Le lettere di mia sorella

di alebex99
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Il guardiano ***
Capitolo 3: *** Ferite ***
Capitolo 4: *** Sogni rivelatori ***
Capitolo 5: *** Le lettere ***
Capitolo 6: *** Il momento della verità ***
Capitolo 7: *** L'ultima lettera ***
Capitolo 8: *** Fuoco e ghiaccio ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


~Iniziamo col prologo di questa storia. Vi auguro una buona lettura

PROLOGO
Inverno. L’aria stasera è fredda, il vento  punge la mia pelle e la neve cade leggera, sfiorandomi il viso, come una carezza.. Questa è la cosa a cui non mi sono mai abituato in 300 anni: il fatto che il freddo, il ghiaccio non mi rechino alcun danno è ed è sempre stato piuttosto strano. Eppure, ormai, credo che dovrei esserne piuttosto consapevole. Il gelo non può farmi niente. Io sono il gelo stesso.

Però, guardando la città dall’alto, osservando tutte quelle famiglie che si riscaldano davanti al fuoco, sul divano di casa loro, o che ridono a tavola insieme, o che giocano coi loro figli, a volte vorrei non essere quello che sono adesso. A volte vorrei non essere mai morto in quel lago, vorrei non essere mai andato fuori quel giorno. A volte vorrei essere rimasto con mia sorella, vederla crescere, sapere che cosa ha fatto. A volte, vorrei sapere se quello sguardo di terrore che ho visto prima di essere avvolto dal freddo dell’acqua, sia mai stato sostituito da un sorriso. Vorrei solo sapere se è stata bene.

Chiamo a me il vento e mi faccio sollevare in alto, sempre più in alto. Le raffiche che mi sferzano i capelli riescono a liberarmi la mente e a rilassarmi. E’ sempre una splendida sensazione volare: è come se tutta la pesantezza della  vita, le preoccupazioni e la solitudine rimanessero inchiodate a terra e tu ti sentissi leggero, libero da tutto.

Poi, improvvisamente, quelle sensazioni ritornano. Sono atterrato e, guardando davanti a me, lo vedo: una lastra di ghiaccio enorme, lucente, circondata da alberi sempreverde. Il lago. Quello da cui ho salvato mia sorella, quello che ha fatto cambiare completamente la mia vita. Quello in cui sono morto. Sulla sua superficie osservo il riflesso della Luna, la stessa Luna che mi ha fatto diventare quello che sono.

Io sono un Guardiano. Il mio nome è Jack Frost.

SPAZIO COMMENTO
Bene, questo era il mio primo prologo della mia prima ff. Lo so che è molto molto corto, ma voglio vedere un po’ se questa storia può interessarvi prima di scrivere capitoli lunghissimi. E adesso andiamo al perché l’ho scritta: prima di tutto amo il personaggio di Jack Frost dal film Le 5 leggende (Rise of the Guardians) e volevo anche approfondire un po’ di più il personaggio della sorella (sto pensando a un nome) che nel film non viene così tanto approfondito (qui non è ancora apparsa ma tra un po’ sentiremo parlare molto di lei). Poi che altro dire…Recensite per dirmi se volete che continui (anche se penso che il primo capitolo lo farò di sicuro). Inoltre avrete notato che il prologo è in prima persona, ma da adesso in poi credo che inizierò con la terza persona e al passato. Comunque credo che questa non sarà la mia unica fanfiction con Jack Frost, visto che questo personaggio mi ispira un botto! Ad ogni modo, fatemi sapere qualcosa.
Grazie mille,
Alessia

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Capitolo 2
*** Il guardiano ***


~~Il guardiano

Il Sole era appena sorto all’orizzonte, gli uccelli avevano ripreso a cantare sugli alberi al confine del lago. Era arrivata l’alba. Jack Frost dormiva indisturbato, con la schiena appoggiata al tronco di un albero, le gambe distese davanti a sé e una mano appoggiata sul manico del bastone, lo stesso bastone che lo aveva accompagnato in 300 anni di vita solitaria. Non si poteva certo dire che fosse un oggetto comodo: lungo più o meno un metro e novanta, con una cima ricurva, superava di un bel pezzo la testa del suo possessore ed era in grado di incanalare il potere del ragazzo con un’incredibile forza.
Improvvisamente, un mucchio di neve cominciò a scendere dal ramo proprio sopra la testa del giovane e andò a colpirlo sulla faccia, facendolo sobbalzare. Ancora un po’ stordito dal sonno e dalla neve, Jack si rimise in piedi barcollando e facendo leva sul suo bastone.
Era un ragazzo che dimostrava, nonostante i suoi 300 anni di vita, non più di 17 anni, ma l’età precisa era difficile da stabilire. Aveva capelli biondi che, alla luce del Sole, arrivavano a diventare color argento come la neve al chiaro di Luna e due occhi azzurri come il cielo da cui essa cadeva. La bocca, scura e sempre attraversata da un sorrisetto malizioso e furbo, spiccava sulla pelle chiara del volto. Indossava sempre dei pantaloni marroni che arrivavano a metà polpaccio e una felpa blu con il cappuccio che era solito tirarsi sul capo nei momenti di solitudine o riflessione. Essa era ricoperta da un sottile strato di brina, a causa dei suoi poteri. Ribelle, divertente, sicuro di sé: insomma il classico ragazzo diciassettenne tutto svago e riposo. Se non fosse che era in grado di ghiacciare con un tocco tutto quello che gli capitava a tiro.
Quella mattina si era risvegliato da uno strano sogno; in esso, si trovava davanti ad una casa vecchia e spoglia, ma piuttosto in buone condizioni. Si avvicinava sempre di più fino ad aprire l’uscio d’entrata e avviarsi all’interno. Improvvisamente delle voci lo incitavano ad andarsene, voci insistenti, che gli pulsavano nelle orecchie, ma lui era deciso a continuare. Si stava avvicinando ad un cassetto all’interno di una camera di piccole dimensioni, probabilmente di un bambino. A quel punto le voci si erano fatte dure e severe, ma ancora lui era deciso ad arrivare fino in fondo. Si era inginocchiato davanti al cassetto, mentre le voci si erano fatte un urlo, sempre più forti, sempre più acute, lui aveva aperto il cassetto e…si era svegliato.
“E’ la quinta volta questa settimana” pensò fra sé e sé “ma che cosa significa?”
Assorto nei suoi pensieri, richiamò a sé i venti invernali e, librandosi nel cielo, si diresse verso il centro della città.

Quel giorno era il quinto giorno di vacanza natalizia per i bambini e, mentre volava sopra i tetti e i comignoli delle case, Jack poteva osservare dall’alto tutti quei volti sorridenti avvolti in sciarpe e cappelli di ogni tipo, intenti a costruire pupazzi o a vincere gare di palle di neve. Attratto da quella scena di divertimento, decise di discendere a terra per guardare più da vicino. -Dopotutto, sono o non sono il guardiano del divertimento?- disse a se stesso.
Poggiati i piedi nudi sul piedistallo di un vecchio monumento proprio al centro della piazza, il giovane alzò gli occhi alla vista che gli si presentava davanti: una ventina di bambini, probabilmente sui sette anni, correva sulla neve appena caduta, ed essi urlavano o ridevano quando alcuni di loro venivano colpiti da un avversario. A quella vista, Jack inclinò la testa e sorrise debolmente, sentendo dentro di sé un forte moto di affetto verso quegli “angioletti”, come a lui piaceva definirli. Scese dal piedistallo e cominciò ad incamminarsi nel mezzo della lotta. Non si preoccupava di essere visto: aveva imparato a controllare questo suo piccolo “dono”. Pur essendo un guardiano, a differenza degli altri, lui aveva la capacità di rendersi invisibile agli occhi degli umani soltanto con la sua volontà. In pratica, quando lui voleva essere visto, poteva essere visto, quando lui non voleva, era invisibile a tutti. E, doveva dire che, era un trucchetto piuttosto utile.
-Che ne dite di un altro po’ di neve, eh bambini?- chiese il ragazzo, seppur ben consapevole di non poter essere visibile né udibile a loro. Senza aspettare alcuna risposta, che comunque non sarebbe arrivata, il guardiano sollevò il suo bastone e lanciò in aria una grande quantità del suo potere che, ben presto, si trasformò in neve: freddi, piccoli fiocchi che cadevano dolcemente a terra. I bambini si guardarono intorno meravigliati di una così improvvisa e inaspettata nevicata ed iniziano a ridere e saltellare.
-Grazie Jack Frost!- gridò una ragazzina con due trecce brune che sbucavano da sotto il suo cappello di lana.
Il ragazzo si voltò verso di lei con gli occhi spalancati e la bocca aperta in un sorriso di gratitudine.
-Non c’è di che, piccola- rispose il giovane, con un tono affettuoso.
Quella era la parte più bella, a cui però non era ancora abituato: i bambini credevano in lui. Dopo 300 anni passati senza che nessuno sapesse della sua esistenza, senza che nessun essere umano pensasse a lui, quello era la più bella soddisfazione che Jack avesse mai avuto.
All’improvviso, ebbe un’idea ancora più grande: si avvicinò al ciglio della strada, sollevò il suo bastone e colpì con forza l’asfalto. Su di esso andò a formarsi uno spesso strato di ghiaccio che si estese per un bel pezzo di via.
-Ecco, angioletti- disse il giovane -la vostra pista di pattinaggio, uscita fresca dalla ditta costruzione Frost- e detto questo vide sfrecciare accanto a sé bambini di tutte le età armati di slittini e pattini. Non riuscì a trattenere una risata che si andò a mescolare alle esultazioni e alle grida dei piccoli.
Si soffermò ad osservare quella stupenda scena davanti a sé ancora qualche secondo prima di spiccare nuovamente il volo, questa volta diretto verso il Polo Nord.
Dietro di lui, le risate e le urla riecheggiavano nella città.

Il laboratorio di Nicholas Nord, meglio conosciuto come Babbo Natale, era la cosa più spettacolare che Jack Frost avesse mai visto. Si ergeva su una grande “scogliera” ghiacciata che scendeva a strapiombo e al suo interno sembrava di essere entrati completamente in un altro mondo, fatto di calore e meraviglia. Ogni volta che lo vedeva, Jack restava senza parole, proprio come la prima volta che l’aveva fatto: ovunque guardasse vedeva giocattoli di ogni tipo, dimensione e colore, luci che accendevano l’ambiente e, proprio sul soffitto dell’enorme stanza che era il laboratorio vero e proprio, si trovava una vetrata che lasciava trasparire la luce del Sole. Intorno a lui, gli yeti erano intenti negli ultimi preparativi per il Natale, ormai alle porte, mentre gli elfi, come di consueto, sfogavano la loro stupidità in scherzi a quei poveri bestioni che erano tutti indaffarati con gli ultimi giocattoli.
Già, perché, nel caso non ne foste al corrente, non sono gli elfi a produrre i giocattoli (loro sono soltanto assistenti addetti ai biscotti per Nord), ma gli yeti, che seppur goffi e un po’ incomprensibili a livello di parola, riescono a costruire qualsiasi cosa i bambini desiderino per il loro Natale.
Tutto questo appariva agli occhi del giovane guardiano mentre si dirigeva verso, chiamiamolo così, l’ufficio del vecchio Nicholas Nord, un omone alto e grosso con una lunga barba bianca e due occhi azzurri e grandi. Egli aveva acconsentito a Jack il permesso di venire nella sua dimora ogni volta che il ragazzo ne avesse avuto bisogno, considerato il fatto che Jack non ne aveva una.
-Ehi, Nord, non puoi immaginarti quante cose io abbia da raccont…-si interruppe, e subito un dubbio iniziò a farsi spazio dentro di lui.
Entrato nella stanza dell’uomo, infatti, Jack rimase sorpreso nel constatare che nell’ufficio del guardiano, Nord non era solo: Tooth, la fatina del dentino, metà colibrì e metà umana, Bunnymund, il coniglio di Pasqua, e Sandman, o Sandy, l’omino dei sogni, erano tutti presenti e avevano assunto un’espressione che univa la severità, la delusione e la tristezza. Il peggio era che la stavano rivolgendo a lui.
Il ragazzo cercò di ricomporsi e di mantenere la sua solita aria di noncuranza davanti a quegli sguardi. –Ehi ragazzi- cominciò –tutto bene?- Vedendo che nessuno aveva intenzione di rispondergli continuò: -Eddai, che ho combinato adesso? Ho congelato qualche tubo di troppo? Qualcuno si è preso un raffreddore?- Ancora niente - La smettete di guardarmi così?! Volete dirmi di che si tratta o no?!-
Stava iniziando a spazientirsi quando Bunnymund gli lanciò contro un pezzo di carta. –Non ce lo aspettavamo da te- gli disse.
Jack lo fissò incredulo, raccolse da terra la carta e la guardò. E finalmente capì. Non era un foglio qualsiasi, ma una pagina di giornale. Cominciò a leggere e il sangue gli gelò nelle vene, il respiro iniziò a farsi affannoso. Il giornale veniva dalla città in cui era stato quella mattina. In cui aveva fatto cadere la neve. In cui aveva ghiacciato la strada. Il titolo della pagina diceva:
GRAVE INCIDENTE SU STRADA GHIACCIATA: MACCHINA PERDE IL CONTROLLO. VITTIMA BAMBINA DI SETTE ANNI
La foto era quella della bambina con le trecce brune che l’aveva ringraziato. Il ragazzo cadde in ginocchio, senza riuscire a rimettersi in piedi. L’aveva uccisa. Lui l’aveva uccisa.

Spazio commento
Ok, voglio subito scusarmi per il finale drammatico (è per questo che ho cambiato il bollino da verde a giallo). Comunque spero di averlo reso piuttosto bene ditemi come vi è sembrato. Questo primo capitolo è venuto più lungo e ho deciso di pubblicarlo adesso invece di domenica (domani sono via da casa quindi non avrei potuto pubblicare). Alla fine ho deciso davvero di partire con la narrazione in terza persona, per riuscire a narrare meglio la storia a pieno. Beh, spero che il capitolo vi sia piaciuto. Dal prossimo arriverà anche la questione delle lettere non vi preoccupate. Grazie a tutti quelli che stanno seguendo la mia storia. Spero che continui a piacervi

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Capitolo 3
*** Ferite ***


Ferite

-Io…io non…non intendevo…-Jack, ripreso dallo shock, tentò di parlare, ma era come voler muovere un macigno: aveva la bocca asciutta e non riusciva a pensare razionalmente. Era come se tutto ciò in cui credeva, tutto ciò a cui teneva fosse crollato. Non sentiva più il suolo sotto di sé, le orecchie gli fischiavano. Non sentiva più niente. Solo freddo. Per la prima volta in 300 anni, aveva freddo.
Era lontanamente consapevole della discussione che stava avvenendo all’interno della stanza, ma l’avvertiva come un’eco, come qualcosa di lontano ed indistinto.
-…Sapevo che non dovevamo fidarci di lui, Nord, sapevo che avrebbe portato solo guai- Bunnymund stava urlando con rabbia contro Nicholas, che lo guardava con occhi spenti. Il giovane pensò che era la prima volta che vedeva il guardiano così addolorato e sconfitto.
Vedendo che l’uomo non faceva niente per fermare la furia del coniglio, Tooth cercò di prendere in mano la situazione: -Ti prego, Bunnymund, cerca di calmarti! Sicuramente questo non era nelle intenzioni di Jack! Forse…
-Non era nelle sue intenzioni? Non era nelle sue intenzioni, dici?! Un guardiano deve essere responsabile! Deve prevedere quello che potrebbe succedere ai bambini, quello che la sua stupida impulsività potrebbe causare!
-Forse questa volta non ci ha pensato! UNA VOLTA PUO’ ANCHE SUCCEDERE!- riprese Tooth, esasperata dalla maleducazione con cui Bunnymund aveva interrotto il suo discorso –E’ diventato da poco un guardiano, dobbiamo capirlo! Bunnymund, è solo un ragazzo.
-Sì, un ragazzo con 300 anni di vita alle spalle! Credo che questa si possa chiamare esperienza, non credi?-
Jack continuava ad ascoltare il litigio, con lo sguardo abbassato e le ginocchia che gli si stavano intorpidendo dal dolore. Ma lui ci faceva a malapena caso.
-Per favore, cercate di calmarvi, tutti e due!- finalmente Nord decise di intervenire nella discussione - Sono sicuro che ci sia un modo più civile e tranquillo per risolvere la situazione. Non credi Sandman?
Il piccolo ometto, che fino a quel momento era rimasto in silenzio a volteggiare a cinque centimetri dal pavimento, annuì esitante alla richiesta del guardiano.
-E tu che dici, Jack?-
All’udire il suo nome, il ragazzo alzo lo sguardo da terra. Avrebbe avuto dieci, cento, mille cose da dire. Ma aveva un groppo in gola e sapeva che, se avesse provato a parlare, le lacrime sarebbero iniziate a scorrere ininterrottamente.
Si limitò perciò a guardare Nord con un’espressione che non credeva avrebbe mai rivolto a nessuno: disperazione e paura.
Paura che si trasformò in terrore quando Bunnymund pronunciò le ultime frasi di quella discussione: -Non vedi che non ha neanche il coraggio di parlare ora? Non sarebbe mai dovuto diventare guardiano, lui non è come noi! Sai che cosa vorrei, Nord? Vorrei che non avesse mai ereditato i suoi poteri! Vorrei che Manny non l’avesse mai fatto uscire da quel lago! Vorrei che fosse restato morto!
Per Jack fu come risvegliarsi da un sogno, solo che quello in cui stava entrando era un incubo: la sua testa scatto verso l’alto come una molla, e i suoi occhi si fermarono in quelli del coniglio. Quest’ultimo intanto si era appena reso conto di ciò che aveva detto e lo guardava con gli occhi spalancati, cercando di dire qualcosa per farsi perdonare. Ma negli occhi del ragazzo questa volta, non c’era alcuna traccia di ostilità. Si limitò a fissare il guardiano con occhi pieni di rassegnazione e successe ciò che aveva sperato non accadesse: una calda lacrima cominciò a scorrere dall’angolo esterno del suo occhio, percorse la guancia ed cadde sul pavimento della stanza. A Jack sembrò quasi di sentirne il rumore. Lentamente si rimise in piedi, mentre tutti gli altri compagni spostavano lo sguardo dal coniglio a lui, con un’aria afflitta e colpevole. Il ragazzo rivolse una veloce occhiata ad ognuno di loro, raccolse il suo bastone e, indietreggiando, aprì la porta dell’ufficio e si precipitò fuori. Era consapevole dei guardiani che, dietro di lui, lo incitavano a tornare indietro, a chiarire, ma a lui non importava, voleva soltanto uscire di lì.
Fuori, il vento gli faceva ghiacciare il sangue nelle vene e venire la pelle d’oca. Mentre si alzava in volo, Jack sentiva la neve battergli con violenza sul viso e mischiarsi alle lacrime che avevano iniziato a scorrere calde e veloci sul volto. Si diresse veloce alla città, con l’eco delle ultime parole di Bunnymund ancora nella testa: vorrei che fosse restato morto.

Spazio commento
Di nuovo scioccati? Beh, mi dispiace informarvi che probabilmente l’attesa questa volta sarà più lunga, visto e considerato il fatto che a partire da domani fino a venerdì avrò un impegno che mi occuperà gran parte della giornata. Ma pian piano mi dedicherò alla stesura del capitolo e riuscirò, spero, a pubblicarlo entro sabato. Spero di aver reso bene tutta la scena, ditemi un po’ le vostre impressioni. Inoltre, voglio farvi sapere che, come avevo già anticipato, questa non sarà l’ultima fanfiction su Jack Frost ma, rullo di tamburi, ho intenzione di scrivere un “seguito” che avrà un’altra storia ma sarà comunque collegato a Le lettere di mia sorella. Beh, ho terminato. Ci vediamo al prossimo capitolo :D

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Capitolo 4
*** Sogni rivelatori ***


Sogni rivelatori

Era di nuovo lì. Davanti a lui si ergeva una piccola casupola in legno che sembrava essere vecchia e cadente, con le imposte distrutte e la porta inesistente, ormai consumata dalle intemperie e dal tempo. Eppure, nonostante tutto, poteva essere facilmente ristrutturabile. Jack si avvicinò piano, titubante, come se qualcosa di malvagio potesse sbucare fuori da quella casa abbandonata. Appoggiò lentamente e con attenzione un piede sul primo scalino che portava all’uscio e…non successe niente. Il ragazzo acquistò sicurezza e cominciò a dirigersi a passo deciso verso l’entrata. E a quel punto i bisbigli cominciarono. Erano voci piccole, deboli, che lo esortavano a tornare indietro, ad andarsene da quel posto che sembrava maledetto. Jack le sentiva pulsare nelle tempie, rimbombare nella testa, ma era determinato a proseguire. Attraversò i corridoi malridotti, fino alla stanza da letto, mentre le voci nella sua mente diventavano sempre più forti, fino a raggiungere la violenza di un urlo. Il giovane pensò che la testa potesse esplodergli quando si chinò per afferrare la maniglia del cassetto. Con il cuore in gola, lo aprì di scatto.
E si svegliò. Come ogni mattina. Un lieve senso di rabbia si insinuò all’interno del suo petto; scattò in piedi all’improvviso, rivolse lo sguardo alla Luna, che era debolmente visibile nel cielo semi notturno e gridò: -Quei sogni sono opera tua, non è così? Mi vuoi dire che cosa diavolo significano? Devi rendere tutto un indovinello ogni santa volta?-
Stette un momento in silenzio, con lo sguardo leggermente irritato rivolto verso quella palla bianca, che sembrava trasparente ora che la luce del giorno stava invadendo il cielo, come in attesa di una risposta. Dopo qualche secondo, afferrò con violenza il suo bastone emettendo un leggero ringhio di esasperazione e si rivolse nuovamente all’Uomo della Luna: -Bah, ma che ci parlo a fare con te. Mi fai sentire piuttosto stupido…-
E detto questo, si alzò in volo, diretto alla città.

Arrivato nella cittadina, lo spettacolo che essa gli mostrava era mozzafiato. Ovunque lui guardasse erano appesi festoni colorati, luci dorate, alberi di Natale e decorazioni di ogni genere. Scorse anche un bambino in compagnia della madre che appendeva fuori dalla porta di casa una ghirlanda, fatta con legnetti e vischio. Una bimba avvolta in una sciarpa rossa stava appendendo insieme al padre un piccolo striscione sul tetto di casa con un’enorme scritta: BENVENUTO BABBO NATALE. Appena lo scorse, Jack sentì una stretta al petto: era passata una settimana dal giorno in cui aveva abbandonato i guardiani, ma si ricordava ogni particolare: la rabbia di Bunnymund, Tooth che tentava in ogni modo di alleggerire la colpa dalle spalle del ragazzo, l’intervento di Nord, le ultime parole del coniglio, dure e affilate come un pugnale, che avevano ferito il giovane come un colpo di pistola. Dopodiché la fuga, l’arrivo al lago, dove si era rannicchiato sulla neve, con le lacrime che gli gelavano le guance, senza fare niente per asciugarle, e dove poi si era addormentato. Nessuno dei guardiani l’aveva rintracciato da allora, anche se Jack aveva dei dubbi sul fatto che avessero tentato di farlo, ma, sinceramente, non era molto interessato alla faccenda. Voleva stare lontano da loro. Voleva stare solo.
Assorto nei suoi pensieri, il ragazzo cominciò ad incamminarsi per le vie della città. Ad un certo punto, si bloccò di scatto. Eccola lì, la piazza, dove tutto era iniziato. E lì vicino, la strada, quella che lui aveva ghiacciato. Solo che adesso c’era qualcosa di diverso: su un lato di essa, era impiantata una piccola croce e tutt’intorno erano appoggiati fiori e giocattoli, dediche e biglietti, con qualche candela accesa. Tutti dedicati a quella bambina. Il ragazzo si ricordò immediatamente di quella folla che, tre giorni prima, si era raggruppata fuori dalla chiesetta ad osservare la piccola bara bianca uscire dalla parrocchia. Jack era rimasto ad osservare tutti quei volti rigati di lacrime dei parenti e degli amici, senza poter fare ormai più niente. Aveva avuto l'impulso di urlare, di imprecare, di gelare tutto ciò che gli capitava a tiro, ma a cosa sarebbe servito poi? E adesso lì, inginocchiati davanti al “memoriale”, stavano due adulti, un uomo e una donna, che, tenendosi per mano, fissavano muti la foto appesa alla croce di legno. I genitori. Che avrebbero passato il peggior Natale della loro vita. Tutto per colpa di Jack. I loro volti erano così distrutti che il giovane guardiano non riuscì a guardarli un secondo di più. Distogliendo lo sguardo, sentì riaffiorare dentro di sé il sentimento che aveva tentato di nascondere e dimenticare per un’intera settimana. Ricacciò indietro le lacrime che si erano andate formando nei suoi occhi e corse via, lasciandosi alle spalle la piazza, la strada, la croce e la faccia della bambina che guardava l’obiettivo della macchina fotografica con un’espressione allegra e spensierata sul volto.

Intorno al lago la neve iniziava a scarseggiare. Era ormai una settimana che il guardiano non evocava un po’ di neve. Dopo gli ultimi avvenimenti, il freddo che si sentiva dentro era troppo duro, troppo forte. Non voleva trascinare quel freddo anche fuori.
Era arrivata la sera, e Jack era seduto in riva alla lastra di ghiaccio con lo sguardo perso e gli occhi spenti. Come ormai faceva ogni sera. Si recava sempre là, a quel lago che aveva cambiato la sua vita. E pensava, pensava a cosa sarebbe successo se non fosse mai caduto lì dentro, se non fosse mai diventato Jack Frost, lo spirito del gelo e della neve. Pensava a come sarebbe stata la sua vita da ragazzo normale, con una famiglia normale. E pensava a sua sorella, Emma Overland Frost, a come sarebbe stata un’intera vita di litigi, risate, abbracci, avventure insieme a lei. Un po’ gli mancava, doveva essere sincero. Da quando aveva recuperato i suoi ricordi, aveva iniziato a provare un po’ di nostalgia per la sua vita passata. Gli mancava il calore del fuoco, appena tornato a casa dopo una giornata passata fuori. Gli mancava quella sensazione che si prova quando si ha qualcuno che ci ama davvero, quella sensazione di non essere mai soli. Gli mancava Emma, i suoi occhi nocciola e i suoi capelli castani, soffici e profumati. Già, gli mancava un po' tutto...

Nord si stava guardando nello specchio del suo ufficio, ammirandosi, come ogni hanno, nella sua bella divisa da Babbo Natale. Questa volta, però, c'era qualcosa di diverso: il suo sguardo era cupo, i suoi occhi azzurri sembravano brillare meno del solito. La bocca era serrata in un'espressione malinconica. La spiegazione era molto semplice: Jack. Quel ragazzo era diventato, per il vecchio guardiano, come un figlio, e la sua assenza lo stava distruggendo. Fece un bel sospiro incitatore e uscì dalla porta, dirigendosi a grandi passi verso la slitta. Ad aspettarlo c'erano Bunnymund, Tooth e Sandy: tutti gli stavano rivolgendo sguardi amichevoli, ma dietro quell'aria solare, Nord poteva ben vedere quanto, anche loro, fossero distrutti. Nonostante questo, il vecchio rivolse a sua volta un piccolo sorriso e si apprestò a salire sulla slitta. Ma prima che potesse farlo, una mano si poggiò sulla sua spalla; era la fatina dei denti: - Lo ritroveremo- disse malinconica - Te lo prometto -
Il guardiano annuì esitante, dopodiché salì sul suo mezzo, si mise in posizione e, rivolgendo un'ultima occhiata ai compagni, partì.

Era passata la mezzanotte quando Jack si svegliò di soprassalto. Gli sembrava di aver udito una voce, una voce insistente, che sussurrava il suo nome. Ma lì, nel bel mezzo del nulla, era circondato dal silenzio, puro silenzio, che dominava la notte. Credette di aver sognato. Si appoggiò comodamente al suo albero e cercò di recuperare il sonno perduto. Passati dei minuti senza che riuscisse a riaddormentarsi, decise di sgranchirsi le gambe con due passi nel bosco; scese dall'albero e si incamminò fra gli arbusti. Aveva appena percorso una decina di metri quando, ad un tratto, si blocco di scatto. Il bastone gli scivolò di mano per la sorpresa: lì, proprio davanti a lui, come un diamante nella roccia, si ergeva la casa del sogno. Era proprio come Manny gliel'aveva mostrata durante le notti passate. E lì, in quel momento, lui la riconobbe. La casa della sua infanzia, della sua famiglia. Della sua vecchia vita.
Jack non riusciva più a camminare, lo shock l'aveva completamente immobilizzato: come aveva fatto a non riconoscerla prima? Come aveva fatto ad essere così cieco?
Lentamente cominciò a muoversi, dirigendosi verso la casa, un passo dopo l'altro; salì i gradini, arrivò alla porta e, questa volta, non c'era nessuna voce ad intralciargli la strada. I passi iniziarono a farsi più svelti e decisi, il cuore a battere più forte, la testa a ronzare. Non si era mai sentito così. Sapeva esattamente dove andare.
In un tempo che pensò fosse un'eternità, il ragazzo raggiunse il cassetto della camera di sua sorella. Lo aprì. E finalmente, scorse il suo contenuto: lettere, ingiallite dal tempo e attentamente imbustate. Con mani tremanti, il giovane afferrò quelle carte ed osservò le parole soprascritte. Restò pietrificato: gli occhi gli si spalancarono per lo stupore e la bocca gli si contrasse in un sorriso. La calligrafia sulla busta era una calligrafia femminile e il nome scritto era proprio quello che Jack aveva sperato di leggere: “Da Emma Overland Frost” dicevano. Ma non era questo ad aver lasciato il giovane guardiano di stucco. Erano le parole seguenti, tre semplici parole che gli avevano fatto sobbalzare il cuore e bloccare il respiro: “A mio fratello”.

Spazio commento
Ed ecco a voi, finalmente aggiungo io, le lettereee! Avevo detto che da ora in poi sarebbe finalmente iniziato il centro della storia. E sinceramente l'ho pubblicato prima del previsto, wow! Stiamo andando veloci. Spero che il capitolo vi sia piaciuto (come sempre). Recensite e fatemi sapere le vostre impressioni (come sempre, di nuovo).
Inoltre, volevo tanto ringraziare tutti coloro che mi hanno sostenuto con le loro belle recensioni (graziegraziegrazie), e in particolare:

aleinadp , che ha messo la storia tra quelle da ricordare

BML951110
frostydragon
che l'hanno messa tra quelle da seguire

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Capitolo 5
*** Le lettere ***


Le lettere

Il Sole stava iniziando a fare capolino all’orizzonte e il cielo si stava pian piano rischiarendo con l’arrivo della luce. Jack stava seduto ai piedi di un albero vicino alla casa, o meglio, la sua casa, con sguardo assorto nei suoi pensieri. Continuava a rigirare tra le mani quelle buste vecchie e ingiallite. Per tutta la notte non aveva avuto il coraggio di aprirle e di leggerne il contenuto. La verità? Aveva paura. Semplicemente. Aveva paura di ciò  che avrebbe potuto scoprire, aveva paura di sapere ciò che era successo. Perché, come Nord ripeteva sempre, “a volte l’ignoranza è una benedizione, Jack!”.
Insomma, durante tutta la notte, era rimasto lì, seduto, ad osservare quei tesori che tremavano insieme con le sue mani.
“Ma che stai facendo?” disse all’improvviso una vocina nella sua testa “Finalmente hai l’occasione di sapere la verità, si capire cosa è successo, e ti tiri indietro perché hai paura? Questo non è un comportamento degno di Jack Frost!”
Quei pensieri risvegliarono il ragazzo. Dentro di lui iniziò a prendere campo un desiderio di verità: tutt’a un tratto la paura era svanita, lasciando posto alla voglia di scoprire, di sapere assolutamente cosa era successo a sua sorella dopo la sua morte. Finalmente poteva sapere come le cosa erano andate davvero.

Dietro un cespuglio, mentre Jack era intento ad aprire la sua prima lettera, una figura stava ad osservare, cercando di restare invisibile agli occhi del giovane. Quando quest’ultimo iniziò a spiegare il primo foglio, la bocca dell’individuo si piegò in un leggero sorriso malizioso.

“Caro Jack” il ragazzo cominciò a leggere con il cuore che iniziava a battere forte dentro al suo petto. Lo sentiva quasi scontrarsi con la cassa toracica. “Non posso credere che tu sia morto. Appena ti ho visto cadere in acqua, mi sono affacciata al buco in preda al panico, ho gridato il tuo nome. Ma nessuno mi ha risposto. Mi sono trascinata fino alla riva ed ho aspettato, sperando di vederti riemergere dall’acqua. Quell’acqua maledetta che ti aveva portato via da me. Quando oggi sono tornata a casa da sola, la mamma mi ha chiesto dove eri finito. Mi ha guardata, e ha capito tutto. E’ crollata in ginocchio e ha iniziato a piangere. Non l’avevo mai sentita piangere così. Mi ha attirata a sé e mi ha strinta forte, e a quel punto anch’io ho iniziato a piangere. Perché ho capito che non ci sarai più. Non ci sarai più a giocare con me. Non ci sarai più a farmi sorridere quando mi sentirò triste e sola. Non ci sarai più a cantarmi quella canzone che ogni sera mi cantavi per farmi addormentare. Ti ricordi come diceva? “Vieni luce del mattino, io e te saremo sani e salvi”. Quella canzone era tutta una bugia. Tu non sei sano e salvo. Mi hai mentito. Anche questa volta.”
Quando Jack finì di leggere, i suoi occhi erano pieni di lacrime. Sua sorella aveva ragione. Lui le aveva mentito. ”Te lo prometto” le aveva detto quel giorno “Starai bene”.  Probabilmente, anche questa volta, non era riuscito a mantenere la sua promessa.
Decise di aprire un’altra lettera. Questa volta ne scelse una che citava una data che Jack conosceva molto bene.
“Caro Jack, sono passati mesi da quando te ne sei andato, e settimane dall’ultima volta che ti ho scritto. Credo che oggi sia un giorno particolare rispetto agli altri per te, quindi mi sembra d’obbligo scriverti: buon compleanno, Jack.
Eh, già. Oggi tu compiresti ben diciotto anni.” A questo punto il ragazzo non poté fare a meno di notare una piccola sbavatura dell’inchiostro che andava a coprire metà della scritta ‘anni’: una lacrima. “Mamma oggi si comporta come al solito: ha sorriso ai vicini, anche quando le hanno ricordato l’avvenimento di questa data, ma io ho scorto la tristezza e la nostalgia che aleggiavano nei suoi occhi. Ti voleva tanto bene, fratellone. Davvero tanto.
Qui continuiamo a sentire tutti un po’ la tua mancanza: ci mancano i tuoi sorrisi maliziosi che mi rivolgevi quando avevi in mente qualcosa, i tuoi capelli castani, sempre in disordine, i tuoi modi un po’ ribelli e divertenti, la tua strana capacità di far sembrare tutto un gioco. Per questo, in onore della tua memoria, oggi voglio farti un ‘regalo di compleanno’: cercherò di smettere di essere triste. Voglio ricordare tutti i nostri momenti più belli, ma senza malinconia, bensì con felicità; perché quei momenti sono stati veri e bellissimi e, se quei ricordi sono tutto ciò che di te mi è rimasto, allora voglio riviverli sempre con la consapevolezza che tu sei stato l’unico e il miglior fratello che io abbia mai avuto. E ti ringrazio davvero tanto. Buon diciottesimo compleanno, fratellone.
Tua, Emma”
Sulle labbra di Jack si era formato un leggero sorriso: sua sorella era proprio una guerriera, pensò. Era fiero di lei.

Passò delle ore a sfogliare lettere su lettere, ad indagare sulla vita della sua sorellina: in una, la sorella gli raccontava di come aveva passato il suo dodicesimo compleanno. “E’ stato bellissimo” scriveva “è stato come se tu fossi ancora con me.”.
E più le lettere aperte aumentavano, più la sorella diventava grande. Adesso aveva tredici anni e aveva iniziato ad aiutare davvero sua madre: andava a prendere la legna per il fuoco, svolgeva le pulizie, cucinava il pranzo.
Poi, erano arrivati i suoi quattordici anni, e aveva iniziato ad innamorarsi e a crescere: “Mi sento diversa” diceva “come se d’un tratto fossi più matura.”
E mentre leggeva, gli occhi di Jack si facevano sempre più lucidi. Riusciva quasi ad immaginare sua sorella quattordicenne: con i suoi soliti occhi nocciola e i cuoi capelli castani, lisci e morbidi come seta. Ma adesso, mentre se la figurava nella mente, riusciva quasi a vedere uno sguardo determinato e maturo nei suoi occhi. Uno sguardo da giovane donna. Una ragazza che è dovuta crescere troppo in fretta, a causa delle perdite subite.

Mentre sfogliava le lettere, una in particolare saltò agli occhi del giovane: sembrava più curata delle altre. Le parole della busta parevano scritte con più attenzione ed il sigillo che la serrava era di una cera di maggior pregio rispetto alle altre.
Incuriosito da quella minuziosa cura rivolta a quella precisa lettera, Jack decise di aprirla.
Rimase ad osservare sorridente la data: il quindicesimo compleanno di Emma. “Mia sorella ha quindici anni!” pensò eccitato il ragazzo “E’ ufficialmente entrata del pieno dell’adolescenza”. A quel pensiero, il sorriso del guardiano si fece ancora più grande: sua sorella ce l’aveva fatta, dopotutto. Era riuscita ad essere felice.
Iniziò a leggere la lettera, e il suo sorriso crollò. Tutti quei bei pensieri svanirono dalla sua mente alla vista delle prime due righe della lettera.
- Oh Dio – esclamò il ragazzo con voce strozzata dall’incredulità – Oh dio, non può essere vero –
Il ragazzo rilesse le prime parole per essere sicuro di averci visto bene. Ma no, non era possibile. La sua vista gli stava giocando un brutto scherzo.
Invece no. Sua sorella l’aveva davvero scritto.
“Caro Jack” diceva la lettera “Stanotte, la Luna mi ha detto tutto”

Spazio commento
Ta daaa. Eh già, cari lettori. La nostra Emma sa tutto di cosa è successo a Jack. La luna gli ha detto tutto. Proprio per il giorno del suo quindicesimo compleanno, visto che la riteneva pronta per sapere la verità. Ma dei particolari della lettera parleremo nel prossimo capitolo. Riguardo alla canzone che Jack era solito cantare a sua sorella, mi sono ispirata alla canzone “Safe and Sound” di Taylor Swift. Vi metto qua due link: il primo è la canzone originale cantata da Taylor, con la traduzione. Il secondo, invece, è una cover del gruppo Me vs Gravity (gruppo maschile) che ho trovato meravigliosa.
1. https://www.youtube.com/watch?v=SZ_Sa0apDH0
2. https://www.youtube.com/watch?v=zwceLXULffo
Vi prego, se non le conoscete, ascoltatele, perché credo sia la canzone perfetta che Jack avrebbe potuto cantare ad Emma.
Riguardo al capitolo: come vi è sembrato? Scrivete come sempre le vostre recensioni (adoro leggerle). Volevo ringraziare tutti coloro che hanno messo la mia storia tra i preferiti, le storie da seguire, ecc. Grazie mille, ragazzi. E secondo voi, chi è il personaggio nascosto che spia Jack? Aspetto le vostre risposte. Al prossimo capitolo!
Alebex

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Capitolo 6
*** Il momento della verità ***


Il momento della verità


Caro Jack,
Stanotte la Luna mi ha detto tutto. Ero uscita sul tetto come facevamo di solito io e te quando non riuscivamo a dormire, e l’ho vista: era così grande e così luminosa. Ad un certo punto è stato come se parlasse dentro la mia testa. Mi ha sussurrato dolcemente di stare tranquilla e di non avere paura. Poi mi è sembrato di svenire, ma in realtà ero sempre cosciente, e davanti a me si stava svolgendo di nuovo la scena della tua morte. Questa volta, però, osservavo l’accaduto dall’esterno, come in un film. Io e te, sopra il lago. Tu mi stavi dicendo di non preoccuparmi, mi incitavi ad avere fiducia, a credere in te. Ed io tremavo e avevo paura. Poi tu mi hai afferrata e scaraventata sulla parte più solida del ghiaccio, mentre tu venivi sbalzato sulla parte meno resistente. Ti ho rivisto cadere in acqua, e ho visto me stessa precipitarmi sul bordo della crepa, gridando il tuo nome. Improvvisamente, è diventato di nuovo tutto nero. Quando l’oscurità si è diradata, mi trovavo ancora sulla riva del lago, ma era notte fonda. La luce della Luna rifletteva sulla lastra ghiacciata, e, proprio nel punto in cui il riflesso era più luminoso, il ghiaccio aveva iniziato a formare delle piccole fratture. Tutt’a un tratto, qualcosa è uscito fuori dal foro che si era andato a creare. Il mio cuore ha avuto un sobbalzo: eri tu. Eri proprio tu. Solo che avevi qualcosa di diverso. I tuoi capelli non erano più del colore del tronco degli alberi in primavera, ma sembrava che rispecchiassero la neve appena caduta. La tua pelle era pallida e i tuoi occhi non erano più marroni come i miei, ma azzurro chiaro come il cielo invernale, e in quel momento stavano fissando, grandi e confusi, la Luna.
Ho iniziato a gridare il tuo nome, volevo abbracciarti, stringerti forte e dirti quanto mi eri mancato in tutti quegli anni, ma non potevo muovermi. A quel punto ho capito. Tutto quel che vedevo era già successo, era tutto un ricordo. La Luna mi stava mostrando che cosa ti era accaduto dopo che mi avevi salvato la vita.
Ti ho visto afferrare il bastone, lo stesso bastone che tu avevi utilizzato per salvarmi la vita, e ho visto che cosa eri in grado di fare con quell’oggetto. Ti ho visto trasformarti in Jack Frost.
L’Uomo della Luna mi ha detto di avermi mostrato tutto questo all’età di quindici anni perché è l’età in cui, secondo lui, la soglia fra l’essere bambini e l’essere adulti diventa sottilissima, quindi ero abbastanza matura per conoscere la verità e abbastanza bambina per crederci. Mi ha detto che era arrivato per me il momento di sapere; e mi ha anche detto di non smettere mai di credere in te.
Adesso so per certo che non mi lascerai mai più, fratellone. Adesso so davvero che mi proteggerai sempre.
Adesso non ho più paura.
Appena Jack ebbe finito di leggere, alzò la testa verso il cielo. E sorrise. Era felice; aveva sorpreso anche se stesso con quella reazione. Era felice che sua sorella sapesse tutto riguardo lui. Era felice che sapesse che era diventato uno spirito. Almeno aveva vissuto il resto della sua vita con la consapevolezza di non essere sola. Emma avrebbe sempre saputo che lui era lì con lei, che non era andato per sempre. Magari, chissà, aveva anche sperato che il fratello trovasse davvero quelle lettere.
In un’altra, la ragazza diceva: ”Oggi sono i primi giorni d’inverno. Non vedo l’ora di veder cadere la prima neve: sarà un segno che tu sei vicino.”. E così, in quei vecchi pezzi di carta, nelle parole scritte dalla sorella, il guardiano aveva iniziato a percepire qualcosa di nuovo, qualcosa che nelle altre lettere era solo presente in minima parte. Un nuovo sentimento che aveva conquistato il cuore della sorella: la speranza. La speranza che un giorno avrebbe potuto rivedere il suo fratellone, la speranza di poterlo riabbracciare. Dentro di lui, nonostante il sollievo provato a seguito di quella lettera particolare, sentiva un piccolo senso di colpa, che pulsava nel suo petto. Era dispiaciuto di non aver potuto esaudire il desiderio di sua sorella: non era riuscito ad incontrarla di nuovo. Avrebbe potuto dirle che le voleva bene, che le era mancata tanto. Avrebbe potuto salutarla un’ultima volta. E invece, in quel periodo, non si ricordava nemmeno della sua esistenza. Continuò ad aprire lettere su lettere, fino a che la luce del Sole non venne sostituita dalla lieve illuminazione delle stelle.

-E’ inutile, non riusciamo a trovarlo! Ammettiamo che quel ragazzo è in grado di nascondersi bene se non vuole essere trovato- esclamò Bunnymund verso i compagni. Erano tutti riuniti nella sua tana per discutere della situazione in cui si trovavano ed escogitare qualcosa per ritrovare il loro quinto guardiano. Il coniglio sapeva di non essere l’unico del gruppo estremamente preoccupato per il giovane, di cui ormai da una settimana non si avevano più notizie.
-Suvvia, Bunnymund! Nord quest’oggi ha girato tutto il mondo, ogni angolo della Terra! Ci saranno buone possibilità che sia riuscito a trovarlo!- rispose Tooth, in modo calmo e rassicurante, come era solita fare nei momenti più difficili. Eh già; seppur fragile e delicata, la fatina era una vera e propria roccia nei periodi di crisi del gruppo. Ed anche questa volta disse una cosa che fece accendere una luce di speranza nel cuore del nostro guardiano più duro: aveva ragione! Nicholas Nord non era ancora tornato dal suo viaggio per la consegna dei regali, ma appena l’avesse fatto avrebbe riferito loro qualsiasi cosa riguardante Jack. Magari, pensò il coniglio, era persino riuscito a rintracciarlo.
Ma una parte di sé continuava a convincerlo che se quel giovane riusciva a fare davvero bene qualcosa, oltre a combinare guai naturalmente, era riuscire a non farsi trovare quando non voleva essere trovato.
-Ah, non lo so, Tooth- disse malinconico –Questa volta si è nascosto bene…L’unico modo per riuscire a scoprire dove si trova sarebbe che lui scatenasse una bufera di neve o anche una piccola nevicata in modo da percepire i suoi poteri, ma dopo…- si bloccò cercando di trovare le parole per esprimere ciò che intendeva. Ma tutti sapevano bene cosa il guardiano avesse intenzione di dire: dopo la morte della bambina e i seguenti avvenimenti, probabilmente Jack non se la sarebbe sentita di rischiare ancora. Il coniglio alzò gli occhi verso i compagni e notò che entrambi avevano abbassato lo sguardo, sopraffatti dalla tristezza e dal senso di colpa. Tutt’a un tratto, le sensibili orecchie di Bunny udirono un sottile rumore, come di un qualcosa di pesante che viene trascinato a tutta velocità sul terreno. Insieme a questo suono, era presente quello di zoccoli che calpestavano il suolo. –E’ tornato- annunciò agli altri.
I tre si guardarono fra loro speranzosi e si precipitarono all’ingresso della tana. Giunti là, videro Nord, intento a scendere dalla sua slitta, e gli si catapultarono incontro. Quando furono tutti intorno a lui, iniziarono a tempestarlo di domande: -L’hai trovato?-, -Hai visto qualcosa?-, -Sei riuscito a percepire un segnale?-. Anche Sandman cercava di comunicare con il guardiano attraverso il suo strampalato linguaggio, ma purtroppo con scarsi risultati.
L’uomo era stato tutto il tempo con lo sguardo poggiato a terra. Vedendo il suo stato, i tre guardiani smisero di tormentarlo e aspettarono in silenzio che dicesse qualcosa. Capendo che stavano aspettando una risposta, Nord alzò lo sguardo e fissò in silenzio, per qualche secondo ancora, i compagni che lo osservavano con occhi colmi di speranza e impazienza. Non potendo reggere più a lungo quegli sguardi, Santa Clause fece crollare il capo e scosse la testa in segno di diniego. I guardiani, capito il messaggio, abbassarono il capo a loro volta.

Jack si svegliò alle prime luci dell’alba. Non si era nemmeno accorto di essersi addormentato: aveva continuato a leggere lettere su lettere fino a che non era crollato dal sonno. Si accorse con un sussulto che quella era la prima volta in cui non aveva fatto lo stesso sogno che lo aveva tormentato per quindici lunghe notti. Questa volta, aveva sognato sua sorella: era davanti casa sua, naturalmente quando ci viveva con tutta la sua famiglia, o meglio, con la madre, dopo che suo padre era morto. Era fuori in giardino a giocare con lei. Le correva dietro cercando di acciuffarla; vedeva i suoi capelli che ondeggiavano al vento ed il nastro del suo vestito che si allungava dietro di lei. –Tanto non mi prendi!- aveva gridato Emma al fratello, ridendo felice. Con un ultimo slancio in avanti, il giovane afferrò la sorella, ed entrambi caddero nella neve abbracciati, ridendo a crepapelle. –A me sembra di esserci riuscito- disse Jack malizioso. –Semplice colpo di fortuna- replicò la piccola. Entrambi sorrisero e d’un tratto Emma si strinse forte al fratello: -Ti voglio bene, Jack- gli sussurrò –E te ne vorrò sempre-
-Anch’io sorellina- aveva risposto il ragazzo.
-Non ti lascerò mai…-. Quelle erano le ultime parole che sua sorella gli disse, prima che il guardiano si svegliasse.
Non aveva mai sognato sua sorella. Preso da un pensiero, alzò gli occhi al cielo e si rivolse all’Uomo della Luna, con tono che era un incrocio fra l’ironico e l’indagatore: -Cos’è? Un altro segno?
Sorrise verso il disco bianco che stava svanendo della volta illuminata dal mattino.
-Grazie, Manny- aggiunse, sussurrando -Per tutto-
E, per la prima volta dopo 300 anni, riuscì a percepire una debole risposta all’interno del fruscio del vento:
“Non c’è di che”.


Spazio commento
Ecco qua! Adesso sappiamo il mistero della “lettera dei quindici anni”! Spero vi sia piaciuta. Ho cercato, anche in questo capitolo, di dare molto risalto ai sentimenti dei personaggi, guardiani compresi. Nel prossimo scopriremo una cosa che ci farà restare di stucco (statene certi, può darsi che qualche lacrimuccia-uccia vi scappi…almeno a chi ha una sensibilità molto…sensibile(?)).
Come sempre, spero  che il capitolo vi sia piaciuto e fatemi sapere cosa ne pensate.
Un ringraziamento grandissimo a tutti coloro che leggono la mia storia e un particolare grazie a:

Chi a messo la storia tra i preferiti:
Anthea1000
Clacli Brave Frost
Serytia
Smery_Tigrotta

Chi ha messo la storia tra quelle da ricordare:
aleinadp

Chi ha messo la storia tra quelle da seguire:
BML951110
frostydragon
swagger_jagger
valix97

GRAZIE MILLE A TUTTI

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Capitolo 7
*** L'ultima lettera ***


L'ultima lettera

 

Erano le prime luci dell'alba quando Jack, dopo un intero giorno ed una notte in bianco, iniziò a leggere l'ultima lettera del grande mucchio lasciatogli da Emma.
Stava per togliere il sigillo quando notò qualcosa di diverso nella busta: la calligrafia era molto differente da quella di sua sorella. Le curve morbide delle lettere tipiche di una ragazza adolescente, erano state rimpiazzate da linee spigolose, che sembravano scritte da una mano tremante e più adulta. Jack riconobbe immediatamente quel tipo di scrittura: era quella di sua madre. Dei dubbi iniziarono ad insinuarsi nella mente del ragazzo, e man mano la preoccupazione saliva.
“Perchè diavolo mia madre ha deciso di scrivermi una lettera?” pensava “Che cosa può essere successo?” “Ma dai, magari anche lei ha soltanto sentito la mia mancanza e ha deciso di scrivermi”.
Dopo essersi rassicurato con questi pensieri, Jack decise di aprire, con mani tremanti, l'ultima lettera.
“Caro Jack” iniziava “Sono io, tua madre. Ti scrivo perchè voglio dirti una cosa molto brutta che è successa...ed è successa ad Emma.”
A queste parole Jack spalancò gli occhi e il cuore cominciò a pulsargli nel petto come mai prima. Le mani, che tremavano sempre più, iniziarono a sudargli e si serrarono ai bordi della lettera. Quindi aveva ragione, era davvero successo qualcosa di grave. Cominciò a sudare freddo e, con il cuore in gola, continuò.
“Qualche settimana fa, tua sorella si è recata al Forno*, come tutti i giorni, per comprare il pane per il pranzo e delle stoffe. Come al solito, le ho raccomandato di essere prudente e di non stare via per molto. Dopo quel che è successo a te, sono sempre stata molto apprensiva con lei, ma a quanto pare, non si è mai troppo attenti, e il destino ci gioca sempre brutti scherzi.
E' scoppiato un incendio. Nessuno sa come, fatto sta che è successo. Delle persone che hanno assistito alla scena mi hanno detto che c'erano fumo e fiamme ovunque, e si potevano udire delle urla da fuori.
Emma era riuscita ad uscire. C'era riuscita. Ma quando si è accorta che due persone erano rimaste intrappolate, ragazzini di undici, forse dodici anni, non è riuscita a trattenersi ed è corsa all'interno per portarli fuori. Ce l'ha fatta. Li ha portati entrambi all'esterno. Ma mentre lei stava per uscire, delle assi sono crollate. E lei se n'è andata. Un secondo, è bastato un solo secondo, e lei non c'era più.
Avrebbe potuto farlo chiunque, un adulto avrebbe potuto salvarli, ma è toccato alla mia piccola, alla mia bambina, che proprio come suo fratello, ha messo gli altri davanti a se stessa, ha deciso di essere un'eroina. E come suo fratello, se n'è andata alla giovane età di diciassette anni.
Tesoro mio, figlio adorato, il mio cuore ormai è distrutto dopo aver perso così tanti cari. Una moglie può resistere alla morte del marito grazie all'amore e al sostegno dei suoi figli. Una madre può sopportare a stento la morte di uno di loro, ma come si può vivere dopo che anche l'ultima ragione di vita rimasta ti viene portata via?
Stalle accanto, prenditi cura di lei e fa che stia bene.
Pregherò per voi e non vi dimenticherò mai.
Vi amo così tanto.
Mamma”

 

Stavano perdendo sempre di più le speranze; ormai erano passate quasi due settimane dalla scomparsa di Jack e non sapevano più dove cercare. Nord, con la sua slitta, aveva solcato i cieli notturni per giorni in cerca del ragazzo, ma Bunnymund aveva ragione: quel ragazzo era bravo a non farsi trovare. Questi erano stati i pensieri di Tooth mentre se ne stava seduta nell'ufficio di Santa Clause, in attesa di notizie.
Aveva cercato di tenere alto il morale degli altri durante l'assenza del loro quinto guardiano, aveva tentato di alimentare la speranza, ma la verità era che anche lei stava perdendo quella poca che le era rimasta.
Nella stanza, sia lei che Sandman che il coniglio pasquale erano in silenzio, ognuno perso nei suoi pensieri. Nord, ormai, passava tutte le sue giornate davanti all'enorme globo ad osservare, in caso si fosse presentata dell'attività magica, sicuramente ad opera di Jack.
“Fa che stia bene” pensava la fatina, senza sapere bene a chi si stesse rivolgendo “Oh ti prego, fa che stia bene”.
Ad un certo punto, proprio mentre Bunnymund stava per dire qualcosa, la porta si spalancò di colpo e Nord si precipitò nella stanza, affannato per la corsa.
-Dobbiamo partire immediatamente! Subito! Il prima possibile! - esclamò tutto d'un fiato.
A quelle parole, i tre scattarono subito in piedi e fissarono i loro occhi spalancati sull'uomo, in attesa di chiarimenti. Ma in realtà, Tooth sapeva cosa stava succedendo.
Capendo che tutti stavano aspettando una spiegazione, Santa Clause cercò di contenere la sua impazienza e, con un barlume di speranza negli occhi, un barlume che i guardiani ormai avevano quasi dimenticato, disse semplicemente:
-Si tratta di Jack. L'ho trovato.

 

Non era riuscito a trattenersi. Era troppo per lui. Quella era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Prima l'incidente, poi questo.
Non era riuscito a trattenersi.
Intorno a lui, la tempesta imperversava: la neve aveva iniziato a cadere furibonda e gli alberi intorno al lago si dimenavano come deboli steli d'erba. Il cielo era diventato grigio, freddo, coperto da un fitto strato di nuvole. Era uno spettacolo agghiacciante e bellissimo al tempo stesso.
E in tutto questo caos, Jack sentiva soltanto un forte ronzio alle orecchie. Non percepiva alcun suono, soltanto quel ronzio incessante. Non era in grado di udire le urla di frustrazione e rabbia che provenivano dalla sua gola e che gli facevano bruciare le corde vocali, né il vento che ululava ferocemente fra i rami. Era come se fosse in una campana di vetro, come se tutto ciò che stava vivendo non fosse reale.
Ma lo era, ed era questo che lo irritava maggiormente. Era tutto assolutamente ed innegabilmente reale.
Era reale che sua sorella fosse morta, tanto tempo prima, senza che lui non ne sapesse niente fino a quel momento. Era reale.
- Jackson
Un sussurro. Niente più che un flebile sussurro. Ma quel sussurro fu sufficiente a far sobbalzare dalla sorpresa il ragazzo.
- Jackson
Eccolo di nuovo. Non se l'era immaginato, lo sentiva davvero, qualcuno stava chiamando il suo nome, il suo vero nome. Jackson. Jackson Overland. Era come se risuonasse nella sua mente, lo sentiva nitido e chiaro, nonostante il rumore attorno a lui.
Guardandosi intorno, Jack riuscì a scorgere una piccola figura all'interno della bufera. Non riusciva a vederla chiaramente, ma si accorse che aveva qualcosa di strano: riluceva come una piccola fiamma incurante di tutto quel gelo, e si avvicinava incerta, quasi timorosa. Eppure c'era una qualche sicurezza nella sua andatura, come se fosse stata certa che lui non le avrebbe fatto del male.
- Jackson, non devi avere paura...
Finalmente, il misterioso individuo arrivò abbastanza vicino al giovane perchè lui potesse vederlo chiaramente. Gli occhi di Jack si poggiarono sul viso dello sconosciuto e il ragazzo rimase di stucco. Gli tornarono in mente le parole della lettera che sua madre gli aveva scritto: “...è toccato alla mia piccola, alla mia bambina, che proprio come suo fratello, ha messo gli altri davanti a se stessa, ha deciso di essere un'eroina”.
-...Sono io.
Sì, era lei.
- Emma...- fu l'ultima parola che il guardiano riuscisse a sussurrare prima che le parole gli morissero in gola. Si alzò faticosamente, indebolito dalla tempesta evocata, e si avvicinò ancor di più alla ragazza. Si guardarono, e in quello sguardo c'era tutto: nostalgia, sorpresa, dubbi su come lei potesse essere lì, ma soprattutto amore, quel tipo di amore che solo un fratelli e una sorella possono comprendere e di cui entrambi avevano sentito entrambi la mancanza per ben 300 anni.
Jack le gettò le braccia al collo, e quando sentì che lei era vera, quando la strinse a sé e capì che l'aveva ritrovata, scoppiò in un pianto liberatorio.
Intorno a loro, adesso, c'era solo silenzio.

Note:
*qui lo intendo come un luogo di mercato al chiuso

 

Spazio commento

Scusatemi, scusatemi, scusatemi. Sono tornata dopo un anno, sono una persona orribile, lo so. Il fatto è che quest'anno, fra scuola, sport e impegni vari ho avuto pochissimo tempo e non sono riuscita ad andare avanti. Ma ormai non potevo lasciare la fanfiction a metà sarei stata ancora più crudele, quindi ecco a voi. Meglio tardi che mai, no?
Insomma per farmi perdonare ho fatto un bel capitolo lungo, così vi ho tenuti un po' impegnati.
Spero davvero che vi sia piaciuto, perchè mi ci sono impegnata molto, è un capitolo a cui tengo moltissimo, essendo uno dei capitoli conclusivi.
Beh, come sempre fatemi sapere cosa ne pensate e vi chiedo ancora scusa per la lunghissima assenza.

- Alebex

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Capitolo 8
*** Fuoco e ghiaccio ***


Fuoco e ghiaccio


Sopra di loro, il Sole splendeva imponente, come rinato dopo la forte tempesta che l'aveva soppresso precedentemente.
Si erano seduti su di un tronco ai bordi del lago ed erano stati in silenzio fino a quel momento. Si erano ritrovati entrambi a fissare inermi la neve sul suolo davanti a loro, senza avere il coraggio di pronunciare parola. Jack si voltò verso la sorella e, per la prima volta da quando si erano ritrovati, con la luce che la illuminava interamente, riuscì ad osservare ogni suo cambiamento.
Era cresciuta, moltissimo: aveva i tratti tipici di una diciassettenne, che raggiungevano l'equilibrio perfetto fra la giovinezza e l'età adulta, con quei lineamenti morbidi da ragazzina sul volto uniti agli occhi decisi di una giovane donna, attraversati da quella consapevolezza di chi ha vissuto tanto e conosce la vita, e dalla malinconia per il fatto che ce ne sarà sempre una infinita davanti, destinata a durare per sempre. Eternamente giovane. Immortale. Come lui.
Il suo corpo era cambiato spaventosamente e le differenze fra i dieci e i diciassette anni erano ben visibili: le forme infantili si erano trasformate in curve femminili. Le gambe snelle, le braccia magre ma forti, grazie ai lavori svolti nella sua vecchia casa, le mani delicate e chiare, insieme con il resto, creavano un corpo slanciato e agile.
La cosa che però colpì maggiormente il guardiano fu lo stravolgimento delle caratteristiche della sorella: i capelli, una volta castani e lisci, ora erano rosso fuoco, e il vento che muoveva quelle morbide onde scarlatte le faceva sembrare fiamme vive. La bocca era del colore delle ciliegie in primavera e la pelle era bianca come quella del ragazzo, ma invece di incarnare il gelo della neve, sembrava riflettere il calore del Sole.
E gli occhi, quegli occhi una volta color nocciola che erano stati gli stessi dell'umano Jackson Overland, erano adesso la cosa più stupefacente che il giovane avesse mai visto: era come se racchiudessero la brezza delle mattine d'aprile e il profumo dei fiori di maggio. Erano un tripudio di colori: il bordo dell'iride era di un blu scuro come le notti d'estate, mentre il nero profondo della pupilla era circondato da pagliuzze gialle e rosse. E a fare da sfondo, un azzurro come Jack non ne aveva mai visti: luminoso come il cielo in agosto e vivo come l'acqua del mare che si infrange sulle rocce.
Era bellissima, come mai l'aveva vista, e in quel momento il ragazzo capì quanto aveva sentito la sua mancanza.
Stanco di quel silenzio che ormai da troppo aleggiava nell'aria, distolse lo sguardo, alzò gli occhi al cielo e pronunciò tre semplici parole:
- Come è possibile?
In quel momento, Emma sembrò risvegliarsi da uno stato di trance. Si voltò di scatto verso il fratello ed incontrò i suoi occhi.
Era bellissimo, come mai l'aveva visto, e in quel momento la ragazza capì quanto aveva sentito la sua mancanza.
Sorrise, un sorriso malizioso identico a quello del fratello, ma che nascondeva una piccola malinconia, sospirò e distolse di nuovo lo sguardo.
- E va bene - disse piano - E' arrivato il momento.-



-Dannazione! Abbiamo perso il segnale -
Bunnymund era seduto accanto a Nord sulla slitta e stava controllando che la piccola luce roteasse ancora sulla mappa, lì nel punto in cui la concentrazione magica era più forte, quando improvvisamente quella luce si era dissolta.
- Beh, ormai l'abbiamo rintracciato. Se ci sbrighiamo riusciremo comunque a raggiungerlo- lo rassicurò il vecchio, mentre sterzava a tutta velocità per evitare un iceberg che rischiava di colpire la slitta.
- Accidenti Nicholas! - esclamò Tooth, spazientita – Potresti cercare di guidare un po' più attentamente? Pare di essere sulle montagne russe qui dietro! -
La fatina e Sandman, infatti, avevano preso posto dietro ai due conducenti e venivano sballottati a destra e a sinistra ad ogni curva spericolata intrapresa dal guidatore.
- Oh andiamo, Tooth, cerca di rilassarti! Dopotutto è piuttosto divertente. Guarda Sandy, lui apprezza la mia guida. Dico bene Sandy?
In effetti, l'omino dei sogni non sembrava disturbato da quel movimento continuo, anzi, esprimeva il suo consenso facendo apparire di continuo segni sulla sua testa e alzando le braccia al cielo proprio come su una giostra.
- Beh, come puoi biasimarlo? Facile non aver paura quando puoi evocare un pegaso di sabbia magica che ti salvi nel caso tu venga sbalzato fuori dalla slitta! - commentò la fata.
- Cosa ti lamenti, farfalla? Tu hai le tue belle alucce. Pensa a me piuttosto! Nonostante sappia saltare, mi sfracellerei al suolo in un istante! - si lamentò Bunnymund.
In effetti, il coniglio non sembrava essere molto tranquillo: le sue zampe erano serrate saldamente al bordo del veicolo e la sua espressione non era una di quelle che esprimono sicurezza.
- Farfalla?! Ti informo che sono un colibrì e che...
- Oh insomma, ragazzi, fatela finita! - si intromise Nord - Stiamo per ritrovare Jack! Dobbiamo essere felici, non battibeccare fra noi come un branco di...
- Nord, attento! - urlarono in coro Tooth e Bunnymund.
Avevano, infatti, raggiunto la taiga canadese e sfrecciavano a tutta velocità fra alte conifere della foresta. Sfortunatamente, una di esse era sfuggita alla vista del vecchio Nicholas e il gruppo si era ritrovato a precipitare verso il suolo con la slitta sfuggita al controllo. Le urla dei componenti si univano allo scoppiettio del motore della slitta, ormai fuori uso. Quando il velivolo finì per strusciare rumorosamente a terra e fermarsi scontrandosi con un albero, Santa Clause decise di aprire gli occhi e guardarsi intorno. La prima cosa che notò furono gli sguardi assassini che i tre compagni gli stavano rivolgendo: Sandman con una nuvoletta di sabbia fumante sul capo, la fatina dei denti con le penne tutte arruffate e Bunnymund con le orecchie dritte e il pelo irto sul corpo.
- Ehm...ehi ragazzi...- balbettò Nord, dando un'occhiata al malmesso mezzo – Non è che...ecco...qualcuno di voi ha provveduto ad un motore di scorta?-


Spazio Commento
Ecco a voi il capitolo 8! Spero che vi sia piaciuto e come sempre le recensioni e i vostri pareri sono bene accetti.
Ditemi anche se la nuova Emma da me inventata e descritta vi è piaciuta. Io la immagino bellissima con quei capelli rosso fiamma. Nel prossimo capitolo, capiremo bene cos'è diventata e spero di riuscire a pubblicarlo a breve anche se sarà difficile visto che in questa settimana ho diversi impegni.
Vi mando un grosso abbraccio e grazie a quelli che seguono la mia storia.
- Alebex

 

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