente da fare: era sveglia. Era un incubo per lei svegliarsi così all’improvviso, poiché le faceva venire un tremendo mal di testa che, probabilmente, le avrebbe tenuto compagnia per tutta la giornata. A lei, invece, piaceva destarsi lentamente, visto che le serviva del tempo per rendersi conto di non trovarsi più nel mondo dei sogni, ma in quello reale, dove la vita sapeva essere crudele e spietata senza fare sconti a nessuno.

Con una lentezza da far invidia al più pigro dei bradipi, si sedette su un lato del morbido materasso, si infilò le pantofole e si diresse in bagno.

Siccome si era svegliata prima del dovuto e non aveva materie da ripassare per le lezioni della mattina, decise che una bella corsa, all’aria fresca di fine novembre, le avrebbe fatto bene. Senza rifletterci troppo indossò la tuta rossa e oro e scese le scale, dirigendosi verso il portone d’Ingresso e lasciandosi alle spalle la torre di Grifondoro dove tutti o quasi stavano dormendo beatamente.

Il vento le sferzò il viso facendole lacrimare gli occhi: non si era aspettata tutto questo freddo, ma, in fondo, le piaceva. Correre a basse temperature l’aiutava a schiarirsi le idee, a pensare meglio, a organizzarsi la giornata e, se era positiva, anche la propria vita. Quella mattina, però, i suoi buoni propositi furono interrotti da una voce maschile, fin troppo familiare, che la stava chiamando cercando di attirare la sua attenzione. Si voltò e, come aveva previsto, si trovò a fissare il suo Capitano che le correva incontro.

-Ehi, non mi aspettavo di trovare qualcuno sveglio a quest’ora, soprattutto di lunedì.- disse Noah appena l’ebbe raggiunta.

-Non ho chiuso bene le tende del letto e il sole mi ha svegliata.- rispose lei leggermente seccata.

-Non ti facevo una dal sonno così leggero.- fece finta di non aver percepito il tono nella voce dell’amica e le sorrise mostrando tutti i suoi denti perfettamente allineati.

-Anche se sono una a cui piace dormire non significa che debba avere il sonno pesante.- per esperienza Noah sapeva che ignorare troppo a lungo l’irritamento crescente di Charlie non avrebbe portato a nulla di buono. Osservandola meglio, si rese conto che si stava sfregando le mani sulle braccia alla ricerca di un po’ di calore.

-Se rimaniamo qui a chiacchierare diventeremo presto delle statue di ghiaccio. Iniziamo a correre?- propose, cominciando a fare stretching.

-Non mi sembra di aver mai detto di voler correre con te.- precisò lei, imitandolo negli esercizi per riscaldare i muscoli.

-Infatti mi sono autoinvitato. Su, andiamo, dormigliona.- Noah iniziò a correre verso il Lago Nero e Charlie non poté far altro che seguirlo e affiancarsi a lui.

Da una parte era contenta di avere compagnia in quella corsa mattutina, ma, dall’altra, la cosa la infastidiva anche un po’. Fare jogging di mattina era uno dei pochi momenti in cui poteva stare completamente sola, senza nessuno intorno per qualche chilometro; tanto che, a volte, quando la pressione di tutta la sua vita si faceva troppo pesante, le piaceva urlare verso l’orizzonte. Dopo, si sentiva libera, come se il peso che gravava sulle sue spalle e sul suo petto si fosse alleggerito grazie alle onde sonore provocate dalle sue corde vocali.

Ancora immersa nei suoi pensieri, guardò Noah, poi il Lago Nero e pensò che, in fondo, quel ragazzo la conosceva abbastanza bene: solitamente lui si dirigeva dalla parte opposta quando andava a correre, ma, quel giorno, prese il sentiero che piaceva tanto a lei, probabilmente per farla stare meglio. A quell’ora del mattino, quando ancora i raggi del sole non riuscivano a riscaldare ciò che toccavano, il Lago Nero era spettacolare: delle piccole onde, create dal vento che arrivava da est, ne increspavano la superficie lucida e l’acqua rispecchiava le montagne che circondavano la scuola creando una situazione magica, quasi paradisiaca. Alcuni tratti erano abbaglianti per il sole nato da poco e Charlie dovette chiudere gli occhi per qualche secondo immergendosi nel silenzio totale. Fu grata a Noah per averla portata in quel luogo, non sapeva spiegarsi il perché, ma trovarsi lì, insieme a lui, le dava una sensazione di pace, di tranquillità e, per qualche minuto, riuscì a dimenticarsi anche di tutti i suoi problemi.

-Mi dispiace per quello che ho detto su Neal ieri mattina.- fu Noah a rompere il silenzio che si era creato tra di loro.

-È stata una carognata mettere in mezzo mio fratello.- rispose lei con una punta di acidità nella voce.

-Lo so. E mi pare di averti chiesto scusa già diverse volte.- non la sopportava quando non apprezzava nessun suo tentativo di essere carino e gentile.

-Tu non capisci!- ora il suo tono si era un po’ addolcito, una cosa davvero rara. 

-Allora, se non capisco, spiegami. Sono tuo amico.- era rimasto un po’ spiazzato dato che si aspettava una risposta più cattiva e pungente.

-Soffriamo tutti per Neal. È un bambino con mille problemi, ha paura di tutto, è troppo basso per la sua età, ha un fisico gracile, è introverso, timido, goffo e diciamocelo, neanche tanto intelligente. Assomiglia molto a mio padre quando aveva la sua età, lui però con il tempo è riuscito a riscattarsi, aveva dei compagni di Casa comprensivi e carini che gli sono stati di aiuto. Neal, invece, non ha amici e i suoi concasati lo prendono in giro in continuazione. Crescendo in questa situazione non riuscirà mai ad acquistare fiducia in se stesso, si fa influenzare troppo dai giudizi degli altri. Io, in tutto questo, mi sento impotente, non so come aiutarlo.- ormai aveva il fiatone, era difficile fare un discorso così lungo e correre allo stesso tempo senza una grande scorta di ossigeno.

-A me  non sembra un ragazzo così problematico. Ho sempre pensato fosse solo timido.-

-Lo hai mai visto insieme a qualche ragazzino della sua età?- Noah non rispose subito poiché stava cercando di riportare alla mente le immagini dei suoi ricordi di Neal, ma, in effetti, le uniche persone con cui lo vedeva erano suo padre, sua sorella e, qualche volta, gli amici di famiglia.

-Il tuo silenzio è la risposta alla mia domanda.- visto che il ragazzo non aveva parlato, Charlie aveva ripreso la parola. –Non so più che fare con lui, Noah. Gli voglio un bene immenso, ma non posso continuare a proteggerlo, deve imparare a cavarsela senza l’aiuto di nessuno. A giugno ci diplomiamo e lui rimarrà qui, solo. Non ci sarò più io, non ci sarai più tu, non ci sarà più James.-

-Ci saranno tutti gli altri componenti della famiglia Potter-Weasley e tuo padre: non sarà completamente solo.- Noah cercava di tranquillizzarla facendole notare che tutti gli altri amici di famiglia erano più piccoli di loro tre e non si sarebbero diplomati a giugno.

-Forse hai ragione, probabilmente mi sto preoccupando troppo. Il problema è che mi sento in colpa nei suoi confronti e questo mi fa essere una sorella troppo premurosa.- Charlie non era mai stata così giù di morale, o per lo meno Noah non l’aveva mai vista in questo stato.

-E perché mai dovresti sentirti in colpa?- le chiese, bloccandosi di colpo così che lei dovette fermarsi e tornare indietro per poter continuare il discorso.

-Io ho preso tutti i pregi dei Paciock e degli Abbott e lui, invece, tutti i difetti: gli ho rubato le cose belle della mia famiglia.- aveva gli occhi lucidi, tristi. Era sull’orlo delle lacrime, ma tentava in tutti i modi di rimandarle indietro.

Il ragazzo non resistette alla tentazione e, in preda alla follia, l’abbracciò. Era così piccola tra le sue braccia possenti, il suo corpo caldo nonostante il freddo, i suoi capelli che emanavano un piacevole profumo di pesca. Averla così vicina in un momento in cui lei era così fragile gli trasmetteva una sensazione strana, positiva; non l’avrebbe mai ammesso con nessuno, ma avrebbe potuto continuare ad abbracciarla per sempre. In quel momento, si rese conto che la ragazza faceva parte della sua vita, che aveva lasciato una traccia nel suo cuore e nella sua anima e che le avrebbe sempre voluto bene.

In balia di quella sublime sensazione, scostò Charlie da sé, le alzò il volto rigato dalle calde lacrime e la baciò delicatamente, poggiando semplicemente le labbra su quelle della ragazza. Sapeva che quel gesto, unito all’abbraccio di poco prima, l’avrebbero fatta infuriare dato che a lei non piacevano quei gesti così dolci. Riflettendoci bene, quello era stato un grosso errore e da un momento all’altro avrebbe ricevuto un ceffone o un pugno in pieno viso. Alla fine, non successe nulla di tutto questo, anzi, lei si allontanò e fissò i suoi occhi scuri e velati di lacrime in quelli leggermente più chiari del ragazzo; si vedeva che era sorpresa, che non si sarebbe mai aspettata quei gesti da parte del suo Capitano, ma, anche lei non l’avrebbe dichiarato neanche sotto tortura, quelle attenzioni non le dispiacevano affatto.

-Non è colpa tua, Charlie. Non hai chiesto tu di essere intelligente, di avere talento negli sport, di essere forte, tenace e, mi costa ammetterlo, abbastanza di bell’aspetto.- Noah sapeva che doveva tirare su il morale dell’amica, doveva farle capire che non dipendeva da lei se il fratello minore era così solo e così fragile. Lei era la sorella maggiore e il suo compito era quello di aiutarlo e vegliare su di lui e, di certo, Charlie aveva adempiuto ai suoi doveri più che alla perfezione.

-Io me lo sono creata da sola il mio carattere, pensi che sia sempre stata così forte e sicura?- ora i due ragazzi erano di nuovo separati, il momento di affinità che si era creato precedentemente si era frantumato in mille pezzi e, senza neanche rendersene conto, avevano ripreso la loro corsa.

-Ti devo ricordare che ti conosco da quando avevamo circa un otto anni? Pensi che mi sia dimenticato di quando, al primo anno, volevi tornartene a casa perché ti sentivi sola? Chi ti è stato vicino in quel periodo?- Noah aveva alzato la voce: avevano fatto parte l’uno della vita dell’altra per circa metà degli anni che avevano vissuto e lei continuava a comportarsi come se lui non ci fosse mai stato per lei.

-Amanda. Amanda Barrinton mi ha aiutata a superare quel periodo. È stato grazie a lei e a mio padre se non ho abbandonato Hogwarts per avere un’istruzione a casa.- Charlie stranamente rimase calma, ma, già mentre le pronunciava, si rese conto di quanto quelle parole suonassero strane, sbagliate. Amanda l’aveva aiutata tanto, ma senza l’amicizia di James e Noah non sarebbe mai arrivata a essere quella che era: una ragazza forte, sicura di sé, che non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno e non si faceva spaventare da niente. Non diede tempo a Noah di rispondere che fermò nuovamente la loro corsa.

-Neal non ha due amici come te e James.- aveva un’aria semi colpevole che intenerì talmente tanto il ragazzo che questi l’abbracciò di nuovo.

-Ha appena iniziato il secondo anno, avrà tutto il tempo del mondo per farsi degli amici. E ora, forza, torniamo al castello che si è fatto tardi.- le disse, dopo aver sciolto quel caldo abbraccio. Charlie osservò il sole che ora si stagliava alto nel cielo, sopra le montagne ma non riuscì a mettere in ordine le sensazione che stava provando, ai sentimenti che albergavano in quel momento nel suo cuore.

 

Entrò nel dormitorio femminile di Grifondoro dove le sue compagne stavano ancora dormendo. Aveva poco tempo prima che iniziassero a svegliarsi e a pretendere il bagno tutto per loro perciò prese velocemente una divisa pulita e si chiuse la porta alle spalle. Una volta all’interno della doccia aprì il rubinetto e il getto dell’acqua calda che la investiva fu come un massaggio per i suoi muscoli intorpiditi dalla corsa di poco prima e dai frequenti allenamenti di Quidditch.

Negli anni aveva imparato a vivere la propria vita giorno per giorno e il momento della doccia, quando la corsa era stata infruttuosa, era il più adatto per fare mente locale sugli impegni della giornata. Ma quel giorno c’era qualcos’altro che occupava la sua mente: il comportamento di Noah. Non sapeva come interpretare quello che era successo giù al Lago Nero:  era stato qualcosa di spontaneo dovuto al suo attimo di debolezza o era qualcosa che il ragazzo desiderava da tempo, ma per il quale aspettava il momento giusto per farlo? Non era esperta in questo genere di cose, così decise che avrebbe lasciato correre e si sarebbe comportata come se non fosse successo nulla, lasciando che fosse lui a farsi avanti, se davvero interessato a lei. Eppure quegli abbracci, quel bacio, sembrava  tutto così naturale, come se tra loro non potesse esserci niente di diverso in quel momento, come se quei gesti fossero la cosa giusta da fare, quello che il destino aveva scelto per loro.

Il suono delle sveglie delle altre ragazze la riportò alla realtà cancellando queste ultime sensazioni, sicuramente sbagliate; si affrettò a vestirsi e si guardò allo specchio mentre si legava i capelli in una coda di cavallo. Abbassò lo sguardo sulle tonnellate di cosmetici delle altre mentre lei, al contrario loro, non si truccava mai e alzò nuovamente lo sguardo sulla sua figura riflessa spaventandosi per il volto bianco solcato da enormi occhiaie. Pensò, allora, che forse un po’ di trucco l’avrebbe resa più bella e che Noah sarebbe stato più che felice di baciarla di nuovo. Ma quella non sarebbe stata lei poiché pensava che truccarsi fosse come indossare una maschera e nascondere il proprio essere: doveva piacere a Noah semplicemente per quella che era. “No” si disse “non riuscirò mai a essere più femminile. Non cambierò me stessa. Neanche per un ragazzo”.

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Capitolo 3
*** I dubbi di un Capitano ***


“Non posso darti soluzioni per tutti i problemi della vita, non ho risposte per i tuoi dubbi o timori. Però posso ascoltarli e dividerli con te.”

-J. L. Borges-

 

 

Uscì dal bagno dopo aver lanciato la tuta nella cesta dei panni sporchi e notò che tutte le ragazze del settimo anno di Grifondoro erano sveglie e in attesa che lei lo liberasse.

-Buongiorno, compagne.- salutò lei, sorridendo.

-Tutto questo tempo dentro al bagno e neanche ti sei truccata.- le rispose Amber, la proprietaria del letto vicino al suo.

-Te l’ho già spiegato, Amber: io e te abbiamo priorità diverse, non è difficile da capire.- rispose Charlie, cercando i libri che le servivano quella mattina all’interno del baule.

Amber non replicò, ma l’altra la sentì mormorare qualcosa come “meno male” mentre si allontanava per prendere il suo posto davanti allo specchio.

Mentre finiva di sistemare la sua borsa, le si avvicinò Dominique, l’unica con cui aveva un rapporto da poter considerare amicizia.

-Odio ammetterlo, ma questa volta Amber ha ragione. Metti paura da quanto sei bianca, potresti far concorrenza a Nick-Quasi-Senza-Testa come nuovo fantasma di Grifondoro.- le disse, dopo averla osservata con attenzione.

-Ma zitta! Sei sempre esagerata! Sono solo un po’ stanca.- ribatté Charlie, sentendo solo in quel momento il morso della fame e lo stomaco che brontolava.

-E ho fame.- aggiunse, mettendosi la tracolla sulla spalla.

-Finirai per morire di allenamenti. E, per la cronaca, un po’ di fondotinta avrebbe evitato di far spaventare chiunque ti incontri oggi.- le urlò dietro Dominique, mentre spariva dietro la porta.

Arrivata in Sala Grande per la colazione si sedette al solito posto: di fronte a James e Noah che, doveva ammetterlo, erano i suoi migliori amici.

-Che brutta cera, Charlotte.- le disse James, pur sapendo che odiava il suo nome per esteso, preferendo di gran lunga il diminutivo. Charlotte era troppo carino per lei, elegante, delicato insomma, aggettivi che, di certo, non le si addicevano.

Fulminò con lo sguardo James e ignorò Noah, poiché aveva deciso di comportarsi come ogni giorno. Il ragazzo, d’altro canto, era abituato a non ricevere attenzioni dalla giovane Grifondoro perciò sarebbe stato strano il contrario. Seduto di fronte a lei ne osservò i movimenti lenti mentre si versava del succo di zucca e stendeva un velo quasi invisibile di marmellata sopra un pezzo di pane tostato bruciacchiato, per poi dare due piccoli morsi al toast che si era preparata e bere un sorso dal bicchiere di vetro. James aveva proprio ragione: aveva proprio una brutta cera. Si chiese se la causa potesse essere la stanchezza o la preoccupazione per il fratello o potesse, invece, essere riconducibile a quello che lui stava pensando e valutando negli ultimi mesi. Aveva un modo così poco aggraziato di stare a tavola, di stare seduta, di parlare che sembrava quasi un uomo, ma allora perché aveva così tanta voglia di baciarla di nuovo?

-Che facciamo, Noah? Ci avviamo verso gli oscuri antri delle segrete di Lumacorno?- la voce di James gli ricordò che non potevano arrivare di nuovo in ritardo se volevano evitare una punizione esemplare. In due mesi di lezione erano riusciti ad arrivare tardi per ben sette volte, ma non era colpa loro se Lumacorno aveva lezione le prime due ore del lunedì mattina!

-Sì, sarà meglio andare, altrimenti stavolta ci mette davvero a pulire tutti i calderoni!- si alzarono da tavola seguiti da Charlie.

-Aspettate.- disse, asciugandosi le labbra con la mano, in un gesto decisamente poco fine. –Sono diffidata anche io: se vengo con voi almeno sarò punita in compagnia.- sorrise, prendendo a braccetto sia James che Noah e, tutti e tre, si avviarono verso i sotterranei.

L’aula, come al solito, era poco illuminata, Charlie si sedette nel banco insieme a Dominique e gli altri due si accomodarono in uno ancora vuoto. Non ebbero neanche il tempo di tirare fuori i libri dalle borse che il professore entrò e si chiuse la porta alle spalle.

-Vedo che finalmente siete riusciti ad arrivare puntuali.- disse, mentre passava di fianco al banco dei due ragazzi.

-Li ho aiutati io, professore. È grazie a me se non hanno fatto tardi oggi.- rispose Charlie, sorridendo come solo lei sapeva fare.

-Immagino, Paciock. In effetti, non sei mai arrivata in ritardo in tutti questi anni, neanche una volta.- sedendosi dietro la cattedra il professor Lumacorno lanciò un’occhiata divertita alla sua allieva preferita

 

Dopo qualche minuto di spiegazione, i ragazzi si aggirarono per la classe alla ricerca degli ingredienti che sarebbero serviti loro per preparare la pozione. James e Noah presero un po’ di cose qua e là e iniziarono subito a parlottare senza dare troppo peso alle istruzioni scritte sul libro.

-Sabato, per la gita ad Hogsmeade, devo darvi buca. Visto che quest’anno l’uscita coincide con il nostro anniversario, io e Haley abbiamo pensato di passare una giornata romantica da Madama Piediburro.- raccontò James, mentre mischiava ingredienti quasi a caso nel calderone.

-Fate bene. Immaginavo si fosse stufata di passare le vostre uscite insieme a noi.- James e Haley stavano insieme da tre anni, ma le volte in cui erano stati completamente soli si potevano contare sulla punta delle dita: a James piaceva stare con la sua ragazza, ma, ancora di più, uscire con lei e i suoi amici contemporaneamente. Erano una delle coppie più invidiate di Hogwarts: entrambi di bell’aspetto e campioni di Quidditch, lui per Grifondoro, lei per Corvonero, non litigavano quasi mai e si amavano molto.

Dopo un primo scambio di battute tra di loro era calò un attimo di silenzio così Noah prese coraggio e disse quello che era accaduto quella mattina.

-Ho baciato Charlie stamattina.- la buttò là, pensando di sorprendere l’amico, invece James continuò a girare la sua pozione e gli si rivolse con tono pacato.

-Era ora.-

-Come “era ora”?- a essere sorpreso, invece, fu Noah perché non si sarebbe mai aspettato una risposta del genere.

-Ho sempre sostenuto che siete una bella coppia e che vi piacete a vicenda.- dato che l’altro lo stava ancora fissando con uno sguardo interrogativo, James proseguì.

-Oh, avanti. Non fare quella faccia. Quei battibecchi sono proprio da fidanzatini.-

-Signor Baston, quanti aculei ha aggiunto alla sua pozione? Se ne ha messi troppi rischia un’espl…- il professor Lumacorno, che nel frattempo si era avvicinato ai due ragazzi, non fece in tempo a finire la frase che la pozione contenuta nel calderone di Noah esplose, spargendo del liquido verde per tutta l’aula, su alunni e oggetti. Così, oltre a essa, nell’aula esplose anche una fragorosa risata generale: James, Noah e il professore erano completamente verdi, i primi due con un’aria tra il sorpreso e l’impaurito, mentre l’ultimo indeciso se unirsi alla risata o sgridare i due. Il dovere di professore, alla fine, prevalse sull’ilarità così spedì i due in infermeria e gli diede appuntamento dopo la fine delle lezioni per decidere la punizione.

 

Nonostante quello che era accaduto, i due giovani Grifondoro non furono esonerati dalle lezioni successive così, a malincuore, raggiunsero Charlie e Dominique per quella di Storia della Magia. Le lancette dell’orologio si muovevano con una lentezza esasperante e il professor Ruf non aveva la minima intenzione di ravvivarla un po’, continuando a spiegare con la solita nenia. Charlie tentò di seguire e prendere appunti, ma, dopo neanche un quarto d’ora, abbandonò quell’idea e decise di portarsi avanti con i compiti che non era riuscita a terminare il giorno precedente. Quando suonò la campanella, il brusio creato dal parlare del professore cessò,  seguito dal rumore delle sedie che strusciavano sul pavimento.

-Che dormita che mi sono fatto! Dovrebbero brevettare Ruf come cura contro l’insonnia!- James si stava stiracchiando, pregustando l’ottimo pranzetto; era uno di quegli che riuscivano a dormire nelle situazioni peggiori e a mangiare a qualsiasi ora del giorno.

-Devi insegnarmi a dormire sempre e ovunque.- disse Charlie, mentre sistemava le sue cose.

-Allora, ho una tecnica infallibile: devi incrociare le braccia sul banco e appoggiarci sopra la testa.-

-Neanche ti rispondo!- in compagnia dei suoi amici e compagni si avviò verso le scale per tornare ai piani superiori e, di fronte al portone della Sala Grande, i quattro si separarono: lei sarebbe salita in Sala Comune senza pranzare e Dominique li abbandonò per raggiungere altre amiche, già all’interno della sala.

-Ci vediamo dopo alla serra.- disse, cercando di congedarsi.

-Perché non ti fermi a mangiare con noi?- chiese Noah, probabilmente con fare troppo da investigatore.

-Non ho fame e devo finire i compiti di Erbologia.- rispose lei sulla difensiva.

-Ma dai, li hai fatti durante Storia della Magia e abbiamo un’ora di buco. Su, fermati con noi.- insistette ancora lui.

-Sapete com’è mio padre, deve essere sempre tutto perfetto e da me pretende il doppio. Ci vediamo alla serra.- fuggì, senza dar modo a uno dei due ragazzi di replicare

 

-Sono un po’ preoccupato.- disse Noah, sedendosi al tavolo ricoperto di splendido cibo dall’aria molto invitante.

-Per cosa?- chiese James senza prestare troppa attenzione alle parole dell’amico, visto che stava mettendo ogni pietanza disponibile sul piatto.

-Per Charlie.- Noah, a differenza di James, aveva preso solo del pollo e delle patate.

-E perché mai?- parlò, prima di riempirsi la bocca fino a che entrava cibo.

-Non mangia. Hai visto quanto è bianca?- era la prima volta che esponeva a qualcuno le sue tesi e le sue preoccupazioni; si era sempre riproposto di non farlo, ma quella mattina sembrava proprio un cadavere ambulante ed era scomparsa anche la luce dai sui occhi, quella che lo ammaliava ogni volta che ne incrociava lo sguardo.

-Ma che cosa dici, avrà mangiato abbastanza a colazione!-

-Tu non fai proprio caso ai dettagli, vero? È da prima dell’inizio della scuola che la controllo e ogni giorno mangia sempre meno. A colazione ha mangiato mezzo toast e bevuto solo qualche sorso di succo di zucca e ora salta il pranzo.- prese un po’ di pollo con la forchetta e se la portò alla bocca.

-Non trarre subito strane conclusioni solo perché oggi non si è fermata a pranzo. Lo sai come sono le ragazze, sempre attente alla linea.- James, invece, aveva quasi finito il suo piatto.

-Charlie ti sembra una che si preoccupa della linea?-

-Sì. Certo, non per gli stessi motivi delle altre visto che a lei serve per andare più veloce sulla scopa.-

-Ok, potrebbe essere una soluzione plausibile, ma stamattina siamo andati a correre e di solito ci alleniamo pesantemente: il corpo ha bisogno di nutrimento e lei non glielo sta dando.- Noah non era più riuscito a toccare nulla e stava schiacciando le patate con la forchetta; anche l’altro adesso aveva smesso di farlo e osservava i movimenti dell’amico che riprese la parola.

-Io mi preoccupo per i miei giocatori, è mio compito osservarvi e rendermi conto se qualcosa non va. È nostra amica, James, e ho paura che stia cadendo in un baratro senza ritorno; la vedo peggiorare di giorno in giorno, le voglio bene e vorrei tanto aiutarla.-

Forse quella era una delle discussioni più serie avvenute tra i due amici; entrambi volevano bene a Charlie e la consideravano come una sorella o, almeno, per James era così. Pensò se al suo posto ci fosse stata Lily, la sua adorabile sorellina, che, in quel momento, si stava avvicinando a loro e gli si chiuse definitivamente lo stomaco.

-E’ troppo intelligente per fare quello che dici. Però, se proprio vuoi stare più tranquillo, parlerò con Dominique e le chiederò di investigare per noi. Per quanto ne sappiamo potrebbe avere un’immensa riserva di dolci di Mielandia nascosta nel baule in camera sua.- mentre finiva la frase Lily gli si sedette di fianco con un’aria non proprio allegra.

-Come mai quella faccia, sorellina?- le chiese, chiudendo definitivamente l’argomento “Charlie”, almeno per il momento.

-Sono stata cacciata.- prese un piatto e si servì del cibo che aveva davanti.

-Da dove? Da chi? Devo picchiarli?- James era molto protettivo nei confronti di sua sorella poiché la vedeva ancora come una bambina, anche se in realtà era più matura di lui.

-Albus, Rose e Scorpius. Mi ero seduta con loro al tavolo dei Serpeverde, ma mi hanno detto di andarmene. Non ho la più pallida idea di quello che stanno architettando, devo chiedere a Charlie di controllare, così magari gli tolgono punti e li mettono in punizione.- bevve un lungo sorso d’acqua e quando posò il bicchiere sul tavolo l’aria triste aveva lasciato il posto all’allegria.

-A proposito di punizione, ho sentito del vostro numero con la pozione.-

-Nostro? Vorrai dire suo. È stato lui che, sovrappensiero, ha aggiunto ingredienti a caso.- si difese James, puntando la forchetta verso Noah e riempiendolo di briciole.

-Facile dare la colpa agli altri! Se tu non mi avessi distratto non ci saremmo ritrovati in punizione!- provò a difendersi il diretto interessato sapendo di essere totalmente colpevole.

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Capitolo 4
*** Mai toccare gli amici! ***


“Se non ti prendi cura di quello che hai, non meriti di averlo.”
-A. Becci-
 
 
Charlie aveva passato tutta l’ora di buco a rileggere freneticamente il suo tema sull’Aconito, nel quale aveva parlato delle sue caratteristiche fisiche, esterne e interne, descritto i suoi impieghi e le maggiori pozioni in cui veniva utilizzato, scritto i luoghi dove si poteva trovare e aggiunto anche delle considerazioni personali. Era sicura: questa volta suo padre non avrebbe trovato una sola imperfezione, non avrebbe avuto niente da ridire.
Arrotolò il foglio di pergamena, lo mise con cura all’interno della borsa e se la mise a tracolla. Poi, si passò le mani sul volto; si sentiva tremendamente stanca ed era solo a metà della giornata. Guardando l’orologio, si rese conto di essere in ritardo e si precipitò giù per le scale urtando tutti gli studenti che le ostacolavano la strada.
Alla serra raggiunse il gruppo che, sin dalla prima lezione di Erbologia, era costituito dall’irascibile Charlotte Paciock, dall’indisciplinato James Potter, dal pignolo Noah Baston e, infine, dalla bellissima Dominique Weasley. Fece giusto in tempo a sedersi vicino a loro che suo padre attraversò l’ingresso e si mise dietro alla cattedra: era impossibile per lei arrivare in anticipo.
-Buon pomeriggio, ragazzi.- salutò il professor Paciock, rivolto agli studenti.
-Buon pomeriggio, professore.- risposero loro in coro, seguendo una specie di rituale che non era mai cambiato da quando aveva iniziato a insegnare.
-Oggi ho deciso di lasciarvi lavorare da soli mentre correggerò i vostri compiti. Portate qui sulla cattedra i lavori e sceglietevi una pianta.- sorrise, vedendo il sospiro di sollievo che aveva tirato la maggior parte degli alunni. Era così raro vedere la sua bocca piegarsi verso l’alto in quel modo che Charlie rimase qualche secondo in più del normale a osservare il viso del padre che, a sua volta, non la degnò nemmeno di uno sguardo furtivo.
Fu Dominique che si incaricò di raccogliere i compiti dei suoi tre compagni e portarli al professore, mentre gli altri prendevano l’occorrente per la cura della pianta. Charlie, che stava già valutando quale facesse al caso loro, diede il suo tema all’amica senza neanche dargli un’occhiata.
La prima ora trascorse in una tranquillità quasi totale, durante la quale il professor Paciock, ogni tanto, chiamò uno studente per mostrargli le correzioni apportate al suo compito e poi lo rimandava a  posto senza neanche disturbare il lavoro degli altri.
-Charlotte, puoi venire un momento?- fu durante la seconda ora che Charlie sentì pronunciare il proprio nome dalla voce del padre.
Erano rimaste solo due persone che continuavano a chiamarla in quel modo pensando di farle piacere: lui e la sua anziana bisnonna Augusta che in quel periodo non la riconosceva neanche più a causa della vecchiaia.
Il tragitto dal tavolo di lavoro alla cattedra fu piuttosto lungo, come se la distanza da colmare fosse di molti chilometri e non di qualche metro. Sapeva che la sua “convocazione” non era per complimentarsi, ma per farle notare le sue imprecisioni, anche se, quella volta, era stata davvero attenta. Poco prima di arrivare di fronte a suo padre, si rese conto che il foglio di pergamena che lui stava correggendo era ricoperto per metà da inchiostro nero che l’aveva reso illeggibile.
“Merda” pensò la ragazza, che in quel momento avrebbe preferito di gran lunga essere in infermeria, coperta dalla pozione verde di James e Noah.
-Charlotte, non ti sei resa conto di aver consegnato un compito imbrattato di inchiostro?- le chiese, alzando gli occhi e puntandoli su di lei per la prima volta.
Incrociare lo sguardo di suo padre le metteva sempre ansia: quegli occhi, che una volta erano pieni di amore e di orgoglio, ora la scrutavano con severità. Il modo in cui Neville Paciock osservava i suoi figli era cambiato completamente dalla morte della moglie, come, del resto, anche lui. Amava i suoi figli, ma non riusciva più a dimostrarlo e questo, a malincuore, lo rendeva il padre che non avrebbe mai voluto essere.
-Deve essersi rotta una boccetta di inchiostro nella borsa. Mi dispiace, se vuoi lo riscrivo.- la voce di sua figlia, così simile a quella di sua moglie, gli fece intenerire quel cuore ormai chiuso in una morsa di ghiaccio. La guardò attentamente: aveva ereditato poche cose dalla madre e, di sicuro, non l’aspetto fisico che aveva il marchio della famiglia Paciock. Hannah era stata una donna formosa con capelli biondi e occhi marrone chiaro, mentre Charlie assomigliava a sua nonna Alice poiché era bassa, molto magra e con occhi e capelli molto scuri. Se fossero state più simili, lui non sarebbe più riuscito a guardarla.
-La parte di tema che ho potuto leggere era svolta abbastanza bene e, per stavolta, sei esonerata dal dover riscrivere tutto, proverò a toglierlo io con la bacchetta. Ah, questo pasticcio si ripercuoterà sul tuo voto perciò vedi di svolgerlo meglio la prossima volta!- la congedò e ritornò alla correzione degli altri compiti, chiedendosi se avrebbe potuto evitare quella scena e usare direttamente la magia visto che, dopotutto, era uno dei migliori temi che avesse mai letto.
 
-Io non sopporto più mio padre!- sbottò Charlie quando ormai, a lezione finita, si trovavano lontani dalla serra con un bel po’ di prato che li separava da quel mostro che era diventato il Professor Paciock.
-Ti ha solo sgridata, dovresti essergli riconoscente.- le rispose Noah pur sapendo che, in questo modo, avrebbe solo aumentato la rabbia della ragazza.
-Stavolta devo darti torto, Noah. Era solo inchiostro, bastava un semplice incantesimo. È suo padre, poteva evitare quella scenata davanti a tutti!- replicò Dominique, prendendo le difese della ragazza.
-Grazie, Dom. Tu sì che sei mia amica, non come lui.- sentenziò Charlie, indicando Noah che si trovava alle loro spalle, una ciocca di capelli sfuggita dall’elastico le cadde sul volto, la mise subito dietro l’orecchio con un gesto meccanico che non sfuggì al ragazzo dato che quell’aria quasi trasandata lo ammaliava.
-Scommetto che la boccetta di inchiostro si è rotta perché hai urtato qualcuno mentre ti precipitavi per arrivare puntuale. Se ti fossi fermata a pranzo con noi questo non sarebbe successo.- gli piaceva stuzzicarla, ma forse quella non era la situazione giusta dato che l’argomento “padre” era quasi un tabù per lei, così prese la decisione di deviare la conversazione ed evitare una nuova sfuriata. –Andiamo in Sala Comune a fare i compiti?-
Charlie e Dominique seguirono Noah su nella Torre di Grifondoro, mentre James si separò da loro perché voleva raggiungere Haley. Cercò di sbrigarsi per arrivare dalla sua amata il prima possibile e perciò fermò la sua corsa solo davanti all’ingresso della biblioteca per riprendere fiato. Si appoggiò allo stipite della porta e vide in un tavolo in lontananza Haley e un suo compagno di Corvonero chini sui libri, mentre le loro mani, poggiate sul tavolo, si sfioravano, cercandosi.
-Amore.- James non era un ragazzo geloso, non era neanche un tipo che faceva caso a questo genere di effusioni e per lui i gesti maliziosi non esistevano, non sapeva il significato della parola “gelosia” e si fidava ciecamente della ragazza che amava, così come degli amici cui si sarebbe affidato senza neanche pensarci. La parte bella di questo ragazzo era la sua gioia di vivere, il fatto che per lui la cattiveria non esisteva, che ogni azione che le persone compivano aveva sempre un buon fine. Se qualcuno gli faceva un torto, lasciava correre ed era in grado di perdonare tutti tranne nelle situazioni in cui venivano coinvolti i suoi famigliari, i suoi amici e la sua ragazza poiché diventava cattivo quando doveva proteggerli.
-James.- Haley allontanò velocemente la mano da quella dell’amico e chiuse il libro che stava leggendo. –Non ti aspettavo.-
-Sì, lo so. Volevo farti una sorpresa, sono venuto di corsa per stare un po’ con te visto che tra un’ora ho appuntamento con Noah dal professor Lumacorno.-le diede un leggero bacio sulle labbra e le si sedette accanto, salutando il suo amico che aveva assistito alla scena senza aprire bocca
-Ci è arrivata la voce dell’esplosione di questa mattina.- Max proferì parola per la prima volta innescando lui stesso una bomba.
-Tutti parlavano della vostra bravata a Pozioni. Scommetto che è colpa di Noah.- la voce della Corvonero era cambiata improvvisamente, da sorpresa era passata ad arrabbiata e accusatoria.
-Beh, in realtà sì, ma…- provò a spiegare lui, senza riuscire a terminare la frase poiché lei riprese la parola.
-Ma un corno! Ti rendi conto che la vostra amicizia non è sana? Ti porta solo guai e a causa sua ti ritrovi in punizione quasi tutte le settimane! Se evitassi di metterti nei guai, potremmo passare il doppio del tempo insieme.- ora era proprio arrabbiata e si agitava sulla sedia, mentre Max li osservava sogghignando sotto i baffi.
-Non dire stupidaggini, amore. Io e Noah siamo amici praticamente da sempre e la colpa delle cose che succedono è sempre al 50%. E poi è stato un incidente!-
-Infatti in tutti questi anni hai sempre vissuto seguendo la sua ombra! Non ti rendi conto che saresti uno studente migliore se solo ti allontanassi da lui e da Charlie? Ti precludi ottimi voti e una buona carriera per seguire i loro scherzi!- era la prima volta che si rivolgeva a lui con questo tono e, soprattutto, era la prima volta che tirava fuori l’argomento che la stava mangiando da dentro.
-Se usassi il tuo cervello da Corvonero, ti renderesti conto che, invece, sono riuscito a non farmi mai bocciare grazie a loro: sono due studenti bravissimi e mi costringono a studiare. Fosse per me non aprirei mai libro!- anche James si stava alterando e non gli piaceva il verso che stava prendendo quella conversazione.
-Siamo all’ultimo anno e non hai un piano per il futuro: hai mai pensato a noi al di fuori di Hogwarts?- la domanda fu la goccia che fece traboccare il vaso. Odiava quando qualcuno gli faceva notare che non aveva idea di quello che avrebbe fatto una volta preso il diploma e sapeva di non aver nessuna speranza di poter realizzare i suoi sogni, ma sentirselo dire, per di più dalla propria ragazza, gli bruciava come nessun’altra cosa al mondo.
-Non è questo il momento per parlare di questi argomenti! Max, mi dispiace averti fatto assistere a questa sceneggiata, non era mia intenzione, volevo passare solo un po’ di tempo con la mia ragazza.- non diede il tempo a nessuno dei due di replicare e si alzò, lasciandoli lì, immobili e sgomenti.
Odiava litigare e cercava sempre di appianare i diverbi con un compromesso, ma tirare fuori quegli argomenti era stato un colpo basso: la sua famiglia e i suoi amici erano intoccabili. I primi perché lo avevano cresciuto, donato amore, felicità e tutto quello di cui aveva bisogno, anche se non riusciva ad aprirsi completamente con loro. I secondi, invece, erano quelli con cui condivideva tutto, c’erano sempre, in ogni momento e situazione, con loro si divertiva, si sfogava, programmava la sua vita. Dava un grande valore all’amicizia, per lui era il sentimento più importante, che era in grado di donarti gioia e serenità. Si sentiva uno dei più fortunati al mondo dal momento esatto in cui aveva conosciuto Noah e Charlie poiché aveva capito subito che con loro la sua vita sarebbe stata più completa e più leggera. Purtroppo non era un ragazzo sentimentale ed esprimere a parole quello che provava era una fatica immane, per questo non aveva mai detto ai due quanto fossero importanti nella sua vita, ma, ne era sicuro, loro lo sapevano già. Era per questo che nessuno doveva parlare male di Noah e Charlie, inclusa la sua ragazza.

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Capitolo 5
*** Volevo solo darti la buonanotte! ***


“Abbi cura di me, perché io non ci riesco.”
-Davide Capelli-
 
 
Era ora di cena e, di nuovo, tutta la scuola era riunita nella Sala Grande. La giornata era finita e i ragazzi erano rilassati e, di conseguenza, più rumorosi. Il vociare, che prima era elevato, si era, però, affievolito nel momento in cui le bocche furono impiegate per masticare. Il bello di quel momento della giornata era che la divisione tra le Case spariva, nessuno faceva caso ai colori sulla divisa perché l’importante era stare tutti insieme; era il momento in cui fratelli, sorelle e cugini si riunivano, era come stare in famiglia e sentire meno la mancanza di casa e dei propri genitori. Charlie adorava quel momento: potersi sedere accanto al fratello Tassorosso a raccontarsi la giornata, la faceva stare bene, più vicina a lui. Come lei e Neal, anche i Potter, i Weasley, i Baston sedevano insieme, felici e sorridenti.
Noah, accanto a sua sorella, cercava di ascoltarla, stava raccontandogli della sua disavventura con le scale che si muovevano che l’avevano fatta arrivare tardi alla lezione della terza ora. Per quanto si sforzasse di prestare attenzione ad Angie, il suo sguardo e la sua mente, però, si spostavano in continuazione verso Charlie, che sedeva nel tavolo di fronte a loro. La ragazza si era riempita il piatto con il minestrone, ma ne aveva mangiato solo un paio di cucchiai e, al momento, sembrava più presa dalla conversazione con suo fratello che dal nutrirsi. Il discorso avvenuto tra lui e James qualche ora prima era un capitolo chiuso per l’altro, mentre era ancora decisamente aperto per lui. Il giovane Potter non era un menefreghista, era solo uno che, al contrario della sua migliore amica, tendeva a sminuire le cose ed era davvero convinto che fosse una ragazza dotata di un’intelligenza tale da non sfiorare nemmeno l’idea di cadere in quel baratro.
Guardandola bene, però, dovette ammettere a se stesso che sembrava essersi ripresa; aveva sempre delle occhiaie enormi, ma, almeno, era tornata la vitalità nei suoi occhi.
-Ehi, mi stai ascoltando?- Angie reclamò la sua attenzione.
-Scusami, tesoro, ero sovrappensiero.- le sorrise, cercando di trasmetterle tutto il suo amore fraterno.
-Sai, non mi dispiacerebbe avere Charlie in famiglia. Sembra una ragazza dura e priva di sentimenti, ma all’interno ha un cuore d’oro: basta vedere come si comporta con Neal!- evidentemente anche la piccola Grifondoro si era resa conto dell’interesse che il fratello maggiore aveva verso la sua amica e dovette ammettere che l’aveva anche capita meglio di lui.
-E’ mia amica da tanti anni e sto praticamente iniziando a conoscerla solo ora. Devi spiegarmi come hai fatto a vedere la bontà nascosta in lei così in fretta!- era sorpreso dalle parole della sorella poiché lui aveva impiegato più di sette anni per capire che, dietro quella corazza dura, c’era qualcosa di molto più profondo. In effetti, non si era mai impegnato più di tanto per scavare in lei, gli piaceva stare in sua compagnia e questo gli era bastato; nei momenti in cui non si esibiva nelle scene da pazza era simpatica, ironica e allegra, e a lui non serviva sapere altro.
-Non ci vuole molto. Poi, basta vedere come la guardi tu. Se una ragazza fa innamorare mio fratello, non può essere tanto male.- dopo queste ultime parole, Noah si ritrovò a pensare come mai tutti, tranne lui, si fossero accorti della sua attrazione per Charlie.
Qualche posto più in là, James stava sacrificando la sua sera in famiglia per appianare i dissapori con Haley; si era pentito quasi subito di essersene andato in quel modo, ma il suo orgoglio gli aveva impedito di tornare indietro. Il professor Lumacorno aveva, infatti, deciso di metterli in punizione e per la prima sera avrebbero dovuto fare l’inventario delle scorte degli ingredienti. Mentre scontavano la prima delle sette ore, James si era confidato con Noah, nascondendogli, però, tutte le motivazioni che avevano scatenato la lite. Il Capitano aveva cercato di far ragionare il suo Cercatore facendogli notare che Haley era innamorata di lui e che le cose che gli rimproverava erano solo per il suo bene. O almeno così avrebbe dovuto essere. Gli ricordò, inoltre, che mancavano pochi mesi al loro diploma e che lei, evidentemente, aveva paura di perderlo una volta lasciate le mura sicure della scuola: prendere strade diverse e lontane avrebbe potuto separarli per sempre.
Dopo le scuse iniziali, i due fidanzati si abbracciarono e tornarono a essere come sempre, anche se qualcosa dentro di loro si era spezzato; la ragazza cercò di evitare accuratamente gli argomenti che avevano creato tanto scompiglio poche ore prima, felice di portare la conversazione su un punto che avevano in comune, su qualcosa che entrambi amavano: il Quidditch. Purtroppo il pensiero di entrambi era che, in una coppia, non ci sarebbero dovuti essere argomenti da evitare, ma nessuno dei due aveva voglia di analizzare la questione e, così, lasciarono tutto in sospeso.
 
Quando i piatti e i bicchieri su tutti i tavoli furono vuoti, gli studenti si alzarono e lasciarono lentamente la Sala Grande per andare a passare le ultime ore del giorno nelle rispettive Sale Comuni. Charlie, Noah e James, una volta arrivati alla Torre di Grifondoro, andarono a occupare le poltrone di fronte al camino per bearsi un po’ del calore del fuoco prima di andare a dormire. La ragazza si ritrovò seduta accanto al giovane Baston; normalmente non avrebbe dato importanza alla cosa, ma, a causa di quello che era successo quella mattina, si sentiva un po’ imbarazzata e nervosa. Lui, invece, sembrava tranquillo e spensierato, come tutte le altre sere.
-Allora, domani ci alleniamo di nuovo?- chiese James, sperando che la risposta fosse un no.
-Sì, alle 18. Ho prenotato il campo per l’intera settimana per quell’ora. I Serpeverde dovranno adeguarsi ai nostri orari!- rispose l’altro con una punta di euforia nella voce per aver fregato i “nemici”. La partita che avrebbe auto luogo di lì a due settimane era la più sentita da tutti gli studenti della scuola e veniva considerata un po’ come una specie derby; in fondo, la rivalità tra quelle due Case era ad altissimi livelli e nessuna delle due squadre voleva perdere.
-Cosa?!? Tutta la settimana?!?- il moro era rimasto quasi scioccato: non erano mai arrivati ad allenarsi tutti i giorni, il Capitano doveva aver battuto la testa.
-Esatto, da domani fino a domenica. Oggi siete stati graziati solo perché sono arrivato tardi ed era tutto occupato.-
-Ma…- la Cacciatrice stava per replicare, ma il Cercatore prese la parola e la bloccò.
-Bene, dopo questa splendida notizia, vado a dare la buonanotte a Haley. Immagino già la sua reazione quando le dirò che da oggi fino alla partita contro quei serpentelli dovrà accontentarsi della mia presenza solo durante le lezioni che abbiamo in comune. Ah, e agli orari dei pasti, ovviamente, perché per il resto della giornata sarò ostaggio di un Capitano dispotico e malato di mente!!!- si alzò dalla poltrona e si diresse verso il ritratto della Signora Grassa che, sicuramente, non sarebbe stata felice di essere disturbata a quell’ora.
-Vedi? Non sono l’unica a pensare che non stai tanto bene.- gli disse la ragazza, continuando a fissare il fuoco e cercando di capire come far conciliare allenamenti, studio e sonno per quella settimana e, probabilmente, anche per la seguente.
-Ti prego, non ti arrabbiare, non ho voglia di litigare.- le sorrise, visto che, quando lui aveva aperto bocca, si era voltata nella sua direzione.
-Sai benissimo che sono d’accordo con te: dobbiamo allenarci, ma così è troppo! Io sono davvero stanca e sfinita e siamo solo a novembre, non oso pensare a quale sarà la mia situazione quando arriverà giugno.- il gesto che ne seguì fu qualcosa di spontaneo, che non aveva premeditato: gli posò la testa sulla spalla. Anche lui si stupì, non era mai successo prima e non sapeva come interpretarlo, ma ne fu compiaciuto.
-Mi fai una promessa?- il tono di voce del ragazzo si era fatto più dolce, più amorevole.
-Spara.- lei, invece, trovava difficile modificare il suo modo di parlare, aveva già fatto abbastanza avvicinandosi a lui.
-Fino alla partita non andare più a fare jogging. Hai bisogno di riposarti e di dormire.-
-Ok, promesso.- felice della risposta ricevuta, le accarezzò la guancia e le diede un bacio sulla fronte.
-Brava la mia miglior giocatrice.-
Il corpo della ragazza fu invaso da una piacevole sensazione di calore che, dal punto in cui le labbra di lui avevano toccato la sua pelle, le si irradiò lungo la schiena, provocandole brividi piacevoli. Quando arrivò alle mani, queste iniziarono a sudare, segno che si stava innervosendo. Si agitava difficilmente, ma, in quella giornata, erano successe così tante cose strane che era già la seconda volta che si ritrovava ad asciugarsi le mani sulla gonna della divisa.
In tutti quegli anni i contatti tra i due erano stati pressoché inesistenti, come quelli con James dato che non erano amici da smancerie. Per questo il suo cuore aveva iniziato ad accelerare i battiti nel momento esatto in cui la sua testa si era accostata a lui e subì un nuovo sussulto quando Noah le prese la mano e le accarezzò il palmo, seguendo le linee naturali.
-E’ molto più piacevole stare in tua compagnia quando sei così mansueta.- smise di accarezzarle la mano per stringerla tra le sue poiché forse, inconsciamente, aveva paura di una reazione violenta.
-Non abituartici!- avrebbe voluto urlargli contro, ma si limitò a ritirare il braccio e ad allontanarsi; si era sentita quasi offesa, non per la parola in sé, ma perché aveva dato voce a una sua paura: quella mattina, guardandosi allo specchio, aveva capito che non sarebbe mai andata bene a nessun ragazzo, tanto meno a Noah. Oltre ad avere un fisico decisamente poco femminile, era irascibile, testarda, acida, aggressiva, orgogliosa, troppo sportiva e non si rendeva conto del suo lato migliore che, invece, era apprezzato dalle persone che la conoscevano veramente. Piaceva perché era leale, altruista, sensibile e sapeva anche essere dolce, ma, di certo, non sarebbe mai stata mansueta come sembrava interessare a Noah.
-Dai, scherzavo. Torna qui vicino a me.- se l’avvicinò, mettendole un braccio sulle spalle e sentendo le ossa sporgere. -Mi dispiace. Qualsiasi cosa faccio o dico, con te e sbaglio sempre.-
-Forse sono io che sono sbagliata!- il dolore che si avvertiva nella sua voce era trasmesso anche dai suoi occhi. Non si capacitava di quello che le stava capitando in quel periodo, era sempre stata sicura di quello che era e che sarebbe voluta diventare, ma dalla morte della madre aveva iniziato a dubitare di se stessa senza neanche rendersene conto e il comportamento del padre non l’aiutava a superare il lutto nella maniera adeguata.
-Tutti abbiamo pregi e difetti e per essere amici bisogna imparare ad accettarli entrambi. Non possiamo essere sempre perfetti e piacere agli altri. Sì, non mi piacciono le tue scenate, ma sei una delle poche ragazze sincere, che non si fanno cambiare dai giudizi degli altri. Devi essere felice per quello che sei e a me piaci, Charlie, molto!-
Il ragazzo era un po’ nervoso ora, anche per lui era difficile esternare i suoi sentimenti e, infatti, con quel “a me piaci” non era riuscito a trasmettere in pieno quello che provava alla ragazza.
-Forse mi piaci anche tu.- si alzò dal divano, gli diede un leggero bacio sulle labbra e si diresse verso le scale che portavano al dormitorio femminile. Aveva già il piede sul primo scalino, quando lui la bloccò tenendole il polso, la strinse a sé e le diede uno di quei baci appassionati che difficilmente si sarebbe dimenticata. Dopo un lungo minuto i due si allontanarono e, per rispondere allo sguardo un po’ sbalordito e un po’ interrogativo della ragazza, lui disse semplicemente:
-Volevo solo darti la buonanotte!-
Charlie, con le labbra piegate in un enorme sorriso, risalì le scale per andare a dormire, mentre Noah, voltandosi, si ritrovò a guardare un James con la bocca completamente spalancata.
-Siete già a questo punto?- la sua espressione era cambiata e ora sorrideva, pronto a farsi raccontare tutti i particolari di quell’ora in cui era stato assente.

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Capitolo 6
*** Una festa mostruosa e opprimente ***


“Ma lei lo avvertì di non lasciarsi ingannare dalle apparenze, perché la vera bellezza si trova nel cuore.”

-La bella e la bestia-

 

-Buongiorno, amici!- salutò una solare Dominique, mentre prendeva posto sulla panca in mezzo a James e Noah.

-Buongiorno.- le risposero in coro i due ragazzi, senza dare troppa enfasi alle loro parole, poiché erano troppo impegnati a riempirsi lo stomaco con cibo e caffè.

-Vi conviene andare a dormire prima la sera, avete certe facce!- lei, invece, era bella e pimpante, come tutti i giorni, i lunghi capelli biondi perfettamente sistemati in un’elegante chignon, gli occhi azzurri contornati da un trucco leggero che aveva il compito di esaltarne il colore naturale e le labbra carnose, luminose per il lipgloss. I lineamenti delicati del viso le conferivano una bellezza tale da poter competere tranquillamente con sua madre e sua sorella, ma tutto questo non le dava alla testa: era una ragazza umile e gentile con tutti.

-Comunque- proseguì –ho delle notizie per voi!-

-Notizie riguardo cosa?- chiese Noah, che non era a conoscenza della chiacchierata avvenuta tra i due cugini la sera precedente.

-Le ho chiesto di controllare Charlie. A proposito, come mai non è ancora scesa?- spiegò velocemente l’altro, per lasciare spazio alle novità che doveva raccontare la giovane.

-Si è svegliata tardi ed era ancora sotto la doccia quando sono scesa, per questo ho poco tempo per aggiornarvi. Allora, ho trovato delle merendine di Mielandia nel cassetto del suo comodino, ma non mi sembra una scorta da cui non attinge spesso dato che sembrano essere lì da anni. Dopo aver parlato con te, James, ho iniziato a fare mente locale su come l’avevo vista in questo ultimo periodo.- si fermò per prendere fiato. Era agitata e lo si vedeva dal fatto che giocherellava con il braccialetto che aveva al polso; anche lei voleva bene a Charlie, era una delle sue migliori amiche e non si capacitava di come non fosse riuscita ad accorgersene prima.

-La vedevo dimagrire di giorno in giorno, sempre più bianca, sempre più emaciata in volto e non ho fatto niente. La mia amica stava prendendo una strada buia e tortuosa e io non me ne sono resa conto o, forse, ho voluto ignorare i segnali.- ora stava quasi piangendo poiché si sentiva in colpa e aveva paura di non riuscire a rimediare.

-Coraggio, Dom. Non abbatterti, non è una cosa facile da capire e non siamo neanche sicuri di quello che le sta succedendo. Magari sono solo impressioni sbagliate che ci siamo fatti.- James aveva fatto giusto in tempo a finire la frase che una ragazza con una chioma di capelli rossi si parò di fronte al terzetto.

-Salve, ragazzi!- salutò agitando freneticamente la mano. –Cosa state confabulando?-

I tre seduti al tavolo la guardarono con aria colpevole, pronti a tenere la bocca chiusa poiché sapevano che raccontare un segreto a Rose Weasley equivaleva a dirlo direttamente a tutta la scuola.

-Ho qualcosa per voi!- la ragazza non badò troppo alle espressioni degli amici e cambiò discorso senza aspettare la risposta, tirando fuori delle buste dalla borsa. –Sono gli inviti per il mio compleanno.- ne consegnò uno a testa con un enorme sorriso stampato in viso.

-Come mai sono pieni di ragni e ragnatele?- chiese il cugino, mentre osservava la busta, un po’ impaurito.

-E’ per far capire il tema: Halloween!- il suo tono lasciava trasparire che, secondo lei, la risposta era più che ovvia.

-Ma siamo quasi a dicembre!- fece notare Noah, che non si lasciava mai sfuggire l’occasione di precisare.

-Beh, è sempre stato il mio sogno nascere il 31 ottobre e, per una manciata di giorni, non posso realizzarlo.-

-E quindi?- insistette lui.

-Sei un po’ tardo, Baston: festeggio il mio compleanno con una festa a tema Halloween, così posso sentirmi realizzata almeno per metà. Non so come non mi sia mai venuto in mente.- così dicendo si allontanò, senza neanche salutare, tuffandosi in un altro gruppo di ragazzi.

-Vostra cugina è più fuori di testa di quanto ricordassi!-

 

Charlie aveva ricevuto il suo invito prima degli altri visto che aveva incontrato Rose in Sala Comune, prima che lasciasse la torre di Grifondoro. Quella ragazza l’affascinava, aveva un modo tutto suo di vedere il mondo e di relazionarsi con gli altri, era strana e lei ci si trovava bene. La busta che le aveva consegnato era nera con decorazioni arancioni, e il cartoncino all’interno era identico all’involucro che lo conteneva, tranne che per un paio di frasi al centro, scritte con una grafia rotondeggiante e poco precisa: “Sabato 29 novembre. Sala Grande. Vestitevi mostruosamente. Rose.”

Sorrise e posò l’invito nella borsa poiché era arrivato il momento di andare a lezione.

Una volta varcata la soglia dell’aula di trasfigurazione la trovò quasi deserta, salutò i compagni che erano già seduti e prese posto in uno dei banchi vicini alla cattedra, in attesa degli altri tre che, probabilmente, erano ancora a colazione.

-Ehi, pensavo ti fossi addormentata di nuovo, non sei venuta a colazione.- sussultò al suono della voce di Dominique dato che era immersa nella lettura di un libro e, come al solito, si era estraniata dal mondo reale.

-Non avevo fame e ho deciso di venire direttamente in aula.- chiuse il libro e osservò l’amica, che stava prendendo posto al suo fianco.

Si ritrovò a pensare che non potevano essere più diverse: una elegante e graziosa, l’altra sciatta e trasandata. Anche Charlie aveva legato i capelli in una specie di chignon, ma varie ciocche erano sfuggite all’elastico e le ricadevano sul viso al naturale, non truccato.

-Non stai saltando un po’ troppi pasti, Charlie?- provò a indagare la bionda, senza però riuscire ad avere una risposta, visto che la professoressa McGranitt aveva fatto il suo ingresso in aula.

 

I giorni seguenti trascorsero nella più totale normalità, tra lezioni, compiti, allenamenti e, per chi si era cacciato nei guai, punizioni. Fortunatamente arrivò il fine settimana che, per la maggior parte degli studenti di Hogwarts, significava relax. Questo binomio, sfortunatamente, non valeva, però, per la squadra di Quidditch di Grifondoro che era costretta a tenere la sveglia puntata alle 7 del mattino a causa di un Capitano troppo esigente. Tuttavia, quel sabato aveva anche due lati positivi: c’era il sole a riscaldare i giocatori sulle scope e la sera avrebbe avuto luogo la festa di Rose.

Le compagne di Charlie avevano passato tutto il pomeriggio a prepararsi per la sera, lei, invece, aveva trascorso quelle ore a studiare, poiché doveva assolutamente terminare i compiti di Erbologia.

Era ormai sera inoltrata quando alzò la testa, chiuse tutti i libri sparsi sul letto, fece un lungo respiro e indossò il costume, che consisteva in un paio di jeans e una camicia a quadri, laceri e sporchi. Seguendo alcuni consigli che le aveva dato Dominique, si truccò il volto, così da sembrare un morto vivente, uno zombie.

Già mentre si avvicinava alla Sala Grande sentiva il frastuono della musica, era una cosa anomala, certo, ma James le aveva detto che sua cugina era riuscita a farsi concedere il permesso per la festa usando il suo status di “figlia di Ron Weasley e Hermione Granger”: essere la discendente diretta di chi aveva combattuto durante la guerra al fianco di Harry Potter, dopotutto, aveva i suoi vantaggi. Non appena mise piede all’interno, rimase a bocca aperta: la stanza era completamente cambiata, irriconoscibile. L’unica parte rimasta invariata era il soffitto, che mostrava il cielo all’esterno, pieno di stelle e privo di nuvole. I tavoli erano stati addossati alle pareti e ricoperti di varie pietanze, tra cui biscotti a forma di zucca, di teschio e di ragno; finte ragnatele andavano da un capo all’altro della sala, scheletri e zucche intagliate erano sparse un po’ ovunque e il tutto era reso ancora più lugubre dalla luce di poche candele che penzolavano a mezz’aria.

I partecipanti erano tutti mascherati e si stavano divertendo e la prima cosa che saltò all’attenzione di Charlie fu che la maggior delle ragazze non aveva seguito il consiglio di Rose di vestirsi mostruosamente, ma aveva deciso di propria iniziativa, indossando abiti sexy. Mentre osservava l’agglomerato di persone che si dimenava in mezzo alla Sala Grande, dove era stata allestita una pista, vide i suoi amici in lontananza, vicino al buffet.

-Siete pronti a dire addio ai vostri cervelli?- disse, quando li raggiunse.

-Prima fammi cenare.- stranamente James si stava riempiendo un piatto, pronto a ingozzarsi.

-Beh, non è il tuo che voglio; vista la grandezza, non mi sazierebbe.- sorrise lei, dando una pacca sulla schiena al ragazzo, che riuscì a non far cadere il piatto dalle sue mani solo per miracolo.

-Concordo, il mio è decisamente più grande e succulento.- si intromise Noah, cingendo Charlie per la vita.

-Solo perché ogni tanto lo usi per il Quidditch.- si alzò sulla punta dei piedi e gli diede un bacio sulla guancia. Si erano avvicinati solo da pochi giorni, ma, per lei, era diventato quasi naturale stargli accanto e scambiarsi qualche bacio, ogni tanto.

-Ciao, Noah!- il saluto proveniva da una voce sensuale alle spalle del ragazzo, una voce che lei conosceva e che non le piaceva.

-Ciao, Sienna.- ricambiò lui, mostrando un sorriso a trentadue denti e, contemporaneamente, allontanandosi dalla giovane Paciock.

-Questo costume ti sta benissimo.- continuò lui, quasi dimenticandosi degli amici con cui era in compagnia fino a pochi secondi prima.

Charlie, osservando il corpo sinuoso di Sienna Finnigan stretto in un abito nero aderentissimo, si chiese se non fosse stato meglio scegliere un costume che la facesse sembrare più donna, invece che un mostro, così, almeno, avrebbe ricevuto anche lei dei complimenti.

-Lascia stare, Charlie. Non fare paragoni!- James la risvegliò dai suoi pensieri.

-Come?- chiese lei, cercando di non mostrare quella punta di gelosia, che si stava manifestando con un nodo alla gola.

-Siete diverse! Tu non puoi competere con lei per la bellezza e lei non può competere con te per il cervello.- sembrava serio e difficilmente lo era.

-Magra consolazione! Lei, ovviamente, ottiene con più facilità quello che desidera, tutti la vogliono e nessuno la evita.- odiava le ragazze come la Finngan, belle e consapevoli di esserlo, che avevano tutti ai loro piedi e lei, purtroppo, non era neanche una di quelle senza cervello.

-Per quanto può valere, io e Noah abbiamo scelto te.- cercò di farle capire quanto, anche lei, fosse bella e importante.

-Lui sembra aver scelto altro!- indicò il giovane Baston, che sembrava felicissimo di avere una conversazione così ravvicinata con una delle ragazze più belle della scuola.

-Se ti sopporta da tutti questi anni un motivo ci sarà! Vieni, andiamo a salutare Haley e Max.- i due erano appena arrivati alla festa, troppo complici, si accorse Charlie, senza, però, dire nulla. Chissà cosa avevano combinato per presentarsi al compleanno così tardi.

-Vado a cercare Neal, salutali tu da parte mia.- così dicendo si allontanò dall’amico.

Trovare suo fratello fu un’ardua impresa, ma, alla fine, lo vide seduto su una sedia, in un angolo, solo.

-Posso mangiarti il cervello?- le piaceva la battuta e aveva deciso di utilizzarla tutte le volte che ci sarebbe stata occasione.

-Fai pure.- rispose il ragazzo, facendo un piccolo sorriso sforzato.

-Ti diverti?- gli chiese, sedendosi al suo fianco.

-Non proprio.- era triste e lei odiava vederlo in quello stato.

-Andiamo a fare un giro.- lo prese per mano e lo trascinò via da quella bella festa che, per lei, era diventata opprimente.

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Capitolo 7
*** La partita ***


“A volte bisogna ferire qualcuno per riuscire ad aiutarlo.”

-Pretty Little Liars-

 

Finalmente era arrivato il giorno della tanto attesa partita tra Grifondoro e Serpeverde e la squadra rosso-oro era riunita negli spogliatoi, dove il Capitano era impegnato nel discorso pre-gara. L’agitazione tra i giocatori era quasi palpabile: si erano allenati così tanto in quei giorni e perdere non era concesso; avevano sopportato sudore, fatica e sacrifici e speravano che tutti quegli sforzi sarebbero stati premiati con una bella vittoria. Le urla degli spettatori, che stavano lentamente prendendo posto sugli spalti, si sentivano fin dentro lo stanzino da dove Charlie stava tirando fuori le scope. Normalmente quel suono le suscitava quel poco di agitazione di cui aveva bisogno per fare una partita perfetta, ma, quella mattina, invece, aveva bisogno che le mettessero in circolo una grossa dose di adrenalina; le ultime due settimane erano state dure, difficili e stancanti, le avevano prosciugato le ultime forze e, da quello che si vedeva, anche tutto il grasso che aveva in corpo, erano stati giorni lunghi, pieni di studio, di allenamento e poveri di sonno. Contrariamente a quanto aveva promesso a Noah, infatti, aveva continuato a fare jogging quasi tutte le mattine, seguendo una strada che si trovava dalla parte opposta del castello. Usare il sentiero del Lago Nero o quello abituale del ragazzo, infatti, sarebbe stato pericoloso dato che avrebbe potuto incontrare il suo amico e rovinare quel periodo idilliaco che stavano vivendo.

Dalla festa di Rose erano seguiti altri baci, ma non frequentemente, poiché il comportamento che il giovane aveva avuto con Sienna Finnigan frenava molto Charlie, nonostante si stessero avvicinando ogni giorno di più. Avevano imparato a conoscere aspetti diversi l’uno dell’altro: lui aveva capito che dietro la maschera da dura che indossava c’era nascosta una ragazza dolce, ma anche piena di problemi e di tristezza. Lei, invece, aveva scoperto che, forse, a Noah non interessava molto l’aspetto fisico, che, in fondo, era sensibile e cercava di renderla felice in tutti i modi e, cosa da non sottovalutare, si preoccupava per lei. Le piaceva sentirsi al sicuro e protetta, erano sensazioni che aveva smesso di provare da anni, da quando aveva perso sua madre e suo padre nello stesso momento. Quel giorno, infatti, per la famiglia Paciock, il mondo era cambiato, si era frantumato in mille pezzi come un vaso di ceramica caduto da una mensola posta molto in alto.

Mentre sistemava un paio di scope sotto al braccio, sentì la stanchezza prendere, per un attimo, il sopravvento, il cuore perse un battito e una strana sensazione di preoccupazione mista ad agitazione invase il suo corpo. Lasciò andare le scope, che caddero a terra e, con i loro manici di legno, provocarono un frastuono che echeggiò in tutto l’edificio, si appoggiò alla parete, toccandosi la parte di torace dove si trovava il cuore e, sentendolo battere normalmente, si tranquillizzò. Non appena avvertì dei passi che si avvicinavano, però, si affrettò a raccogliere le scope, per nascondere quel piccolo malore dato che, se gli altri lo avessero scoperto, non le avrebbero permesso di giocare e questo era inaccettabile.

-Paciock, che stai combinando?- era stato James ad accorrere in suo aiuto.

-Mi avere mandata da sola a prendere le scope! Mi sono scivolate mentre tentavo di portarle tutte insieme!- mentì, evitando di alzare lo sguardo sull’amico.

-Potevi anche portarne un po’ per volta.- scherzò lui, abbassandosi per aiutarla.

-Sì, come no! Così sarei dovuta tornare qui una seconda volta. Prendetevele da soli d’ora in poi!- la sua risposta acida non si fece attendere.

I due tornarono dagli altri compagni di squadra e consegnarono a ognuno il proprio mezzo. L’ansia per l’imminente partita era aumentata, erano tutti concentrati e nessuno parlava: il silenzio era totale.

Quando la porta dello spogliatoio si aprì, mostrando un’inflessibile Madama Bumb, i ragazzi sembrarono svegliarsi da quella specie di trance.

-E’ ora!- disse semplicemente, richiudendosi la porta alle spalle.

-Ok, ai posti di combattimento!- il Capitano fu il primo ad alzarsi e a uscire sul campo.

Nonostante la neve caduta nei giorni precedenti, la temperatura non era scesa eccessivamente, anche se, quella mattina, il cielo era bianco e completamente coperto di nuvole, segno che avrebbe ripreso a breve. Noah sperava che la partita finisse presto, poiché volare sotto la neve non era facile e avrebbero rischiato di ammalarsi.

Mentre la squadra di Grifondoro prendeva posto a cavallo dei manici delle scope, quella di Serpeverde uscì dai propri spogliatoi; avevano un’aria minacciosa, ma sapevano benissimo di essersi allenati la metà e di essere gli sfavoriti dell’incontro. I Capitani delle due squadre, Noah Baston e Kevin Montague, si avvicinarono a Madama Bumb per il sorteggio; quando la giornata era così, non c’era neanche bisogno di scegliere quali anelli difendere, ma, quando non c’erano nuvole a schermare gli occhi dei giocatori dal sole, la scelta era essenziale. La vittoria, quel giorno, andò alla squadra verde-argento, che scelse la parte davanti alle gradinate dove si trovavano i loro tifosi. Il fischio, che dava definitivamente inizio alla partita, riecheggiò in tutto il campo, l’arbitro aprì il baule di mogano contenente le palle e, subito, il boccino scattò lontano, verso l’orizzonte; il frastuono di incitamento del pubblico aumentò a dismisura: nonostante la neve, tutta la scuola era lì per sostenerli.

James partì subito all’inseguimento della scia dorata, Daniel e Simon, i Battitori, fecero i loro giri di ricognizione e Charlie, che aveva sottratto la pluffa agli altri quando Madama Bumb l’aveva lanciata in aria, si portò verso gli anelli degli avversari, accompagnata dagli altri due Cacciatori, Raimond e Jeremy, e seguita da quelli dell’altra squadra. Arrivata in area di rigore, la lanciò in direzione in quello di destra e il tiro fu così veloce che il Portiere non riuscì a bloccarla. Non era trascorso nemmeno un minuto, che Grifondoro era già in vantaggio di dieci punti su Serpeverde. Questi ultimi partirono in contropiede, cercando di pareggiare, ma, prontamente, Noah riuscì a proteggere i suoi anelli e mantenere il risultato inalterato.

Dopo mezz’ora, nulla era cambiato e la partita era in una situazione di stallo: il Capitano della squadra in vantaggio era arrabbiato con la sua migliore Cacciatrice che, quel giorno, non sembrava lei, era lenta, assente e sembrava avere la testa altrove; anche la giocatrice in questione ce l’aveva con se stessa, non si sentiva bene e malediceva gli ultimi due giorni, avrebbe dovuto evitare di fare jogging anche di pomeriggio. Era allo stremo delle forze, troppo stanca per giocare, il suo cuore batteva lentamente, come se si stesse spegnendo un battito alla volta e la paura la fece fermare nel bel mezzo di un’azione, che ebbe come conseguenza il pareggio dei Serpeverde. Sentiva Noah urlare contro di lei in lontananza, voleva controbattere e difendersi, ma era come paralizzata, come se tutto intorno a lei andasse al rallentatore. I rumori esterni le giungevano ovattati, la vista le si annebbiava, aprì la bocca, ma non riuscì ad emettere alcun suono e, nell’arco di pochi secondi, divenne tutto buio.

 

Dopo aver aperto gli occhi, impiegò un paio di minuti per capire dove si trovava. Il soffitto scuro, le tende bianche intorno a lei e il letto morbido le erano familiari, ma non riusciva a collegare i suoi ricordi con la realtà. L’ultima cosa che ricordava era di essere sulla scopa durante la partita dell’anno e di aver visto un bagliore dorato finire tra le mani di qualcuno, poi più nulla. Aveva un mal di testa atroce e dolori lungo tutto il corpo, provò ad alzare il braccio destro, quello dove la sofferenza era più intensa, e lo trovò pieno di lividi violacei. Fu nel momento in cui si toccò la testa e sentì la fasciatura con cui era avvolta, però, che si rese conto dove si trovava: era in infermeria. Udì delle voci e dei passi in lontananza che si facevano sempre più nitidi, segno che si stavano avvicinando. Il primo volto che vide fu quello di un preoccupatissimo James, seguito da quello di Noah che, invece, era un misto di paura e rabbia.

-Come ti senti?- le chiese il primo, sedendosi al suo fianco sul letto.

-Come una che è stata colpita da un bolide.- la sua voce era rauca e faceva fatica a parlare: cosa diavolo le era capitato?

–Cosa è successo?- proseguì, cercando di mettersi seduta.

Prima di rispondere, James la boccò, mettendole una mano sulla spalla e provocandole una fitta di dolore, che si propagò per tutto il corpo.

-Sei svenuta mentre eri sulla scopa e sei caduta da diversi metri di altezza perché siamo riusciti solo a rallentare la discesa e la neve ha attutito un po’ l’impatto con il suolo.- la risposta, però, arrivò dall’altro, che si sedette nella parte ancora libera di materasso.

-Abbiamo vinto?- le premeva sapere il risultato dell’incontro perché non voleva essere la causa di una sconfitta.

-Lascia stare la partita, ci hai fatto prendere un colpo! Eravamo e siamo tutti preoccupati per te, al diavolo il Quidditch!- a queste parole la ragazza capì quanto tenesse a lei: per Noah Baston lo sport era tutto, sarebbe stato capace di vendere l’anima al diavolo pur di vincere, però, per lei, l’aveva messo da parte, aveva anteposto il bene che le voleva alla partita e fu sollevata nel notare che il suo viso, ora, trasmetteva solo ansia e paura e che la rabbia era scomparsa.

-Abbiamo battuto la testa insieme?- le era impossibile essere seria anche in una situazione come quella.

Tutti risero e si tranquillizzarono; a parte le ecchimosi sembrava stare bene e il dolore sarebbe passato dopo un paio di lunghe notti di riposo. Madama Chips aveva concesso alla squadra solo pochi minuti per farle visita, così impiegarono il tempo che rimaneva per aggiornarla sull’andamento della partita dopo il suo svenimento. Antony, il Cercatore di Serpeverde, aveva afferrato il boccino, approfittando della momentanea distrazione generale e quest’azione aveva portato la vittoria alla sua squadra, che si era accorta di aver vinto solo dopo essersi accertata delle condizioni di Charlie e non erano contenti di averlo fatto in quel modo, perché gli sembrava di aver barato. Avevano anche provato a far annullare la partita, per giocarla nuovamente la settimana successiva, ma Madama Bumb era stata irremovibile: il regolamento era sacro.

 

Si svegliò di soprassalto sentendo una presenza nel suo letto, si voltò e trovò Noah, seduto sulla sedia, che dormiva con la testa appoggiata al suo fianco. Avrebbe voluto lasciarlo riposare, ma la posizione doveva essere terribilmente scomoda, così lo scrollò con delicatezza, certo, usare le maniere forti sarebbe stato più da lei, ma non poteva rischiare di fare rumori forti, visto che Madama Chips non doveva accorgersi della presenza del ragazzo.

Quest’ultimo si destò lentamente, si appoggiò allo schienale della sedia, stiracchiandosi e allungando le braccia verso l’alto.

-Come ti senti?- le chiese con la bocca impastata dal sonno.

-Come se al bolide si fosse aggiunto un treno, mi fa male dappertutto.- faticò a mettersi seduta, ma non le piaceva continuare a parlare da sdraiata.

-Mi hai fatto perdere dieci anni di vita per la paura! Ti ho vista cadere giù, precipitando nel vuoto e ho pensato al peggio. Fortunatamente, la professoressa McGranitt ha i riflessi di una persona molto più giovani di lei.- le teneva la mano e l’accarezzava lentamente con il pollice.

-Mi dispiace.- le piaceva quel contatto, la faceva soffrire meno, come fosse una specie di placebo.

I due rimasero un po’ in silenzio a deliziarsi del contatto della loro pelle.

-Charlie, dobbiamo parlare!- Noah ruppe il silenzio. Aveva discusso a lungo con James e Dominique ed erano arrivati alla conclusione che affrontare l’argomento fosse la soluzione migliore: dovevano aiutarla.

-Mi sembri troppo serio, che ho combinato?- stava iniziando ad agitarsi, i discorsi seri non le piacevano, soprattutto a quell’ora della notte e dopo una caduta dalla scopa.

-Non so come dirtelo.- fece un grande sospiro e provò a introdurre l’argomento. –Lo svenimento di oggi non è stato un caso sporadico, vero?-

-Se stai insinuando che ho perso conoscenza prima di oggi, ti stai sbagliando di grosso!- il cerchio che aveva alla testa stava aumentando d’intensità, come poteva essere a conoscenza dei suoi malori?

-Perché non mangi?- lo chiese così, senza troppi giri di parole poiché sapeva che, con lei, bisognava andare dritti al punto.

-Come, scusa?!?- la domanda l’aveva lasciata quasi senza parole, non se la sarebbe mai aspettata.

-Perché ti stai facendo questo?- incalzò lui, sperando di ottenere una risposta valida.

-Sei sulla strada sbagliata! Io mangio eccome!- odiava mentire, ma, messa alle strette, doveva negare.

-Se avessi mangiato, il tuo corpo non sarebbe in questo stato. Ti sei guardata allo specchio ultimamente? Sei praticamente trasparente!- era arrabbiato e, dal tono della voce, si capiva che le voleva bene e che gli faceva male vederla in quello stato.

-Te l’ho già spiegato tempo fa: sono solo stanca. Stai facendo insinuazioni che non stanno né in cielo né in terra.- continuare su quella strada le sembrava la scelta migliore, il viso emaciato poteva essere tranquillamente ricondotto all’affaticamento, così tentò di non risultare nervosa.

-La stanchezza non ti fa dimagrire a dismisura!- stava usando delle scuse poco plausibili, per difendersi e lui cercava di smascherarla.

-Ok, sono andata a fare jogging in questi giorni, è questo che mi ha reso così debole.- ammettere di aver rotto la promessa era il minore fra i due mali.

-Sai, Charlie, se sei tu che non vuoi farti aiutare, non so come potrei farlo io!- era stancante portare avanti un discorso con lei dato che non voleva ammettere il suo problema e che non poteva costringerla. Allontanò bruscamente la sua mano da quella della ragazza e si alzò.

-Non ho bisogno di aiuto! Ho solo esagerato con l’allenamento.- il gesto del ragazzo le aveva fatto più male della caduta dalla scopa poiché aveva separato le loro mani in quel modo, come per sottolineare che non voleva avere contatti con lei.

-Se ti stai rovinando la vita per una cosa così superficiale come il voler essere magrissima, sei solo una grandissima stupida. E lo sei anche se oggi sei svenuta e ci hai fatto perdere la partita, per la quale tutti si sono impegnati così tanto, perché sei andata a correre, quando mi avevi promesso di non farlo. Non meriteresti di stare in squadra!- la rabbia era arrivata al culmine, la solita vena sul collo pulsava vistosamente e il viso era rosso per lo sforzo di non urlare.

-Ma…- provò a difendersi senza successo.

-Niente ma, Charlie! Se credi che il tuo problema sia stato il troppo allenamento, quando ci sarà la riunione della squadra per decidere i nuovi schemi, dovrai dire a tutti il motivo per cui abbiamo perso. Hanno il diritto di sapere perché i loro sforzi delle settimane passate sono stati vani.- le voltò le spalle e si diresse verso la porta dell’infermeria, senza voltarsi e senza aggiungere altro.

Charlie era rimasta immobile, incapace di dire qualsiasi cosa e di muoversi. Sapeva di seguire un regime alimentare molto ristretto, ma era un’atleta e la dieta l’aiutava a migliorare le sue prestazioni, non stava facendo nulla di male, ma non voleva, comunque, condividere con Noah le sue abitudini e non voleva metterlo a conoscenza delle tecniche che stava usando. Certo, quello stile di vita la faceva sempre sentire stanca e le faceva avere dei piccoli malori, ma avrebbe rimediato, doveva soltanto bere di più e prendere le vitamine che non riusciva a introdurre nel suo organismo con il cibo.

Odiava essere controllata, non lo aveva sopportato quando lo aveva fatto sua madre, figurarsi se lo avrebbe permesso a quel ragazzo saccente, a cui si era affezionata oltre la normale amicizia. Purtroppo, però, convenne che la soluzione migliore fosse quella di allontanarsi da lui, anche se ammetterlo la faceva stare male, ma era l’unico modo per evitare altre indagini su quello che mangiava e su quanto si allenava.

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Capitolo 8
*** Mi manchi ***


“Sei morta, e sono così stanca di sentire la tua mancanza.”

-Pretty Little Liars-

 

Era lunedì pomeriggio, quando Charlie ricevette il via libera per lasciare l’infermeria; Madama Chips aveva controllato il taglio alla testa e, avendolo trovato già in via di guarigione, le aveva dato il permesso di tornare alla normale vita del castello. Le consegnò anche alcune fiale piene di una pozione che avrebbe dovuto bere la sera prima di andare a letto per i giorni successivi e le consigliò di nutrirsi di più e meglio. Suo padre non si era neanche degnato di andare a farle visita, e aveva solo chiesto novità sulla sua salute, quando aveva incontrato l’infermiera a cena la sera precedente. L’unico che quella mattina era andato a trovarla era stato Neal, un ragazzino così dolce che aveva passato tutta la notte sveglio al pensiero della sorella a letto malata: era così tenero che si sentì in colpa per non essersi dedicata a sufficienza alla sua salute.

Girovagando per i corridoi, si soffermò a osservare la neve che cadeva all’esterno, i fiocchi che battevano delicati sui vetri delle grandi finestre e tutto ricoperto da un manto bianco che gli donava eleganza. Adorava quell’evento atmosferico, perché le dava un senso di pace e tranquillità, ma anche di gioia, dato che le ricordava quando, da bambina, i suoi genitori la portavano, insieme a suo fratello, in vacanza in montagna. Era lì che aveva imparato a sciare, grazie a suo padre, l’uomo che aveva paura a lasciarla da sola con gli sci ai piedi e che ora non si interessava a lei, nemmeno dopo una grave caduta dalla scopa.

Sospirò; si sentiva tremendamente sola, le mancavano il Neville Paciock di un tempo e sua madre. Era strano rientrare a casa e trovare un silenzio completo, invece dei soliti rumori che provenivano dalla cucina, dovuti alle pentole che sbattevano a destra e a sinistra, e le pietanze che preparava erano le migliori che avesse mai mangiato perché, tra i vari ingredienti, ci metteva anche amore e allegria. Era triste svegliarsi la mattina, durante le vacanze e non sentire il profumo del caffè misto a quello dei muffins appena sfornati invadere tutte le stanze e non udire quella voce, dolce e tranquilla, che arrivava a fare degli acuti da far invidia ai cantanti quando doveva sgridarli, le faceva avere perennemente un macigno sul cuore. Sentiva la mancanza di ogni singolo gesto, degli abbracci morbidi, dei baci bagnati, delle belle parole che diceva a tutti, della dolcezza che emanava da ogni poro e che poteva essere paragonabile solo a quella delle torte che preparava la domenica. Hannah era una donna straordinaria, donava felicità a chiunque le stava intorno e si sentiva fortunata a essere sua figlia, perché le aveva trasmesso valori come la bontà, la lealtà e la generosità che, purtroppo, dopo la sua morte, si erano un po’ nascosti.

Charlie era sempre stata una bambina scostante, ma, in quegli ultimi anni, era peggiorata, visto che riusciva a dare confidenza solo ai suoi amici più intimi, e che le sembrava di aver perso gli insegnamenti della madre; era più forte di lei, non voleva che gli altri provassero pietà.

Erano passati cinque anni da quella gita a Londra, ma l’immagine di sua madre, immersa in una pozza di sangue, era ancora vivida nei suoi ricordi, e la sognava quasi ogni notte, la sua testa perennemente affollata dai “se” e dai “ma” che avrebbero potuto cambiare quella giornata da tragica a meravigliosa. Il dubbio più grande che aveva, però, riguardava proprio se stessa: se non avesse insistito tanto per andare a visitare il National Museum, probabilmente quella macchina non avrebbe portato via la vita a quella donna dai grandi occhi gentili. Ne era certa: la sua ossessione per l’arte babbana era stata la causa della perdita di sua madre.

-Charlotte!- stava ancora osservando la neve, immersa in quei pensieri tristi, quando la voce cupa di suo padre la chiamò, sorpreso e un po’ spaventato di incontrarla in giro per il castello.

-Papà!- anche lei non si aspettava di vederlo, dato che era convinta fosse a lezione.

-Cosa ci fai nei corridoi? Pensavo di vederti giù alla serra.- la prima cosa che gli era venuta in mente era che sua figlia stava marinando le lezioni, poiché si era dimenticato della sventura del giorno precedente.

-Madama Chips mi ha dimessa solo pochi minuti fa.- si giustificò lei.

-Beh, tanto oggi abbiamo fatto solo un’ora, con questa tempesta non sarebbe stato prudente rimanere fuori da queste mura fino a tardi.- menzionare l’infermiera aveva riportato alla mente dell’uomo i fatti accaduti alla partita di Quidditch e, così, cercò di sembrare più indulgente.

-Se vuoi vado a prendere il tema che ci avevi assegnato, non ho potuto ricontrollarlo, ma, almeno, è finito.- gli disse, dopo aver visto il pacco di fogli che teneva sottobraccio.

-Non importa, ti sei fatta male e quindi sei esonerata. A proposito, come stai?- non gli sembrò corretto accettare l’offerta, visto che aveva passato tutta la domenica in infermeria e pensò fosse doveroso chiederle informazioni sulla sua salute.

-Ancora dolorante e con mal di testa per via della ferita.- indicò la garza bianca leggermente sporca di sangue che aveva sul lato destro del cranio.

-Sta sanguinando, forse dovresti ritornare da Madama Chips.- vedere quella macchia rossa lo fece preoccupare un po’, nonostante si comportasse diversamente, voleva bene a sua figlia e non voleva perderla.

-No, è normale.- tagliò corto lei.

Il silenzio sceso tra i due era carico di imbarazzo, poiché era da tanto tempo che non parlavano così a lungo lontano dalle aule scolastiche. Charlie si era meravigliata che le avesse chiesto come stava e che l’avesse esentata dal consegnare il compito: forse il padre che aveva prima era nascosto in fondo a quel cuore diventato di pietra. Neville, invece, aveva timore a ritrovarsi solo, faccia a faccia con lei, e vedere la sua sofferenza nel sentirlo freddo e distaccato lo faceva stare male, ma non riusciva a comportarsi diversamente, non riusciva a dirle parole amorevoli come un tempo, forse perché, in fondo, anche lui la riteneva la causa della morte della moglie e voleva fargliela pagare in qualche modo.

-Devo andare a correggere questi.- disse bruscamente, alzando la mano nella quale teneva i temi degli altri alunni, poiché aveva bisogno di allontanarsi da quegli occhi tristi.

-A me serve una doccia.- l’infermiera le aveva dato una camicia da notte che, però, aveva dovuto riconsegnare prima di uscire da lì, così aveva dovuto indossare di nuovo la divisa di Quidditch sudicia del giorno precedente. Si separarono senza neanche salutarsi.

 

Nei giorni seguenti fu difficile avvicinare Charlie: aveva deciso di evitare in qualsiasi modo i suoi amici, si sedeva lontano da loro durante le lezioni che avevano in comune, saltava i pasti e non si fermava neanche in Sala Comune, preferendo studiare nel dormitorio femminile, dove solo Dominique poteva avere accesso. Non voleva parlare con nessuno, era determinata a tenere tutti lontano dalla sua vita ma e la bionda, la meno insistente e invadente, sapeva quando smettere di fare domande e tenersi alla larga.

Era quasi ora di cena, quando Noah e James lasciarono la Sala Comune dei Grifondoro per andare a scontare l’ultima ora di punizione, immersi nei propri pensieri; il giovane Baston era furioso e preoccupato allo stesso tempo a causa di Charlie, non si rivolgevano la parola dalla discussione avvenuta quella notte in infermeria, non erano mai stati così distanti e la cosa gli pesava, lo faceva stare male non sentire la sua voce, il calore del suo corpo e l’odore dei suoi capelli. L’ultima volta che l’aveva sentita aprire bocca era stata alla riunione della squadra di Quidditch, quando aveva raccontato agli altri giocatori il motivo per cui, presumibilmente, si era sentita male durante la partita, si era scusata e, poi, se ne era andata, visto che, a causa della ferita alla testa, non poteva partecipare agli allenamenti che avrebbero avuto luogo subito dopo.

Anche l’altro stava pensando alla sua amica, a come le sembrasse così diversa e triste, a come non fosse da lei starsene sempre chiusa in dormitorio e, da sola. Che fine aveva fatto la ragazza sempre allegra e solare?

Voltarono l’angolo e si bloccarono, perché davanti a loro c’era Sienna Finnigan, perfetta e meravigliosa come sempre, anche con indosso la divisa scolastica.

-Ciao, Noah.- aveva una voce sensuale, e delicata.

-Ciao, Sienna.- rispose al saluto con il solito sorrise da ebete.

-Ci sono anche io, comunque.- il moro, rimasto isolato a causa della scenetta, cercò di attirare l’attenzione.

-Scusami, James, non volevo essere scortese. Mi dispiace averti ignorato, solo che avrei bisogno di parlare con Noah e non riesco mai a beccarlo da solo.- oltre che bella era anche una ragazza educata, o, almeno, sapeva quando esserlo, e come raggirare le persone e questo, per sua fortuna, la faceva amare da alunni e insegnanti.

-Non preoccuparti. Io mi avvio, ci vediamo giù in aula.- si congedò e lasciò i due soli.

-Finalmente! Non sai da quanto sto aspettando questo momento.- la ragazza gli si avvicinò con fare civettuolo.

-Quale momento?- le chiese, non sapendo bene come comportarsi.

-Stare sola con te!- gli fece l’occhiolino e lui deglutì rumorosamente.

-Visto che non ti decidi a farlo, ci penso io.- continuò lei. –Vuoi venire a Hogsmeade con me?- la domanda lo lasciò perplesso, da una parte non aveva capito di interessarle e, dall’altra, non sapeva cosa risponderle. Il pensiero di Charlie aleggiava ancora nella sua testa, ma, in quei giorni, la odiava, visti i suoi comportamenti, visto che, pur avendo diciassette anni, si comportava come una bambina di cinque, mentre Sienna, nonostante avesse la sua stessa età, si comportava come un’adulta, era seria, affidabile, tranquilla e comunicativa, non impulsiva, irascibile o lunatica come l’altra.

-Sì, voglio andare a Hogsmeade con te!- rispose, senza, forse, rifletterci a sufficienza; sapeva che avrebbe ferito Charlie, ma, in quel momento, non gli importava.

 

-Allora, cosa voleva Sienna?- chiese James, non appena l’amico mise il piede in aula.

-Mi ha chiesto di uscire sabato prossimo, a Hogsmeade.- rispose lui, come se fosse una cosa normale.

-Hai detto di no, vero?- l’incredulità del ragazzo si capiva dal tono della voce.

-In realtà ho deciso di accettare.- Noah, invece, continuava a rimanere tranquillo.

-E Charlie?- la domanda uscì spontanea.

-L’ha scelta lei questa situazione! Non può pensare di ignorarmi e far rimanere invariato quello che c’è tra di noi: deve imparare che ogni azione ha una conseguenza!- aver nominato la giovane aveva risvegliato in lui il senso di colpa, che avrebbe preferito lasciare sopito.

-Noah, è malata! È questo il momento in cui ha più bisogno di noi: non puoi abbandonarla così!- James non credeva alle sue orecchie, non gli sembrava nemmeno di star parlando con il suo amico.

-Una ragazza come Sienna Finnigan mi chiede di uscire e io dovrei rifiutare per una che non mi rivolge la parola da giorni e non fa altro che mentirmi?- l’altro, al contrario, era sempre più furioso.

-Ma che hai che non va? Charlie è nostra amica da dieci anni e tu le volti le spalle, perché una gallina qualunque si interessa a te?- forse paragonare Sienna a un animale dalla dubbia intelligenza non era stata una buona mossa, ma quando si è nel bel mezzo di una discussione si dicono cose di cui, poi, ci si pente.

-Non vuole farsi aiutare, lo capisci? Non ci vuole tra i piedi e io non voglio lei!-

James non seppe replicare, conosceva la testardaggine del suo amico e, se aveva deciso di uscire con quella ragazza, lui non sarebbe riuscito a fargli cambiare idea in alcun modo.

Tra i due calò un silenzio glaciale, che si protrasse per l’intera ora di punizione e per il resto della giornata; nessuno dei due voleva chiedere scusa all’altro, entrambi troppo orgogliosi per ammettere di aver esagerato, troppo sicuri di essere nel giusto.

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