Helena

di As_tat
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1
 
Helena aveva imparato ad avere poche pretese. O forse non aveva imparato, ci era nata con un profondo, monolitico e coriaceo scetticismo nei confronti di quello che poteva offrirle la vita.
Neanche lei avrebbe saputo dirlo con precisione, rifletté mentre mescolava il proprio drink, osservandolo con la stessa attenzione che avrebbe riservato ad un Van Gogh.
Ma, benché quella riflessione fosse dotata di sostanziose fondamenta e quindi assolutamente veritiera, si chiese ancora se fosse davvero così o se invece non stesse pretendendo troppo. Perché, quando lei ordinava uno Screwdriver, in effetti quello che si aspettava era uno Screwdriver. Che, essendo in buona parte succo d'arancia, avrebbe accettato se fosse stato di una gamma di colori compresa tra il bordeaux amarena al giallo canarino. Quello di cui non riusciva a capacitarsi in quel momento era dell'agghiacciante color verde smalto che stava rimestando con un'azzeccatissima cannuccia rossa.
 
Lasciò perdere il bicchiere, per nulla esaltata dall'idea di bere qualcosa che aveva tutta l'aria di essere vernice o detersivo per WC, e di averne anche il sapore. Un vocina malefica le sussurrò tentatrice di ordinare qualcos'altro, un bourbon o un whiskey liscio, da bere tutto d'un fiato e sentire ardere lungo la gola.
No, si disse imponendo la parte razionale su quella capricciosa. Non poteva permettersi degli alcolici così forti, soprattutto perché si conosceva, e sapeva che una volta iniziato difficilmente avrebbe rinunciato ad un secondo bicchiere, con la conseguenza inevitabile che niente e nessuno l'avrebbe bloccata lungo la china dell'ubriacatura. E ubriacarsi, sebbene in quel momento fosse una prospettiva allettante e consolatoria, non era esattamente la più brillante delle idee.
<< Hey, bellezza, sei qui tutta sola? >>
Ecco, appunto. Ci mancava solo che collassasse sbronza tra le braccia dell'idiota di turno. No, meglio mantenere la sobrietà.
<< Sì >> rispose la ragazza laconica, gettando uno sguardo indagatore all'individuo che si era appollaiato sullo sgabello di fianco al suo. Aveva un viso strano, come se gli occhi e la bocca fossero stati schiacciati verso il naso, lasciando un mento prominente e una fronte troppo spaziosa.
Rimase scostante, ritornando a fissare il suo drink (ancora comicamente verde) per indicare che la conversazione era finita lì.
 
Ma FacciaSchiacciata non sembrava essere un tipo particolarmente recettivo.
<< Che ne dici se ti faccio un po' di compagnia? >>
La parte più compassionevole in Helena provò pietà per quell'approccio goffo, ma lei la mise immediatamente a tacere. Ci mancava solo che facesse saltare la sua copertura per un rimorchio così deprimente.
<< No >> rispose lapidaria.
FacciaSchiacciata purtroppo prese quel suo rispondere a monosillabi come una sfida, un gioco dell'accoppiamento che non si era accorto di condurre a senso unico.
<< Sei giù di morale, piccola? Una ragazza così bella non dovrebbe mai essere arrabbiata... >>
Helena gli gettò un'occhiata pigra, annoiata. Quella frase sarebbe stata più appropriata sulla bocca di un nonno che consola la nipotina, e la ragazza si chiese se quel tizio avesse mai rimorchiato qualcuna in vita sua con quella tecnica. Certo, si rispose. Sicuramente aveva fatto le sue conquiste, in sere più fortunate e con ragazze più disponibili.
Era lei l'unica deficiente lì dalla vita sociale e sentimentale pari a quella di un broccolo. Così incapace da non riuscire a respingere dignitosamente FacciaSchiacciata senza scadere nello stereotipo della ragazzetta che fa la preziosa. Patetica.
<< Già >> buttò lì, distrattamente, del tutto indifferente.
 
<< Sono completamente d'accordo >> commentò qualcuno accanto a lei.
Helena ci mise diversi istanti a realizzare, decisamente troppi rispetto a quelli che le sarebbero serviti un tempo. Quella voce non le era nuova, ma non la collegò subito alla giusta conoscenza. Troppo vaga la familiarità, anche quando si girò verso l'uomo che era comparso alla sua sinistra, appoggiandosi scanzonatamente al bancone ed intromettendosi con nonchalanche nel monologo di FacciaSchiacciata. Poi la sua mente registrò i capelli impomatati, il completo elegante eseguito su misura, il luccichio dei gemelli d'oro che facevano capolino dal polsino di una camicia d'alta moda. E un viso artificialmente abbronzato, dal naso un po' troppo dritto, che purtroppo aveva una fisionomia a lei nota. Helena non avrebbe saputo dire se lei fosse sbiancata al pigro sorriso che aveva disteso le labbra di quell'uomo o fosse stato il suo impallidire a generare la reazione di lui. L'unica cosa che seppe in quel momento, mentre un vago aroma di pino silvestre solleticava le sue narici, fu che era nei guai.
 
Mentre Helena cercava di riprendere a respirare, scacciando l'ipotesi della vocina più allarmista nel suo cervello che le proponeva una bella asfissia come via di fuga, FacciaSchiacciata corrugò la fronte, gettando un' eloquente occhiata scocciata al nuovo damerino comparso dal nulla, per dirgli che così non valeva, quella brunetta carina l'aveva vista prima lui. Nell'amore potevano anche non esserci regole, ma nel rimorchio sì.
Il suo fastidio ci mise poco a diventare rabbia quando quel tizio dalla tipica capigliatura alla “Leccata di Mucca” gli rivolse un sorriso apertamente di scherno, facendo scintillare i denti di un bianco smagliante.
<< Hey, tu, si può sapere che cazzo vuoi? >> gli strepitò contro all'improvviso, alzandosi di scatto e rovesciando lo sgabello. Non che il damerino avesse fatto granché per meritarsi tale reazione, ma FacciaSchiacciata, al secolo Henry Gonzales, non era conosciuto dagli amici come Fuse per niente. Probabilmente in quel buco di città aveva scatenato più risse lui che chiunque altro, appigliandosi anche al più idiota dei pretesti pur di poter menar le mani. E se il pretesto poi era un'offesa al suo orgoglio, la sua indole rissosa ci sarebbe andata a nozze.
Il suo gruppetto di compagni attaccabrighe, che era rimasto seduto al tavolo dall'inizio della serata, si fece vicino senza che neanche Fuse l'avesse chiesto, rispondendo in modo automatico alla nota stridula della voce del loro compare, campanello d'allarme di una rissa.
 
Quando Helena riuscì ad ossigenare il cervello e a ricucirsi addosso la sua facciata di aplomb adamantino, Fuse era già sul piede di battaglia e tra le sue nocche scintillava un tirapugni d'acciaio. Lei buttò un'occhiata ai sei tizi che si erano schierati dietro a FacciaSchiacciata, sempre non tradendo alcuna emozione, per poi guardare con la coda dell'occhio il damerino alla sua sinistra, ancora in quella posa da fotografia, che non aveva smesso di fissarla sorridendo, come se lei fosse qualcosa di estremamente buffo e bizzarro.
Il cervello di Helena aveva già fatto l'equazione: rissa=scompiglio=ottime possibilità di fuga, e la parte più ingenua di lei credette anche che una soluzione così facile e pronta da essere afferrata fosse concretamente realizzabile. Poi vide il damerino staccarsi dal bancone per avvicinarsi di qualche passo a FacciaSchiacciata per fronteggiarlo. Si impedì di sobbalzare quando sentì una mano dalle unghie pulite e ben curate appoggiarsi sulla sua spalla, e strinse i denti per non emettere neanche un suono quando sentì la pressione di quelle dita estremamente forti aumentare fino a farle sentire le giunture tra scapola e clavicola scricchiolare.
<< Un attimo solo, cara >>
A discapito del tono di quel sussurro, carezzevole e gentile, la presa violenta sulla sua spalla era il vero messaggio. Prova a scappare, e sei morta.
E quindi sì, non era un caso, l'aveva riconosciuta. Non c'era speranza di svignarsela tanto facilmente, perché se non era lì, in quel pub di quart'ordine, per caso (cosa, in effetti, già di per sé abbastanza sospetta), significava che l'aveva trovata.
Dannazione.
 
<< Allora, stronzo? Si può sapere chi cazzo ti credi di essere? >>
FacciaSchiacciata, forte del sostegno dei suoi amici, sfoggiava il suo repertorio da duro che si incazza e spacca il culo a chiunque gli si pari davanti. Ovvero quattro frasi in croce da sbraitare prima di far partire la rissa.
Helena non osò neanche voltarsi. Non che tifasse per FacciaSchiacciata, anzi, prima dell'arrivo dell'altro, era stato nella hit parade di chi rischiava di essere pestato da lei. Ma avrebbe lasciato che FacciaSchiacciata la annoiasse ancora tre quarti d'ora con quell'approccio insulso, piuttosto che vedere il suo sangue sparso sul pavimento in linoleum.
<< Signori, signori...>> rispose il damerino, con la sua voce ricca e profonda, dall'accento vagamente esotico.
 
Helena fissò il suo drink intensamente, rispecchiandosi nel verde vernice. Sperava solo che fosse tutto un sogno.
 
Fuse fu preso alla sprovvista. Nessuno, a parte quelli della previdenza sociale, l'aveva mai chiamato signore.
<< Suvvia, non mi sembra il caso di agitarsi così tanto >> proseguì l'uomo elegante, alzando i palmi delle mani. La sua interpretazione di un impiegatuccio mingherlino finito tra le grinfie di sette malviventi era a dir poco pessima. Le parole erano giuste, ma il tono vagamente beffardo, la postura impettita e sicura e lo sguardo placido lo rivelavano per quello che era. Un gatto che stava giocando con un topolino appena catturato.
<< Sono sicuro che possiamo essere amici... Qualcosa da bere, amico? >> concluse l'uomo gioviale, appoggiando una mano sul braccio dell'ispanico che l'aveva insultato fino ad un momento prima.
<< Hey, cazzo tocc... >>
Fu un attimo. Fuse non solo non fece in tempo a scrollassero di dosso, ma non sentì il dolore fino a quando non si ritrovò disteso per terra supino, il braccio spezzato in due punti e la suola di una scarpa in costosa pelle italiana premuta ferocemente contro il suo naso rotto.
Poi le sue terminazioni nervose esplosero di dolore, infuocandogli il braccio e il setto nasale. Fece appena in tempo a sgranare gli occhi, che il tacco affilato della scarpa gli premette sulle labbra, fino a schiacciargliele dolorosamente contro i denti.
<< Vediamo di non urlare, se non vogliamo anche la mandibola spezzata e un bel foro tra i denti >> suggerì il damerino a Fuse, sorridendo come se stesse spiegando come arrivare al museo più vicino ad una vecchietta sperduta << Non credo che tu ti possa permettere un dentista >> aggiunse, vagamente disgustato.
<< Ora, stasera ho degli affari urgenti che mi impediscono di trattenermi con voi, cari amici >> si rivolse poi alla combriccola di Fuse, che lo guardava spaesata ed intimorita << quindi gradirei se apprezzaste il mio gentile avvertimento e vi congedaste >>
Il silenzio pesante e terrorizzato che cadde subito dopo fu interrotto da un mugolio disperato che salì dal pavimento e fece rabbrividire tutti gli avventori del locale, congelati ad osservare quello spettacolo di violenza gratuita.
Helena sentì i muscoli della schiena contrarsi e diventare di marmo. Strinse il bicchiere fino a sentire le dita intorpidite, sapendo già che FacciaSchiacciata si era appena giocato gli incisivi.
 
<< Beh, era ovvio che intendevo “gemere” quando ho detto “urlare” >> commentò l'uomo, una volta che lui ed Helena furono usciti dal locale. Non che lei gliel'avesse chiesto, ma sembrava trovare esilarante quel malinteso.
<< Non erano alla tua altezza, Terence >> commentò Helena, incolore. Non era un complimento, anzi. Il fatto che se la fosse presa così con quei bulletti di quartiere la disgustava.
Terence però non colse il significato che attribuiva Helena a quelle parole, e si limitò ad annuire compiaciuto mentre si sistemava distrattamente i polsini.
<< Sai, ti preferivo castana e con i capelli lunghi >> disse dopo qualche istante, sorridendo affabile. Helena si accarezzò la corta zazzera nero-bluastra, frutto di continue tinte, sapendo che a Terence in fondo non fregava un fico secco del suo aspetto. Si stava solo auto-elogiando per averla riconosciuta.
Era fatto così. Nulla di quello che diceva si limitava al senso letterale delle parole, spesso il vero significato era nascosto insidioso tra quei vocaboli ricercati e quelle frasi gentili.
<< E io ti avrei preferito spalmato sotto un tir >> ribatté, senza acredine. Con Terence era un gioco al miglior attore, in quel momento vitale come non lo era mai stato. E non poteva permettersi che intuisse i suoi veri pensieri più del necessario.
Terence non si offese, anzi le concesse una breve risata che coinvolse poco l'espressione del suo viso. Lei non si unì, limitandosi a chiedersi, guardando la sua pelle plastificata, quante ore avesse passato sotto il bisturi per ottenere quell'effetto inquietante. Il fatto che quelle considerazioni non fossero assolutamente nuove le diede la sensazione di uno spiacevole dejavù.
<< Sempre il tuo solito umorismo macabro, è proprio vero che certe cose non cambiano mai. Oh, Helena... Quanto tempo è passato? Tre anni? >>
<< Quattro e mezzo >> replicò, senza muoversi di un millimetro. Terence si era già avviato lungo il marciapiede, dando per scontato che lei lo seguisse. Helena fissò la sua schiena, assorta in pensieri che non trapelavano assolutamente dalla sua espressione neutra.
Forse, se fosse riuscita ad infilarsi in quel vicolo laterale, abbastanza veloce da essere inghiottita nel buio, e poi su per la scaletta, dentro la conduttura dell'aria...
Forse, se si fosse imbarcata con il primo volo disponibile, per la prima meta disponibile...
Forse...
<< Non ci pensare neanche a scappare. Non vorrai costringermi a diventare sgradevole, vero? >> la richiamò, guardandola da sopra una spalla.
Bastardo.
 
La ragazza lo raggiunse, senza mostrare alcuna reazione davanti al suo smascheramento, con la mente lucida ed efficiente come non lo era stata da parecchio tempo a quella parte. Sì, mantenere la copertura richiedeva il suo impegno, ma una situazione così potenzialmente mortale come quella non le capitava da più di quattro anni.
Lasciò che il panico nascosto defluisse dal suo corpo, come le era stato insegnato quelli che sembravano secoli prima, per riflettere gelidamente priva di sentimenti ed emozioni di intralcio. Poteva fregare Terence, sapeva di potercela fare. Certo, non era l'ultimo degli idioti, né il solito poliziotto puntiglioso che appariva sulla sua strada, ma, sebbene più impegnativo, sarebbe stato fattibile. E poi via, lontana dagli States, anche se prima di quanto avesse programmato e per di più da sola.
<< Cosa vuoi, Terence? >> chiese lapidaria << Tu non hai più alcun potere su di me>>
L'uomo impomatato le lanciò un'occhiata divertita, che la irritò profondamente. Ovviamente non lo diede a vedere.
<< Sai che appena ti distrarrai o sarai costretto ad allentare il guinzaglio io sparirò>> si limitò a proseguire << Non voglio avere niente a che fare con te, né con nessuno... degli altri >>
 
<< Oh sì, lo so che sai essere molto elusiva, signorinella >> replicò placido Terence, sebbene poco prima l'avesse minacciata di morte se solo avesse tentato a fuggire << E non credere che non abbia fatto fatica a trovarti e che non sappia di esserci riuscito solo perché ti ho colto di sorpresa. Non ti stavi impegnando per fuggire da noi, al massimo per qualche impiegato del fisco >>
Helena rimase in silenzio, squadrando il suo profilo artificiale. Non stava facendo altro che dire cose assolutamente ovvie. Ma perché allora tutta quella sceneggiata? L'unico motivo per cui l'aveva trovata era che lei non avrebbe mai pensato che proprio lui si sarebbe messo a cercarla, e quindi non aveva preso precauzioni per quell'evenienza. E non aveva valutato quell'ipotesi... beh, perché non c'erano motivi per spingerlo a farlo.
All'improvviso l'uomo si fermò, costringendola a fare altrettanto. E con uno sguardo crudele denudò in un ghigno feroce la sua vera natura.
<< Sai, sono passato da un paesino molto caratteristico, ultimamente. Quartieri residenziali ben curati, un centro di pochi edifici vivaci e colorati. E una scuola elementare di mattoni rossi! Ci credi? Pensavo non ne esistessero più! E chi non ti vedo, che corre festante nel cortile, se non la piccola Matilda? >>
 
Una doccia gelida bloccò Helena sul posto. Fu uno shock così violento che qualsiasi forma di autocontrollo crollò miseramente, spazzata via.
No, non poteva essere.
<< NO! >> ansimò in un ruggito, artigliando bruscamente i lati del colletto della camicia di Terence con entrambe le mani nel vano tentativo di scrollarlo. Era più alto di lei di almeno una decina di centimetri, e decisamente più massiccio nonostante il suo fisico asciutto.
Il manrovescio che le cozzò contro lo zigomo si abbatté con una violenza tale che si ripercosse in tutto il suo cranio. Helena perse l'equilibrio, piombando a terra sgraziatamente, mentre dall'alto Terence continuava a squadrarla beffardo.
La ragazza si passò il dorso della mano lungo linea delle labbra, per poi vedere che un lieve rigagnolo di sangue le aveva imporporato la pelle delle nocche.
Erano anni che non prendeva quel genere di botte che ti fanno vedere le stelle.
 
<< Non osare mai più gualcire la mia camicia >> sibilò Terence estremamente serio. Helena avrebbe dovuto aspettarselo, quell'uomo vanesio avrebbe potuto vendere la propria madre pur di indossare abiti di alta sartoria. Poi si rese conto, con la sensazione di una frustata incandescente, di quello che aveva fatto. Non si era trattenuta, si era irrimediabilmente scoperta. Fine della recita.
Tuttavia, nonostante l'amaro in bocca, colpa non solo del sangue, ma anche del suo mastodontico errore, non riusciva a capacitarsi delle parole di Terence. Se aveva una certezza, in quel surrogato di vita che stava conducendo, era che mai e poi mai avrebbero potuto rintracciare Matilda o Zack. Lei stessa aveva provveduto a loro, e con molti più mezzi e sotterfugi di quanti ne avesse riservati per nascondere la sua persona.
Perché se qualcuno l'avesse voluta, non avrebbe scoperto quei potenziali intermediari prima di scoprire lei.
Fugacemente pensò a Barbara, anche lei sarebbe potuta essere a rischio. Ma persino Helena aveva perso le sue tracce, e quindi non era possibile che loro l'avessero trovata.
 
Il suo sguardo si posò su Terence, mentre si rialzava con studiata lentezza. Lo scatto incontrollato di panico e rabbia l'aveva definitivamente compromessa, era inutile fingere indifferenza e ignoranza in merito a quella descrizione precisa e purtroppo assolutamente veritiera del luogo.
<< Cosa vuoi? >> ripeté più rudemente, imponendosi di non tremare per la furia.
Gente della risma di Terence quando faceva un lavoro sporco lo faceva bene, e se il lavoro era per mettere lei alle strette significava che l'aveva fatto alla perfezione. Quindi la sua piccolina era in pericolo non meno di quanto lo sarebbe stata con una pistola puntata alla tempia.
<< Non mi guardare con quell'aria truce, Helena >> rispose lui, mentre sulle sue labbra si allargava un sorriso mefistofelico << Mi sembra evidente che siano ancora richiesti i tuoi servigi >> concluse, muovendo la mano in modo plateale, come se la cosa fosse assolutamente intuibile anche da un imbecille.
La ragazza osservò l'inquietante viso privo di rughe e di un colore quasi aranciato, mantenendo la sua espressione glaciale. La prima volta che aveva visto Terence le aveva ricordato un Ken tirato a lucido, ed in quattro anni non era cambiato. Come il fidanzato della Barbie aveva occhi azzurri ed incredibilmente freddi, un naso tracciato con la squadra e nessuna ruga di espressione. Oltre ad una pelle che sembrava plastificata. Sarebbe potuto anche risultare comico, se non fosse stato un sadico mercenario, il cui unico tormento dopo un assassinio era di aver macchiato indelebilmente di sangue qualche indumento del suo costosissimo vestiario.
Mentre la guancia le pulsava dolorosamente nel punto in cui era stata colpita, rifletté che il bastardo l'aveva incastrata per bene. Lei poteva sparire dalla circolazione senza farsi mai più ritrovare, aveva le capacità e i mezzi per farlo anche così, senza preavviso, ma Matilda e Zack... sarebbe stato già un suicidio per loro tentare di nasconderli per bene con il tempo necessario per organizzare il tutto, visto chi avevano alle calcagna.
Le serviva tempo e un piano per proteggerli, ma al momento non aveva a disposizione nessuno dei due. Era in trappola.
<< Cosa devo fare? >> disse rassegnata, spostando lo sguardo sull'insegna luminosa al neon dello strip club sull'altro lato della strada. Dio, come bruciava quella sconfitta.
Un fresco venticello autunnale spazzò la strada, facendo sollevare qualche cartaccia e i borbottii infastiditi di un barbone che sonnecchiava poco distante.
Terence sollevò leggermente gli angoli della bocca. La sua espressività era al massimo quella sera, considerò Helena, visto che da quanto ricordava temeva il formarsi delle rughe come la peste. I suoi vestiti come i suoi capelli stettero fissi, impassibili al venticello che invece faceva frusciare quelli della ragazza.
Sfilò con eleganza un foglietto dal taschino della sua giacca, tenendolo tra l'indice ed il medio, per poi consegnarlo in mano alla giovane che lo fece sparire senza neanche guardarlo.
<< Ti concedo fino a domani mattina per cancellare le tracce del tuo passaggio in questa topaia di città. Ah, Helena? Non c'è bisogno di dire che è meglio che tu non faccia sciocchezze, vero? >>
 
 
Helena giunse al parcheggio dove aveva lasciato quello scassone della sua macchina (o meglio, l'Honda Civic rantolante che aveva rubato qualche tempo prima) in preda ad una febbrile necessità di progettare e stabilire il da farsi. Gettò un'occhiata circospetta, frugando con lo sguardo le poche macchine parcheggiate e gli arbusti rinsecchiti sull'altro lato della strada. Terence la teneva praticamente per il collo, quindi sarebbe stato inutile farla seguire. Se c'era qualcuno che la stava pedinando, tuttavia, poteva sfruttare la cosa a suo vantaggio.
Mentre cominciava ad elaborare un piano, Helena sfilò il biglietto dalla tasca interna della sua felpa sportiva.
“Fermata dell'autobus, Kennedy Street, domani mattina alle 8.00” lesse in una grafia elegante e ordinata. Quello stronzo sapeva già di averla in pugno ancora prima di vederla, dato che il bigliettino era stato evidentemente preparato prima.
Guardò l'orologio allacciato al suo polso, le cui lancette fosforescenti la informavano che mancava un quarto d'ora all'una del mattino. Non perse tempo a chiedersi se valesse la pena farsi quattro ore al volante, mentre saliva sulla macchina. Il tempo per cancellare le sue tracce non le serviva, dato che aveva dormito nella sua macchina e mangiato di fortuna in supermercati e tavole calde. In quel momento era vitale andare a vedere quanto in là si fossero spinti con Zack e Matilda.
 
***
 
Chissà se Zack era mai riuscito a dormire, dormire veramente, dopo la morte della mamma. Helena se lo chiedeva da sempre, ed anche allora, appollaiata sul fondo del letto matrimoniale in cui un uomo sulla trentina si agitava in un sonno convulso, non riuscì a smettere di domandarselo
Probabilmente no, ma forse non era mai stato un tipo da sonno profondo e rigenerante, anche prima della morte di mamma. Sorrise amaramente a quel pensiero, continuando ad osservarlo mugugnare e piagnucolare contro il guanciale. Quando la mamma era morta Zack non aveva che dodici anni, e non si dice “dormire come un bambino” per niente, quindi era stupido pensare che anche prima soffrisse di quella strana insonnia. Consolatorio, certo, ma incredibilmente stupido.
 
Helena sospirò, scacciando bruscamente quei pensieri melodrammatici. Non era il momento di indugiare in sentimentalismi sprecati. L'importante era che Zack e Matilda fossero nei loro letti, quindi per il momento salvi. E se voleva che lo rimanessero ancora doveva sbrigarsi.
<< Zack >> sussurrò pacatamente, sapendo che sarebbe bastato quel bisbiglio a svegliare suo fratello.
L'uomo infatti sobbalzò, emettendo un mugugno gutturale. Di scatto sollevò il torso, spaventato dall'ombra che i suoi occhi assonnati gli permettevano di percepire confusamente ai piedi del suo letto.
<< Zack, sono io >> mormorò ancora Helena, senza tuttavia avvicinarsi << Il giorno del tuo decimo compleanno nostro padre ci portò al Luna Park e tu vomitasti l'anima sulla giostra delle tazze >>
Come ricordo che potesse identificarla senza riserve non era un granché, meditò Helena, subito dopo averlo raccontato, ma era certa che Zack non avesse dimenticato quell'esperienza, e quindi era perfetto a far sì che la riconoscesse.
Zack, dopo lo spavento iniziale che l'aveva irrigidito e messo in guardia, la osservò per qualche istante ancora con circospezione e sospetto, per poi annuire impercettibilmente e afflosciarsi su se stesso.
<< Il fatto che tu sia qui significa che siamo nei guai >> disse, passandosi la mano aperta sul volto. Sembrava molto più vecchio dei suoi trentadue anni, con i capelli già venati di qualche sfumatura grigia e la sua aria esausta.
 
Zack la odiava. Oddio, detta così suonava molto più lapidaria come sentenza, nonché molto più romanzata, pensò Helena, mentre suo fratello accendeva l'abat-jour sul comodino. La verità era che Zack ormai non provava più per lei alcun affetto fraterno, né percepiva più loro due come appartenenti alla stessa famiglia, legati in un modo speciale o diverso rispetto a ciò che lo legava ad un qualsiasi conoscente. Quindi non è che la odiasse, semplicemente non la considerava sua sorella, ma una persona che saltuariamente compariva nella sua vita e che di solito quando lo faceva era una fonte di grattacapi potenzialmente mortali.
“Che in fondo è ciò che è una sorella, no?”, si chiese ironica Helena, senza nessuna intenzione di recriminare né di compatirsi.
<< Beh, allora? Cosa è successo? >> le chiese, incrociando il suo sguardo. La luce fioca della lampada faceva addensare ombre scure tra i lineamenti di Zack, facendolo sembrare ancora più dolorante e sconfitto.
Helena si chiese se non fosse il caso di tacergli tutto, di non addossargli anche questo fardello. Fu un attimo, un momento in cui il suo affetto per Zack penetrò imprevisto nella sua solitamente impassibile razionalità, istante che venne presto archiviato. Perché anche se lei non lo avrebbe mai ammesso, in un angolo oscuro ed impolverato del suo inconscio giaceva come sempre inesausta la speranza che un giorno o l'altro Zack ricominciasse a tenere a lei.
<< Dovrò andare via, non so per quanto tempo. E ho... il sospetto che qualcuno sia sulle tue tracce >> spiegò Helena, distogliendo lo sguardo. Aveva un po' addolcito la pillola, fingendo che il suo fosse un sospetto e non la certezza che era in realtà << Quindi, cerca di prestare più attenzione del solito, ma non scappare prima che io ti dica di farlo, perch- >>
<< Perché fingere di non sapere mi terrà in vita più a lungo. Lo so, Lena >> concluse, corrucciato, Zack, appoggiando la schiena alla spalliera.
Helena annuì e si alzò dal letto lentamente. Si sarebbe pentita di aver avvertito Zack, lo sapeva già. Ma immaginarlo inconsapevole di un pericolo così incombente l'avrebbe fatta sentire in ansia. E visto dove stava andando, era meglio limitare al minimo gli unici sentimenti che fosse in grado di provare, quelli verso Zack e Matilda.
Zack la osservò ancora ed un sorriso vagamente isterico gli increspò le labbra: << Cazzo, Lena, hai quasi trent'anni e a malapena te ne darei diciotto >> disse, beffardo, con una punta di acredine. Helena non si offese, non c'era tempo per rimanere feriti dal fatto che Zack non solo non l'accettava come sorella, ma che non l'aveva accettata come essere umano. E che ovviamente non mancava occasione per ricordarglielo.
<< Stai attento e pronto ad ogni evenienza >> si limitò a commentare prima di andarsene, mentre una vocina infida nella sua testa le diceva che in fondo Zack aveva ragione a non considerarla uguale a lui, a non vedere niente di umano in lei. E ad essere infastidito dal fatto che una ragazzetta all'apparenza adolescente non solo si ostinasse a mettere in pericolo di vita lui e sua figlia, ma lo redarguisse su come si dovesse comportare per salvarsi il fondoschiena.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

I primi chiarori tenui dell'aurora sfumavano il cielo notturno con una luce cobalto. Helena spostò lo sguardo sull'orizzonte sagomato dal profilo di un fitto bosco di conifere, dove i raggi del sole cominciavano ad intravedersi, ed inspirò a fondo l'aria densa e umida del mattino ancora acerbo. Mantenendo il passo che aveva in quel momento e continuando a costeggiare quella strada, avrebbe raggiunto il posto indicato sul biglietto datole da Terence nel giro di tre quarti d'ora, un'ora al massimo. O almeno, così aveva stimato.
Aveva abbandonato quel catorcio che per qualche mese si era ostinata a chiamare auto, ovviamente aperto e con le chiavi inserite nel quadro, nel parcheggio di un'area di servizio, alla mercé del primo ladruncolo, e aveva cominciato ad incamminarsi a piedi circa mezz'ora prima.
Il borsone a tracolla che conteneva tutti i suoi pochi averi cominciava a farle dolere la spalla, ma non le dispiaceva comunque camminare. Certo, non le sarebbe dispiaciuto neanche poter fare l'autostop per raggiungere la sua meta, ma a quell'ora e in quel posto dimenticato da Dio sarebbe stato più facile imbattersi in un unicorno rosa che in qualche automobilista desideroso di darle un passaggio.
L'unico problema del camminare nel silenzio mattutino era che la costringeva a pensare. Soprattutto dopo la carrellata di impatti con il passato che l'aveva travolta quella notte. Terence, e ciò che era accaduto quasi cinque anni prima. Zack, e quella che era stata la sua infanzia.
Il viso di Zack bambino le comparve davanti allo sguardo della mente, con il suo sorriso sdentato e le guance paffutelle. Era un ricordo che ristagnava da parecchio, visto che se sorrideva doveva essere un momento in cui era ancora felice, un momento in cui lui, Barbara, Helena e i loro genitori costituivano ancora una famiglia. Una famigliola piuttosto tradizionale, in effetti, nel nucleo caldo e accogliente della loro casetta modesta nella Contea di Monroe, in Alabama.
Il ricordo potente di quel periodo della sua vita, ricco di immagini luminose e colorate, di odori rassicuranti, di rumori e di voci, la colse a tradimento. Il sole cocente delle estati torride, che picchiava sui cortili polverosi. La frescura delle loro incursioni clandestine nei boschi, perché mamma e papà non volevano che si addentrassero in quella fitta vegetazione piena di chissà quali pericoli. Con il sole che filtrava a stento tra le fronde, lei, Zack e Barbara avevano passato le ore libere a rincorrere piccoli animali, a scoprire i misteri della natura, a condividere quella trasgressione segreta che allora, come poi non era mai più stato, li aveva fatti sentire fratelli.
Helena ricordava anche il preciso momento in cui tutto aveva preso una piega diversa. Era stata una domanda di Zack, allora undicenne, che, sulle soglie della consapevolezza, ma ancora con l'ingenuità di un bambino aveva chiesto: << Mamma, ma perché Helena sembra così piccola? >>
Ed era vero. Perché a sette anni, Helena ne dimostrava a stento cinque. Man mano che cresceva le sue anomalie si erano assommate, e il fatto che non potessero più essere ignorate era in quella frase di Zack, che inconsapevolmente aveva acceso l'inquietudine negli occhi della mamma.
Poi i ricordi di Helena si facevano turbolenti, forse per volere della sua stessa mente che cercava di impedirle di approfondire troppo le memorie di quel periodo della sua vita.
Mamma, perché Helena sente cose che nessun altro riesce a sentire?
Mamma, perché Helena non si abbronza?
Un anno dopo quella fatidica domanda, la mamma se n'era andata. Una madre che era diventata sempre più angosciata ed assente, sostituita sempre di più da una figura che affascinava Helena, poiché la guardava come se fosse una bambina speciale, e non una creatura strana che non cresceva ed aveva un udito fuori dalla norma: il nonno Murray.
Già, il nonno Murray...
Dopo la morte della mamma nulla era più stato lo stesso. Zack era diventato un ragazzino cupo e taciturno, che si destava soltanto per infantili scoppi di rabbia.
Barbara poi, con l'arrivo dell'adolescenza, era divenuta incontrollabile. Ribelle in qualsiasi cosa facesse, trascinata dalla più disparate compagnie in misteriose trasgressioni. All'età di sedici anni era scappata di casa, in sella alla moto del suo ragazzo, e non vi aveva più fatto ritorno.
Quel fatto era stato il colpo di grazia per una famiglia che ormai stava andando in pezzi.
Loro padre, che si era ripreso dalla perdita della moglie solo in superficie, l'aveva rivissuta nella sparizione della sua Babsy. Incapace di inseguirla o di far valere la propria autorità, l'aveva semplicemente lasciata andare, sprofondando nell'apatia per fuggire dal dolore. Con Zack non ancora maggiorenne che aveva abbandonato gli studi per lavorare a tempo pieno e un padre ridotto in condizioni di automa, il nonno Murray non ci mise molto per correre in aiuto di Helena, tredicenne che dimostrava appena nove anni, portandola via con sé.
Helena si riscosse dai pensieri sulla sua infanzia non appena nella mente le comparve il viso incartapecorito del nonno Murray.
Inspirò bruscamente, sistemandosi la tracolla sulla spalla ed aumentando l'andatura. Basta fare i nostalgici, si impose. Anche se, osservò involontariamente prima che tutti quelle evocazioni del passato ritornassero a sprofondare nella parte più rintanata della sua mente, era buffo che, dopo tutto quel tempo e dopo tutto ciò che era venuta a scoprire, non riuscisse a pensare a Murray scisso dall'idea di nonno.
 
***
Helena sollevò lo sguardo, osservando il bus asmatico che aveva accostato alla fermata allo scoccare preciso delle otto di mattina. Una vecchietta era già salita, mentre lei rimaneva pensierosa a meditare se era quel pullman che in realtà stava aspettando.
<< E tu, bambolina, che fai? Sali? >>
Appena Helena udì la voce graffiante dell'autista, il tono vagamente viscido ed incrociò lo sguardo ferino di quell'uomo capì che era proprio quello il mezzo che stava aspettando. Con espressione impassibile e senza distogliere lo sguardo da quello dell'autista la ragazza salì i pochi gradini. L'uomo seduto al volante invece le rivolse un sorriso sprezzante, mettendo in mostra una sfilza di denti più appuntiti del dovuto, prima di indicarle con un rapido cenno del capo i sedili in prima fila.
Helena annuì impercettibilmente, distogliendo con segreto sollievo lo sguardo da quegli acquosi occhi neri, per andare a sedersi dove le era stato indicato ed intanto gettare una rapida occhiata per analizzare la situazione. A parte la vecchietta salita alla sua stessa fermata c'erano un senzatetto dalla lunga barba incolta, che sonnecchiava nell'ultimo sedile e un ragazzo di una quindicina d'anni. Non doveva essere una corsa molto gettonata, oppure erano solo alle prime fermate, purtroppo non lo poteva sapere.
Si sedette esattamente dietro all'autista, mentre l'autobus partiva sferragliando.
<< Ciao Dimitri >> bisbigliò Helena, senza sporgersi, sapendo che l'uomo al volante l'avrebbe sentita.
<< Ciao bambolina >> rispose lui, con lo stesso volume di voce << E' sempre un piacere rivederti >>.
 
Ci volle mezz'ora perché arrivassero al capolinea, ed il barbone, ultimo pendolare insieme ad Helena, era sceso borbottando improperi alla penultima fermata.  Appena l'uomo era sceso, Dimitri aveva tolto il cartello che indicava la destinazione della corsa, sostituendolo con uno che recitava “FUORI SERVIZIO”, per poi alzare il viso ed annusare l'aria.
<< Hey, piccoletta, perché non porti il tuo culo qui di fianco a zio Dimitri, così posso vedere la tua nuova carrozzeria? >> sghignazzò mentre ripartivano.
Helena avrebbe voluto essere scandalizzata da quell'uscita, o quantomeno sorpresa. Invece certi modi le erano ormai così consueti che non sarebbe riuscita ad arrabbiarsi o indignarsi neanche impegnandocisi. Questa sì che era una bella prova della qualità della sua vita.
<< Lascia perdere il mio culo e pensa alla strada, o finirai per ammazzarci entrambi >> rispose, osservando la figura possente dell'uomo e la sua nuca ricoperta da una peluria rada color fuliggine.
<< Mi dici piuttosto dove siamo diretti e a cosa diavolo serve tutta questa sceneggiata dell'autobus? >> aggiunse poi, perentoria.
Dimitri scoppiò in una risata cavernosa, con il pieno intento di deriderla.
<< Beh, ragazzina, che dire, sei sempre la stessa spocchiosa con un manico di scopa infilato dove non batte il sole! Dovresti rilassarti un po', lasciarti andare! >> le disse appena finì di ridere << Seriamente, si vede lontano due miglia che non scopi dall'anteguerra... Se solo fossi un po' più in carne ci penserebbe lo zio Dimitri a risolvere i tuoi problemi, sai, non vado matto per gli stecchetti >>
<< Dimitri, la pianteresti di dire stronzate e mi diresti quello che mi interessa? >> sibilò gelida Helena, sapendo di sfidare la sorte. Ma era nervosa e non aveva chiuso occhio nelle ultime diciotto ore, non aveva tempo per stare a dietro alle battute da ubriacone arrapato di Dimitri.
Un ringhio cupo e minaccioso salì dal torace dell'uomo, riecheggiando pericoloso nel silenzio dell'abitacolo.
<< Non tirare la corda, stronzetta, ci metto un attimo a strapparti le budella e infilartele su per il naso >>
Beh, c'era da aspettarselo da Dimitri. Era praticamente un animale in fondo. Eppure lei non si era bloccata, non si era trattenuta. Che avesse perso in quei quattro anni e mezzo la capacità di analizzare la situazione e poi reagire in modo studiato? Helena inspirò a fondo, sentendosi quasi immersa nella propria stanchezza.
<< Non lo metto in dubbio >> disse in tono leggero, per allentare la tensione << E conoscendoti so che ti divertiresti anche nel farlo. Ma non credo che servirebbe a qualcosa, e poi mi conosci, lo sai che non te la renderei una cosa facile >>
Dimitri si leccò le labbra, divertito << Lo so che sei un tipetto combattivo, e questo renderebbe ancora più spassoso il tuo sbudellamento >> commentò. Nonostante ciò che le aveva detto, Helena sapeva che ora non era più su di giri, e quindi non lei era in pericolo. Oddio, non lo era relativamente, visto che Dimitri rimaneva comunque il quintale di mannaro che era. Tuttavia sapeva che in fondo lui era come un toro davanti ad un drappo rosso. Gli piaceva stuzzicare ed essere stuzzicato, ma bastava un nonnulla che non fosse di suo gradimento per tirare fuori la sua ira ancestrale di bestia.
Alla fine era bastato poco per farlo rientrare nei ranghi. Il suo cinismo e la sua ironia macabra erano sempre andati a nozze con il temperamento altalenante e incontrollabile di Dimitri, considerò Helena, percependo un'inquietante atmosfera di familiarità.
<< Già, ma credo che dovremo rimandare questo rendez-vous tra te e le mie interiora a un altro momento >> aggiunse accennando ad un sorriso, suo malgrado << Ora come ora sto morendo di fame e di sonno, quindi che ne dici se ti offro la colazione mentre mi spieghi dove stiamo andando e perché? >>
In verità Helena aveva solo sonno per essere stata al volante tutta la notte, la sua crescita a rilento le consentiva di sopravvivere con poco cibo. Ma offrire un pasto ad un licantropo era in assoluto il miglior modo esistente, se non l'unico, per ingraziarselo.
<< Ora sì che cominciamo a ragionare, bambolina >> sghignazzò Dimitri, lanciandole uno sguardo complice attraverso lo specchietto retrovisore.
 
***
<< C'è una cosa che non capisco... perché un pullman? >>
Dimitri la osservò con sguardo placido, stiracchiandosi sulla poltroncina. Si erano fermati in un area di servizio lungo la strada e, trascorsi a malapena i pochi secondi necessari ad entrare nel bar, il mannaro aveva cominciato ad ordinare quantità industriali di cibo, spazzolando senza troppi complimenti un piatto dopo l'altro. Helena l'aveva osservato in silenzio, attendendo che terminasse, vagamente infastidita dai vari grufolamenti e risucchi. Era nervosa per via della stanchezza che la stava martoriando. Stava combattendo strenuamente per non crollare addormentata prima di averne saputo di più.
<< Bah, me l'ha detto Terence >> rispose l'uomo, passandosi la mano aperta sul ventre gonfio << mi ha detto che ti aveva trovata, ma che doveva vedere cosa avresti combinato. Quindi mi fa “Alle otto del mattino passa a prenderla, ma stai attento a non dare nell'occhio”. La mia Harley non andava bene, e mi sono rifiutato categoricamente di entrare in uno di quei trabiccoli soffocanti. Quindi l'alternativa più ovvia era il bus >>
Helena annuì, poco convinta. Una Harley Davidson avrebbe di sicuro attirato molta attenzione e sapeva dell'insofferenza del mannaro nei confronti di auto troppo piccole (piccole relativamente alla sua stazza). Ma...
<< La scomparsa di un pullman di linea e del suo autista non susciterà attenzioni? >> chiese, perplessa.
Il ghigno che si allargò sul volto di Dimitri la mise in allarme. Pensare a tutte le eventualità che comportavano i piani era una dote essenziale che caratterizzava entrambi, ed in fondo era per quella dote che si trovavano lì, scelti tra tutte le creature umane e non per adempiere ad una misteriosa missione.
Ma anche nell'affrontare tali eventualità si distinguevano nel preferire metodi cervellotici oppure... più brutali. Superfluo era dire che Dimitri apparteneva alla seconda scuola di pensiero.
<< Diciamo che ci penserà il vero autista a riportare il pullman al deposito... >> rispose evasivo, buttando occhiate distratte agli altri tavoli, come a dire che in quel momento non era il caso di approfondire l'argomento e confermando appieno in questo modo i sospetti di Helena.
 
La ragazza diede un'occhiata alla pila di piatti sul tavolo, decidendo che Dimitri era abbastanza sazio da rispondere a qualsiasi domanda senza fare troppe storie.
<< Mi dici dove siamo diretti? >> chiese senza preamboli, lasciando volutamente cadere il discorso del pullman.
Il mannaro sfoggiò ancora la chiostra di denti più aguzzi e irregolari di quanto sarebbero dovuti essere in un ghigno divertito, mentre armeggiava rozzamente con uno stuzzicadenti.
<< Si vede che sei cresciuta, ragazzina, anche se credo che se tu fossi umana dovresti sembrare più vecchia... no? >> buttò lì, con l'evidente intento di non rispondere.
<< Io sono umana >> rispose con testardaggine infantile Helena, decisa a non lasciargli cambiare discorso.
<< Già... >> ribatté scettico l'uomo, lanciandole uno sguardo divertito << Comunque sei migliorata, carrozzeria quasi apprezzabile. Ma continui a sperare che io risponda a domande a cui sai che non risponderò >>
Helena incrociò le braccia sotto al seno, continuando a squadrare quegli occhi che avevano un qualcosa di canide e che la mettevano a disagio per quell'aspetto inquietante. Era in giro su un bus puzzolente, in compagnia di un uomo mezzo lupo che aveva poco prima espresso la volontà di setacciarle le budella, mandata a fare chissà quale missione mortale di sicuro al di sopra delle sue capacità perché l'avevano incastrata nel modo più subdolo che avessero mai potuto trovare, ed era diretta in un posto che, per quanto ne sapeva, avrebbe potuto essere anche dall'altra parte del mondo. Non c'era che dire, fantastico.
<< Non fare quella faccia, scricciolo... E' come un viaggio sorpresa! Non sei contenta? >> la sbeffeggiò Dimitri.
<< Estasiata >> ribatté, caustica.
<< Oh, ora sì che ti riconosco! >> commentò il mannaro, di ottimo umore per l'abbondante pasto << Spiritosa come uno schizzo di limone negli occhi... >>
All'improvviso un rombo di motore distrasse Dimitri, che si voltò ad osservare attraverso la vetrina del bar il grosso Hummer che era appena entrato nel parcheggio. Emise un basso fischio di apprezzamento, prima di rivolgere il suo sguardo di nuovo ad Helena.
<< Credo sia arrivato il momento di cambiare mezzo di trasporto...  >>
 
***
 
Helena lo sapeva che Dimitri, non solo in quanto lupo mannaro, ma in quanto sadico bastardo e immorale con i contro fiocchi, aveva un rispetto per gli esseri umani, e in generale per qualsiasi forma di vita, che rasentava il nulla. 
Agli inizi, quando l'aveva appena conosciuto, la cosa era solo un tassello della sua terrorizzante figura. Poi aveva rivalutato quell'aspetto, perché almeno rendeva Dimitri un po' più prevedibile. Se c'era da aggredire qualcuno fino a lasciarlo in fin di vita, l'avrebbe fatto. Se poi c'era da ammazzarlo, non si sarebbe fatto problemi.
Certo, si disse la ragazza, mentre si avvicinava al pullman parcheggiato in un punto isolato della stazione di servizio, quelle considerazioni sul fatto che fosse meglio un sadico brutale, ma prevedibile, di un qualsiasi essere pericoloso di cui lei non sapesse analizzare e prevedere mentalità e comportamento, erano arrivate dopo che aveva perso già un bel po' di scrupoli morali per strada.
Almeno per quanto riguardava Dimitri, se sapevi che aveva rapito un uomo, si disse mentre apriva il portellone del vano bagagli del bus, sapevi per certo che aveva combinato uno sfacelo.
 
La scena che le si presentò davanti non era delle migliori, e per un attimo temette che l'uomo privo di sensi che giaceva dentro al vano fosse morto. Era legato come un enorme salame in canottiera e boxer con del nastro adesivo argentato, e riposava tra mezza dozzina di bottiglie di vetro mezze vuote.
Si avvicinò con cautela, chinandosi per entrare nel vano. A quella distanza poté percepire il respiro flebile dell'autista, il tanfo insostenibile di urina ed alcol rancido e l'alone rosso-marrone che incrostava la nuca dell'uomo.
Dimitri non c'era andato leggero. Tipico. Afferrò l'uomo per la collottola, per poi gettare un'occhiata circospetta nel parcheggio deserto. Appurato che non ci fosse nessuno tornò a guardare la nuca dell'uomo, ricoperta da poca peluria grigia incrostata di sangue rappreso. Avrebbe giurato che fosse morto, se al suo udito non fosse giunto un rantolo sottile ed irregolare. Lo girò a pancia in su, osservandone i connotati, gli stessi che caratterizzavano il viso di Dimitri in quel momento. Naso schiacciato e tondo, occhi piccoli ed infossati, mento sfuggente.
Helena lasciò perdere quelle considerazioni, per afferrare l'autista sotto alle ascelle, e trascinare la sua non indifferente mole fuori dal vano.
 
***
 
Non era stato un lavoro pulito, né preciso. Helena osservò l'uomo che aveva adagiato scompostamente contro il sedile dell'autista, distribuendo attorno a lui alcune bottiglie vuote e versando il poco contenuto delle rimanenti sulla moquette, affinché l'aria dell'abitacolo si impregnasse dell'odore di alcol.
Gli aveva pulito sommariamente la nuca, perché non pensasse di aver sanguinato troppo al risveglio. Una dose eccessiva di sangue l'avrebbe portato a pensare ad un'aggressione, mentre la ferita ormai secca che Dimitri gli aveva lasciato poteva essere frutto di un caduta accidentale.
Mentre azionava la chiusura automatica delle portiere, ed usciva fuori con uno scatto rapido, si ripeté che come scenario di una sbronza epocale poteva funzionare, che non c'era motivo per cui qualcuno avrebbe dovuto sospettare che fosse accaduto qualcosa di diverso.
Ma non bastò a convincerla, sapeva che c'erano una sacco di eventualità lasciate al caso, leggerezza che avrebbero potuto pagare caro.
L'alternativa di uccidere quell'uomo le solleticò la mente, ma la scacciò via come se fosse una mosca molesta. Voleva evitare di lasciarsi dietro cadaveri, almeno per quanto avesse potuto.
Mentre si avviava a passo spedito verso il punto di incontro con Dimitri, sentiva la stanchezza corroderle la carne. La borsa le sembrava un macigno intento a strapparle una spalla, gli occhi le sembravano quasi ruvidi, contro delle palpebre che ormai erano come drappi troppo pesanti. Avrebbe dormito volentieri l'intera settimana seguente, per poi svegliarsi e scoprire che era stato tutto un brutto sogno, che non aveva mai incontrato Terence, che semplicemente si era appisolata sul suo Screwdriver verde smeraldo, sotto l'effetto soporifero delle avances di FacciaSchiacciata.
Sì, Helena, raccontatela...
 
Quando vide l'Hummer fermo con il motore acceso, rintanato tra le fronde di un bosco al limitare della strada, si sentì suo malgrado sollevata. Alla guida c'era un uomo di una trentina d'anni, decisamente robusto e dalla folta chioma corvina. Le sorrise viscidamente appena raggiunse la portiera dal lato del passeggero, mettendo in mostra una sfilza di denti appuntiti.
<< Oh, bambolina, mi sembri affaticata! >> l'apostrofò ironico, appena si fu seduta. A malapena attese che chiudesse la portiera, prima di partire con un potente rombo di motore.
<< Non potevi scegliere un autista mingherlino, per la tua interpretazione? >> sbottò lei in risposta, rilassandosi ad occhi chiusi contro il poggiatesta. Quella specie di mostro metallico era troppo rumoroso per i suoi gusti, ma almeno era decisamente più profumato del pullman e più comodo.
L'uomo esplose in una risata cavernosa, sinceramente divertito.
<< Gli autisti magri non sono ubriaconi. E poi i mingherlini non mi stanno >> ribatté lui.
<< Sarà... >> mugugnò Helena, ormai molto vicina al sonno << Comunque ho sistemato tutto. Se ci va bene, si riprenderà tra un'ora, crederà di essersi sbronzato fino a togliersi i vestiti, perdere l'equilibrio, cadere, picchiare la testa e perdere i sensi. Tornerà da sua moglie con un vuoto di memoria enorme e metterà una bella pietra su questa storia >>.
<< Se invece ci va molto bene, creperà nel prossimo quarto d'ora e non verrà compianto in quanto lurido ammasso di feccia umana>>
Helena aprì un occhio, con molta fatica, per guardare il suo interlocutore << Un cadavere è come un'insegna al neon che indica il nostro passaggio, Dimitri >> sospirò, senza convinzione.
<< Un cadavere non fa domande e non da' risposte >> rispose con un ringhio il mannaro.
La ragazza lasciò perdere, troppo stanca per intavolare qualsiasi discorso. Gettò un'ultima occhiata al nuovo corpo di Dimitri. Era un uomo dal fascino rude, forse con qualche chilo di troppo e pancia alcolica, ma i muscoli delle braccia  e delle spalle erano ben definiti. Il viso era ricoperto da una barba ispida di almeno un paio di settimane e il naso era delineato in modo netto, in una forma aquilina. Chissà quanto ci aveva messo di suo Dimitri.
Helena aveva scoperto che in ogni trasformazione che compiva un mannaro, o un mutaforma come le avevano spiegato venivano anche chiamati, si ispirava ad un modello.  E di solito le trasformazioni in animali, quelle più semplici a quanto ne sapeva, erano praticamente riproduzioni perfette.
 
Le trasformazioni in altri umani invece erano degli abbozzi, delle immagini speculari che però avevano molti limiti. Sapeva che già di per sé era rarissimo che un mannaro fosse in grado di trasformarsi in altri esseri umani, perché era una capacità che si acquisiva con durissimi allenamenti. Questi erano resi necessari dal fatto che gli esseri umani erano molto più complessi, a livello di dettagli riconoscibili che distinguevano l'uno dall'altro, quindi era difficile sia realizzare la mutazione, sia mantenerla.
Dimitri era in grado di farlo, grazie a tecniche apprese nella sua grande madre Russia, e ad un addestramento di cui non parlava, ma che aveva lasciato molte cicatrici sul suo corpo. Tuttavia aveva dei limiti considerevoli, a livello di sesso e struttura corporea delle persone che poteva “interpretare”.
 
<< Dimitri... cosa hai fatto del proprietario di questa macchina? >> chiese Helena, con l'ultimo briciolo di energia, mentre richiudeva gli occhi << Non è che mi devo aspettare un uomo in mutande, incaprettato dentro al baule? >>.
E sulla risata baritonale dell'uomo, la ragazza scivolò sfinita nel sonno.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

<< Sì, siamo quasi arrivati >>
La voce profonda e vagamente scocciata di Dimitri risvegliò Helena di soprassalto. Il giorno si era fatto più cupo, constatò la ragazza, accennando ad uno stiracchiamento. Doveva aver dormito parecchio.
<< Bene, dopo che l'avrà convinto a partecipare, potrete raggiungerci >>
Dimitri stava parlando al telefono, ed Helena si diede della stupida per non aver origliato tutta la conversazione, dato che l'udito fino era l'unica cosa utile che si ritrovasse. Rimase immobile, ma ormai il mannaro si era accorto che si era svegliata, e chiuse il cellulare a conchiglia con uno scatto, mettendo così fine alla conversazione con quello che Helena aveva intuito essere Terence.
 
<< Alla buon'ora ti svegli! >> borbottò Dimitri << Mi hai fatto fare sei ore di viaggio praticamente da solo >>
Helena non rispose, troppo concentrata ad osservare che Dimitri aveva ripreso la sua vera forma. Era un uomo di un'età indefinibile tra i trentacinque e i quarantacinque anni, dal fisico possente, ma con muscoli non eccessivamente definiti. Aveva il ventre un po' pronunciato, ma non si discostava molto da quello del proprietario della macchina che aveva interpretato. In effetti il corpo era più o meno lo stesso, sotto la maglietta a maniche corte, ridicola visto il clima non caldissimo, solo che la pelle delle braccia di Dimitri era una trama di cicatrici.
Il suo viso era squadrato, con un naso piatto e largo. Una folta chioma stopposa color biondo sporco e una barba disordinata e abbastanza lunga contribuivano, insieme ai liquidi occhi neri e ai denti aguzzi, a dargli un aspetto animalesco, selvatico e soprattutto pericoloso.
Lo sguardo di Helena indugiò sulle occhiaie che corredavano il viso del mannaro, e capì che era davvero stanco.
Si chiese cosa avesse spinto Dimitri ad essere lì. Non era stato ricattato come lei, di questo era certa. Dimitri era più forte, non cedeva a ricatti vigliacchi, e poi, visto che a lui era concesso sapere molto di più, in quella strana organizzazione doveva essere più in alto di lei nella piramide alimentare.
 
<< Dove siamo? >> chiese, sbirciando dal finestrino.
Dimitri le lanciò un'occhiata esasperata << Ti prego, non farmi domande idiote, abbi pietà delle mie orecchie >>.
Helena non rispose, tornando a guardare fuori dal finestrino, alla ricerca di qualche cartello d'indicazione. Colse qualche nome, ma non le dicevano niente, come l'anonima periferia di città che stavano attraversando. Poteva trovarsi in qualsiasi stato a sei ore di macchina dal Delaware.
Quell'ostinato mutismo di Dimitri sulle località però le confermò che lui godeva di una fiducia che invece lei era ben lungi dal conquistare. Sospettavano di lei perché l'avevano incastrata con un ricatto.
Sensata come scelta, anche se continuava a non capire perché il mannaro invece fosse al di là di ogni ragionevole dubbio. Da quello che si ricordava di lui, non era mai stato un grande esempio di fedeltà o di virtù, anzi, avrebbe volentieri tradito Terence, all'epoca in cui l'aveva conosciuto, se questo non avesse significato una morte istantanea.
<< Dove hai lasciato il tuo branco, Dimitri? >> chiese, attenta a lasciar cadere le parole con un tono misurato. L'unica fedeltà di quell'uomo era verso il suo branco, di cui, da quanto ricordava, lui era a capo.
La mascella di Dimitri si serrò di scatto, mentre un ringhio sordo, appena udibile, gli vibrò sulle labbra contro la sua volontà. Helena seppe di aver fatto centro.
<< Non sono affari tuoi >> sussurrò atono, senza alcuna acredine.
Quindi o non aveva più un branco o il suo branco era per qualche motivo al guinzaglio di Terence, considerò Helena, mentre tornava ad osservare fuori dal finestrino il susseguirsi di fabbricati grigi e marciapiedi sporchi. Ma Terence era in grado di tenere soggiogato un intero branco di licantropi? E se sì, di quanto era aumentato il suo potere in quei quattro anni e mezzo? E perché se Terence ricattava Dimitri attraverso il suo branco a lui era concessa fiducia, mentre a lei, che si trovava in una situazione analoga, no?
Queste domande si sommarono nella sua testa a quelle più pressanti del dove stavano andando, che cosa le sarebbe stato richiesto di fare e soprattutto quanto lungo ancora sarebbe riuscita a rimanere in vita.
 
Mentre cercava di elaborare una domanda in modo da penetrare il mutismo di Dimitri, si accorse che erano finiti in un viottolo laterale, in cui gli ultimi raggi del sole di tardo pomeriggio non riuscivano a penetrare. Gli edifici si susseguivano cupi e fitti su entrambi i lati della strada, in cui l'Hummer passava a fatica. Si sentì allarmata dalla situazione, sebbene alla fine non fosse che un luogo e nessun pericolo, escluso Dimitri, incombesse su di lei. Ma non fece in tempo ad aprire bocca, che il viottolo si aprì in un parcheggio, dove il licantropo sterzò bruscamente, sgommando, per poi fermare la macchina.
 
<< Siamo arrivati >> l'apostrofò, mentre spegneva il motore. Helena si guardò intorno senza capire. C'era un silenzio tombale in quel luogo che, unito ad uno spettrale aspetto trasandato, fece serpeggiare in lei un vago senso di inquietudine. Poi il suo sguardo cadde sulla facciata dell'edificio in fondo al parcheggio, alla sua destra. Cupo, fintamente diroccato e spettrale ad arte. Si girò di scatto verso Dimitri, sgranando gli occhi, mentre la comprensione si faceva largo nella sua mente, insieme a qualche insulto a se stessa per non aver realizzato il tutto prima.
<< Bambolina, siamo venuti a prendere Adam >>  le disse con un ghigno sardonico Dimitri << che, a quanto pare, bazzica questo tipo di bettole >> proseguì, indicandole con il mento l'edificio che aveva guardato prima.
Con una risata roca, evidentemente suscitata dall'espressione sorpresa di Helena, Dimitri scese dall'auto, con l'implicito ordine nei confronti della ragazza di fare lo stesso.
Helena ubbidì, mentre osservava la complicata insegna del locale a cui si stavano avvicinando.
Un dannato bar di vampiri.
 
***
 
 
<< Col cazzo che ci vado, Dimitri >>
Il mannaro le rivolse un'occhiata divertita, ricca di sottointesi. Quando però capì che tutta la sua malizia si infrangeva contro il gelido cipiglio deciso che Helena ostentava con una certa ostilità, si irrigidì, assumendo a sua volta un'espressione intransigente.
<< Bambolina, non è una cosa che spetta a te decidere >> spiegò, come se Helena non fosse altro che una bambina capricciosa << Ti sembra una buona idea che un mannaro entri in un covo di succhiasangue? >> aggiunse, indicandosi.
<< Perché invece mandarci un'umana, sola e inerme, ti sembra un'idea geniale? >> lo rimbeccò lei acida.
Dimitri questa volta la degnò a malapena di uno sguardo di sufficienza pieno di derisione.
<< Smettila di fare l'idiota. Sarai in grado di gestire un paio di pipistrelli, senza farti ammazzare, no? >> 
Helena stava per controbattere qualcosa, ma richiuse la bocca di colpo, piccata. Era inutile fingere di essere la ragazzetta umana ventenne che aveva sempre interpretato, anche perché con Dimitri non funzionava. Stupido in effetti, pensare che avrebbe funzionato con lui, ma ormai era talmente abituata ad interpretare ciò che sembrava che dava per scontato che tutti ci cascassero.
Però l'idea di entrare in quel dannato ritrovo le metteva addosso un'agitazione confusa e implacabile. Dopotutto non aveva più contatti diretti con un vampiro da un bel po' di tempo, e non era affatto ansiosa di rimediare a quella mancanza.
<< Hai paura di qualche zanna morta? >> la prese in giro Dimitri, incrociando le braccia robuste sul torace.
, si disse Helena, volendo crederci con tutte le forze, sì, ho paura che mi facciano del male. Ma appena elaborò quel pensiero si rese conto che era falso, che non era colpa di quello se non voleva andare nel pub. Quello al massimo era l'ultimo rimasuglio di un maltrattato istinto di sopravvivenza, ma non era certo la motivazione della sua agitazione. Preferì bloccare lì qualsiasi autoanalisi, o non ne sarebbe più uscita.
Tornò ad osservare il locale, ancora chiuso ovviamente, davanti al quale lei e Dimitri si erano fermati a parlare.
<< Okay, anche ammesso che io ci vada, cosa diavolo dovrei fare? >> borbottò alla fine, ignorando ostinatamente il sorriso soddisfatto di Dimitri che percepiva con la coda dell'occhio. Le seccava dargliela vinta, le seccava non capirci niente in tutta quella situazione, ma soprattutto le seccava dover sottostare agli ordini di un troglodita peloso e zannuto.
 
E in fondo in fondo, le seccava anche provare quell'ansia. Non andava bene, non era giusta.
 
<< Credo che tu abbia sviluppato una certa istintività, a discapito di sentimenti più complessi, che invece fatichi molto ad elaborare. Ma non ho ancora stabilito se è un fattore evolutivo positivo o negativo... >>
Oh, ma chiudi un po' la fogna, nonno Murray, biascicò mentalmente Helena, per azzittire brutalmente l'eco di quelle parole nella sua testa. Ci mancava solo l'amorevole voce del vecchio a metterla in difficoltà.
 
<< Beh, mi sembra ovvio >> le stava rispondendo intanto Dimitri, che a quanto pare trovava molto divertente trattarla come la rimbambita di turno << Entri, scovi Adam, lo trascini fuori e lo convinci a venire con noi >>
Helena gli rivolse un'occhiata scettica << Lo convinco? E con cosa? Quello mi avrà già dissanguata prima che io possa aprire bocca... >>
<< Tutto quello che vuole >>
Lo sguardo della ragazza si bloccò sul profilo del licantropo, che stava scrutando la bacheca sbilenca appesa di fianco all'ingresso sbarrato del locale.
<< Adam sa che Terence possiede ciò che desidera... >> proseguì Dimitri <<... qualsiasi cosa essa sia >> concluse, prevenendo la domanda di Helena.
<< A quanto pare Terence è l'unico a poter dare ad Adam quello che vuole, ed entrambi lo sanno. Sarà una passeggiata, gli devi semplicemente dire che Terence gli darà qualsiasi cosa lui voglia >>.
 
La ragazza annuì, per nulla rassicurata. Dal discorso di Dimitri poteva dedurre che Adam desiderasse qualcosa in particolare, di già stabilito tra lui e Terence. Tuttavia il non conoscere cosa fosse e il dover promettere quindi ad Adam “qualsiasi cosa” suscitava in lei l'inquietante pensiero che Terence stesse bluffando, nella speranza che tra tutte le cose che avrebbe potuto fargli ottenere ce ne fosse di sicuro una di suo interesse.
 
Inspirò a fondo, cercando di rielaborare tutto. Non doveva perdere di vista ciò che contava davvero, si disse, mentre il sorriso sdentato di Matilda le baluginava in mente.
Al di là del pericolo rappresentato dall'offerta misteriosa che doveva fare ad Adam, di cui non conosceva ancora l'efficacia, il suo compito era semplicemente di infiltrarsi in un locale di vampiri e di non crepare prima di aver trovato l'obiettivo. Non era così assurda come richiesta, anzi, infiltrarsi e passare inosservata erano i lavori che le venivano meglio.
 
Dopo aver meditato ancora qualche istante, Helena si avvicinò alla bacheca per prendere un volantino affisso.
<< Okay, c'è bisogno di un piano... >> disse più a se stessa che al licantropo.
<< Beh, questo è affar tuo... >> commentò burbero Dimitri, a disagio nel dover sottostare alle sue scelte << Le perversioni da succhiasangue non sono il mio forte... >>
 
La ragazza stava osservando il volantino su cui una fitta trama di arabeschi etnici si intrecciava per formare la scritta del nome del locale.
<< “Blood Blooms” >> lesse, inarcando un sopracciglio, scettica. Tipica stupida trovata da stupidi vampiri.
<< Dobbiamo aspettare almeno mezzanotte >> rispose sicura dopo qualche istante, avviandosi verso l'Hummer << prima non troveremmo nessuno di... sì, insomma, nessuno che ci interessa... >>
<< Intendi Adam? >> disse con tono conciliante Dimitri, ridendo sotto i baffi.
<< Sì, >> ribatté seccamente lei, vagamente in imbarazzo per quella figuraccia da ragazzina stupida << quindi abbiamo ancora... uhmmm... sei ore. Cosa facciamo, cerchiamo un motel? >> propose, mentre salivano di nuovo sull'auto, conscia che per la buona riuscita del suo piano avrebbe avuto bisogno di qualche comfort umano e che Dimitri aveva bisogno di una bella dormita.
<< Bambolina, queste sì che sono proposte che mi piacciono... >> sghignazzò l'uomo, scoccandole uno sguardo malizioso, prima di ingranare la marcia e partire a tavoletta.
 
***
 
Helena sperò di non aver esagerato con il sapone. Aveva passato un'ora sotto la doccia, mentre Dimitri russava di gusto sdraiato in diagonale sul bitorzoluto letto matrimoniale, dopo aver speso una fortuna nel servizio in camera.
Si era lavata ai limiti della paranoia, ma si risolse che in ogni caso era meglio passare per una maniaca dell'igiene, piuttosto che entrare in un pub per vampiri con l'odore di mannaro addosso. Quella sì che sarebbe stata una mossa idiota. Beh, non che entrare in un covo di vampiri fosse di per sé la furbata del secolo, osservò con un certo cinismo una vocetta nel suo cervello.
 
Si zittì da sola, tornando a concentrarsi sul suo compito. Odore eccessivo di bagnoschiuma o meno, ormai era davanti al Blood Blooms, era ora di placare l'ansia e darsi un tono.
La coda davanti all'ingresso del locale era abbastanza lunga, composta solo da Fangbangers e ragazzi giovani evidentemente in cerca di emozioni forti. Quel fatto la mise a disagio, perché sperava nella presenza di qualche turista curioso e sprovveduto che alleggerisse l'atmosfera di morte, sangue e sesso.
<< Hey tu, non sei un po' giovane? >> l'apostrofò il buttafuori, quando fu davanti alla porta che quel pomeriggio aveva visto sbarrata, dopo circa dieci minuti passati in coda.
Non rispose, limitandosi a porgere il documento.
Il vampiro squadrò il pezzetto di carta plastificata, per poi indagare con un'occhiata i lineamenti di Helena sotto al cappello a bombetta che la ragazza portava calcato sulla testa.
Scrollò le spalle con aria indifferente e si spostò di lato per farla passare.
<< Buona serata, Luke. Divertiti... >> le disse, sfoggiando un sorriso derisorio, mentre le riconsegnava il documento.
Helena aveva pensato fosse prudente adottare il look più androgino possibile, per quella sera e una falsa identità maschile. Avrebbe attirato di meno l'attenzione, visto che non era connotata sessualmente in modo appariscente. Oddio, neanche vestita con il suo solito stile sarebbe stata una bomba sexy, ma aveva capito con gli anni che il look da ragazzina trasandata e spaurita aveva una certa attrattiva nella contorta mentalità vampiresca.
 
Quando fu dentro al fumoso e chiassoso locale capì di aver fatto la scelta giusta nel decidere di non apparire né maschile né femminile. Rispetto a tutta la folla eterogenea di umani e vampiri, inguainati in vestiti che lasciavano ben poco all'immaginazione, che si muoveva al ritmo frenetico della musica assordante, lei era l'equivalente di una lampada da tavolo. Assolutamente anonima e trascurabile.
Se qualcuno le avesse rivolto la sua attenzione accidentalmente, al massimo avrebbe notato la sua bombetta, e il pessimo gusto di vestirsi in modo così sobrio, con camicia nera e pantaloni scuri, in un locale eccitante come quello.
Superato il primo impatto con la musica che faceva violenza al suo udito sensibile, Helena buttò un'occhiata alla folla, cercando di discernere la figura di Adam in quella massa di corpi discinti, ma in effetti era ottimistico sperare di trovarlo così presto e soprattutto ad accalcarsi come un qualsiasi succhiasangue affamato.
Dopotutto, pur essendo un vampiro, Adam affettava nei suoi ricordi sempre un atteggiamento da mascalzone galantuomo che, se voleva dissanguarti, aveva la pretesa convinzione di farlo per lo meno con una certa classe.
Idiota.
 
Reprimendo un sorriso involontario al suo ultimo commento mentale, si avviò verso il bancone del bar.
Il locale non era poi quella bettola che aveva detto Dimitri. Al contrario dei soliti bar per vampiri non era arredato con un gusto gotico pacchiano e a beneficio esclusivo dei curiosi, e quella stranezza spiegava la mancanza di turisti. 
L'arredamento non si esimeva comunque da un tono evidentemente dark, con pesanti tendaggi purpurei che adornavano tutte le pareti e la luce soffusa affidata a candelabri elaborati che, benché dalla fiamma chiaramente elettrica, creavano un'atmosfera ammiccante.
 
Il bancone era posto su un lato in disparte, lievemente rialzato, ed era fatto di legno massiccio, antico, ornato da intagli complessi. Helena lo raggiunse cercando di mantenere un atteggiamento disinvolto e di non cedere alla tentazione di scrutare tutti gli individui presenti in sala.
Si appollaiò su uno degli alti sgabelli accostati al bancone, nel punto più in disparte che fosse riuscita a trovare. Diversi umani stavano sorseggiando drink alcolici, flirtando con vampiri, i quali erano evidentemente in attesa di poter sorseggiare a loro volta qualcosa.
C'era un ché di ammaliante in quel rapporto morboso tra umani e vampiri, si ritrovò a pensare la ragazza, mentre lasciava vagare, con fare apparentemente casuale, il suo sguardo sulle persone sedute al bar. Nessuno di suo interesse, purtroppo. Umani evidentemente affascinati dal lato occulto e demoniaco e vampiri interessati ad un pasto abbondante che li assecondavano vestendosi di pelle nera e borchie.
Si accese una sigaretta per darsi un tono, rendendosi conto che era dal giorno prima che non inalava un po' di fumo. Aspirò concedendosi quel segreto piacere malsano, mentre la sua attenzione veniva catturata dalla barista che sembrava averla a sua volta notata.
Era una donna di almeno quarant'anni, molto bella. Una folta chioma rosso fuoco, evidentemente tinta, le circondava il viso e le spalle, su una delle quali si intrecciava un complesso tatuaggio tribale.
Quando le fu di fronte le rivolse un rapido cenno del mento, un sbrigativo modo per chiederle di fare un'ordinazione.
Helena fu tentata di ordinare uno Screwdriver, ma, visti i recenti trascorsi, pensò che non fosse una buona idea.
<< Un bourbon >> disse, chiedendo la prima cosa che le passò per la mente con il tono di voce più roco che le riuscisse. La barista annuì, sentendo la sua voce nonostante la musica alta. Evidentemente era una vampira.
 
Quando la barista scorbutica le posò sotto il naso un bicchiere ricolmo di liquore ambrato, Helena le porse una banconota da cinquanta dollari.
<< E vorrei anche un'informazione >> aggiunse, cercando di ignorare il rischio che stava correndo. I bar per vampiri erano gli ultimi posti dove farsi riconoscere come qualcuno che fa troppe domande.
La vampira le scoccò un'occhiata sospettosa, ma intascò lo stesso la banconota capendo l'antifona e invitandola tacitamente a continuare.
<< Sto cercando una persona... un vampiro >> proseguì Helena, mentre si accendeva la seconda sigaretta della serata. La barista inarcò un sopracciglio, scettica. Ovvio che cercasse un vampiro, era in un bar per vampiri.
La ragazza non si perse d'animo: certo, come inizio faceva un po' pena, ma doveva riuscire a scoprire qualcosa senza lasciar trapelare a sua volta troppo.
<< E' uno zingaro >> aggiunse, lentamente, osservando attentamente la reazione della vampira.
La barista perse l'aria scettica, e per un istante stette immobile. Poi la squadrò con interesse per una manciata di secondi, come se si fosse trattata di un qualche insetto raro o particolare.
<< Non ho idea di cosa tu stia parlando >> parlò finalmente per la prima volta, con una voce molto più profonda e baritonale di quanto Helena si aspettasse, prima di girare i tacchi e andare a servire gli altri clienti.
Sì, invece, si disse Helena soddisfatta, bagnandosi le labbra con il suo drink, sai esattamente di chi sto parlando.
 
I primi dubbi che si fosse sbagliata le sorsero alla quinta sigaretta, quando ormai del suo bourbon non rimaneva che un circolo color caramello che ristagnava sul fondo del bicchiere. Mancava poco più di un quarto d'ora alle due di notte, e il panorama era sempre uguale.
Vampiri affamati, umani eccitati e tanto chiasso.
La barista transessuale dai capelli rossi non le aveva più rivolto alcuna attenzione, e se ne era andata mezz'ora prima, rimpiazzata da un ragazzetto emaciato dall'aria sprovveduta, un umano.
La scomparsa della vampira l'aveva un po' scoraggiata, visto che era lei l'unica garanzia della presenza di Adam in quel posto. Una garanzia che tra l'altro aveva stabilito Helena, in base ad una reazione di pochi istanti.
Sbuffò una nuvoletta di fumo, percependo suo malgrado una certa ansia insieme all'imbarazzo dello smacco di aver passato tutto quel tempo ad aspettare inutilmente.
Stava organizzando il da farsi, consapevole che non poteva arrendersi così facilmente, quando uno spostamento d'aria l'avvertì dell'arrivo di qualcuno al suo fianco. Qualcuno di incredibilmente veloce ed incredibilmente silenzioso.
Tenne lo sguardo fermamente piantato sulle venature del legno del bancone, mentre un brivido causato da una sensazione che non seppe definire - ansia? panico? anticipazione? - vibrò lungo la sua colonna vertebrale.
Eppure quando il nuovo giunto le rivolse la parola, lei ricordò che quella sensazione, quella paralisi, non le era affatto nuova.
<< Mi stavi per caso aspettando? >>

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4
 
Aveva una voce ricca, profonda. Una di quelle voci che non si può fare a meno di ascoltare rapiti, beandosi del loro suono melodioso e cullante, indipendentemente dal fatto che il loro proprietario stia facendo le previsioni del meteo o stia leggendo una ricetta di cucina.
Helena non odiava quella voce.
Piuttosto, Helena odiava il fatto che Adam avesse una voce simile. Perché un vampiro dotato di un simile strumento di persuasione e ammaliamento era come uno squalo che fosse anche in grado di usare un fucile a canne mozze.
Era ingiusto, ecco.
 
Helena si riprese dalla sua paralisi momentanea, portando di nuovo la sigaretta alle labbra. Non aveva intenzione di guardare Adam apertamente, prima che si fosse rivelato strettamente necessario farlo.
Una vocetta nella sua testa, quella cinica, la derise per quel comportamento da ragazzina stupida, ma preferì ignorarla, piuttosto che far valere il suo orgoglio ed affrontare il viso del vampiro ancor prima di essere riuscita a metabolizzare l'impatto con la sua voce.
 
Da sotto la sua bombetta poteva percepire con la coda dell'occhio una vaga sagoma statuaria, avvolta in quella che sembrava essere una camicia chiara. Non osò di più.
<< Sì, >> disse, spegnendo la sigaretta nel posacenere, con la voce arrochita dal fumo << non c'è un posto dove possiamo avere un po' di privacy? Ti... >>
 
Il “devo parlare” non le uscì dalle labbra, perché con uno scatto che di umano non aveva nulla, Adam le aveva afferrato il braccio e la stava trascinando senza molto riguardo dall'altra parte della sala, passando lungo la parete per evitare la calca.
L'aveva riconosciuta? Helena non poté fare a meno di chiederselo con una certa ansia, mentre lo seguiva a testa bassa.
Giunsero nei pressi dei tendaggi pesanti che aveva notato quando era entrata, e ancor prima di realizzare cosa stesse succedendo, Adam la spinse bruscamente attraverso essi, facendole così finire una sorta di nicchia cupa e nascosta, a malapena illuminata da una soffusa luce sanguigna, di cui non si riusciva ad identificare la provenienza.
Dal divanetto nero che rappresentava l'unica forma di arredamento in quel cubicolo, capì di cosa si trattava.
Un “romantico” mattatoio in cui squarciare indisturbati la gola del fangbanger di turno.
 
Ma quel pensiero, insieme al voltarsi di scatto verso il vampiro, furono le uniche cose che le fosse concesso fare, prima che Adam le fosse addosso, facendole urtare dolorosamente il muro con la schiena e la nuca.
Helena emise un mugolio di protesta, ma il vampiro non diede segno di averlo notato. Con una mossa repentina portò la gamba al cavallo dei pantaloni di Helena, per premerla con decisione contro il suo osso pubico.
<< Primo... >> sussurrò Adam, con quella sua voce pastosa ed ipnotica in netto contrasto con la violenza delle sue azioni << un vampiro capisce il tuo sesso indipendentemente da come tu sia vestita, sai?>>
Così dicendo accentuò la pressione contro il pube di Helena, facendo scivolare il suo ginocchio contro il muro dietro alle gambe aperte della ragazza, fino a far sì che lei si ritrovasse schiacciata tra la sua coscia e la parete, in trappola.
Helena intanto stava avendo il suo bel da fare per organizzare le emozioni. Era terrorizzata, quello sì, anche se non avrebbe mai ammesso con se stessa quanto. Ma se fosse stata solo terrorizzata, come lo sarebbe stata in una situazione simile con un qualsiasi vampiro, sarebbe stato tutto molto più semplice.
Invece, ad intrappolarla contro il muro in quel modo, c'era Adam.
Adam che la squadrava con i suoi occhi grigio-verde, incredibilmente chiari anche in quell'atmosfera cupa, con uno sguardo così bramoso da farle provare un languore assolutamente fuori luogo. Doveva essere disgustata da quel comportamento, sentirsi violata dal modo in cui la gamba di lui le premeva contro.
Ma quelle emozioni sembravano un vago fastidio, quasi impercettibile, sprofondato nelle iridi fameliche di Adam.
 
<< Ma, fossi in te, ringrazierei di cuore chiunque ti abbia consigliato di vestirti così >> proseguì il vampiro, sfoggiando in un sorriso malizioso i canini completamente estesi. Poi si chinò per raggiungere con le labbra l'orecchio di Helena << perché lo trovo dannatamente eccitante >>
Un brivido, di quello che intuì essere un miscuglio di terrore e -dannazione- eccitazione, percorse le terminazioni nervose di Helena, costringendo per reazione la sua razionalità ad imporsi violentemente.
Adam non l'aveva riconosciuta, pensava che fosse una qualsiasi fangbanger, si ritrovò a considerare.
Devo fermarlo, si disse, ma le sue labbra rimasero serrate e il suo corpo inerte.
Stupidi ormoni, stupido corpo, stupido...
 
Le labbra di Adam si erano spostate, sfiorandole il lobo per finire a solleticarle la pelle del collo. Helena lo sentì trarre un profondo respiro, e pensò che si stesse preparando a morderla. Il timore di essere morsa la fece finalmente reagire.
<< No, Adam, fermo! >> esclamò con una vocetta stridula, spintonando il suo torace in modo scoordinato. L'effetto sorpresa e il panico resero la forza di Helena abbastanza efficace da allontanarlo di poco meno di un passo.
Helena si ritrovò addossata al muro, senza più il sostegno del corpo muscoloso di Adam, mentre la consapevolezza di aver fatto arrabbiare un vampiro secolare che poteva spezzarle il collo senza tanti complimenti si faceva strada nel suo cervello. La solita vocetta cinica le chiese se avesse preso una specializzazione, nel comportarsi come una completa idiota nell'affrontare esseri che potevano ucciderla con la stessa facilità con cui si scrocchiavano le dita.
 
Il suo sguardo si alzò timidamente da terra, sotto la barriera di tessuto della visiera della bombetta, per incrociare gli occhi del vampiro e valutare se avesse potuto in qualche modo gestire la sua furia.
Tuttavia, nelle iridi del vampiro la collera stava scomparendo, per lasciare spazio ad un'attonita incredulità.
<< Adam, io sono->> cominciò a spiegare frettolosamente, ringraziando il cielo che non le avesse già spezzato il collo.
<< Helena >> la interruppe lui.
 
Helena annuì, lasciando che Adam la scrutasse, ancora vagamente incredulo. Almeno non sarebbe stata dissanguata a breve, si disse in uno sprazzo di macabro ottimismo.
Adam non era cambiato in quegli anni, non poteva. Era sempre un finto ventisettenne, decisamente alto e con la pelle olivastra. Era bello certo, di quella bellezza eterea che conquistano i vampiri che in vita sono state delle persone con un bell'aspetto, ma Helena aveva visto vampiri molto più belli.
Quello che fregava con Adam era che possedeva un fascino fuori dalla norma, uno sguardo che ammaliava, una gestualità che rapiva, un sorriso che coinvolgeva. Era irresistibile e sensuale in un modo che andava al di là del suo essere un bell'uomo.
Era uno zingaro, fiero e indomabile, sobillatore ed intrigante.
 
<< Adam, ascolta, io- >> cominciò Helena, per evitare che la sua mente deragliasse più di quanto avesse già fatto.
<< Helena... ? >> la interruppe di nuovo lui, mentre faceva brillare in un sorriso sardonico i canini che, con grande rammarico della ragazza, erano ancora completamente estesi. Ora che lo stupore era passato sembrava quasi deliziato all'idea di rivederla. Deliziato come lo si è davanti a un buffet. Grandioso.
Le si avvicinò ancora, questa volta senza entrare in contatto con il suo corpo, e di scatto le strappò la bombetta dalla testa, e le scompigliò i capelli, pettinati all'indietro con il gel.
Helena lo osservò dal basso verso l'alto, lasciandolo fare. Nonostante lei raggiungesse tranquillamente il metro e settantadue, per cui era abbastanza alta, Adam sfiorava sicuramente il metro e novanta, facendola sentire comunque piccolina.
Era vagamente inquietata da quel sorriso malizioso, ma passato il momento in cui l'aveva scambiata per una fangbanger e in cui il terrore -il terrore e basta, nessun'altra pulsione o emozione – l'aveva paralizzata, era decisa a portare a termine il suo compito senza ulteriori ritardi e fraintendimenti.
<< Sono qui perché- >>
<< Ti ho riconosciuta dal tuo odore >>
Invece Adam era deciso ad interromperla con considerazioni stupide, si disse Helena, scoccandogli un'occhiata scettica.
<< Io non ho odore, Adam. Comunque, so->>
<< Sì, che ce l'hai, sotto il tanfo di disgustoso bagnoschiuma alla ciliegia e tabacco che ti porti appresso... Ti sono mancato?>> chiese in tono insinuante, ed Helena si rese conto che dopo averli scompigliati, le dita di Adam non avevano abbandonato i suoi capelli.
<< Quanto uno sciame di cavallette >> ribatté, cercando di essere pungente, ma risultando anche alle sue stesse orecchie titubante << Ora, se abbiamo finito con i convenevoli, Terence- >>
Riuscì a malapena a pronunciare quel nome, che le dita di Adam artigliarono ferocemente i capelli della sua nuca, facendole sbattere la testa contro il muro nel reclinarla all'indietro.
Il vampiro ora la osservava mantenendo il suo volto a pochi centimetri di distanza, ed incombendo su Helena col viso sfigurato dall'espressione di furia.
<< Ti ha mandato quel lampadato figlio di puttana? >> sibilò Adam, con gli occhi che lampeggiavano d'ira.
Beh, di certo non sono venuta qui per il piacere di essere sbatacchiata contro al muro e dissanguata si disse Helena, guardandosi bene dall'esprimerlo a parole. Non era ancora così suicida.
<< Sì >> rispose con calma, in un sussurro << sono richieste le tue capacità per una missione >> concluse, con una frase un po' innaturale. Almeno era riuscita a non essere interrotta per una volta.
Adam la studiò per qualche secondo, mentre la rabbia spariva dal suo volto per lasciarvi un'espressione indecifrabile.
<< Non mi interessa >> sussurrò pacatamente, senza dare cenno di volersi però allontanare da lei. Anzi, con gli occhi socchiusi prese a fissarle intensamente la giugulare di cui, data la posizione del collo completamente esposto, poteva vedere il lieve pulsare.
<< Adam, lasciami >> disse Helena, risoluta. Il panico ormai era in gran parte defluito dal suo corpo, e si sentiva lucida e sicura. Il vampiro poteva ucciderla, sì, ma sarebbe stata un mossa sciocca da parte sua. Sapeva che Terence, che non era esattamente l'ultimo degli idioti, l'aveva mandata lì e che quindi era in qualche modo sotto la sua protezione. O almeno, così sperava di apparire.
Il tono della ragazza lo riscosse, facendogli distogliere l'attenzione dal suo collo. Non le lasciò però la nuca, accentuando anzi dolorosamente la presa sui suoi capelli, né i suoi canini si ritrassero.
Si limitò a tornare ad incrociare il suo sguardo.
<< Tu vuoi che io ti morda. Vuoi che io beva il tuo sangue >> mormorò, con voce melodica.
Helena non ci mise molto a fare l'equazione. L'intenso contatto visivo, il tono suadente della voce, il torpore che le stava invadendo le meningi, le vampate di calore che le avvolgevano il corpo.
Stava cercando di ammaliarla.
Serrò bruscamente le palpebre, stringendo involontariamente la mascella.
<< Adam, lasciami >> ripeté tra i denti, con voce più dura della prima volta. Per fargli capire che si stava spingendo troppo oltre, posò alla cieca la mano sul suo petto, allontanandolo.
E stranamente lui non oppose resistenza, né la morse contro la sua volontà. La lasciò andare, ritraendo i canini, mentre lei socchiudeva cautamente le palpebre.
 
<< Sei un osso più duro di quanto ricordassi >> commentò poi il vampiro, con un sguardo furioso, subito stemperato da un sorriso divertito. Aveva già mostrato fin troppo interesse nei confronti di una ragazzetta secca e malvestita per quella sera, dedusse lei, ed essere rifiutato da una creatura simile era qualcosa che non riusciva semplicemente a concepire.
Non che non fosse felice dell'improvvisa perdita di interesse, anzi, Helena non sapeva quale divinità dovesse benedire per averla fatta franca. Si allontanò dal muro, distanziandosi così anche da Adam di qualche passo.
Negli occhi del vampiro lesse ancora un lampo di insoddisfazione, ma decise di ignorarlo.
 
<< Terence non si aspetta che tu partecipi gratuitamente >> riprese a parlare, con tono fermo. Adam intanto si era andato a sedere sul divano, con le stesse movenze di un grosso felino. Aveva smesso di osservarla, e a quanto dava a vedere, anche di ascoltarla.
Helena se ne sarebbe volentieri andata visto che l'essere bellamente ignorata da quello sbruffone era la ciliegina sulla torta per come era stata trattata quella notte, ma non poteva permettere che un suo fallimento minacciasse la precaria sicurezza della sua famiglia.
<< E' disposto a darti qualsiasi cosa tu voglia >> concluse, con lo sguardo fisso sul vampiro, che sembrava estremamente concentrato sulle proprie unghie.
<< Non c'è nulla che possa darmi che io voglia >> rispose dopo qualche istante Adam, affettando un'aria estremamente annoiata.
 
Okay, quello di Terence era stato un bluff. Helena in fondo un po' l'aveva sempre temuto, ma saperlo con certezza prima non sarebbe stato male.
Inspirò, sapendo che a quel punto l'unica cosa da fare era continuare bluffare.
Vincendo una certa riluttanza si avvicinò di nuovo ad Adam, che era tornato ad osservarla senza esprimere emozioni di sorta.
<< Sei sicuro? Sei sicuro che Terence non possa darti esattamente quello che vuoi? >> sussurrò con tono insinuante, sperando che Adam cogliesse dei sottointesi che in verità non c'erano. Incrociò il suo sguardo indifferente, cercando di fissarlo quanto più intensamente possibile. Quello era un trucchetto da vampiro bello e buono, si rese conto Helena, contenta che almeno le frequentazioni con i non morti avessero dato qualche frutto.
Si illuse di aver fatto centro quando Adam accavallò le gambe, con un gesto di noncurante eleganza, dando l'aria di soppesare le sue parole, ma era da ingenui sperare che bastasse così poco.
<< Non lo so, ma di certo non sono così stupido da accettare senza garanzie... Tu sei così stupida da averlo fatto? >> osservò con logica inattaccabile Adam, inarcando un sopracciglio.
Helena rimase spiazzata da quella domanda. Tacque, annaspando mentalmente alla ricerca di un una risposta sensata, ma non fece abbastanza in fretta.
<< Oh, molto interessate... >> sussurrò il vampiro, alzandosi dal divano con una mossa stranamente fluida per un uomo della sua altezza << Tu non hai ricevuto quest'offerta... >>
Le si fece di nuovo vicino, squadrandola con uno sguardo inquisitore.
<< Tu lo temi, ma saresti scappata, piuttosto che ubbidirgli ancora, e questo indipendentemente da qualsiasi offerta avesse potuto farti >> proseguì, trovando nel suo silenzio la conferma a quelle ipotesi << Ma sei qui, e visto che non è la fantastica prospettiva di farti sbattere allo sfinimento mentre ti sbrano ad avertici portato... >>
Adam inarcò il sopracciglio, mentre un sorriso famelico gli increspava le labbra. Ormai si trovava a pochissima distanza da Helena, sovrastandola con la sua figura.
La ragazza, incatenata a quello sguardo grigio verde, si limitava a mantenere una smorfia di ostilità sul volto, senza però riuscire a controbattere nulla.
<<... vuol dire che ha trovato un modo per legarti a lui e piegarti alla sua volontà >> concluse, soppesando bene ogni parola, come se volesse osservare la reazione di Helena ad ognuna di esse.
 
Adam ormai si trovava ad una distanza irrispettosa dal viso di Helena, la quale stava cercando di fermare il fremito che le parole del vampiro le avevano suscitato. Essere dipinta come la servetta di Terence le suscitava di per sé un moto di disgusto e di rifiuto per un passato che aveva rinnegato, ma che Adam avesse intuito tutto con tale precisione, la faceva sentire denudata.
Il patto che la legava a Terence era fonte di angoscia e motivazione, ed era bene che giacesse come una bolla ustionante nella parte più profonda del suo cervello, per essere fatta emergere solo con la dovuta cautela e solo quando lei ne avesse sentito il bisogno.
Invece Adam era stato in grado di strapparle quasi dagli occhi quelle verità, esponendone la cruda realtà nella sua voce sensuale e profonda.
 
<< Questo dovrebbe farti capire quanto potere sia in grado di darti Terence, se solo tu volessi >> rispose, con voce secca ed assolutamente innaturale, voltando il viso verso la parete laterale per rompere il contatto visivo. Mentire sarebbe stato inutile, a quel punto, non c'era possibilità di coprirsi in modo dignitoso dopo ciò che lui aveva intuito.
Sperava di aver subito abbastanza umiliazioni per quella notte, ma purtroppo con la coda dell'occhio percepì lo stesso il sorriso divertito di Adam.
<< Accetto >>

***
 
 
<< Sacco di pulci >>
<< Carne morta >>
Helena osservò l'affettuoso scambio di saluti tra Adam e Dimitri, senza commentare. Si limitò ad accoccolarsi nel sedile del passeggero, attendendo che il mannaro facesse partire l'Hummer.
Era pensierosa perché il fatto che Adam avesse alla fine accettato senza garanzie di andare con loro la lasciava stupita e decisamente perplessa, ma poi si risolse che a caval donato non avrebbe dovuto guardare in bocca e che impicciarsi negli affari tra Terence e il vampiro sarebbe stata una mossa alquanto masochista.
 
<< Ben fatto, bambolina >> si congratulò Dimitri, scoccandole un'occhiata di apprezzamento << Conciata così sembri un frocetto tossico, l'avrai adescata subito quella checca di Adam >>
<< Sei in vena di perdere qualche arto o qualche organo, Dimitri? >> commentò mellifluo Adam, che doveva essere già irritato di suo per il fatto di trovarsi in un ambiente rozzo come un Hummer che vanificava tutto il suo look da pirata o zingaro o quello che era, meditò Helena.
La ragazza si passò una mano sul viso, lentamente, mentre i due esseri soprannaturali si squadravano in malo modo attraverso lo specchietto retrovisore. Ci mancava il geniale mix di vampiro megalomane e narcisista insieme a mannaro sadico e brutale per far diventare quel viaggio una carneficina annunciata.
Beh, forse se sono troppo impegnati a scannarsi tra di loro lasceranno perdere la sottoscritta, e riuscirò a...
 
A fare cosa?  A scappare?  la beffeggiò una voce interiore, pericolosamente simile a quella di Terence, prima che riuscisse a concludere quel pensiero. Matilda e Zack, dannazione.
 
<< Grazie, Dimitri >> rispose, non perché intendesse ringraziarlo davvero, ma per cercare di distrarli l'uno dall'altro riportando l'attenzione su di sé. Ora le toccava fare anche la babysitter (o la dogsitter?). Fantastico.
<< Ora, prima di andare ovunque dobbiamo andare >> aggiunse, ormai rassegnata a non sapere la meta del loro viaggio << abbiamo del sangue sintetico per Adam, vero? >>
<< Sì, è dietro insieme al cadavere zannuto >>
<< Dove dobbiamo andare? >>
Dimitri ed Adam si scambiarono un'occhiata infastidita, irritati solamente dal fatto di aver parlato nello stesso momento.
Helena si passò il palmo della mano di nuovo sul viso, molto lentamente.
<< Dobbiamo andare all'aeroporto di Pittsburgh, il nostro volo parte un'ora prima dell'alba >> spiegò laconico Dimitri, sotto lo sguardo di Helena, che nascondeva magistralmente tutta la sua ira mista a stupore. Aveva scoperto di trovarsi in Pennsyilvania in albergo, quindi non era sorpresa in merito alla loro meta, piuttosto al fatto che si era rifiutato di dirle dove andassero per tutto il viaggio e ora bastava una domanda da parte di un vampiro borioso per farlo sbottonare come se niente fosse. E dire che neanche lo sopportava Adam!
Ci mise un po' a smettere di osservarlo, ormai convinta che non le avesse detto nulla fino ad allora per il puro gusto di vederla sulle spine. Dopotutto era un sadico e tenerla sotto il suo controllo con quei mezzucci era una cosa che avrebbe potuto aspettarsi da lui. Forse con Adam non giocava in quel modo perché lo disprezzava troppo per poterlo considerare una controparte divertente. O forse aveva, con ogni ragione, più timore per un vampiro secolare che per una ragazzina fisicamente irrilevante.
 
<< Avresti potuto pensarci tu a soddisfarmi >> sbottò intanto Adam, apparentemente disinteressato alla loro meta << Comunque se vuoi veramente fare la premurosa mammina nei miei confronti, lascia perdere il liquame in bottiglia e offrimi, che ne so... la tua giugulare?>> propose, sporgendosi pericolosamente verso di lei.
<< Non sono premurosa nei tuoi confronti, Adam, ma nei miei. Visto che mi hai quasi azzannato la gola senza tanti complimenti, anche dopo che ti ho detto chi ero, mi sembra che tu sia piuttosto affamato. E dato che non posso ucciderti -anche se non mi dispiacerebbe- né lasciarmi uccidere perché hai un languorino, ingoia quel dannato sangue e sfamati >> ribatté Helena, secca, girandosi per incrociare il suo sguardo e irrigidendosi al massimo nel sostenerlo.
Forse era la presenza di Dimitri, o forse era il fatto che stava cominciando a reimmergersi nel mondo delle creature sovrannaturali, ma sentiva di poter tenere testa ad Adam. Entrare in un bar per vampiri le aveva provocato una scarica di adrenalina non da poco che aveva grattato via la patina di convenzione e apparenza costruita in quattro anni e mezzo passati a vivere e a nascondersi nei panni di una ragazzina umana.
Era vero che forse in quell'auto era la più vulnerabile e la più umana, ma aveva riscoperto la determinazione e la sicurezza nelle carte che aveva da giocare. Non poteva sperare nella compassione da parte di quelle creature, tanto meno nella loro comprensione, e ora finalmente stava riscoprendo quella essenziale differenza tra i rapporti con gli umani e quelli con gli esseri soprannaturali.
 
<< Non sai quanto vorrei squarciarti il collo in questo momento >> disse Adam, con un tono pericolosamente dolce, ammaliandola con il suo sguardo grigio verde << perché questo tuo atteggiamento da piccola insolente mi irrita e mi eccita in egual misura >>
Dopo qualche istante in cui la ragazza continuò imperterrita a fissarlo con espressione ostile, ritornò ad accomodarsi con scomposta eleganza sul sedile posteriore, ed Helena represse un sorriso soddisfatto quando udì lo schiocco di una bottiglia stappata.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5
 
 
Faceva freddo, un freddo che penetrava nella carne e nelle ossa. Il Natale doveva essere vicino, ma ormai aveva perso la concezione del tempo religioso.
Helena si strinse nel suo cappotto malandato, il cui colore, un verde marcio tendente al marrone, le ricordava molto il vomito. Era sul bordo della strada ormai da quasi mezz'ora, nella notte gelida alle porte di Pale-Praca, in Bosnia-Erzegovina.
Non c'erano lampioni su quel tratto di strada, e le poche volte che veniva abbagliata dai fari di un'automobile di passaggio si sentiva più disorientata da quelle luci, che rassicurata.
Nessuno si fermava a vedere chi lei fosse o se avesse bisogno d'aiuto, ma dopotutto il nonno Murray gliel'aveva detto. Nessuno avrebbe prestato attenzione ad un esserino come lei, rattrappito in un cappotto bisunto di almeno quattro taglie troppo grande.
Nessuno, tranne lui, ricordò Helena, mentre una feroce contrazione le strizzava cuore, che si dibatteva forsennatamente da quando aveva raggiunto quel luogo.
Sei addestrata, sei pronta, si ripeté, cercando di trovare un po' di sicurezza nelle parole che il nonno le aveva rivolto quando aveva mostrato un accenno di titubanza.
Fu in quel momento che vide giungere un paio di fari lungo la stradina buia, che lasciavano la città. La macchina che si stava avvicinando procedeva molto più cauta di tutte le altre che aveva visto passare, e quando la vide rallentare, ancor prima che la luce dei fari la investisse, più o meno all'altezza di dove si trovava lei, capì che era giunto il suo momento.
Allungò il braccio, alzando il pollice, nel segno universale di chi cerca speranzoso uno strappo in macchina.
Sei pronta, si ripeté ancora mentre la macchina si fermava davanti a lei, ma questo non impedì al suo stomaco di effettuare una dolorosa capriola.
Era una vecchia automobile, probabilmente grigia, un'utilitaria assolutamente anonima, di cui non avrebbe saputo dire il nome del modello o la marca. Aprì la portiera cigolante imponendosi di non tremare, per non mostrare il benché minimo timore. 
<< Ciao piccola, hai bisogno di un passaggio? >> le chiese il conducente, in un bosniaco approssimativo.
<< Sì >> sentì la sua voce squittire << Per Foca-Ustikolina >>
Il sorriso che le rivolse l'uomo al volante avrebbe fatto scappare qualsiasi creatura dotata di un minimo di istinto di sopravvivenza, perché era troppo abbagliante in una notte cupa come quella. Ammaliava almeno tanto quanto atterriva.
<< Hai fortuna, vado proprio da quelle parti >> le rispose, e lei lo scrutò sospettosa per qualche istante, secondo il canovaccio che nonno Murray le aveva detto di recitare. Era un uomo piuttosto magro, e alla luce fioca dell'illuminazione interna della macchina appariva bianco come l'alabastro. Delle profonde occhiaie violacee corredavano i piccoli occhi chiari, in contrasto con i cortissimi capelli neri che si diradavano su ampie stempiature.
<< Grazie >> sussurrò, sedendosi poi con uno scatto sul sedile del passeggero.
 
<< Come ti chiami, piccolina? >> chiese lui, non appena furono ripartiti.
<< Tijana, signore >> pigolò Helena, insicura se la sua paura fosse recitata o reale.
<< Che bel nome, Tijana. E dimmi, dove sono i tuoi genitori? Non si preoccupano che tu sia in giro quando già fa buio? >> proseguì cortese l'uomo.
<< Sono orfana, signore. Sto andando a cercare dei miei parenti >>
L'uomo parve meditare qualche istante, ma subito riprese il tono gioviale tipico di chi parla con un bambino.
<< Mi dispiace. Ma sei comunque troppo piccola per badare a te stessa ed essere in giro dopo il tramonto, è molto pericoloso, sai? ... quanti anni hai? >>
<< Dieci >> mentì Helena, sapendo che era esattamente quella l'età che dimostrava, quando in realtà aveva compiuto i quindici anni un mese prima.
Il silenzio calò nell'abitacolo, ed Helena osservò il viso dell'uomo corrucciarsi in un'espressione contrita. Stringeva con forza il volante, tanto che le sue nocche apparivano scolpite nel marmo.
La macchina procedeva a velocità elevata, facendo stridere i pneumatici sulla ghiaia ghiacciata ai bordi delle curve, fino a che l'uomo non sterzò bruscamente per entrare in una radura al bordo della strada.
Helena si aggrappò spasmodicamente alla portiera dell'auto, reprimendo però l'impulso di aprirla e scappare via quando la macchina inchiodò di colpo, con un rumore secco di ghiaccio incrinato dai pneumatici.
Un lampione malandato illuminava a scatti quella che Helena capì essere un'area riservata alla sosta d'emergenza, ma quella era un'informazione che sfiorò a malapena il suo cervello, mentre sgranava gli occhi, rivolgendo uno sguardo di puro terrore all'uomo accanto a lei.
<< Non voglio farti del male, Tijana >> sussurrò dolcemente lui, incatenandola con il suo sguardo di un magnetico colore azzurro << E' solo che sei stata sfortunata, stanotte >>
Helena contemplò quello sguardo rapita, sentendosi immediatamente ed assurdamente rassicurata.
 
<< E' importante mantenere il contatto visivo, perché è attraverso questo che i vampiri riescono ad ipnotizzare le loro vittime. Tuttavia, con una buona dose di concentrazione, riuscirai a mantenere la lucidità. Mi raccomando, concentrati al massimo, come ti ho insegnato, se rimani ipnotizzata da un vampiro sei perduta >>
<< Sì, nonno >>
 
Lasciò per qualche istante che quella finta sicurezza la pervadesse, in modo che il suo battito cardiaco rallentasse. Poi riuscì a spezzare il filo di ipnosi che collegava il suo sguardo a quello azzurro del vampiro di fianco a lei, evitando tuttavia che lui se ne accorgesse.
<< Mi dispiace, Tijana >> sussurrò il vampiro, ed Helena lesse una profonda e struggente tristezza in quegli occhi, un'emozione che non avrebbe notato se avesse lasciato che lui la ipnotizzasse.
Perché quel vampiro era triste? Perché non era la brutale bestia che era stata addestrata ad affrontare?
<< Ora siediti sulle mie gambe, e pensa al momento più bello della tua vita, rivivi nella mente il tuo ricordo più  piacevole. Dimentica dove ti trovi e quello che ti sta succedendo, non sentirai nulla >>
Perché quella premura così gentile? Perché voleva evitarle qualsiasi dolore, nonostante stesse per morderla?
Helena mantenne gli occhi socchiusi, cercando di mantenere la sua espressione in modo che fosse più neutra e distante possibile, mentre con qualche manovra goffa scavalcava il cambio e si accomodava sulle gambe del vampiro. Il sangue le rombò nelle orecchie, e pregò internamente che lui non percepisse l'ansia che le pulsava nelle vene, altrimenti avrebbe senza dubbio sospettato qualcosa.
Lui però sembrava all'improvviso dimentico di qualsiasi cosa provasse, e addirittura anche del fatto che lei fosse una bambina. Il suo sguardo era divenuto famelico, rendendolo simile ad un uomo a digiuno da un mese a cui fosse stato servito un tacchino arrosto.
 
E' il momento, le suggerì fugace la voce del nonno Murray.
 
Accadde tutto così in fretta che Helena si stupì di quanto potesse essere veloce il suo corpo. In un battito di ciglia il vampiro aveva esteso i canini, spalancando le fauci in un espressione vorace, ed in poco meno di un istante le avrebbe azzannato il collo. Ma non fece in tempo ad abbassarsi su di lei, che si bloccò inorridito.
Uno stiletto di legno, delle dimensioni di una penna, era conficcato in profondità nel suo torace, all'altezza precisa del cuore. Helena abbassò lo sguardo sul suo palmo, premuto sul petto dell'uomo per infilzare fino in fondo il paletto, e poi ritornò ad osservare il viso del vampiro ora contratto in un'espressione che comunicava un misto di emozioni delle quali la più evidente era lo stupore.
<< Mi dispiace >> si ritrovò a mormorare lei, quasi sconvolta all'idea di star chiedendo scusa per la sua azione appena dopo aver pronunciato quelle parole.
Poi quel momento di stasi si tramutò subito in tumulto, quando il vampiro cominciò a vomitare un violento fiotto di sangue, inondandole il viso ed il corpo, prima che riuscisse a districarsi e ad uscire dalla macchina.
Quello fu il primo vampiro che uccise.
Quello fu l'inizio della sua carriera di cacciatrice di vampiri.
 
***
<< In Bosnia-Erzegovina la caccia di vampiri è legale, anzi è anche retribuita dallo Stato >>
Dimitri inarcò le sopracciglia, vagamente divertito dalla sua risposta. Erano in volo da qualche minuto, ed il mannaro era piuttosto ansioso a causa dell'angusto spazio in cui era costretto su quel sedile della classe economica, incassato dentro all'aereo di linea. Per distrarsi e sfogarsi aveva cominciato a discutere dell'uccisione di vampiri, incurante dello scandalo che stava suscitando nella vecchietta poco distante.
Helena, seduta di fianco a lui, aveva deciso di dargli corda, considerando con una lieve sensazione di curiosità che, dopo aver passato qualche ora con Adam, era quasi rilassante trovarsi in compagnia del solo Dimitri.
<< Non me ne frega molto dello Stato degli umani, bambolina >> ribatté, squadrandola << cioè, venir pagati per impalettare qualche vampiro non è una brutta idea, ma piuttosto che diventare un mercenario degli umani preferisco essere povero >>
Essere un mercenario di Terence invece gli andava bene, si disse Helena. Non che Terence fosse umano... cioè, non sapeva cosa fosse Terence, in termini di razza sovrannaturale, ma sperare che fosse un umano era quantomeno ingenuo.
<< Comunque sia se sei in grado di proteggerti dalle vendette dei vampiri, lì non ti devi preoccupare delle leggi degli umani >> osservò lei, in tono pratico.
 
Tutta la discussione era partita dall'idea di uccidere Adam. Helena sapeva che Dimitri non sopportava i vampiri in generale –come ogni mannaro orgoglioso di essere tale- ma per Adam provava un odio viscerale che andava al di là di qualsiasi spiegazione fosse in grado di darsi. Tanto da arrivare a soppesare seriamente l'ipotesi di impalettarlo o di fargli rivedere con qualche espediente il sole.
L'idea di uccidere un compagno di viaggio e di missione era di per sé un azzardo, ma soprattutto far fuori un vampiro secolare che aveva avuto l'occasione di studiarlo e che quindi non poteva neanche cogliere di sorpresa andava al di là delle capacità di Dimitri.
Farlo ragionare era inutile, dato che sarebbe stato come cercare di far ragionare un lupo, oltre che pericoloso, viste le sue imprevedibile ed irruenti reazioni. Meglio cercare di sviare con nonchalanche la conversazione verso un tono più generico e meno compromettente, cosa che Helena stava appunto facendo.
 
<< Era quello che facevi prima? Cacciavi vampiri in Bosnia? >> le chiese curioso Dimitri.
<< E' una delle tante voci che girano sul mio conto, ma la verità è che... faccio la bibliotecaria da un anno, da quando cioè ho finito le scuole superiori e non ho mai avuto a che fare con i vampiri >> rispose serafica Helena, inarcando un sopracciglio. Era abituata alle domande sul suo passato e ormai aveva elaborato così tanti sotterfugi per evitare il discorso che non doveva neanche starci a riflettere sopra.
Dimitri parve divertito da quella risposta, e, capendo l'antifona, non indagò oltre. Dopotutto sapeva l'importanza della segretezza e del custodire gelosamente per sé alcuni dettagli della propria vita, perché c'era sempre il rischio che altrimenti arrivassero alle orecchie sbagliate.
 
Il silenzio calò tra loro, mentre Helena spostava lo sguardo per osservare il cielo divenire sempre più chiaro al di fuori del finestrino. L'alba aveva sempre il potere di confortarla e intorpidirla, si ritrovò a pensare, chiedendosi se fosse una sensazione che l'accomunava agli esseri umani. O ai vampiri. O agli umani che avessero una relazione troppo stretta con i vampiri. O agli esseri umani che passassero la notte nel devastante sforzo fisico e mentale di dover ammazzare una creatura infinitamente più potente, e che poi, vedendo l'alba, fossero sconcertati all'incredibile idea di averla scampata per l'ennesima volta.
 
Il pensiero del vampiro che viaggiava con loro si insinuò subdolo nella sua mente, e nel torpore celebrale che la stava avvolgendo, Helena smise di ostinarsi a cacciarlo via come aveva cocciutamente voluto fare fino a quel momento.
Il viso di Adam, la sua espressione collaudata da zingaro bello e dannato, il suo fisico asciutto e tonico...
Okay, si disse Helena, riprendendosi bruscamente dal torpore mentre si stiracchiava in modo nervoso, va bene che devo rifletterci, ma evitiamo di scrivere la sceneggiatura per un film hard.
Il problema con Adam era sempre stato sostanzialmente quello. Che non le era indifferente, che il disgusto per i non morti inculcatole da bambina con lui non funzionava.
Beh, ormai aveva smesso di considerare i vampiri come disgustosi abomini in cui infilzare un paletto appena le fosse stato possibile, perché aveva smesso di cacciarli cinque anni prima e aveva avuto anche occasione di conoscerne un paio che si erano rivelati sorprendentemente... persone.
 
Ma al di là dell'ormai perduto odio razziale, manteneva comunque una certa diffidenza nei confronti dei vampiri e soprattutto, mai e poi mai si sarebbe aspettata di ritrovarsi sessualmente attratta da uno di loro. 
Cioè, non era propriamente vero. La verità era che aveva delle serie difficoltà a gestire la propria sessualità, a causa della sua crescita anomala e dell'impostazione che aveva sempre avuto la sua vita.
La sua crescita mentale non era andata di pari passo con quella fisica e ormonale, con il risultato che pochi anni prima si era ritrovata in preda alle turbe ormonali tipiche dell'adolescenza, con una maturità mentale non abbastanza frivola da poterle assecondare.
In secondo luogo c'era l'addestramento ed il tipo di vita che aveva condotto sotto lo sguardo attento del nonno Murray, in cui a dire il vero non c'era molto spazio per lo svago personale, ed il poco tempo che poteva dedicare a se stessa non poteva comunque condividerlo con dei ragazzi.
Ma se tutte queste motivazioni avrebbero dovuto renderla insensibile a qualsiasi avance, il vero problema era che Adam avrebbe potuto scatenare tormente ormonali anche nel granito, e quindi lei ne era tutto fuorché immune.
Ma questa volta era psicologicamente più preparata, si disse. Lo conosceva, capiva le sue tattiche, nonostante la maggior parte delle volte le sue motivazioni le apparissero oscure, non era più una sprovveduta con tempeste ormonali da sedicenne.
Le sarebbe bastato limitare i contatti al minimo, mantenere un atteggiamento professionale e distaccato, ed evitare di fuggire come un'imbranata, cosa che nella sua esperienza aveva portato a situazioni peggiori di quelle da cui era scappata. Insomma un gioco da ragazzi.
Dannazione.
 
Il russare fragoroso di Dimitri la riportò alla realtà, strappandole un sorriso davanti allo sconcerto che quel rumore generava negli altri passeggeri.
Fu solo un istante, ma appena si accorse di star sorridendo ne rimase così sconvolta che portò i polpastrelli alle labbra, sentendole quasi una parte estranea appiccicata per qualche sconosciuto motivo al suo viso.
Scosse il capo, inspirando poi profondamente. Si stava facendo fin troppi viaggi mentali in quegli ultimi due giorni, meglio concentrarsi sulle urgenze e sugli obiettivi del presente ed evitare di pensare al fatto che, per quanto fosse decisamente più pericoloso, si sentiva più nel suo ambiente in compagnia di due bestie sovrannaturali, piuttosto che in mezzo ad una folla di esseri umani.
 
***
Alla fine era di nuovo sera. Helena guardò fuori dal finestrino dell'auto in cui si trovavano, una specie di carro funebre a quanto aveva visto, e scorse gli ultimi raggi aranciati del sole che veniva inghiottito dall'orizzonte. Una bizzarra sensazione di nostalgia per l'alba che aveva visto quello stesso mattino le dilagò nel petto.
<< Un fottuto carro funebre>> bofonchiò Dimitri, che stava guidando con nervosismo l'auto. Helena lo guardò, chiedendosi quanto ci sarebbe voluto ancora per arrivare alla meta finale; dopo un volo in economica che sembrava essere durato secoli a causa di uno scalo imprevisto per problemi tecnici,  avevano raggiunto un hangar, dove un pilota li aveva condotti su un velivolo privato, cercando di guardarli il meno possibile. E alla fine erano arrivati lì, un “lì” senza dove né coordinate, o almeno non che Helena sapesse. La chiamata che Dimitri aveva ricevuto da Terence poco prima la rendeva fiduciosa che, dovunque fossero diretti, ci stessero arrivando.
 
<< Non sapevo che fossi superstizioso>> apostrofò il mannaro,  stiracchiandosi la schiena indolenzita.
<< Non mi piace il puzzo di morto>> osservò Dimitri secco << Mi piace l'odore della morte, del sangue che pulsa per le ultime volte. La roba che muore ha un odore inebriante, la roba morta è carogna e basta>> spiegò poi davanti allo sguardo stupito di Helena.
<> rispose lei, caustica.
<>
<> aggiunse la ragazza, buttando un'occhiata dietro al sedile, al vano dove si trovava una bara nera << la Bella Addormentata non dovrebbe svegliarsi?>>.
Dimitri scrollò le spalle, fingendosi indifferente, ma un ghigno sardonico gli increspò le labbra.
<>

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Faceva freddo, un freddo che penetrava nella carne e nelle ossa. Il Natale doveva essere vicino, ma ormai aveva perso la concezione del tempo religioso.
Helena si strinse nel suo cappotto malandato, il cui colore, un verde marcio tendente al marrone, le ricordava molto il vomito. Era sul bordo della strada ormai da quasi mezz'ora, nella notte gelida alle porte di Pale-Praca, in Bosnia-Erzegovina.
Non c'erano lampioni su quel tratto di strada, e le poche volte che veniva abbagliata dai fari di un'automobile di passaggio si sentiva più disorientata da quelle luci, che rassicurata.
Nessuno si fermava a vedere chi lei fosse o se avesse bisogno d'aiuto, ma dopotutto il nonno Murray gliel'aveva detto. Nessuno avrebbe prestato attenzione ad un esserino come lei, rattrappito in un cappotto bisunto di almeno quattro taglie troppo grande.
Nessuno, tranne lui, ricordò Helena, mentre una feroce contrazione le strizzava cuore, che si dibatteva forsennatamente da quando aveva raggiunto quel luogo.
Sei addestrata, sei pronta, si ripeté, cercando di trovare un po' di sicurezza nelle parole che il nonno le aveva rivolto quando aveva mostrato un accenno di titubanza.
Fu in quel momento che vide giungere un paio di fari lungo la stradina buia, che lasciavano la città. La macchina che si stava avvicinando procedeva molto più cauta di tutte le altre che aveva visto passare, e quando la vide rallentare, ancor prima che la luce dei fari la investisse, più o meno all'altezza di dove si trovava lei, capì che era giunto il suo momento.
Allungò il braccio, alzando il pollice, nel segno universale di chi cerca speranzoso uno strappo in macchina.
Sei pronta, si ripeté ancora mentre la macchina si fermava davanti a lei, ma questo non impedì al suo stomaco di effettuare una dolorosa capriola.
Era una vecchia automobile, probabilmente grigia, un'utilitaria assolutamente anonima, di cui non avrebbe saputo dire il nome del modello o la marca. Aprì la portiera cigolante imponendosi di non tremare, per non mostrare il benché minimo timore. 
<< Ciao piccola, hai bisogno di un passaggio? >> le chiese il conducente, in un bosniaco approssimativo.
<< Sì >> sentì la sua voce squittire << Per Foca-Ustikolina >>
Il sorriso che le rivolse l'uomo al volante avrebbe fatto scappare qualsiasi creatura dotata di un minimo di istinto di sopravvivenza, perché era troppo abbagliante in una notte cupa come quella. Ammaliava almeno tanto quanto atterriva.
<< Hai fortuna, vado proprio da quelle parti >> le rispose, e lei lo scrutò sospettosa per qualche istante, secondo il canovaccio che nonno Murray le aveva detto di recitare. Era un uomo piuttosto magro, e alla luce fioca dell'illuminazione interna della macchina appariva bianco come l'alabastro. Delle profonde occhiaie violacee corredavano i piccoli occhi chiari, in contrasto con i cortissimi capelli neri che si diradavano su ampie stempiature.
<< Grazie >> sussurrò, sedendosi poi con uno scatto sul sedile del passeggero.
 
<< Come ti chiami, piccolina? >> chiese lui, non appena furono ripartiti.
<< Tijana, signore >> pigolò Helena, insicura se la sua paura fosse recitata o reale.
<< Che bel nome, Tijana. E dimmi, dove sono i tuoi genitori? Non si preoccupano che tu sia in giro quando già fa buio? >> proseguì cortese l'uomo.
<< Sono orfana, signore. Sto andando a cercare dei miei parenti >>
L'uomo parve meditare qualche istante, ma subito riprese il tono gioviale tipico di chi parla con un bambino.
<< Mi dispiace. Ma sei comunque troppo piccola per badare a te stessa ed essere in giro dopo il tramonto, è molto pericoloso, sai? ... quanti anni hai? >>
<< Dieci >> mentì Helena, sapendo che era esattamente quella l'età che dimostrava, quando in realtà aveva compiuto i quindici anni un mese prima.
Il silenzio calò nell'abitacolo, ed Helena osservò il viso dell'uomo corrucciarsi in un'espressione contrita. Stringeva con forza il volante, tanto che le sue nocche sembravano scolpite nel marmo.
La macchina procedeva a velocità elevata, facendo stridere i pneumatici sulla ghiaia ghiacciata ai bordi delle curve, fino a che l'uomo non sterzò bruscamente per entrare in una radura al bordo della strada.
Helena si aggrappò spasmodicamente alla portiera dell'auto, reprimendo però l'impulso di aprirla e scappare via quando la macchina inchiodò di colpo, con un rumore secco di ghiaccio incrinato dai pneumatici.
Un lampione malandato illuminava a scatti quella che Helena capì essere un'area riservata alla sosta d'emergenza, ma quella era un'informazione che sfiorò a malapena il suo cervello, mentre sgranava gli occhi, rivolgendo uno sguardo di puro terrore all'uomo accanto a lei.
<< Non voglio farti del male, Tijana >> sussurrò dolcemente lui, incatenandola con il suo sguardo di un magnetico colore azzurro << E' solo che sei stata sfortunata, stanotte >>
Helena contemplò quello sguardo rapita, sentendosi immediatamente ed assurdamente rassicurata.
 
<< E' importante mantenere il contatto visivo, perché è attraverso questo che i vampiri riescono ad ipnotizzare le loro vittime. Tuttavia, con una buona dose di concentrazione, riuscirai a mantenere la lucidità. Mi raccomando, concentrati al massimo, come ti ho insegnato, se rimani ipnotizzata da un vampiro sei perduta >>
<< Sì, nonno >>
 
Lasciò per qualche istante che quella finta sicurezza la pervadesse, in modo che il suo battito cardiaco rallentasse. Poi riuscì a spezzare il filo di ipnosi che collegava il suo sguardo a quello azzurro del vampiro di fianco a lei, evitando tuttavia che lui se ne accorgesse.
<< Mi dispiace, Tijana >> sussurrò il vampiro, ed Helena lesse una profonda e struggente tristezza in quegli occhi, un'emozione che non avrebbe notato se avesse lasciato che lui la ipnotizzasse.
Perché quel vampiro era triste? Perché non era la brutale bestia che era stata addestrata ad affrontare?
<< Ora siediti sulle mie gambe, e pensa al momento più bello della tua vita, rivivi nella mente il tuo ricordo più piacevole. Dimentica dove ti trovi e quello che ti sta succedendo, non sentirai nulla >>
Perché quella premura così gentile? Perché voleva evitarle qualsiasi dolore, nonostante stesse per morderla?
Helena mantenne gli occhi socchiusi, cercando di mantenere la sua espressione in modo che fosse più neutra e distante possibile, mentre con qualche manovra goffa scavalcava il cambio e si accomodava sulle gambe del vampiro. Il sangue le rombò nelle orecchie, e pregò internamente che lui non percepisse l'ansia che le pulsava nelle vene, altrimenti avrebbe senza dubbio sospettato qualcosa.
Lui però sembrava all'improvviso dimentico di qualsiasi cosa provasse, e addirittura anche del fatto che lei fosse una bambina. Il suo sguardo era divenuto famelico, rendendolo simile ad un uomo a digiuno da un mese a cui fosse stato servito un tacchino arrosto.
 
E' il momento, le suggerì fugace la voce del nonno Murray.
 
Accadde tutto così in fretta che Helena si stupì di quanto potesse essere veloce il suo corpo. In un battito di ciglia il vampiro aveva esteso i canini, spalancando le fauci in un’espressione vorace, ed in poco meno di un istante le avrebbe azzannato il collo. Ma non fece in tempo ad abbassarsi su di lei, che si bloccò inorridito.
Uno stiletto di legno, delle dimensioni di una penna, era conficcato in profondità nel suo torace, all'altezza precisa del cuore. Helena abbassò lo sguardo sul suo palmo, premuto sul petto dell'uomo per infilzare fino in fondo il paletto, e poi ritornò ad osservare il viso del vampiro ora contratto in un'espressione che comunicava un misto di emozioni delle quali la più evidente era lo stupore.
<< Mi dispiace >> si ritrovò a mormorare lei, quasi sconvolta all'idea di star chiedendo scusa per la sua azione appena dopo aver pronunciato quelle parole.
Poi quel momento di stasi si tramutò subito in tumulto, quando il vampiro cominciò a vomitare un violento fiotto di sangue, inondandole il viso ed il corpo, prima che riuscisse a districarsi e ad uscire dalla macchina.
Quello fu il primo vampiro che uccise.
Quello fu l'inizio della sua carriera di cacciatrice di vampiri.
 
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<< In Bosnia-Erzegovina la caccia di vampiri è legale, anzi è anche retribuita dallo Stato >>
Dimitri inarcò le sopracciglia, vagamente divertito dalla sua risposta. Erano in volo da qualche minuto, ed il mannaro era piuttosto ansioso a causa dell'angusto spazio in cui era costretto su quel sedile della classe economica, incassato dentro all'aereo di linea. Per distrarsi e sfogarsi aveva cominciato a discutere dell'uccisione di vampiri, incurante dello scandalo che stava suscitando nella vecchietta poco distante.
Helena, seduta di fianco a lui, aveva deciso di dargli corda, considerando con una lieve sensazione di curiosità che, dopo aver passato qualche ora con Adam, era quasi rilassante trovarsi in compagnia del solo Dimitri.
<< Non me ne frega molto dello Stato degli umani, bambolina >> ribatté, squadrandola << cioè, venir pagati per impalettare qualche vampiro non è una brutta idea, ma piuttosto che diventare un mercenario degli umani preferisco essere povero >>
Essere un mercenario di Terence invece gli andava bene, si disse Helena. Non che Terence fosse umano... cioè, non sapeva cosa fosse Terence, in termini di razza sovrannaturale, ma sperare che fosse un umano era quantomeno ingenuo.
<< Comunque sia se sei in grado di proteggerti dalle vendette dei vampiri, lì non ti devi preoccupare delle leggi degli umani >> osservò lei, in tono pratico.
 
Tutta la discussione era partita dall'idea di uccidere Adam. Helena sapeva che Dimitri non sopportava i vampiri in generale –come ogni mannaro orgoglioso di essere tale- ma per Adam provava un odio viscerale che andava al di là di qualsiasi spiegazione fosse in grado di darsi. Tanto da arrivare a soppesare seriamente l'ipotesi di impalettarlo o di fargli rivedere con qualche espediente il sole.
L'idea di uccidere un compagno di viaggio e di missione era di per sé un azzardo, ma soprattutto far fuori un vampiro secolare che aveva avuto l'occasione di studiarlo e che quindi non poteva neanche cogliere di sorpresa andava al di là delle capacità di Dimitri.
Farlo ragionare era inutile, dato che sarebbe stato come cercare di far ragionare un lupo, oltre che pericoloso, viste le sue imprevedibile ed irruenti reazioni. Meglio cercare di sviare con nonchalanche la conversazione verso un tono più generico e meno compromettente, cosa che Helena stava appunto facendo.
 
<< Era quello che facevi prima? Cacciavi vampiri in Bosnia? >> le chiese curioso Dimitri.
<< E' una delle tante voci che girano sul mio conto, ma la verità è che... faccio la bibliotecaria da un anno, da quando cioè ho finito le scuole superiori e non ho mai avuto a che fare con i vampiri >> rispose serafica Helena, inarcando un sopracciglio. Era abituata alle domande sul suo passato e ormai aveva elaborato così tanti sotterfugi per evitare il discorso che non doveva neanche starci a riflettere sopra.
Dimitri parve divertito da quella risposta, e, capendo l'antifona, non indagò oltre. Dopotutto sapeva l'importanza della segretezza e del custodire gelosamente per sé alcuni dettagli della propria vita, perché c'era sempre il rischio che altrimenti arrivassero alle orecchie sbagliate.
 
Il silenzio calò tra loro, mentre Helena spostava lo sguardo per osservare il cielo divenire sempre più chiaro al di fuori del finestrino. L'alba aveva sempre il potere di confortarla e intorpidirla, si ritrovò a pensare, chiedendosi se fosse una sensazione che l'accomunava agli esseri umani. O ai vampiri. O agli umani che avessero una relazione troppo stretta con i vampiri. O agli esseri umani che passassero la notte nel devastante sforzo fisico e mentale di dover ammazzare una creatura infinitamente più potente, e che poi, vedendo l'alba, fossero sconcertati all'incredibile idea di averla scampata per l'ennesima volta.
 
Il pensiero del vampiro che viaggiava con loro si insinuò subdolo nella sua mente, e nel torpore celebrale che la stava avvolgendo, Helena smise di ostinarsi a cacciarlo via come aveva cocciutamente voluto fare fino a quel momento.
Il viso di Adam, la sua espressione collaudata da zingaro bello e dannato, il suo fisico asciutto e tonico...
Okay, si disse Helena, riprendendosi bruscamente dal torpore mentre si stiracchiava in modo nervoso, va bene che devo rifletterci, ma evitiamo di scrivere la sceneggiatura per un film hard.
Il problema con Adam era sempre stato sostanzialmente quello. Che non le era indifferente, che il disgusto per i non morti inculcatole da bambina con lui non funzionava.
Beh, ormai aveva smesso di considerare i vampiri come disgustosi abomini in cui infilzare un paletto appena le fosse stato possibile, perché aveva smesso di cacciarli cinque anni prima e aveva avuto anche occasione di conoscerne un paio che si erano rivelati sorprendentemente... persone.
 
Ma al di là dell'ormai perduto odio razziale, manteneva comunque una certa diffidenza nei confronti dei vampiri e soprattutto, mai e poi mai si sarebbe aspettata di ritrovarsi sessualmente attratta da uno di loro. 
Cioè, non era propriamente vero. La verità era che aveva delle serie difficoltà a gestire la propria sessualità, a causa della sua crescita anomala e dell'impostazione che aveva sempre avuto la sua vita.
La sua crescita mentale non era andata di pari passo con quella fisica e ormonale, con il risultato che pochi anni prima si era ritrovata in preda alle turbe ormonali tipiche dell'adolescenza, con una maturità mentale non abbastanza frivola da poterle assecondare.
In secondo luogo c'era l'addestramento ed il tipo di vita che aveva condotto sotto lo sguardo attento del nonno Murray, in cui a dire il vero non c'era molto spazio per lo svago personale, ed il poco tempo che poteva dedicare a se stessa non poteva comunque condividerlo con dei ragazzi.
Ma se tutte queste motivazioni avrebbero dovuto renderla insensibile a qualsiasi avance, il vero problema era che Adam avrebbe potuto scatenare tormente ormonali anche nel granito, e quindi lei ne era tutto fuorché immune.
Ma questa volta era psicologicamente più preparata, si disse. Lo conosceva, capiva le sue tattiche, nonostante la maggior parte delle volte le sue motivazioni le apparissero oscure, non era più una sprovveduta con tempeste ormonali da sedicenne.
Le sarebbe bastato limitare i contatti al minimo, mantenere un atteggiamento professionale e distaccato, ed evitare di fuggire come un'imbranata, cosa che nella sua esperienza aveva portato a situazioni peggiori di quelle da cui era scappata. Insomma un gioco da ragazzi.
Dannazione.
 
Il russare fragoroso di Dimitri la riportò alla realtà, strappandole un sorriso davanti allo sconcerto che quel rumore generava negli altri passeggeri.
Fu solo un istante, ma appena si accorse di star sorridendo ne rimase così sconvolta che portò i polpastrelli alle labbra, sentendole quasi una parte estranea appiccicata per qualche sconosciuto motivo al suo viso.
Scosse il capo, inspirando poi profondamente. Si stava facendo fin troppi viaggi mentali in quegli ultimi due giorni, meglio concentrarsi sulle urgenze e sugli obiettivi del presente ed evitare di pensare al fatto che, per quanto fosse decisamente più pericoloso, si sentiva più nel suo ambiente in compagnia di due bestie sovrannaturali, piuttosto che in mezzo ad una folla di esseri umani.
 
***
Alla fine era di nuovo sera. Helena guardò fuori dal finestrino dell'auto in cui si trovavano, una specie di carro funebre a quanto aveva visto, e scorse gli ultimi raggi aranciati del sole che veniva inghiottito dall'orizzonte. Una bizzarra sensazione di nostalgia per l'alba che aveva visto quello stesso mattino le dilagò nel petto.
<< Un fottuto carro funebre>> bofonchiò Dimitri, che stava guidando con nervosismo l'auto. Helena lo guardò, chiedendosi quanto ci sarebbe voluto ancora per arrivare alla meta finale; dopo un volo in economica che sembrava essere durato secoli a causa di uno scalo imprevisto per problemi tecnici,  avevano raggiunto un hangar, dove un pilota li aveva condotti su un velivolo privato, cercando di guardarli il meno possibile. E alla fine erano arrivati lì, un “lì” senza dove né coordinate, o almeno non che Helena sapesse. La chiamata che Dimitri aveva ricevuto da Terence poco prima la rendeva fiduciosa che, dovunque fossero diretti, ci stessero arrivando.
 
<< Non sapevo che fossi superstizioso>> apostrofò il mannaro, stiracchiandosi la schiena indolenzita.
<< Non mi piace il puzzo di morto>> osservò Dimitri secco << Mi piace l'odore della morte, del sangue che pulsa per le ultime volte. La roba che muore ha un odore inebriante, la roba morta è carogna e basta>> spiegò poi davanti allo sguardo stupito di Helena.
<> rispose lei, caustica.
<>
<> aggiunse la ragazza, buttando un'occhiata dietro al sedile, al vano dove si trovava una bara nera << la Bella Addormentata non dovrebbe svegliarsi?>>.
Dimitri scrollò le spalle, fingendosi indifferente, ma un ghigno sardonico gli increspò le labbra.
<>
<< Mi sa che a qualcuno invece piace l'odore di carne morta>> sogghignò l'uomo, sfoggiando la sua chiostra di denti acuminati. Prima che Helena potesse controbattere aggiunse << Dai un taglio alle premure, siamo arrivati>>.

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