Under World

di OrenjiAka
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Aiuto ***
Capitolo 2: *** Problemi ***
Capitolo 3: *** Inaspettato ***
Capitolo 4: *** Soluzioni ***
Capitolo 5: *** Mattino ***
Capitolo 6: *** Incontri sul Tamigi ***
Capitolo 7: *** Un ubriaco, un idiota e un boia di fiducia ***



Capitolo 1
*** Aiuto ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Eichiiro Oda; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.



Capitolo 1, Aiuto


Tre sono i punti fondamentali per iniziare questa storia.

Punto primo: i discorsi, se riguardano la politica, sono sempre troppo lunghi.
Come quello che l’uomo in frak dall’aspetto fantomatico stava leggendo, eppure tutta quella folla era rimasta ad ascoltarlo per una buona mezzora.
Ci si stupiva sempre di come le persone fossero attratte dalle esecuzioni pubbliche.

 
 “Dove diavolo sei finito?”.

Punto secondo: lo spettacolo di un uomo che è giustiziato, per quanto Scotland Yard cerchi di farlo sembrare più bello e interessante possibile, avrà sempre uno spettatore che non lo gradisce: il condannato.
Chiunque avrebbe dubitato fortemente che l’uomo sul patibolo fosse felice di essere lì, ad aspettare la propria condanna e, sopratutto, ad ascoltare il sopracitato discorso politico.

 
“Perché non esci fuori, stupido?

Punto terzo: il boia, sebbene debba ammazzare solo uno, fa paura a tutti.
Sarà stato forse il cappuccio nero calato sul volto, o le braccia muscolose dalla carnagione ambrata che fuoriuscivano dalle maniche nere, ma l’esecutore emanava un’aurea negativa che dava, a chi gli lanciava un semplice sguardo, l’apprensione di un condannato.


«Vuoi dire le tue ultime parole, signor... emh, signor... », Buggy infilò le dita in un taschino del frak, prese un foglietto e lo studiò da cima a fondo. «Qual è il tuo cognome? Qui non c’è scritto!».
Il ragazzo sospirò: «Non ce l’ho un cognome».
«Allora di’ il nome!».
«Sanji», mormorò il condannato. «Mi chiamo Sanji».

 
“Cosa c’è, Marimo? Non riesci a mantenere la parola data?

Il boia si avvicinò al futuro cadavere, prese il cappio e lo legò al collo sottile. Per poco non lo strangolava prima del tempo.
Buggy fece un cenno con la mano, un brivido percorse la chiena del biondo: «Ora».
Il boia abbassò la leva. Sanji cadde sulla schiena, l’impatto col terreno di pietra gli strappò un lamento strozzato. Era vivo. Sotto il patibolo ma vivo. Ancora legato, l'altra estremità del cappio gli penzolava sul petto. Qualcuno l’aveva tagliato.
«CHE RAZZA DI SCHERZO È QUESTO?».
Sanji alzò lo sguardo. Buggy era affacciato alla botola del patibolo, accanto al boia. Strillava come una gallina spennata. Tirò fuori una pistola: «Non so come tu abbia fatto ma l’esecuzione ci sarà lo stesso!».
Un attimo dopo aveva lasciato cadere l’arma a terra e soffiava sulla ferita da taglio sulla mano.
Il giustiziere si buttò nella botola, prese il ragazzo per il collo e diede un colpo ben assestato di spada per rompergli le manette.

«Mi stavi facendo preoccupare», Sanji si massaggiò i polsi.
L’esecutore si tolse il cappuccio mettendo in mostra i capelli verdi che incorniciavano un volto dai tratti duri: «Ho avuto qualche contrattempo».
Rumore di spari. I due scapparono, mentre un piccolo gruppo di soldati li inseguiva brandendo le loro armi.

«Dov’è che stiamo andando?», chiese Sanji correndo.
«Ti rendi conto di cosa mi hai fatto passare per venirti a liberare?».
«Fammi indovinare: hai sfidato a una gara di bevute il boia, che si è ubriacato e gli hai rubato i vestiti. Non mi pare chissà quale grande impresa».
«Se solo avessi saputo sin dall’inizio quale boia dovevo stordire».
«Sei proprio un caso perso, Marimo. Mi vuoi dire dove stiamo andando?».
Zoro frenò e si voltò: «Li abbiamo seminati».
«Dove dobbiamo andare?», Sanji si era fatto più insistente.
«Al patibolo. Il tuo amico che parlava al vento aveva un portafoglio, di quelli cuciti a mano, non rimarrà nella sua tasca ancora per molto».
Sanji inarcò le sopracciglia: «Non se ne parla: io non ci ritorno lì».
«Quel tipo col naso rosso non era proprio uno di strada, come noi. Hai presente quanto pagano un impiegato del governo?».
Non era facile né per loro due né per molti altri trovare un bottino proficuo. E se l’occasione faceva l’uomo ladro, la fame li avrebbe resi suicidi.
Sanji sospirò: «Marimo...».
«Che c’è adesso?».
«Volevi andare verso il patibolo, ma mi hai trascinato dall’altra parte di Londra».
Zoro guardò a destra e a sinistra: «Probabilmente mi sono perso».
«Muori, Marimo».

 
~~~

Niente esecuzione, niente pubblico. Tutti gli spettatori se ne erano andati con la bocca asciutta, i soldati stavano ancora cercando l’evaso e il suo complice e solo Buggy rimaneva sul patibolo facendosi medicare la ferita da un suo amico.
«Si arrabbieranno di sicuro, quelli del governo!», il clown morse le unghia della mano libera. «Sì, ne sono certo! Come farò? Come farò?».
«Quando sapranno che lo hai persino avuto sotto il mirino, non ci vedranno più dalla rabbia».
Buggy impallidì per la paura: «U-Un vero amico dovrebbe essere incoraggiante!».
«Un vero amico però dice sempre la verità!» replicò Mr. 3.

Due persone di nostra conoscenza si nascosero sotto il patibolo. I raggi del sole passavano tra le assi del palco e illuminavano a tratti i due ragazzi.
«Che armi abbiamo?», Sanji si sfregò le mani.
Zoro posò la mano sull’elsa della sua katana: «Io ho la mia spada».
«Quand’è che capirai che siamo nel diciottesimo secolo? Ti decidi a usare un’arma da fuoco?».
«Parli tu, che per non utilizzare le tue docili manine usi una pistola. E ora che te l’hanno sequestrata che fai?».
Il biondo ignorò l’ultimo commento e sfilò la spada dal fodero dell’altro.
Zoro non la prese bene, sussultò: «Che vuoi fare?».
Sanji fece passare la spada tra le fessure delle travi del patibolo, dietro Buggy. Alzò con la punta della spada il portafoglio. Non si accorsero di nulla. Il ragazzo era abituato a fare cose del genere.
«Bella mossa», ammise Zoro.
Il portafoglio superò l’orlo della tasca e cadde giù, fece un tonfo quando andò a sbattere contro le assi.
«Dovevi pensare anche a questo, però».
Sanji sbruffò, si rimboccò le maniche: «Quello lo prendo usando “le docili manine”».
«Se ti beccano di nuovo, ti lascio sulla forca», lo ammonì.
Il biondo uscì allo scoperto senza movimenti bruschi. I due litiganti erano occupati a discutere.
Sanji tese la mano verso la refurtiva. Il portafogli era troppo distante, dovette affacciare tutta la spalla per avvicinarsi. Lo afferrò.
Finalmente avrebbe potuto comprare degli ingredienti veri, non la solita sbobba. Avrebbe dovuto comprare anche i farmaci.
«Ehi!».
Buggy schiacciò col piede il braccio del biondo. Sanji si lasciò scappare un gemito.
«Tu!», lo riconobbe subito, «Non è ancora troppo tardi per un’esecuzione».
«Salve!». Buggy si voltò e prese in pieno un gancio destro di Zoro. Crollò a terra, Mr 3 corse da lui.
«Non avevi detto che non mi avresti salvato?», Sanji afferrò il portafoglio.
«Credimi, avrei voluto. Ma che avrebbe detto Rufy?».
Saltarono dal patibolo e corsero più veloci che potevano. Buggy si alzò, le dita gli tremavano ancora per quel pugno in pieno viso e tappavano il naso grondante di sangue. Con la mano ancora sporca del liquido cremisi Buggy afferrò la pistola dalla tasca e la puntò sul biondo.
Bang!
 
~~~

Zoro poggiò il corpo tremante dell’altro contro la parete del vicolo. Sanji usò le poche forze che gli rimanevano per sedersi. Gli avevano sparato e non stava bene per niente. Da dietro la spalla scendevano fiotti di sangue rosso vivido e caldo. E non solo il sangue, ma tutto il corpo di Sanji era bollente. Zoro si voltò verso la sua destinazione.
«Non ci pensare nemmeno», era la voce di Sanji che lo voleva fermare.
«Hai anche la febbre», mormorò Zoro. «Sembri uno straccio usato. Dovrei lasciarti morire?».
«Non credo che la cosa ti dispiaccia».
Almeno gli era rimasto il senso dell’umorismo. Peccato che sulle sue condizioni non ci fosse molto da scherzare. Era per questo che Zoro stava per fare qualcosa di ben poco divertente.
«Dannazione», strinse i pugni.
Era in una situazione disperata e quello era l'unico emporio nel raggio di miglia. E non aveva soldi. Gli toccava rubare. Usop...
«Non te lo perdonerà mai», Sanji aveva anticipato i suoi pensieri. Stavolta Zoro non rispose e s’incamminò verso la sua meta.

Ci mise pochi istanti a rompere il lucchetto della porta del magazzino. Il vero problema fu trovare qualcosa di utile: c’erano così tanti scaffali che si era già perso. Era alla ricerca di bende.
«Forse servirebbe anche del disinfettante», pensò. Fece mente locale di quello che doveva prendere e non toccare nulla di più. Non si sarebbe fatto tutti questi scrupoli se solo fosse andato in un altro posto.
La sua attenzione fu catturata da bottigliette di antibiotico, ben ordinate e con le etichette in vista.
A Londra c’era un’epidemia. I ricchi si compravano due o quattro di quelle bottigliette e si salvavano. Zoro e gli altri avevano sì e no i soldi per comprarsi cibo vagamente digeribile, qualcosa di raffinato come un antibiotico era troppo per loro. La tentazione di prendere una di quelle era tanta. Poi si ricordò di Usop, e a malincuore lasciò i medicinali.

 
~~~

«Ragazzina!». Si voltò.
«Kuroobi si è preso l’influenza», continuò lui.
Sul suo volto apparve un sorriso sghembo: «Fai un salto dal dottore?».

~~~

Zoro aveva una confezione di garze e una bottiglia di disinfettante. Andò verso l’uscita e notò qualcosa che non andava: le bottigliette di antibiotico erano sparite. Tutte. E lui non le aveva toccate.
«Sei un idiota se con tutto questo ben di Dio prendi solo quelli!».
Si voltò. C’era una ragazza dai capelli rossi con sacco traboccante di medicinali caricato sulle sue spalle. «Sei una ladra».
«Direi di sì».
«Non era una domanda».
«Allora la mia non era una risposta». La rossa era rilassata, perfettamente a suo agio. Un ladro non lo sarebbe stato se avesse trovato un fuoriprogramma come Zoro durante un colpo. O forse lei non lo considerava come un problema difficile da risolvere. A questo pensiero lo spadaccino s’innervosì.
«Tranquillo, ci penserò io a fare piazza pulita di questo posto», la ragazza non poté fare un passo di più che sentì il rumore di metallo sfregato: «Una spada?».
Zoro annuì: «Una katana, per l’esattezza».
«Siamo nel diciottesimo secolo e tu te ne vai in giro con una spada?».
La tempia gli pulsò: «
È possibile che la pensiate tutti allo stesso modo?».
Un rumore, una luce che prima non c’era dall’altra parte della sala.
«Merda!», Zoro s'irrigidì. Era la padrona del posto che prendeva le scorte.
«Io qui», la rossa tirò fuori una delle costosissime bottigliette dal suo sacco, «ho finito».
Lasciò la presa. Il medicinale sprofondò nel vuoto fino al suo impatto a terra. Il vetro si ruppe in mille pezzi, rumorosamente.
«Chi c’è?», urlò la padrona.
Zoro scappò in direzione opposta alla voce. Stava per voltare l’angolo tra uno scaffale e l’altro quando sentì la presa su un braccio. Una mano femminile, e sapeva benissimo di chi si trattava.
“Usop, perdonami” pensò.
«Ehi».
Aprì gli occhi. Era la rossa di poco prima: «L’uscita è dall’altra parte».
La ragazza lo trascinò per un’altra direzione e i due arrivarono alla porta. «Ci si rivede!».
Zoro rallentò il passo fino a fermarsi. I suoi occhi erano fissi sul sacco caricato sulle spalle esili della ragazza. Perché no? Seguirla, raggiungerla e riprendere le bottigliette, poi restituirle di nascosto.
Sospirò.
«Che non accada mai!», la salutò di rimando, correndo contro la sua volontà dall’altra parte.
Sarebbe stato bello, ma la padrona del posto lo stava inseguendo, Sanji era abbandonato in un vicolo e la rossa lo aveva aiutato.
Lo spadaccino si nascose dietro un angolo. Una ragazza fece capolino dalla porta: guardò a destra e a sinistra, ma non c’era nessuno. Si portò una mano sulla testa nel vedere il lucchetto rotto. Una lacrima rigò il suo volto.
No, Usop non l’avrebbe mai perdonato per aver fatto questo a Kaya.









N.d.A.
Salve a tutti, sono l’autrice.
:D
È il primo capitolo di questa storia e vorrei ringraziare chiunque sia arrivato a leggere fino a queste righe. Davvero.

Cominciamo dal capitolo: avrete notato che è piuttosto movimentato. Per il secondo avrò già spiegato molto della situazione del personaggi, tranquilli.
Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate, cosa non vi piace e farmelo sapere, sia con recensioni che con qualsiasi altro mezzo. Sarebbe molto utile!

Mi rendo conto che il titolo potrebbe apparire scorretto: “underworld” significa malavita o inferno, invece io volevo indicare proprio il significato letterale, ovvero “sottomondo”.
Perché usare proprio Londra nel 18esimo secolo? Perché è un luogo con mille sfaccettature: da una parte i ricchi, che qui non si sono ancora visti. Dall’altra... chi non può permettersi più di tanto.

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto abbastanza  da convincervi a leggere anche il prossimo.
Ciao!

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Capitolo 2
*** Problemi ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Eichiiro Oda; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.



Capitolo 2, Problemi


 

C’era una cosa che Zef voleva mettere bene in chiaro:

non era il padrone del Circus Galop. 

Toc toc!
Bussavano alla porta.
Si era fatto buio. La stanza era illuminata da un mozzicone di candela acceso.

Lui era un cuoco.
E lavorava per il Circus Galop.
Un circo che trovava così tanta clientela a Londra da non aver bisogno di spostarsi.
O almeno era questo che dicevano in giro.

Zef si alzò, zoppicò sulla gamba di legno e aprì.
Fece una smorfia: «Salve, capitano».
Smoker annuì come risposta.

Ma se bisognava cercare qualcuno che dirigeva con il pugno di ferro tutta la combriccola
e che risolveva i problemi più grossi con serietà,
allora in quel caso si parlava di Zef.
Ma lui continuava a sostenere di non voler essere il capo.

«Vedo che è venuto per il solito», abbassò lo sguardo fino a incontrare due certi topi presi per la collottola dallo Yard.

Un po’ come Garp,
 che sebbene avesse una promettente carriera a Scotland Yard
 non accettava promozioni oltre un certo grado, per avere meno responsabilità.
Peccato che oltre alle responsabilità dal lavoro
Garp avesse deciso di esonerarsi dalle responsabilità della famiglia.
Per esempio, lasciando a Zef due piccoli guastafeste
che ormai erano inevitabilmente diventati grandi.

«Ciao nonnino!».
«Yo, da quanto tempo!».
Con un cenno Zef fece entrare lo Yard. Sbruffò: «Che cosa ho fatto per meritarmeli?».
Da dietro le spalle larghe di Smoker Tashigi sorrideva: «Ci facciamo la stessa domanda tutte le volte che li catturiamo».
Sia lei che il capitano venivano spesso a fargli visita. Ormai erano di famiglia.
«Hanno di nuovo mangiato in un ristorante senza pagare», Smoker lasciò la presa sui due ragazzi.
Zef si strofinò i baffi, sospirò: «Ebbene? Cosa ci fate voi qui?».
Tashigi rifletté: «Non lo so. Capitano, che ci facciamo noi qui?».
Smoker grugnì: «Non ne ho idea. Ragazzi, che ci facciamo noi qui?».
Ace sorrise: «Vi avevamo offerto un tè prima di passare dalla prigione».
«Giusto», disse il capitano.
Zef digrignò i denti: «Te lo sogni di usare il MIO tè per corrompere i TUOI sbirri!».

Toc Toc Toc!
Bussavano alla porta. Fu catturata l’attenzione di tutti.
TOC! TOC! TOC!
Divenne più insistente.
«Arrivo!», Zef zoppicò verso la porta.
TOC! TOC! TOC! TOC! TOC! TOC! TOC! TOC! TOC! TOC! TOC! TOC!
«Smettetela di fare tutto questo casino! Non potete aspettare un minuto?», aprì.
Zoro era ricoperto di sangue dal petto un giù, buona parte era già scura e incrostata. Non era il suo. Sanji era appeso per il suo braccio che passava dietro la nuca dello spadaccino. Il contrasto tra il cremisi del suo sangue e il bianco della sua pelle era impressionante.
Zoro rispose: «Un minuto e sarà già troppo tardi».
~~~

Il tavolo fu spogliato della tovaglia, Sanji fu messo prono su di esso. La sua maglia fu tagliata, così come le bende inzuppate di rosso. La pelle era tesa come se fosse stata sfregata più e più volte. Dall'ultima volta che Zoro le aveva dato un’occhiata, la ferita si era ingrossata. La cute era lucida e umida, col sangue fuoriusciva una sostanza viscida. L’odore che emanava era nauseante.
«Si è infettata», mormorò Chopper. L’idea di spostare Sanji in un’altra stanza era stata sua. Prese un utensile e lo passò su una fiammella.
«Credevo di averci già pensato», sussurrò Zoro.
«Se disinfetti solo una parte della ferita non basta. Non hai usato alcol, vero?».
Chopper abbassò lo strumento, il contatto con la carne lesa fu devastante. Sanji si ricurvò sulla schiena con un gemito.
Zoro lo sentì come se fosse stato sulla sua pelle: «No».
Chopper infilò la lama nel buco di pelle e il biondò si dimenò. «Cosa hai usato allora?».
«Un normale disinfettante».
«E dov’è che l’hai preso?», Chopper cercava di tenere fermo il paziente, con scarso successo.
Non ci fu alcuna risposta.
«... Zoro?», Chopper si voltò.
L’altro stava tremando, aveva gli occhi fissi su Sanji.
Fremé: «Sono sicuro che Zef vorrà spiegazioni, va da lui».
Zoro annuì e uscì silenziosamente.

Si diceva che Zef in passato fosse stato un pericoloso criminale,
ma nessuno conosceva la sua storia prima dell’entrata nel circo.

Un minuto prima c’era stata una discussione accesa tra gli Yard e i due fratelli, ora rimaneva solo Zef che fissava la fiamma della candela con un gomito sul tavolo. Adesso lo spadaccino doveva solo dare le spiegazioni.
~~~

«Wire, Heat!».
Si voltarono. Il loro capo sembrava particolarmente contento.
«Stasera usciamo e andiamo a provare il nostro nuovo “giocattolo”», mise la mano su un telo che copriva un oggetto alto un metro e mezzo o giù di lì. «Tenetevi pronti».
~~~

«Fammi capire bene», Zef si stropicciò i baffi. «Hanno sparato a Sanji perché era evaso, era evaso perché lo avevano condannato a morte, era condannato a morte per furto... e il ragazzino si è fatto catturare perché durante l’inseguimento ha urtato una signora e non poteva non aiutarla?».
Lo spadaccino rifletté: «Sì».
«Oh, bene, abbiamo il premio di miglior casinista dell’anno. Ora sì che ha sorpassato Ace e
Rufy!».
Zoro prendeva in giro ogni giorno il cuoco. Era molto tentato di farlo anche in quel momento. Un'immagine glielo impedì: quella di un bisturi infilato sottopelle.
«E non fare quella faccia! Dovevi badare a lui, non beccarti una pallottola al posto suo», il sesto senso di Zef era qualcosa di fenomenale.
Un cigolio. La porta della sala operatoria improvvisata si aprì. Non era Sanji.
«Abbiamo un problema», Chopper si asciugò la fronte. «L’infezione l’ho sistemata, ma ha perso molto sangue, e ci sono solo due persone con il suo stesso gruppo sanguigno: l’S negativo».
Zef inarcò un sopracciglio: «E allora?».
«Una di queste è Robin, e nel suo stato non si tocca».
Robin, giusto. Zoro pensò alle bottigliette di antibiotici che aveva visto quel giorno.
«E l’altra?», chiese ancora il vecchio.
«L’altra persona... beh, è Brook».
Ci fu silenzio nella stanza. Lo spadaccino ruppe il ghiaccio: «Ma Brook non è uno scheletro vivente? Da dove...».
«Sì, sì, lo so. Non avrei nemmeno dovuto tenerlo in considerazione».

 
~~~

“Non c’è giustizia in questo mondo”.
Era una frase vecchia, un po’ banale.

La risata di Arlong riecheggiò in tutta la sala: «Tu... vorresti fare affari con me?».
Le labbra dell'uomo davanti a lui si aprirono in un sorriso. Non uno di quelli rassicuranti, era un ghigno che metteva i brividi: «Come ho già detto, sì».
Solo l’individuo accanto a lui sembrava non avere problemi con quel tipo, e non sorrideva mai.

Arlong trattenne l'ennesima risata: «Sentiamo, perché dovrei interessarti? Oltre al fatto che sono uno dei più forti di tutta Londra, intendo».
«A dire il vero ci sono parecchi personaggi più potenti di lei, signor Arlong».
Il sorriso sul volto dell’uomo pesce scomparve. Lui non ci fece caso: «Ma la rete di contatti che ha al suo servizio, quella è davvero affascinante!».
L’uomo pesce indugiò: «Dove vuole arrivare?».
Doflamingo si chinò in avanti: «Ha mai sentito parlare di “criminalità organizzata” ?».
Arlong si passò le dita sul mento: «Sì, parlarne. Ma persino a Scotland Yard mettono in dubbio l’esistenza di qualcosa del genere».
«Lei mette in dubbio o ci crede?», Doflamingo si sdraiò sullo schienale della poltrona.
«Se ci pensa, si diventa un criminale solo quando ci si stacca dalla legge per fare i comodi propri, a danno degli altri. Com’è possibile che tante persone che fanno i comodi propri si mettano d’accordo in una grande organizzazione malavitosa? Ognuno sarebbe tradito da quello accanto».
«Fufufufu!», Doflamingo rise di gusto. «Com’è possibile, allora, che nessuno dei suoi si sia ancora ammutinato?».
Silenzio.
«Mi risponda lei», fece Arlong, e lei era arrivata nel momento sbagliato.

L’aveva sentita così tante volte che ci aveva fatto l’abitudine.
Eppure in quel momento credeva di capirla completamente.

«Ah, Nami!», la salutò l’uomo pesce.
«Ciao», la ragazza s'interessò ai nuovi arrivati. «Voi due sareste?».
Doflamingo sogghignò, si rivolse ad Arlong: «Credevo che con te lavorassero solo uomini pesce grandi, forti e brutti...».
L’altro assunse un’espressione irritata.
«... e quella rossa è con te?».
«Il suo nome è Nami», la indicò. «E sì, lavora per me. Quindi non provare a metterle le mani addosso».
Già, perché era proprietà di Arlong e non si toccava. Lei odiava quella situazione.
«Calma, calma. Quanto siamo gelosi!», ironizzò il biondo. «Forse un po’ troppo. Non sarà la tua donna da comodo, eh?».
Un sibilo. Il coltellino serramanico non raggiunse il metro di distanza da Doflamingo. Il suo sottoposto teneva stretto il polso della ragazza. 
«Non ci siamo, Nami», Arlong socchiuse gli occhi.
Vergo stritolò l’arto. Lei emise un gemito acuto e il coltellino le cadde dalle mani.
«Non si trattano così gli ospiti», continuò l’uomo pesce.
Nami respirò pesantemente. Bramava di poter sfogare l’odio accumulato negli anni che provava per Arlong, e quello istintivo e impetuoso per il nuovo arrivato. Il mondo, però, era ingiusto e lei non poteva fare niente di tutto questo: «Ho fatto quello che mi hai chiesto, ho trovato le medicine».

«Kuroobi si è preso l’influenza» continuò lui.
 Sul suo volto apparve un sorriso sghembo.
 «Fai un salto da un dottore?».

Lei di certo non avrebbe rubato un’intera scatola di medicine per una sola persona. 
Kuroobi non era così simpatico da farla uscire dagli schemi.

 
«Quante ne hai prese?».
«In quel negozio erano rimaste solo tre o quattro bottigliette, ma sono abbastanza per un malato».
«Puoi andare», Arlong la congedò con un cenno.
Nami risistemò la tracolla scivolata in tutto quel trambusto e si allontanò. Non sentiva gli occhi di Doflamingo puntati su di lei.
«Rossa», alzò la mano, le sue dita assunsero una posizione contorta. La tracolla di Nami cadde a terra, tutto il suo contenuto scivolò fuori. Comprese una decina di bottiglie di antibiotico. «Non lo sai che non si dicono le bugie?».
Nami sentì il sangue gelarle nelle vene. Avrebbe dovuto nasconderle prima ancora di entrare.

«Tenere certe cose nascoste al tuo capo non è carino da parte tua, fufufufu!», Doflamingo ridacchiò. Le spalle le tremarono.

Era già morta sua madre per quella dannata influenza.
Adesso stava morendo sua sorella.

«Oh, tranquilla. Non me la prenderò con te», il tono di Arlong era calmo. «Quando Kuroobi starà meglio lascerò fare a lui».
Nami annuì, proseguì verso l’uscita nel modo più impassibile possibile.

Arlong le dava la possibilità di avere da mangiare, in cambio di lavorare per lui.
Niojiko non poteva sopravvivere in eterno così, aveva bisogno di medicine.
L’uomo pesce impediva l’arrivo dei farmaci: sapeva che una volta arrivati, Nami sarebbe scappata.

«Che stavamo dicendo?», Doflamingo piegò la testa all'indietro.
«Mi avevi chiesto perché nessuno dei miei si fosse ancora ammutinato, avevo lasciato a te la risposta».
«Oh, ma è più semplice di quanto creda. Lei ha rispetto, signor Arlong, perché lei incute timore. Quella rossa era talmente terrorizzata che ora sono sicuro che avrà rispetto per lei. Perché la linea tra rispetto e timore è sempre stata così sottile da non essere quasi mai considerata. Timore significa rispetto, rispetto significa potere. Ora, immagini quanto timore possa incutere un’enorme organizzazione criminale».
 
~~~

Avevano un piano.
O meglio, l’aveva avuto Zef.
Zoro e Brook stavano solo eseguendo gli ordini.
«Zoro-san, la gioielleria è questa».
Lo spadaccino sciolse una bandana dal braccio sinistro, nera come lo era il cielo di quella notte, e la legò sulla testa. Un ladro di solito si copriva il viso, ma i capelli verdi sarebbero stati sufficienti a identificare Zoro.
«Avranno una porta sul retro?», Brook si rimboccò le maniche.
«Non credo, non avrebbe senso per una gioielleria. Dovremo entrare dall’ingresso».
Lo scheletro prese dalla tasca il grimaldello: «Era da tanto che non scassinavo un lucchetto, yohohoho!».
 


 
 
 
*Il grimaldello è uno strumento utilizzato per aprire serrature senza avere la chiave.
 
 
 


N.d.A.
Sono tornata.
Ciao! :D
Vorrei ringraziare ancora una volta chi è arrivato a leggere fino a questo punto.
. <-- il punto
Hahaha!
No. Non fa ridere.
Perdonatemi il delirio, non ho resistito.
Vogliamo darci dentro con le note?

Circus Galop è il nome di una canzone per piano scritta da Hamelin Marc-André.
La canzone in questione però non può essere suonata da alcun essere umano, perchè alcuni pezzi richiedono la padronanza di ventuno note simultanealmente.

Brook è uno scheletro vivente.
Perché se in questo Alternative Universe non ci sono frutti del diavolo?
Perché, infatti, lui è uno scheletro vivente a causa di qualcosa che non sono i frutti del diavolo.
Vi farò leggere di lui, ovviamente.
 
La descrizione della ferita di Sanji mi ha fatto aggiungere una nuova nota alla storia (la “Non per stomaci delicati”). Ma se devo essere sincera avrei voluto scrivere meglio quella scena.

Questo capitolo è stato molto più lento rispetto al primo, quindi pubblicherò il terzo prima.


Avevo paura che la mia storia non venisse seguita, eppure:
celiane4ever , EmmaStarr , Kaizokuo_Roger, michiru93 , SaraPallina l’hanno messa tra le seguite.
Harley Dell Clarence nemesis_inframe92 l’hanno messa tra le preferite.
E Akemichan, celiane4ever, love 666 e michiru93 l’hanno recensita. Ringrazio nel particolare chi mi ha fatto notare alcune imprecisioni: ho già revisionato il primo capitolo :)
Grazie mille.

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Capitolo 3
*** Inaspettato ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Eichiiro Oda; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.



Capitolo 3, Inaspettato


“Brook è un ottimo scassinatore”, dicevano.
Fosse stato vero, lo scheletro non avrebbe dovuto risvegliare Zoro quando la porta della gioielleria fu aperta, nè si sarebbe preoccupato per la complessa serratura del caveau.
«Questa è diversa da quella di prima, ci vorrà più di tempo», Brook passò una sacca vuota al ragazzo. «Inizia a prendere le cose qui intorno».
L’altro annuì e si diede da fare. Riempì il sacco di anelli, collane, bracciali... tutto ciò che poteva essere d’oro. Tra le cose preziose e brillanti spiccò nella sua semplicità un coltellino, dal manico laccato di rosso e dalla lama graffiata. Se lo rigirò tra le mani: non era di buona qualità. Che ci faceva lì?
«Yohohoho! Signorina, potrei vedere le sue mutandine?».
Zoro si voltò. La porta era aperta, la lampada del caveau accesa, Brook era stato messo K.O. e una figura faceva capolino dalla porta. «Chi si rivede!».
Quale divinità tanto crudele aveva infastidito col suo ateismo per aver di nuovo incontrato quella ladra dai capelli rossi?
«Ah, quel coltellino è mio. Me lo ridai?».
Zoro grugnì e lanciò l’oggetto verso la ragazza: «Che ci fai qui?».
Nami sistemò il sacco sulle spalle: «Un po’ di sana vendetta. Questo posto appartiene a un tizio che oggi mi ha fatto tanto, tanto arrabbiare. Invece tu che ci fai qui?».
«Fatti miei. Vedi di non crearmi problemi!».
«Io? Anche tu crei qualche problema, sai?».
«A dire il vero, signorina, qui stiamo creando tutti qualche problema», Brook fece notare, ancora per terra.
Nami sbruffò e caricò due sacchi stracolmi sulle spalle: «Io ho svaligiato il caveau, voi il resto. Ora che siamo tutti contenti me ne vado via».
«Col cavolo!», Zoro tirò fuori la sua spada. «Tutti sanno che nel caveau c’è più roba, così non siamo pari!».
Brook si alzò: «Zoro-san, forse potremmo chiudere un occhio per questa volta...».
«Hai idea di quanto oro voglia Shiryu per quel genere di cose?». “Hai idea di cosa mi farà passare Usop per colpa sua?”, questo non lo disse.
«Dite quello che vi pare, io me ne vado!», lei tornò sui suoi passi.
L’idea primordiale di Zoro era di affettarla. Un rumore da dietro il muro del caveau sorprese tutti. Era sempre più forte. La trivella penetrò la parete e la fece crollare. La nuvola di polvere svanì. Lunghi capelli bianchi e una cicatrice sulle labbra caratterizzavano il primo volto che videro. «Clienti? La gioielleria è ancora aperta?».
«No. Questi sono ratti di fogna, ladruncoli», un altro ragazzo sollevò dagli occhi un paio di goggle. «Voglio dire, noi non siamo certo dei bravi ragazzi per eccellenza, ma perlomeno abbiamo il nostro lato affascinante... sbaglio, Killer?».
Un uomo dal volto coperto da un casco a strisce entrò: «Giustissimo».
Nami si voltò verso lo spadaccino: «Amici tuoi?».
Zoro sospirò: «È difficile farsi amico qualcuno come Eustass Kidd».
~~~

La porta si aprì.
Sanji si svegliò. Abbassò lo sguardo e vide l’unica persona che non avrebbe voluto incontrare: «Non credevo fossi in grado di rimetterti in piedi».
Robin gli sorrise e arrancò lungo il perimetro della stanza: «Non lo sono, infatti. Ma sto mille volte meglio di te».
Il biondo avrebbe riso di gusto, una fitta alla testa glielo impedì.
«Zef ti aveva proibito di andare a rubare», Robin si sedette su una sedia, le gambe le tremavano.
«Il vecchio è un idiota: rubano tutti, perché io no?».
«Perché ti fai catturare sempre, in un modo o nell’altro».
Questo era vero, o Zef non gli avrebbe messo Zoro alle costole.
«Perché sei uscito oggi?», lei tossì, si coprì la bocca con la mano cerea.
«Oh Robin, il tuo sesto senso è impeccabile», si voltò è incrociò il suo sguardo. «Non ce la facevo a vederti ridotta in quello stato. Volevo fare qualcosa».
~~~

Kidd si massaggiò il mento: «Quindi lei è arrivata per prima, e ha svuotato il caveau».
Nami annuì, tenendo d’occhio la pistola puntata su di lei da Wire.
«Poi è arrivato lui, e ha svaligiato tutto il resto».
Zoro rimase in silenzio, con Killer e il suo marchingegno pieno di lame alle spalle.
«Poi siamo arrivati noi, e non c’era più niente da prendere. Mi piacerebbe pensarla come una storiella divertente e andare tutti assieme a prenderci un boccale di birra, ma non voglio farlo».

Se quelli erano lì, era perché volevano svaligiare la gioielleria Diamond.
Loro tre erano il loro bastone tra le ruote.
E la fama di Kidd non era proprio quella del buon samaritano.

«Ti pareva!», Nami lasciò cadere a terra la refurtiva.
Zoro teneva ben stretta la sua. Killer lo puntò: «Prendi esempio dalla rossa e finiamola qui, ragazzo».
Resistette per qualche minuto. Il sacco scivolò sul pavimento.
Sul viso di Kidd comparve un ghigno: «Così si ragiona. Solo non capisco perché fra le cose che hai preso c’è uno scheletro», squadrò da capo a piedi Brook. «Che ci fa uno scheletro in una gioielleria, poi?».

Rimasero immobili senza fiatare.
Morale della favola?
Brook fu scambiato per uno scheletro da esposizione.


Nami cambiò argomento: «Questa non è nemmeno una gioielleria al cento percento, è anche il centro del mercato nero di Doflamingo».
Killer inarcò un sopracciglio: «Davvero?».
«Non lo sapevate?».
Het e Wire si guardarono a vicenda: «Ecco... no!».
«Non sapete nemmeno di esservi messi contro uno dei più pericolosi esseri di Londra?».
Kidd fissò la rossa: «Io ancora non ho capito che ci fa qui uno scheletro».
«Sai», lo spadaccino prese la parola. «Qualche medico strano... hai presente? Anche loro sono ricconi... con qualche vizio... magari Doflamingo ha un amico dottore... a cui piacciono questo genere di cose... ».
Il rosso fece una smorfia. Zoro faceva schifo a mentire, e non di certo perché era un uomo d’onore.
«Credo di conoscerlo. Il dottore, dico», Kidd annuì.
Nami sbarrò gli occhi: «Davvero?».
«Sì, ma preferirei non aver mai incontrato quel tizio in tutta la mia vita».
«Sono cose che capitano», lo consolò Brook.
«Già, nessuno è... comediavolohafattoloscheletroaparlare?», il rosso era a bocca aperta. Davanti a lui, uno scheletro appartenuto a qualche povero disgraziato di chissà quanto tempo prima gli aveva appena parlato. Consolandolo.
«Yohohoho! Mi sono fatto scoprire!».
Zoro e Nami s’infuriarono: «SEI UN IDIOTA!». Zoro lo colpì alla nuca.
«Scu-scusate», balbettò massaggiandosi il nuovo bernoccolo.
Killer diede una spinta al rosso. L'altro scosse la testa e tornò in sè.
Zoro sollevò al volo Brook, afferrò per il braccio Nami e si scaraventò sulla strada.
Lo inseguirono con lame e pistole sguainate.

Gli spari rimbombarono nella mente dello spadaccino e ricordarono chi stava morendo dissanguato a casa.
In un vicolo c’era un edificio con la porta aperta, abbandonato. Zoro svoltò l’angolo e si chiuse dentro. Kidd e i suoi andarono dritto.
«Li abbiamo seminati, Zoro-san?», Brook scese dalle spalle del ragazzo.
«Sì... beh, no. Se siamo fortunati, ci metteranno un po’ a capire che qualcosa non va».
«E noi siamo fortunati?».
«Oggi non di sicuro. È già tanto che i loro spari siano andati a vuoto», si voltò. «Ma tu guarda, la rossa taglia la corda!».
Nami si fermò con una gamba già fuori dalla finestra: «Non vorrei disturbare quando torneranno qui e vi trasformeranno in Fish and Chips*».
«Aspetta solo che io li trasformi in sashimi», ironizzò Zoro.
Silenzio.
«Il sashimi è sushi».
Nessuno fiatò.
«È un piatto giapponese», continuò. «È pesce tagliato a fette sottilissime... ma che parlo a fare? Inglesi...».
«Zoro-san, ti ricordo che ci stiamo nascondendo da un gruppo d’inglesi malintenzionati, comandati da un inglese ancora più malintenzionato».
Nami rientrò: «Ma Eustass non è un nome greco?».
«Sì, ma in Inghilterra lo usano molto per un certo santo...».
Zoro grugnì: «Sicuri di voler parlare della nazionalità di Eustass? Avremmo altro da fare!».
~~~

Kidd non era uno col sangue freddo. Amava le stragi, le foibe, tutto il genere splatter. Non sopportava quelli che lo prendevano in giro. Lui però aveva un metodo infallibile: prendeva un respiro, contava fino a dieci, poi li massacrava tutti.
Aveva un piccolo problema: era fermo al punto due. Non ne era particolarmente felice.
Killer gli diede qualche pacca sulla spalla: «Sta calmo, Kidd!».
Già, sta calmo. O per due ragazzini -e uno scheletro, tutte le case di Londra sarebbero state bagnate di sangue.
«Non ci penso nemmeno!»
«Puoi».
Killer aveva l’effetto di una tisana rilassante con tanta, tanta camomilla. Trattandosi di Kidd, si poteva parlare di valeriana. Il rosso sembrò tranquillizzarsi.
Killer gli si avvicinò: «Ora ce ne andiamo tutti a letto e domani la caccia sarà aperta, va bene?».
«Sì, sì».
Un pianoforte si schiantò a un metro da loro.
«Eh?» Kidd alzò lo sguardo.
«Oh, ma che peccato. Ho mancato il bersaglio!».
Digrignò i denti.
«E con “bersaglio” intendo proprio te, Eustass-ya».
«TRAFALGAR!».
~~~

Nami era venuta con loro. A Zoro la cosa non piaceva. Brook aveva insistito: non potevano lasciarla da sola con Kidd infuriato in giro. Bah, chi se ne fregava? Non avrebbe avuto problemi.
«Testa verde».
Come non detto.
«Puoi chiamarmi Zoro? Sai, è il mio nome», sentì la tempia pulsargli.
«Zoro, testa verde, rinoceronte africano... quel che è. Vuoi davvero entrare lì?».
I tre arrivarono all’ingresso di Impel Down.
«Tranquilla, Nami-san! Non è un posto così spaventoso, non ci arresteranno mica!», lo scheletro guardò Zoro. «Non veniamo per farci arrestare, non è vero?».
«Stiamo per fare qualcosa di illegale. Se ci scoprono, ci arrestano».
Sbarrò le orbite oculari vuote: «Ma sei impazzito? Che vi è saltato in testa, a te e a Zef? Non voglio rimetterci la pelle!».
Nami e Zoro lo zittirono: «Tu non hai pelle!».

 
~

Impel Down era la più grande prigione d’Inghilterra.
Evadere da lì era impossibile.
Le cauzioni erano salatissime.
Ed era per questo motivo che gli affari per Shiryu andavano alla grande.

Si accese un sigaro: «Bene, bene, bene. Che cosa abbiamo qui?». La sua voce era profonda e rauca.
Nami deglutì.

Come carceriere aveva il compito di sorvegliare i prigionieri.
Lui si lasciava andare e permetteva a molti visitatori di scambiare “quattro chiacchiere”.
Al giusto prezzo, ovviamente.

Zoro buttò la refurtiva sulla scrivania: «Sono tre sacchi d’oro».
Shiryu espirò una zaffata di fumo: «Sacchi? Non lo sai che l’oro si pesa?».
Brook fece un cenno con la testa: «Ci scusi se non l’abbiamo pesato, c’è stata una complicazione».
Il carceriere sollevò un sacco e ne tastò il peso: «Con chi volete parlare?».
Zoro rispose: «I fratelli Rufy e Ace».
Shiryu non indagò oltre: «Sono trenta minuti. Dopodiché non ci siamo mai incontrati».

Ace sollevò il cappello dagli occhi. Un gruppo di persone stava percorrendo il corridoio della prigione. Due gli erano familiari.
«Deve essere successo qualcosa di tremendo se avete deciso di buttare soldi su Shiryu».
Il carceriere lo fulminò con lo sguardo.
«Dai, non dicevo niente di male!», Ace sogghignò.
«Zoro! Brook!», Rufy sorrise alla terza presenza. «E tu chi sei? Una loro amica?»
Nami fece le spallucce: «Gli devo un favore o qualcosa del genere».
Shiryu guardò l’orologio: «I trenta minuti sono già iniziati».

Ace lo vide scomparire oltre la soglia: «Sanji?».
«Diciamo che potrebbe stare molto meglio», lo spadaccino sospirò. «Ha bisogno di sangue. Non ce la farà per molto se non lo aiutiamo».
Il sorriso di Rufy scomparve: «E cosa dobbiamo fare?».
«Ecco, l’idea era di Zef. Si trattava di chiedervi... », Zoro sentì le occhiate gelate di Ace addosso.
Brook si chinò verso il più piccolo: «L’uomo dei miracoli può fare un miracolo per il nostro Sanji».
Una risata sarcastica partì dalle labbra del fratello maggiore: «Sapete di star perdendo tempo, vero?».
«Ace-sama, sappiamo che non riesce tutte le volte, ma almeno fare un tentativo!» esclamò lo scheletro.
«Sai in che guai finiamo se ve ne andate saltellando allegramente tra le braccia di Ivankov e lo viene a sapere lui?».
In quella prigione un nome di troppo sarebbe stato pericoloso.
Rufy tirò la maglia del fratello maggiore: «Se Sanji non ce la facesse per colpa nostra?».
Tasto dolente. Ace strofinò il bordo del cappello, sospirò: «Dove volete che vada un travestito di notte a Londra?».
«Al Red Windmill?».
Tutti si voltarono verso Nami. «Non guardatemi male! Non ci vuole molta immaginazione!».
Ace fece un cenno a Zoro: «Fatti guidare da lei, magari non ti perdi».
 
 
 

*Il Fish and Chips è un alimento tipico inglese, uno Street Food. Si tratta di, come dice il nome, presce fritto in pastella e patatine.






 
 
 
N.d.A.
Ciao! :D
Mi fa piacere che voi lettori siate arrivati fino a questo rigo, non saprò mai dirvi grazie abbastanza!
Dicevo che avrei pubblicato prima, e invece...
Maledette revisioni!
Almeno in questo capitolo c’è la possibilità di farsi qualche risata in più.
No?
Beh, ci ho provato.


Nota: Red Windmill è la traduzione inglese di Moulin Rouge (ovvero “Mulino Rosso”).
Il Moulin Rouge era un locale a luci rosse parigino molto famoso. Ho pensato di crearne una versione inglese -con i travestiti, eheheh!


Piccola nota: la prima frase detta da Eustass (Cit. Voglio dire, noi non siamo certo dei bravi ragazzi per eccellenza, ma perlomeno abbiamo il nostro lato affascinante... sbaglio, Killer?) è la stessa che dice nel manga. Se non è IC questo...

Un grazie grande a :   Celiane, EmmaStarr, isabelle10, Kaizokuo_ Rogermichiru93SaraPallina_amortentia  per aver messo la storia tra le seguite.
E a dany_smile,EmmaStarrHarley Dell Clarencenemesis_inframe92 che l’hanno messa tra le preferite.
E per aver recensito lo scorso capitolo michiru93,dany_smile, ed EmmaStarr.
Grazie mille!

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Capitolo 4
*** Soluzioni ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Eichiiro Oda; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.


Capitolo 4, Soluzioni


Pareti rosse per tenere caldo il desiderio.
Pizzi sull’orlo della gonna delle cortigiane.
Musica a non finire.
Alcol.
Questo era il Red Windmill.

Una prostituta strillò e scappò via.
Zoro aggrottò la fronte: «Le hai chiesto di mostrarti le mutandine?».
Brook era atterrito: «Non ne ho avuto il tempo... non so perché se la sia presa così».
«Forse perché sei uno scheletro vivente!» esclamò Nami, sarcastica.
Lo spadaccino sbuffò: «Allora, com’è che tu non ti sei mai spaventata di lui?»
«Sono abituata a mostri ben peggiori».

Moltissimi criminali nascondevano i loro affari sottobanco
 usando locali con secondi scopi.
Doflamingo aveva la gioielleria Diamond, per esempio.
Ivankov, invece, il Red Windmill.

La grande e affollata sala porpora fu lasciata alle loro spalle.
La musica divenne sempre più ovattata percorrendo i corridoi stretti.
Superarono diverse porte, da queste provenivano gemiti e grida che ignorarono.
Nami trattenne una risata nel vedere le guance di Zoro arrossire.
Raggiunsero l’unica stanza con un innaturale silenzio.
«Se le indicazioni di Ace-sama sono giuste, qui dietro c’è Ivankov» Brook fece per bussare.
La porta si spalancò e uscì un uomo con un lungo mantello addosso e un tatuaggio sul volto. Non li degnò di uno sguardo.
«Non fateci caso, è sempre così!» si scusò un ragazzo biondo sulla ventina, poi seguì l’altro.
«Allora,» un uomo dal volto truccato e vestito di rosa si affacciò dalla porta «che volete voi?».


~~~

La persona che entrò indossava un giubbotto beige da un lato e bianco dall’altro, in tono col colore dei suoi capelli. «Abbiamo ospiti», disse.
«Ospiti?» rispose un uomo dal volto impallidito dal Bianco di Nottinghen, le labbra rosse per il Fattibello*, la pittura nera sugli occhi e i capelli arricciati viola. «Chi sono?».
«Amici di Mugiwara, o almeno così dicono».
«Allova non facciamoli aspettave!».
Inazuma fece un cenno con la testa. Von Clay entrò con Zoro caricato sulle spalle, sembrava un’anguilla.
«RIVOGLIO LA MIA KATANA!».
«Calmati, Zoro-san! Siamo solo ospiti qui... » fece Brook per calmarlo.
«Non m’interessa se siamo ospiti o no, mi hanno tolto la spada per “motivi di sicurezza” ed io la rivoglio!».
Ivankov rise di gusto: «Mmmfufufu! Cevto! Vestituiamo a Mavimo-boy le sue spade!».
A quel nomignolo Zoro sentì una scossa. Quasi quasi lasciava morire il cuoco.
«A una condizione, pevò: devi favti tvuccare e vestive da uno dei nostvi amici Okama!».
L’altro impallidì.
Ivankov si servì un bicchiere di gin: «Io non mi favei tutti questi pvoblemi... ».
«Si vede dalla tua faccia!» gridò lo spadaccino.

Ivankov conosceva Sanji, aveva avuto una rissa con Von Clay in passato.
Lui e Zef avevano fermato i due litiganti.
Ovviamente questo non era bastato a rincontrarsi.
Quando andò in cerca di Rufy per vedere com’era fatto il figlio di Dragon,
pensò che il destino avesse messo il suo zampino quando ritrovò il biondo.
Sanji non fu mai entusiasta del loro incontro,
perché Ivankov si convinse: «Sanji-boy seguirà l’Okama Way!».

Von Clay lo lasciò cadere a terra. Aveva un’espressione preoccupata. «Sanji... ha bisogno di aiuto!».
Brook esclamò: «Gli hanno sparato! Aveva una febbre terribile, poi l’infezione... anzi, prima l’infezione, poi ha avuto febbre.
Il nostro medico ha fatto del suo meglio, ma nel frattempo ha perso molto sangue! Il suo gruppo sanguigno è l’S negativo, il più raro che ci sia!
Non troveremo mai del sangue in tempo! Se solo lei, Ivankov-sama, potesse fare un miracolo...».
«MMMFUFUFUFUFU!»
La risata del regino rimbalzò sul pavimento e sulle pareti, lasciando interdetti tutti.
Si tappò la bocca con la mano: «Pev chi mi avete pveso? “Pevsona dei mivacoli” è solo un nome! Al vostvo amico sevve sangue, non un mivacolo! Non posso fave niente di niente! Se non avete altvo, potete andave. Io ho affavi da sbrigave».
Erano tutti a bocca aperta.
Solo Inazuma era immerso nella calma, sorseggiò del vino.
Ivankov non era un tipo insensibile. Solo, non sopportava le persone che si rivolgevano a lui sperando che sciogliesse i loro problemi, come per magia.
Quindi si arrabbiava.
E in questo modo nascondeva il dispiacere per quel condannato su un letto di morte.
Nami tirò un lembo della manica di Brook. Aveva capito che lì non avevano più nulla da fare: «Andiamo... ».
Lo scheletro non disse una parola e seguì l’invito della ragazza.
Lo stesso Zoro.

~~~

L’entrata del Red Windmill era affollata da gente che rideva, beveva, si dava a donne.
Tre persone erano in netto contrasto con quell’entusiasmo.
«Era compito mio controllare quel cuocastro».
Nami e Brook si volsero verso Zoro.
«Me l’aveva chiesto Zef. A dir la verità ci sarei andato comunque, visto che l’idiota si faceva beccare ogni volta che rubava. Sono stato io a dirgli di tornare indietro, era per un portafogli piuttosto grosso. Credo che adesso rinuncerei anche a un baule d’oro per non farlo morire».
Nami sospirò. «Poco fa avete parlato di un medico».
Lo scheletro cambiò espressione.
«Non è uno di quei medici che usa lo stesso ago per più pazienti, vero? Voglio dire, tiene conto delle norme d’igiene e tutto il resto...»
«Perché me lo chiedi, Nami-san?».
La rossa scostò una ciocca dei suoi capelli dietro l’orecchio: «Perché... io sono S negativo».

~~~

Kidd lanciava occhiate gelide a Trafalgar. Mantenne la calma: «Avrei giurato di aver visto Scotland Yard metterti le mani addosso».
L’altro gli sorrise: «Bene, non hai problemi di vista».
«Allora perché cazzo non sei a marcire in una prigione?».
Trafalgar poggiò la sua nodachi sulla spalla e camminò sul bordo del tetto: «Amici qui, amici là... pochi minuti, la cauzione è pagata e sei fuori. Tu invece come hai fatto a non essere preso dopo la nostra ultima rissa?».
Kidd strinse i pugni: «Sono scappato in tempo, è ovvio».
«Già, è ovvio che uno come te sia anche codardo».
Il rosso scoppiò: «Sei finito, TRAFALGAR!».
Killer si coprì gli occhi. «Ci risiamo...».

~~~

Sanji riprese colore.
Riuscì a muovere le dita.
Aprì gli occhi.
Dapprima vide solo una luce.
Poi si rese conto che tutto il Circus Galop era lì a fissarlo.
«Emh,» mormorò «salve, ragazzi».
«Ohi, Sanji!» esclamò Franky unendo gli avambracci in alto.
«Sanji! Sapevo che il nostro cuoco sarebbe sopravvissuto!» Usop mise giù oggetti contro il malocchio di ogni genere.
Zef stropicciò i baffi: «Vedi di rimetterti velocemente al lavoro, scansafatiche!».
«Non se ne parla nemmeno! Sanji ha bisogno di riposo!» ribatté Chopper.
«Yohohoho! È il momento di una bella canzone! Corro a prendere il violino! »
«Sono contenta che sia salvo... cough! Cough! Forse è meglio se me ne vado adesso...» tossicchiò Robin sorridendo.
Sanji aveva sentito solo l’ultimo saluto, causa il suo amore innato per le donne. Ce ne fu un secondo che non poteva ignorare.
«Cuocastro, vedo che sei già tornato a sbavare».
Una testa verde molto familiare comparve nel suo campo visivo.
«Scommetto che mi preferivi da morto, Marimo».
«Certamente. Ma un ordine del vecchio è pur sempre un ordine del vecchio. Non mi va di averlo contro».
Sanji si mise seduto. «Grazie delle cure, sei un ottimo dottore».
Chopper arrossì: «Ma cosa dici? Non sono poi così bravo! Non mi lusingare, hehehe! E la parte più importante l’ha fatta quella ragazza...».
Il biondo a quel “ragazza” sobbalzò. Trovò nascosta tra gli altri una chioma rossa.
«Fulgida rosa, mia dea, dal primo istante che ti ho visto il mio cuore ha cominciato a battere amore! E sapere che adesso mi salvi la vita... »
«Sì, sì. È un piacere anche per me rivederti».
Franky si chinò verso Nami: «Lo conosci?».
«Tutte le ragazze che hanno preso almeno una volta il Fish and Chips dal tizio qui all’angolo sono state molestate da lui».
Zef colpì Sanji: «Così ci fai scappare la clientela!».
«Cuocastro,» sibilò Zoro «ora voglio delle spiegazioni: perché Emporio Ivankov mi ha chiamato “Marimo-boy”?».
«Prima di questo, Zoro:» Usop fece un cenno con la mano «vorrei parlarti in privato».
Lo spadaccino non lo diede a vedere, ma rabbrividì.

~

Usop incrociò le braccia. «Oggi qualcuno è entrato nel magazzino della mia fidanzata e ha rubato un intero rifornimento di antibiotici che lei si era appena riuscita a permettere, per una perdita totale di trecentoquarantotto sterline».
«Mi spiace per la tua ragazza» rispose Zoro.
Si erano appartati in un’altra stanza, per rimanere soli.
«Forse non hai capito: fra le cose c’erano anche delle garze e una confezione di disinfettante. Ho già parlato con Chopper. Da dove hai preso la roba per curare Sanji?».
«Che vuoi che dica? Mi dispiace? Il cuocastro stava morendo e quello era l’unico posto nel raggio di un chilometro che aveva quella roba!».
«Kaya ha speso mesi per rifornirsi di quelle bottiglie. Adesso quei mesi di lavoro sono fumo. Sai, in realtà ne ha ritrovata una. È rotta! Non può venderla! Restituiscigliele tutte!».
Zoro sbruffò: «Io non le ho. Altrimenti avrei aiutato Robin...».
«Robin non c’entra niente con questo discorso!».
«Tu dici? La tua ragazza mangia tutti i giorni e ha avuto tra le mani un’intera cassa di medicine. Noi mangiamo a malapena. Eppure Sanji si è fatto sparare per trovare qualcosa per la nostra compagna. Io e Brook abbiamo rischiato la testa per svaligiare la gioielleria di un pezzo grosso, e non sappiamo se avremo qualcuno alle costole. Quella Nami ha donato il sangue a un tizio che a malapena conosceva» Zoro diede le spalle «Tu cosa hai fatto?» e andò via.
Usop era spiazzato.
Lo stesso era per la ragazza dai capelli rossi che aveva origliato tutto.

~~~

Trafalgar amava dormire.
Sembrava una contraddizione date le sue occhiaie, ma dormire male non voleva dire che non gli piaceva.
Era l’alba quando salì le scale che portavano al suo appartamento all’ultimo piano.
Entrò.
«Hai fatto tardi».
Non aveva coinquilini, quella voce gli suonò tanto fuori luogo quanto irritante.
«Che ci fai nel mio appartamento, Vergo?».
L’uomo abbassò il giornale, c’era una zolletta di zucchero sulla sua guancia. «Per te sono Vergo-sama».
«Hai qualcosa sulla faccia,Vergo-sama».
Staccò la zolletta: «Ah, sì. Deve essersi attaccata mentre prendevo il tè».
«Vergo, tu non hai bevuto tè!» Doflamingo era nella stanza accanto a costruire un castello di carte sul tavolo.
Trafalgar sentì un movimento all'altezza dello stomaco.
«Hai ragione, non me lo sono preso» costatò l’altro.
Il ragazzo lo ignorò: «Che cosa state facendo?».
«Fufufufufu! Se non ti conoscessi bene, direi che non vedi l’ora di averci fuori dai piedi!».
«Infatti, è così».
Doflamingo scoppiò in una risata più fragorosa. «Certamente... Ora parliamo di cose serie.» l’uomo prese una coppia di carte «Ti ho pagato la cauzione con uno scopo ben preciso. Hai eseguito gli ordini?».
L’altro sospirò: «No».
«Da quanto tempo ti ho ordinato di far fuori Eustass Captain Kidd?»
«Un paio di settimane?»
«È già un mese». Vergo andò in cucina per farsi un tè. Per davvero, stavolta.
Doflamingo prese l’asso di cuori, poi un due di picche e li accoppiò: «Non dirmi che ti ho sopravalutato».
«Ci sarà un motivo se Eustass-ya è riuscito a crearti problemi...».
«Ci sarà un motivo se mando te a occuparti di lui.» aveva in mano il tre di quadri «È perché so che sei in grado di batterlo. A quanto pare ti crea qualche problema».
«Nessun problema, sto solo giocando».
Doflamingo guardò l’asso di picche: «Giocare col fuoco è pericoloso anche per te, Law ». La presa si fece ferrea e la carta s’increspò: il simbolo era deformato, il sorriso sull’uomo no. «Non voglio altre delusioni».
«Farò sul serio, allora».
Vergo tornò nella stanza con una tazza fumante in mano e un cucchiaino sulla guancia.
Doflamingo aveva completato il suo castello di carta: «Questo odore... non è tè!».
«Ho fatto una camomilla»
«Hai cambiato idea?»
«Non è per me, è per Law. Magari dopo una dormita gli torna la mente lucida».
Doflamingo si alzò, tutte le carte crollarono al suo soffio. «Andiamo».
Vergo andò verso la porta, incrociò Trafalgar: «Vedi di non “giocare” la prossima volta».
La tazza fu rovesciata sullo stomaco del ragazzo. Lui non reagì.
La porta fu chiusa alle sue spalle.
Sospirò: il peso allo stomaco era scomparso. Per ora.

~~~

Nami camminava silenziosa per i corridoi del Circus Galop.
Raggiunse l’uscita.
“Sono dei ragazzi simpatici”, pensò.
Qualcosa all’altezza della clavicola le impedì di andare oltre.
Si voltò. Zef caricò la rossa sulle spalle, tornando indietro.
«CHE STAI FACENDO?» replicò lei.
«Non ti lamentare, tra un po’ mi ringrazierai».
La portò in una sala enorme. Sparsi qui e là c’erano attrezzi circensi. I membri del Circus Galop erano indaffarati.
Nami era sul palco degli spettacoli, mentre tutti si stavano allenando.
«Ragazzini!» urlò Zef «Abbiamo una nuova compagna!».
Zoro lanciò un coltello, per poco non colpì Franky. «Che?».
«Che?» esclamò la rossa.
Il vecchio la lasciò scendere: «Ti sto offrendo un lavoro, ragazzina. Paga regolare, vitto incluso. Vedila come il “grazie” del Galop per aver salvato la vita a uno dei nostri».
«Non so fare nulla che riguardi il circo!».
«Sciocchezze! Trova qualcuno a cui renderti utile!» e andò via.
Nami si guardava attorno spaesata.
Un lavoro era una cosa bellissima, che non si trovava facilmente. Sarebbe stato altrettanto bello sapere cosa fare.
«Non sembri avere le idee chiare, dico bene?» Usop si avvicinò a lei «Posso darti una mano, se vuoi».
La ragazza sentì una morsa al petto.
Usop le prese la mano e la trascinò alla sua postazione.

~

Zef nel corridoio incontrò Robin: «Dimmi un po’, quando ti deciderai a stare a letto? Non dovresti sottovalutare la tua influenza, e se contagiassi qualcuno?».
«Potrei farla io, la domanda?» disse lei con voce flebile «Hai davvero offerto un lavoro a quella ragazza per sdebitarti, o per compensare in parte la mancanza di me, Rufy, Ace e Sanji?».
Zef rispose nel modo più semplice che gli venne in mente: sorrise.
«Grazie, ho capito» e Robin ridacchiò.







*Bianco di Nottinghen: non è altro che biacca.
La biacca è un pigmento pittorico, la utilizzavano nel 1700 come cosmetico per far apparire la pelle del viso bianca.

*Fattibello: il rossetto usato nel 1700 sia per uomini sia per donne e si otteneva dalla gomma arabica, allume e... insetti schiacciati!
 
 



N.d.A.
Sono tornata con un capitolo un po’ più lungo! :D
Spero vi piaccia!
Volgiamo dare le note?

Perché usare tutti quei nomi strani per descrivere i trucchi che usa Ivankov?
Perché la mia è una Alternative Universe che vuole esserlo fino al midollo. Non potevo mica permettermi di parlare di Eye-liner.
O peggio: Ivankov struccato!
Quindi mi sono documentata, e nel diciottesimo secolo questi erano i più usati –e i più tossici, eheheh!

Finalmente Zef mette chiare le carte in tavola: Robin è malata di quella influenza che sta facendo fuori mezza Londra.
Considerando i tempi, credo che l’altra metà sia occupata con colite, malaria, peste... tutte cose simpatiche, insomma.

Ace l’aveva detto che Ivankov aveva i suoi limiti, ma Zoro e compagnia danno più conto alle voci che non possono fare a meno di ingigantire il personaggio e, voce o no, decidono di tentare il tutto per tutto.
Sette di picche: pettegolezzi inutili e menzogneri. :P

Ah, anche la descrizione delle carte che usa Doflamingo ha un certo significato.
Lo svelerò per il prossimo capitolo, nel frattempo voglio vedere se fate qualche indagine: :3

CelianeEmmaStarr,isabelle10,Kaizokuo_Rogermichiru93SaraPallina,_amortentia  per aver messo la storia tra le seguite, le ringrazio.
dany_smile,EmmaStarrHarley Dell Clarencenemesis_inframe92 l’hanno messa tra le preferite, e vi ringrazio anche a voi!
michiru93,dany_smile, ed EmmaStarr un bacio a tutte voi per aver perso dieci minuti per aver scritto la recensione per lo scorso capitolo!
Ma ringrazio sempre anche chi è arrivato fino a questo punto.
GRAZIE MILLE!

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Capitolo 5
*** Mattino ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Eichiiro Oda; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.


Capitolo 5, Mattino


Durante gli allenamenti del Circus Galop tutti erano concentrati nel proprio lavoro
e il palco per gli spettacoli s’impregnava di un’atmosfera silenziosa e pesante.
Quell’aurea veniva spezzata di rado,
per esempio quando Franky, dopo un lunghissimo volo,
era finito su una trave del tetto e non ne voleva sapere di scendere.
Oppure quando Zoro colpì accidentalmente Sanji
durante il suo allenamento come lanciatore di coltelli.
...
“Accidentalmente”, certo.
Comunque si era sempre mantenuta la massima serietà. Fino ad allora.

Zoro tirò il coltello. La lama affondò nel legno, il manico baciava la superficie della tavola. “Bel lancio” si sarebbe detto il ragazzo, se solo avesse sfiorato l’enorme cerchio rosso che faceva da bersaglio.
Quello era l’ennesimo di una lunga serie di tiri che avevano lasciato incisioni solo sul bordo del ripiano, una sequenza che non si sarebbe mai dovuta mostrare durante uno spettacolo.
Zoro emise un sospiro frustrato, camminò verso la tavola e cavò il coltello. Un enorme buco rimase lì, a marcare l’ultimo sbaglio. Se lo chiese: «Perché tutti questi errori?».
E la risposta venne dalle sue spalle, chiara e concisa. Stava correndo con la schiena piegata in avanti, le braccia tese di fronte a sé e le ciocche arancioni che sembravano fare una gara tra loro a chi si scioglieva dalla coda per prima. Le palline scappavano dalle mani inesperte di Nami, rimbalzando non appena le dita di lei riuscivano a sfiorarle, colpendo una parete e tornando indietro una volta che non avevano modo di allontanarsi, e avevano un filo di sarcasmo rallentando sempre più fino a fermarsi quando la rossa non aveva più le forze per raggiungerle.
Non c’era alcun dubbio: il lavoro più rumoroso del mondo era quello del giocoliere. O meglio, dell’apprendista giocoliere, alle prime armi e che riusciva solo a far cadere le palline rumorosamente.
Nami come giocoliere faceva pena. Come apprendista, invece, era insuperabile.
Dalla sua postazione Usop seguiva con gli occhi la sua protetta.
Lei raggiunse l’ultima pallina e si asciugò la fronte: «Non sono un granché, non è vero?».
L’altro le sorrise: «Non vai così male».
Le mani di Zoro strinsero la presa sul pugnale, i suoi occhi lo puntarono. Usop sentì dei cubetti di ghiaccio scivolare lungo la schiena. La rossa sistemò le ciocche ribelli in una coda: «Non ci credo».
Deglutì: «Serve un po’ di allenamento!».
Da come lo guardava lo spadaccino, la sua testa e il suo collo si sarebbero dati addio molto presto. «Io penso che sia il caso di trovarti qualcos’altro».
Nami si sedette su una cassa e posò le palline accanto a sé. Quella era la prima volta che non ne cadeva nessuna.
Zoro le si avvicinò: «Solo perché te l’ha detto Zef non significa che sei obbligata a rimanere».
«Mi serve un lavoro», protestò lei.
«Se ti interessa, io avrei bisogno di una partner».
Nami lo squadrò: «Io... una lanciatrice di coltelli?».
Lui corrugò la fronte. Alle spalle della ragazza, Usop stava mimando milleuno modi su come essere uccisi da un lanciatore di coltelli non-proprio-esperto, con delle citazioni in labiale dal libro dell’Apocalisse.
Lo spadaccino non sapeva se essere divertito o scandalizzato. O tutte le due cose assieme.
Mentre faceva la parte dell’unico spettatore di quel numero comico montato sul momento, una voce desiderata come una puntura d’ape interruppe i suoi pensieri.
«Se per un essere regredito come te è un messaggio difficile, te lo tradurrò io: “Non credo sia una buona idea”».
Zoro digrignò i denti: «Non pensavo che ti saresti rimesso a rompere le scatole così in fretta, cuocastro».
Sanji camminò verso di loro: «Qualsiasi cosa, se può aiutare Nami-swan».
La rossa si voltò e trovò alle sue spalle Usop in atteggiamenti da cortigiana. «Che stai facendo?».
L’altro arrossì: «Beh... Apocalisse, Babilonia la grande prostituta... lasciamo stare».
«Mi pare che Nami-swan abbia qualche problema a inserirsi», Sanji si sedette per terra a gambe incrociate.
«Quando le chiedevo di essere la mia partner», Zoro posò il pugnale in una tasca, «intendevo una partner che stesse ferma davanti al bersaglio mentre lanciavo i coltelli».
Il biondo sussultò: «Marimo!».
«Qual è il problema? Non prendo il centro nemmeno quando voglio».
«Non ci pensare nemmeno!».
«Va bene! Va bene...», Zoro grugnì.
Usop diede un’occhiata veloce ai suoi strumenti da Clown: «Se non è ferrata con le palline potrebbe non farcela con altro», schioccò le dita, «però può provare ad avere un’espressione arrabbiata! Farebbe il Clown Augusto, ora che Rufy non c’è avevo proprio bisogno di un’altra spalla».
Sanji scosse la testa: «Anche se l’Augusto è una spalla ci vogliono anni di pratica per...».
«Avanti, dovrebbe fare la parte di quella che non sa fare niente!», Zoro si sentì osservato. Nami aveva le braccia conserte e tamburellava freneticamente l’indice sul braccio. «Non dicevo che tu non sai fare niente».
Il quartetto era confuso.
La rossa guardò in faccia tutti i presenti, emise un sospiro: «Non posso decidere io cosa fare?».
 Zoro si passò una mano sugli occhi. «Vieni con me, ti faccio conoscere la compagnia».
~~~

I dolori di una rissa si sentivano solo il mattino dopo, e Kidd in quel momento lo sapeva meglio di ogni altra persona al mondo. La pelle bruciava, i muscoli erano indolenziti e riusciva solo ad associare tutte quelle sensazioni ad un nome: Trafalgar Law. Voleva dormire.
Le braccia di Morfeo però erano tanto desiderate quanto periture, si alzò sui gomiti e diede un’occhiata attorno. Era in una stanza senza finestre, in uno spazio claustrofobico. Il miscuglio di umido e polvere gli pizzicò il naso. «Oh, bene», sospirò, «sono a casa».
Sdraiato sul materasso di lana a due piazze vecchio e logoro, accanto a lui dormivano profondamente Heat e Wire, tutti e tre sotto la pelliccia del rosso. Su un comodino improvvisato con una cassa di legno, un lume ad olio schiariva la stanza e il volto di un uomo che lo stesso Kidd aveva l’onore di vedere senza il suo casco sul viso poche volte.
«Hey», Killer era seduto di fianco al letto a braccia conserte.
«Hey». Il rosso indicò una delle tante ferite: «Fa un male cane».
«Lo immaginavo. Non sei messo molto bene, ma te la caverai comunque».
«Come sempre», si mise in piedi, scoprì gli altri due dalla sua pelliccia e la indossò.
Killer si alzò: «Dove credi di andare?».
«A bere. I postumi di una rissa non svaniscono a letto», aprì la porta e salì il primo gradino.
Il biondo indossò velocemente la sua maschera e lo seguì: «Non per questo la sbornia avrà effetti migliori».
«Sai che ti dico? Offri tu».
~~~

«Non sapevo suonassi il violino!», Nami era incredula, e studiava lo strumento musicale centimetro per centimetro.
Brook si schiarì la voce: «Oh, in realtà so suonare anche il pianoforte e la chitarra; ma i risparmi di una vita mi hanno permesso di avere soltanto questo».
La prima persona da cui Zoro e Nami andarono era già una vecchia conoscenza per la rossa, e lo scheletro sembrava non lamentarsene.
Nami restituì il violino al musicista: «Mi sono sempre chiesta di cosa fossero fatti i violini per costare così tanto...».
«Perlopiù si tratta di legni pregiati di diverso tipo, credo che lì ci siano acero, abete, ebano e ciliegio. Il filo dell’archetto è di crine di cavallo, mentre le corde del violino sono budella di pecora...».

Zoro cambiò argomento prima che potesse salirgli in gola un coniato di vomito: «La sto portando in giro per vedere se riesce a inserirsi in qualche numero».
«Yohohoho! Sarei felicissimo di poter lavorare con te, Nami-san! Io ho un numero musicale».
«No!», Zef passava di lì portando alcune casse d’ignoto contenuto. «Tu sei “Brook, lo scheletro vivente”, non “Brook, il canterino”! Cammina su e giù per la pista come al solito e tutti saranno contenti».
«Ho studiato musica per anni», Brook posò lo sguardo sul suo violino, «Salire su un palco e camminare è un abominio per me! Morirò per la vergogna! Anche se io sono già morto! Yohohoho!».
Nami storse la bocca: «Umorismo... da morti?».
Zoro annuì: «Nulla di così diverso dall’umorismo inglese, fidati».

La ragazza non aveva modo di aiutare Brook nel suo numero, e il duo finì dalla persona più vicina a loro in quel momento: Zef.
«Io. Non. Sono. Il. Capo. Chiaro il concetto?».
«Non ti ho mai visto salire sul palco», Zoro faticava a mantenere il suo passo, lo stesso Nami.
«Io non faccio spettacoli, non faccio il capo, io faccio il cuoco. Trasporto casse di questo tipo, se ce n’è bisogno». Il vecchio poggiò l’oggetto su un banco.
Il tonfo che ne venne fuori spinse Nami a chiedersi se le gambe del tavolo si sarebbero spezzate o no: «Insomma, tu aiuti dietro le quinte».
Il  vecchio passò le dita sulla cassa e alzò una nuvola di polvere: «Ragazza, lo vedi tutto questo posto?».
Lei diede un’occhiata alla struttura possente.
«L’ho costruito io, mattone per mattone. Ne vado fiero e non lo sentirò mai come un “lavorare dietro le quinte”».
Zef fece dietrofront e andò a prendere un’altra cassa: «La ragazza non ha il fisico per trasportare certi pesi, trovale qualcos’altro».

Proprio mentre Zef si allontanava con un nuovo carico sulle spalle, un piccolo baule si trascinava lentamente. Lo spadaccino lo sollevò e Chopper continuò a spingere, inciampando a terra. Si sollevò sulle sue zampe: «Zoro?».
«Ti do una mano, vogliamo fare una chiacchierata con te». E si misero a camminare.
La rossa si sfregò le mani: «Tu che fai nel Circus Galop?».
«Di solito guarisco le ferite che si fanno gli altri durante i numeri, non vado sul palco. Mi vergogno troppo. Non voglio essere un fenomeno da baraccone. Non che pensi questo di Brook... ma io non me la sento».
«Mi pare giusto», Nami pensò a quanti quattrini avevano perso con lo spettacolo della renna parlante in meno. «Allora perché ti sei dato alla carriera circense?».
«Non l’ho deciso io», Chopper si risistemò il cappello rosa, «Ho sempre vissuto nell’Epping Forest, ma i miei simili non mi volevano perché non facevo versi da renna, facevo versi da umano. Poi mi hanno trovato Sanji e Rufy e le cose da allora sono cambiate».
Nami scosse la testa: «Aspetta, hai detto l’Epping Forest? Il parco dove i reali vanno a caccia? Perché Sanji e Rufy erano lì?».
Zoro posò la cassa che aveva sulle spalle: «Avevamo fame, non avevamo soldi per comprare cibo e li abbiamo mandati a fare un po’ di bracconaggio. Tanto i nobili possono farne a meno».
La rossa da quelle parole capì che la gente con cui stava avendo a che fare non poteva avere tutte le rotelle a posto, non se andavano in certi posti: «Quindi hanno visto che parlavi e ti hanno portato con loro?».
«Hanno visto che parlavo... e si sono chiesti che gusto avessi. Credo di aver fatto il giro del parco almeno cinque volte scappando da loro urlando di essere una renna, non un cervo».
Nami era sconcertata: «Eh?».
Zoro scrollò le spalle: «Ripeto: avevamo fame e li abbiamo mandati a fare bracconaggio».
La rossa rimase in silenzio. «Quei due hanno trovato una renna parlante e la volevano mangiare?».
Zef rallentò il passo: «Sì. Quando sono tornati ho detto agli altri del gruppo di non dargli ascolto, perché alla storia della renna nell’Epping Forest non ci credeva nessuno».
“Perché una renna parlante è più convincente, vero?” pensò Nami a bocca aperta.
Chopper le tirò un lembo della maglia: «So che cerchi qualcosa da fare. Da grande voglio essere un dottore. Non so quando accadrà, per allora dovrò cercare un’infermiera carina, puoi essere tu se vuoi!».
Nami sorrise alla piccola renna col potenziale poco sfruttato e andò con Zoro alla ricerca di un’altra persona.

«Fratello Usop!».
Il ragazzo salutò a sua volta Franky. «Hai ancora problemi col cannone? Aspetta, vengo a darti una mano».
Nami aveva la bocca aperta: «Zoro, quello è davvero un...».
«È un cannone, sì. Il nostro è l’unico circo che usa un cannone durante gli spettacoli. Non sperare di finire là dentro: Franky come proiettile umano ha già abbastanza problemi con la stazza che si ritrova, figuriamoci se una cosa piccola come te può...» Zoro si guardò intorno «Nami, dove sei finita?».
La rossa stava letteralmente accarezzandone la canna. Usop si avvicinò. «Bello, vero? L’ho modificato io!».
«Modificato?».
«Franky non sarebbe mai entrato nella bocca del cannone, o sarebbe molto sul colpo. Io e la mia fidanzata pensavamo di partire per il Nuovo Mondo facendo fortuna con questo mio brevetto una volta accumulati un po’ di soldi».
Nami sorrise tra sé e sé: «L’America, eh?».
«Non proprio... mio cugino George ci ha invitato per stare da lui in Canada. Pensò che accetterò» il ragazzo aveva un’espressione compiaciuta.
L’uomo con i capelli azzurri le fece un cenno: «Hai già trovato qualcosa da fare, sorellina?».
Nami scosse la testa in senso negativo.
«Perfetto! Ti va di accendere la miccia per lanciarmi? Non hai idea di quanto sia scomodo farlo mentre sei dentro la bocca di un cannone, e per quel momento di solito sono tutti indaffarati!».
«Affare fatto!».
~~~

Impel Down, orgogliosa di presentarsi come la prigione che accoglieva più criminali in Inghilterra, fu felice di sbarazzarsi di due teste calde.
Ace e Rufy furono spinti fuori dai cancelli in meno che non si dica, punzecchiati dal tridente di un individuo che di antropomorfo aveva ben poco.
Hannyabal sputò: «Non m’importa se non avete finito di scontare la pena. Sparite, buoni a nulla!», e lanciò per terra i loro effetti personali. Se te li riconsegnavano si erano affezionati, o almeno era quello che pensavano i due fratelli.
«Ace, non sento più le ossa», Rufy si stiracchiò tutti i muscoli in corpo.
Il maggiore scostò la polvere dai pantaloni: «Qualcuno dovrebbe spiegargli che i sacchi di paglia non sono tra i letti più comodi».
Hannyabal fece dietrofront e batté il suo tridente un paio di volte per terra: «Quando diventerò direttore, farò dormire tutti i criminali per terra! Se proprio cercate qualcosa di più comodo non fatevi arrestare!».
Ace scosse le spalle e si allontanò: «Visto? Ci siamo fatti accompagnare alla porta dal vicedirettore! Magari la prossima volta sarà il direttore Magellan a scortarci».
«Spero proprio di no», Rufy si tappò il naso, «dicono tutti che la sua puzza sia un veleno mortale».
«Ora come ora non siamo messi molto meglio di lui», Ace fissò il fango incrostato sui suoi pantaloni. «Dovremmo farci un bagno».
«Prima andiamo a mangiare».
«Rufy, tu pensi solo al cibo...», un rumore li interruppe. Era il brontolare dello stomaco del maggiore. «Sì, quella di fare colazione è un’ottima idea».
~~~

«... Ace a quel punto se ne va a mangiare con Rufy. Rimaniamo Zoro, io e una borsa piena di cose rubate. La nostra è stata una grande impresa e voglio raccontarla a quelli del Circus Galop, Zoro invece vuole farsi un giro. Con la refurtiva. Mai stato d’accordo, ma finisce che ce ne andiamo in un certo locale dove la proprietaria è una nostra amica: lui ordina rum, il grande capitan Usop non cede all’alcol. Nascondo subito la borsa quando due tipi vestiti di rosso si avvicinano. Ci riempiono di domande, io uso il mio irrimediabile carisma per raccontare qualche storia per calmarli, ma Zoro taglia corto troppe volte finché non li fa innervosire. Posso farli fuori facilmente, per carità! Ma far correre rischi in nome del Circus Galop? No, nossignore! Cerco di evitare la rissa, a quel punto i due tizi si presentano come i Bow Street Runners e capiamo che non abbiamo più niente da fare lì. A dire il vero lo capisco io, perché Zoro è convinto di poterli affettare come Sashimi senza nessuna conseguenza. Ah, il sashimi è pesce tagliato a fette sottilissime... ma non importa, non importa. Così lo prendo di peso e lo trascino fuori dal posto, non dopo una violentissima rissa, dove ovviamente ho la meglio. Mai sottovalutare il Capitano Usop. Mentre scappiamo sembra che gli inseguitori si moltiplichino, sono arrivati persino i rinforzi a cavallo. Ovviamente li ho sconfitti tutti in poco tempo, avresti dovuto vedermi! Quando mi volto però mi rendo conto di essere solo. Zoro si è perso. Mi tocca tornare indietro e cercarlo, come farebbe ogni grande capitano. Quando lo trovo, un pezzo grosso lo sta braccando. È un mostro nero, dagli occhi sottili che ti tagliano l’anima con lo sguardo. Ha una spada, e non una spada normale: la lama e l’elsa sono lunghissime. Mi viene da dire: “Siamo nel diciottesimo secolo e tu te ne vai in giro con una spada?”, quando mi ricordo che anche Zoro fa lo stesso e che ormai ci ho fatto l’abitudine. Poco male. La cosa più strana è che sta combattendo con un coltello. Così capisco subito: quella mattina, quando il mostro si è svegliato e vestito, invece di mettere la spada al fianco l’ha messa sulla schiena, poi se l’è dimenticato come una persona si dimentica di aver indossato due calzini diversi e si è messo a combattere con quel pugnale perché non sa di avere di meglio sulle spalle. Il tizio vestito di nero ha già disarmato Zoro ed è sul punto di farlo fuori. Non ho paura, mi metto in mezzo e gli dico: “Provi tanto a fare il duro, ma con quella specie di crocifisso sulla schiena sei ridicolo!”...».
«L’hai detto? E allora lui che ha fatto?», Nami gli passò un altro foglio.
Non avendo più nulla da fare per quella mattina, Zef li aveva mandati per le strade di Londra ad appendere i manifesti disegnati da Usop degli spettacoli.
Lui piantò due chiodi: «Beh, non l’ho proprio detto. Ho pensato che avrebbe ricordato di non avere solo quel coltellino con sé e avrebbe usato quello spadone. Non sono mica codardo, ma è meglio essere prudenti, eh! Così sto per attaccarlo quando la comparsa di Ace mi batte sul tempo. Non combatte, dice qualcosa che né io né Zoro riusciamo a sentire. Il tizio col crocifisso dietro la schiena mette il suo coltellino in un fodero che teneva appeso al collo. Quello che ne viene fuori è una collana con un crocifisso. Crocifissi davanti, crocifissi dietro... Gli voglio chiedere se quel tipo è la reincarnazione al maschile di Maria I, ma sono impegnato ad aiutare Zoro e il mostro se ne va. Quando io e Zoro arriviamo al Circus Galop ci rendiamo conto di aver lasciato la borsa con la refurtiva nella locanda. Torniamo a cercarla ma non c’è più. O se l’è fregata qualche furbone oppure se la sono presi i Bow Street Runners, dico io. Zoro non è del tutto d’accordo, ma ancora non mi ha spiegato perché».
Nami prese dalla cesta un altro foglio: «Chissà cos’è che ha detto Ace».
Il ragazzo lo appese più avanti, mentre martellava i chiodi aggiunse: «Chissà... E non è nemmeno il guaio più grosso in cui mi sono cacciato! Ti ho mai raccontato di quando ho salvato Sanji da un mostro bianco delle nevi? È un inverno gelido, uno dei più rigidi che io ricordo...».
«Per ora pensiamo al nostro lavoro» e la ragazza studiò nei minimi particolari il manifesto, i ritratti di Brook, Zoro, Franky e Rufy e la scritta a caratteri cubitali:

Il Circus Galop è orgoglioso di presentarvi un nuovo esuberante spettacolo questa e la prossima sera, alle 8:00 p.m. nell’East End, quartiere Tower Halmets.

«Hai fatto un ottimo lavoro», Nami annuì.
«Il disegno di Brook non è eccessivo? L’ho fatto così macabro che il pubblico potrebbe rimanere deluso».
«Usop, è uno scheletro parlante! Certo che nessuno ne rimarrà deluso!», proseguirono la loro camminata. «Al massimo gli daremo in mano un violino e lo faremo suonare. Vedremo, poi, che dirà il pubblico».
«Mi pare una buona idea», Usop alzò la testa e sentì un odore pizzicargli il naso. Si accorse che le loro ombre erano davvero piccole: «Ma guarda, è già mezzogiorno?». Il suo sguardo si posò su una bancarella, dove un uomo coperto dalla testa fin alla punta dei piedi si dava un gran da fare con le fritture.
«Vuoi dei Fish and Chips, Nami? È da stamattina che appendiamo manifesti ed è quasi l’ora di pranzo».
La rossa fissò l’uomo alla bancarella. Questo contraccambiò lo sguardo, poi tornò al suo lavoro.
Usop sventolò la mano davanti al viso della ragazza: «Nami, ci sei?».
«Non mi vanno. Tu prenditene pure, se ti va».
Lui pagò pochi spiccioli all’uomo, quello lo fece servire da solo. Con grande stupore il ragazzo cercò di mettere più patatine possibili nell’involucro di carta. L’altro tornò a guardare la rossa, fece scivolare sotto il mento il fazzoletto che gli copriva il viso. La pelle era troppo liscia e le labbra troppo marcate per essere quelle di un umano, le mandò un messaggio in labiale.
“Sei nei guai, ragazzina”.










Babilonia, la grande prostituta: Usop non si mette a imitare le cortigiane/donne di strada/libere professioniste/e così via mentre recita l’Apocalisse a caso. Infatti nell’Apocalisse viene rappresentata Babilonia (che molti pensano sia Roma, Giovanni quando scriveva era abbastanza enigmatico) come una prostituta. Quando vi chiederanno se sapete qualcosa sull’Apocalisse di Giovanni, dite questo. Almeno queste righe di nota non avranno sprecato inutilmente attimi della vostra vita :’-)

Budella di pecora: a tutti gli amanti del violino, state tranquilli! Solo in quel secolo le corde si facevano con le interiora delle povere pecorelle, oggi potete suonare un violino tranquilli e sapere che tutte le pecore e gli agnelli che vengono portati ogni giorno al macello non saranno vostra responsabilità... se non a tavola, ovviamente.

Il fantomatico cugino di Usop: potete cercarlo su One Piece Wiki, se volete. Non lo troverete. Non è un personaggio della serie, è una persona realmente esistita. Si chiama George Hunt, più noto come Great Farini. È conosciuto come l’inventore del cannone modificato per lanciare un uomo. Nella mia storia avrebbe fregato l’idea da Usop.


N.d.A.
Avete presente quando un autore di una fan fiction non scrive per moltissimo tempo, tutti pensano sia già morto e sepolto e come accade in tutte le telenovele degne di nota l’interessato resuscita per i motivi più disparati?
Ecco, è il caso mio.
Chiedo comunque scusa, perché dopo che dei lettori si sono presi la briga di seguire la mia storia non aggiornare più per molto tempo era un dispetto che non dovevo permettermi di fare.
Mi discolpo dicendo che ho avuto un blocco un po’ su tutto.
A tirarmi fuori dai guai? Il disegno e l’arrivo della stagione delle cioccolate calde e dei tè ogni pomeriggio.
Non posso garantirvi una data sicura, ma vi prometto che mi darò da fare. Parola di Francesco Amadori!



 

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Capitolo 6
*** Incontri sul Tamigi ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Eichiiro Oda; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

Capitolo 6, Incontri sul Tamigi
Una foglia, troppo secca per rimanere attaccata all’albero, si lasciò cadere.
Il bambino distolse lo sguardo dalla sua lettura per osservarla.
Si era concessa un valzer con il vento come compagno di ballo e lo scorrere del Tamigi come musica.
Alla fine di quella danza decise di sdraiarsi su un’onda.
Un braccio magro emerse dal pelo dell’acqua, affondò portando la foglia con sé. Trafalgar chiuse il suo libro e si avvicinò alla riva. Qualcuno si trovava nel fiume, stava annegando.
Il bambino gettò il cappello maculato sul prato e si tuffò nel freddo abbraccio del Tamigi.

Dall’acqua si sollevarono nuvole di vapore, le foglie di tè nuotavano verso il fondo del tegamino. Trafalgar sbatté le palpebre più volte per strapparsi dai ricordi dell’infanzia. Un “maledizione” scappò dalle labbra senza che se ne accorgesse, la pacca sulla sua spalla destra lo rilassò.
«Da un po’ di tempo “maledizione” è diventata la tua parola preferita, eh?», Penguin sapeva scherzare ogni volta che vedeva qualcosa di più serio.
Il braccio di Shachi era stato risucchiato da un cassetto della cucina, alla ricerca di un colino perduto: «Nah! È solo stravolto, come sempre».
I due avevano bussato alla porta di casa Trafalgar elemosinando una colazione, noncuranti dell’orologio che gridava con la sua lancetta più corta come fosse l’orario meno opportuno.
Trafalgar si era chiesto se la visita di Doflamingo e Vergo non avesse avuto una parte in quella storia.
Penguin si versò da bere in una tazza: «Come sempre, in effetti. Solo che adesso Law soffre anche di amnesie...».
Il dottore circondò la sua tazza con le mani e una vampata di calore colpì le dita congelate: «Amnesie?».
«Ma come? Non ricordi?».
Shachi scoppiò in una risata, sputacchiando qui e là gocce ambrate di tè. Trafalgar tese le labbra come un ago: «Molto divertente».
Un’espressione seria continuava a regnare sul volto di Penguin: «Sai che è successo ieri notte?».
Il moro socchiuse gli occhi mentre l’odore del tè inebriava l’olfatto.
Nascoste sotto le garze, le ferite sulle braccia stavano ancora bruciando. Aveva avuto una rissa con Kidd la sera prima, dopotutto. Ne valeva la pena: avrebbe dato qualsiasi cosa pur di vederlo ancora sbraitare sulle spalle di Killer mentre se ne andavano via. Non si era potuto godere la scena, erano arrivati quelli di Scotland Yard. Era riuscito a seminarli e per le prime luci del mattino era già a casa sua. Aveva trovato degli ospiti così gradevoli che quando se ne erano andati aveva tirato un sospiro di sollievo. Poi Penguin e Shachi erano arrivati lì. La porta era stata sfondata, a essere precisi. Si erano scusati e avevano promesso di ripararla. Fine riepilogo.
Trafalgar alzò lo sguardo e trovò quello di Penguin su di lui: «Non so di cosa tu stia parlando».
L’altro allontanò la tazza dalle labbra corrugate: «Ieri sera tu ed io eravamo dalle parti di St James’s Park, cercando un posto dove mangiare. Abbiamo sentito la voce d’usignolo di Eustass Kidd che malediva chissà quale poveretto. Mi hai chiesto di aspettare, questione di minuti. Invece mi hai piantato lì. Memoria rinfrescata?».
La tazza tra le mani di Trafalgar rischiò di scivolare a terra.
«Fregato!», la risata di Shachi fermò il costante innalzamento di temperatura nella stanza.
Il rumore dei respiri dominò la scena. A rompere l’atmosfera di marmo fu Penguin. Schioccò la lingua: «Alla fine com’è andata?».
Trafalgar massaggiò le meningi, mentre la testa fluttuava ancora su punti vaghi della giornata precedente: «Parli della rissa?».
«Già».
«Abbastanza bene. Ho trovato un pianoforte su un tetto e ho pensato di buttarlo di testa a Eustass-ya. L’ho mancato».
Shachi inghiottì un biscotto intero e pensò di soffocarsi: «Che?».
«Non ho idea di come sia finito lì, io ho solo colto l’occasione», fece le spallucce. Poi ebbe paura di essere stato lui a portare il pianoforte su quel tetto.
Penguin consumò le ultime gocce della bevanda calda: «Ci sono serate in cui ci si diverte con gli amici e serate in cui piovono pianoforti sui tuoi nemici. Tutto è possibile a Londra».
«Come lo scheletro parlante del Circus Galop: quello è strano forte», Shachi si alzò e portò le tazze vuote in una bacinella d’acqua.
Trafalgar scosse la testa: «Scheletro parlante?».
«I manifesti sono sparsi per mezza Londra, solo per arrivare qua ne abbiamo visti parecchi». Penguin appoggiò la schiena alla parete: «Questo, però, non lo rende uno scheletro vivente a tutti gli effetti».
Il chirurgo rimase in silenzio.
Shachi gli scrollò la spalla: «Law, non ci crederai sul serio?».
«Non sono superstizioso, ma di tanto in tanto è sano mettere un punto interrogativo davanti a quello che si dava per scontato da tempo».
Penguin scivolò verso la finestra: «Che intendi dire?».
Un sorriso si aprì sulle labbra del moro: «Stasera si va al circo, ragazzi!».
E sperò di non dimenticarsene, almeno per quella volta.

 
~~~

«Ce l’hai con Zoro?».
«No».
«Sanji ti ha dato fastidio?».
«No».
«Ho trovato: stai male per il prelievo di sangue».
Nami sospirò: «Usop, davvero, sto bene». “Ma se continui così avrò un ottimo motivo per prendere a pugni in faccia qualcuno. Ottimo, davvero”.
Da quando Usop era tornato da lei con un cartone di Fish and Chips stracolmo di patatine, aveva avuto la sensazione che il buon umore di Nami avesse tirato fuori le valige e stesse ancora agitando un fazzoletto bianco da un treno che partiva per terre lontane. Al suo posto si era piazzata un’aria pensierosa e malinconica, che aveva chiuso le tendine polverose della comunicazione e che non ne voleva sapere di sgomberare.
Il ragazzo infilò in bocca una patatina, ghignò: «Credo di aver capito qual è il problema».
La rossa inciampò sui suoi stessi passi: «Che?».
«Tu in realtà... sei a dieta!», le puntò del pesce fritto contro. «Sei combattuta da una guerra interiore tra bene e male: tra mantenere la linea e mangiare le mie patatine! ».
Del silenzio fu tutto ciò che proseguì tra i due, a dominare la scena era rimasto solo l’anonimo fruscio delle onde del Tamigi.
Usop rimise il pesce nel cartone: «Dai, sto scherzando! Lo so che non può essere colpa delle patatine. Se ti vanno puoi servirti, eh!».
Nami alzò le spalle e assaggiò le fritture, anche se il suo stomaco era chiuso. Era passata quasi un’intera giornata e ancora non era tornata da Arlong, né stava lavorando per lui. Sentì un enorme macigno crescere sulla sua schiena e temeva di rimanere schiacciata.
Lo scorrere del fiume le entrò in testa e sentì la gola secca. «Ho sete».
Usop sorrise: «Il tuo tempismo è perfetto! Siamo vicino al locale di un’amica di vecchia data».
Il duo arrestò i loro passi di fronte a un’enorme insegna. Inciso nel legno, vi erano le parole “Rip Off Bar”.
Nami aggrottò la fronte: «Tu lo sai che dicono dei locali del Southwark, vero? E di tutto il resto del Southwark?».
«Che è il posto migliore dove piazzare un teatro?».
La rossa lo guardò stranita.
«Shakespeare, il Globe... ah, ignoranti!», la prese per il polso e la trascinò con sé.

Non sapevano ancora quanto se ne sarebbero pentiti.

~~~


Kidd picchiò il fondo del boccale contro il bancone. Espirò. Continuando di quel passo si sarebbe ubriacato. In pieno giorno. In un locale nel vespaio criminale di Londra. Se ne fregò e tornò a bere.
Killer leggeva il Daily Journal, una copia buttata da un tipo in frak dal caratteristico naso rosso. Non gli importava chi fosse né della sua fisionomia, ma di un giornale se ne facevano troppe cose per gettarlo.
La proprietaria del posto se ne stava nascosta dietro il bancone, sembrava non curarsi del vecchio addormentato in un angolo. Oltre a questi quattro personaggi, il locale era vuoto.
«Cos’ha quello che non va?», urlò Kidd. Le gote erano rosse, gli occhi lucidi.
Killer gli lanciò un’occhiata e due parole balzarono nella sua mente: “Ubriaco fradicio”. «Chi?», chiese.
«Mia nonna. Di chi vuoi che parli? Trafalgar!», indicò una fasciatura a caso sul suo corpo. «Mi fa imbestialire: si mette in mezzo nei momenti più scomodi e non si leva di torno finché non arrivano i piedipiatti, e per allora sono cazzi amari per tutti. Sembra che mi stia col fiato sul collo!».
«Ti è mai venuto in mente che a furia di derubare ogni notte, qualcuno ci sarebbe stato alle costole? Uno scagnozzo di Doflamingo, per esempio».
Kidd immerse la mano tra i capelli rossi mugugnando qualcosa d’incomprensibile.
Killer abbassò il giornale e guardò il suo amico: «Allora?».
L’altro non rispose, alzò la testa in alto come se un’intuizione l’avesse travolto, poi la riabbassò come se si fosse deluso da solo. Fissò Killer negli occhi: «Un altro giro di birra».
~~~


Il cielo di Londra era inspiegabilmente diventato azzurro. Non un velo di fumo, solo qualche nuvola bianca dipinta qua e là abbracciava il quartiere della City.
Trafalgar alzò il colletto del suo cappotto nero: «Voi due, vedete di comprare biglietti per tutto il gruppo».
Penguin e Shachi si passarono una mazzetta di soldi: «Sicuro di volere spendere così tanto?».
«Lavorare per Doflamingo ha i suoi privilegi. Ci rivediamo stasera davanti alla Southwark Cathedral». La cattedrale era dall’altra parte del London Bridge, divisa da loro dal fiume.
Penguin infilò la mazzetta nella tasca del giaccone, inarcò le sopracciglia: «Non possiamo fare da un’altra parte? Insomma, lo sai che si dice del Southwark?».
Il moro raddrizzò il cappello maculato sulla testa: «Sono solo voci, e saremo davanti a una cattedrale. Quale criminale vorrebbe mettersi contro l’ira divina?».
«Eustass Kidd?».
«Grazie, Shachi».
«Quando vuoi, tesoro», e sentì un tuono. Capì che si trattava del suo stomaco: «Mezzogiorno. La tentazione di comprarsi da mangiare con tutti questi bei soldini è tanta, sai?».
«Potrei offrirvi il pranzo».
Shachi credeva di aver sentito male. Quando vide l’espressione stupita si Penguin, si rese conto che qualcosa di strano doveva essere stato detto per forza. Era sul punto di chiedergli se faceva sul serio, ma la paura di una risposta negativa uccise le parole ancora in gola. «È ufficiale: il tè gli è andato alla testa. Dove si va di bello?».
Trafalgar si voltò: «In un locale del Southwark. Tanto per farvi passare quest’idea del quartiere criminale».
«Credo di essere sazio». Penguin puntò verso una meta più sicura, possibilmente immersa nella City of London. Sentì una presa salda alla collottola e seppe per certo che la sua condanna a morte era già stata firmata.
Tra uno strattone e una lamentela, Penguin notò come Trafalgar quel giorno fosse diventato particolarmente generoso.
Si chiese se il circo, il pranzo e tutte quelle cose che avrebbero fatto non fossero nient’altro che un’informale richiesta di scuse per la sera prima.

~~~

Quella del criminale era esattamente il genere di carriera che Smoker avrebbe potuto intraprendere.
Abbastanza forte da non farsi mettere i piedi in testa, aveva la mente di uno stratega.
Nessuno era riuscito a capire come fosse stato risucchiato dal giro di quella dozzina di persone.
Erano i pochi a non vedere la giustizia come un ideale.
Organizzavano pattuglie, catturavano ricercati e li consegnavano alle prigioni.
L’ingresso della loro sede era il numero quattro di Whitehall Place,
 qualche londinese con un forte senso dell’umorismo aveva deciso di chiamarli
col nome della stradina secondaria sulla quale si affacciava l’edificio.
Era la Great Scotland Yard.

 
Il chiasso riempiva ogni angolo della stanza. Sengoku aggrottò la fronte, afferrò la sua copia maltrattata dell’Utopia di More e la batté ripetutamente sul tavolo: «Ordine!».
I presenti si ammutolirono uno alla volta. Alcuni erano sugli sgabelli ammassati alla scrivania, i meno fortunati stavano in piedi in fondo alla stanza o attaccati a una parete.
Sengoku abbandonò il volume: «Dichiaro aperta la quarantanovesima assemblea degli uomini di Scotland Yard».
Una mano con le nocche coperte di metallo si sollevò dall’impasto di persone. Fullbody ottenne la parola, indicò una figura accanto a sé: «Che ci fa questa qui?».
Tashigi guardò a destra e a sinistra, poi si indicò: «Chi? Io?».
«Sì, proprio tu».
La ragazza sbatté le palpebre: «Che intendi dire?».
«Sei una donna».
«E allora?».
Smoker passò una mano sugli occhi: «Ci risiamo...».
Fullbody gonfiò il petto come un gallo durante la stagione degli accoppiamenti. «Qui siamo tutti uomini. Hai presente? Quel genere di persone abbastanza forti e capaci per fare questo lavoro: un lavoro da uomini».
«Sono in grado di catturare qualsiasi criminale», Tashigi posò la mano sull’elsa della katana.
L’uomo inarcò il sopracciglio: «Se pensi che essere Yard significhi solo questo perché non ti unisci ai Bow Street Runners?».
«Ordine!», altre violenze furono subite dal libro la cui funzione era stata scambiata per quella di un martello. «Signorina, l’assemblea è riservata ai membri di Scotland Yard, lei non può restare qui».
Tashigi sentì prurito alle mani, che si trasformò in calore ardente. Il caldo salì fino ai gomiti e arrivò al viso.
Sengoku allargò il colletto della camicia: «L’argomento del giorno è una banda di ladri che si apposta ai moli londinesi. Il loro capo si fa chiamare Creek o Don Krieg».
Tashigi fece in tempo a uscire prima che notassero gli occhi lucidi.
«Se c’è qualcuno che ha altri argomenti da discutere, lo faccia sapere adesso», concluse.
Momonga schiarì la voce: «Avrei qualcosa da dire. Garp, è per i tuoi nipoti».
Furono soppresse delle risate in punti indefiniti della stanza. Una figura emerse dalla penombra: «Cosa hanno combinato stavolta?».
«Mentre ero di pattuglia ieri notte, un uomo è stato derubato in casa sua».
«Sai che novità!»
«Hanno preso un pianoforte. E stamane Bastille ne ha trovato uno sfracellato qui nella Whitehall. La forza dei tuoi ragazzi la conosciamo tutti. Potrei chiudere un occhio, ma cerca di mettergli la testa a posto!».
Smoker fece un cenno con la mano: «Tranquilli, Tashigi ed io li abbiamo portati a Impel Down di persona. Non combineranno guai per un po’».
Una testa rosa emerse tra le altre: «Quasi dimenticavo! Il vicedirettore Hannyabal ha fatto uscire Ace e Rufy perché molestavano le guardie. Pare che cantassero una canzone sulle terre del sud... il resto non mi è ben chiaro».
La cenere scivolò dal sigaro, cadde sulla scarpa di Smoker lasciando un alone grigio: «La prossima volta giuro che li lascio al Marshalsea».
«Sarebbe l’ora», Vergo appoggiò la schiena alla parete. «Hai il cuore troppo tenero con loro».
«Non dovrei stupirmi se l’argomento principale rimane quello della famiglia Monkey D. da quarantanove assemblee», Sengoku scosse la testa. «C’è qualche altra questione di cui volete discutere?».
Nessuno fiatò.
«Molto bene. Argomento del giorno: Creek. La sua banda è composta da circa cinquanta uomini, attaccano le navi approdate ai moli londinesi mentre fanno la fila. Pare che con i metalli racimolati dal Nuovo Mondo sia riuscito a creare una nuova lega. L’ha chiamata “Wootz” e ne ha fatto un’armatura che porta sotto i vestiti, si pensa che le armi da fuoco possano rivelarsi inutili...».
Un tonfo interruppe il discorso dello Yard. Davanti all’ingresso c’era il corpo di un uomo dai capelli lunghi e neri, indossava due orecchini di perla.
Tashigi asciugò la fronte col dorso della mano: «Perdonate l’interruzione, prima di uscire ho sentito che eravate alla ricerca di Creek. Questo qui dice di essere il suo sottufficiale, si fa chiamare Pearl. Interrogatelo, trovate il punto debole di Creek e catturatelo. Semplice, no?».

Tashigi camminava seguendo il tragitto del Tamigi. Il sole sulla pelle la riscaldò: sembrava l’unico sorriderle. La sorte era molto più sarcastica. «Non riesco a capire perché mi abbiano cacciato via».
«Questione di orgoglio maschile», Smoker si passò la mano tra i capelli. «Stavamo parlando di un pericoloso criminale da affrontare quando la soluzione più pacifica ha fatto un capitombolo sull’uscio della porta. Niente pericoli, né azione. Per non parlare della figura di Fullbody, non sarebbero resistiti un minuto di più».
«Perché hanno cacciato anche lei, signor Smoker?».
«Sanno che tu sei la mia fedele compagna: combini un guaio tu, ci vado di mezzo io».
Tashigi d’un tratto sentì la sua indipendenza rotta da una catena che la legava al primo uomo più vicino. Il calore si rimpossessò di lei, riuscì a ricacciarlo indietro: «Pensavo di chiederglielo, a Sengoku».
Lo Yard affondò le mani nelle tasche: «Di voler diventare un membro di Scotland Yard?».
Lei annuì.
«Non accetterà mai».
La ragazza accarezzò la fodera della katana: «Dovrà darmi una spiegazione. Una valida, e non il solito “sei una donna”. Ho dimostrato troppe volte che sono in grado di assumermi questa responsabilità. Adesso è il loro turno», si voltò verso Smoker. «Lei che ne pensa?».
La studiò per qualche secondo: «Conta su di me».
E Tashigi sorrise.
~~~

«Kidd, sei vivo?» Killer gli punzecchiò la spalla con il Daily Journal arrotolato.
Il rosso alzò la testa: «Eh? Cosa... cosa c’è?».
«Ti eri addormentato. O sei svenuto, non è molto chiaro».
«Ah, bene!» socchiuse gli occhi e si ributtò sul tavolo.
Killer sospirò: «Sai cosa ho trovato nel giornale di quel tizio in frak? Un sacco di segni. Sottolineature, parole cerchiate... cose che di solito le persone non fanno sui giornali, no?».
«Che ti frega? Sei analfabeta».
Killer mise da parte Daily Journal: «Un giorno mi spiegherai perché tu hai avuto la fortuna di genitori che ti abbiano insegnato a leggere e io no».
Il rosso svuotò l’ultimo boccale di birra: «Non esageriamo, i miei genitori con le lettere erano messi peggio di te ed io non devo loro nulla».
«Allora chi...».
«Tredici».
Si voltarono. La proprietaria del posto se ne stava a braccia conserte, indossava l’espressione meno rassicurante del suo repertorio.
Kidd si appoggiò allo schienale della sedia: «Vuoi farci il malocchio, donna? O forse dovrei dire strega?».
«Parla quello con i capelli rossi», spostò una ciocca corvina dietro l’orecchio. «Tredici è il numero delle birre che hai bevuto. Più un bicchiere di latte. Questo è il conto». Lasciò un foglio sul tavolo, il numero in fondo alla pagina era particolarmente lungo.
Il rosso gli diede un’occhiata veloce. Si alzò, indossò la sua pelliccia, camminò verso l’uscita: «Paga il mio amico».
Killer era perso tra lo sguardo austero della signora e il foglio di carta.
A metà strada Kidd si voltò: «Te lo dico prima: non ce l’hai tutti quei soldi».
La donna mise le mani sui fianchi: «Cosa intendeva il tizio che si fa passare per tuo amico?».
«Emh», Killer si schiarì la gola. «Non sono uno che di solito fa il portoghese e ho il massimo rispetto per le locandiere di questo paese...».
Kidd frenò la sua passeggiata barcollante: «Pessimo inizio!».
Riprese: «Quello che intendo dire è che non ho nulla contro di lei. Solo, mi chiedo, non sarà che il listino prezzi è troppo alto?».
Sotto la frangetta nera sbucò un’occhiata gelida come l’inverno.
«Ah, Killer! C’è una cosa che non ti ho detto», Kidd fece un passo indietro e si appoggiò a una sedia lì accanto. «Questo locale è vuoto».
«Fin qui c’ero arrivato anch’io», vide che la donna stava rimboccando le maniche. Sentì un piccolo Scotland Yard dentro la sua testa dirgli che era nei guai.
Rubicondo, Kidd sorrise: «Sì, certo. È vuoto. Non perché è giorno, è sempre vuoto. Nessuno si azzarda a entrare, sono tutti troppo spaventati. Ah, dovrei fare le presentazioni! Killer, ti presento Shakuyaku. Hai presente quel periodo di cui non si parlava d’altro di un assassino spietato che veniva dalla Cina? Eccola qui».
La locandiera schioccò le nocche: «Io vengo dal Giappone, e sono un’ex pirata».
«Cina, Giappone», il rosso prese la sedia e ci si sdraiò. «Sei sempre spietata, no?».
«Senza dubbio», tirò un pugno. Prese in pieno il casco a strisce.
Killer scattò indietro troppo tardi. Fronte, naso e mento gli bruciavano. «Quello non è un pugno da donna!».
«Sembri essere un esperto», Kidd se la rise.
Shakuyaku tirò un calcio all’altezza dell’addome, Killer lo parò con l’avambraccio: «Kidd, non ho le lame con me! Una mano!».
«Non voglio toglierti tutto il divertimento», il rosso portò la testa all’indietro.
Delle voci s’intromisero nella scena. venivano da fuori: «Tu lo sai che si dice dei locali del Southwark, vero? E di tutto il resto del Southwark?».
«Che è il posto migliore dove piazzare un teatro? Shakespeare, il Globe... ah, ignoranti!».
«Proprio sotto il London Bridge! Ti rendi conto di che significhi?».
«No, cosa significa?».
«Che il peggio del peggio di Londra è qui!».
Un giovane dal naso particolarmente lungo fu il primo a entrare, in mano aveva un cartone di Fish and Chips: «Sciocchezze! Guardati in giro e dimmi cos’è che ti da quest’impressione».
Killer fu spinto a terra, si sollevò sui gomiti: «Ero distratto, diamine!».
Usop osservò incuriosito chi aveva avuto il coraggio di non pagare il conto: «Ciao, Shakky. Vedo che le cose qui non sono cambiate».
Kidd mise da parte la sedia. Il braccio destro si sollevò incerto verso una figura longilinea: «Mi ricordo di te».
Nami sbarrò gli occhi: «Chi? Io?».
«Tu eri con lo scheletro parlante!».
Lei indietreggiò: «Macché! Mi starai scambiando per un’altra».
«Killer!», il rosso alzò la voce. «Questa qui non l’abbiamo già incontrata la scorsa notte?».
Un tavolo fu ribaltato. «Qui sarei un po’ impegnato!», il biondo si lanciò verso la donna e tirò un pugno. Lei si abbassò, con un calcio lo fece inciampare.
«Shakky, non hai più l’età per le risse», il vecchio seduto in un angolo del locale s’interessò alla faccenda.
La donna diede una testata all’avversario e balzò indietro. Le usciva sangue dal naso. Certo, non era lei quella a indossare un casco. «Nemmeno tu sembri nel fiore degli anni».
«Non ho la reputazione di un locale da difendere», Raleigh sistemò gli occhiali sul naso. Si rivolse a Killer: «Giovanotto, non ti vergogni a far del male a una signora?».
«Io dico che la “signora” ha la meglio», borbottò il rosso. Il suo occhio scivolò verso l’uscita. «Ferma, tu!».
Nami vide in frantumi il suo piano di fuga.
«È l’ora di saldare i conti», Kidd portò una mano alla tasca dei pantaloni e tirò fuori una pistola.
La ragazza sentì il sangue gelarsi, indicò l’arma: «Vuoi farmi fuori? Con quella?».
«Detesto sporcarmi le mani con una donna».
«In effetti, uno sparo a bruciapelo è molto più nobile».
«Calma!», Usop si piazzò davanti all’uomo a braccia aperte. «Non è il caso di arrivare a tanto!».
Kidd si chinò in avanti fino a raggiungere la distanza minima tra i loro sguardi. La sua voce si fece profonda: «Togliti di mezzo».
Usop prese un respiro: «Non preferiresti un delizioso cartone di Fish and Chips?». Gli porse un cono oleoso e mezzo vuoto, Kidd gli rivolse un’occhiata più dura. Il moro vide la sua vita corrergli davanti agli occhi e finire miseramente in un locale dove l’unica cosa buona che facevano era il conto. Buono per i proprietari, non per i clienti. Prese Nami per mano: «Addio, è stato bello conoscerti».
La ragazza scosse la testa: «Nella prossima vita ricordati di chiamare il temerario Capitano Usop quando serve».
Kidd caricò la pistola, sollevò la canna finché non raggiunse l’altezza della testa della ragazza: «Tranquillo, nasone. Ci inventeremo qualcosa anche per te».
«Fermati!», l’urlo di un’anima dannata rimbalzò per tutto il Rip Off Bar. Veniva dalla strada.
Nami e Usop aggrottarono la fronte, Kidd abbassò la pistola. Shakuyaku si fermò e Killer ebbe la saggia idea di prendere le distanze dalla donna.
Una voce continuò: «Sentivo giusto la mancanza di un timpano fuori uso, grazie».
«Lasciami subito! Non voglio finire sgozzato da un criminale del Southwark!».
Killer inclinò la testa: «Che problema hanno tutti con questo quartiere?».
Shakky sospirò: «È quello che mi chiedo anch’io da anni».
Le porte si aprirono, tre figure facevano capolino.
«Non ci credo, stiamo entrando sul serio!».
«Penguin, rilassati. Stiamo solo andando a mangiare. Chi pensi di incontrare di pericoloso per pranzo?» Trafalgar si fermò, stropicciò gli occhi. «Penguin, oltre alle amnesie credo di soffrire di qualche allucinazione».
L’altro si liberò dalla presa, poi rispose: «Che cosa intendi con “allucinazione”?».
«Ecco, c’è Eustass-ya che mi punta addosso una pistola. Ha la stessa espressione entusiasta di Vergo quando mi vede arrivare. Credo mi stia per venire qualcosa, perché le teste rosse sono raddoppiate. C’è anche un tipo con un naso sproporzionatamente lungo».
Usop si massaggiò il mento: «Mmh, continua».
«Vedo Killer-ya che in tutta la sua virilità scappa da una donna col caschetto».
«Frenafrenafrenafrenafrena!», Killer si scansò. La sedia andò in frantumi contro la parete.
«L’unica cosa normale è un uomo seduto in quell’angolo. Ah, no. Scherzavo. Ha la stessa faccia di uno dei peggiori criminali che Londra abbia mai conosciuto».
Raleigh li salutò agitando una mano.
Trafalgar si voltò: «Cosa mi dici, Penguin? Sto impazzendo?».
«Guarda che li vedo anch’io».
«Allora sono sano di mente».
«No, Law». Gli cinse il collo col braccio: «Qui siamo matti tutti e due».
Shachi s’inserì tra loro, scrollò le spalle: «Stavolta col tè abbiamo proprio esagerato».
Usop si sfregò le mani. Una piccola lampadina si era accesa nella sua testa a gridargli una soluzione geniale -sebbene lui, a dirla tutta, non avesse idea di cosa fosse una lampadina: «Sì, siamo tutti il frutto della vostra fantasia!».
Penguin lo indicò: «Il tizio col naso lungo dice che sono tutti frutto della nostra fantasia...».
«Sono in modalità “allucinazione si gruppo”, non c’è bisogno che ripeti quello che dico».
Shachi si massaggiò la nuca: «Perché il tuo naso è così lungo?».
«Mi snellisce il viso. Va molto di moda in questo secolo. Ora, che ne direste di fare un passo avanti?».
Il trio si scambiò sguardi poco convinti sul da farsi. Shachi fece un passo incerto, lo seguì Penguin subito dopo.
Kidd strinse i pugni: «Diamoci un taglio con questa pagliacciata. Avete messo i bastoni tra le ruote al sottoscritto durante il suo lavoro e ne pagherete le conseguenze!».
«Sssssst!». Il bugiardo si sfregò le mani: «Così, bene. Ottimo. Ora, se Nami vuole avere l’onore...».
Killer scappava da Shakuyaku. Qualcosa s’impossessò delle sue caviglie, si accorse dello sgambetto della rossa e se la cavò inginocchiandosi. Per Shakuyaku non fu lo stesso: gli finì addosso e nel cadere si aggrappò alla persona più vicina. Kidd avvertì una presa alle spalle, la sorpresa lo fece sobbalzare e diede uno strattone, crollò su Penguin e Shachi. Caddero tutti a terra.
Usop si cimentò verso l’uscita, gridò: «Corri, Nami!».
La rossa fuggì dietro di lui: «Prova ad abbandonarmi di nuovo e giuro che quelle palline da giocoliere di stamane te le infilo giù per la gola!».

Killer aveva bevuto appena un bicchiere di latte, si alzò per primo. «Kidd, sveglia!».
Il rosso, con ancora una vocina strillante in testa che canticchiava Hot Cross Buns, si mise a quattro zampe. «... Killer?».
Sotto di sé trovò due ragazzi più grandi, lo fissavano con un’aria sconvolta.
«Quanto ho bevuto esattamente?».
«Tredici birre!» Shakuyaku riemerse dalla pomata di persone spalmata a terra.
Shachi strisciò sul pavimento e tagliò i centimetri che lo dividevano dalla spalla del compagno: «Psst! Penguin, ci sei?».
«Dove vuoi che sia?».
«Questo quassù è Eustass Captain Kidd, giusto?».
«In carne e ossa».
«Altro che allucinazione di gruppo. Cosa dovremmo fare?».
Penguin si morse il labbro: «Propongo la tecnica “opossum”».
«Sarebbe?».
«Fingiamoci morti e speriamo che se ne vada».
Shachi sbatté le palpebre: «Forse c’è qualcosa che non ti quadra, amico mio».
«Cosa?».
«Io sono un’orca, tu sei un pinguino. Quante speranze abbiamo di usare la tecnica “opossum”?».
«Ottima osservazione», commentò Kidd dall’alto della sua posizione. «Che volete fare adesso?».
«Usiamo il piano “Eustass-ya”, che domande!» esclamò Penguin.
Il rosso scosse la testa: «Aspetta, come mi hai chiamato?».
«Hey, sai chi era qui un minuto fa? Trafalgar Law! E adesso lo vedi più? No? Che peccato, se n’è andato. Chissà, qualcuno di molto veloce potrebbe raggiungerlo», Penguin non aveva ancora finito quando Kidd si era alzato in piedi, tuffato verso l’uscita e iniziato un inseguimento senza precedenti.
Killer sospirò: «Non vi vergognate? Avete venduto il vostro amico».
Shachi fece le spallucce, indicò il compagno: «Gli deve una cena e un pranzo. Se non è un buon motivo questo!».





Note:
Non sono superstizioso, ma di tanto in tanto è sano mettere un punto interrogativo davanti a quello che si dava per scontato da tempo”.
Questa frase di Trafalgar è inspirata ad un aforisma del filosofo gallese Russel: “In ogni cosa è salutare, di tanto in tanto, mettere un punto interrogativo a ciò che a lungo si era dato per scontato”.

Tu lo sai che dicono dei locali del Southwark, vero? E di tutto il resto del Southwark?”.
Non è che il Southwark sia un’area così pericolosa al giorno d’oggi. All’epoca, però, il London Bridge (che collega la City of London e il Southwark) era pieno di criminali, e i locali di quelle parti non avevano reputazione migliore. Non bastavano per scoraggiarli nemmeno i numerosi carceri, tra i quali spiccava il Marshalsea.

Che è il posto migliore dove piazzare un teatro? Shakespeare, il Globe... ah, ignoranti!”.
Usop fa riferimento al Globe, il teatro dove Shakespeare e la sua compagnia recitarono all’epoca di Elisabetta I. Fu costruito e ricostruito nel 1599, nel 1614 e nel 1999.

Killer leggeva il Daily Journal, una copia buttata da un tipo in frak dal caratteristico naso rosso”.
Il Daily Journal è un quotidiano inglese dell’1700, e non era nemmeno l’unico. L’Inghilterra fu uno dei primi paesi a dare importanza alla stampa e alla diffusione di notizie quotidiane.
Per quanto riguarda il tipo in frak, si tratta di Buggy.

L’ingresso della loro sede era il numero quattro di Whitehall Place, qualche londinese con un forte senso dell’umorismo aveva deciso di chiamarli col nome della stradina secondaria sulla quale si affacciava l’edificio. Era la Great Scotland Yard”.
L’origine del nome degli Yard viene davvero dalla strada su cui si trovava la loro sede, così come per i Bow Street Runners. Quando ancora l’Inghilterra non aveva fondato il primo corpo di polizia al mondo (tenetevi forte: non era quello di Scotland Yard), vigeva il Codice Winchester. Secondo questo, dai sedici ai sessanta anni era possibile avere e usare una pistola per la difesa della propria persona. Di tanto in tanto i Thief-taker facevano la loro parte, ma i criminali continuavano a creare problemi. Ronde volontarie di uomini organizzati aveva dato il via al primo prototipo di polizia. Gli Yard erano tra questi.

Signorina, l’assemblea è riservata ai membri di Scotland Yard, lei non può restare qui”.
Suppongo sia superficiale farlo notare, ma alle donne non sarebbe stato permesso neanche dopo l’ufficializzazione di Scotland Yard a entrare in un corpo di polizia.

La prossima volta giuro che li lascio al Marshalsea”.
Era una delle prigioni più crudeli. Charles Dickens ne fa riferimento in uno dei suoi libri, lì era stato rinchiuso suo padre. Voci dicono che i prigionieri venivano torturati dai carcerieri, di fatto si sa solo che molti morivano di fame. I bollettini di morte finivano ritoccati. Oggi non esiste più, c’è solo una targa riguardo Dickens.

“Il rosso con ancora una vocina strillante in testa che gridava Hot Cross Buns, si mise a quattro zampe”.
Gli Hot Cross Buns sono dei dolci inglesi, ma qui ci si riferisce alla canzone per la nursery, nata proprio nel diciottesimo secolo.

Io sono un’orca, tu sei un pinguino. Quante speranze abbiamo di usare la tecnica ‘opossum’?”.
“Penguin” in inglese significa “pinguino” così come “Shachi” significa “orca”. L’opossum invece è un adorabile marsupiale che per proteggersi dai predatori finge di essere morto.

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Capitolo 7
*** Un ubriaco, un idiota e un boia di fiducia ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Eichiiro Oda; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

Capitolo 7, Un ubriaco, un idiota e un boia di fiducia
 
Sanji scosse la testa: «Sì, come no».
Usop poggiò l’ennesima cassa nel mucchio e grugnò: «Ti dico la verità!».
«Certo, Usop. Come sempre, Usop. E magari è vera anche la storia che hai fatto credere a Trafalgar Law e a Eustass Captain Kidd di essere il frutto di un’allucinazione di gruppo, e che sei riuscito a scappare da un’orda di soldati di Scotland Yard. In tutto questo, Shakky e Rayleigh non hanno mosso un dito».
Usop tornò indietro a prendere un’altra cassa: «Shakky era impegnata con un cliente».
«Impegnata con... chi?».
«Sai benissimo cosa intendo! Non c’è bisogno di fare il geloso», caricò il peso sulle spalle. «Per quanto riguarda Rayleigh, non lo so. Magari ha avuto un’improvvisa conversione pacifista».
Sanji inarcò le sopracciglia: «Facciamo che mi racconti questa storia sin dall’inizio, ci stai?».
Rufy stava aiutando Franky a entrare nel cannone: «Arriva alla parte dove spuntiamo noi!».
Usop massaggiò le meningi: «Datemi un minuto, cerco di farvi contenti tutti: io e Nami scappiamo dal Rip Off Bar, cercando di non farci ammazzare da Eustass Captain Kidd e compagnia bella. Crediamo di averla fatta franca, ma è troppo bello perché duri. Un tipo ci ha seguito. Non sembra un cattivo ragazzo. Semplicemente, si avvicina e dice...».
~~~

«Gran bel lavoro, lì dentro», esordì il nuovo arrivato con un sorriso serafico in volto.
Nami era sull’attenti, così come Usop: «Grazie tante».
Era un ragazzo poco più grande di lei, molto più alto, senza dubbio. Sulla pelle scura si confondevano i tatuaggi nero carbone. Non c’era del brusco in quella camminata sulla balaustra che li divideva dal Tamigi. Percorreva linee sinuose, come un gatto. Se c’era qualcosa che Nami ricordava dei gatti, era che adoravano giocare con le prede prima di mangiarle.
Il ragazzo chinò il mento: «Anche se non sono venuto da voi per parlare di questo».
«Nessuno lo mette in dubbio», aggiunse Usop. Non lo dava a vedere, ma gli tremavano le ginocchia.
«È solo che, mi chiedo, cosa avete mai fatto di così grave per infuriare Eustass Captain Kidd?», il ragazzo si chinò sulle ginocchia.
Usop diede una gomitata al braccio di Nami: «Bella domanda. Che avete fatto tu, Brook e Zoro per infuriarlo così?».
La rossa fece un passo indietro: «Lo abbiamo battuto sul tempo, tutto qui. Sanji, sangue, l’uomo dei miracoli, Shiryu... avevamo bisogno di soldi e li abbiamo prelevati dallo stesso posto da cui li voleva prendere Eustass».
Usop lo puntò: «Adesso sei contento, signore in nero? Che ne dici se andiamo ognuno per  la propria strada?».
Il ragazzo scosse la testa: «Direi proprio di no».
«Perché?», Nami sfilò dalla tasca il suo coltellino serramanico.
L’altro non rispose: «Bel posticino, il Diamond. Non è vero?».
«Ah - ha», assentì Usop. «Un posto molto romantico. Quasi quasi ci porto la mia fidanzata per cena».
«È una gioielleria», Nami fece scattare la lama. «Appartiene a Donquijote Doflamingo, è quella che abbiamo svaligiato ieri sera. Adesso questo qui viene a darci fastidio», alzò l’arma. «Dimmi un po’: non sarai uno dei suoi tirapiedi, venuto a regolare i conti!».
Il ragazzo abbassò sulla testa il cappello maculato: «Potete chiamarmi Law, per oggi sarò il vostro boia di fiducia».
«Uh-hu! Che frase d’effetto!».
Si girarono.
Alle loro spalle un uomo dai folti capelli rossi barcollava e destra e a sinistra. «Però la ragazza ha ragione: è vero che sei un tirapiedi del cavolo!», rise di gusto.
Trafalgar aggrottò la fronte: «Eustass-ya, sei... ubriaco?».
«Ci puoi scommettere!», sfilò da dietro di lui un oggetto allungato e luccicante, puntò su di loro la pistola: «E sono anche armato».
~~~

Killer immerse il boccale nella bacinella d’acqua, scosse la testa: «Allora gli ho detto che non era il caso di continuare a bere in quel modo».
Shachi prese il bicchiere pulito e lo asciugò: «E lui se l’è presa?».
«No, no. Eustass non se la prende mai con me. Solo che non mi dà ascolto: ha detto che aveva parlato con un medico e che sarebbe riuscito a reggere un altro po’. Un medico, certo. Di questi tempi non si porta a casa nemmeno il pane, e tu vorresti farmi credere di esserti permesso una visita medica?».
Penguin strizzò lo straccio nel secchio e tornò a strofinare una macchia ribelle sul pavimento: «Certo che siete grandi amici, tu e Eustass».
Killer pulì il settimo boccale di quella mattinata: «A volte credo di non saperlo. Mi dà l’impressione che non si fidi di me, tiene un mucchio di segreti».
Shachi gli diede man forte: «Lo stesso vale per Law. Perché certi ragazzi sono così chiusi?».
Shakuyaku, seduta sul bancone, abbassò il giornale: «Nuove generazioni? Con tutta questa cosa dell’industrializzazione i ragazzi vanno a isolarsi sempre di più».

Andati via Trafalgar e Kidd, Shakky si poteva permettere
di dare una lezione come conveniva al ragazzo che doveva pagare il conto.
Fu sorpresa quando lui trovò una soluzione migliore:
«Pulisco tutto questo macello, se necessario».
Fu ancora più sorpresa quando Shachi e Penguin,
con la scusa che non avevano nulla da fare per la mattinata,
si erano offerti di aiutarlo.
«Sembra un bravo ragazzo», aveva detto il primo.

«Shakky!».
La donna non riuscì nemmeno a voltarsi. Due arti la avvolsero stringendola in un abbraccio. Riconobbe subito la testa corvina e la persona che lo seguiva.
«Rufy, credevo ti avessero portato a Impel Down!». Si rivolse al fratello maggiore: «Lo stesso vale per te. Avete di nuovo fatto i furbi in un ristorante della City?».
Ace sistemò il cappello sulla testa: «Informatissima come sempre».
«Dovresti vederla con i titoli del Daily Journal: l’ho interrogata poco fa e li ricordava tutti a memoria».
I fratelli lanciarono uno sguardo al bancone, dove due uomini stavano lavando i piatti. Un terzo passava lo straccio per il negozio.
La donna percorse col dito le venature del legno scheggiato: «Guardatevi attorno».
Parte del mobilio era sparsa per il Rip Off Bar, un tavolo in fondo alla sala era ribaltato e i resti di una sedia giacevano contro una parete.
«Ci siamo persi un combattimento, vero?», Rufy si lamentò. «Non è giusto!».
Shakuyaku poggiò la schiena contro la pietra fredda del muro, indicò una figura in un angolo: «E quell’uomo, in tutto questo, non ha mosso un dito».
Raleigh tuffò la testa all’indietro: «Te l’ho detto. A volte si è troppo vecchi per le risse».
«Nemmeno se si tratta di amici? In quel miscuglio c’era Usop, pensa se quel tipo fosse riuscito a sparargli!».
Ace e Rufy si scambiarono un’occhiata: «Shakky, di che parli?»
~~~

Kidd era con le gambe ben radicate a terra a pochi metri da loro e nessuna intenzione di andarsene.
Nami aveva con sé solo un coltellino serramanico e non aveva alcun dubbio sul fatto che fosse beatamente inutile. Anche Usop sembrava essere a corto d’idee, provò a guadagnare tempo: «Voi due vi conoscete?».
«Da una vita, più o meno», mormorò Trafalgar. Scese dalla balaustra: «Peccato che a un certo punto si sia messo a derubare i locali con affari nell’underground, e sia caduto così sotto la mia ala di competenza in fatto di esecuzioni».
«Già, però sono ancora vivo». Eustass schioccò le nocche delle mani: «Scommetto che la tua “ala di competenza in fatto di esecuzioni” non sia al massimo della popolarità, eh?».
Usop scoccò la lingua sul palato, si avvicinò all’orecchio di Nami: «Che si fa?».
«Scappiamo?»
«Ci faranno fuori in una manciata di minuti».
«Cos’altro fare? Io o sì e no un coltellino serramanico».
«Bene. Io ho la mia intelligenza e conoscenza».
Nami digrignò i denti: «Ottimo, così dopo averci ammazzato usano la tua conoscenza per cucinarci in un pasticcio di carne e il mio coltellino per pulirsi i denti».
«Non prenderti gioco di me, se sono riuscito a fare qualcosa al Rip Off bar sarò anche in grado di rimboccarmi le maniche qui»
«Sarà meglio per te».
Usop si mise a braccia conserte, percorse con gli occhi la figura di Kidd. L’altro sembrava infastidito: «Che ti prende?».
«Sei arrabbiato».
«Tu dici?» aggiunse l’ubriaco in  tono sarcastico.
«… E hai i capelli rossi. Scommetto un rifornimento di Fish and Chips per un mese che sei scozzese».
Kidd aggrottò la fronte.
Trafalgar si passò una mano sugli occhi: «Stereotipi, eh?».
Usop lo indicò: «Ad essere sincero, è dal Rip Off Bar che sento un accento partico-».
Non completò mai la frase. Usop sentì il botto sulla sua guancia sinistra e la vista si annebbiò. Quando i puntini bianchi cominciarono a scomparire da davanti agli occhi, sentì un forte bruciore in faccia. Nami gli aveva dato uno schiaffo. Il moro strillò: «Perché l’hai fatto?».
Lei massaggiò la mano con cui l’aveva colpito: «Hai idea di quanti anni di discriminazione ho dovuto subire solo per colpa dei miei capelli rossi?».
«Discriminazione?»
Lei mise le mani sui fianchi: «Questo sono gli stereotipi! Come puoi usarli con tutta questa leggerezza?»
«Pensavo ci tenessi alla pelle!»
Kidd scosse la testa, si rivolse a Trafalgar: «Credevo che quei due fossero amici».
«Lo credevo anch’io», il ragazzo storse il naso nel sentire gli insulti più sporchi tirati fuori dalla rossa, «Anche tu hai subito anni di discriminazione per colpa dei pregiudizi sui rossi?».
Kidd sorrise: «Certamente!».
Rufy annuì: «Avete molto in comune, eh?»
«Si direbbe di sì», Kidd pensò di essere in preda alle allucinazioni quando vide il giovane Monkey D. Rufy davanti a sé. Lo sfiorò col la canna della pistola, così, tanto per essere sicuro. L’occhiataccia del fratello maggiore era reale alquanto.
Trafalgar sollevò lo sguardo, incontrò due occhi neri sotto un cappello da cow boy. «È da molto che non ci si vede, Ace».
L’altro non lo prese in considerazione. Afferrò Nami prima che potesse commettere un omicidio in pieno giorno e aiutò Usop a rialzarsi: «Questi tre ti stanno dando fastidio?».
Il ragazzo spalancò le palpebre: «Ace! Rufy! Cosa vi viene in mente? Il Capitano Usop se la cava
e-g-r-e-g-i-a-m-e-n-t-e! Solo, non torcerebbe mai un capello a una signorina!».
«Quando parli così, sembri Sanji» Rufy affondò le mani nelle tasche, si voltò verso Kidd. «Che cosa volevi fare a Usop?».
L’altro sollevò i palmi delle mani: «Che cosa credevi che facessi?».
«Hai più di una fama: quella da scassinatore e quella da pluriomicida», il fratello maggiore schioccò le nocche delle dita.
Kidd fece le spallucce: «Difficilmente mi metto a scassinare le persone. Anche tu sei molto conosciuto, Portuguese D. Ace. Sarebbe bello poter farti fuori».
«Perché “sarebbe”?», chiese Ace in tono di sfida.
Il rosso indicò un punto in lontananza. Gli sguardi di tutti seguirono la sua direzione fino ad arrivare a due uomini di Scotland Yard che li fissavano.
Tashigi tirò un lembo della giacca di Smoker: «Una rissa?».
«Ci sono Trafalgar Law, Eustass Kidd e i due fratelli Monkey. Più che una rissa, direi una strage».
«Le dispiace, come uomo, se risolvessi il problema in maniera semplice e pacifica?».
Smoker pensò che stesse scherzando, poi vide il suo volto serio: «Fa’ pure».
Tashigi unì i talloni, schiarì la voce, prese fiato: «SIETE TUTTI IN ARRESTO!».
Usop sbarrò gli occhi: «Via, via, via!».
Trafalgar si morse il labbro: «Dannazione, ora arrivano i rinforzi».
I ragazzi del Galop si unirono in un singolo gruppo e imboccarono la prima strada secondaria più vicina.
«Maledetti Yard!», Kidd digrignò i denti. Impugnò la pistola.
Trafalgar lo inquadrò con la coda dell’occhio. «È davvero così ubriaco?», pensò fermandosi. Si disse che non era affar suo, Killer riusciva a portarlo via sempre e comunque. Già, Killer: il tizio che si erano lasciati alle spalle al Rip Off Bar. Non era comunque un problema di Trafalgar, e lui lo sapeva. Sapeva anche che sarebbe stato da idioti salvare la pelle a Kidd.
Quindi si diede dell’idiota e continuò a farlo mentre prendeva Kidd di peso e lo portava via.
Tutti si erano dileguati.
Tashigi trattenne a stento una risata, Smoker le diede una pacca sulla spalla: «Donne, altro che Scotland Yard! Dovrebbero mettervi al governo».

 

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