Nei pezzi rubati di me.

di AnonymousA
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un mese prima. ***
Capitolo 2: *** Good April. ***
Capitolo 3: *** BETA. ***
Capitolo 4: *** Coriandoli d'emozioni. ***
Capitolo 5: *** Avvertimento dal passato. ***
Capitolo 6: *** Sento la tua dolcezza. ***
Capitolo 7: *** Senza rimpianti. ***
Capitolo 8: *** Sorpresa! ***



Capitolo 1
*** Un mese prima. ***


Ciao a tutti, eccomi con una nuova storia! Lo so, lo so che devo continuare Prudence ( che, tra l'altro, è in fase di scrittura!) però non potevo ignorare questa storia che mi frullava in testa!
E' un po' diversa dai generi che ho scritto fin'ora. Spero che vi piaccia e che la seguirete, a presto!



La luce della luna argentata filtra dalla finestra, perdendosi tra i raggi di luce contrastanti del lampadario. Stasera è terribilmente bella lì in cielo, e potente. Come se stesse custodendo un temibile segreto che ha in serbo di svelare più in là; come se questo avesse importanza per me e potesse condizionare la mia intera esistenza.
Chiudo gli occhi, appoggiandomi con le mani alla mia finestra aperta, da cui aspiro la salsedine del mare e la cui brina mi fa sentire ogni giorno più viva.
Amo la mia casa che affaccia direttamente sul mare, amo vedere il sole sorgere da esso, amo vederlo sostituito da quella enorme palla argentata che..
Il cuscino mi colpisce la nuca, facendo ritirare i miei pensieri, come sbalzati dall'elastico che tiravo da un po'.
« Sveglia, bella addormentata nel bosco! » mi urla Beth alle mie spalle - e so che è stata lei l'artefice che ha attentato ai miei pensieri - e scoppia a ridere, facendo ridere anche le altre.
Mi giro cercando di mantere un'espressione adirata, ma non appena vedo il suo viso scoppio a ridere anch'io.
Le tiro il cuscino colpendola in pieno volto « Non chiamarmi più così, Barbie » 
Con lei è sempre così: anche quando litighiamo, non riesco a mentenere il muso per più di cinque minuti. E' una botta di vita, di adrenalina. Beth è la mia migliore amica - nonché vicina di casa- da quando avevo sette anni. Non appena ci siamo conosciute, le ho tirato i capelli e lei i miei. Il giorno dopo, però, ha bussato alla mia porta con una torta piena di panna montata e fragoline e da allora non ci siamo più separate.
Beth è la tipica ragazza di cui ogni ragazzo si innamorerebbe: pelle dorata su un fisico mozzafiato, con la combo vincente degli occhi azzurri e capelli biondi. E' così sicura di sé, così spontanea, che accanto a lei farebbe impallidire perfino Jennifer Lopez.
« Come è suscettibile la nostra Aurora » s'inserisce Tanya « Ti manca il tuo Filippo? »
Sbuffo e salgo sul mio letto a due piazze che occupa metà della stanza. Ogni volta che decidiamo di fare un pigiama party, la mia casa è sempre quella più gettonata per quest'incredibile lettone. E per il resto dello spazio che - detto da Elly- fa la differenza
« Non c'è nessun Filippo » sbotto alla fine, divertita « E neanche lo voglio »
« Non volevi che - ehm, come dire- » scherza Beth pungente« Il tuo principe ti portasse in un castello isolato? »
« Beth! » la rimprovera Elly « Sei tremenda! »
Io scoppio a ridere. Elly è la più timida tra noi ed è quella con meno esperienza in fatto di ragazzi. Non che io ne abbia chissà quanta, ovvio. Beth è rigorosamente una sciupauomini, cadono ai suoi piedi come pere cotte e ci ritroviamo, spesso, in sere come queste, a ridere di loro mentre Beth ci descrivere le loro frasi patetiche di abbordaggio e le loro espressioni da pesci lessi nel metabolizzare il rifiuto.
« Ti ho già detto » ripeto irritata « Che non voglio nessun principe. E sai cosa penso  delle storie della Walt Disney: sono così irrealistiche che creano aspettative troppo alte sui ragazzi »
Le rubo una patatina al bacon prima che la riesca a mangiare e le faccio l'occhiolino « E poi ho un debole per i pirati »
« E il tuo bel Lucas, allora? » ribatte Tanya.
Scrollo le spalle mentre alzo gli occhi al cielo « L'ho mollato due settimane fa, Tanya »
« Ma eravate perfetti insieme! » esclama Elly e temo che da un momento all'altro gli occhi si trasformino in due cuoricini palpitanti.
« Non così tanto, evidentemente » asserisce Beth in mio aiuto.
Io annuisco ingurgitando altre patatine al bacon.
Ma Tanya non molla, prendendo in ostaggio il pacchetto di patatine « Sì, ma perché?» 
« Diciamo che aveva troppa fretta di esplorare la mia camera dei segreti » dico riprendendomi le patatine « Non so se ho reso l'idea »
Beth scoppia in una risata fragorosa « Non avresti potuto trovare un modo più nerd di questo per dirlo! » 
« Beh, io ho un bel pirata che farebbe al caso tuo » Tanya mi strizza l'occhio.
Alzo le mani in segno di resa « No, grazie »
Elly alza gli occhi al cielo « April, hai ventidue anni! Provaci, almeno»
Mi metto a sedere pescando dalla ciotola piena di marshmellow « Senti chi parla. Quando dirai a Tom che ti piace? »
Lei arrossisce violentemente e non risponde; io le prendo la mano e la stringo « Dovresti farlo, sei bellissima »
« Se sono bellissima perché non mi ha ancora chiesto di uscire? » borbotta.
Beth si tira su e sospira irritata « Perché ogni volta che si avvicina tu scappi! »
« E' convinto che non ti interessa » le spiega meglio Tanya.
Elly sospira « Sarò BETA a vita »
Beth l'agguanta per le spalle buttandola sul letto e iniziando a farle il solletivo ovunque « Perché dove avevi intenzione di andare? »
« Da.. nessuna.. parte! » riesce a sbiasciacare Elly tra le risate.
Poi, dopo che Beth la minaccia di rifarle ancora il solletico se ripete una simile baggianata, Elly si corregge « Sarò una BETA-zitella a vita »
Tanya scende dal letto e si avvicina al DVD, sfogliando i milioni di film che collezioniamo da tanti anni ormai.
« Guardiamo un film? » ci chiede, ma sappiamo già che è una domanda retoria. Accende la televisione e inserisce il dvd, poi viene a posizionarsi di nuovo sul letto.
Beth si copre gli occhi con un braccio « Vi prego, ditemi che non ha messo di nuovo Le pagine della nostra vita »
Tanya fa un verso indignata « Ma sono secoli che non lo vediamo! » 
Beth si gira a pangia in giù, con le gambe alzate « Tanya, una settimana non è un secolo. La tua percezione del tempo è disarmante »
« Poche storie, domani ho il turno di mattina » le interrompo prima che la discussione degeneri fino alle due del mattino « Film e poi a letto, okay? »
« Va bene, mamma! » mi prende in giro Elly.
Chiudo gli occhi per pochi minuti, poi li riapro. La stanza è buia, il televisore è spento e le ragazze dormono. Devo essermi addormentata prima di tutte loro, o soltanto una di noi ha capito le intenzioni delle altre ed ha spento la TV.
Guardo fuori dalla finestra e il cielo è una moltitudine di sfumature di blu che, verso l'infinito, si scontra con l'arancione tenue e delicato del sole che si accenna a vigilare il cielo. E' l'alba del venti maggio.
Così decido in fretta: è una vita che non guardo sorgere l'alba in riva al mare.
Da quando... Be', da quando quello stupido cancro si è portato via mio padre, esattamente cinqua anni fa.
M'infilo una canotta e pantaloncino a caso e mi arrampico giù dalla finestra, per non svegliare mia madre.
Quando ero insieme a mio padre, non avevo bisogno di questi escamotage: uscivamo dalla porta d'ingresso ed io ero autorizzata. 
E' anche vero che, dalla sua morte, non ho mai più visto un'alba senza lui. Questa sarà la prima. E il fatto che abbia questo irrefrenabile desiderio di vederla proprio nel giorno che segna cinque anni della sua scomparsa, mi rende ancora più sicura. Non solo lo voglio fare, ma devo. Non so spiegare questa sensazione di calore che mi si irradia dal petto e che mi scalda ogni cellula del corpo.
La famosissima spiaggia di South Beach, dista pochissimo da casa mia. 
Quando i miei piedi nudi toccano la sabbia, all'orizzonte scorgo ancora una sottilissima mezza luna capovolta arancione. Mancano pochi minuti.
Raccolgo i sassolini piatti in riva all'oceano, e li seleziono come mi aveva insegnato a fare mio padre. Per ingannare l'attesa mio padre m'insegnava - invano- a giocare a Rimbalzello o conosciuto anche come Il lancio dei ciottoli.
Lui, ovviamente, riusciva col suo tocco magico a far rimbalzare anche più di quattro volte il ciottolo sulla superficie dell'oceano.
Comincio a lanciarli nella speranza che anche uno solo di questi sassolini mi ubbidisca e rimbalzi almeno una volta, così giusto per farmi dire " Ehi papà, guardami adesso".
Mi sembra quasi di sentire la sua voce, di sentire i suoi incoraggiamenti mentre mi spiegava come fare; la sua risata melodiosa ogni volta che, dopo aver fallito miseramente, prendevo a calci la sabbia, il mare, i sassolini. 
Sento il tocco della sua mano mentre mi cingeva le spalle, nelle notti più fredde. Riesco a vedere la sua espressione corrucciata, le mani sui fianchi mentre si fermava a pensare. 
E poi mi guardava stanco e sorridente mentre il sole sorgeva e diceva « L'alba risplende sul tuo viso, tesoro »
Così mi ritrovo non più a lanciare i ciottoli sulla superficie dell'acqua, ma a scaraventarli contro il mare, contro il cielo, contro questa stessa alba che ho visto così tante volte e mai da sola; contro questo stupido mondo che, girando al contrario, mi ha strappato via mio padre. 
Avevamo ancora così tanto da fare, così tanto da scoprire. C'erano così tanti traguardi che avrei voluto affrontare con lui, sarebbe stato sempre il punto verso cui mi sarei girata arrivata in salita. E se accade adesso, mi trovo a fissare un posto vuoto che nessuno mai potrà occupare.
« Deve averti fatto proprio qualcosa di male per trattarlo in quel modo »
La voce mi coglie di sorpresa, facendomi sobbalzare. Il pugno di sassolini mi cade di mano, mentre respiro affannosamente un po' per la rabbia appena sfogata, un po' per l'interruzione.
Il ragazzo che ha parlato mi guarda distante di due falcate; la luce del sole comincia a posarsi ovunque, e riesco a scrutarlo meglio.
E' imponente, alto, col mento a punta d'elfo; ha i capelli non proprio biondi, ma quasi, gli occhi di un marrone-grigio intenso. Mi sorride incoraggiandomi a dire qualcosa mentre mette le mani in tasca, lasciando fuori solo i pollici.
Non rispondo, ma indietreggio di qualche passo per mettere ancora più distanza. Non sono stupida, sarà pure un bel ragazzo, ma ricordo a me stessa che sono su una spiaggia desolata e che metà della popolazione dorme: potrebbe uccidermi e farmi a pezzettini, nessuno se ne accorgerebbe.
Poi mi soffermo sul suo sorriso, su quella dentatura perfettamente bianca e immacolata, e qualcosa mi tranquillizza. Non so bene cosa, saranno gli occhi o quel ghigno sincero, o quel luccichio che emana il sole quando si posa sui suoi capelli..
« Che cosa ti ha fatto? » chiede ancora una volta col timbro di voce di un cantante jazz, roca e sensuale.
« Come, scusa? »
« Il mare » spiega ovviamente « Mi stavo chiedendo cosa avesse fatto di così grave per costringere una ragazza alle sei del mattino ad accanirsi in quel modo »
Scoppio a ridere, cercando di trattenermi ma non funziona: se ne accorge e ridacchia con me. Scrollo le spalle e rispondo semplicemente « Niente »
« Niente? » ripete sarcastico « Non mi sembrava un comportamento da niente »
Mi volto a guardare l'alba che è appena spuntata ed ancora una volta capisco che non ho mai visto niente di più bello. Chiudo gli occhi, lasciandomi bagnare dai raggi del sole ancora tenui e tiepidi, respiro la salsedine del mare, mi lascio tranquillizzare dallo scrosciare delle onde. Posso quasi sentire la stretta di mano di mio padre, colto dalla gioia di aver vissuto una nuova alba insieme a me.
E' bellissima papà, penso, ti piacerebbe.
« D'accordo » sospiro « Ero un tantino arrabbiata »
Sorride senza parlare per qualche minuto « Be', devo dire che non avevo visto nessuno resa così bella dalla rabbia »
Sento il sangue fluire violentemente alle guancie e so che le mie dolci lentiggini non riusciranno a coprire il rossore.
« Io sono Carter » m'informa avvicinandosi e porgendomi la mano.
La stringo « April »
« Cosa ci fai qui, April? » mi chiede formale, e sembra quasi contento di poter utilizzare il mio nome.
« Avevo voglia di vedere l'alba » confesso. Poi mi blocco « Carter, posso fidarmi di te? O vuoi uccidermi e occultare il mio cadavere? »
Scoppia a ridere e si avvicina accorciando la distanza « Ho già la fossa pronta »
Mi fa l'occhiolino e si siede, appoggiando le mani strette sulle ginocchia. Lo imito, sedendomi a qualche passo di distanza.
« Tu cosa ci fai qui? »gli chiedo mantenendo un tono inquisitorio.
Scrolla le spalle guardando l'orizzonte « Avevo qualche difficoltà a dormire »
« Abiti qui? » mi chiede.
Annuisco « Vedi quella casa verde laggiù? E' la mia»
« Perché proprio verde? » indaga.
« Era il colore preferito di mio padre » spiego « Diceva che il colore dei miei occhi era il colore della felicità »
Cala il silenzio, così mi schiarisco la voce « E tu, abiti in zona? »
« In un certo senso.. » poi si blocca, aggrottando le sopracciglia, cercando di visualizzare un punto in lontananza « Credo che qualcuno ti cerchi »
Mi dice indicando un punto oltre le mie spalle: casa mia. C'è una ragazza affacciata alla finestra, che si sbraccia chiedendo la mia attenzione. Credo sia Beth.
« Oddio! » mi alzo di scatto « De-devo andare.. »
Comincio a correre nella direzione di casa mia. Maledizione! Se mia madre mi becca, sarò in punizione a vita.
« Ehi! » urla Carter mentre mi allontano velocemente « April! »
Mi volto solo un istante, nell'esatto momento in cui urla « Di che colore è la tua felicità? »

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Capitolo 2
*** Good April. ***


Ciao a tutti: finalmente ho postato il secondo capitolo di questa nuova storia! Dopo aver scritto il primo, ero così piena di idee che non riuscivo a coordinarle bene, quindi mi ci è voluto del tempo per capire in che modo dovesse prendere piega la storia. 
P.s. Per chi fosse amante del genere " Fantasy" è in corsa un'altra fan fiction " Prudence": se vi va, passate a dare un'occhiata!
Come sempre alla prossima e BUONA LETTURA




Mio padre amava il caffè. Ne beveva in quantità industriale, in qualsiasi momento della giornata e in qualsiasi modo. 
Mio padre è stato l'inventore del Caffè Dapplend, il caffè variegato shekerato con qualsiasi liquido dolciastro avesse creato l'umanità e messo in circolazione. E questo faceva letteralmente impazzire tutti i clienti che lo assaggiassero.
Se mia madre gli avesse dato il permesso, Mike Mitchell avrebbe bevuto caffè anche a pranzo e cena; ma, per fortuna, mia madre era rigorosamente ferma sotto questo punto di vista: solo l'acqua accompagna il cibo. 
Soltanto una volta, quando mia madre era impegnata per un lavoro importante in pasticceria, provò ad accompagnare il tacchino ai piselli con il caffè schiumato. 
« Eddai papà, che schifo » gli dissi mentre sorseggiava il caffè dopo un boccone di piselli.
Lui inghiottì il tutto, senza alcuna esitazione; dopo aver ingoiato e passatosi il tovagliolo sulle labbra disse « Dovevo dar retta a tua madre »
Così si alzò, tra le mie risate isteriche, e buttò il liquido marroncino nel lavello e il tacchino nella spazzatura perché disse,  testuali parole « Il mio stomaco non vuole incontrare più niente per il momento »
Un giorno, dopo essere rimasto tutta la giornata fuori casa, rincasò e, facendo cadere le borse per terra, s'illuminò guardandoci dicendo « Voglio aprire una caffetteria »
Mia madre rimase in silenzio a fissarlo, completamente stordita da quella rivelazione. All'epoca mia madre era stata assunta da una prestigiosa pasticceria in centro, e il suo desiderio più grande era quello di avere una pasticceria tutta per se.
Mio padre fu colto dal panico e vedendo che mia madre non proferiva parola continuò « Ho pensato che potremmo unire le due passioni: io faccio il caffè e tu i dolci così avremo maggiore affluenza e la gente... »
Fu interrotto dallo schianto del corpo di mia madre contro il suo, mentre l'abbracciava quasi volesse soffocarlo. Credo che si aspettasse una reazione peggiore e, infatti, solo dopo che lei l'abbracciò vidi l'espressione sul suo volto rilassarsi e diventare felice. In quell'attimo eterno, il cuore parve scoppiarmi nel petto. 
Non eravamo poveri, certo che no. Non tutti possono permettersi una casa a Miami Beach. Eravamo una famiglia agiata; ma, spesso, agiata non è sinonimo di felice.
Ed è quello ciò che vidi nei loro occhi, quella sera: scintille di felicità. Come quando porti un bambino alle giostre, lasciandolo divertire per ore, poi gli compri un giocattolo e, infine, il suo gelato preferito. 
Non mi unii a loro in quell'abbraccio, decisi di lasciargli un po' della loro intimità; solo quando si staccarno corsi ad abbracciare entrambi sussurrando « E' fantastico »
« Grazie tesoro» rispose mio padre, mentre mia madre si asciugava le lacrime di commozione. 
Credevo saremmo stati così felici per sempre.
« Come lo chiamerete? » chiesi curiosa.
Mia madre scrollò le spalle, guardando mio padre in cerca di aiuto. Lui la guardò, poi si rivolse a me « Good April Caffè »
Dopo tre mesi il Good April Caffè era aperto, ricevendo un enorme successo (un po' inaspettato a dir la verità). 
Tutti quanti in città non vedevano l'ora di far colazione col Caffè Dapplend e crossaint appena sfornati.
Mio padre m'insegnò l'arte del caffè, ed io scoprii che non solo mi piaceva, ma che mi appassionava. Passavamo le mie ore buca dalla scuola nel laboratorio, all'interno della caffetteria, a provare nuovi intrugli, nuove miscele e accoppiamenti. Spesso erano disgustosi, ma gli esperimenti finivano sempre con una risata. 
Dopo un anno mio padre morì. Esalò l'ultimo respiro tra le braccia di mia madre, tenendo stretta la mia mano.
Non faceva altro che ripetere quanto ci amasse, quanto fossimo le perosone più importanti della sua vita. Ci disse di portare alto il nome del Good April Caffè. E noi manteniamo questa promessa, a costo della vita, tutt'ora.
Aprile era il mese dell'anno che mio padre preferiva. Diceva che tutto ciò di bello gli era accaduto nella vita, era successo ad aprile. Aveva conosciuto la mamma. E poi, alla fine, mi accarezzava spiegandomi la provenienza del mio nome « E poi sei nata tu, April »
Dopo poco che mio padre morì, cambiammo l'incisione cucita a mano sulle nostre divise da « Good April Caffè »
a « Good April, Mike ». Il nome della caffetteria non lo cambiammo. Sapevamo bene quanto mio padre ci tenesse e non ci azzardammo a modificarlo. Quello delle divise, era un tributo in suo onore.
A poco a poco, riempimmo sempre di più il locale di piccoli oggetti che richiamassero la sua memoria. Fotografie incorniciate, la collana col ciondolo fatto col tappo di birra, la sua citazione preferita impressa sul muro. 
Mio padre non ha mai lasciato davvero questo posto. Non ha mai lasciato veramente me. E' così che mi piace immaginarlo: che guidi ancora le mie azioni. E' come se lui fosse ancora con me, a consigliarmi la strada giusta da prendere. Ed io conduco la mia vita come se, la sera, al mio ritorno a casa debba fargli il resoconto della mia giornata, con quel pizzico di ansia per paura che non approvi le mie scelte. 
Nutro ancora la convinzione di aprire la porta di casa e trovarlo ad aspettarmi sulla poltrona in pelle color mogano. E quando mi accorgo che non è così, che non sarà mai più così, sento addosso il peso della sua assenza.
Giugno porta con sé le temperature più alte, i venti più afosi. E la sonnolenza. Che mi ha fatto spegnere la sveglia e arrivare tardi a lavoro.
« Lo so, lo so! » mi giustifico affannosamente mentre spalanco la porta del Good April Caffè « Scusa per il ritardo! »
Mia madre mi osserva divertita da dietro al bancone, con il vassoio dei Muffin appena sfornati. I capelli color rame - come i miei - raccolti in una coda alta, quasi invisibili sotto la toque.
Mi precipito dietro il bancone, le passo accanto e le scocco un bacio sulla guancia; lei sospira rumorosamente, fingendosi offesa « Su, fai presto! »
Indosso frettolosamente la mia divisa, e mi occupo della preparazione dei caffè.  Mia madre dispone le varietà dei dolci sui vassoi mentre le richieste della clientela già avanzano. 
La giornata scorre frenetica; da giugno, la clientela aumenta visibilmente, grazie ai stranieri che passano a visitare la città.
« Good April Caffè, buongiorno » sento rispondere formale mia madre al telefono.
Poi me lo porge impaziente « E' Beth »
« Beth » non le lascio nemmeno il tempo di rispondere « Non è il momento, ho da fare »
« Un caffè doppio schiumato, grazie! » scherza lei dall'altro capo del telefono « Per me uno nero! » urla la voce di Elly.
Rido divertita mentre armeggio tra le tazze, lo zucchero e il caffè da inserire nella macchinetta. « Dovrete venire a prenderlo di persona, ho gente adesso »
« Ancora? » borbotta stupita « Ma se manca un'ora alla fine del tuo turno!»
Lancio un'occhiata all'orologio di fronte a me che segna le 18.00 « Be' sì ».
Una voce alle mie spalle interrompe il flusso di parole scambiate tra me e le mie migliori amiche « Un caffè con cannella e caram... »
« Beth devo lasciarti, a dopo » bisbiglio velocemente prima di interrompere bruscamente la telefonata.
« Chiedo scusa » dico voltandomi « Un caffè con cannella e... » alzo gli occhi, e vengo inghiottita dall'infinità di due occhi grigio- marroni così familiari, così caldi, a cui ho pensato molto nell'ultimo mese e che mi hanno tenuta compagnia nelle notti insonne.
Lui sorride compiaciuto e sussurra « April »
Carter mi sta davanti e, nonostante la pedana del bancone sia sostenuto da un gradino più alto rispetto al pavimento, mi supera di una spanna. E' alto e robusto, i capelli alla luce del sole sono ancora più chiari. Il connubio tra capelli biondi e occhi scuri, è un contrasto piacevole agli occhi, un po' insolito. Con una chioma come la sua ci si potrebbe aspettare di vedere un paio di occhi azzurri.  La barba un po' lunga e incolta gli conferiscono un'aria sbarazzina, trasandata. 
« Ciao, Carter » riesco a rispondere alla fine. Sento le guancie rosse e i miei movimenti più impacciati del solito. Dopo quella mattina sulla spiaggia, non l'ho mai più visto. Ho pensato molto alla sua presenza accanto alla mia sulla sabbia, al nostro scambio di battute, alla sua ultima frase finale: « Di che colore è la tua felicità? » e alla risposta che avrei voltuo dargli, che è salita dal fondo dello stomaco e che è poi rimasta bloccata in gola. « Grigio », avrei risposto di getto, senza nemmeno pensarci. 
« Lavori qui? » chiede educato e quando sorride gli si crea una piccola fossetta sotto la guancia sinistra. 
Annuisco sorridendo, guardandomi attorno « In un certo senso »
« Quale? » chiede prontamente.
« Nel senso che questo posto è mio » gli spiego cominciando a disporre la tazza con la cannella. 
« Doppio caramello » mi suggerisce lui, intuendo le mie intenzioni. 
Preparo la miscela abilmente, facendomi guidare dall'esperienza, isolando me stessa dal tempo. E' un trucchetto che mi ha insegnato mio padre, all'inizio che volevo fare pratica qui. Ricordo che anche la più banale richiesta da parte di un cliente, mi mandava in fibrillazione: le guancie si arrossavano, la mia temperatura corporea saliva, e tremavo tutta. Senza tener conto del balbettio, ovvio.
Posiziono la tazza sul bancone « Et voilà! Cannella e doppio caramello »
« Grazie »
Prima che vada via afferro un Muffin appena sfornato « Tieni » gli dico porgendogli il dolce « E' una ricetta segreta di mia madre: una delizia »
Sorride afferrando il Muffin e scrutandolo a fondo, poi infila la mano nella tasca con l'evidente intenzione di pagarmi.
Lo blocco subito « Questo è offerto dalla casa »
Il suo sorriso si allarga e, per un attimo, mi acceca « Stai seriamente ferendo il mio orgoglio, April » dice canzonatorio « Dovrei essere io ad offrirti qualcosa »
« Lascio questi pareri agli uomini dell'Ottocento » ribatto beffarda, provocandogli un ghigno divertito.
Si fa da parte, lasciandomi servire adeguatamente i clienti. Lo guardo di tanto in tanto di sottecchi e lo trovo ancora lì, mentre gusta il suo Muffin. A lungo andare la sua permanenza mi mette agitazione: perché è rimasto qui? 
Mi sento come se dovessi svolgere un esercizio di trigonometria complicato e che dietro le mie spalle ci sia il professore che mi guarda eseguirlo. Mi spazientisce.
Quando finisco di soddisfare le richieste dell'ultimo cliente rimasto in fila, Carter è ancora lì che sorseggia il suo doppio caramellato.
Si avvicina furtivo e appoggia entrambi i gomiti sul bancone; mi fingo indaffarata a ripulire la mia postazione.
« D'accordo April » dice con tono arrendevole, di chi ci ha riflettuto a lungo « Sono in debito con te »
Mi blocco poggiando le mani sul bancone, vicinissime a lui: riesco a sentire il calore della sua pelle. 
« Per così poco? » lo sbeffeggio.
Annuisce convinto « Certo, io restituisco sempre i favori »
Rido un po' stizzita. Sta forse dicendo che vorrebbe offrirmi qualcosa per farmi un favore
« Non ho bisogno di alcun favore, grazie » ribatto con più acidità del dovuto.
Prendo lo spruzzino e gli strofinacci e gli passo accanto, dirigendomi ai tavoli da pulire. Lui mi segue.
« Mi sono espresso male » si giutifica « Non volevo dire che.. »
Sospiro rumorosamente e mi fermo, incrociando le braccia al petto, indossando la mia miglior espressione sarcastica.
Invece di offendersi, la mia reazione lo elettrizza. Ha una luce nuova negli occhi e tutto questo sembra essere una sfida per lui.
« Ti offrirei un caffè, ma... »
« Non vado dalla concorrenza » gli faccio notare.
« Potrei farti assaggiare il gelato più buono di Miami Beach » propone.
Rimango a fissarlo, mangiucchiandomi la parte interna della guancia, senza rispondergli.
Alza le mani in segno di resa « Niente di impegnativo, ovvio »
« Ovvio » gli faccio eco.
Mi muovo tra i tavoli senza fermarmi e, soprattutto, lasciandolo sulle spine. Il termine favore mi ha molto infastidita e cerco un modo silenzioso per fargliela pagare.
« Domani sera sei libera? » insiste.
Apro la bocca per rispondergli, ma qualcuno lo fa al posto mio: « No, è impegnata »
La voce di Beth è allegra e dolce, per niente acida o arrogante. Accanto a lei ci sono Tanya ed Elly che mi guardano con l'espressione di chi la sa lunga. 
Carter le fissa incuriosito, poi guarda me. Io alzo gli occhi al cielo « Beth, Elly e Tanya: le mie migliori amiche »
« Le tue pazze migliori amiche! » mi corregge Tanya frizzante. Non oso immaginare come sarà eccitata dopo quando mi chiederà spiegazioni: scommetto che è già impaziente. 
Lui le sorride e risponde solo: « Piacere »
Le ragazze sorridono, senza spostarsi di un centimetro. Alzo le sopracciglia divertita.
Carter si schiarisce la voce, poi si rivolge a me cercando di non mostrarsi imbarazzato « Facciamo per giovedì? »
« Certo » concludo, dato che sono io ad essere imbarazzata, adesso.
Carter si avvia verso la porta, fa un cenno nella mia direzione ed io mi limito a sorridere. Poi guarda le mie migliori amiche, si porta due dita alla testa e le rivolge nella loro direzione « Ragazze ». Dalla loro parte si eleva un mormorio sommesso di « Ciao! »
Sospiro, finalmente libera. Poi mi rivolgo a Beth « Cosa avrei da fare domani sera? »
« Domani è una serata BETA! » alza le braccia al cielo ed urla, le mie amiche si uniscono a lei ed io le sorrido.
Sì, sono assolutamente pazze.

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Capitolo 3
*** BETA. ***


E... tadan! Un nuovo capitolo tutto per voi, nella speranza che vi appassionate di più. 
Non so con quanta frequenza pubblcherò, dipende tutto dalle idee che mi brulicano in testa.
Spero che vi piaccia e BUONA LETTURA!




Io e Beth conoscemmo Tanya ed Elly a quattordic'anni. 
La cosa di cui, ogni volta che ne parliamo, ci stupiamo è che le conoscemmo nella stessa serata. Beth dice che è stato un segno del destino, che le nostre vite sono state intrecciate fin dall'inizio. Al centro esatto di ognuno di essi vi era un nodo: il giorno del nostro incontro era stato già prestabilito.
Avere quattordicianni significa essere passionali e tragici allo stesso tempo; significa dedicare più tempo allo specchio che ai libri ( ce ne vergognamo ancora oggi, davvero). 
Vuol dire avere gli ormoni in subbuglio, e che se il ragazzo per cui hai una cotta, dopo esserti preparata per tre ore, non ti degna nemmeno di uno sguardo, passare la serata nel bagno a piangere addosso alla tua migliore amica.
Sono sempre stata un tipino ( così mi definiva mio padre), anche con gli sbalzi ormonali in atto, non ho mai permesso a nessuno di trasformarmi  nel suo bersaglio personale e bombardarmi fino all'esasperazione.
Accadde solo una volta, la prima e l'ultima. Eravamo state invitate alla festa di Nancy Murofit, la ragazza più carina della classe. Ed era una di quelle feste per ragazzini - definita così da Beth - organizzate alle sette di sera e destinate a finire entro le dieci, se non volevamo essere sgridate dai nostri genitori.
La festa era stata allestitina in giardino, al centro del quale, vi era un'enorme piscina rettangolore; il volpino albicocca circospezionava i bordi di essa, abbaiando e ringhiando ad ogni rumore o persona disturbasse la sua quiete.
Darrin Warron, la mia cotta di allora, passeggiava a braccetto di due ragazzine che gli sbavavano addosso, conosciute perché frequentavano francese insieme. Era stato bocciato due volte, e aveva il fascino del ragazzo sedicenne dall'aria matura, rispetto ad un quattordicenne con gli ormoni impazziti e dalla faccia ricoperta di brufoli.
Beth aveva insistito affinché indossassi i suoi jeans attillati e il top a fascia che mi aveva regalato mia madre, che faceva pendant con i miei occhi. 
Gettai i capelli all'indietro e mi feci coraggio, accompagnata da Beth, per passargli accanto e salutarlo innocentemente.
Quando arrivai quasi vicino a lui, Anthony Linnen mi spinse ed io caddi addosso a Darrin. Lui scivolò ma riuscì a mantenere l'equilibrio ed io mi aggrappai a lui.
Non so perché lo fece, forse perché cadere era troppo umiliante per la sua personalità e voleva utilizzarmi come scarica barile, in modo che si focalizzasse l'attenzione su di me; fatto sta che ad alta voce disse: « Oh, mio Dio April! Hai fatto la doccia nelle fognature, per caso? Puzzi come la merda! »
Ricordo ancora la sua faccia disgustata, e l'enfasi che utilizzò nel pronunciare quella frase.
Naturalmente, tutti presero ad indicarmi e a ridere come dei matti. Tutto ciò che usciva dalla bocca di Darrin era considerato dagli altri assolutamente fico e divertente, e non poteva essere ignorato. 
« Non è vero! » urlò Beth al mio fianco, ma i nostri compagni di scuola erano così impegnati a ridere da non sentirla neppure, e il suo tentativo di aiuto fu del tutto ignorato.
Strinsi le mani in pugni chiusi così forte, da conficcarmi le unghia nella carne; ricacciai indietro le lacrime e sibilai a denti stretti alla mia amica « Ora gliela faccio pagare »
Tirai Beth e scappammo via, tanto nessuno avrebbe rimpianto la nostra assenza. E poi la serata era stata rovinata, ormai, per noi.
La cacca di un volpino può essere molto consistente date le dimensioni, ma comunque non era abbastanza per il mio scopo. Così riempii un secchio di acqua e terreno, poi mescolai la cacca di volpino ( con i costanti conati di vomito di Beth accanto a me) e ritornai alla festa, carica di adrenalina e assetata di vendetta.
Darrin mi piaceva, ma dal momento che mi aveva screditato davanti a tutti i miei amici, ad una festa della quale, probabilmente, avrebbe parlato l'intera scuola, non mi aveva dato altra scelta: sarebbe stato lui, il centro dei pettegolezzi scolastici. Non io.
La festa continuava indisturbata e, come avevo sospettato, nessuno aveva fatto caso alla nostra assenza. 
Darrin era seduto sdraiato su una sediolina bianca, come se fosse il padrone di casa; raccontava chissà quale emozionante storia, e tutti i ragazzi pendevano dalle sue labbra. 
Beth si unì a loro indisturbata, su mio consiglio. Le dissi « Goditi lo spettacolo ».
Mentre svuotavo il contenuto del secchio sulla sua testa, pensai fosse davvero un peccato rovinare il bianco immacolato della seggiolina.
Darrin si alzò furibondo e si voltò nella mia direzione, per scoprire chi fosse il colpevole e magari fare a botte. Calò un silenzio primordiale su tutti gli invitati, così la mia voce apparve ancora più squillante quando gli urlai melliflua « Hai mangiato merda a cena, Darrin? »
Ricordo solo le risate sovrapposte di tutti i miei compagni, i loro sguardi di approvazione, di divertimento, di ammirazione, anche. Da allora nessuno ha mai provato di nuovo ad umiliarmi.
Esattamente undici mesi dopo conoscemmo Tanya ed Elly, ad una festa.
Il primo anno di liceo era volato in fretta e, in men che non si dica, Beth aveva fatto strage di cuori. Veniva invitate alle feste più in, conosceva le persone più popolari della scuola ed io ero conosciuta come la sua migliore amica. Nessuno faceva caso a me. Non che non fossi carina, ovvio. Avevo la piena consapevolezza della mia fisicità, ma non sono mai stata una reginetta. 
Beth riuscì ad ottenere un invito alla festa più gettonata della scuola: quella di Noel Likken, diplomando. Tutti i ragazzi più popolari della scuola sarebbero stati lì, insieme all'intera squadra di football. 
Io e Beth eravamo eccitatissime all'idea di prendervi parte, eravamo le uniche matricole a cui era concesso andare.
Dopo poche ore dall'inizio della festa, però, scoprimmo che non era così: non eravamo le uniche pivelline invitate. Ne eravamo una dozzina, più o meno. Qualcuno di loro era stato invitato per diventare lo show della serata.
Beth mi strinse il braccio, sapevo cosa stava pensando: eravamo contente di essere lì, ma non a quel prezzo. Non a discapito di qualcun'altro.
Per fatalità, fu proprio così che conoscemmo Elly.
Entrammo nel soggiorno della casa enorme di Noel, poiché da lì provenivano gli strilli e le risate. Capimmo subito perché.
C'era questa ragazza minuta, dalla pelle del cioccolato schiacciata al muro che reggeva, con la bocca, una sacca entro cui i ragazzi gettavano i loro bicchieri, ancora colmi delle loro bibite. E, quando non riuscivano a fare canestro, i bicchieri e il loro contenuto venivano riversati su quella povera ragazza. Elly.
Furono quegli occhi nocciola liquidi così tristi, così disperati, che mi colsero alla sprovvista.
E, senza nemmeno rendermene conto, gridai al tizio che stava per partecipare al gioco « SCUSA?! »
Solo che la mia fu solo l'eco di altre due voci. Mi voltai per capirne la provenienza: la prima era sicuramente quella di Beth, ne ero certa. Poi vidi una ragazza dai capelli scuri e ricci, con le mani poggiate sui fianchi come se fosse sul piede di guerra, che posava il suo sguardo sconcertato da me a Beth, e al tizio che avevamo ripreso. Era lei la seconda voce che aveva fatto eco alla mia: Tanya.
La ragazza ci ignorò, si diresse verso il ragazzo che aspettava il suo turno, gli strappò il bicchiere da mano e glielo riversò addosso. Quel ragazzo era Dereck, il fratello di Noel.
Ma lei non si mostrò intimorita e disse « Forse dovresti esserci tu al suo posto: saresti il degno sostituto del cesso! »
Il quarterback capitano della squadra di footbal, nonché migliore amico di Noel, restò a guardare impressionato da ciò che stava accadendo. 
Qualche amico di Dereck, però, non la prese bene e le diede una spinta, allorché intervenemmo io e Beth. Lei gli diede uno spintone, mentre io raccolsi il primo bicchiere pieno di birra e glielo riversai sui pantaloni.
« Ops! » affermai ad alta voce, fingendomi dispiaciuta. 
I suoi compagni di classe, i giocatori della squadra di football e lo stesso capitano, Johanatan, cominciarono ridere, ridicolizzandolo con la scusa che si era fatto mettere nel sacco da tre matricole. 
Ricevammo l'approvazione di Tylor, Ashley e Bettany, le Mean Girls dei giorni nostri. 
Johanatan non riusciva a togliere gli occhi di dosso a Tanya: una settimana dopo le chiese di accompagnarlo al Ballo di Fine Anno e si baciarono.
La prima cosa che dissi ad Elly fu: « Strano modo di divertirsi, non è vero? »
Da quel momento in poi, diventammo amiche. Ervamo attratte l'une della altre come calamite: non potevamo ignorare un simile magnetismo. Le BETA sono rimaste sempre insieme.
« Dov'è questa festa? » chiedo a nessuno in particolare, dato che le mie amiche sono tutte nella mia stanza.
« A Ocean Drive » sbiascica Beth intenta a passare il lucido sulle labbra carnose. 
« Ricordami perché ci andiamo » dico un po' annoiata. Dopo le numerose feste a cui abbiamo partecipato al liceo, non ne sono molto fan. 
Beth sospira spazientita « Per conoscere gente nuova. E perché il padrone di casa è davvero sexy »
Tanya alza gli occhi al cielo « Chi è che non è sexy per te? »
Sorrido a Tanya e, quando Beth mi lancia un'occhiataccia, alzo le mani scrollando le spalle nella più innocente delle espressioni. 
« E comunque April non ha bisogno di conoscere gente, vero? » insiste perfida.
« Già! » esclama Beth come se avesse appena avuto un'illuminazione « Domani devi uscire con il tuo Carter? »
Mi alzo dal letto e le guardo torve « Prima di tutto, non è il mio Carter. E secondo, sì: ci esco domani »
« A che ora? » si ostina Tanya.
« E dove? » s'intromette Beth.
Alzo le mani per tenere a bada la loro curiosità « Non lo so! In realtà... non ne abbiamo parlato. Ho pensato che venisse alla caffetteria.. non so.. »
« Ragazze... » la voce flebile di Elly interrompe la nostra discussione; lentamente esce dal bagno della mia camera, e ne osserviamo esterrefatte la trasformazione.
Dopo che Beth le aveva detto che alla festa ci sarebbe stato Tom, si era lasciata convincere da Tanya ad occuparsi di lei. 
Il tubino morbido verde acqua sembra esserle stato cucito addosso e mette in risalto le sue curve, enfatizzando il colorito dorato della sua pelle; persino gli occhi sembrano più scintillanti. Tanya le ha abilmente raccolto i capelli in una perfetta coda alta e liscia, lasciando una piccola sporgenza sul davanti. 
Le ciglia nere e folte fanno da cornice a quegli occhi nocciola liquidi, così intensi e magnetici; le gote rosa le conferiscono un aspetto sano, florido. Le labbra carnose sono lucide, lasciate al naturale.
« Oh mio Dio! » squittisce Beth.
« Sei bellissima, tesoro » le dico io, prendendole le mani e alzandole, per guardarla meglio.
Tanya sorride raggiante e soddisfatta. « Ben fatto » mi complimento.
Ho deciso di indossare un semplice short di jeans, una canotierra bianca ornata di disegni astratti colorati. Odio le scarpe col tacco, quindi ho optato per le mie adorate converse verde smeraldo.
La casa di Ethan - l'amico sexy di Beth- è un'esplosione di luci e colori: gli alberi sono allestiti di luci bianche e blu a intermittenza, la balconata indicata da migliaia di freccette che si illuminano al passaggio.
La musica è assordante, all'interno dell'abitazione ci sono corpi ammassati ovunque che si scontrano, che si cercano e si trovano, che ballano incuranti di chi gli sta intorno. 
Ethan ci accoglie come un vero padrone di casa: si presenta, ci offre da bere, ci indica dove possiamo trovare gli alcolici. 
Tanya vola in ricognizione, mentre io spingo - letteralmente- Elly via, affinché, quando verrà avvistata da Tom, non ci troverà d'intoppo con lei.
« Allora April » comincia Ethan « Mi hanno detto che prepari dei caffè favolosi »
Gli sorrido compiaciuta e accetto il suo complimento « Be' dipende chi è la tua fonte. Ti ci puoi fidare? »
Batte una mano sulla mia spalla divertito « Credo di si »
Scrollo le spalle, ostentando indifferenza « Allora, forse, ti hanno detto giusto »
Devo ammettere che non è niente male e che forse - sì, forse - Beth non aveva torto. Ha i capelli così neri, da emanare, di tanto in tanto, dei riflessi blu, tanto sono scuri; e gli occhi verdi sembrano ancora più brillanti grazie alla pelle abbronzata. Fanno la differenza, poi, anche i muscoli addosso un corpo così possente.
« Fa la modesta! » mi schernisce Beth « Dovresti davvero assaggiare i suoi caffè! »
Ethan mi scruta a fondo, mentre gli spunta sul viso un ghigno di piacere. 
« Sì, hai ragione Beth » conferma lui « Dove si trova il Good April Caffè? »
Oddio, conosce anche il nome. Mi sa tanto di stalking. « Nei pressi della Baia di Biscayne »
Annuisce senza togliermi gli occhietti languidi da dosso. D'un tratto mi sento nuda, esposta; troppo ricercata dai suoi occhi.
E' davvero bello, affascinante anche. Ma.. Ma cosa? Mi urla subito il mio cervello. E immediatamente, nella mia mente, mi appaiono distese di prati grigi, governati da un sole caldo e brillante, dorato.
Questi occhi verdi non sono neanche lontanamente paragonabili a...  Accantono immediatamente il pensiero, mentre sento il battito del cuore accellerare nel petto.
Guardo Beth nel tentativo di farmi aiutare a tagliare la corda, ma lei sembra non capire.
« Sai Ethan, la mamma di April prepara dei Muffin deliziosi » insiste.
« Ma non dirmi » risponde affascinato, lanciandomi un sorriso che dovrebbe voler dire " ti faccio sciogliere al sole come un ghiacciolo".
Annuisco con un sorriso tirato « Eh già »
« Sì » continua Beth « E il locale è carinissimo »
La fulmino con lo sguardo: che diavolo sta tentando di fare? Perché mi vuole gettare tra le braccia di Ethan?
« Così mi incuriosisci, Beth » l'avverte, scrutandomi ancora con la coda dell'occhio.
Bel lavoro, Beth.
Tracanno in un solo sorso la birra del mio bicchiere. Ethan mi osserva con una strana espressione dipinta sul volto.
« Ne vuoi un po'? » mi offre una bottiglia di vodka assoluta. Me ne faccio versare un po'.
« Non c'è del succo di frutta in casa? » chiedo.
Ethan mi guarda come se fossi un alieno in fase di trasformazione che gira dentro casa. Liquido il tutto con un gesto della mano « Lascia. Faccio io. »
Al secondo tentativo non individuo la cucina, bensì la sala bar della casa. Meglio ancora.
Vige una semioscurità molto gradita agli occhi e un silenzio rassicurante, soprattutto dopo la visione di milioni di luci e il volume della musica pari agli ultrasuoni.
Piccole lucette posizionate all'interno del bancone, illuminano di poco la stanza: è accomodante e raffinata, degna dei miglior signori di Miami Beach. 
Comincia la mia ricerca di un succo di frutta che mi aiuti a diluire la vodka, troppo forte per essere bevuta da sola. Ho vaghi ricordi ( dato che ho cercato di sopprimerli) dei tempi in cui mi ubriacavo alle feste e non sono per niente piacevoli. Ho un cattivo rapporto con l'alcool: diciamo che in quantità limitate, ci andiamo a genio l'un l'altro. Motiv per cui necessito di un succo di frutta alla svelta.
Ne trovo uno alla pesca in un piccolo frigo, incastrato nella cavità esteriore del bancone bar. Riempo il bicchiere fin quando non è quasi colmo: preferisco avvertire di più il sapore dolce della frutta. Il mio palato mi ringrazierà.
« Preapari anche i drink, oltre al caffè? »
La voce, vellutata e roca al tempo stesso, mi coglie di sorpresa, provocandomi un crampo allo stomaco così forte da immobilizzarmi. Mi volto lentamente, per non mostrarmi sorpresa. Carter mi sta davanti, in tutta la sua innata imponenza, sovrastandomi. Sorride. E' il gigante buono.
« Non molti, in realtà » sussurro, inevitabilmente colpita dalla sua presenza.
Carter sorride. Regge un bicchiere con una mano, mentre ha l'altra infilata nella tasca del pantalone. Indossa una maglietta semplice, blu, che si sposa con i suoi occhi grigi; un paio di jeans chiaro e delle scarpe da ginnastica bianche. 
La barba è sempre lunga, ma si vede che ha subìto una spulciatina dal barbiere: è molto più ordinata. Devo dire che anche così gli sta benissimo.
« Cosa ci fai qui ? » non riesco a trattenere la domanda, che suona un po' come un'accusa. 
Scrolla le spalle e sembra non far caso al mio tono di voce involontario « E' la festa di un mio amico »
« Ethan? » sbotto stupita.
Lui aggrotta le sopracciglia « Sì, sì. Ethan è il mio migliore amico »
Sarebbe stato meglio una bastonata in testa. Mi costringo a sorridergli. 
« Tu come lo conosci? » domanda che dovevo aspettarmi.
« In realtà, prima di stasera non lo conoscevo » spiego « E' amico di Beth, la mia migliore amica. E' lei che ci ha portate qui »
Poggia la bibita sul ripiano del bancone e si siede accanto a me, pericolosamente vicino « Capisco »
Sorseggio un po' dal mio bicchiere, imbarazzata da questo silenzio e dal fatto che non so come uscirne. Lo guardo con la coda dell'occhio e noto che ha il viso corrucciato, un po' infastidito. 
Non so cosa dire ed essere da soli nella stessa stanza mi causa un effetto devastante sul mio corpo, mi ricorda un po' la prima volta che ci siamo conosciuti; quando pensai che avrebbe potuto farmi a pezzettini e nessuno se ne sarebbe accorto. Inevitabilmente, sorrido.
« Mi trovi divertente? » domanda, un po' risentito. Il viso non del tutto rilassato.
Scuoto la testa « No. Pensavo. »
« A cosa? » chiede subito.
« Niente » liquido « Niente d'importante »
Mi alzo per uscire dalla stanza, ed in un attimo mi afferra il braccio portandomi ad un soffio dal suo petto. Il suo viso è così vicino da provocarmi un capogiro.
« Vuoi ballare? » sussurra senza staccare gli occhi dai miei. Ho la gola secca. Annuisco solamente. 
Per la prima volta in vita mia, maledico me stessa per non aver indossato le scarpe col tacco. Mi avrebbero sollevata di un po', portandomi ad un'altezza accettabile; sarei sembrata più carina, più... Non lo so! Tutta quest'ansia mi divora.
Non ci sono le basi per ballare un lento, ma lui la fa sembrare la cosa più naturale del mondo per cui mi adatto. Ci muoviamo in tondo, lentamente, come se ci dondolassimo dolcemente, senza fiatare. E' difficile sostenere il suo sguardo così, il più delle volte, mi trovo a fissare il suo petto, o le mie scarpe. Non mi ero mai sentita così impacciata con un ragazzo in tutta la mia vita.
« Sembri davvero piccola, lo sai » dice all'improvviso « Quanti anni hai? »
Sono lieta che abbia trovato qualcosa che possa distrarci l'uno dall'altro,  ma sono un po' risentita dell'insinuazione. Comunque, rispondo: « Ventidue. E tu? »
« Sono un po' più grande » asserisce e capisco dal modo di pronunciare che sta sorridendo. Ancora non oso guardarlo. 
« Di quanto? » chiedo curiosa.
« Ventisette » risponde tranquillo.
« Di ventisette anni? » chiedo ironica « Sono ben portati, però! »
Ride davvero divertito della mia battuta ed io trovo il coraggio per alzare lo sguardo su di lui, e sono contenta di essere riuscita ad allentare la tensione. Sorrido assieme a lui.
Ma come potrei non sentirmi vulnerabile davanti a quegli occhi grigi?
« Be', comunque si nota la tua età matura » lo punzecchio, ora che mi sento più sfrontata.
« Ah, ma davvero? » mi canzona.
« Sarà la barba » lo stuzzico, simulando noncuranza.
« La barba » mi fa eco.
Annuisco vigorosamente « Assolutamente »
Mi fa fare una giravolta e poi mi ritira a sé, riprendendo la danza. Poi ridiventa penserioso e dice: « Mmh, chissà se... »
E si blocca di colpo, ed io con lui. Lo fisso sconcertata, senza capire su cosa stia riflettendo.
Così, quando si avventa su di me per farmi il solletico, mi prende completamente alla sprovvista.
« Sarà... la... barba.. eh? » ripete a tratti per lo sforzo di tenermi ferma, tra le mie risate isteriche quasi vicino al pianto.
« Ti... prego! » ansimo tra le risate « Basta! »
Carter mi da pace, ma non mi lascia andare. Quando mi accorgo che mi tiene stesa tra le braccia è troppo tardi per farsi prendere dall'ansia delle sue labbra, dei suoi occhi che si specchiano nei miei. Del suo profumo intenso ed inebriante.
Vedo il suo viso avvicinarsi lentamente al mio, e ad ogni centimetro accorciato il mio cuore esplode con creptio scoppiettante. Sento un calore nuovo sbocciare da fin dentro le viscere, per risalire più su, tra il cuore e le labbra.
Riesco a sentire il soffio tiepido del suo respiro sulle sue labbra, le sue sopracciglia folte e irregolari sono di quel timido biondo che mi ricorda i bambini piccoli e paffuti.
Poi la porta si apre, portando con sé i rumori di un'altra serata, lacerando e distruggendo l'atmosfera calda e serena che si era creata.
« Dovrei averne qualche altra bott... » dice la voce a qualcun altro, che si blocca di colpo alla nostra vista.
Carter mi ha subito lasciata andare, creando quell'imbarazzantissimo momento in cui, di solito, nei film eseguono la battuta dicendo « Ho interrotto qualcosa? »
« Ehi » dice la voce che si è accorto di noi, che ha riconosciuto i nostri volti. Ethan.
« Carter » continua lui « Vedo che hai conosciuto April »
L'insinuazione nella sua voce mi giunge come uno schiaffo e mi fa raggerlare lo stomaco. Gli tirerei volentieri un pugno sulle gengive. Così, per sfizio.
« Veramente » precisa Carter con una punta di acidità « La conoscevo già da un po' »
« Non me l'avevi detto » suona come un'accusa.
« Non credevo di doverlo fare » risponde lui. 
I due si guardano in cagnesco, ignorando del tutto me e l'accompagnatore di Ethan, venuto qui per prendere chissà cosa. 
« Ma tu non sei... » afferma Ethan, lasciando cadere la frase affinché Carter ne capisca il significato. Lo vedo irrigidirsi e chiudere le mani in pugni. Ma non sono migliori amici?
« Non sono affari tuoi » sibila Carter.
Ethan ride divertito, si avvicina poggiandogli una mano sulla spalla « Rilassati! Era per scherzare »
« Bel modo di merda » risponde Carter, non del tutto soddisfatto. Il loro linguaggio è ancora criptico per me. Carter è... cosa?
Accanto a Carter, davanti a queste persone, mi sento in tremendo imbarazzo. Me ne sto lì, zitta, senza far nulla e nessuno di loro pare tenere in considerazione la mia presenza.
Decido di averne abbastanza del loro battibecco adolescenziale e, senza voltarmi indietro, esco dalla stanza a grandi passi. Proseguo spingendo tra la folla, che è aumentata durante la mia assenza, sento qualcuno chiamarmi alle mie spalle, oltre il trambusto, ma non mi volto, non presto attenzione. Voglio solo trovare le mie amiche e passare il resto della serata con loro.
Cammino impettita, trovando sul mio percorso corpi ammassati, bicchieri vuoti sparsi sul pavimento, mozziconi lasciati qua e là, senza alcuna cura. Una strana rabbia mi monta dentro e lo so, so bene il motivo del mio fastidio. Carter non ha dato minima importanza a me, a ciò che stava accandendo tra noi, al momento che è stato rovinato con tanta irruenza. 
Sono arrabbiata perché, durante la discussione, Carter non ha tenuto conto di me. Nemmeno una volta, neanche per un momento, ha pronunciato il mio nome o si è voltato a guardarmi. Come se volesse dissociarsi da quell'impressione che avremmo potuto dare, facendoci trovare abbracciati. E' come se quel momento l'avessi vissuto solo io.
Mi sento una stupida a pensare di aver provato delle sensazioni, senza neppure condividere qualcosa di concreto con lui. 
Sono già così coinvolta senza percepire il suo odore, senza riconoscere i suoi tratti, senza aver imparato il tocco delle sue mani. Cosa ne sarà di me, quando - e se- mi mancheranno i suoi sospiri? 

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Capitolo 4
*** Coriandoli d'emozioni. ***


So che è passato davvero molto tempo dall'ultima volta che ho postato un capitolo, ma vi giuro che è complicato scrivere due storie contemporaneamente e ne sto pagando le conseguenze xD! Solo che ora che ho iniziato, non ho intenzione di abbandonarla, quindi posterò i capitoli con meno frequenza, purtroppo.
Credo che sia l'ultimo capitolo prima delle vacanze, quindi vi auguro di trascorrere delle serene vacanze e, come al solito, BUONA LETTURA!



« Dov'è Carter? » la domanda di Beth mi coglie di sorpresa e mi fa dimenare sul sedile del passeggero.
Tanya è seduta sui sedili posteriori, rannicchiata su se stessa, più presente nel mondo dei sogni che in un questo.
« Non è qui » rispondo irritata e sarcastica.
Lei solleva una mano dal volante e la porta nella mia direzione « Ed io che credevo fosse nascosto nella cassetto del cruscotto ».
Sbuffo « Beth, sono le tre del mattino! Non lo so dov'è Carter »
Mi lancia un'occhiataccia di sbieco, poi alza gli occhi al cielo. Mi da un tenero buffetto sulle gambe « Me lo dirai domattina, non preoccuparti »
« E' già mattina » borbotto. 
Mi fulmina con gli occhi ed io alzo le mani in alto, in segno di resa. Si abbassa e prende qualcosa da dentro al cruscotto e me lo lancia addosso, lo prendo al volo per miracolo. E' il suo cellulare. 
« Voglio sapere se Elly è arrivata: mandale un messaggio » spiega.
« Spiegami ancora perché l'abbiamo lasciata andare con Tom » digito velocemente l'sms.
« Perché deve svezzarsi »
« Sì, lo so » sbuffo « Solo che adesso sono in ansia »
Lei smuove le mani dal volante con frenesia, segno che è chiaramente nervosa come me. Imbocca lo stretto vialetto della mia casa che funge da parcheggio e spegne il motore. 
« Direi che adesso sappiamo dov'è Carter » con un cenno del mento indica qualcosa alle mie spalle. Mi volto di scatto e Carter è proprio lì ad aspettarmi. Ha le mani infilate nelle tasche dei pantolani, un piede appoggiato ad un albero, che sostiene tutto il suo peso. 
Senza troppe cerimonie, esco dall'auto « Vai » ordino a Beth. Lei mi scruta per un istante silenzioso, poi fila via.
Non appena i nostri sguardi si trovano, scrolla le spalle, come se volesse dirmi " che ci posso fare?".
Mi vengono in mente una serie di aggettivi decisamente poco amichevoli per definirlo e un mucchio di battutine sarcastiche che mi farebbero stare meglio adesso e peggio poi.
A braccia incrociate, mi avvio nella sua direzione. Lo vedo muoversi irrequieto: sposta il peso del corpo sull'altro piede, incrocia le braccia, poi le lascia andare strette lungo i fianchi. Quando non ne può più, si avvicina a me accorciando le distanze. 
« Ehi » sussurra con gli occhi fissi nei miei. Per un attimo quel grigiore intenso diviene argentato, abbagliandomi. Ripenso a quanto è stato facile per lui strapparmi un quasi-bacio, capisco quanto sarebbe stato semplice per me cedervi. 
Il suo viso si rilassa in un sorriso che non riesco a contraccambiare. Mi provoca ancora una fitta d'irritazione il modo in cui è stata sminuita la situazione. E mi da ancora più fastidio il fatto che mi dia fastidio. 
« Ciao » rispondo senza calore. 
Mordicchio l'interno della guancia mentre restiamo in silenzio. Abbasso lo sguardo cercando una vita d'uscita; durante il percorso di ritorno in macchina, avevo immaginato una scena del genere in cui gliene dicevo di tutti i colori. Ora sono bloccata, invece. Non saprei nemmeno dove cominciare e questo, forse, è dovuto al fatto che sono meno arrabbiata di prima. 
« Senti, mi dispiace » sbotta all'improvviso « Mi dispiace di essermi comportato da.. »
« Stronzo? » suggerisco.
Ridacchia, col peso sul cuore alleggerito; l'espressione meno tesa « E mi dispiace per Ethan, è stato un vero.. »
« Stronzo » termino per lui la frase, sicura.
« Hai capito tutto tu, vero? » ironizza.
Scrollo le spalle « Tutto o niente, non ne sono ancora certa»
La mia pacatezza pare sorprenderlo, perché i suoi occhietti si muovono turbati sul mio viso, cercando di cogliere i barlumi di una sfuriata che non arriverà. Non perché non sia infuriata, anzi. Proprio perché lo sono. Certi litigi devono avvenire al momento, altrimenti perdono la loro essenza. 
« Perché non sbraiti? » domanda, le sopracciglia inarcate, sospettose.
« Ho un mio personalissimo metodo per sbollire la rabbia » spiego.
« Sarebbe? »
« Il silenzio » rispondo.
Ridacchia, indietreggiando di qualche passo. Porta le mani sui fianchi e si mordicchia il labbro inferiore. Credo proprio che quello arrabbiato, adesso, sia lui.
« E' un modo elegante per dirmi di andarmene? » esplode, carico di amarezza. 
Spalanco le braccia con innocenza « Puoi fare quello che vuoi »
Basito, continua a fissarmi senza dire nulla. Nessuno ti ha detto che sarebbe stato facile, Carter.
« Il fatto che non stia urlando come una matta, non mi fa meno arrabbiata » prendo un codino che porto sempre con me dalla borsa e lego i capelli in un'improvvisata coda alta « E il fatto che tu sia venuto qui e ti sia scusato, non significa che ti abbia perdonato »
Sono particolarmente nervosa per lo sfogo, sento il calore defluirmi al viso e che mi tremano le mani, alcuni dettagli che si manifestano quando m'arrabbio. Faccio un respiro profondo per calmare la tachicardia che pare spaccarmi il petto. Dio, perché mi sento così vulnerabile quando si tratta di lui? Non dovrebbe importarmi un accidente del suo comportamento o del fatto che non mi abbia dato importanza in quella stanza. 
« Vuoi litigare per così poco? » le labbra si chiudono in una linea dritta.
Una fitta allo stomaco mi snerva ancora di più: continua a minimizzare tutto. Ed è una cosa così umiliante, imbarazzante che non riesco a replicare. Come gli posso far capire ciò che mi ha ferito senza mettermi in imbarazzo?
Dire " ci stavamo quasi per baciare quando Ethan è entrato nella stanza e tu hai fatto finta di niente" non darebbe sfogo alle mie frustrazioni. Mi farebbe soltanto venire la voglia di nascondere la testa sotto al terreno.
Apro con foga la borsetta a tracolla e prendo le chiavi « Fai come se questa serata non fosse mai esistita »
Impettita, mi dirigo lungo il vialetto di casa, salgo le scale con un'energia tale che potrebbe innescare una bomba. La luna splende in cielo e con i suoi raggi di notte, illumina ogni cosa di un bianco argenteo. I fiori piantati in giardino sembrano piccoli doni inviati dal cielo stellato, le foglie degli alberi assorbono lo splendore lunare, esaltandone il verde. I passi di Carter sono l'eco dei miei. 
La sua mano ferma la mia prima che infili la chiave nella toppa della porta. « April, io... »
Chiudo gli occhi ispirando dal naso; a cosa serve tutto questo? Forse è stato un bene averlo incontrato stasera per caso. Ho capito che tipo di persona è. Questo non prova nulla e non significa molto: ci sono conoscenze che non sono destinate ad approfondirsi. Punto, fine del discorso.
« Carter, basta » deglutisco « Non fa niente, è andata così »
La sua espressione si riempe di stupore, incredulità, indecisione. « Che stai dicendo? »
Rido sarcastica « Ti prego, non fingere che t'importi qualcosa. Ci conosciamo da appena un mese »
« E con questo? » sbotta ad alta voce e lo zittisco facendogli cenno di abbassare la voce. Mi prende per un braccio e mi trascina alla sua auto, apre lo sportello e quasi mi ci butta dentro.
« Non vengo da nessuna parte con te! » indignata, mi divincolo dalla sua presa e chiudo lo sportello. 
Alza gli occhi al cielo sbuffando rumorosamente « Non ti voglio portare da nessuna parte, Miss Diffidenza » con pazienza riapre l'auto « Voglio solo parlare »
Alla fine cedo a malincuore. Incrocio ancora una volta le braccia al petto e pare sia la cosa che mi riesce meglio, stasera. 
Carter appoggia le mani sul volante « Senti, non avrei abbandonato la festa per seguire una ragazza, per scusarmi, se non m'importasse »
Faccio per replicare, ma mi zittisce « Non so in che modo mi interessi, okay? Ma voglio conoscerti. Voglio riconoscere le tue espressioni per sapere esattamente cosa stai pensando, voglio poterti portare sotto casa il gelato preferito per mangiarlo sul tetto e vedere le stelle. Voglio che canti la tua canzone preferita quando la trasmettono alla radio e sentirti recitare le citazioni dei libri che ti sono piaciuti di più. Voglio che tu mi dia l'opportunità. »
Il silenzio cala su di noi come un fiore enorme e vellutato, ne sento i contorni definiti e profumati, posso scorgerne i colori, senza che mi accechino. E' un silenzio carico di aspettative e questo mi confonde, mi lascia perplessa e tramortita. Devo mordermi le labbra per credere che sia reale. 
Osservo le ombre degli alberi come danzano sul cruscotto, sulle mie ginocchia, sui capelli di Carter. La sua barba sembra quasi lucente, persino all'ombra della notte. 
Carter scruta il mio viso interrogandolo con domande silenziose. Penso ad una risposta degna del suo discorso, frugo la mia mente ma non ne trovo nemmeno una. Così decido che non voglio una risposta degna della sua, voglio che abbia una risposta alla April.
« D'accordo » gli dico sorridendo.
La presa sul volante si allenta, e si volta con tutto il corpo nella mia direzione « D'accordo? »
Annuisco, senza sapere cosa questo voglia dire. D'accordo ci conosceremo? D'accordo usciremo insieme? D'accordo, con la possibilità che ci baceremo? D'accordo alle visite improvvisate col gelato? 
Milioni di domande mi frullano per la testa e l'unica cosa certa è che non so cosa ci riserverà il futuro.
« Giuro che non cercherò più di baciarti ». Ahi. 
Fa il segno degli scout « Croce sul cuore? » borbotto disgustata.
Alza le mani contrariato « Che c'è di male, adesso? »
« Non mi sono mai piaciuti gli scout »
Esco dall'auto e mi dirigo verso casa, quando sento Carter urlarmi dietro, sarcastico « C'è qualcosa che ti piace? »
Mi volto camminando all'indietro, poi alzo il viso verso il cielo « Sì » gli dico « la Luna ».



Una serie di colpi alla porta mi fa sobbalzare. Apro gli occhi a fatica e rimpiango di essere rincasata così tardi la scorsa notte. 
Il sole inonda la mia stanza in tutto il suo splendore, e le tende non riescono a contenerlo. La sveglia sul mio comodino segna le undici. 
Sbuffo e sprofondo di nuovo tra i cuscini, gettandomi, ancora per un po', tra le braccia di Morfeo. Neanche il tempo di chiudere gli occhi, che bussano di nuovo alla porta, questa volta ancora con più insistenza.
Scalcio le coperte furiosa, mentre urlo al soffitto « Va bene, d'accordo! »
Scendo impettita le scale ( rischiando di cadere più volte e sbattendo due volte contro il muro) a piedi scalzi, con indosso un pantaloncino che ho trovato alla rifusa ieri notte e una canotta.
Apro la porta con l'intenzione di essere poco ospitale con il postino o con qualche rappresentante di qualche strana azienda che cerca di vendermi aspirapolveri, e mi si mozza il fiato quando davanti a me trovo Carter, con una confezione di caffè marcata Good April Cafè e una busta di Muffin, a giudicare dall'odore.
Deglutisco « Carter »
Carter alza gli occhiali da sole sulla testa e sorride « Posso entrare? »
« Ma certo » mi faccio da parte, incrociando le braccia al petto ricordandomi, solo in quel momento, di indossare una canotta e nient'altro
Chiudo la porta alle mie spalle, poi mi fiondo sulle scale urlandogli « Solo un attimo! »
Corro in bagno, mi lavo velocemente i denti e mi sciacquo la faccia con ruvidezza; frugo tra i miei cassetti alla ricerca di un reggiseno pulito e lo indosso. Mi guardo allo specchio e mi spazzolo in fretta i capelli e li racchiudo in uno chignon casalingo. Respiro più volte e scendo al piano di sotto dove ho lasciato il mio ospite. 
Carter mi aspetta seduto alla tavola, sulla quale ci sono i caffè e i Muffin serviti sui piatti « Mi sono permesso di preparare tutto, spero non ti dispiaccia »
Alzo una mano per sminuire tutto « Hai fatto benissimo »
Sorseggio il mio caffè macchiato con caramello e sospiro di piacere quando quella bevanda afrodisiaca invade la mia bocca « Grazie per il caffè »
Sorride dietro il suo doppio caramellato « Figurati »
Scelgo un Muffin al limone e lo spezzo in due, cominciando dal cuore del dolce, la parte più morbida. Sento il suo sguardo addosso e alzo gli occhi per guardarlo a mia volta. Mi succhio il pollice su cui è rimasto appiccicato la delizia al limone.
« Che c'è? » dico.
Sorride e scuote la testa « Niente »
Poggio il Muffin sulla tavola e mi sporgo in avanti « Allora Carter, cosa ci fai seduto alla mia tavola? »
« Vuoi che me ne vada? » chiede.
Gli getto un'occhiataccia e lui ride « Hai capito cosa intendo » 
Alza le spalle mentre sorseggia un altro po' del suo caffè; i capelli sono leggermente spettinati e questo gli conferisce un'aria meravigliosamente trasandata. Non che questo mi riguardi, ecco.
« Non sapevo che il giovedì avessi la giornata libera » afferma.
« Ci sono parecchie cose che non sai di me » termino il mio caffè e pianto i miei occhi sul suo viso. 
Si muove irrequieto sulla sedia « Be' per adesso so che ti piace vedere l'alba, il caffè macchiato caramellato e che mangi i Muffin prima dall'interno ». Lo guardo incuriosita senza parlare. 
« Ho intenzione di continuare » mi informa. Io di te non so niente, a parte che hai gli occhi grigio/marroni più belli della città.  Sospiro riponendo i piatti nel lavabo.
« Comunque » continua lui, ignorando il mio silenzio « Avevamo un appuntamento »
« Che è saltato, visto gli avvenimenti di ieri » sentenzio.
Lui allarga le braccia continuando a masticare, di tanto in tanto, un Muffin alla vaniglia « Avevi detto che avremmo continuato a vederci »
« Queste parole non sono mai uscite dalla mia bocca » dico in tono deciso. Apro il rubinetto dell'acqua, facendola scorrere. Carter, dietro di me, la richiude, poi poggia le mani sul marmo sottostante al lavello, accanto alle mie.
La scarica elettrica che il suo corpo produce addosso al mio, mi riempe di adrenalina; il cuore prende a martellarmi raggiungendo limiti impervi.
Il suo fiato caldo mi solletica la nuca, provocandomi brividi che mi scuotono fino alle dita dei piedi. Dovrebbe essere dichiarato illegale l'effetto che mi provoca.
Con la mano, traccia dei ghirigori immaginari sul mio braccio, salendo lentamente fino alla spalla, poi sul collo raggiungendo i capelli. Dolcemente, sfila lo chignon liberando i lunghi capelli sulle spalle.
« Mi piacevano di più spettinati » sussurra al mio orecchio, suscitandomi ulteriori brividi che mi costringono a boccheggiare.
Gioca con le mie ciocche di capelli ribelli, arrotolandole attorno alle dita per poi srotolarle e cominciare da capo; senza aggiungere un'altra parola e senza voltarmi. Solo che è tremendamente difficile dimenticare la sua presenza alle mie spalle, così come è complicato spicciare una parola. Anche perché, francamente, non saprei cosa dire senza risultare banale o volgare. 
Se penso, poi, che allontanarlo mi lascerebbe un vuoto, mi spaventa ancora di più di quanto mi piaccia la sua presenza. 
Le sue mani mi afferrano per le spalle e mi voltano, rivelando finalmente il suo viso. I miei occhi sono rapiti dai suoi che mi risultano indecifrabili, straboccanti di emozioni che non riconosco. Mi chiedo quali sensazioni la mia presenza stia suscitando in lui. 
Senza staccare gli occhi dai miei, mi solleva sul ripiano del lavabo, incastrandosi tra le mie gambe. Sento un tuffo al cuore e, per un istante, mi si mozza il respiro. 
Poggia il viso nell'incavo del collo, respirando il mio odore e lasciando un piccolo bacio infuocato che mi fa sobbalzare. Le mani avanzano, avanti e indietro, sulle cosce e il mio corpo non la smette di rabbrividire a quel contatto delicato e stimolante.
In un unico tocco, abbassa la spallina della canotta e del reggiseno giù per il braccio, sostituendole con dei baci non proprio casti. La sua bocca è così passionale mentre si muove sulla mia pelle che devo trattenermi dal gemere. 
Si stringe ancora di più a me mentre, famelico, assapora mia pelle. E' incredibile quanto questo sfioramento possa farmi provare piacere. Un qualcosa di totalmente nuovo, per me.
Insaziabile, raggiunge il collo e, non appena mi accarezza con le sue labbra, mi lascio sfuggire un gemito deciso. Giurerei di averlo sentito sorridere contro la mia pelle. 
« Carter » sussurro con voce arrochita. E' un suono così flebile che non sono sicura mi abbia sentito. 
Soltanto ieri aveva giurato che non avrebbe provato a baciarmi mai più. Questo va molto oltre un bacio, è un qualcosa di molto più intimo e piacevole. Devo fermarlo. 
Una vocina nella mia testa mi chiede perché diavolo debba interromperlo, ma soprattutto sputa aspra:  davvero vuoi che smetta
Rovescio la testa all'indietro, per lasciargli più spazio. In questo momento c'è una guerra in atto tra mente e corpo: quest'ultimo sembra molto più indipendente di quanto dovrebbe.
Carter ne approfitta e aumenta l'intensità dei suoi baci, facendomi gemere ancora una volta. Con la mano dietro la schiena mi attira a sé, lasciandomi pendolare di più fuori dal ripiano. Attorciglia le mie gambe attorno la sua vita, spingendomi ancora di più contro il suo corpo.
Sento una punta di imbarazzo invadermi: mi sento sbagliata. Non sono mai andata oltre un bacio con un ragazzo e, soprattutto, non dopo così poco tempo che lo conosco.
Eppure non mi sono mai sentita così coinvolta, sento che il cuore potrebbe sbucarmi dal petto e sbriciolarsi in milione di coriandoli. 
Non sono mai riuscita a lasciarmi andare con nessuno e nessun altro è riuscito a farmi provare ciò che sto sentendo in questo momento e, per di più, solo con dei baci sul collo. Non mi ha nemmeno sfiorato le labbra e mi sento in estasi. Appena ci penso, mi rendo conto di voler un contatto ancora più intimo, ancora più profondo. Desidero perdermi tra le sue braccia, assaporando le sue labbra, le nostre lingue che si attorcigliano..
Carter continua minuziosamente il suo lavoro dall'altra parte, cominciando da capo. Prima sulla spalla, la clavicola, il collo. Fremo d'impazienza affinché le sue labbra si posino sulle mie e mettano fine a questa tortura. 
Finalmente il suo viso è in direzione del mio, ha le labbra gonfie e arrossate; col naso mi sfiora le labbra, la guancia, la linea della mascella. Sono costretta a chiudere gli occhi, perché non riesco a sopportare una tale intensità. 
Col pollice mi accarezza impetuoso il labbro inferiore, schiudendomi la bocca. I miei occhi sono fissi sulla sua e non risco a pensare a niente che non riguardi il suo sapore. 
Le sue labbra si avvicinano sfiorano veloci le mie, senza neanche schiudersi, e se ne va « Devo andare » la sua mano stringe il mio viso, accarezzandomi la guancia col pollice. 
Lo guardo stordita e inappagata, la magia che aleggiava su di noi si è dissipata, sparita come nebbia. Annuisco, non riesco a dire nulla. 
« Ho giurato che non ti avrei baciata e non lo farò » si giustifica, ma i suoi occhi sono ancora fissi sulle mie labbra e sembra che faccia uno sforzo enorme tenendosi a distanza. 
« Hai fatto molto di più » mormoro spaesata. Il suo improvviso rifiuto mi provoca una fitta allo stomaco: come può dire di no a tutto questo? Dopo che lui mi ha fatto provare queste nuove sensazioni, come riesce a tirarsi indietro? 
Sorride trionfante, poi si rabbuia « Non avrei dovuto »
Le sue parole mi colpiscono come uno schiaffo. Allontano la sua mano dal mio viso « E' stato uno sbaglio? »
Carter scuote la testa, poggia le mani sul bancone, e l'abbassa tra le sue braccia. Okay, ora sono incazzata sul serio. Cerco di scendere dal ripiano ma mi blocca, le sue mani si stringono sui miei polsi. Mi divincolo dalla presa senza successo. 
« Lasciami andare » sibilo.
« April » mi ammonisce, riprendendo la posizione in cui eravamo prima; il suo viso pericolosamente vicino al mio « Non hai idea della fatica che sto facendo in questo momento per non baciarti fino allo sfinimento e strapparti questa roba da dosso »
Arrossisco violentemente mentre le sue parole si fanno spazio dentro me, come un fiume lento ma tortuoso.
« Ma ho promesso. Non ti bacerò fin quando non lo vorrai tu » decide.
Perché, adesso non lo voglio? « Perché? » chiedo, sperando che non risulti una supplica.
« Quando mi bacerai, sarà perché ti fidi di me » dice « E non solo perché ti attraggo »
Non è solo questo, vorrei spiegargli, ma l'imbarazzo ha la meglio. Vorrei dirgli che un'attrazione fisica, con un altro, non sarebbe mai bastata a spingermi fino ad un momento simile. Non l'avrei mai permesso.
Inconsciamente, questo ragazzo si è fatto largo dentro me.
Sfiora il mio viso con una carezza veloce e sorride « Non dimenticare il nostro appuntamento »
« Abbiamo un appuntamento? » smorzo un po' l'imbarazzo.
Annuisce con vigore « Passo a prenderti alle otto »

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Capitolo 5
*** Avvertimento dal passato. ***


Ragazzi/e ecco un nuovo capitolo tutto per voi. 
Spero che vi piaccia e, come sempre, BUONA LETTURA!
P.s. Mi fate sapere come sta procendendo la storia per voi? Cosa ne pensate? Grazie!



La brezza pomeridiana mi solletica la pelle, restituendomi quel po' di freschezza che il caldo torbido di fine giugno mi ha rubato. Anche nel tardo pomeriggio, l'intensità dei raggi del sole non si accinge a diminuire e sembra che il mio corpo si sia trasformato in una friggitrice ambulante. 
Il Reigon'l è ancora più affollato del solito, milioni di persone si fermano a bere qualcosa che li rinfreschino o a passare il pomeriggio in compagnia di amici o conoscenti, per fare quattro chiacchiere.
Così come noi in questo momento. 
Oltre ad una bibita fresca, la compagnia delle mie migliore amiche, mi serviva qualcosa che mi distraesse dagli avvenimenti di stamattina e dall'appuntamento di questa sera.
« Ti ha baciata? » Tanya interrompe il racconto di Elly sulla scorsa serata con la solita delicatezza di un elefante. Beth le da un calcio sotto al tavolo e Tanya mima la frase " Che ho detto?".
Sorrido dinanzi a questo teatrino mentre sorseggio il drink analcolico più buono che abbia mai assaggiato in vita mia.
Le guancie di Elly si tingono di rosso ma sorride raggiante « Sì! »
Tratteniamo il fiato all'unisono mentre esclamiamo approvazioni insensate, domande le cui risposte aspetteranno e strangoliamo di abbracci e baci la nostra piccola, grande migliore amica.
« Voglio i particolari » la minaccia Beth. Elly ride felice ed è una visione mistica. L'amore ha il potere di rendere le persone migliori e peggiori, come se si trovassero in Paradiso o all'Inferno, capaci di grandi gesti e grandi orrori; ma ci riempie la vita così tanto, da non aver spazio per altro. 
Parlo della gioia che scorre nelle vene di primo mattino, quando i nostri occhi scrutano la stanza vuota e la sentiamo ricca; dell'amore per un gatto nero, le carezze di una madre, gli insegnamenti di un padre. Le mattinate trascorse tra i baci, i pomeriggi in compagnia delle amiche di sempre. Tanti piccoli amori che sbocciano in splendidi trionfi.
Eppure non posso trattenere una fitta di panico per la mia amica. Se non andasse per il giusto verso, quanto ci soffrirebbe? 
Lo scintillio degli occhi di Elly non può evitare di schiaffarmi in faccia i momenti che ho cercato di reprimere da quando Carter è uscito dalla porta d'ingresso.
Sembra ancora di sentire le sue labbra sulla spalla, lungo il collo; le sue mani che si muovono delicate sulla mia pelle, la delicatezza travestita da passione mentre mi issava sul ripiano, l'intensità dei suoi occhi mentre mi giurava, ancora una volta, che non mi avrebbe baciata; quando mi aveva toccata così nel profondo da avermi irrimediabilmente segnata. Rabbrividisco mentre una leggera folata di vento mi scompiglia i capelli.
Bevo un sorso della mia bibita, ancora in sovrappensiero, quando Beth interrompe il mio flusso di ricordi « Come mai così silenziosa? »
Ci metto un po' a capire che la domanda è rivolta a me. Scrollo le spalle, continuando a bere. 
« Sei nervosa? » chiede Tanya con gentilezza.
« Un po' sì » ammetto.
Sposto lo sguardo altrove, imbarazzata da quella rivelazione. Il senso di colpa, poi, mi rende irritabile. Non sono riuscita a raccontare quello che è successo, nella mia cucina, alle ragazze. 
Ci ho provato, davvero. Avevo cominciato a dirigermi sul lungo sentiero del discorso Carter, ma non ho proseguito oltre. Per la prima volta in vita mia, dopo anni, un ragazzo mi suscita qualcosa molto distante dal semplice interesse; ciò che ho provato stamattina non ha etichette per essere definito. Non posso inserirlo nel cassetto targato inappropriato o giusto, o opinabile, o passionale, o razionale. E' stato tutto così spontaneo e non calcolato, che si è meritato un posto negli avvenimenti indimenticabili. 
Nessuno mi aveva mai toccato così, nessuno mi aveva non baciato così e farmi sentire come se l'avesse fatto o dieci volte meglio! 
Ho avuto qualche storiella, in passato; niente che valga la pena di essere ricordato. Non posso fare paragoni col passato, perché non ci sarebbe nulla che potesse avvicinarsi minimamente o reggerne il confronto.
Potrà sembrare banale ed infantile, ma ho ricordi di sentimenti più o meno intensi con il ragazzo a cui ho dato il mio primo bacio. 
Non è stato solo il mio primo bacio, ma è stato anche la mia prima storia; ha raggiunto un così alto numero di prime volte - a parte una - che la delusione per la sua perdita ha spezzato irrimediabilmente qualcosa dentro me.
Si chiamava Austin, lavora ancora nell'officina del padre su West Avenue; qualche volta è passato alla caffetteria a fare colazione, ci siamo salutati senza particolari rancori. Certe volte mi sembra di scorgere qualche sua occhiata languida, mentre sorseggia il caffè che gli ho preparato, che io non contraccambio più da molti anni, ormai. Non provo particolari sentimenti per lui, a dir la verità. Spesso è capitato di esserci incontrati alle feste alla quali mi trascina Beth, o in giro per caso, e, avendo molti amici in comune, abbiamo chiacchierato senza pretese dall'una e dall'altra parte. I sentimenti che albergavano il mio cuore durante la nostra storia sono spariti, anche quelli provati dopo la rottura. Mi ha lasciato parecchie cicatrici sul cuore e un ammonimento che mi ha sempre messo in guardia sui futuri ragazzi. 
Il vero problema è che non ho mai provato con nessun altro ciò che la sua sola esistenza scatenava in me; ricordo con terrore i periodi passati a piangere sul letto di casa mia, ogni giorno dopo la scuola, perché la sua costante presenza in classe mi devastava. 
Ecco, se c'è una cosa che non ho mai dimenticato, è stato il male che mi ha fatto e il conseguente dolore. Forse potrà sembrare esagerato, forse per qualcuno potrà passare per una banale storiella di una quindicenne, niente di così serio e forte. Ma mi ha spezzato il cuore. Letteralmente. 
Austin aveva i capelli castano ramati, un paio d'occhi azzurri elettrici e un viso dolce e mascolino al punto giusto. Ci sono voluti mesi prima che riuscissimo ad uscire insieme e a provare l'emozione del primo bacio. 
Stettimo insieme soltanto tre mesi; ma furono così reali, così intensi da essere classificati come i più belli della mia vita; ci mettemmo insieme verso la fine della scuola, così durante l'estate non passammo molti giorni insieme. Quando succedeva, però, uscivo di nascosto, sotto copertura delle mie amiche. Ero terrorizzata al pensiero che i miei genitori lo scoprissero.
Nel tempo trascorso insieme, Austin non smetteva mai di stupirmi. Sapeva essere spiritoso, ironico, dolce, tutto nello stesso istante. Giorno dopo giorno, il mio amore e la mia devozione non facevano altro che aumentare, dare uno scopo alla mia vita. Il nostro rapporto erano le basi del mio futuro. Ipotizzavamo sulle nostre scelte dei college, discutevamo sulle nostre materie preferite, i progetti singoli. 
Non ero l'unica ad essere coinvolta, me lo sono ripetuta spesso dopo essere stata piantata in asso.
Austin, verso la fine di luglio, mi comunicò che avrebbe passato la settimana centrale di agosto in California, da uno zio, ad aiutarlo per qualche lavoretto e guadagnare qualche soldo. 
Inconsciamente m'imbronciai, attanagliata da dubbi e paure che non gli feci presente. Mi prese il mento tra le mani, voltandomi « Si tratta solo di una settimana, April. Poi tornerò da te »
Con gli occhi imploranti, gli chiesi « Promesso? »
Sorrise con gli occhi, mi baciò, adorante e al tempo stesso vigoroso « Promesso »
Non so perché, ma lo interpretai come un addio. Lo capii un mese più tardi.
Contavo i giorni che ci separavano dal suo ritorno. Per motivi che lo tenevano impegnato, io ed Austin ci sentivamo sempre meno. Calmavo l'ansia che mi ribolliva nello stomaco, soffocandola, consolandola; le dicevo che non c'era motivo di essere così nervosa, che era logico che non si facesse sentire così tanto poiché era occupato.
Una settimana dopo il presunto ritorno di Austin, ero a pezzi. Nessun messaggio, non una chiamata per avvertirmi che aveva posticipato il ritorno. 
Le settimane si trasformarono in due e caddi in una profonda tristezza. Mi sentivo ferita e tradita al tempo stesso, ogni volta che provavo a chiamarlo, il cellulare risultava sempre spento. 
Ero disperata, le mie amiche non mi lasciavano un attimo. « Dev'esserci una spiegazione » sussurravo ogni volta che ne parlavamo, incredula ed ingenua. Che motivo aveva di non rispondere ai miei messaggi? Avrebbe potuto tranquillamente mettere fine alla nostra relazione in qualsiasi momento. Perché non farlo? Perché torturarmi così?
Elly era la più dolce, mentre le altre due erano più caparbie, più forti; cercavano di spronarmi in ogni modo. 
Un giorno, stanca di vedermi così, Beth entrò impettita nella mia stanza reggendo il cordless tra le mani « Senti » cominciò « ce l'hai il numero di casa di Austin? »
Solo sentire pronunciare il suo nome, prese a farmi male il cuore. Annuii impercettibilmente.  Lei annuì risoluta « Bene. Dammelo »
Senza fiatare, composi il numero e le restituii il telefono. Poggiai l'orecchio sul lato opposto del telefono per seguire la conversazione, Beth lo inclinò leggermente nella mia direzione affinché potessi ascoltare bene.
« Pronto? » una voce femminile e leggiadra rispose dall'altro lato del telefono. Il mio stomaco fu inghiottito dall'acqua gelida, annegando.
« Salve, signora. Cercavo Austin, è in casa? » rispose Beth nella maniera più allegra possibile. Nel frattempo, annaspavo nell'ansia.
« No, non è in casa » ci fece sapere subito la mamma « Ancora non è rientrato dalla California »
Avvertii un colpo al cuore. « Capisco » fece Beth indispettita « Quando posso trovarlo? »
Un attimo di tentennamento, poi la voce della madre risuonò squillante « Credo per l'inizio della scuola. Sei una sua compagna di classe, vero? »
« Esatto, signora » accordò Beth « Sono Melissa, lo cercavo per i compiti di matematica »
La guardai scioccata ed ammirata, per la sorprendente bugia. Se Austin avesse saputo che una ragazza aveva chiamato a casa sua, avrebbe pensato subito a me; o, se Beth avesse fatto il suo nome, ad una delle mie amiche. Sarebbe stato più che mortificante. Umiliante è la parola giusta. Le scroccai un bacio sulla guancia nonostante il dolore al petto. Cosa avrei fatto senza di lei? 
Mi salirono le lacrime agli occhi mentre Beth riattaccava. Lei me le asciugò con dolcezza « Non significa niente questo, April »
Non le credetti. Per la prima volta, Beth mi nascondeva la verità, che combaciava spesso con le sue opinioni. Apprezzai il tentativo, tuttavia.
A distanza di un giorno dall'inizio della scuola, la sera prima, mentre messaggiavo con le mie migliori amiche, mi arrivò un messaggio destinato a distruggermi l'anima. 
Il nome del mittente mi fece battere il cuore a livelli che non credevo possibili: era di Austin. Le parole, però, mi fecero mancare il fiato. Tutt'oggi, le ricordo alla perfezione. Mi dicevano che non mi amava più e che gli dispiaceva aver aspettato tanto a lungo per dirmelo. Passai la notte tra camomille e le braccia di mia madre.
Il primo giorno di scuola, trascorso tra la paura di affogare e quella di non risalirne mai più, Austin non si presentò. In classe si era sparsa la voce della nostra relazione; i miei compagni di classe, innocenetemente, mi chiedevano dove fosse, ed io ero in grado soltanto di scrollare le spalle, senza dover fingere di essere sorpresa quanto loro. Venni a conoscenza dalla professoressa di letteratura che Austin sarebbe rientrato una settimana più tardi.
Soltanto alla fine dell'anno scolastico, dopo avermi ignorata come se non fossi mai esistita, ebbe il coraggio di chiedermi scusa per il suo comportamento. Lo perdonai, ma non dimenticai mai quanto potesse far male l'amore.
Do un'occhiata all'orologio ritornando alla realtà: manca solo un'ora e mezza. Ho bisogno di qualche attimo da sola, dopo essere passata da mia madre per un saluto veloce.
« Ragazze, io vado » mi alzo dalla sedia, sistemandomi la tracolla sulla spalla. Le mie amiche mi sorridono e salutano in silenzio: sanno quanto sono rigeneranti i momenti di solitudine quando sono tesa. 
La caffetteria dista più o meno quindici minuti dal Reigon'l, una passeggiata a piedi è l'ideale per schiarirmi le idee e allentare la tensione che rischia di soffocarmi.
E' solo un modo per passare la serata, mi dico. Non c'è bisogno di essere così agitata, è un'uscita come un'altra. Carter mi ha garantito che non mi bacerà, questo scongiura anche l'imbarazzo di fine serata, davanti al portico di casa. O forse l'aumenterà? Ora che ci penso, come ci saluteremo? Questa situazione rischia di ammattirmi. 
Forse sono così nervosa proprio perché Carter non mi bacerà? Perché, inutile nascondere oltre la verità, Carter mi piace. Mi piace in un modo totalmente nuovo e sbalorditivo. E, soprattutto, fremo dalla voglia di assaporare quelle labbra cremisi e voluminose, di perdermi nel contatto delle sue mani, di lasciare che la sua voce mi avvolga e mi trasporti in un mondo parallelo. 
Sono sorpresa di scoprire che voglio passare la serata con lui. Ho passato gli ultimi anni della mia vita sconvolta dal fatto di non aver provato mai nemmeno un brivido quando un ragazzo mi baciava. E adesso, questo ragazzone dagli occhi grigi e i capelli biondicci, col solo suono della sua voce è capace di provocare un uragano dentro me. Ne sono elettrizzata e spaventata al tempo stesso: e se diventasse così importante da non riuscire a staccarmi? Mi viene il mal di stomaco solo a pensarci. Stai calma, April. Stai correndo troppo. 
Mentre apro la porta del Good April Cafè, un'ondata di profumi misti mi solletica il naso. Li inspiro distinguendoli in un elenco mentale e godendoli fino alla fine. Mio padre diceva che questi profumi erano capaci di mettergli il buon umore.
C'è un via vai di gente, ma la caffetteria non è proprio gremita. Scorgo i capelli ramati di mia madre, svolazzare liberi dalla tocque. Mi domando cosa ci faccia, senza; e la risposta mi arriva sottoforma di una ragazza dalla coda riccissima e biondissima, quasi bianca. Ha un viso snello, leggermente squadrato; delle deliziose lentiggini le adornano il centro del viso, con due meravigliosi occhi azzurri da contorno. 
Arrivo alla cassa, mi ci reggo, appoggiando la testa « Scusa, scusa, scusa! »
La sento ridacchiare e scompigliarmi i capelli. 
« Mi ero completamente dimenticata che era il giorno della prova » bofonchio, gettando un'occhiata alla nuova arrivata. Avevo promesso alla mamma che sarei passata stamattina a conoscere la ragazza. Chissà perché mi era passato di mente...
Rimedio subito alla mia dimenticanza, presentandomi alla nostra Modella in Prova « Ciao, io sono April! »
Lo stupore si riflette sul suo viso, esclama un timido « Oh! » mentre afferra la mia mano. E' impacciata e nervosa, mi ricorda me stessa nel periodo in cui mio padre m'insegnava l'arte del mestiere.
Continua a fissarmi senza dirmi il suo nome. All'improvviso, come se avesse ricevuto un secchio d'acqua gelata in faccia, si riscuote dal torpore « Oh, io sono Lizzie. Ma chiamami Liz »
Le sorrido nella speranza che si senta a suo agio qui con noi « Piacere, Liz. Benvenuta a bordo ». Questo pare funzionare perché vedo le sue spalle abbassarsi, libere dalla tensione.
« Liz, le crostate sono pronte. Posizionale sui vassoi » ordina mia mamma mentre s'avvicina. Liz annuisce ubbidiente e fila via.
Mia madre la osserva andare via, poi si rivolge a me « E' sveglia. Credo che andrà bene » passa lo straccio dentro l'espositore, entro cui andranno le crostate; si scosta una ciocca di capelli ribelli e mi sorride. 
Annuisco lieta che le piaccia. Questa è la seconda volta che riprova ad assumere qualche aiutante; molti mesi fa, le venne ques'idea. A me piacque molto, dato che il lavoro alla caffetteria è stressante e un aiuto ci avrebbe fatto comodo ma lei, con lo spettro di mio padre accanto, non riuscì a farsi andare a genio nessuno. Più di dieci ragazzi e ragazze fecero il colloquio e la successiva prova, ma niente.
« Domani mattina verrà il secondo praticante » mi annuncia.
« Il secondo? » chiedo.
Annuisce « Sì, è maschio. Ho pensato che un paio di braccia forti potrebbero essere utili »
« Ottima idea » dico con un tono di voce piatto. Le due braccia forti precedenti erano di papà; trattengo un singhiozzo.
Mia madre pare non accorgersi del mio stato d'animo, meglio così « In più è uno chef. Quanto può essere diverso da ciò che faccio io? »
La sua allegria scaccia i pensieri tristi e m'infonde fiducia « Pochissimo »
L'orologio alle spalle della mamma segna le sette. Manca un'ora. Respira profondamente. « Mamma stasera esco »
Segna qualcosa sul taqquino e annuisce distratta « Con le tue amiche? »
Mi schiarisco la voce in difficoltà. Non so perché glielo sto dicendo, in realtà. Forse perché non ho mai avuto un appuntamento vero e proprio; i coinvolgimenti con i ragazzi sono sempre stati occasionali, buttati lì. Succedeva che a qualche festa incrociavo il ragazzo che mi piaceva e, al massimo del romanticismo, ci scappava il bacio. 
« No, in realtà con un ragazzo » butto fuori, fingendo indifferenza.
Questo richiama la sua attenzione perché posa la penna sul block notes e alza la testa di scatto, fissando i suoi grandi occhi nocciola nei miei. Temo la ramanzina o la lista delle cose di cui devo preoccuparmi. 
Ciò che mi sorprende di più è il sorriso che si anima sul suo volto « E' carino? »
Mi ritrovo ad arrossire mio malgrado, questa è la tipica conversazione madre figlia avvenuta chissà quante volte prima di me, e che non si fermerà certo a me. Solo che è questa è la mia prima volta. 
Scrollo le spalle disinvolta « Potrebbe. Ma non è un vero appuntamento, siamo solo amici »
Le sue sopracciglia schizzano verso l'alto. Canzonatoria mi dice « Ma certo »
La fulmino con gli occhi, le do un bacio sulla guancia ed esco fuori di lì.

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Capitolo 6
*** Sento la tua dolcezza. ***


Ciao a tutti, finalmente posto un altro capitolo. Ho dovuto trascurare un po' questa storia, poiché sono quasi al termina di un'altra ( Prudence, il fantasy). Però quando mi è venuta l'ispirazione per completare il capitolo ho deciso di postarlo subito.
Spero che vi piaccia, fatemolo sapere.
Come sempre, buona lettura! Un bacio, A.





Quando il suono del campanello riecheggia in casa, mi precipito lungo le scale rischiando di inciampare sull'ultimo gradino.
Spalanco la porta con più foga di quanto mi ero imposta di dimostrare. Maledico la mia impazienza e la mia emotività. Accidenti ai personaggi dei libri che hanno reso impareggiabili le mie già difficili aspettative sugli uomini.
Lo stupore, che sono certa si rifletta sul mio viso disegnando sulle mie labbra una timida O, di ciò che mi si presenta davanti mi schiaccia.
Non è la visione di Carter, splendido nella sua mise sportiva ma non troppo, ma di ciò che regge: un mazzo di fiori.
Forse potrà apparire banale, come una scena melensa di un film di sdolcinato romanticismo, se questi fossero fiori comuni.
Carter mi porge i fiori e, da vicino, il loro intenso profumo mi colpisce fino al cuore. Le bungavillee - passione - fanno da contorno alla scenografia dei fiori, lasciando spazio ad uno strato interno per le gardenie - raffinatezza -, miste al lino comune - sento la tua dolcezza.
Al centro, dove in uno di quei film che ci propinano al cinema avrebbe dovuto esserci una rosa bianca, c'è, invece, la lavanda: diffidenza.
La visione di questo fiore, che tra l'altro è il mio preferito, mi causa un vuoto allo stomaco. Diffidenza, è ciò che mi rappresenta. E lui l'ha capito e ha voluto che io lo sapessi in un modo infinitamente migliore delle parole.
Il rossore mi tinge le guance, serrandomi la lingua. E allora dico addio ai buoni propositi di restare cauta, di restare fuori portata dal coinvolgimento, di non adorare quell'espressione concentrata di fronte a me che analizza la mia reazione.
Mentre afferro i fiori le nostre mani si sfiorano, percuotendomi tutta con una scarica elettrica. Annaspo, senza fiatare. Non ci sarebbe nessun modo migliore per esprimergli la mia graditudine, se non di poggiare le mie labbra sulle sue e perdermi nel suo sapore dolce..
Mi riscuoto dalle mia fantasie perché, restando in silenzio, non faccio proprio una bella figura.
Tenendo gli occhi fissi sui fiori dico « Sono bellissimi »
Milioni di domande mi affollano la testa pronte a sgorgare via come un fiume in piena. Vorrei chiedergli come abbia fatto a capire i miei gusti, se conosce davvero i significati di ognuno di questi fiori e se l'immaginazione non mi abbia giocato brutti scherzi. Ma, in questo momento, credo che non riuscirei a formulare una frase che non contenga balbettii e grugniti. Per cui mi gioco ancora la carta del silenzio. Più tardi, forse, cercherò di soddisfare le mie curiosità.
Carter si sporge verso me e, con delicatezza, sposta dietro l'orecchio una ciocca di capelli che mi era scivolata sul viso; il contatto, seppur lieve, con la sua pelle mi fa esplodere i fuochi d'artificio dentro.
Chiudo gli occhi inspirando dal naso e il profumo dei miei fiori preferiti mi inebria, annebbiandomi i pensieri. Sono impaziente e timorosa al tempo stesso di trascorrere questa serata con lui. Da un lato non vedo l'ora di scoprire l'evoluzione di questo rapporto, dall'altro vorrei svegliarmi direttamente domani mattina con solo i ricordi a farmi compagnia. Sono in guerra con me stessa e non è una guerra ad armi pari.
La sua bocca si avvicina inesorabile al mio orecchio sfiorandolo con le labbra morbide; la sua mano posizionata sull'altro lato del viso, in un gesto di possessione e passione.
« Speravo ti piacessero » sussurra con quella sua voce sensualmente roca, il respiro che mi solletica la pelle del collo e una serie di brividi si scatenano sulla mia pelle, travolgendola.
Annuisco. Annuisco anche se non ha senso; in questo momento, annuire mi sembra l'unica cosa logica. Perché se non annuissi, probabilmente, non risponderei delle mie azioni; probabilmente, attirerei il suo viso al mio e lo bacerei.
Devo attingere a tutto il mio autocontrollo per non cadere in quella trappola mortale.
Carter si scosta, afferrando il mio viso con entrambe le mani; ed è allora che il mio cuore parte al galoppo. I suoi battiti sono così forti, che mi rimbombano persino nel cervello.
« Ciao » mi saluta. I suoi occhi grigi mi rapiscono e mi sembra di volteggiare su una nuvola soffice.
Sorrido entusiasta e ripeto a mia volta « Ciao »
I miei occhi non la smettono di fissarlo, non riesco a distoglierli dal suo viso, ora leggermete dorato per l'abbronzatura.
« Pronta per spassartela? » mi schernisce.
Un sorriso complice mi spunta sul viso e per un attimo dimentico il motivo di tanta ansia « Ti avverto che sono molto esigente »
Le sue mani si spostano dal mio viso per  cingermi la schiena « Sarà un'avventura senza eguali »
Scrollo le spalle con un'espressione di mistero e finta severità dipinta in faccia. Gli dico che voglio mettere i fiori in un vaso e di aspettarmi fuori.
Esco e lo osservo mentre è di spalle, con le mani nelle tasche dei pantaloni. In un attimo sono accanto a lui « Eccomi »
Dopo un'oretta passata tra discussioni varie sulla musica alla radio, silenzi imbarazzanti e frasi di circostanza, arriviamo a destinazione.
Le ruote della macchina scricchiolano sulla ghiaia del sentiero imboccato ai lati del quale, serpeggia un muro verde di edera.
Non appena imbocchiamo il vialetto, la distesa di siepi si para davanti a noi, come uno scenario di un altro pianeta.
Prima d’ora le avevo viste soltanto nei film della serie “ The Weeding Planer” con J.Lo, e comunque non hanno reso giustizia alla loro bellezza, precisione, armonia, immensità.
Non riesco a capire da dove iniziano e dove hanno fine, sono un tutt’uno con il paesaggio, con la terra; come se fossero nate quando è sorta la Terra stessa.
Mentre proseguiamo, le siepi s’inarcano sopra di noi e delle piccole lanterne di carta, che emanano una luce soffusa in conformità del paesaggio, discendono da esse.
Carter parcheggia l’auto in uno spiazzale situato in un piccolo vialetto, poco distante dalla meta per quel che mi dice lui.
Avanziamo lungo il sentiero e, per mia fortuna, ho poco modo di soffermarmi su chi mi cammina accanto, perché ciò che mi circonda attira la mia attenzione continuamente.
Man mano che ci dirigiamo verso ciò che presumo sia un ristorante, le siepi si arricchiscono gradualmente di fiori e rose, come una sfumatura di colori vista dall’alto.
Alla mia sinistra, intravedo già dei lussuosi tavoli bianchi con le sedie in coordinato, il cui strascico tocca l’erbetta bagnata dagli irrigatori, immacolate.
Sembrerò pazza, ma la delusione mi pervade. Insomma, è tutto qui? Un appuntamento normale, passato in un ristorantino poco economico e sofisticato per far colpo. E l’avventura che mi era stata promessa dove è andata a finire?
Costringo me stessa a non lasciare trapelare emozioni per non ferirlo.
All’ultimo minuto, quando osservo il vuoto accanto a me, mi accorgo che Carter mi sta aspettando – con un ghigno di soddisfazione sul volto- dal lato opposto in cui mi trovo io.
Lo scenario è lo stesso: i fiori e le siepi compongono la scenografia, le lanterne creano un’atmosfera intima e rassicurante. E’ il resto che cambia, la gente.
C’è un piccolo chioschetto bianco al centro, che emana un odorino niente male; i tavolini e le sedie sono dello stesso colore, ma di plastica, comode ma alla mano.
C’è gente che ride ad alta voce, incurante di mantenere un atteggiamento composto e serio.
E’ allora che scorgo l’insegna centrale, tra le due corsie opposte, proprio sopra la mia testa: Le Due Metà.
Una signora con un tubino nero, proprio in quel momento, ritira il suo panino farcito; gli orecchini di perla luccicano alla luce. Lo porta ad un uomo seduto, in giacca e cravatta, che l’accoglie sorridente.
Questo posto mi sta dicendo che posso essere entrambi i modi. Mi volto verso Carter raggiante, il suo sorriso tradisce le sue aspettative.
Sediamo a un tavolo situato più all'ala ovest del chioschetto, abbastanza appartato e tranquillo.
Carter batte le mani impaziente « Allora, cosa vuoi mangiare? »
Mi viene l'acquolina in bocca solo al pensiero di mettere qualcosa sotto ai denti e quest'odore delizioso che sbuca dal chiosco e arriva fin qui non è di certo d'aiuto « Qualsiasi cosa, basta che sia rigorosamente cibo spazzatura! »
Alza la mano e ottiene un bel cinque, quando la batto quasi urla « Così si fa! »
Scoppiamo in una risata isterica e fragorosa, la cosa bella è che nessuno si volta a guardarci contrariati o per gettarci occhiataccie. In realtà nessuno fa caso a noi, punto. Ognuno è impegnato nelle proprie conversazione, è catturato dall'odore delizioso di cibo o concentrato sulle proprie patatine e birra.  E' un'isola che non c'è per adulti.
Alla Ragazza delle Ordinazioni ( l'abbiamo chiamata così per tutto il tempo della serata) chiediamo una piadina kebab con una porzione di patatine  per me e doppio cheesburgher, alette di pollo piccanti, anelli di cipolla al becon per Carter.
Appena la Ragazza delle Ordinazioni se ne va, stabuzzo gli occhi « Vuoi vomitare a fine serata? »
Carter ride « L'intento era quello, più o meno »
Osservo con attenzione le lucine che pendono dall'edera rigogliosa. Sono soffuse e romantiche, ma allo stesso tempo luminosissime.
Appoggio una mano sotto il mento e ci appoggio la testa; guardo Carter di bieco e lui guarda me, con un'espressione di pura serenità stampata sulla faccia.
Sospiro « Cocco, vaniglia e lavanda »
Carter rimane inebetito per qualche istante, poi strabuzza gli occhi e sussurra: « Che c'è, sono nomi in codice? »
Scuoto la testa con vigore e non riesco a spiegarmi questa parvenza d'ansia che mi invade lo stomaco « Sono i miei gusti e fragranze preferite »
« Oh »
« Già »
« Io odio il cocco » sbotta all'improvviso. Scoppiamo a ridere all'istante e subito parte una discussione su come possa una persona sana di mente odiare il cocco.
« Mmh » mugola, come un pittore che ha appena ricevuto l'ispirazione per un quadro « dimmi delle tue amiche »
« Oh » questa non me l'aspettavo.
« Oltre al fatto che sono pazze, è ovvio » ride.
Nel frattempo, arrivano le nostre bibite con le porzioni di patatine. Quando gli faccio notare che ne avevamo ordinato soltanto una, mi risponde scrollando le spalle: « Ho una fame che mangerei anche te »
Intingo le patatine nella maionese e temporeggio; per un po' nessuno dei due dice niente, si sente soltanto la croccantezza delle patatine trangugiate dai denti o le risate proveniente dal tavolo accanto al nostro, o le urla dei bambini dal lato opposto della sala.
Strofino le mani per liberarmi dal sale della patatine e penso a cosa dirgli. Come posso descrivere le mie amiche? Chiudo gli occhi per un attimo e le rivedo proprio qui, in questo momento; abbracciate, sorridenti e felici.
« Sono una grande, grossissima parte di me » sussurro. Conquisto l'attenzione di Carter che lascia perdere le patatine e poggia il mento sulle mani chiuse a coppa sotto di esso.
« La più importante » sottolineo.
Ora sorride, visibilmente colpito « L'ho capito subito »
Annuisco non so bene per cosa, ma ora vado a briglia sciolta e fermarmi è impossibile « Beth è un camaleonte. La prendi, la sposti da qualunque parte e assumerebbe ogni volta un colore diverso »
« E quella bassina con i capelli ricci? »
« Elly » rispondo prontamente.
« Elly » sembra incassare l'informazione e registrarla, come se fosse davvero di vitale importanza conoscere i nomi delle mie amiche e non dimenticarli. Quando gliele avevo presentate, non credo sia riuscito a capire a quale delle ragazze corrispondesse ognuno dei nomi.
« E' come la sorella minore che non ho mai avuto » spiego « E' un piccolo pulcino sperduto ed impaurito che proteggiamo sotto la nostra ala »
« E' timida? » chiede.
« Deve solo trovare la strada giusta ».
Sgranocchio una patatina e sorseggio un po' della mia bibita aranciata. L'aria è calda ma non troppo, c'è una lieve brezza che è un sollievo per la pelle.
« E poi c'è Tanya » continuo « L'inguaribile sognatrice. E' convinta che tutto sia possibile e che, fin quando non l'avrà raggiunto, continuerà a cercarlo ancora e ancora »
Carter mi ascolta in un silenzio rispettoso, primordiale. Non intende interrompermi con domande che ritiene inopportune o indiscrete. Così mi lascia semplicemente il tempo e il modo di trovare le parole adatte o la voglia di esprimermi.
« Certe volte è snervante » ammetto.
Carter inclina la testa attento, poggia la schiena alla sedia ed incrocia le braccia al petto. Chiede: « Perché? »
Libero le mani in aria « Perché i sogni sono per chi se lo può permettere »
Imprime i suoi occhi su di me, sembra catturare ogni dettaglio ed analizzarlo; il sorriso sparisce dal suo volto. Temo di aver detto qualcosa di sbagliato, ma non saprei proprio in che modo avrei potuto offenderlo.
Si sporge verso di me, un gomito appoggiato sul tavolo tra lo spazio lasciato dal cibo. La sua mano sfiora la mia guancia e automaticamente mi si schiudono le labbra. Mi guarda come se fossi un cucciolo di foca che ha perso la mamma.
« Tu puoi permetterti tutto » sussurra con una determinazione negli occhi che non gli avevo mai visto prima.
Non rispondo. Guardo quella deliziosa barba incorniciargli il viso, gli occhi piccoli e grigi che sembrano due diamanti lasciati lì non per caso. E' un caso che questo ragazzo sia entrato nella mia vita? Spesso, quando mi ritrovo a pensare a lui soprattutto in tarda notte, immagino che piega avrebbe preso il mio percorso se quella mattina non avessi deciso di fare una scappatella alla spiaggia. Ci saremmo incontrati lo stesso? Era già scritto?
Eppure sembra impensabile non considerarlo una parte, indefinibile, della mia esistenza. Folle.
La sua mano trova la mia e vi si appoggia, la stringe una volta sola e mormora: « Sembrano fantastiche, le tue amiche »
« Lo sono davvero » ignoro il batticuore che il suo contatto ha provocato.
Sotto un sospiro rincuorato di Carter, servono le nostre ordinazioni. Solo dopo aver dato il primo morso alla mia piadina capisco quanto fossi affamata. Mangiamo in silenzio, io rigorosamente a testa bassa. Mi sento sempre in imbarazzo a mangiare davanti ad altre persone, soprattutto se si tratta di qualcuno che non conosco; temo sempre di sporcarmi tutta o che mi rimanga qualcosa tra i denti e che mi ritrovi a sorridere tutta la sera senza saperlo. Poi torno a casa e faccio l'amara scoperta. Motivo per cui, quando Carter non mi osserva, mi passo energicamente la lingua tra i denti per rimuovere ogni traccia di carne.
Naturalmente, termino la mia cena prima di lui ( nonostante trangugi tutto quasi senza masticare); cerco di non metterlo in imbarazzo ma credo che questo termine non esista affatto nel suo vocabolario.
Ha appena iniziato a mangiucchiare gli anelli al bacon quando chiede: « E di te, invece, cosa mi dici? »
« Sarebbe come rivelarti il finale di un libro »
Alza il bicchiere verso di me come se fosse un calice di champagne e stesse brindando in mio onore « Te lo concedo »
Dopo un'estenuante discussione riguardante il saldo del conto, portata avanti sulla mia tesi d'indipendenza economica e che quindi non era suo dovere preoccuparsene, terminata - ovviamente - con lui che mi spinge da parte e paga, Carter mi prende per mano e mi guida tra il buio delle siepi.
Intravedo la macchina e mi sento invadere dalla tristezza per una serata già finita, ma Carter devia per un piccolo sentiero poco illuminato. L'edera è meno curata qui, è un sentiero il cui terreno è pieno di dislivelli; dobbiamo scansare più di una volta rametti volanti e spine rigogliose pendenti verso il basso.
Quando sbuchiamo fuori, ci ritroviamo davanti ad un piccolo spiazzale che si unisce a punta verso l'esterno di un promontorio. L'oceano si estende sotto di noi. Non c'è luce artificiale ed è un bene: ci ha pensato la luna. Sembra una distesa d'argento.
Non li noto subito ed è soltanto quando mi dirigo verso i raggi di luce che li vedo: ciuffetti indistinti e sparsi di lavanda.
Carter mi supera e si siede proprio sulla cima, con le gambe penzoloni. Si volta tendendomi la mano, incitandomi a prendere posto.
Ed è proprio in quel momento, mente mi siedo accanto a lui, che sento chiaramente che un pezzetto di me è stato rubato.
Se alzo le braccia e chiudo gli occhi mi pare di volare. Sembra un'altra storia, una vita che non è mia. La tranquillità mi pervade rendendomi leggera come una piuma, capace di sfrecciare attraverso le avversità. Posso persino credere che mio padre mi stia aspettando sveglio sul divano in salotto. Devo respirare più forte per trattenere le lacrime, per fortuna il rumore del vento copre i miei sospiri.
« Sai, avevo un padre fantastico » balbetto.
Carter volta di scatto la testa nella mia direzione visibilmente turbato « Avevi? »
« Sì » non so neanche perché ne sto parlando, dannazione.
Un sorriso incredulo gli increspa il viso, ha la faccia di chi non vuole credere ad uno scherzo « E poi cos'è successo? »
Inaspettatamente, poggio la testa sulla sua spalla « Il cancro me l'ha portato via »
La sua mano scatta verso il mio viso e la sua carezza è così calda ed avvolgente che il mio spirito si calma all'istante; non credo che si aspettasse una rivelazione così intima di me. In realtà, nemmeno io.
Mi sporgo ancora di più verso di lui, ora che ne ho avuto un pezzetto non mi basta più; mossa dalla tristezza, da una forma di audacia che non mi appartiene, dall'inspiegabile voglia di perdermi tra le sue braccia, gli circondo il collo con le mie nascondendo la testa sotto al suo collo.
Le sue mani rispondo subito e mi avvolgono rapide e sicure; il calore del suo corpo fa subito breccia nel mio e nel vento della notte ogni cosa sembra possibile.
Con irruenza mi afferra il viso tra il palmo delle sue mani. La punta del naso risale lentamente dal mento fino alla fronte, ispirando e godendo del profumo della mia pelle.
« April » assomiglia ad una supplica.
Con gli occhi che guardano ovunque tranne che i suoi, la mia mano viaggia alla scoperta del suo viso. Le stelle non sono mai state così luminose in alto nel cielo. L'odore di lavanda mi pizzica forte il naso.
Carter ha il volto di chi sta faticando molto per mostrarsi impassibile eppure, di tanto in tanto, lampi di emozioni gli esplodono negli occhi, colpendo di riflesso anche me.
Si ricompone in fretta e si alza sovrastandomi. Afferra le mie mani e con un balzo mi rimette in piedi, guardandomi come se fossi il diavolo in persona che vorrebbe trascinarlo nella tentazione.
Dietro al mio orecchio sospira: « Andiamo via di qui »
 

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Capitolo 7
*** Senza rimpianti. ***


Lo so che è passato un po' di tempo dall'ultimo capitolo, ma più o meno è questa la frequenza con cui posto i capitoli. Quindi perdonatemi se potete.
Mi sono accorta che il capitolo è un tantino lungo, eheheh. Spero non vi dispiaccia e che l'apprezziate.

Un bacio e buona lettura, A.


Cinque giorni più tardi, sapevo di Carter molte più cose di quanto avrei potuto immaginare. I pistacchi lo fanno impazzire e non prende mai il gelato senza panna. Odia sentire il rumore della carta quando si straccia e indossa sempre le lenzuola, anche quando fa caldo. So che è un appassionato di film di ogni genere e quando gli chiedo quale sia il suo film preferito mi risponde « Pearl Harbor »
L'ho visto, gli rispondo. Gli dico che non mi piace perché alla fine, Rafe e Danny litigano poiché innamorati della stessa donna e lui ribatte: « E' proprio questo il motivo per cui lo amo: quei ragazzi conoscono il perdono »
Mi porta spesso in luoghi appartati in cui c'è la natura a fare da sfondo: una delle piccole, tante, cose che ha capito di me senza dover chiedere.
Mi chiedo come abbia fatto questo ragazzo a farmi essere me stessa in sua compagnia così presto. Molte volte mi accorgo di essere totalmente a mio agio insieme a lui, come se fosse un amico d'infanzia ritrovato. 
Ho cercato di preservare i nostri incontri dai miei sentimenti, che crescevano man mano, ma invano; come faccio ad essere coerente se quegli occhi grigi mi scrutano, mi parlano, mi sussurrano cose? 
La sua mano trova spesso la mia ed io la stringo, cercando di trattenere quella sensazione soffice della sua pelle contro la mia più a lungo possibile. 
Più di una volta ho dovuto mordermi la lingua per evitare di urlargli " che cosa siamo noi?", dopo i suoi mille distacchi improvvisi e il rifiuto di baciarmi. 
Ho dovuto ricacciare indietro le lacrime quando mi sono sentita rifiutata, quando, ad un centimetro di distanza dalle mie labbra, mi ha respinto ancora una volta, lasciandomi di stucco. 
Due giorni dopo l'appuntamento al Le Due Metà, sabato sera, avevamo passato tre ore a parlare sulla spiaggia di South Beach, dal lato opposto alla mia casa. 
Alla fine, dopo vari tira e molla, Carter mi aveva trascinata di peso e gettata nell'acqua tiepida dell'Oceano. Con lo stesso impeto, mi aveva rialzata e rimessa in piedi sulla spiaggia.
Le nostre risate riecheggiavano nell'aria che ci circondava, estraenandoci dall'atmosfera del mondo; eravamo due pezzi opposti estrapolati da qualche parte dell'universo e messi insieme in quel preciso istante. 
Dopo cinque minuti di risate intense, Carter era rimasto in silenzio all'improvviso, come se si fosse appena reso conto che eravamo soli su una spiaggia deserta a pochi centimetri di distanza e che io ero lì, davanti a lui, completamente inzuppata e con una maglia divenuta trasparente che lasciava ben poca immaginazione.
D'istinto, mi coprii il petto incorciando le braccia. Il suo sguardo si era fatto di fuoco e i suoi occhi non mi perdevano mai di vista. Ero rimasta incantata in quel bagliore che i suoi occhi saettavano.
Si slanciò in avanti lentamente, le braccia che accarezzavano caute le mie; il suo sguardo mi attraversava, come se fossi trasparente, lasciandosi sfuggire qualche sorriso.
La domanda sul perché sorridesse mi morì sulla bocca, quando si avvicinò così repentinamente che si mozzò il fiato. Sfregava la sua bocca sulla mia guancia, sotto al mio collo, tra le labbra e il naso, ma non si spinse oltre.
Questo non fece altro che aumentare la mia frustrazione e dare vita al vortice di domande che mi rendevano perennamente instabile, insicura, avvilita.
Come a voler rafforzare la sua tesi, si allontanò di scatto, lasciandomi in bilico; chiusi gli occhi per reprimere la rabbia che rischiava di schizzar fuori e la richiusi nella stretta dei miei pugni chiusi. 
Mi bruciavano gli occhi per l'ennesima illusione e fremevo per il suo comportamento. Perché aveva tutta questa voglia di passare il tempo con me? Avevo capito male, forse? Avevo sbagliato ad interpretare i suoi atteggiamenti? Desiderava che fossi un'amica per lui e nient'altro?
Attonita, sbottai « Perché fai così? »
Lui mi guardò come se gli avessi appena piantato un coltello nella schiena. Fantastico, pensai, ora devo sorbirmi anche il senso di colpa per averlo ferito. Quando lui, con i suoi modi schivi, non faceva altro che rendermi diffidente.
Carter alzò la testa verso il cielo, intento ad ignorare la mia domanda e dirigere la sua attenzione sulla Luna che ci illuminava. 
Sbuffai così rumorosamente da distoglierlo dai suoi pensieri; ma, quando cominciò a badare a me, l'avevo già superato dirigendomi a piedi verso casa. 
Solo pochi passi dopo, la sua mano si strinse ferrea sul mio braccio, costringendomi a voltarmi.
« Sono stanca! » sbraitai. 
La sua espressione si addolcì, cogliendomi alla sprovvista « Lo so »
« E allora perché diamine ti comporti così? » dissi, non appena mi ripresi dallo shock iniziale.
Lui piantò le mani sui fianchi « Forse un giorno te lo spiegherò »
« Forse quel giorno non sarò li ad ascoltarti » risposi dandogli uno spintone.
Camminavo così veloce che raggiunsi la sua macchina con l'obiettivo di scansarla e filare via. Questa volta lui era preparato: mi superò e si piantò davanti a me con le mani alzate in segno di resa.
« Tutto quello che voglio è passare del tempo con te » confessò.
Aggrottai le sopracciglia, arrabbiata ancora una volta per il modo in cui mi definiva « Per cosa mi hai preso, un passatempo? »
Carter chiuse gli occhi e scosse la testa, quando si ricompose disse « No. Sei molto di più »
Distolsi lo sguardo. I marciapiedi che costeggiavano le spiagge erano sempre carichi di residui di sabbiolina e, quand'ero piccola, questa rimanenza non faceva altro che indispettirmi. Soprattutto quando, con cura, ripulivo i miei piedi dalla sabbia appiccicosa.
« Carter.. » cominciai. Le sua braccia mi avvolsero prima che potessi terminare il mio discorso; le sua mani volarono tra i miei capelli umidi; sentii che respirava la mia pelle e mi provocò un brivido che misi subito da parte, per non cedere. 
Si staccò da me solo per prendere il mio viso tra le sue mani « Ti prometto che al più presto ti racconterò tutto. Fidati di me »
Emisi un grugnito ed imitai una faccia disgustata dinanzi al verbo fidarsi. Lui ridacchiò piano, poi divenne serio. « Vorrei solo farti capire quanto sei importante, April » sussurrò. 
Scrollai le spalle, fingendomi indifferente alla sua confessione « Non ci stai riuscendo granché »
Ridemmo insieme della mia risposta a tono e terminammo quella nottata così, pensando a come, nell'arco di pochi minuti, tutto possa essere svelato. 
Da quando Liz è entrata nel Good April Cafè il lavoro è diventato più sopportabile. E' sempre attenta ai nuovi insegnamenti, capisce al volo ciò che può o non fare senza stare lì a chiedere. E' una tipa sveglia. Mi piace. 
La mamma ci sgrida in continuazione perché, dopo soli pochi giorni, il nostro rapporto si è rafforzato e siamo spesso vittime di attacchi di ridarella acuta. Ci diamo man forte l'un l'altra ed è incredibilmente piacevole trascorrere la giornata lavorativa insieme a lei. Ha sempre la battuta pronta, ha un modo di fare coinvolgente: non riesco a stare sulle mie quando c'è lei nei paraggi. E' affabile con i clienti e straordinariamente esuberante; capitano di frequente scene in cui la caffetteria scoppia in urla gioiose ed è tutto merito suo. 
La mamma, negli ultimi giorni, si è lamentata spesso dell'appuntamento saltato con lo chef a cui era stato proposto un posto di lavoro qui. 
Dopo la milionesima lagna, le avevo detto semplicemente « Perché non cerchi qualcun'altro? »
Lei mi aveva guardata come se fossi impazzita da un momento all'altro e aveva risposto con pazienza, come se fossi una bimba capricciosa « Perché è perfetto. Voglio lui. »
Avevo sbuffato e alzato gli occhi al cielo perché sapevo benissimo che quando mia madre vuole qualcosa, non c'è nulla che possa dire per farle cambiare idea. 
E' una delle qualità per cui mio padre impazziva letteralmente. Durante qualche discussione causata proprio dalla caparbietà di mia madre, come in ogni coppia, si agitavano e sbraitavano. Quando mio padre, però, le dava le spalle esasperato, lo beccavo a sorridere compiaciuto.
Mentre mi guardo allo specchio, quasi non mi riconosco. I miei capelli hanno sempre la stessa lunghezza e ricadono voluminosi sulle spalle. Il vestitino blu elettrico che indosso, mi è stato regalato da mia madre in occasione del mio ventesimo compleanno; non è molto corto ( non riuscirei a sopportarlo) ed è a mezza manica col girocollo. Al centro esatto della vita si stringe con un eleastico e ricade morbido, con due tasconi laterali ad enfatizzarlo. 
C'è una scintilla diversa in quegli occhi che mi rendono diversa dalla ragazza che ero circa due mesi fa, anche se non saprei dire esattamente cos'è. 
Mia madre comprare sulla soglia mentre armeggio con gli orecchini, si appoggia alla porta e chiede: « Esci? »
Annuisco e la figura allo specchio sorride « Vado ad una festa »
Lei inarca un sopracciglio « Un'altra? » il suo tono, però, non nasconde polemiche.
« Già » confermo « Partecipo a più feste adesso, che quando andavao al liceo! »
Ridiamo insieme per qualche secondo poi cala il silenzio. Mia madre ha quell'aria di chi vuol dire qualcosa, ma che subito dopo ci ripensa e che continua così per ore.
Vorrei dirle " Avanti spara! ", ma mi trattengo.
Poi lei rompe il silenzio « Come va con quel ragazzo? »
Colpita. « Siamo solo amici »
« Certo » mi asseconda, con una punta di sarcasmo nella voce. 
Per fortuna squilla il mio cellulare, salvandomi in calcio d'angolo: è Beth, mi aspetta giù con le ragazze. Abbraccio mia madre e mi fiondo giù per le scale col cuore in gola perché non vedo l'ora di vedere quel ragazzo.

La spiaggia è affollatissima. Il ritmo incalzante della musica scuote il terreno, percuote le bibite nei bicchieri fino a giungere alle mie viscere. E' come se avessi inghiottito un altoparlante.
Osservo Tanya e Beth scatenarsi nella mischia, i loro fianchi che ondeggiano e i capelli voluminosi che le incorniciano i visi. Persino con questo fracasso, riesco a sentire le loro risate che riempono l'aria. Mi spunta un sorrisino che nascondo dietro al bicchiere prima che qualcuno, osservandomi, mi prenda per pazza.
Elly mi sorride dall'altro lato del falò abbracciata a Tom che la stringe a sé come un diamante prezioso. Ho sempre pensato che quei due fossero fatti l'uno per l'altra.
Tom è uno di quei classici ragazzi da cui non ti aspetteresti altro che battutine idiote e toccatine rivoltanti. Oltre ad un bel fisico e ad un bel visino incorniciato da capelli neri e occhi nocciola, c'è molto di più e l'abbiamo sempre saputo. Afferra la mano di Elly e la porta distrattamente alla bocca, le da dei teneri baci mentre intrattiene una conversazione con i suoi amici. 
Analizzo la baraonda di uomini e donne che si ammassano l'un l'altro, il creptio del fuoco e le urla delle ragazze che vengono caricate sulle spalle dei ragazzi e poi buttate in acqua senza troppi preamboli.
Cerco Carter tra la folla. Sembra quasi impossibile, ma tra tutti questi ragazzi non intravedo mai una chioma bionda, neanche per sbaglio.
Tanya mi fa cenno con la mano di unirmi a loro, le faccio una smorfia ma poi mi lascio andare. Lascio che la musica mi trasporti e, trotterellando, le raggiungo; conoscendo i miei gusti, le ragazze si trascinano in un posticino più appartato e meno impegnativo. 
Tento di escludere il pensiero di Carter dalla mia mente e fingo sorrisi spontanei che adesso non ho; non so perché, ma l'ansia mi divora impedendomi di divertirmi. Questa opprimente sensazione che non mi lascia respirare già da un po'. 
Mi dico che è a causa della mia stupida insicurezza, ma anch'io faccio fatica a credermi e quando Beth mi chiede cos'ho che non va scrollo la spalle, evitando di rifilarle questa balla assurda.
Beth lancia un urlo di apprezzamento quando il dj mette la sua canzone preferita, si avvicina a me per cominciare la danza della felicità. Guarda oltre le mie spalle e sgrana gli occhi, sorpresa. 
Tento di voltarmi ma quando la osservo rimanere pietrificata mi blocco anch'io. Tanya, assolutamente preda dell'alcol, squittisce « C'è una sorpresa! ».
Prima che possa chiederle di cosa stia parlando, delle mani mi coprono gli occhi. Sussulto spaventata per il contatto e cerco di divincolarmi, soffoco l'oppressione causata dalla presenza alle mie spalle per evitare che esplodi in una crisi di panico che mi farebbe passare per matta. 
Così, per cercare di svelare chi si nasconde dietro le mie spalle, porto le mie mani sulle sue, tastandole; non è Carter, è la prima cosa che penso. Riconoscerei le sue mani ovunque: lunghe, affusolate e morbide. Con una sola mano potrebbe arrivare a coprirmi gli occhi, fino alle tempie. Queste, invece, sono ruvide e doppie e molto più piccole, ma estremamente familiari. Anche il loro odore mi causa confusione perché non riesco a capire dove l'abbia già sentito sentito..
« Mmm » grugnisce la voce « Non indovinerà mai! »
Invece indovino eccome. Era bastato soltanto che gnugnisse perché scattasse in quell'ala del cervello l'associazione a Lucas. Il ragazzo per cui, in poco tempo, avevo preso una cotta e così velocemente si era volatilizzata; la stessa persona che professava sentimenti inconfutabili, dispersi nell'attimo in cui aveva provato a convincermi ad andare a letto con lui e avevo rifiutato. 
Scosto bruscamente le mani dagli occhi e mi volto ad affrontarlo. Inutile dire che dopo la nostra rottura, non era rimasto granché del nostro " rapporto"; in realtà, non avevo avuto più sue notizie ( non che ne sentissi la mancanza) e mi ero chiesta spesso come fosse possibile non incontrarsi pur vivendo nello stesso quartiere.
Oltre le spalle di Lucas, riconosco qualcuno che mi è terribilmente familiare. Seppur visti di sfuggita, quei gelidi occhi verdi li riconoscerei ovunque. 
Ethan è impegnato in una fitta conversazione e la sua risata sguaiata sguscia attraverso il muro del suono, giungendo fino a qui. Non si è accorto della mia presenza, né di quella di Lucas. Altrimenti non avrebbe perso tempo ad approfittare della situazione per gettarmi frecciatine gelide.
Lucas mi sorride come se questo potesse provocarmi un capogiro, ignorando la mia occhiataccia.
« Sei venuta accompagnata? » asserisce senza accennare nemmeno ad un " ciao". Prima che possa rispondergli di farsi gli affari propri, una Tanya un po' alticcia sbiascica « Più o meno »
Io e Beth ci scambiamo un'occhiata allarmata. Contrariata, Beth le strappa il drink di mano, l'afferra per le spalle e annuncia ignorando completamente Lucas « Con permesso, abbiamo una faccenda da sbrigare »
E detto ciò, sparisce tenendo Tanya per la nuca in direzione del mare. So già quello che farà e sono sicura che per Tanya non sarà un'esperienza felice. Ma ha sempre funzionato durante le sbornie.
Aspetto che le ragazze siano a distanza d'orecchio - anche se, francamente, non saprei come potessero sentirci - per asserire brusca « Che cosa ci fai qui, Lucas? »
I riccioli scuri gli ricadono sulla fronte quando inarca le sopracciglie, spalanca le braccia per sottolineare l'ovvietà « Per divertirmi »
Sbuffo irritata dall'elusione della mia domanda, tipica del suo carattere. Si avvicina come a volermi sfidare, io sostengo il suo sguardo. « Allora riformulo la domanda: che cosa vuoi da me? »
Ride così piano che la musica copre quel suono; infila le mani in tasca e assume quell'atteggiamento da modello che me l'ha fatto tanto odiare. Non è mai stato un pezzo di ragazzo, in realtà la sua statura superava di poco la mia eppure questo non ha impedito di atteggiarsi a Dio.
« Avevo voglia di salutarti. Mi sei mancata » allunga una mano per accarezzarmi un braccio, ma riesco a sfuggire al suo tocco.
Scruto ancora una volta, nervosamente, la folla alla ricerca di Carter ma niente; soffoco una fitta di ansia e dolore. 
Ci parliamo da pochi minuti e già sono esasperata, rido sprezzante e dico: « Ma fammi il piacere! »
Lucas si passa la mano tra i riccioli scuri e mi guarda dall'alto, con una strana scintilla negli occhi, di distusto quasi. Come se fossi uno scarafaggio. Il dubbio che abbia abusato degli alcolici si insinua lentamente sotto la pelle, raggiunge la testa con un gelido brivido. 
« Sei stata tu a chiudere. Cosa avrei dovuto fare? » asserisce rabbioso.
Spalanco le braccia frustrata « Niente! Ma non voglio che insinui cose che non esistono »
Fa un passo verso di me ed io, d'istinto, indietreggio, sconvolta ed impaurita dalla sua reazione esagerata. Lucas fino ad ora era stata una palla al piede, quel tipo di ragazzo tanto bello quanto stupido ma mai così irascibile e rancoroso. Ecco cos'è: è arrabbiato con me. Non avevo mai considerato l'eventualità che Lucas ci fosse rimasto male, perché non ho mai creduto che mi ritenesse importante, e non lo credo tutt'ora: sono più convinta, al contrario, che sia indispettito perché ferito nell'orgoglio.
Velocemente, riempie lo spazio tra di noi afferrandomi per un braccio. Il suo tocco è forte, resistente, prepotente. Cerco di strattonarlo ma con poco successo. 
Con l'altra mano mi afferra il viso, il pollice vaga sulla guancia; mi lascio andare ad una smorfia di disgusto perché questo contatto mi nausea. Mi sento violata. Mi guardo intorno e nessuno sta facendo caso a noi, ma anche se lo facessero, posso immaginare la scena a cui assistono: una ragazza ed un ragazzo, immersi nella movida, avvinghiati l'uno all'altra.
« Toglimi le mani di dosso » ringhio, cercando di trattenere la nota stridula che mi faccia sembrare impaurita. 
Sorride, ma è un ghigno distorto, innaturale. Avvicina ancora di più il suo viso al mio e mi alita sulla faccia « Perché? Lo desideravo da così tanto.. »
Prima che possa avvicinarsi ulteriolmente, prima che possa fare qualsiasi cosa che possa provocarmi gli incubi, la mia mano si scontra contro il suo viso in un suono che sembra assordante. 
Il suo sguardo diventa gelido e sento il cuore battermi all'impazzata, e quel tamburellare diventa così forte, così prepotente che sono sicura si offuscherà la vista e non sarò nemmeno capace di restare in piedi. E a quel punto lui potrà fare di me quel che vuole.
D'un tratto, mi rendo conto di avere paura. Mi impongo di resistere e di reagire, sto per mettermi ad urlare quando una mano mi strappa con una tale violenza dalla presa di Lucas che, per un attimo, rimango disiorientata. 
La schiena di Carter mi copre totalmente dalla visuale di Lucas. « Che diavolo fai, Reder? »
Rinsavisco dallo shock quando afferro il modo in cui Carter l'ha chiamato: per cognome. Si conoscono?
Lucas per un attimo tradisce un'espressione di vergogna, poi quel rancore che l'ha fatto uscire di senno s'impossessa di nuovo di lui. Sento la voce di Beth ed Elly che chiamano, terrorizzate, il mio nome; mi sporgo oltre le spalle di Carter per sorriderle e fare cenno di restare in disparte. Beth stringe per le spalle una Tanya palesemente sconvolta. 
Al momento, la maggior parte dei presenti non sembra essersi accorto della rissa che potrebbe esplodere. Meglio così, penso. Qualcuno emerge della folla e, per quanto possa odiarlo, non posso non provare un moto di sollievo assicurarmi che Carter non sia solo.
« Che succede qui? » chiede cauto Ethan, anche se dietro la sua domanda innocente si cela una minaccia velata. Sposta il suo sguardo da Lucas a Carter, che stringe i pugni chiusi così forte che sono sicura si spezzerà le dita. Le spalle sussultano per la rabbia e prego Dio che plachi gli animi. 
« Lo ammazzo » tuona Carter senza degnare l'amico di uno sguardo. Le mie mani si chiudono, per quanto possano, attorno al suo petto; affondo il mio viso sulla sua schiena cercando di calmarlo col mio calore. 
Quando credo che sia impossibile e che la mia presenza non faccia differenza, la sua mano si stringe sulla mia, sul suo petto.
« Non l'ho toccata » risponde Lucas, giustificandosi completamente nel pallone. 
Ethan si volta nella nostra direzione, guardandomi dritto negli occhi; non riesco a distogliere lo sguardo e non posso nascondere l'espressione impaurita stampata sul mio viso. 
« Me ne occupo io » asserisce Ethan con un tono di voce che non ammette repliche. 
« No! » esclamo staccandomi da Carter, terrorizzata per le conseguenze.
« Non immischiarti, April » ribatte gelido Ethan, come se questa situazione fosse colpa mia. Poi afferra Lucas per la spalla, si allontanano e cominciano a discutere pacificamente sull'accaduto. 
Elly è la prima a raggiungermi. Mi getta le braccia al collo e mormora scuse inutili. « E' pazzo » mormora Tanya accarezzandomi il viso, mentre Beth mi stringe la mano.
« Sto bene ragazze, davvero » mento. Mai avrei immaginato che Lucas potesse avere un atteggiamento simile con me, ma non solo: con una ragazza qualsiasi.
« Dio, meno male che c'era Carter altrimenti.. » Beth si porta le mani al viso disperata. Elly le stringe la spalla e sussurra parole consolatorie.  
Carter è accanto a me ma è un blocco di ghiaccio. Non ha detto niente e non ha fatto un cenno nella mia direzione. Non so cosa pensare. 
Tom, che ancora non è entrato in confidenza col gruppo, aspetta Elly in disparte, corrucciato, con le mani nelle tasche; con un'espressione di devozione dipinta sul volto. 
« Elly » le poggio una mano sulla spalla « Vai da Tom, ti sta aspettando »
Elly scuote energicamente la testa « Oh, al diavolo! Sei la mia migliore amica e ho avuto una paura tremenda che quel pezzo di deficiente potesse farti qualcosa! »
Restiamo un momento in silenzio per l'esplosione della nostra amica, poi scoppiamo in una risata fragorosa. 
Carter rompe questo momento d'ilarità « Davvero Elly, vorrei parlare con April »
Anche se le ha pronunciate con una dolcezza indiscussa, queste parole fanno piombare un silenzio carico di preoccupazione e tensione. 
Le ragazze si allontanano avvertendomi che hanno con sé i cellulari e che, in caso d'emergenza, devo chiamarle immediatamente. Le rassicuro dicendole che non ce ne sarà bisogno dato che c'è Carter con me.
Carter mi cammina accanto assicurandosi che nessuno si avvicini più del dovuto e che tutto fili liscio. L'ansia mi divora per questo comportamento enigmatico. Possibile che dopo l'accaduto non abbia niente da dirmi, nemmeno un " come stai "? 
Arrivati al delimitare del falò, svoltiamo un ammasso di scogli che ci preserva da occhi indiscreti. Non supero neanche il confine delle roccie, che Carter mi spinge contro di esse schiacciandomi.
Le sue braccia mi avvolgono, avvinghiandomi energicamente, come se fosse un bisogno impellente; le sue mani cercano il mio viso e lo trovano racchiudendolo. Mi guarda come se fossi una bambola di porcellana sul punto di infrangersi. 
« Carter, io.. » tento di spiegarmi, ma le mie parole vengono bloccate della sue labbra.
Quelle labbra morbide e carnose che si muovono esasperate sulle mie; le nostre lingue si attorcigliano e quasi mi viene da piangere per la felicità delle sensazioni che sto provando.
Un miscuglio di emozioni mi stritolano il petto, impedendomi di essere razionale; i miei pensieri si concentrano soltanto sulle sue labbra, su quel corpo tonico e possente così vivido, così presente. 
Ricordo la sensazione delle sue labbra sul mio corpo e di come era riuscito a farmi spegnere il cervello. E capisco che quello non è niente in confronto a ciò che mi sta donando in questo momento. 
C'è un che di disperato nell'impeto delle sue labbra, mentre mi attira a sé alzandomi da terra; è un gigantesco buco nero che acuisce i sensi.
Le sue mani non abbandonano più il mio viso, ogni tanto mi sostiene col braccio per assicurarsi di tenermi in bilico tra la roccia e il suo ventre; gli getto le braccia al collo e avvolgo le mie gambe attorno al suo torace. Sembra apprezzare l'iniziativa perché si lascia sfuggire un mugolio che mi accende.
Appoggia le mani contro la parete rocciosa e si spinge ogni volta che può verso il mio corpo, provandomi un piacere sconosciuto, letale. In questo momento sarei capace di un'audacia che non mi appartiene.
Quando non ne possiamo più di questa frenesia e i nostri polmoni richiedono aria, si stacca da me, senza mai perdere di vista i miei occhi. 
La mia bocca non riesce ad emettere un suono e il mio cervello è così in subbuglio che non sarebbe capace di formulare una frase. Col dorso della mano mi accarezza delicatamente il viso e sorride.
Sorrido anch'io apprezzando il tempismo del suo bacio. In quel momento, nessuna discussione avrebbe potuto interessarmi o scalfirmi, nessuna parola d'odio e disgusto avrebbe potuto nuocermi.
Carter mi bacia ancora, delicatamente e lentamente, come se adesso avesse deciso di assaporare per bene la mia bocca. 
« Ho rischiato di impazzire » soffia sulle mie labbra.
Deglutisco rattristata « Lo so. Mi dispiace »
Carter mi accarezza piano i capelli, con dolcezza, e scuote la testa contrariato « Non hai niente di cui scusarti » poi comprare di nuovo sul suo viso quell'espressione animalesca, così diversa da ciò che è realmente « Se solo ci riprova ancora, io... »
« No, ti prego Carter » lo interrompo spaventata da ciò che la sua rabbia potrebbe causare « Non voglio »
Scruta i miei occhi e ride amaramente « Sei troppo buona »
Carter mi prende per mano e mi conduce nell'incavo creato tra lo scontro di due rocce; la sabbia morbida e fresca sotto di noi ci fa da cuscino.
L'oceano è silenzioso, stasera; quando le onde s'infrangono contro il bagnoasciuga, si sente appena il suono del loro passaggio. 
Appoggio la testa contro il suo petto, le sue braccia si stringono attorno a me. Chiudo gli occhi e il ricordo dei suoi baci m'investe, provocandomi un vuoto allo stomaco. 
Senza preavviso, mi scosto appena in tempo per vedere la sua espressione interrogativa prima che le mie labbra si poggino sulle sue. Devo assaporare ancora la sua bocca, devo provare ancora quelle meravigliose sensazioni che, sono sicura, mi terranno sveglia stanotte. 
E se stanotte dovrò restare supina a fissare il soffitto, voglio farlo compiaciuta di ciò che ho vissuto. Per questa notte, non voglio provare rimpianti.

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Capitolo 8
*** Sorpresa! ***


Un nuovo capitolo tutto da leggere. Spero che vi piaccia, BUONA LETTURA! 


La voce di mio padre mi chiamava.
Era una bellissima giornata di sole, il cielo era di un azzurro strabiliante; così intenso da volerci sguazzare all'interno e lasciarsi trasportare da quell'assoluta leggerezza, che mi avrebbe resa leggera a mia volta.
I raggi del sole si specchiavano sui suoi capelli di natura indomabili, sempre in disordine. Si sbracciava, incitandomi a raggiungerlo in acqua. Aveva le caviglie immerse nell'oceano e di tanto in tanto schizzava dei timidi getti d'acqua delicati, come se volesse dimostrarmi che era meraviglioso.
Indossava il suo costume preferito, quello bianco che sfumava, via via, nel nero.
« Fa' presto tesoro! » mi urlava « Manca poco »
Io avevo aggrottato le sopracciglia, confusa. Il sole mi inondava coi suoi raggi dolci e avvincenti, una leggera brezza mi baciava i capelli, scompigliandoli. Avevo la testa riparata da un capello di paglia molto carino, con un dettaglio rosso. 
Non appena avevo provato a immergere un piede nell'acqua per testarne la temperatura, un trillo di un telefono aveva cominciato a invadere l'aria. Avevo cercato di ignorarlo e mio padre mi aveva sorriso con comprensione, compassione. Quasi fosse rassegnato. 
Il trillo del telefono diventa sempre più forte, finché non vago in una semincoscienza e il buio mi avvolge, avviluppandomi. Il suono, adesso, è più reale, tangibile. Come se stesse squillando qui accanto a me.
E, di fatto, quando apro gli occhi capisco che è il mio cellulare a emettere quel trillo fastidiosissimo. Per un attimo, prima di rispondere alla chiamata, un senso di delusione cocente mi pervade tutta, schiacciandomi. 
« Pronto? » rispondo, mi porto l'avambraccio alla fronte e chiudo gli occhi.
« Tesoro » squittisce la mamma « Dormivi? »
« Mmm » grugnisco poco amichevole.
« Oh, dai non fare così! » ride delle mia reazione « Ti ho chiamata per avvertirti che oggi, finalmente, incontreremo lo chef! »
Fantastico. « Incontreremo? »
« Certo! » tuona e per un attimo devo allontanare il cellulare dall'orecchio, temendo che mi abbia perforato il timpano « Pretendo che tu ci sia, April Mitchell! »
Quando mi apostrofa anche per cognome, significa che non ho scampo. « Okey » bofonchio rassegnata.
« Ottimo, ottimo! Ci vediamo oggi »
« Mmm » grugnisco ancora una volta prima di attaccare.
Getto il cellulare sul letto ed inspiro profondamente. Sembrava così vero, così reale. Mio padre era davvero lì, riuscivo a percepire il suo odore, il suono della sua risata.
Fa così male che le lacrime mi pungono gli occhi e minacciano di bagnarmi il viso. Devo mordicchiarmi le labbra per non esplodere, eppure qualche lacrima sfuggente fa capolineo sulle mie guance.
Chiudo gli occhi con forza, cercando di scacciare via il ricordo così tangibile di mio padre. Dio, era così consistente! Nessuno avrebbe potuto sottrarmelo, invece è successo. E' come se fosse morto per la milionesima volta ed io mi trovassi di nuovo a piangere sul suo corpo esamine e ad attraversare quel periodo vuoto e buio che è stata la mia vita dopo la sua scomparsa. 
Ricordo con gioia l'estate prima che avvenisse l'impossibile. Mio padre aveva insistito affinché trascorressimo almeno una settimana ai piedi dell'Oceano che non fosse quello della Florida. 
La California era assolutamente differente dalle giornate passate sulla spiagge di South Beach. Era tutto così caotico, ma così spontaneo che quell'estate fu permeata esclusivamente da risate.
E c'era stato un episodio molto simile a quello del sogno, penso con un pugno allo stomaco. Mancava un giorno alla partenza e, non so spiegare bene perché, l'acqua era troppo fredda per me e faticavo ad immergermi. Mio padre tentò di convincermi in tutti i modi pacifici possibili. Fin quando, con la complicità di mia madre che mi distrasse, mi buttò in acqua scatenando una battaglia di schizzi. Ricordo che mi faceva male lo stomaco per le risate.
Scalcio con impazienza il lenzuolo, mentre la consapevolezza che non trascorrerò mai più momenti simili tenta di paralizzarmi. 
L'assenza di mio padre getta un'ombra sulla mia felicità. E' come se un pezzetto di me fosse stato fatto a pezzi, calpestato, bruciato e spedito nell'inferno. Non potrò mai più essere la stessa persona che ero prima che mio padre morisse.
Ma se lui non fosse morto, sarei rimasta la stessa? Certi giorni non faccio altro che colpevolizzarmi per le peculiarità del mio carattere, così differenti da quelle che erano un tempo. Mi sono vergognata per mesi, se non anni, per il dolore travestito da debolezza. Credevo che il dolore non avrebbe mai lasciato la presa su di me, ero convinta che fossi io stessa la causa della mia sofferenza. Ma mio padre era - è - una parte così importante di me che quando è andato via, l'ha portata con sé inevitabilmente. 
Non che non volessi bene a mia madre, anzi. Ammiro così tanto il suo coraggio, il suo spirito combattivo, la sua tenacia. Quando io mi sono arresa al dolore, lei ha dovuto trascinanarlo nell'angolo più remoto di se stessa per dare forza a me. Ha dovuto rinunciare a sentirsi triste, a non voler uscire più, a non avvertire la fame perché non poteva permetterselo: sarei scivolata ancora di più nell'abisso. 
Per un certo periodo sono stata più che instabile: ho sofferto per brevi periodi di anoressia, ma lei è stata così presente da aver afferrato il mio disturbo per la collottola. C'è sempre stata per me e non mi ha mai rifilata la cazzata del " devi andare avanti"; sapeva perfettamente ciò che avevamo perso.
Col tempo ho capito che la mia paura più grande era proprio andare avanti: avevo paura che, proseguendo con la mia vita, sarei finita col dimenticare il volto rassicurante di mio padre. 
Scosto le tendine della stanza per far sì che l'aria invada con vigore la stanza. Sento una sensazione opprimente al petto, la pelle sembra più rovente dei carboni ardenti. 
Decido che non ho più l'umore adatto per rimettermi a dormire e ne approfitto per darmi una rinfrescata. Mi getto sotto la doccia e poi spazzolo i denti con energia. Strizzo bene i capelli e li lascio umidi sulle spalle. 
All'improvviso, senza che l'abbia pensato, l'intensità di ciò che è successo ieri sera mi investe, costringendomi ad aggrapparmi al lavandino.
Lucas, la sua aggressione verbale e fisica. La mia mano che schiaffeggia il suo viso. Carter che prende le mie difese, la freddezza di Ethan.
E poi il bacio, quel meraviglioso, inaspettato, incandescente bacio che mi fa accalorare il viso ancora adesso e che mi provoca un brivido di piacere inaspettato. Potrei volteggiare su una nuvola in cielo e non accorgermene nemmeno.
Mentre la mia mente mi sbatte in faccia questi ricordi, improvvisamente, mi sento invadere dall'ansia e dall'angoscia: cosa ne sarà di noi ? 
Potrà sembrare banale, ma con quel bacio Carter ha varcato la linea sottile che divideva il nostro rapporto dalla semplice amicizia ad essere qualcosa di più. Sa dell'effetto che il suo gesto ha avuto su di me e sul nostro rapporto già in bilico?
Per un momento un pensiero insopportabile passa come un lampo e accende una scintilla dolorosa: e se Carter non volessere essere quel qualcosa in più?
Mi butto sul divano in cucina con lo stomaco che brontola, ma senza avere la forza per preparare qualcosa da mettere sotto i denti. Sono ancora scombussolata dagli avvenimenti della notte scorsa e anche il sogno così vivido di mio padre non ha di certo aiutato.
Appoggio la testa sulle ginocchia e fisso il muro di fronte a me inerme; sospiro rumorosamente e scalcio un cuscino che era a terra vicino ai miei piedi. 
Forse è il caso che mangi qualcosa così, per lo meno, sarà tutto più sopportabile. Era quello che diceva sempre mio padre: con lo stomaco pieno si ragiona meglio!
Svuoto i pensili, poggiando sulla tavola mottini, croissant vuoti ( confezionati, no il lusso della caffetteria), biscotti al cioccolato e al limone; così, mentre scalderò il latte avrò il tempo per decidere cosa mangiare.
Il cellulare trilla per un messaggio; lo afferro e lo leggo: è Beth.
Colazione insieme?, scrive. 
In quel momento bussa alla porta. Un sorriso arricchisce la mia espressione già fin troppo compiaciuta; è proprio quello che ci voleva: latte, cornetti e la mia insostituibile migliore amica con cui dissipare i miei dubbi.
« Beth, sei la migliore! » urlo mentre vado ad aprire la porta « Sposami, ti pre.. »
Mi fermo quando sulla soglia della porta mi accorgo che c'è Carter e non la mia migliore amica. Il mio sorriso svanisce di colpo e avverto un vuoto allo stomaco come se mi avessero preso a calci l'addome più di una volta. 
Carter regge il sacchetto che contiene i presumibili cornetti e nell'altra mano la confezione dei caffè. Alla vista della mia espressione, anche il suo sorriso gli muore sulle labbra.
Corruga la fronte pensieroso « Aspettavi qualcuno? »
« Sì. Ce, no. Non lo so » borbotto e subito avverto il calore salire dal collo, d' un tratto vorrei sbattere la testa su una lastra di ghiaccio.
« Vuoi che me ne vada? » chiede gentilmente eppure molto seriamente. 
Prendo un attimo nota della sua domanda e valuto le aspettative. No, non voglio che se ne vada, nonostante l'ansia e la serata trascossa. Così, mentre cerco di inghiottire il rospo che mi si è formato in gola scuoto volitivamente la testa. 
A passo incerto, mi supera per approdare nella mia cucina.
« Wuau » asserisce guardando il tavolo e poi me « Hai svaligiato un supermercato? »
Il suo tono chiaramente vivace e leggero tenta di sdrammatizzare facendomi ridere, anche se è una risata isterica.
« Avevo bisogno di dolcezza » dico e me ne pento subito, capendo in ritardo quanto possa sembrare allusiva come risposta.
Afferro il cellulare per rispondere a Beth prima che si precipiti qui: Facciamo domani? C'è Carter. xoxo.
Distratta dal messaggio che stavo digitando non mi sono accorta che Carter si era avvicinato, lasciando la distanza di un respiro tra di noi. 
Le sue mani accarezzano le mie braccia, sembra tentennare. Si mozza il respiro e fatico a guardarlo negli occhi; le sue dita sollevano il mento per far sì che lo guardi negli occhi. Deglutisco a fatica mentre quegli occhi grigi mi inchiodano. 
Silenziose, le sue labbra si uniscono alle mie. E' un bacio breve, dolce ma allo stesso tempo intenso; mette in chiaro ciò che è stato ieri e che, forse, cosa sarà domani.
Le sue mani si spostano sul mio viso e l'attirano di più a sé. Le sue labbra si increspano in un sorriso gentile, dolce per poi mutare in qualcosa di più profondo, grande. 
« Da oggi questo sarà il mio buon giorno preferito » soffia sulla mia bocca. Le mie gambe stanno per cedere e mi gira la testa per l'intensità della sua voce roca che m'infiamma come se fossi un fiammifero. 
Schiudo le labbra per proferire parola e non fare la figura della stupida, ma invano. E poi succede qualcosa ancora di più magnifico: la sua bocca trova di nuovo la mia e non c'è bisogno che trovi qualcosa da dire per salvarmi la faccia perché ci pensano le mie labbra.
Questa volta il bacio dura più a lungo ed è - ringraziando a Dio - meno casto, anche se nulla a che vedere con il Primo Bacio. 
« Bene » afferma staccandosi, senza accorgersi di avermi lasciata inebetita « Appurato che non hai svaligiato un supermercato, fiondiamoci sui cupcake »
Quasi la mascella raggiunge i piedi « Hai comprato i cupcake? »
Il sorrisino poco modesto che gli increspa le labbra mi fa sorridere e le sopracciglia che si inarcano in virtù delle sue convinzioni ancora di più « Mhmh » aggiunge soddisfatto, per dar enfasi alla sua impresa.
« E anche i caffè? »
« Schiumato alla cannella e con una spruzzata di cacao » conferma.
Mi porto le mani ai fianchi e arriccio la bocca « Dovresti farlo più spesso » confesso prima che possa tapparmi la bocca.
Le sue braccia cadono lungo i fianchi, riempe la distanza che si separa e il suo viso diviene improvvisamente serio « Se me lo permetterai, farò questo e tanto altro »
Le sue parole mi provocano un vuoto allo stomaco; col dorso della mano mi accarezza delicatamente la guancia, sorridendomi dolcemente. 
Aggira la tavola e prende posto « Forza ». Non me lo lascio dire due volte e prendo posto accanto a lui; ogni tanto, le ginocchia si scontrano e non so se lui lo senta, ma la mia pelle si cosparge di candidi brividi.
Mentre mangiamo, non posso impedire alla mia mente di richiamare i ricordi della scorsa sera e mi lascio andare ad un rumoroso sospiro.
Carter non se lo lascia sfuggire, finisce di bere il suo caffè e incrocia le braccia, fissandomi. 
« Che c'è? » chiedo, improvvisamente preda di una strana ansia.
« Hai il viso imbronciato » butta sullo scherzo, ma il suo tono di voce lascia trapelare una pungente serietà.
Scrollo le spalle senza sapere bene come improntare l'argomento. " Be', sai, ho appena scoperto che il mio ex è uno psicopatico e Dio solo sa cosa sarebbe successo se non fossi intervenuto", sarebbe come firmare la sentenza a morte di Lucas. La scorsa sera c'eravamo io ed Ethan a temprare la rabbia di Carter; ora, a mente fredda, la sua rabbia sarebbe più calcolata, più lucida. Più seria e letale.
« E' per quello che è successo ieri sera? » la sua voce emana sfumature lugubri e furiose, nonostante il vano tentativo di controllarsi. Lo guardo mordicchiandomi le labbra.
« E' così vero? » continua « Ti ha fatto male? Se sì io lo.. »
« Non è per quello che pensi tu! » sbotto. 
Lui fissa i suoi piccoli occhi grigi nei miei. « E allora com'è? »
C'è un'accusa nella sua voce che non riesco a decifrare. Gelosia? Perplessità? « Cosa vuoi che ti dica, Carter? »
Si alza furioso dalla tavola e si appoggia al marmo della cucina « Ad esempio perché non sei sconvolta dalla sua violenza »
« Lo sono! » ribatto alzandomi « Dio, come fai a non capirlo? »
« Spiegamelo tu »
« Sono sconvolta che sia stato aggressivo con me » spiego « Un ragazzo che credevo di conoscere, che mi ha trattata con i guanti per mesi e che, anche quando ho messo fine alla nostra frequentazione, non ha mai dato di matto »
Quando finisco affanno per l'intensità con cui ho pronunciato quelle parole e non posso impedire a quest'altro fume in piena di sgorgare dalle mie labbra « Cosa.. cosa avrebbe fatto Carter? » 
Mi si rompe la voce e non posso più continuare, perché l'orrere di quell'eventualità finalmente mi sconvolge. Avrebbe potuto fare molto peggio che darmi uno schiaffo. Le braccia di Carter mi avvolgono attirandomi al suo petto; le sue labbra sfiorano i miei capelli.
« Hai un bel gancio, però » sussurra strappandomi una risata strozzata. Mi stacco asciugandomi gli occhi.
« Scusami » mormoro a testa bassa.
Con le dita sotto al mento riporta i miei occhi all'altezza dei suoi. « Non hai niente di cui scusarti. E' solo colpa di quel pezzo di merda »
Sgrano gli occhi di fronte alla prima parolaccia che esce dalla sua bocca davanti a me. La sua espressione si addolcisce e sorride persino. 
Poi di colpo diventa brutalmente serio « Non sai.. quanta forza mi ci è voluta per non andare a cercarlo dopo che ti ho riaccompagnata a casa » la sua voce ormai è un ringhio cupo e ronzante « Ethan mi avrebbe dato una mano, ma non l'ho fatto »
Annuisco « Perché sei una persona buona ».
La sua risata amara mi giunge come uno schiaffo « Oh, non sono buono April » le sue dita tracciano una linea sottile sulle mie guance mentre i suoi occhi fissano le mie labbra « Ma ho pensato a come mi avresti guardato, se l'avessi fatto »
Incapace di ribattere, opto per il silenzio. Lascio che le mie mani trovino il suo viso e che l'attiri a me, animata dall'April audacia che fino a poco tempo fa non conoscevo. Cancello tutti i suoi dubbi con le labbra che si muovono sulle sue, gli accarezzo le larghe spalle rassicurandolo, lascio che il mio calore lo pervada. 
Come l'avrei guardato se l'avesse fatto? La realtà è che non lo so. Non posso non ammettere che sarebbe servita una bella lezione a Lucas; ma fino a che punto?
« Hai da fare oggi? » mormora contro la mia guancia. 
Annuisco e sbuffo allo stesso tempo. « Sì, devo conoscere lo chef che ha ingaggiato mia madre e che in realtà farà solo da vaiutante. Non capisco il senso » borbotto alzando le sopracciglia « Ma mia madre ha insistito molto, per cui.. »
Un guizzo sulla mascella lo pervade mentre annuisce distratto. Fingo di non averlo notato.
Quando Carter va via, arrivati alla porta, mi cinge la schiena e mi attira a lui per un altro piccolo bacio. Dopo che è andato via, resto imbambolata, intrappolata dagli eventi.
Nervosa, sfogo l'ansia rassettando casa e soprattutto la mia stanza che mia madre definisce un bordello. Le ore passano frenetiche mentre i miei pensieri fanno a cazzotti e mi lasciano tramortita.
Ripenso a Lucas e alla sua espressione di puro disgusto. Ripenso a Carter quando mi ha confessato di aver voluto cercarlo e dargli una lezione, a quanto gli sia costato ammettere di non essere una persona buona, preoccupato dal mio giudizio.
Ma come avrei potuto giudicarlo? Come avrei potuto voltare le spalle ad una persona che mi ha aiutato? Non sarei riuscita, neanche se volessi, a guardarlo con altri occhi, ora ne ero certa. Il suo viso triste e la sua voce cupa, avevano scavato una fossa dentro me: avrei voluto riconciliarlo con se stesso e abbracciarlo forte, cosicché capisse quanto fosse speciale per me. Ma non ero stata in grado di fare nulla. 
Ero rimasta in silenzio come una statua, che stupida. Ma non ero mai pronta quando si trattava di Carter, non sapevo gestirmi. 
Mentre cammino quasi vicina al Good April Cafè, penso e ripenso ad un modo per farmi perdonare, anche se non ne ho ufficialmente motivo. E' una cosa mia. 
Quando entro, la solita aria dolciastra mi circorda rassicurandomi. Mi ricorda mio padre continuamente, è un modo per tenerlo vivo nella memoria. 
Mia madre intrattiene una vivace conversazione con quello che dovrebbe essere il famosissimo chef, che per settimane ha snobbato il colloquio. 
Mi blocco quando il colore dei capelli diventa così familiare. Sì, ne sono sicura: l'ho già visto altrove. Ma dove? Cammino, quasi fosse in trance, concentrandomi sulla familiarità di quei capelli. 
Ci arrivo prima che si volti, prima che i suoi occhi verdi incontrino i miei, avevo già capito di chi si tratta. 
Di Ethan.

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