Unspoken words

di _marty
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** 1. Libri e malintesi. ***
Capitolo 3: *** 2. Numeri e razionalità. ***
Capitolo 4: *** 3. Insolita quotidianità. ***
Capitolo 5: *** 4. Riavvolgere. ***
Capitolo 6: *** 5. Momenti. ***
Capitolo 7: *** 6. Trovarsi divisi. ***
Capitolo 8: *** 7. Altri. ***
Capitolo 9: *** 8. Nessun'altro. ***
Capitolo 10: *** 9. Malintesi. ***
Capitolo 11: *** 10. Onestà. ***
Capitolo 12: *** 11. Futuro. ***
Capitolo 13: *** 12. Separarsi. ***
Capitolo 14: *** 13. Tempismo. ***
Capitolo 15: *** 14. Contatto. ***
Capitolo 16: *** 15. Avvicinarsi. ***
Capitolo 17: *** 16. Dignità. ***
Capitolo 18: *** 17. Incastarsi. ***
Capitolo 19: *** 18. Distruggersi. ***
Capitolo 20: *** 19. Scoprirsi. ***
Capitolo 21: *** 20. Fermarsi. ***
Capitolo 22: *** 21. Occhi. ***
Capitolo 23: *** 22. Vite separate. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***





Prologo.



 
 
 
Claire aveva percorso per l’ennesima volta una strada diversa.
Nonostante non ricordasse quasi più il motivo per cui ne intraprendesse di assurde, faceva di tutto per evitare quelle in cui avevano camminato insieme, quelle che erano soliti fare in motorino per tornare a casa da scuola.
Erano passati tre anni dall’ultima volta che si erano parlati e, nonostante nessuno dei due avesse detto niente, lei sapeva che era meglio allontanarsi. Aveva preso la decisione per entrambi, ma le importava poco. Studiava in un’altra città e tornava a casa solo per le festività che trascorreva rigorosamente con i suoi genitori. Aveva inventato scadenze, impegni e commissioni continue da sbrigare perché “Si sa: il tempo è quello, e poi, per quel poco che sono qui, devo stare con la mia famiglia”. Cercava di mantenere le distanze per provare a convivere meglio con se stessa, per soffocare ancora quelle parole non dette che si muovevano tutte intorno al suo cuore. Ritornare era sempre doloroso perché ogni cosa di quella piccola città le ricordava lui: si erano impressi nella mente ogni angolo, ogni mattonella e ogni edificio di quel posto quando un pomeriggio avevano deciso di “fare i turisti”, si erano detti che sicuramente c’era qualcosa di storico lì, anche se non era esattamente così. Ogni passo faceva riaffiorare un ricordo e ogni ritorno era colmo di paura. Temeva che un incontro avrebbe fatto crollare quelle idee che si era impegnata a mettere insieme.
Le sue paure erano fondate, perché quel giorno di metà Maggio, il giorno in cui lo aveva rivisito dopo tutto quel tempo, le sue certezze si erano sbriciolate velocemente: come un castello di sabbia. Lo vide sorridere tra sé e sé e, malgrado avrebbe potuto farsi i fatti suoi e andare via, il suo corpo si mosse da solo insieme all’immotivata voglia di chiamare Eric e farsi ancora del male, come l’ultima volta.
 
 
Eric era appena uscito dalla lezione di informatica.
Non era poi così interessante e aveva già assimilato quelle nozioni durante uno dei numerosi corsi che aveva frequentato al liceo o in uno dei libri che sfogliava durante la giornata. Aveva quella malsana abitudine di leggere sempre, mentre aspettava l’arrivo del treno, nei momenti morti della mattinata e la sera, prima di andare a dormire. Ogni giorno, subito dopo cena, si ritrovava sul letto con un buon libro tra le mani e il cappellino con sopra la torcia, che suo padre gli aveva regalato per i suoi dieci anni. Sorrise a quel ricordo, alla felicità che aveva provato in quell’istante. Era così immerso nei suoi pensieri che non si accorse che lo stavano chiamando.
“Eric?”
Si destò un attimo.
“Eric!”
Il ragazzo si girò verso quella voce femminile che aveva pronunciato il suo nome per la seconda volta. Non lo sentiva da troppo tempo detto in quel modo. C’era solo una persona che aveva quell’abitudine, di reclamare prima l’attenzione su di sé per distrarlo dai suoi pensieri e poi di rifarlo, esclamando, per essere davvero sicura che fosse lui e non un altro ragazzo.
“Lo sapevo: sei tu.”
Eric la guardò sorridere e non seppe cosa dire nonostante le parole fossero ben presenti nella sua mente. Non la vedeva da tre anni e sembrava che le lancette si fossero fermate. Era sempre la stessa: riusciva a contare ancora le sue lentiggini, a scorgere l’azzurro limpido dei suoi occhi e, in qualche modo, era tuttora capace di fargli lo stesso effetto.
“Claire.”
Disse quel nome piano, come se glielo stesse sussurrando, e vide gli occhi di lei sorridere, prima che si avvicinasse a lui e lo abbracciasse. Il suo profumo di pulito era rimasto invariato ed Eric ricambiò quella stretta sentendola vicina, quasi dovesse ricordarsi com’era fatta Claire, la sua Claire.
“Mi sei mancato.”
Le sorrise.
“Non ti credo. Avrai avuto di meglio da fare, che pensare a me in questi ultimi anni.”
“L’università fuori è massacrante, ma ho avuto il tempo di farlo.”
La vide guardarsi intorno, come in cerca di qualcosa, e poi guardare l’orologio.
“Ho tempo per un caffè… Che ne dici se ci sediamo e ci raccontiamo tutto?”
Eric esitò un attimo perché non credeva che l’avrebbe rivista dopo tutto quel tempo, credeva che i loro destini si fossero separati anni prima e che non si sarebbero più rivisti.
“Solo se posso offrirtelo io.”
Claire annuì, indicò il bar lì di fronte e si posizionò accanto a lui.
Entrambi avvertirono delle gocce di pioggia cadere sui capelli, affrettarono il passo e la ragazza scorse la solita espressione incredula di Eric. 
Era passato tanto tempo, ma per Eric era un colpo al cuore vederla, come sempre, come l’ultima volta.





spazio autrice
Ehm ehm, ecco qui il prologo di Unspoken words. Sento l'emozione come la prima volta che ho scritto lo spazio autrice di Bittersweet memories e non so bene cosa scrivere. Questa storia ha come protagonisti Claire ed Eric, qui nel prologo si accenna qualcosa del loro rapporto, ma la storia, tornando indietro di tre anni, avrà modo di spiegare quando le cose si sono fatte complicate per loro due e cosa è successo. Quindi questo prologo è un balzo temporale di tre anni, il prossimo capitolo inizierà con gli ultimi mesi dell'ultimo anno di liceo. Spero davvero che sia di vostro gradimento e di ricevere le vostre opinioni e pareri.
Su facebook ho creato un gruppo con le mie storie in cui si parlerà principalmente di Unspoken words, basta solo iscrivervi e sarete in grado di accedere a notizie, spoiler e lavori grafici fatti dalla sottoscritta.
Voglio ringraziare Hanna Lewis perchè lei sta betando la storia e ne è super entusiasta, quasi quanto me.
Chiarimenti rispetto a bittersweet memories: 1. Non è necessario aver letto Bittersweet memories per leggere questa storia. 2. Eric e Claire si ri-incontrano dopo che il ragazzo ha conosciuto Charlotte e, precisamente, alcuni mesi dopo l'episodio della macchina.
A presto, Marty ^^

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Capitolo 2
*** 1. Libri e malintesi. ***


 

 
Capitolo 1
3 anni prima

 

 


*I protagonisti del capitolo sono Eric e Claire, i loro POV si alterneranno.
Il nome in grassetto all’inizio del paragrafo cambia il punto di vista.*

 





Eric, dovrei andare a comprare un libro. Andiamo insieme?”
L’ennesimo messaggio di Claire che gli chiedeva di fare qualcosa dopo scuola, reclamando la sua compagnia. La guardò pochi banchi più avanti, esattamente al secondo, e aspettò che si girasse verso di lui. Lei sapeva che Eric aveva un cellulare alquanto decrepito e ogni volta, dopo aver mandato il messaggio, si voltava a guardarlo per capire se gli fosse arrivato o meno. Come al solito, tutto successe in tre singoli secondi.
Uno.
Claire che faceva finta di guardare fuori dalla finestra.
Due.
Lei che si portava svogliatamente la mano tra i capelli.
Tre.
La ragazza che guardava nella sua direzione.
Eric annuì, sorridendole, e Claire ricambiò quel sorriso.
“Siamo in motorino, va bene?”
Attese la sua risposta ma si rese conto che da lì a poco la terza ora sarebbe finita. Poco dopo suonò la campanella che segnava la ricreazione e, prima di uscire dalla classe, aspettò l’amica come era solito fare.
“Va bene, il motorino, ma è ingiusto chiamarlo così.”
“E come dovrei chiamarlo?”
“Cinquantino veloce come un moscerino.”
Claire iniziò a ridere e gli diede una pacca sulle spalle. Adorava quando rideva in quel modo, forse si era innamorato di lei per quel sorriso o forse non ricordava nemmeno l’esatto momento in cui aveva iniziato ad amarla. Vide la sua sagoma allontanarsi e andare verso il bagno delle ragazze. Loro non avevano bisogno di dirsi niente, sapevano già che si sarebbero rivisti subito dopo.
Si diresse verso il cortile, non accorgendosi di Robert, il suo migliore amico.
“Ripassiamo tutti insieme per il compito di matematica di domani?”
“Tutti chi?”
“Il nostro solito gruppo. Io, tu, Claire, Melanie e, se vuoi, anche Amy.”
“Siamo troppi.”
“Allora facciamo io, tu e Claire. Lei è brava e sa spiegare bene.”
“Okay.”
Non poteva che rallegrarlo averla per più tempo intorno.
“Allora ci vediamo alle tre e mezza a casa mia. Dillo tu a lei.”
“Diglielo tu.”
Gli rispose così ma Robert era già schizzato via a comprare la colazione.
Il cortile della loro scuola era immenso. Ai lati era circoscritto da quattro muretti, dove i ragazzi degli ultimi anni andavano a mangiare comodamente gli spuntini della ricreazione. C’era una gerarchia, mai esplicitata, in quelle posizioni; i ragazzi del quarto e del quinto anno stavano su quei muretti, due per ogni anno, a differenza degli studenti del biennio e del terzo che si dividevano tra il cortile e le scale per salire nelle aule. Eric e il suo gruppo, in quanto maturandi, avevano il loro muretto condiviso con il resto della classe. Non si stupì quando vide Melanie ed Amy sedute lì a mangiare la loro solita barretta ipocalorica. Si guardò intorno per cercare Claire ma era sicuro che fosse ancora in bagno. Nel frattempo scorse Amy alzarsi e andare verso di lui.
“Mi sono dimenticata di dirti una cosa.”
Nonostante non fosse molto alta sapeva come attirare l’attenzione, la sua voce era fin troppo squillante. Non aveva mai capito come mai Claire avesse legato con lei, ma poco gli importava, far parte di un gruppo non voleva dire essere amici con ogni singolo membro. A prescindere dal suo tono vocale, Amy non aveva mai fatto niente a Eric e lui era sempre disponibile per lei.
“Dimmi pure.”
“Sabato c’è una festa e pensavamo di andarci tutti, gli altri hanno già comprato le prevendite e manchi solo tu.”
“Dov’è?”
“E’ un locale che hanno aperto da poco. Dicono sia diverso dal solito. A quanto pare è su due piani, sotto c’è la pista per ballare, sopra c’è un privè. Al massimo finiamo sopra a parlare.”
Gli sorrise incerta, più per convincerlo a venire che per altro.
“Credo vada bene.”
La ragazza annuì e gli porse la prevendita.
“Sapevo saresti venuto, quindi te l’ho comprata in anticipo.”
“Quanto ti devo?”
Eric sembrava mortificato e vide Amy arrossire.
“Niente, niente. Mi offri la colazione un giorno di questi.”
Claire gli aveva detto più volte che la sua migliore amica aveva una cotta per lui da un paio di mesi ma Eric non aveva mai voluto crederci, non aveva mai visto atteggiamenti espliciti nei suoi confronti. Eppure adesso ne era arrivato uno di quelli. Lei che compra qualcosa per lui e lo invita a passare del tempo insieme, tempo che non comprendeva il resto del gruppo.
“Okay, facciamo così.”
Il ragazzo le sorrise e scorse ancora le guance arrossate di Amy, che si stava torturando una ciocca di capelli. Quel momento era diventato imbarazzante, decisamente imbarazzante. Fu Claire a rompere il silenzio.
“Questo bagno è pessimo, la fila è sempre infinita e poi…”
Si tappò il naso e continuò il discorso con una voce simile a quella di Paperino.
“Devo stare con il naso tappato per non svenire dalla puzza. Immaginate che tortura.”
Amy ed Eric scoppiarono a ridere davanti all’imitazione della loro amica e anche lei sorrise.


 
***


La campanella era appena suonata quando tutto il gruppo si mosse verso la classe. L’ora dopo, avrebbero avuto il penultimo compito in classe d’italiano della loro vita; l’ultimo sarebbe stato il mese prossimo per la prima prova degli esami di stato, ma nessuno sembrava considerarlo uno scoglio. La professoressa si ostinava a far fare loro dei saggi brevi: bastava semplicemente sottolineare le parti salienti di ogni articolo, appiccicare quattro frasi e dare una propria opinione in mezzo a quelle righe. Quello era l’anno della maturità e si erano dovuti sorbire le raccomandazioni e gli allarmismi vari da parte di tutti i professori, accompagnati dai tartassamenti continui di interrogazioni e compiti in classe, per tutto l’anno. Eric controllò che la professoressa non fosse ancora arrivata e chiamò il nome di Claire. La ragazza si girò verso di lui prima che entrasse in classe.
“Robert mi ha detto di chiederti se oggi ci vediamo alle tre e mezza a casa sua, per il compito di matematica di domani.”
“Te lo avrei chiesto io. Allora pranziamo insieme? Usciamo da scuola, mangiamo qualcosa al volo e poi andiamo in libreria.”
La guardò masticando la parte finale della sua merenda e le rispose ancora con il cibo in bocca.
“Mi sembra una buona idea.”
Claire lo guardò e rise. Era buffo guardarlo parlare con la bocca piena. Eric provò a sorriderle, alzando solo i due angoli della bocca, evitando che il cibo uscisse, e deglutì, dopo aver masticato per bene.
“Che libro vuoi comprare oggi?”
“Ieri sera in tv hanno dato Orgoglio e Pregiudizio. Lo sai che se vedo un film che mi piace devo leggere per forza il libro.”
Il ragazzo lo aveva visto la sera precedente ed era rimasto incantato dalla figura di Mr Darcy. Non si aspettava la dichiarazione finale del film perché non credeva che alla fine Elizabeth sarebbe riuscita a farlo innamorare di lui, anche se lo sospettava. Aveva rivisto tanto di lui e Claire in quel rapporto. All’inizio non l’aveva considerata come ipotetica fidanzata ma poi aveva cambiato opinione. Sapeva che un giorno le avrebbe fatto una dichiarazione del genere, ma non sapeva se quel giorno sarebbe mai arrivato. Aveva troppa paura di perderla, di perdere tutto.
“Jane Austen è una lettura piacevole, la professoressa diceva così al terzo anno.”
Non ebbero il tempo di finire il discorso dato che la professoressa di italiano stava già percorrendo il corridoio.
“Allora in bocca al lupo per il compito.”
“Crepi.”
 

 
***
 

“Com’è andata? Il tema non era interessante, ma credo sia andata bene.”
Claire si avvicinò a lui, tendendo le mani verso il casco che avrebbe indossato.
“Tieni. Comunque la stessa identica cosa per me, tema poco interessante. Ho cercato di allungare il brodo quanto più possibile.”
“Tu ci riesci bene ogni volta.”
La ragazza rise e, dopo aver indossato la scodella color topo in testa, salì sul motorino di Eric.
“Solita libreria?”
“Sì.”
Girare in motorino con Claire era uno dei modi per tenerla più vicina a sé, lei ogni volta preferiva abbracciarlo stretto per non cadere e lui sentiva i loro corpi aderire perfettamente, come se fossero nati per stare in quel modo. Non si era mai chiesto perché la ragazza preferisse fare in quel modo piuttosto che agganciare le mani alla parte posteriore del motorino ma, in fondo, poco gli importava. La libreria si trovava a pochi minuti da scuola e, dopo aver posato il motorino al parcheggio, si avviarono verso la porta principale.
“Dopo di te.”
Claire gli sorrise e passò davanti a lui, dirigendosi verso la sezione dei grandi classici. La vide soffermarsi sulla lettera “A” e iniziare la ricerca di Orgoglio e Pregiudizio. Non era la prima volta che la vedeva incuriosirsi così tanto per qualcosa e le si mise vicino, mentre continuava la sua ricerca. Vide i suoi occhi fermarsi e riscontrò che era giunta alla fine della sua ricerca, ne ebbe la conferma quando Claire afferrò una delle tante versioni tascabili del libro e lo aprì per leggerne dei pezzi. Eric fece lo stesso e, prima che potesse iniziare a leggere qualcosa, sentì l’amica leggere una frase ad alta voce.
Ho lottato invano. Non giova non riesco a reprimere i miei sentimenti. Lei deve permettermi di dirle con quanto ardore io la ammiri e la ami.”
Eric trasalì, sapeva che quelle parole non erano per lui, ma gli fece comunque uno strano effetto. Sognava che un giorno le avrebbe sentite dalla sua bocca, eppure nel frattempo si limitava solo a fantasticare.
“Questa frase è una di quelle che mi ha incuriosito. Vorrei capire come ha reagito Elizabeth davvero dentro di sé e non come lo ha fatto nel film.”
“Abbiamo capito che adori l’introspezione dei personaggi.”
Claire rise. Sapeva come farla ridere.
“Pensavo non si fosse capito. Che dici, pago e andiamo a pranzo?”
“Sì, andiamo.”


Claire stava pagando il libro appena comprato, ma doveva ancora riprendersi dall’imbarazzo che aveva provato dicendo quella frase presa dal libro. “Lei deve permettermi di dirle con quanto ardore io la ammiri e la ami.” Era sicura che Eric non avesse visto le sue guance diventare più rosse del dovuto, ma aveva notato lui trasalire come se gli avesse detto la cosa più terribile da sentire. Avrebbe reagito allo stesso modo se lei gli avesse detto cosa provava per lui? Sapeva di volere più di una semplice amicizia da Eric, lo sapeva ormai da molto tempo ma non poteva dire niente; in ballo c’era troppo. La sua amicizia con Amy, innamorata di Eric da un paio di mesi, l’equilibrio del loro gruppo di amici ed Eric stesso: non le aveva mai mandato dei chiari segnali e non si sentiva di dare più peso del dovuto a certe cose. Erano solo segnali confusi che non avrebbe mai notato se non si fosse innamorata di lui.
“Claire?”
Vide la mano del ragazzo ondeggiare davanti ai suoi occhi.
“Sì, scusa.”
“Allora cosa prendiamo?”
“Io prenderei un bell’hamburger con patatine. Ho voglia di ingrassare un po’.”
“Va bene, anche io allora. Devo crescere, no?”
Risero entrambi, ogni volta che uscivano avevano l’assurda convinzione che si sarebbero mantenuti sul leggero e poi finivano sempre a mangiare qualcosa di grasso. Afferrarono i vassoi e poi si diressero verso i tavoli, scegliendo quello più appartato, lontano dalla musica, ma anche da alcuni loro compagni di scuola fin troppo chiassosi. Mangiarono in silenzio, guardandosi. Claire sorrideva ogni volta che vedeva Eric in difficoltà o con qualche pezzo di panino ancora vicino alle labbra, tendeva a segnalarglielo ogni volta, eppure non aveva mai avuto il coraggio di avvicinarsi a lui e toglierlo con il suo dito.
“Secondo me il compito di domani sarà difficile. Considerando che tra un mese esatto avremo la prova di matematica, ci metterà una simulazione.”
“Oppure ne metterà uno facile facile, dato che è l’ultimo compito di matematica del liceo.”
“Lo sai che adoro il tuo ottimismo, Eric.”
Sorseggiò un po’ della sua bibita con la cannuccia prima di riprendere a parlare.
“Spero davvero sia come dici tu, ho sempre bisogno di fare tanti esercizi per prenderci la mano.”
“Dai, oggi pomeriggio cercheremo di capirne qualcosa con Robert. A me dispiace non aver detto niente a Amy, però…”
“E’ meglio così, lei si imbarazza quando ci sei tu in giro e poi va già dal professore privato ogni volta che abbiamo un compito. Rischia l’insufficienza per poco, quindi sta puntando tutto sulla matematica.”
“Non ne avevo idea.”
“In fondo Amy è la mia migliore amica, non la tua, perciò è normale che non conosci alcune parti del suo carattere.”
Claire scrollò le spalle e vide Eric prepararsi a dire qualcosa.
“Mi ha comprato una prevendita per la festa di sabato.”
La ragazza lo guardò, provando a capire dove Eric volesse andare a parare.
“Non ha voluto i miei soldi e mi ha proposto che un giorno le avrei offerto la colazione.”
Claire provò a non avere nessuna reazione e a nascondere quella gelosia che provava nei confronti di Amy.
“Te l’ho detto che le piaci.”
“Però non credevo sarebbe stata così esplicita. Credi che prossimamente vorrà dichiararsi o qualcosa del genere?”
“Non lo so.”
In effetti Amy parlava ogni giorno di come Eric a volte la guardasse o delle poche parole che si scambiavano a scuola, ma non le aveva mai detto cosa avesse intenzione di fare, né tantomeno se un giorno avesse voluto stare con lui. Aveva capito che le piaceva, però non sapeva quanto.
“Non è la tua migliore amica?”
Sottolineò quella domanda prendendola in giro e alzando un sopracciglio.
“E’ la mia migliore amica, ma non mi ha mai detto niente. Mi ha sempre detto che le piaci, nient’altro.”
“Allora domani le offro la colazione.”
Claire sentì lo stomaco fare una capriola, mangiò una patatina fritta, giusto per guardare altro e non gli occhi di Eric. Era sicura che lui avrebbe intravisto la sua gelosia.
“Sì, mi sembra una buona idea.”
Tolse il sale in eccesso dalle sue dite e asciugò le mani sul tovagliolo, poi guardò Eric osservare qualcosa fuori dalla finestra, pensieroso.
“Che c’è?”
La guardò e Claire provò a non arrossire. Anni fa, quando si erano parlati per la prima volta, lui stava distogliendo lo sguardo da qualcosa per posare l’attenzione su di lei.
“Niente.”


Eric in realtà avrebbe dovuto dirle che lui non avrebbe voluto accettare quella colazione, che in realtà voleva chiedere solo a lei di uscire insieme, ma non sapeva cosa avrebbe potuto rispondere. Sperava che gli dicesse qualcosa, che secondo lei non fosse una buona idea, però l’aveva vista mangiare, senza curarsi di lui, e non si era nemmeno accorta di come la sua non era un’affermazione, ma una sorta di permesso. Lui stava considerando Claire in quella affermazione, e invece lei non l’aveva notato.
“Allora a che ora dobbiamo andare da Robert?”
“Tra mezz’ora.”
“Abbiamo il tempo esatto della strada.”
Vide Claire sorridergli e buttare i residui del loro pranzo nel cestino della spazzatura. Si avviarono verso il motorino e Eric le porse il suo casco. Per tutto il tragitto si scambiarono solo qualche parola, giusto per non far sembrare che lui si aspettasse qualcosa da lei, e percepì il corpo della ragazza più lontano. Forse per la prima volta in tutta la loro amicizia.
“Vai, scendi prima tu.”
“Sì, grazie.”
Salirono in fretta le scale, ormai conoscevano bene casa di Robert, sperando che l’amico aprisse la porta. Eric era impaziente di separarsi da lei e di smettere di fingere, ma non riusciva a capire perché lei sentisse la stessa esigenza. Magari era solo una sua sensazione.
“Ciao a tutti e due.”
L’amico aprì la porta ed Eric e Claire risposero all’unisono, contraccambiando quel saluto. Robert lasciò che si accomodassero e il ragazzo vide Claire lasciare velocemente lo zaino in cucina, per poi dirigersi verso il bagno.
“Avete litigato come al solito?”
“No, non abbiamo litigato.”
Robert sembrava curioso.
“E allora?”
“Niente.”
Come avrebbe fatto a spiegare al suo migliore amico che si era seccato con la sua migliore amica perché non aveva reagito a una sua provocazione? Robert non aveva nemmeno idea che lui fosse innamorato di Claire. Aveva sempre detto che c’era una ragazza del gruppo che gli piaceva, ma non voleva dire chi fosse, dato che sapeva che l’amico avrebbe iniziato a prenderlo in giro e in poco tempo tutta la scuola lo avrebbe saputo.
“Sei sicuro che tra voi due non ci sia niente?”
Aveva imparato nel corso del tempo a rispondere a quella domanda senza imbarazzo. La prima volta aveva sputato l’acqua che stava bevendo e poi era scoppiato a ridere.
“Siamo solo amici.”
“Lo sai che due amici non si guardano come vi guardate voi?”
“Non capisco cosa intendi.”
“Vi guardate quasi spogliandovi.”
Eric trasalì e Robert gli sorrise.
“Non è vero.”
L’amico alzò le spalle, sospirando.
“Risulta difficile crederti, però me lo stai assicurando, quindi non te lo chiederò più.”
Vide Robert dirigersi verso il frigo e riempirsi il bicchiere con dell’acqua.
“Ne vuoi un po’?”
“No, grazie.”
 
 
Claire si era precipitata in bagno perché aveva voglia di riversare le sue emozioni guardandosi allo specchio e respirando veloce. Sapeva di fingere e alla fine scoppiava in quel modo, cercando di annaspare quanta più aria per ripartire con quel ciclo, dove non le era lecito manifestare i suoi sentimenti per Eric, dove era più giusto non destabilizzare il gruppo. Quanto tempo ancora avrebbe retto quella farsa? Quanto tempo le rimaneva prima di scoppiare definitivamente? Quanto volte ancora avrebbe ripetuto nella sua mente i motivi per cui lei ed Eric non potevano stare insieme? Sapeva che, se avesse detto qualcosa a Eric senza che lui ricambiasse quei sentimenti, la loro amicizia si sarebbe rotta e, nel frattempo, sapeva che, se Eric avesse ricambiato il suo amore, Amy non le avrebbe più parlato. In fondo lei amava Eric da prima di Amy, ma non esplicitandolo aveva reso quel sentimento inesistente, come sussurrato dentro di sé e senza che potesse uscire alla luce del sole.
Si guardò un’ultima volta allo specchio, si sciacquò le mani con il sapone due volte e, dopo essersi ravvivata i capelli, uscì dalla porta. Si diresse verso la cucina e sentì che i suoi due amici stavano parlando tra loro. Riuscì a sentire solo alcune frasi tra cui, “Siamo solo amici” e “Vi guardate quasi spogliandovi”, ma lei era rimasta solo alla prima frase. Non sapeva di chi stessero parlando e non voleva saperlo, quindi provò a disconnettere il cervello per una volta ed evitare di farsi castelli in aria che non avrebbe potuto condividere con nessuno. Aspettò che concludesse quella discussione, così da non creare imbarazzi vari, e poi rientrò in cucina. Si sedette in una delle sedie vicino al tavolo e poi iniziò a prendere i libri dallo zaino, provando a scacciare via quei pensieri. Di una cosa era certa: Eric stava dicendo la verità a Robert. Non tutti erano come lei, che preferiva farsi divorare dai sentimenti piuttosto che confessarli alla sua migliore amica, quindi non aveva nessun motivo di mentire.
“Iniziamo con i limiti?”
Robert la fece ritornare alla realtà.
 

 
***


“Facciamo una pausa?”
Eric aveva poggiato la penna sul quaderno e aveva iniziato a stiracchiarsi, aspettando la risposta degli altri.
“Per me va bene.”
“Anche per me.”
“Scendo un attimo a controllare il motorino.”
Robert annuì e Claire accompagnò Eric con lo sguardo, fino alla porta. Non appena vide la stessa richiudersi, si soffermò a guardare la cucina di Robert. Sembrava quella delle pubblicità: bianca, pulitissima e moderna. Accanto all’angolo cottura c’era il tavolo in cui stavano studiando e dalla parte opposta un angolo televisione, dove spiccava un divano color cuoio e il televisore piatto da 46 pollici. Era la prima volta che osservava così minuziosamente quell’ambiente. Ogni volta Eric le dava da parlare e tutto passava in secondo piano. Scosse la testa, provando a non riportare la mente a quella parte di discorso sentita prima, osservando il proprietario della casa aprire una delle ante della credenza.
Lei e Robert non avevano mai avuto un grande rapporto. Era suo amico per via di Eric, ma non l’aveva mai conosciuto fino in fondo. Quando stavano insieme lui era molto silenzioso e lo aveva scoperto qualche volta a fissarla senza che ci fosse un motivo apparente. Vide il ragazzo prendere una merendina e poi offrirgliela.
“Grazie.”
Gli sorrise molto gentilmente.
“Devo dirti una cosa importante, Claire.”
La ragazza non ebbe nemmeno il tempo di aprire l’incarto e mangiare.
“E’ successa qualcosa?”
Robert si avvicinò a lei.
“Un giorno vorresti uscire con me?”
Era esplosa una bomba, a pochi centimetri dal suo volto e Claire, a parte irrigidire il corpo, non fece niente. La domanda del ragazzo aveva un tono esitante e solo adesso riusciva a capire il motivo di quegli sguardi o di quando al cinema aveva sentito la mano di lui sfiorare la sua. Non sapeva cosa dire perché non aveva mai pensato a Robert in quel modo, in fondo non lo conosceva affatto, ma non sapeva come sarebbero andate le cose. Capì l’esitazione di Claire e si precipitò ad aggiungere qualcosa.
“Va be’, fa niente.”
“E’ che mi hai colto alla sprovvista, Robert. Posso pensarci un po’?”
Sembrava il giusto compromesso per la ragazza, però sapeva che, se Eric le avesse risposto con quella frase, a lei si sarebbe spezzato il cuore in mille pezzi. Era cosciente del fatto che avrebbe dovuto dire qualcos’altro ma sentirono entrambi il citofono. Eric stava risalendo e lei aveva cominciato a sentire un certo senso di colpa. Sentì la porta di casa di Robert chiudersi. Eric la guardò per la prima volta dopo ore, e il suo senso di colpa, nel frattempo, continuò a crescere tanto che non riuscì a sostenere lo sguardo del suo migliore amico.
Faceva troppo male.







spazio autrice
Eccoci al primo capitolo effettivo della storia, ha una struttura abbastanza particolare e sarà così per tutti i capitoli; i punti di vista dei due protagonisti e la loro effettiva comprensione di ciò che succede. Ci troviamo a tre anni prima, nelle ultime giornate di liceo e il loro cammino verso il presente inizia adesso, sono innamorati l'uno dell'altra da un paio di anni ma succedono tante cose in quelle ultime giornate e durante i mesi estivi. Amy che decide di parlare con Eric e Robert che chiede di uscire a Claire scatenano tutte delle reazioni a catena che avrete modo di vedere. Nel frattempo vi informo che la storia avrà una linearità differente, ogni due capitoli ambientati al passato, ce ne sarà uno al presente che riprende dall'incontro di Eric e Claire. Spero che questo capitolo vi piaccia e spero di leggere i vostri commenti. Ho fatto un trailer per la storia, fatemi sapere cosa ne pensate, si trova a questo link:
https://www.youtube.com/watch?v=L_LoWZIBTI8
E ringrazio la mia beta Hanna lewis che, pazientemente, vede in anteprima ogni capitolo :)
Grazie per tutti i pareri, i seguiti e preferiti e alla prossima <3






 

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Capitolo 3
*** 2. Numeri e razionalità. ***


 
 
Capitolo 2
3 anni prima
 


*I protagonisti del capitolo sono Eric e Claire, i loro POV si alterneranno.
Il nome in grassetto all’inizio del paragrafo cambia il punto di vista.*





Eric era appena risalito e aveva trovato Robert e Claire in silenzio.
“E’ morto qualcuno o cosa?”
“Stavamo parlando del compito di domani.”
Robert stava mentendo, aveva iniziato a gesticolare in maniera eccessiva dall’inizio della frase.
“Sì, è vero, gli stavo dicendo le stesse cose che ho detto a te poco fa e che anche tu speri che il compito sia facile.”
L’amico annuì a ciò che aveva detto poco prima Claire e si convinse che forse quel gesticolare non aveva niente a che fare con una bugia. Magari era solo nervosismo per l’indomani.
“Ci pensi che è l’ultimo compito di matematica con quella pazza?”
Robert stava sorridendo e solo in quel momento Eric realizzò che era davvero l’ultima volta. Non ci sarebbero mai più stati compiti con esercizi mai spiegati, problemi finali che servivano per prendere dieci e che nessuno puntualmente riusciva a risolvere, lasciando un abisso tra Edith, la secchiona della classe, e gli altri che stavano nel limbo dei cinque e mezzo.
“Il compito degli esami di stato potrebbe essere più difficile.”
“Ma non pensiamoci agli esami di stato! Manca ancora un mese.”
Non sapeva se quello di Robert fosse ottimismo o menefreghismo. Aveva sempre studiato pochissimo a scuola ma riusciva ad assimilare quei quattro concetti più importanti per fare interrogazioni e compiti in classe da sette. A volte lo invidiava, perché gli bastava davvero poco per imparare. Eppure, d’altro canto, sapeva che avrebbe avuto lacune per tutta la vita. All’università ti saresti specializzato in qualcosa e, se non avessi scelto lettere, non avresti mai più approfondito i Promessi Sposi o La divina Commedia.
“Ricominciamo?”



Claire non era mai stata un genio in matematica, ma sapeva prenderci la mano dopo i primi esercizi. Ricercava una logica in quei numeri, un po’ come faceva con la sua vita. Provava a dare un senso alle cose, pur sapendo che molto spesso era superfluo, soprattutto quando in alcuni ragionamenti non c’era alcuna logicità. La matematica sembrava l’unico posto sicuro, era una piccola parte del mondo che le garantiva razionalità. Razionalità che non riusciva a trovare in tutta quella situazione: Robert che le chiedeva di uscire, loro due che parlavano ed Eric che arrivava proprio quando avrebbero avuto bisogno di parlare un altro po’, giusto per non lasciare le cose in aria. Nel frattempo che risolveva l’ultimo limite matematico, aggiungendo il risultato accanto all’uguale, riuscì a realizzare quel collegamento che le mancava, e comprese chi fosse la protagonista della conversazione di poche ore prima: Eric e Robert stavano parlando di lei, Robert aveva chiesto al suo migliore amico se provasse qualcosa nei suoi confronti per chiederle successivamente di uscire, cosa che effettivamente aveva fatto.
Posò la penna sul foglio e guardò Eric. Era sicura che lui avesse detto la verità, e si rese conto che per loro non c’era nessuna speranza. Erano solo due amici, due semplici amici che sarebbero rimasti in quella condizione per tutta la vita. Sentì la vista annebbiarsi, ma non poteva permettersi di piangere, non davanti ai ragazzi. Si strofinò gli occhi, cercando di sbiadire le sue lacrime e poi finse di sbadigliare; i suoi occhi sarebbero stati lucidi per il sonno, non per altri motivi. Vide Eric fissarla e controllare l’orologio.
“Sei stanca, Claire?”
Come da copione.
“No. Perché?”
“Hai sbadigliato e studiamo da quattro ore e mezza. Sono già le otto.”
La preoccupazione del tuo migliore amico non dovrebbe arrivare a questi livelli, ma lei non poteva illudersi, non dopo quel frammento di discorso che aveva sentito, non dopo che Robert le aveva chiesto di uscire. Robert non avrebbe mai ferito Eric, non gli avrebbe mai fatto una cosa del genere, era il suo migliore amico e il tuo migliore amico non chiede alla ragazza che ti piace di uscire. La richiesta di Robert aveva esplicitato l’unica cosa che lei non avrebbe voluto sentire: Eric non la voleva.
“Tra poco torneranno mia madre e i miei fratelli dalla piscina, quindi sarà un inferno e non riusciremo a studiare.”
Ringraziò Robert per quelle parole, perché Claire non riusciva a spiccicare parola. Sentì un piccolo tremolio alle labbra che le confermò quanto fosse poco saggio per lei dire qualcosa in quel momento.
“Mi sembra che abbiamo una buona preparazione. Con i limiti ci siamo.”
Eric si alzò dalla sedia e cominciò a sfogliare il quaderno ad anelli, pieno di calcoli e problemi. “Con gli studi di funzione pure.” Continuò a girare le pagine e poi si rivolse prima a Robert e poi a Claire. “Qualcosa che non abbiamo capito?” Entrambi scossero la testa ed Eric chiuse il raccoglitore. “Allora io torno a casa.”
Claire si alzò poco dopo, sistemando la sedia sotto il tavolo e prendendo le proprie cose. Se Eric non le avesse chiesto di andare insieme a lui in motorino, lei non gli avrebbe detto niente. Non voleva imporre la sua presenza, non più di quanto aveva già fatto. Il senso di colpa che prima si era fatto spazio dentro Claire era sparito, non era colpevole di niente, Robert le aveva solo chiesto di uscire e lei si era limitata a non dare una risposta significativa. Lei ed Eric non stavano insieme, lei non gli doveva niente se non l’essere la sua migliore amica.
“Ti accompagno io, Claire?”
“Solo se non ti faccio allungare la strada.”
Eric le aveva sorriso, come se avesse appena detto la cosa più stupida del mondo.
“E’ di passaggio casa tua, lo sai che non allungo.”
Robert li aveva accompagnati alla porta e Claire si aspettava che lui facesse un accenno di qualsiasi tipo sulla conversazione avvenuta precedentemente, ma l’aveva solo salutata, sorridendole un attimo in più del solito.
“Ce l’hai una giacca? Fa freddo.”
La ragazza scosse la testa ed Eric le allungò il suo giubbotto. Era la prima volta che tornavano a casa alle otto di sera, eppure con la vicinanza dell’estate le giornate erano sempre più lunghe e riuscivano a scorgere ancora un piccolo pezzo di sole.
“Non sentirai freddo?”
“Non importa.”
Aveva indossato quella giacca lentamente, con tanto entusiasmo celato dietro la sua faccia stanca. Era la prima volta che indossava qualcosa che appartenesse a Eric e sentiva che quella potesse essere l’ultima volta che lo avrebbe sentito così vicino.
“Mi spiace non aver portato niente.”
“Non immaginavamo di fare le otto e poi non ti preoccupare. Non sento freddo.”
Prese il casco, lo chiuse accuratamente intorno alla sua testa e poi andò ad abbracciare il ragazzo. Anche se in quel momento era delusa, piena di dispiacere e sapeva che dal giorno successivo avrebbe dovuto dimenticarlo, cinse Eric forte, più forte di come aveva fatto fino a quel momento. Respirò a fondo dentro la giacca che aveva chiuso fino a sotto il naso, lo abbracciò ancora più stretto e iniziò a piangere.



Eric sentì il corpo di Claire più vicino delle altre volte, come se cercasse conforto in lui, come se ne avesse davvero bisogno, e più volte fu tentato di accostare il motorino per sapere cosa la turbasse, ma più controllava l’orologio e più si rendeva conto che non aveva il tempo materiale per farlo. Era successo qualcosa quel pomeriggio, tuttavia non sapeva cosa, non si erano guardati come erano soliti fare, non avevano scherzato, non avevano fatto niente di normale. Claire non era nemmeno in stanza quando aveva parlato a Robert di loro due e in ogni caso non avevano fatto nomi, quindi non poteva sapere di chi stava parlando. Poteva anche essere Amy, Melanie, chiunque. Non per forza lei. Sospirò, provando a convincersi che le cose fossero veramente così. Claire era da un’altra parte, perciò era improbabile ma non del tutto impossibile. Scorse casa di Claire e sentì la presa della ragazza allentarsi. Parcheggiò davanti al portone, la vide scendere e poi la guardò negli occhi, provando a capire se le sue non fossero solo fantasie, eppure Claire sorrideva. Gli restituì la giacca e lo salutò con la mano.
“Ci vediamo domani.”
Il ragazzo annuì e poi sfrecciò veloce verso casa. Era sempre più convinto che le soluzioni fossero due: lasciarla andare o confessarle tutto. In fondo non era poi così difficile, doveva solo dirle due parole e aspettare una sua risposta, ma sapeva che non ne avrebbe mai trovato il coraggio, non in quel momento. Posò il motorino in garage e salì velocemente le scale. Aveva fame e sapeva che i suoi genitori lo stavano aspettando.
“Ciao.”
Posò le chiavi del motorino e quelle di casa accanto alla porta e poi si precipitò in cucina.
“Ciao, Eric. Dove sei stato?”
Era figlio unico e, nonostante sua madre non lo bombardasse di telefonate, si preoccupava per lui e al rientro voleva sapere sempre cosa aveva fatto durante la giornata.
“Da Robert. Io, lui e Claire abbiamo studiato per il compito di matematica.”
La donna gli sorrise appena sentì il nome della ragazza. Era come se sospettasse che tra di loro ci fosse qualcosa, ormai da un paio di anni.
“E’ domani?”
“Sì.”
Aprì un’anta della cucina e cominciò a cercare qualcosa da mettere sotto i denti.
“Apparecchia, ché è pronto. Io vado a chiamare tuo padre.”
Vide sua madre dirigersi verso le altre camere e si spostò verso il cassetto delle posate. Sistemò tutto velocemente e, poco dopo, vide entrambi i suoi genitori entrare in cucina.
“Ciao, papà.”
“Ciao.”
Si sorrisero ed Eric notò che era stanco.
“Dai, ceniamo. E massimo alle dieci andiamo a dormire. C’è sonno nell’aria.”
Suo padre annuì e si sedettero tutti insieme a cenare. Eric sentì una vibrazione e vide un messaggio di Claire.
Sei tornato a casa?”
Le rispose velocemente, sapendo già che le avrebbe chiesto se andava tutto bene.
Sì, sto già cenando. Va tutto bene?”
 
 
Claire scrisse quella risposta cento volte. Aveva cominciato più volte allo stesso modo, con un “No” secco ma aveva cancellato per poi riscrivere. Ad un certo punto aveva scritto un messaggio chilometrico.
No, Eric, non va per niente bene. Oggi ti ho sentito parlare con Robert e so che parlavate di me. Io ti reputo più di un migliore amico, perché mi conosci come nessun’altro, ma non provo più solo amicizia nei tuoi confronti da troppo tempo. Mi sono innamorata di te.”
Solo che poi lo aveva cancellato, chiudendo e riaprendo il messaggio così da essere sicura che non avesse lasciato traccia di quelle parole. Fissò ancora lo schermo per qualche minuto e poi si decise a scrivere la prima cosa insulsa che le passava per la testa.
Sì, va tutto bene. Perché?”
Era una risposta da persona inutile, da persona che, se fosse stata veramente bene, non avrebbe mandato uno stupido messaggio per capire se era tornato a casa. Come se potesse succedergli qualcosa in meno di un chilometro di strada. Si buttò a letto, era esausta per via del pomeriggio passato a studiare e poi aveva realizzato parecchie cose quel giorno, cose che avrebbe voluto solo dimenticare. Sentì una parte del letto vibrare e rapidamente prese in mano il cellulare. Doveva essere Eric con una risposta più stupida del suo ultimo messaggio, ma invece notò che il mittente era Robert.
“Sappi solo che l’offerta è ancora valida. Quando vuoi tu.”
Sembrava una minaccia, anche se sapeva che prima o poi avrebbe dovuto affrontare anche quel discorso con lui. Non lo aveva mai considerato come un ragazzo con cui stare, eppure allo stesso tempo non poteva dimenticare Eric da un giorno all’altro. Dimenticare. Quella parola sembrava tormentarla senza sosta, era sempre più evidente che fosse la cosa più razionale da fare, ma lei non era un numero, non poteva seguire una formula matematica per smettere di pensare a lui. Aveva bisogno di tempo e di vedere meno Eric, due cose che sarebbero state possibili dopo la fine della scuola. Sbuffò e si rese conto che non aveva nessuna via d’uscita, le venne voglia di scappare via. Forse andare in un’altra città le avrebbe reso tutto più semplice. Sentirlo ogni tanto, iniziare una nuova vita, ma in fondo il Paul di Holly in Colazione da Tiffany aveva ragione: “Non importa dove tu corra, finirai sempre per imbatterti in te stessa.” Si sarebbe sempre imbattuta in se stessa e nei suoi sentimenti per Eric. Sentì vibrare un’altra volta il telefono. Ormai aveva perso le speranze che potesse essere Eric e, guardando l’orario, Amy aveva già concluso la sua lezione privata di matematica.
“Sono Amy dal cellulare di mio padre. Ho finito i messaggi e ho bisogno di chiamarti. Posso?”
Claire sbuffò una seconda volta. Era sicura che volesse parlare di Eric e della colazione insieme.
Certo, chiama pure. Il telefono ce l’ho io.”
Si mise seduta a letto prima di alzarsi e avvicinarsi alla scrivania che aveva nella sua camera. Sua madre le aveva regalato il telefono di Minnie per il suo dodicesimo compleanno e lei si ostinava a tenerlo. Adorava attorcigliarsi il dito attorno a quel filo rosa confetto e poi le dava un’idea di tempi andati, dove i telefoni senza fili nemmeno esistevano. Sentì il trillo e rispose subito.
“Ho grandi novità.”
Lo sapeva che si parlava di quello.
“Quali?”
“Un giorno di questi Eric ed io ci prendiamo una colazione insieme.”
Provò a sbuffare piano, per non farsi sentire.
“In che senso? Colazione o ricreazione insieme?”
“Che differenza fa? Mi offre la colazione.”
“Va be’, niente.”
A volte Amy sembrava non capire.
“Quindi prossimamente saremo solo io e lui.”
“Amy, posso farti una domanda?”
Eric le aveva messo il dubbio e aveva intenzione di chiedere alla diretta interessata.
“Ma tu che intenzioni hai con Eric?”
Sentì la voce dell’amica tremare.
“Io vorrei provare a stare con lui. Non posso dirgli che me ne sono innamorata perché so che scapperebbe, ma vorrei fare qualcosa.” Si interruppe, riprendendo più fiato.
“Intanto vorrei cominciare con la colazione, poi sabato sera in discoteca continuo a parlargli e magari lo bacio.”
A quell’affermazione, seguì un risolino di Amy che per Claire fu peggio di sentire un coltello conficcato nella gamba. Fino a quel momento, non aveva mai immaginato loro due insieme. Pensava che Amy non avrebbe mai avuto il coraggio di parlare con lui, ma allo stesso tempo Eric non sembrava interessato all’amica. Lui sembrava solo accertarsi della situazione, di cosa si sarebbe dovuto aspettare, anche se non aveva mai espresso un opinione a riguardo.
“Che ne pensi?”
Cosa avrebbe dovuto risponderle? Che se avesse fatto una cosa del genere lei avrebbe sofferto terribilmente? Oppure che sarebbe stato straziante ascoltare Amy parlare per ore di quando avrebbe baciato Eric? In momenti come quello si chiedeva perché non le avesse detto mai niente, per quale motivo non le aveva detto che si stava innamorando di Eric. Dopo tutto quel tempo non si capacitava.
“Penso che… Wow. E’ un bel passo avanti.”
“Sì, lo penso anche io. Sapevo che mi avresti appoggiata.”
Claire alzò un sopracciglio. In quale parte di quella conversazione l’aveva appoggiata? Provò a cambiare argomento, senza negare o confermare ciò che aveva appena detto Amy.
“Come è andata la lezione privata?”
“Bene, al solito. Tu?”
“Anche per me bene, abbiamo studiato insieme io, Eric e Robert.”
“E come è andata?”
“Bene. Abbiamo fatto tanti esercizi.”
Dall’altra parte della cornetta Amy era in silenzio. Era evidente che non voleva sapere solo quello.
“Eric mi aveva accennato a pranzo della colazione, ma non ne abbiamo più parlato.”
“Peccato.”
“Sì lo so. Poi Robert mi ha chiesto di uscire.”
“Robert?”
“Sì.”
Sentì un urlo dal telefono e distanziò la cornetta dal suo orecchio.
“E cosa gli hai risposto?”
“Che ho bisogno di tempo e che gli farò sapere.”
“Lo sapevo che lui provava qualcosa per te, te l’ho detto che quella volta al cinema non era casuale.”
“Sì, ma non sono sicura che a me lui interessi.”
“Claire, lo so che c’è qualcuno, anche se non vuoi dirmelo.”
“Non è così. Non c’è nessuno.”
“E allora perché non ti butti? Magari possiamo fare anche le uscite a quattro.”
Le venne voglia di ridere e piangere allo stesso tempo: lei che vedeva Eric ed Amy baciarsi e nel frattempo teneva la mano a Robert. Una scena comica, veramente comica.
“Non mi sembra il caso di correre così tanto.”
Amy rise e Claire sentì la voce della madre dell’amica.
“Mi sta chiamando mia madre per la cena. Ci vediamo domani a scuola.”
“A domani.”
Poggiò la cornetta chiudendo la chiamata, poi si diresse di nuovo verso il letto. Non aveva voglia di fare niente, né di ripassare per il compito e nemmeno di mangiare qualcosa. Era troppo stanca e non aveva nemmeno le forze per fare girare di nuovo il solito disco. Si spogliò, indossando il pigiama poco dopo e, prima di mettersi a letto, controllò il cellulare: Eric aveva risposto.
Perché sei la persona più importante della mia vita e io mi preoccupo per te.”
Spalancò gli occhi e sospirò. Per una volta voleva rispondere con una frase ad effetto, che gli facesse supporre qualcosa, ma non era brava in quelle cose, non lo era per niente.
Anche tu sei la persona più importante della mia vita. Buonanotte, Eric.”
Forse era troppo codarda o forse troppo esausta.
Buonanotte anche a te, Claire.”
Poteva scegliere tante altre parole, poteva non scrivere il suo nome, poteva non risponderle, eppure lui aveva digitato quelle e solo quelle come a ricordarle ogni volta perché si era innamorata di lui. Le sembrò di percepire il tono di voce di Eric dire quella frase e un brivido le percorse la schiena. Ricordare la prima volta in cui gliele aveva sussurrate era inevitabile.
Ritornare a quattro anni prima, durante il ferragosto in spiaggia, quando con quella dolcezza aveva cominciato ad accorgersi di Eric. Aveva cominciato ad innamorarsi di lui.


C’era Eric, il suo migliore amico dal primo anno di liceo, che la guardava e che come sempre si stava prendendo cura di lei.
“Dai, Claire, sei ubriaca.”
Stava provando a farla ragionare.
“E non mi interessa.” Sbatteva i piedi come una bambina. “Non voglio tornare alla tenda.”
Non voleva tornarci perché aveva paura di stare male, vomitare ciò che aveva bevuto e fare una brutta figura davanti al gruppo.

“Nemmeno se dormo io con te?”
Non sapeva nemmeno perché Eric le avesse chiesto una cosa del genere, ma le sembrava un giusto compromesso. Se erano insieme non le sarebbe successo niente, ne era sicura.
“Solo se dormi con me. Credi mi passerà questo mal di testa atroce?”

“Sì, però devi dormire.”
Eric le sorrideva sempre in quel mondo, con quelle fossette che si andavano a scavare sorriso dopo sorriso.
“Mi ha lasciata per un’altra. Secondo te sono così insignificante?”
“Non sei insignificante. Solo che a volte non ci si rende conto delle cose che si hanno.”
Continuavano a camminare sulla spiaggia, con i piedi sulla sabbia gelida, Claire che barcollava ed Eric che provava a sostenerla.

“Meno male che l’ho solo baciato.” Claire rideva. “Penso che mi abbia lasciata anche per questo motivo.”
“E non è meglio?”
“Sì, Eric, è meglio così.”
Erano ormai arrivati vicino la tenda, Claire aveva iniziato a salutare il gruppo da lontano.
“Ciao, Amy.” Scuoteva la mano. “Ciao, Robert.” Indicava il ragazzo. “Ciao, Melanie.”

La brutta figura stava iniziando a farla ed entrò velocemente dentro la tenda. Poteva sentire la voce di Amy chiedere qualcosa, anche se il mal di testa faceva, ormai, parte di lei.
“E’ ubriaca?”
“Sì, è un po’ ubriaca ma niente di grave. Dormo io con lei stanotte. Potrebbe vomitare o sentirsi male. Ha bisogno di qualcuno.”
Vide entrare Eric in tenda e gli sorrise.
“Come ti senti?”
“Voglio morire.”
Il ragazzo fece in modo che Claire si sdraiasse, la sistemò sul materassino e poi si posizionò accanto a lei. La ragazza si girò dalla parte opposta, dando le spalle ad Eric, e lui provò a mettere distanza tra loro, ma Claire non sembrava intenzionata a tenerlo lontano. Quella sera avrebbe voluto dormire con il braccio del suo migliore amico attorno al suo corpo. “Buonanotte, Eric.” Non capì mai se lo avesse sognato o vissuto perché quella sera non era la solita Claire, eppure le sembrò di percepire le labbra di Eric sulla sua fronte accompagnate da una semplice frase, sussurrata con tutto l’amore del mondo.
“Buonanotte anche a te, Claire.”









spazio autrice
Buon pomeriggio, ci troviamo al secondo capitolo della storia, è un capitolo un po' di transizione ma che parla ancora di Eric e Claire e di come vanno le cose tra di loro. Bisogna conoscere le loro abitudini, i loro modi di fare, e la camera di Claire e il suo telefono fanno parte di lei, così come Eric e il suo cellulare. In questo capitolo secondo me c'è una parte fondamentale: il flashback. E' lì che qualcosa ha cominciato a cambiare per Claire e lei se ne ricorda ogni giorno, ogni volta che Eric e lei si ritrovano a mandarsi la buonanotte. In fondo loro sono migliori amici e non possono scomparire dalla vita dell'altro all'improvviso, l'unico modo per approcciarsi tra loro è sempre quello di rimanere neutrali e non mostrare più del dovuto per paura di perdersi. A ogni modo, spero che il capitolo sia di vostro gradimento e che le vostre impressioni siano positive.
Ringrazio tutti voi che seguite, recensite e preferite la storia. Mi fa davvero piacere che piaccia e ringrazio, come sempre, Hanna Lewis che mi sprona tanto nella scrittura e beta la storia.
Alla prossima ^^










 

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Capitolo 4
*** 3. Insolita quotidianità. ***


 
 
Capitolo 3
3 anni prima
 


*I protagonisti del capitolo sono Eric e Claire, i loro POV si alterneranno.
Il nome in grassetto all’inizio del paragrafo cambia il punto di vista.*





Eric si era svegliato presto, spalancando gli occhi alle sei e mezza quando avrebbe potuto dormire anche un’altra mezz’ora. Gli si era attanagliata una paura allo stomaco, che sapeva essere irrazionale, ma che percepiva come un sesto senso: aveva paura di perdere Claire.
Si alzò dal letto, ancora con quella sensazione, e provò a concentrarsi su altro. Il compito di matematica era alla prima ora, quindi aveva tutto il tempo per ripassare e distrarre la sua mente. Bloccò quel pensiero sul nascere. Era inutile riguardare gli esercizi quando continuava a sentire quella morsa allo stomaco. Sospirò e si buttò nuovamente a letto, sapendo che non sarebbe riuscito a dormire, ma quantomeno a riposarsi un altro po’. Allungò la mano verso il comodino, cercò stancamente il cellulare e lo accese, aspettando rigorosamente due minuti come ogni mattina. Certe volte temeva che non si accendesse più, però con il giusto movimento, la mano destra che andava a colpire lo sportellino anteriore della batteria, riusciva sempre a vederlo illuminare. Lo tenne ancora in mano, appoggiando le braccia sul letto, e poi sentì vibrare. Aveva ricevuto un messaggio da Amy.
Dopo il compito di matematica, mi offri la colazione?”
Ad Eric bastò leggere quel messaggio per svegliarsi completamente. Aveva sbattuto le palpebre più volte, a tratti incredulo, ma nulla modificava ciò che c’era scritto. La ragazza stava davvero facendo sul serio. Doveva necessariamente offrirle qualcosa e quella colazione implicava solo loro due e non gli altri. Sospirò così da rimescolare le idee, senza ottenere niente di soddisfacente. Era costretto a passare la ricreazione con lei e poi mettere un punto a quella situazione. Però cosa avrebbe dovuto dirle? Forse qualcosa come “Scusa, Amy, ma questa colazione salda un debito. Non è un appuntamento.”? Era scortese da dire. D’altro canto non poteva nemmeno essere sicuro che lei concepisse la colazione senza secondi fini. Se Claire non glielo avesse detto non avrebbe mai saputo che Amy si era invaghita di lui. Decise che avrebbe ignorato il messaggio, con la solita scusa che non gli era arrivato, così da prendersi tempo e decidere cosa fare sul momento. Prese una boccata di ossigeno e chiuse gli occhi. Aveva letto da qualche parte che era un metodo efficace per rilassarsi, però sentiva ancora quella paura. Non ebbe il tempo di rimuginarci sopra ché sentì la sveglia suonare. Ringraziò quel suono che in altre circostanze avrebbe odiato e diede il via a quella giornata.



Claire era entrata a scuola nell’esatto momento in cui la campana aveva iniziato a suonare. Nonostante suo padre l’avesse accompagnata a scuola mezz’ora prima, lei aveva preferito andare a fare colazione e aveva aspettato l’orario giusto. Quella mattina, non aveva voglia di parlare con Eric, non voleva vedere l’emozione di Amy e non voleva nemmeno guardarsi silenziosamente con Robert. Sicuramente era egoista e anche un po’ stronza, ma aveva deciso di fregarsene e mettere se stessa davanti agli altri. Le dispiaceva, però, non stare con Melanie; lei era ignara di tutte quelle situazioni assurde e sembrava dare un tocco di normalità all’interno del gruppo. Claire sapeva di poter sempre contare su Mel che, nonostante fosse riservata, era sua amica dalla prima elementare. Avrebbero potuto essere migliori amiche, invece aveva sempre preferito fare un passo indietro, dato che Melanie la ascoltava ma raccontava poco di sé. Sospirò e si avviò verso il cancello rosso della scuola, stringendo le mani intorno alle spalline dello zaino e tenendo lo sguardo fisso sulla porta. Alla prima ora ci sarebbe stato il compito di matematica, la professoressa sarebbe stata puntuale e lei sarebbe stata capace di evitare tutti quanti. La loro classe si trovava al primo piano. Salì le scale senza affaticarsi troppo e, quando arrivò in aula, notò che la donna era appena entrata e che gli altri si stavano sistemando ai loro posti. Fu semplice per lei passare inosservata in mezzo a quella baraonda, passò davanti ai primi banchi e si andò a sedere al suo posto, al secondo. Tirò fuori i fogli protocollo, una penna e attese che la professoressa consegnasse il compito.
“Vi devo fare le solite raccomandazioni?” Incominciò a dare i primi fogli. “Facciamo di no.”
Continuò dirigendosi verso Claire. “E’ l’ultimo compito di matematica, cercate di farlo bene.” Lo consegnò a lei. “Non parlate, non muovetevi, non lanciatevi bigliettini, non scrivete sui muri.”
Claire diede una rapida lettura al compito e sorrise. Per la prima volta nella sua vita sarebbe riuscita a farlo e a dare un senso a quei numeri.



 
***



Aveva consegnato cinque minuti prima della fine dell’ora e dell’inizio della ricreazione, quindi la professoressa, al posto di fare aspettare in classe, aveva concesso ai suoi alunni di andare in cortile. Claire aveva preso un po’ di spiccioli e poi si era diretta verso il bar. Di solito le scocciava fare la fila, ma non c’era nessuno nel giro di metri, perciò le sembrò una buona idea aspettare che suonasse la campana e si aprisse la porta del bar. Si rigirò quei centesimi tra le mani e si rese conto che non avrebbe potuto evitare tutti i suoi amici a vita. Magari li avrebbe potuti affrontare a poco a poco. Guardò verso il cortile e notò Melanie venire verso di lei.
“E’ la prima volta che ti vedo fare la fila in tredici anni.”
“C’è sempre una prima volta, no?”
Sorrisero entrambe.
“Come ti è andato il compito? Hai consegnato prima degli altri.”
“Credo bene, Mel. Non era così difficile. A te?”
“Così così, ho scopiazzato come ho potuto, ma spero di raggiungere almeno un sei.”
Melanie diceva sempre in quel modo, però poi riusciva sempre a prendere voti più alti rispetto alle sue aspettative. Sentì la porta del bar aprirsi e uscì poco dopo con una tavoletta di cioccolata al latte. Aveva bisogno di coccolarsi così e la temperatura glielo permetteva.
Nonostante fosse il 21 maggio e il caldo cominciasse a sentirsi, non si era ancora raggiunta la temperatura da fusione della cioccolata. Si soffermò a guardare l’involucro azzurro dopo aver provato ad aprirlo con pochi risultati.
“Ci sono Eric ed Amy.”
“Cosa?”
“Eric ed Amy stanno camminando verso di noi.”
“No!”
Claire tuonò quel dissenso, senza capire da dove provenisse, ma rendendo chiaro a Melanie che non dovevano farsi vedere, tanto che la trascinò via sperando che nessuno dei due l’avesse vista. Nonostante si fosse raccontata quelle bugie, non era ancora in grado di affrontare loro due. Non sarebbe riuscita a reggerli insieme.
“Claire, mi devi spiegare cosa sta succedendo.”
La ragazza si guardò intorno e prese di nuovo il braccio di Mel, portandola in un posto più nascosto, dove potessero parlare senza che nessuno le sentisse.
“Adesso mi stai facendo paura.”
“Non è niente. È solo che è meglio non farsi vedere.”
“Che vuol dire?”
“Nulla. Non è importante.”
Claire, quando mentiva, muoveva le orecchie e Mel dopo tutti quegli anni era in grado di percepirne anche il minimo movimento.
“Le tue orecchie non la pensano allo stesso modo.”
“Le mie orecchie?”
“Claire, ci conosciamo dalla prima elementare. Quando menti ti si muovono le orecchie. Hai imparato a nasconderlo con il tempo e con i tuoi capelli, ma io lo vedo sempre.”
Non seppe cosa rispondere perché non credeva avesse ancora quel punto debole.
“Mi dici cosa sta succedendo?”
“Ad Amy piace Eric e ha trovato una stratagemma per rimanere sola con lui e farsi offrire la colazione.”
A Mel scappò una mezza risata.
“Perché ridi?”
“Perché è tutto così stupido. A Eric non piace nemmeno lontanamente Amy.”
Claire la guardò con gli occhi spalancati.
“Io vi guardo; in silenzio, ma vi guardo, e so cosa sta succedendo nel gruppo in questo momento. A Robert piaci tu, Amy vuole Eric, e tu e Eric siete le due incognite che vi volete, però provate a nasconderlo.”
“Mel, stai sbagliando di grosso.” Stava iniziando a montare la scena.
“Ricorda le orecchie.”
“Che c’entrano le orecchie? Robert mi ha chiesto di uscire, Amy ha chiesto di uscire ad Eric e io ed Eric non ci vogliamo.” Claire provò a respirare; aveva detto velocemente quelle parole una dietro l’altra solo per renderle più vere. “Me ne sono andata solo per non disturbarli.”
“O per non soffrire vedendoli insieme?”
Colpita e affondata. Le diede le spalle, portandosi le mani alla testa.
“Tu hai colto tutte queste cose solo guardandoci?”
“Sì.”
“Allora sono spacciata. Lo capirà anche Eric prima o poi.”
Melanie aveva poggiato una spalla al muro, tamburellando le dita. “Cosa ci sarebbe di male?”
Claire la guardò, non sapendo cosa rispondere. In fondo nel suo copione era sempre chiaro il motivo per cui non rivelava ad Eric i suoi sentimenti, ma in quel momento le sembrò tutto sfocato, quasi inesistente.
“Com’è che sai sempre tutto di me e io non so mai niente di te?”
Mel si allontanò dal muro, molleggiandosi con le mani contro di esso. “Forse nella mia vita non succede niente di speciale e quindi non ho niente da raccontarti.”
“Ma tu mi ascolti sempre quando ti chiamo e spesso non mi dici nulla della tua giornata.”
“So che a volte è più importante ascoltare te, piuttosto che parlare di me e di cosa combina mio fratello.”
Claire si posizionò davanti alla ragazza, ancora incredula, cominciando a pentirsi di tutte le volte che aveva pensato che Mel non volesse aprirsi con lei.
“Io avevo paura che tu non mi volessi come amica. Per questo ho sempre mantenuto una certa distanza.”
“Da oggi in poi vuoi sapere anche quante volte Batuffolo graffia il divano?”
Claire le sorrise. Sapeva sempre come farla stare meglio.
“Sì, ti prego.”
Melanie porse il mignolo a Claire, come facevano quando erano piccole per dimenticare un litigio appena avvenuto, e la ragazza lo prese stringendolo forte. Non credeva che si sarebbe mai sentita dire quelle cose da Mel. Aveva sempre cercato in altri un’amicizia più profonda perché credeva di non essere abbastanza per lei. Aveva paura di credere in qualcosa di più profondo per non rimanerci male, invece aveva sbagliato, fino a quel momento.
La guardò, con le sue fossette e i suoi capelli castani.
“Tu ed Eric vi volete, comunque.”
“Non è vero.”
“A me non interessa di Eric. Io so per certo che tu ti sei innamorata di lui.”
Claire provò a controbattere ma percepì le sue orecchie muoversi e preferì stare in silenzio.
“E non credo che la colazione con Amy cambierà qualcosa tra di voi. Anzi, credo che dovremo andare a salvarlo.”
“Perché?”
“Mi darai ragione.”
Mel alzò un angolo della bocca. Claire sapeva che quando sorrideva in quel modo era perché sapeva di avere ragione.



Eric stava ascoltando Amy. Erano passati esattamente sette minuti e continuava a guardare l’orologio, augurandosi che la campanella suonasse improvvisamente prima o che incontrasse Claire da qualche parte. Sperava lo salvasse da quella situazione che, come pensava, era alquanto imbarazzante.
“Solo perché le ho chiesto di mettere più olio nell’insalata, mia madre ha fatto una scenata.”
Amy aveva parlato di come era andato il compito, di come i suoi genitori non la comprendessero, ma lui non riusciva a interessarsi a lei e ai suoi racconti. Gli sembrava una perdita di tempo ascoltarla; Amy non riusciva nemmeno a destargli un qualche tipo di attenzione. Tra la sua voce squillante e i suoi discorsi inutili, non sapeva cosa lo infastidiva di più, però continuava a risponderle, quanto più educatamente possibile.
“Dato che c’era, un po’ di più non faceva male a metterlo.”
“Esatto, lo penso anche io.” Una colazione sprecata, ma almeno sarebbe stata l’ultima della sua vita con lei. “Amy, mi sono ricordato che alla prossima ora la professoressa di inglese potrebbe chiamarmi. Ti dispiace se vado a ripassare?”
Scorse dispiacere negli occhi della ragazza, senza tuttavia riuscire a rimanerci male. Lo aveva incastrato con quella pseudo-colazione e gli davano fastidio le cose fatte con l’inganno.
“Certo, fai pure.”
“Grazie.”
Le sorrise, forse il primo sorriso sincero in quella mattinata, e si diresse verso il palazzo che ospitava la sua classe. Pochi minuti e sarebbe stato davvero libero. Mentre saliva le scale incontrò Claire e Melanie, attirando solo l’attenzione della ragazza bionda.
“E’ la prima volta che ci vediamo oggi.”
“Lo so, sono arrivata tardi a scuola. Com’è andata con Amy?”
Non aveva voglia di dire qualcosa di poco carino, non davanti a Melanie.
“Lasciamo perdere.” Eric vide Mel sorridere e Claire darle, di rimando, una gomitata. “Che c’è?”
“Niente, le avevo detto che Amy avrebbe passato con te la ricreazione e Melanie era sicura che tu avresti voluto scappare da lei.”
Eric guardò prima Claire e poi l’altra ragazza. Sapeva che il suo starsene in silenzio fosse parte del suo carattere, eppure non aveva mai realizzato che riuscisse a scavare così a fondo dentro gli altri.
“E’ esagerato usare il termine “scappare”.”
Il ragazzo stava per aggiungere qualcos’altro, ma il suono della campanella lo interruppe. Le due ragazze si diressero automaticamente verso la classe e lui si incamminò dietro di loro. Aveva una remota possibilità che la professoressa d’inglese potesse davvero chiamarlo nonostante avesse concluso con lui le interrogazioni i primi di Maggio. Ultimamente chiamava coloro che avevano voti incerti ed Eric non credeva di essere uno di quelli; prendeva rigorosamente otto ad ogni verifica, orale o scritta che fosse. La paura allo stomaco percepita la mattina continuava a tormentarlo e, se non fosse stato per il breve incontro con Claire e la sua risata, avrebbe creduto di stare davvero per perderla. Andò a sedersi al suo banco e aspettò che la professoressa chiamasse gli interrogati, sperando di non essere tra questi. Vide Amy e Richard alzarsi per avvicinarsi alla cattedra e si ritenne tranquillo per quella giornata. La loro interrogazione sarebbe durata un’ora e lui poteva immergersi nei suoi pensieri, cosa di cui aveva effettivamente bisogno. Il suo banco era attaccato alla parete, perciò riuscì a fare aderire perfettamente le spalle alla superficie gelida; i professori ritenevano che quella fosse una posizione “scomposta”, però lui ci stava comodo e sapeva che non sarebbe stato rimproverato. Quel punto era perfetto per seguire e guardare Claire allo stesso tempo. Anche in quel momento la stava guardando, o quantomeno i suoi capelli. Una volta aveva provato a non farlo, a non soffermarsi nemmeno una volta su quei capelli dorati, ma con scarsi risultati. Ovunque volgesse lo sguardo scorgeva una parte di lei. Sentì in sottofondo la voce di Amy ripetere alla professoressa, cominciando a percepire lo stesso fastidio di prima. La ragazza lo aveva indisposto e adesso ne era più sicuro che mai; aveva avuto un secondo fine offrendogli la colazione e lui era stato costretto ad accettare, quindi sperava che dal suo atteggiamento distratto e distante si fosse accorta di qualcosa, anche se non riteneva Amy capace di quel tipo di pensiero. Eric si ricordò che l’anno precedente aveva esasperato un ragazzo per uscirci insieme e che, solo quanto le aveva urlato che non voleva avere niente a che fare con lei, lei si era rassegnata. Si augurava vivamente che non fosse di nuovo quel tipo di situazione e che soprattutto non fosse lui il protagonista; odiava quando le situazioni si facevano così appiccicose e inutili. Max, il suo compagno di banco, gli chiese qualcosa, però non lo stava nemmeno ascoltando.
“Puoi ripetere?” Lo disse a bassa voce.
“Posso copiarmi gli appunti di inglese? Credo che domani interrogherà me.”
Eric gli sorrise e gli passò il quaderno. Lui e il suo compagno di banco, ormai dall’inizio dell’anno, avevano instaurato quel rapporto di scambio reciproco; era come tornare nell’antichità, quando il baratto era l’unico modo per fare andare avanti il commercio, ma era efficace. Staccò le spalle dal muro e si girò verso il banco, poggiando i gomiti su di esso e reggendosi la testa. Guardò l’orologio sul muro e constatò che stava per concludersi l’ora. Dopo avrebbero avuto educazione fisica e il ragazzo avrebbe voluto solo andare via e dimenticarsi di quella spiacevole paura. In fondo se non aveva davanti lo stimolo, Claire, sarebbe stato più facile. Sospirò, accovacciandosi sul banco e continuando a seguire l’interrogazione di Amy, provando a soffermarsi solo sui concetti e non sulla sua voce.



Claire, dopo aver passato rigorosamente seduta l’ora di educazione fisica, non vedeva l’ora di tornare a casa. Amy si era seduta accanto a lei e Melanie, capendo la situazione, si era intromessa; tuttavia non era stato sufficiente perché Amy aveva raccontato di sé e Eric.
“E’ un ragazzo dolcissimo, mi ha ascoltata e poi mi ha offerto la barretta che piace a me.”
Più volte Mel nascose una risata e Claire nel frattempo annuiva, stanca.
“A te ha detto qualcosa, Claire?”
“No, non mi ha detto niente.”
Non voleva ferirla dicendole come stavano le cose, anche se Eric non era stato chiaro a riguardo; non aveva voluto parlarne e basta, il motivo non lo conosceva.
“E allora di cosa avete parlato?”
“Non c’eravamo visti stamattina e ci siamo salutati per la prima volta.”
Claire aveva cominciato a infastidirsi. Tutti i discorsi ormai riguardavano Amy ed Eric, cosa lei provava, cosa lui poteva pensare, perciò sentiva un rigurgito di parole risalirle su per l’esofago. Era sul punto di aggiungere qualcosa ma Melanie intervenne.
“Tra poco suona la campanella. Che ne dite di avviarci?”
Sia Amy che Claire annuirono.
“Domani sera a che ora ci vediamo al locale?”
“Credo che per le nove e mezza vada bene.”
Presero gli zaini e si avviarono verso l’uscita come ogni giorno. Al suono esatto della campana misero i piedi fuori e Claire aspettò che sua madre venisse a prenderla. Non aveva chiesto ad Eric di accompagnarla per tenerlo lontano. Aveva passato tutta la notte precedente a decidere cosa avrebbe dovuto fare dopo ciò che aveva sentito a casa di Robert. L’idea le era venuta all’improvviso, tra un sogno e l’altro; sabato alla serata avrebbe ottenuto la risposta che desiderava. Aveva intenzione di attrarlo, di sistemare il suo aspetto per fare in modo che lui non la vedesse come una semplice amica. Sperava solo che in quell’istante, guardandolo dritto negli occhi, avrebbe avuto la risposta cristallina che aspettava.



 
***



La loro scuola non prevedeva il sabato. Le lezioni si concludevano il venerdì e lei aveva passato tutta la mattinata a spogliarsi, cambiare vestiti e provare scarpe. Era felice di essere rimasta a casa e di aver cominciato a indossare alcuni abiti. Come al solito non aveva niente, niente che la soddisfacesse. Era un luogo comune, una frase che aveva sentito in qualsiasi film, ma quando una donna dice che non ha nulla da mettersi è perché non c’è nulla che in quel momento le piaccia. Perché si sa: le donne comprano le cose, poi se hanno l’umore adatto le indossano, però per il cinquanta per cento del tempo le cose vengono acquistate e infine dimenticate nell’armadio, nell’attesa di un’occasione adatta che non arriverà mai. Continuava ad essere indecisa tra un vestito corallo corto e senza spalline e un vestito verde acqua sotto il ginocchio. Controllò l’ora e si accorse che aveva ancora il tempo di chiamare Melanie: in fatto di vestiti e moda ne capiva sicuramente più di lei. Recuperò il cellulare sotto quella pila di vestiti e digitò velocemente il numero.
“Pronto?”
“Non so cosa mettermi per stasera.”
“Immaginavo.”
“Non è che potresti venire qui?”
“Non è una cattiva idea. Dammi il tempo di convincere mia madre.”
“Mi stai salvando letteralmente la vita.”
In mezzo a tutti quei vestiti e colori, si rese conto che c’era una cosa che non conosceva di Eric: il suo colore preferito. Conosceva la pizza che prendeva di solito, il gusto del gelato, ma non sapeva quale sfumatura dell’arcobaleno il ragazzo preferisse. Lo vedeva spesso indossare qualche dettaglio rosso, eppure non sapeva se fosse un caso o un abitudine. Sentiva di iniziare a perdersi pezzi di lui e di essere inerme, come se un vortice si stesse abbattendo su di loro senza che potessero farci nulla. Sospirò, provando a prendere quanto più ossigeno possibile. Era sicura che quella sera ne avrebbe avuto bisogno. Si guardò ancora allo specchio, notò che era leggermente dimagrita dato lo stress degli ultimi mesi e cominciò a cercare gli accessori per il trucco. Aveva già messo il fondotinta quando sentì il citofono suonare. Si precipitò ad aprire sapendo che fosse Melanie. Aspettò che salisse le scale e alla fine la fece entrare, osservandola da capo ai piedi.
“Stai benissimo, Mel.”
La ragazza aveva indossato un vestito fino ai piedi, delle scarpe da ginnastica dall’aspetto comodissimo e poi una fascetta di fiori attorno alla testa.
“Pace e amore, sorella.”
Claire sorrise e apprezzò tanto quel modo di vestire. L’amica non si era mai fatta nessun problema a riguardo: indossava sempre i vestiti che voleva indossare e quando ne aveva voglia.
“Sei pronta?”




Eric aveva passato tutta la giornata a leggere. Quel giorno si era dedicato a Orwell e 1984. Aveva riscontrato troppe similitudini con la realtà, tanto che era trasalito più volte, continuando ad avere in mente i tre slogan: “La guerra è pace, la libertà è schiavitù e l’ignoranza è la forza.” Non riusciva a smettere di chiedersi come si potesse arrivare a quel punto e sentiva la malinconia farsi spazio dentro di sé; non sapeva se fosse per la pesantezza di Orwell o per altro, ma non era riuscito a scrollarsela di dosso nemmeno dopo una lunga doccia calda. A momenti sarebbe passato Robert con la macchina, i suoi genitori gliela avevano regalata per i diciotto anni, e lui era in tremendo ritardo. Recuperò la prima maglietta che stava dentro all’armadio e poi si infilò i jeans e le scarpe. Quando stava per allacciare l’ultima scarpa sentì il citofono suonare, perciò sistemò i lacci dentro l’ascensore.
“A volte sei peggio di una donna per prepararti.”
“E’ solo che ero impegnato.”
Non voleva dirgli della lettura perché sapeva che Robert non apprezzava tutto ciò e poi voleva tenersi quella parte del suo carattere per sé.
“Questa serata sarà bellissima, me lo sento.”
Eric aveva dei dubbi a riguardo, eppure provò ad assecondare l’amico.
“Magari è un locale originale rispetto agli altri.”
Arrivarono in poco tempo, data la vicinanza del posto da casa di Eric, e si inoltrano dentro la pista, dopo aver mostrato la prevendita e aver pagato il biglietto. Sentiva di nuovo quella paura allo stomaco e non vedeva l’ora di salutare Claire. Non la vedeva da un giorno e sentiva già la sua mancanza.
“Vado a prendere qualcosa da bere. Torno subito.”
Robert lo lasciò lì ed Eric cominciò a guardarsi intorno. Non voleva sedersi in una di quelle poltrone scomode, ma allo stesso tempo aveva bisogno di appoggiarsi a qualcosa. Si avvicinò alla console ancora vuota del deejay e lasciò che le sue spalle si adagiassero lì senza troppe pretese. Poco dopo scorse il suo migliore amico prendere in mano il primo bicchiere di liquido trasparente, il primo di innumerevoli, pensò Eric. Lanciò ancora una volta un’occhiata verso l’ingresso, sperando che da un momento all’altro potesse veder arrivare Claire. Vide solo Amy, quindi fece in tempo a spostarsi dato che lei non lo aveva visto. Odiava dover modificare i suoi atteggiamenti per evitare le persone ed era consapevole che non ci sarebbe riuscito per sempre. Si diresse verso Robert, provando a fare finta di niente, lasciandosi il fastidio alle spalle, anche se lui aveva alzato un sopracciglio.
“Chi stai evitando?”
“Nessuno.”
“Oh, guarda.”
L’amico indicò un punto ed Eric si girò a guardare.
“C’è Claire.”
Aveva uno sguardo perso, come se fosse spaesata, rimpiazzato dalla certezza che era solita avere sapendo sempre cosa fare e dove andare a parare. Ai jeans e la felpa, si era sostituito un vestito verde acqua che non faceva altro che risaltarle gli occhi. Splendevano in mezzo a quel buio, ma era sicuro che solo lui stava prestando tutta quell’attenzione. Il suo cuore aveva iniziato a pompare sangue più velocemente, la voglia di dirle tutto quello che provava lo invase completamente e aspettò che la ragazza lo guardasse, giusto per avere la conferma che non stava per rovinare tutto in maniera irreparabile. Si avvicinò verso di lei, vedendo le iridi di Claire sempre più vicine, eppure allo stesso tempo impazzite, ancora alla ricerca di qualcosa. Quando i loro occhi si incrociarono Claire sembrò calmarsi, come se la sua ricerca si fosse conclusa in quell’istante. Eric le sorrise e Claire, di rimando, fece lo stesso. Si avvicinò ancora, accorciando la distanza che continuava a separarli e a torturarli, quando sentì una voce chiamarlo.
“Eric.”
Aveva provato ad ignorarla, però adesso era sempre più vicina e non poteva farlo più.
“Eric, sono Amy.”
Sentì la manica della sua giacca tirare e si voltò verso la ragazza, togliendo Claire dal suo punto focale.
“Scusami… adesso non è il momento.”
Non gli interessava di essere scortese o di ferirla, doveva parlare con un’altra ragazza e non era lei. Le sue ciglia sbatterono più volte e in uno di quegli istanti, poco prima che si girasse verso Claire, vide il corpo di Amy avvicinarsi e le sue labbra poggiarsi sulle proprie.








spazio autrice
Credo che questo si possa intendere come un capitolone. Intanto, è stato introdotto il personaggio di Melanie, io la adoro da morire e so che la apprezzerete ancora di più in futuro. Poi, abbiamo avuto un assaggio di ciò che fanno Eric e Claire a scuola, della colazione "tanto temuta" con Amy  e la festa. La festa tanto attesa non è finita qui, il prossimo capitolo sarà concentrato su questo e soprattutto sulle ultime righe che apriranno scenari interessanti :D Spero che il capitolo sia di vostro gradimento, che la storia vi piaccia e grazie per i seguiti, ricordati e preferiti e soprattutto a coloro che lasciano sempre la propria opinione. Mi fa piacere leggervi e anche se sto un po' a rispondervi, lo faccio.
Grazie alla mia beta Hanna Lewis.
Vi lascio due link utili per la storia: gruppo facebook con anticipazioni, immagini e quant'altro e trailer della storia.
Grazie ancora e alla prossima!


















 

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Capitolo 5
*** 4. Riavvolgere. ***


 
 
Capitolo 4
presente
 


*I protagonisti del capitolo sono Eric e Claire, i loro POV si alterneranno.
Il nome in grassetto all’inizio del paragrafo cambia il punto di vista.*





"Come sono stati questi ultimi anni senza di me, Eric?"
"Normali."
Erano stati tutto tranne che normali, ma ad Eric uscirono quelle parole automaticamente. Non sapeva come avrebbe potuto descrivere al meglio la sua mancanza.
"Non ti credo, Eric. Non sei così banale."
Lui le sorrise. “Credo di esserlo diventato, sai?” Un sorriso opaco, il suo, quasi quanto il vetro di quel tavolino su cui si erano seduti. "Sono andato all'università, ho dato gli esami con voti discreti e a volte vado da mio padre per capire come funziona il suo lavoro.” Aveva le mani sudate e prese ad asciugarsele contro i pantaloni. “Poi ho seguito il tuo consiglio di prendermi il tempo per leggere quello che mi piace e sono qui."
Fece una pausa. Probabilmente era davvero banale, però si scocciava di inventarsi storie su se stesso, non con Claire. Gli era capitato molte volte di incontrare alcuni dei suoi vecchi compagni del liceo. Parlavano dei loro grandi progressi e delle loro vite andate avanti, facendo sentire Eric sempre allo stesso punto, con i piedi piantati a terra e con le braccia tese in avanti come a cercare di afferrare qualcosa di suo, che fosse solo suo.
Con sorpresa, vide le labbra di Claire aprirsi in un sorriso, accompagnato poco dopo dai suoi occhi.
"Sono felice che hai seguito il mio consiglio."
"Sì, mi sono ritagliato i miei tempi."
Sentirono qualcuno schiarirsi la voce accanto a loro e solo in quel momento si accorsero che era appena arrivata la cameriera.
"Volete ordinare?"
Aveva ancora una volta la conferma che con Claire il tempo si fermava. Diventava inesistente la concezione stessa del passare dei minuti.
"Un cappuccino per me."
Per quanto lo avesse creduto non era cambiato niente, nemmeno una virgola.
"Per me un caffè. Stretto, per favore."
Nemmeno una banale ordinazione al bar.
"Sempre uguale, eh?"
Aveva giurato che anche per Claire non era cambiato niente, perché a quella domanda lei aveva sorriso. Lo conosceva quel sorriso, lo sfoderava ogni volta che ammetteva qualcosa a malincuore. Solo adesso i suoi atteggiamenti gli sembrarono capibili, riusciva a leggerla e a comprendere cosa volesse dire. Solo adesso capiva che convincersi di averla dimenticata era stato inutile, che, per quanto fosse stato vicino a provare qualcosa per qualcun altro dopo tutto quel tempo, non era cambiato nulla. Continuava a guardarla allo stesso modo, osservandole le ciocche di capelli ribelli, sostando un minuto di troppo sulle sue labbra e perdendosi nei suoi occhi, come se in qualche modo riuscisse a trovare se stesso.
“Sempre uguale.”
E adesso, oltre all’azzurro, riusciva anche a leggere quella malinconia nei suoi occhi.
“Tu?”
“Io cosa?”
“Ti sono mancato?”
 
 
Claire sapeva che avrebbe dovuto aspettarsi quella domanda. Prima o poi sarebbe arrivata e lei, che si era ripromessa di schivarla a tempo debito, ne era stata investita completamente. Scostò lo sguardo dal suo migliore amico a un punto non definito al di là della finestra, per poi ritornare su di lui e rimanere seria, come se non avesse dovuto nemmeno chiederlo, perché era ovvio che le fosse mancato. Era troppo da ammettere, tanto che non sentiva nemmeno un arto del proprio corpo muoversi, quasi le fosse venuta meno tutta quella forza con quell’ammissione che da lì a poco avrebbe preso forma e suono.
“Sì.”
Forse rendeva poco un semplice “Sì” ma era sicura che fosse sufficiente. Non poteva dire che gli era mancato da morire o che ogni sera osservava il tetto della sua stanza senza riuscire a dimenticare l’ultima volta che si erano visti, o che ogni volta che passeggiava gli sembrava di vederlo in mezzo ai passanti.
Le sorrise, solo con la bocca, e riuscì a classificare quel movimento di labbra. Aveva imparato in tutti quegli anni, in tutte quelle volte che aveva rivissuto certi momenti, a discernere i vari sorrisi di Eric. Ce n’erano alcuni più pieni, colmi di gioia, e altri, come quello che aveva appena espresso, che celavano tristezza, troppa tristezza.
“Eric, perché sei triste?”
Prima non avrebbe detto una cosa del genere per paura, ma adesso non voleva più tirarsi indietro. Il ragazzo fu preso alla sprovvista, come se avesse voluto chiederle il perché di quella domanda, però si limitò a rispondere scuotendo la testa. Forse non era importante.
“E’ solo strano vederti dopo tutto questo tempo.”
“Anche per me.”
Non voleva dire che adesso era lì e che sarebbe rimasta poiché non era vero. Lei sarebbe partita la settimana dopo, sarebbe ritornata in Inghilterra e si sarebbe lasciata ancora una volta alle spalle Eric e il suo amore per lui. Cominciò a farsi strada nella sua mente, il pensiero che tutta quella situazione fosse un errore. Non avrebbe dovuto invitarlo per un caffè. Avrebbero dovuto salutarsi e poi andarsene per via della pioggia e la mancanza di un ombrello, ripromettendosi di vedersi successivamente. Non era pronta, Claire non lo era affatto e forse non lo sarebbe mai stata.
“Parlami di te. Come sono andati questi anni?”
L’aereo lo avrebbe preso comunque, solo con un bagaglio in più, che non avrebbe dovuto imbarcare perché lo aveva a portata di mano, provare ancora quel dolore; per tutte quelle cose che non gli avrebbe detto e per tutte quelle parole che continuava a pensare ma mai a dire, nemmeno quella volta. Nemmeno adesso che non aveva niente da perdere.
“Medicina lì è un altro mondo, si fa molta pratica e credo di averne bisogno.”
Provò ad allontanare i pensieri di prima, respingendoli, mettendoli in un angolo, e si concentrò a pensare a un suo sprazzo di vita divertente per far sorridere entrambi, per fargli capire che stava vivendo anche senza di lui nonostante risultasse difficile.
“Sono riuscita a fare una sutura decente dopo il centesimo pollo.”
Eric stava ridendo e lei rise con lui, ricordandosi il suono della sua risata, come una melodia ormai perduta.
“Non ti credo.”
“Ti giuro, ogni giorno dovevo comprare due polli per esercitarmi. La signora della macelleria non ne poteva più e io, per non buttarli, ho mangiato pollo in tutte le salse per mesi.”
Il ragazzo rideva ancora, come se non lo facesse da troppo tempo. “In compenso adesso so cucinare il pollo in qualsiasi modo.”
“E direi.”
Arrivò la cameriera a portare le ordinazioni. Il cappuccino fumante per Claire e il caffè ristretto per Eric, con i rispettivi bicchieri d’acqua.
“Zucchero di canna?”
Ricordava ancora quale tipo di zucchero preferisse, nonostante i tre anni. Annuì decisa e lui le passò la bustina di carta. Era sempre stato così gentile con lei, sempre a ricordarsi cosa preferisse e cosa le piacesse.
“A parte le suture, qualcos’altro?”
“Ho avuto modo di visitare tutta l’Inghilterra, anche Stonehenge. Ti ricordi quando volevamo andarci insieme?”
“Sì. È così inquietante come sembra?”
“Non è inquietante, anzi.”
“Davvero?”
“Ti da un senso di pace e solennità: è come se sapessi che quel posto ha un passato, e tu rispetti tutto ciò che c’è dietro.” L’aveva detto con un tono alquanto serio ed Eric sembrava apprezzarlo, tanto che la guardò interessato. “Ci passano ogni anno tantissime persone e si trova lì da secoli. Sarebbe bello se tu ci andassi.”
“E noi che eravamo convinti che fossero stati gli alieni.”
Claire ricordò quel pomeriggio e scoppiò a ridere. Avevano parlato del paranormale e non sapeva chi dei due avesse sparato quella massima, facendoli lacrimare dalle risate per una buona mezz’ora.
“Sembra passato tanto tempo, Claire.”
Di nuovo quel sorriso malinconico, insieme a quel tono sommesso.
“Tre anni.”
 
 
Eric pensò che dare uno spazio temporale alla loro mancanza facesse ancora più male. Come poteva essere stato per tre anni senza sentirla e vederla? Aveva vissuto senza di lei per tutto quel tempo, un sacco di giornate vuote e adesso sembrava impensabile vivere un altro minuto senza. L’uomo è dettato dall’abitudine; lui si era abituato a stare senza Claire e l’idea di non averla attorno era diventata sopportabile.
“Tre anni.”
Aveva ripetuto il numero di quegli anni per metterselo bene a fuoco nella mente. Aveva retto la sua mancanza, ma adesso sembrava tutto come prima, riprendendo l’amaro che aveva ingoiato così difficilmente l’ultima volta che si erano sentiti. L’ultima volta lei gli aveva scaraventato addosso la verità, quella che lui aveva fatto fatica ad ascoltare e che aveva appena ricominciato a fare male. Era una ferita mal cicatrizzata e ogni minimo urto poteva provocargli dolore, come in quel momento.
“Come stai, Claire?” Sentiva di doverglielo chiedere.  “Però davvero. Come stai?”
Per compensare tutte quelle volte che non l’aveva fatto perché credeva andasse tutto bene. Aprì la bustina di zucchero, lasciò che i granelli scivolassero in quel liquido e poi prese a girare il cucchiaio guardando la ragazza.
“I primi mesi sono stati difficili. Volevo solo tornare a casa. Non conoscevo nessuno, avevo preso una decisione difficile, ma adesso mi sto abituando. In fondo l’università lì dà molte più opportunità di qui e sono felice della mia scelta, nonostante le rinunce che ho dovuto fare.” Gli sorrise. “Quindi ora sto bene. Sento che ogni cosa è al suo posto.”
Eric ricambiò quel sorriso, anche se con finto entusiasmo. Non sapeva nemmeno lui cosa si aspettasse da lei; forse che riprendesse il discorso dall’ultima volta, che gli dicesse che era stato impossibile stare fuori. In fondo, sperava che lei potesse dire qualcosa, che si sbilanciasse almeno per una volta, che gli dicesse qualcosa, ma era Claire, non aveva mai fatto o detto niente senza che lui si fosse sbilanciato prima.
“Sono felice per te.” Deglutì a fatica. “Considerando che io sento di essere fermo, tu sei arrivata ad un punto della tua vita.”
Lui che si era sempre sentito incompleto e sapeva che quella parte mancante fosse lei, lui che aspettava che lei tornasse e lo tirasse per le mani. Claire che adesso stava bene ma senza di lui.
Percepì la ferita riaprirsi. Non sarebbe riuscito a sopportare nient’altro, quindi bevve l’ultimo sorso di caffè e poi osservò l’orologio.
“Sì, ne sono soddisfatta.”
Non riusciva guardare altro se non quel suo sorriso stampato in faccia, evitando di incrociare i suoi occhi, le sue spalle, la sua mano a sorreggerle la testa. Prendendo come al solito le parole per buone, escludendo la possibilità che la sua Claire potesse mentirgli.
“Si è fatto tardi. Devo andare a lezione.”
Aveva creduto di vedere dispiacere in lei, ma era sicuro di essersi sbagliato. In fondo la sua vita era andata bene fino a quel momento anche senza di lui. Si diresse verso la cassa, forse fin troppo velocemente, e offrì il cappuccino a Claire come ai vecchi tempi. Uscirono dalla porta prima che potessero dirsi altro e si girò verso la ragazza per salutarla.
“Allora, quando torni in Inghilterra?”
“Tra una settimana.”
Doveva aspettarselo.
“Sicuramente avrai le tue cose da fare.”
Ora voleva guardarla bene per l’ultima volta, per evitare che la sua faccia sbiadisse, che nei suoi sogni comparisse solo una chioma bionda poco davanti a lui che andava via, che lo lasciava lì.
“Sì, con la mia famiglia.”
Voleva ricordarsi degli occhi azzurri di Claire e delle sue lentiggini ancora più numerose.
“Magari ci vediamo la prossima volta che vieni qui.”
Ma la stava lasciando andare di nuovo.
“Va bene.”
E lei stava acconsentendo di nuovo.
“Allora ciao.”
Eric si avvicinò a Claire per salutarla. Dilatò le narici così da sentire la ragazza in tutta la sua essenza e si avvicinò alla sua guancia sfiorandola contro la sua. Poco prima di dirigersi alla seconda, la ragazza si mosse e lui le baciò l’angolo destro della bocca. Quella situazione era troppo familiare, già vissuta, e sapeva che da lì a poco l’imbarazzo sarebbe diventato insostenibile. Finse di aver dato poco peso a ciò che era appena successo, come se non fosse stato travolto da un mare di ricordi, e si allontanò sorridendole, provando a non scorgere la sua espressione e camminando verso una direzione ignota.
A ogni passo veniva alla mente un sorriso, una frase e l’ultima conversazione appena avvenuta; quasi fossero destinati a ripetere sempre le stesse cose, a ricadere negli stessi errori, sempre pronti a volersi fare male come se non fossero già soddisfatti di ciò che avevano passato.
Con Claire era come riavvolgere il nastro di una cassetta e mettere play, ogni singola volta.




spazio autrice
Credo che siamo arrivati al punto della storia in cui si inizia davvero a fare sul serio. Come avevo già accennato ogni tre capitoli avremo un capitolo al presente che riprende il prologo e in questo capitolo ci sono Eric e Claire cresciuti che parlano, si rincontrano con un po' di imbarazzo e finiscono per ricadere negli stessi errori. E' un capitolo nettamente più breve, ne sono certa, ma ogni parola è pesata e soprattutto riprende dialoghi già avvenuti tra loro due, che vedrete nei prossimi capitoli. Il senso è farvi capire che fondamentalmente non è cambiato nulla se non il tempo. Spero che il capitolo sia di vostro gradimento, così introspettivi io li adoro e credo che questo, insieme ad un altro, sia il mio preferito. Ringrazio tutti voi che nonostante l'estate continuate a seguire la storia quindi GRAZIE a chi recensisce, segue, preferisce e ricorda, e anche a chi legge silenziosamente.
Grazie alla mia beta, Hanna Lewis che è davvero splendida <3
Alla prossima e ancora grazie.
ps: per chi ha letto bittersweet memories, notare che Eric credeva davvero che sarebbe riuscito a dimenticare Claire con Charlotte. Per lui, Charlotte era la ragazza giusta al momento giusto.

 



 

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Capitolo 6
*** 5. Momenti. ***


 
 
Capitolo 5
3 anni prima
 


*I protagonisti del capitolo sono Eric e Claire, i loro POV si alterneranno.
Il nome in grassetto all’inizio del paragrafo cambia il punto di vista.*





Claire?”
Sentiva la voce di Mel sempre più vicina, ma lei si stava dirigendo verso il bagno, voleva piangere, voleva chiudersi dietro una di quelle porte e piangere. Aprì l’anta di legno di scatto e notò che c’era una ragazza prima di lei.
“Rispetta la fila.”
Ma Claire non riusciva a trattenere quelle gocce salate e la ragazza la stava guardando, insistentemente.
“Cos’è, il fidanzatino ti ha lasciata?”
Sentì un fiotto di rabbia invaderla, come se Eric potesse essere paragonato ad un inutile fidanzatino, come se il suo amore con quelle parole fosse insulso. Tirò su con il naso e si limitò a guardarla, fulminandola, sentendo ancora lacrime calde sul viso. Avrebbe voluto tirarle una scarpa in testa ma Melanie arrivò in tempo, abbracciandola.
“Non credevo mi avrebbe fatto così male.”
Di solito piangeva nella solitudine della sua camera, non si era mai lasciata andare a quell’emozione, però per quella volta avrebbe fatto un’eccezione. Sentiva che quella maschera si stava sciogliendo, come cera al sole, e non poteva rimanere indifferente riguardo a ciò che aveva appena visto: le labbra di Eric su quelle di Amy. Aveva visto i due baciarsi ed era scappata via, quasi la colpa fosse sua, ma lei cosa poteva farci?
“Claire, se vuoi possiamo tornare a casa mia. Mangiamo un gelato sul divano, parliamo e dormi da me.”
“Non credo sia il caso.”
Era sicura che il trucco le fosse ormai scivolato via, eppure cosa importava ora? Non aveva più senso che Eric la vedesse. Aveva passato ore della sua vita dietro a quell’outfit, quel trucco e quell’acconciatura per impressionarlo, ma adesso qual era il punto? Se non c’era lui a guardarla, che senso aveva tutto il resto? Provò a coprirsi gli occhi, come se così potesse nascondere anche i singhiozzi.
“Ascoltami, possiamo dire agli altri che ti sei sentita male. Nessuno noterebbe la nostra assenza.”
Forse aveva ragione Melanie, forse l’unica soluzione era andare via, però non trovava motivi validi per cui potesse giustificare la sua fuga. Non erano le sue labbra ad aver toccato quelle di Eric.
“Si è lasciato baciare.”
“Potrebbe averlo baciato lei.”
“I baci si fanno in due.”
“Non stai pensando lucidamente secondo me. Stava guardando te prima che Amy lo baciasse. Vi ho visti.”
Mel respirò, prendendo aria, e Claire la guardò, sentendo un pezzo del suo cuore pietrificarsi come se non riuscisse più a provare alcun sentimento. Di colpo trovò l’esigenza di andare lì fuori e dimostrare a se stessa che doveva farcela. Le era piaciuto vestirsi in quel modo, non poteva dire che fosse tutto per Eric, non poteva far girare tutto attorno a lui, non doveva. Si asciugò le lacrime e si diresse verso lo specchio, il trucco non era messo così male come pensava, così si sistemò al meglio con le dita. Guardò Melanie carica di entusiasmo, senza sapere cosa dire.
“Andiamo fuori, Mel. E’ arrivato il tempo di far uscire le unghie.”
Sarebbe stata una Claire diversa e se ne sarebbe fregata di Eric, di Amy e di cosa combinavano insieme.
 

Eric, non appena aveva sentito le labbra di Amy sulle sue, aveva provato ribrezzo, misto a un senso di nausea, tanto che l’aveva allontanata, provando a essere quanto più delicato possibile.
“Amy, mi spiace, ma adesso non è il momento.”
Doveva cercare Claire e parlarle, doveva dirle cosa provava per lei.
“Quando?”
“Non adesso.”
Cominciò a guardarsi intorno, provando a scorgere Claire da qualche parte. Cercava dei capelli biondi e quel vestito che sarebbe stato difficile da dimenticare. Si avvicinò ai divanetti, girò per la pista da ballo e poi ritornò al bar, deciso a bere qualcosa.
Riuscì a farsi dare il solito thè con dell’alcool dentro e continuò il suo giro con quel bicchiere di plastica in mano, sperando che le parole gli uscissero più fluide e che Claire facesse la sua comparsa da un momento all’altro. Pensò a come Amy lo aveva baciato poco prima e avvertì di nuovo lo stesso senso di disgusto. Dopo aver parlato con Claire doveva necessariamente parlare anche con lei, mettere in chiaro quella situazione che non faceva altro che creare malintesi. Bevve un altro sorso di quel liquido ambrato. L’alcool era forte nonostante ci fosse abituato, perciò non poté fare a meno di chiudere le palpebre e arricciare il naso. Nel momento in cui riaprì gli occhi notò Claire. Stava uscendo dal bagno ma gli apparve diversa rispetto al solito, non percepiva più la vivacità che aveva intravisto prima nei suoi occhi. Si diresse verso di lei, dopo aver posato il bicchiere da qualche parte, sicuro che le avrebbe detto qualcosa, però Claire, appena lo vide, cominciò a ridere.
“Cosa hai posato? Offrimi da bere!”
“Non è adatto a una ragazza.”
Lo aveva già sperimentato l’effetto dell’alcool su di lei.
“Allora offrimi altro, qualcosa di più leggero.”
“Va bene. Te lo vado a prendere.”
Si diresse verso il bar ritirando un altro alcolico, che sembrava più leggero rispetto al suo intruglio di thè e vodka, e si girò verso la pista. Claire non c’era e non aveva idea di dove fosse finita.


Claire, lo so che stai soffrendo.”
“Io? Non è vero.”
Era cosciente che in quel momento rappresentava l’apoteosi di tutte quelle cose che odiava nelle altre ragazze.
“Allora perché stai ridendo così?”
“Voglio essere più allegra, meno musona e non voglio più pensare ad Eric.”
Sorrise a Melanie, provando a convincerla. Effettivamente non voleva più pensare ad Eric, tanto lui non avrebbe mai provato niente per lei. Lo aveva anche detto a Robert che loro due erano solo amici.
“Sono d’accordo sull’essere musona, ma non puoi dimenticare una persona da un giorno all’altro.”
“Lo so, però ciò non esclude che potrei considerare altre persone.”
I suoi occhi si posarono su Robert, che rideva e scherzava con uno dei loro compagni di scuola. Dovunque il ragazzo si girasse riusciva ad imbattersi in qualcuno che conosceva. Vide le lampade sui muri spegnersi. Avevano cominciato a mettere musica insieme al solito buio da discoteca, caratterizzato dalle luci colorate tutte intorno al tetto del locale. Claire provò a guardare Robert, accarezzando l’idea di uscire con lui. Non era sicura di come sarebbero andate le cose ma voleva dargli una possibilità per conoscerlo meglio.
“Sto tornando, Mel.”
L’amica annuì e Claire si diresse verso di lui. In fondo poteva buttarsi per una volta nella sua vita, senza che ci fossero sentimenti e persone in mezzo. La musica era alta e Robert, non appena la vide, le sorrise avvicinandosi al suo orecchio.
“Stai benissimo.” La ragazza arrossì, cullata dal fatto che fosse buio, eppure decisa a dirgli quello che pensava.
“Io ci ho pensato… potremo uscire qualche volta.”
“Non ti ho sentito.” Si avvicinò a Robert, come lui aveva fatto poco prima e quasi gli urlò all’orecchio. “Davvero?”
Vide una scintilla nei suoi occhi, la stessa che a volte scorgeva negli occhi di Eric quando qualcosa lo appassionava. Si limitò a fare un cenno con la testa, evitando di doversi nuovamente avvicinare a lui.
“Allora ti passo a prendere domani alle cinque.”
Era sicura avesse detto così perché aveva accompagnato il gesto con le mani e Claire lo guardò un’ultima volta prima di tornare da Melanie. La canzone era appena cambiata e cominciò ad aver voglia di ballare, quindi si avvicinò all’amica e la prese per mano.
“Andiamo a ballare?”
Si diressero entrambe verso la pista da ballo e cominciarono a ridere. Si sentiva un po’ goffa in quel momento, come se fosse la prima volta che andava in discoteca e ballava ma decise di fregarsene. Quella sera voleva divertirsi, voleva mettere la sua vita tra parentesi e non pensare a niente; come se a ogni ondeggio potesse scacciare via un po’ di quel dolore, come se ogni sorriso di Melanie fosse fondamentale per attingere ad un pezzo della sua felicità. Portava la testa a destra e poi a sinistra, sorridendo con gli occhi chiusi e portando le braccia in alto come se ci fosse solo lei lì, come se fosse in camera sua a ballare con la musica sparata al massimo. Riaprì gli occhi e vide poco lontano Eric, con il bicchiere che poco prima gli aveva chiesto di prendere. Smise di ballare e si avvicinò a lui.
“Grazie.”
Glielo aveva detto urlando e aveva afferrato il bicchiere, provando a buttare giù più di un sorso con pochi risultati. Gli sorrise, gli porse di nuovo il bicchiere e poi tornò a ballare accanto a Melanie. Percepiva due occhi perforarle la schiena ma decise di non curarsene. Sapeva fossero di Eric però aveva deciso di continuare a ballare, allontanando tutte cose. Sentì il ritmo della musica cambiare. Il deejay aveva appena cambiato canzone e Claire ebbe un colpo al cuore perché conosceva ogni singola parola di quel testo. Ascoltava quella canzone ogni volta che pensava ad Eric e non poté fare a meno di irrigidirsi per un attimo e poi girarsi verso di lui. Sapeva che parlava di loro.

You lift my heart up when the rest of me is down*

Eric sentì le prime note della canzone e incrociò gli occhi di Claire. Ed era come sentire un vero e proprio fremito attraversargli il corpo. Quella canzone l’aveva ascoltata troppe volte pensando a lei, a come si sentisse con lei attorno, a come fosse bella e come sapesse che lei era l’unica che lo capiva. Forse anche Claire sapeva che quella canzone parlava di loro. Forse quello era il momento giusto per dirle tutto ma sapeva l’effetto che un po’ di alcool faceva a Claire e non voleva rovinare quel momento perché era troppo importante per farlo sfumare così.
Continuò a guardarla ballare. Automaticamente bevve dal lato del bicchiere su cui poco prima Claire aveva poggiato le labbra e quasi si illuse che in quel modo riuscisse a toccarla. In mezzo a quella folla riusciva a distinguerla, riusciva a sostare più di un secondo sulle sue labbra, continuando a spostare le sue iridi dagli occhi alla bocca di Claire con il gioco di luci della stanza a fare da protagonista, rendendo a turno visibili parti della ragazza che ormai delineava a memoria nella sua mente. Dall’inizio della canzone Eric non era riuscito a staccarle gli occhi di dosso, come se ne fosse attratto magneticamente, e lei lo guardava allo stesso modo. Il ragazzo aveva notato che lei non lo guardava negli occhi come faceva di solito, era un nuovo modo di osservarsi, come se ci fossero solo loro due in quella stanza, Claire che ballava al centro della pista e lui che vedeva solo lei. Sapeva che anche lui era un po’ brillo e che poteva sbagliarsi, cadere in errore, illudendosi ancora come faceva a ogni sorriso che lei gli rivolgeva. Gli venne da ridere in mezzo a quella confusione, perché due giorni prima aveva detto a Robert che loro due erano solo buoni amici ma due amici non si guardano in quel modo; un amico non lo guardi fisso negli occhi mentre balli la canzone che lui ti ha dedicato mille volte senza che tu lo sapessi, quello stesso amico non dovrebbe guardarti in quel modo, non dovrebbe avere voglia di baciarti per ore, non dovrebbe avere immagini poco caste di voi due insieme.
Decise di staccare quel contatto visivo bruscamente, convenendo che non era lecito quello che stava facendo lui e che, se non aveva intenzione di dire qualcosa, doveva rimanere dov’era. L’alcool gli faceva fluire i pensieri più velocemente, uno dietro l’altro, però lo rendeva anche realista e dannatamente depresso. Diede le spalle alla pista da ballo, posò il bicchiere sul primo tavolino disponibile e gli sembrò di barcollare. Era ironico, lui era innamorato della sua migliore amica da un paio di anni e non aveva trovato il coraggio di dirlo a nessuno, lo sapeva solo lui e il suo cuore che si faceva male ogni volta che la vedeva, ogni volta che sentiva l’istinto di dirle qualcosa e non ci riusciva. Quanto poteva essere patetico? Poteva guidare una macchina, votare eppure non era capace di dire a Claire quello che provava. Si passò una mano sulla faccia, come a volersela coprire, sentendola ancora la fresca per via del drink freddo che aveva offerto a Claire e che aveva tenuto tra le dita troppo a lungo. Sentì le ultime note della canzone esaurirsi e si accorse di come sguardi, frasi e viaggi stretti in motorino non facessero un amore. Quella paura irrazionale che gli aveva attanagliato lo stomaco cominciava a diventare realtà e lui non poteva farci niente, perché le cose Claire stavano cambiando irrimediabilmente e lui era inerme. Scorse Amy uscire dal bagno e con un fazzoletto asciugare qualcosa. Era sicuro che lei stesse soffrendo e che fosse colpa sua, però non le aveva mai chiesto di volerlo, voleva solo che Claire lo volesse ma non era così. Sentiva l’aria mancargli, era diventato un posto troppo stretto e odiava il buio e quelle luci psichedeliche. Andò a cercare Robert. Lo avrebbe portato via. Ne era sicuro.
“Andiamo?”
Il ragazzo annuì e, senza salutare Claire, andarono via. Era la prima volta che succedeva quella cosa, lui che tornava a casa, senza farle sapere ciò che stava facendo. Entrò nella macchina di Robert in silenzio.
“Tutto bene, Eric?”
“Sì, certo.”
Avrebbe portato il discorso altrove, dove lui non avrebbe potuto fare altre domande.
“Stasera niente ragazza?”
“Mi basta l’incontro che avrò domani.”
Lo vide sorridere soddisfatto. Robert aveva qualsiasi ragazza ai suoi piedi, eppure non era sicuro che fosse una delle tante. L’amico sorrideva in quel mondo solo quando era davvero preso. Non indagò ulteriormente perché non si sentiva dell’umore adatto, voleva solo tornare a casa e dormire, senza tutti quei pensieri che gli vorticavano nella testa.
“Ho visto Amy baciarti.”
“Lasciamo perdere, Rob. E’ meglio che lasciamo perdere.”
Lui scoppiò a ridere.
“Non c’è niente da ridere.”
“E’ stato così brutto?”
“No, però mi si sta proprio appiccicando addosso e tu lo sai quanto odio queste situazioni.”
“Sì, lo so.”
Robert aveva imparato a guidare bene dal momento in cui i suoi genitori gli avevano regalato la macchina. Ogni volta che Eric saliva lì si sentiva in parte coccolato quando era in quei sedili forse troppo comodi rispetto a quelli della macchina dei suoi genitori.
“Ma poi vorrei capire cosa ho fatto per farmela appiccicare così tanto.”
“Sei solo gentile, Eric. Così come noi ragazzi davanti alla disponibilità di una ragazza pensiamo che voglia stare con noi, loro fanno la stessa cosa.” Accostò la macchina, sotto casa di Eric. “Altre vogliono solo essere ignorate. Le ragazze funzionano in maniera strana. Non ti aspettare mai segnali espliciti perché non ne avrai, Amy forse è un’eccezione ma chissà dopo quanti mesi ha deciso di baciarti.”
Forse se avesse ignorato Claire, lei lo avrebbe considerato.
“Ci vediamo lunedì a scuola?”
Eric annuì e scese dalla macchina salutando l’amico. Era poco convinto di ciò che aveva detto Rob, sicuramente era stato gentile con Amy eppure lo era stato anche con Claire, non perché si sentisse in dovere di farlo ma perché gli veniva così naturale trattarla con dolcezza, come se fosse l’unica che meritasse il suo amore. Salì le scale di casa e guardò l’orologio, le lancette segnavano l’una e fece in modo di non svegliare i suoi genitori. La loro camera si trovava prima della sua e cercò di fare quanto più piano possibile. Bevve prima un bicchiere d’acqua in cucina e poi si diresse verso il suo letto. Prese il cellulare dalla tasca, sperando che Claire gli avesse scritto qualcosa, però, come pensava, non vi trovò niente. Sicuramente era ancora in discoteca a ballare e lui aveva solo bisogno di dormire, di mettere in pausa tutti quei pensieri che rischiavano di farlo andare fuori di testa. Forse per quella sera era sufficiente chiudere gli occhi e riposare, senza scrivere quel messaggio di buonanotte che ormai mandava ogni sera. Come se fosse ancora ferragosto, come se le sfiorasse ogni volta la fronte con le sue labbra.
 

Claire, dopo la loro canzone, si era guardata attorno per capire dove potesse essere Eric, ma, nonostante lo avesse cercato dovunque, non vedeva né lui né Robert. Non poteva essersene andato senza salutare. Cosa aveva potuto fare per farlo andare via così? Controllò il cellulare per vedere se le avesse scritto senza trovare niente, diede un’altra occhiata in giro e per la prima volta, dopo che l’aveva vista baciare Eric, vide Amy. Sembrava stravolta in viso e andò verso di lei. Non poteva farle una colpa se provava qualcosa per la persona sbagliata.
“Dove sei stata?”
Stava cominciando a piangere. Claire guardò Mel e tutte si diressero verso il privè di cui Amy aveva tanto parlato.
“Cosa è successo?”
Era stata Melanie a parlare per prima.
“Ho baciato Eric.”
Era ancora difficile da sentire, senza che le venisse in mente l’immagine di loro due, con le loro bocche appiccicate. Fece finta di stupirsi, come se non avesse visto niente, come se non avesse pianto per quello.
“Oddio, Amy.”
Mel se n’era uscita con quella frase, come per esplicitare lo stupore di Claire e solo per rendere più reale quella situazione.
“Allora perché piangi?”
Aveva ripreso a singhiozzare e Claire, sebbene potesse avere tutti i motivi del mondo per avercela con lei, la ascoltò non sapendo cosa aspettarsi.
“Mi ha allontanata subito, dicendomi che mi avrebbe parlato poi.”
Era come se le si fosse sciolto il nodo che aveva dentro lo stomaco, tanto che iniziò a respirare per quella sera. Sentì il braccio di Mel avvicinarsi al suo, come se le volesse confermare che si era fatta castelli inesistenti.
“E quando parlerete?”
“Non lo so ma mi ha allontanata bruscamente.” Continuava a piangere. “Ho sbagliato, di nuovo. Io…” Lacrime come un fiume in piena. “Io provo sempre qualcosa per i ragazzi sbagliati e che non mi ricambiano.” Avrebbe voluto dirle qualcosa, però più ci provava più rimaneva senza fiato, le dispiaceva, Amy era sempre la sua migliore amica, l’aveva supportata in quei mesi, eppure non riusciva a pronunciare parola.
“Dai, Amy, in fondo non è l’ultimo ragazzo sulla terra. Magari gli piace già qualcuna.”
La ragazza guardò Melanie che aveva appena pronunciato quelle parole, Claire era allibita perché sapeva si stesse riferendo a lei ed era sicura che prima o poi Amy le avrebbe chiesto qualcosa.
“Tu ne sai qualcosa, Claire?”
Esattamente come aveva immaginato.
“No, Eric ed io non parliamo di queste cose.”
Le stava dicendo la verità. Loro non parlavano di quelle cose, loro non avevano mai accennato alla loro vita sentimentale dopo quel ferragosto. Per lei aveva cominciato ad esistere solo Eric e lui non aveva mai parlato di nessuna, solo che avrebbe voluto trovare una ragazza che lo capisse e lo facesse stare bene. Tutte qualità che Claire credeva di avere.
“E allora di cosa parlate, Claire?”
“Lui vuole una ragazza che lo comprende e che allo stesso tempo lo rende felice.”
Aveva urlato, lo sapeva ma ne era stufa e Melanie non era riuscita a fermarla.
“Ora ti faccio due domande, Amy, lo faccio perché sono tua amica e mi devi rispondere.”
“Va bene.”
Sapeva già cosa chiederle, sapeva già che lei non avrebbe risposto.
“Tu lo conosci Eric? Al di là della scuola e dei compiti in classe condivisi?”
Amy aveva sbarrato gli occhi, stando in silenzio.
“No, non lo conosci e quindi non riusciresti a comprenderlo.”
Era sicura di essere una persona orribile in quel momento però non doveva chiederle le cose in quel modo, lei non doveva raccontarle del suo rapporto con Eric perché era una cosa tra loro, solo loro due sapevano di cosa parlavano, non c’erano spettatori esterni.
“Seconda domanda.” Accompagnò il medio all’indice già teso. “Ci hai mai parlato per più di due secondi? Non considerando la colazione in cui lo hai praticamente incastrato per passare del tempo con te. La risposta è no, ad entrambe le domande.”  Amy era immobile, quasi pietrificata, come se la realtà le fosse piombata per la prima volta davanti.  “So solo questo, Amy. Cos’altro vuoi sapere?”
Non le importava di averla ferita, stava solo presentando la realtà delle cose a entrambe. Prima era convinta che Eric potesse ricambiare i sentimenti di Amy, che quel bacio fosse stato ricambiato ma Eric ed Amy non avevano alcun rapporto, erano solo compagni di classe che occasionalmente uscivano insieme il sabato: c’era solo Claire a legarli.
“Cosa mi dirà quando mi parlerà?”
Quello non lo sapeva nemmeno lei.
“Non lo so.”
“Potrebbe anche chiedermi di uscire.”
Vide Melanie alzare gli occhi al cielo. Stava per sbuffare quando si rese conto che lei stava facendo la stessa identica cosa con Robert. Non avevano nessun rapporto, Eric li legava tra loro, studiavano occasionalmente insieme, eppure le aveva chiesto di uscire. Sentì crollare il quadro realistico che aveva poco prima descritto a parole e si rese conto che in quella conversazione Eric avrebbe potuto dirle di tutto, anche di uscire un’altra volta. Le gambe le erano diventate molli e sentiva la testa girare sempre più velocemente, ringraziò di essersi seduta su quei divanetti e appoggiò le spalle contro lo schienale.
“Amy, non lo sappiamo. Potrebbe dirti di tutto.”
Mentre Melanie continuava a parlare, ricontrollò di nuovo il cellulare, era già l’una e mezza e di Eric nessuna notizia.
“E’ tardi. Io ho un sonno tremendo.”
Aveva tutto tranne che sonno ma voleva tornare a casa.
“Sì, chiamo mio padre.”
Mel lo aveva capito.
“Amy, vuoi un passaggio?”
La ragazza annuì e si ritrovarono a recuperare le giacche velocemente perché il padre di Mel aspettava fuori da dieci minuti. Il viaggio di ritorno in macchina fu silenzioso, tranne per qualche sbadiglio che a turno una delle ragazze faceva. Mel si era seduta al centro così da placare gli animi e avevano accompagnato Amy per prima a casa, salutandola con un semplice gesto di mano. Claire continuava a guardare fuori dal finestrino come se lì riuscisse a trovare qualche risposta, però era sempre più facile convincersi che doveva andare avanti, con o senza Eric. Prese il cellulare, constatò un’altra volta che non le fosse arrivato niente e nel buio della macchina, con il display a farle da luce, scrisse un messaggio per lui, come se dovesse chiudere in quel modo.
Non ti ho visto più. Sarai tornato prima a casa. Buonanotte, Eric.



spazio autrice Rieccoci qui, dopo quasi un mese, ma rieccomi qui. E' un capitolo ancora al passato che riprende il bacio di Amy e vediamo tutte le conseguenze di quel bacio, una Claire decisa che diventa indecisa e lo stesso vale per Eric. In questo capitolo vediamo tanto di Eric, cosa pensa lui e cosa prova soprattutto. Fino ad ora mi sono sempre concentrata molto su Claire, adesso è arrivato il momento di dare spazio a Eric. Non voglio dilungarmi più di tanto qui nello spazio autrice spero solo che il capitolo sia di vostro gradimento. Grazie come sempre a chi segue, preferisce, ricorda e commenta ogni singolo capitolo. Alla prossima. ps: la storia ha un gruppo su facebook, ecco qui il link: marty's footprints *la canzone è Disclosure - Latch
 

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Capitolo 7
*** 6. Trovarsi divisi. ***


Capitolo 6
3 anni prima


*I protagonisti del capitolo sono Eric e Claire, i loro POV si alterneranno.
Il nome in grassetto all’inizio del paragrafo cambia il punto di vista.*





Quella domenica, Claire aveva aperto gli occhi alle due del pomeriggio. Sua madre era arrivata in camera sua velocemente, a spalancare le tende e poi la finestra, ma giurava che la prima cosa a cui aveva pensato era un’imprecazione nei confronti di quella donna e nient’altro. Vide la sagoma di sua madre muoversi verso la porta, girarsi per guardare la ragazza e dirle che era già pronto il pranzo. Claire sospirò, ancora sdraiata a letto, ancora senza un minimo pensiero a frullarle in testa, incrociò le dita sopra la pancia e provò a ricordare cos’era che l’aveva tanto turbata la sera precedente. Si disse che, forse, non era così importante, però alla fine le era piombato tutto, di colpo. Come un cortometraggio sparato sul tetto della sua camera, cominciò a rivivere la serata precedente. Amy che baciava Eric, lei che veniva colta da una crisi pianto in bagno, la discussione con Robert, come avesse deciso di dargli una possibilità e lei che ballava in pista guardando Eric dritto negli occhi, per un tempo più lungo di quanto potesse essere lecito sotto le note della loro canzone. Le sembrava di vedere tutto a rallentatore, mentre rideva e guardava Eric, accompagnando ogni nota, ogni loro nota, con uno sguardo più profondo, quasi volesse invitarlo a ballare, come se forse in quella pista senza regole tutto sarebbe stato più giusto, tutto sarebbe stato perfetto. Andò avanti con i suoi pensieri, immaginò Eric camminare verso di lei attraverso la pista, ballarle così vicino da non lasciare spazio all’aria e nemmeno alle parole. Scosse la testa e sospirò profondamente. Quel quadro non si sarebbe mai realizzato e lei non riusciva a ragionare lucidamente se immaginava Eric così vicino, così prossimo a un bacio. Si diresse verso la porta della sua camera e scese di sotto. Casa sua era composta da due piani; il primo che includeva la cucina, il salone e la camera da letto dei suoi genitori e il secondo piano dove c’erano la sua stanza e quella di sua sorella Vicki, più piccola di solo un anno. Erano molto legate, ma aveva l’innata capacità di spifferare tutto ciò che non la riguardava a sua madre, quindi Claire aveva imparato, a sue spese, che poteva ascoltare la sorella senza, però, raccontarle qualsiasi qualcosa, tranne se voleva farlo sapere a tutto al vicinato. Vicki andava in classe con Ian, il fratello di Melanie. Una volta le due amiche li avevano trovati a baciarsi al centro commerciale. Si erano avvicinate chiedendo spiegazioni, però entrambi avevano smentito tutto: erano state loro a vederli dall’angolazione sbagliata. Claire credeva che si fossero messi insieme perché, ogni volta che Mel veniva a casa sua, portava anche il fratello; era fin troppo sicura che non fossero semplici compagni di classe.
Entrò in cucina a passi letti, salutò con un cenno suo padre, mentre sua madre sistemava i piatti e Vicki era anche lei assonnata.
“Abbiamo due zombie a tavola.” Vide sua madre ridere, non riusciva a capire come facesse ancora a guardare suo padre in quel modo. Nonostante avessero appena compiuto vent’anni di matrimonio, continuava a ridere a ogni sua battuta. In fondo, Claire si immaginava così Eric e lei, a caso loro, a sorridersi, ogni volta come se fosse la prima.
“Dai papà, lo sai che il sabato per noi è deleterio.”
Claire andò a prendere l’acqua, ascoltando Vicki.
“Dobbiamo riposarci dopo una settimana di scuola.”
Suo padre cominciò a sbuffare. Sapeva che doveva dare loro tregua da quel punto di vista.
“Claire, dobbiamo parlare di una cosa importante.” Non le piaceva mai quando suo padre parlava di cose importanti e sospettava già qualcosa. “Tra un mese scadono le iscrizioni per l’università, hai deciso?”
Sapeva cosa volesse fare, aveva sempre avuto un amore viscerale per i bambini e si era sempre vista come una pediatra con il suo studio e tante piccole creature da curare.
“Mi è sempre piaciuta la pediatria, lo sapete.”
Aveva addentato il primo pezzo di carne e aveva cominciato a masticare.
“La mamma ed io ci abbiamo pensato.”
“Avete pensato a cosa?”
“Claire, ti vogliono mandare fuori.”
Sua sorella era sempre diretta. Sembrava sapere sempre tutto prima degli altri.
“State scherzando?”
Adesso era nervosa e non sapeva nemmeno per quale motivo. Si toccò ripetutamente con il pollice il mignolo della mano, sgombra dalle posate. Faceva così quando era tesa.
“Sappiamo quanto vali e ci piacerebbe che tu andassi in Inghilterra a studiare.” Eric, avrebbe dovuto lasciare Eric lì, non lo avrebbe più visto per mesi. “Sei brava a scuola, lì riusciresti a dare ancora il meglio di te.” Non poteva rinunciare al suo migliore amico, non era così che si era immaginata la sua vita universitaria.
“Ma io la lingua non la so parlare bene.”
La prima scusa per non andare.
“Vicki ci ha detto che segui serie televisive prettamente in inglese.”
Non poteva starsi zitta?
“Tra parlare e comprendere c’è differenza.”
Se da un lato non voleva lasciare Eric, dall’altro andare in un altro stato a studiare era il sogno della sua vita, si era sempre immaginata a camminare con maglioni doppi addosso, in una città del nord con il freddo che provava ad entrarle dentro alle ossa. Non sapeva dove potesse trovare argomentazioni valide per non andare lì perché lei, soprattutto lei, si trovava divisa, con un piede dove si trovava in quel momento e l’altro decisamente più a nord.
“Hai tempo fino a Giugno per pensarci, poi dovrai prendere una decisione.”
Si sentì sollevata. Non poteva prendere una decisione così velocemente, soprattutto quella che era così importante. I suoi genitori le stavano proponendo il meglio, alcuni avrebbero ucciso per fare quell’esperienza, era un ultimatum, ma per lei significava scegliere fra il certo e l’ignoto assoluto. Continuò il pasto, ascoltando le parole di Vicki sulla giornata precedente, sua madre che raccontava dell’ennesima telefonata con sua zia e suo padre che rideva e che nel frattempo la osservava, silenziosamente. Ascoltando le vite degli altri, si era per un attimo dimenticata della sua. Guardò l’orologio e notò che si erano già fatte le tre. Due ore dopo sarebbe arrivato Robert. Sapeva di non stare investendo troppe energie in quell’appuntamento. Se fosse andata in Inghilterra non avrebbero mai potuto iniziare un rapporto duraturo, non avrebbe potuto farlo con nessuno, nemmeno con Eric. Asciugò i piatti, che sua madre si ostinava ancora a lavare a mano, e poi salì in camera sua, tutto accompagnato da un silenzio tombale. Aprì la porta e si soffermò sull’uscio. Se fosse andata fuori non ci sarebbe stata più la sua quotidianità con quella camera: il suo telefono rosa di Minnie, la sua scrivania color mogano, i suoi quaderni comprati con Eric ogni primo settembre. Guardò il letto ancora sfatto e si andò a sedere, controllò il cellulare e vide che le erano arrivati due messaggi. Robert che le confermava l’appuntamento delle cinque ed Eric.
Già dormivo. Ci vediamo domani a scuola.
Sospirò. Sapeva che non era mai stato così lapidario. A volte capitava che Eric e lei passassero la domenica insieme, andando a prendere un gelato vicino casa, ma se non si vedevano parlavano tutto il giorno per messaggi. Era evidente che lui non avesse voglia di parlarle. Non le aveva mai scritto che si sarebbero visti l’indomani, le aveva sempre fatto qualche domanda, anche la più banale.
A domani. Buona giornata.
 
 

Eric osservò quel messaggio e, per la prima volta, non seppe cosa risponderle. Lanciò il telefono accanto a sé e continuò a fare zapping con la televisione. Erano già le cinque del pomeriggio e, fin troppo lentamente, stava continuando una di quelle domeniche che odiava, con una splendida giornata fuori e lui dentro casa. Premette il tasto rosso del telecomando, si buttò sulla poltrona di camera sua e chiuse gli occhi. Voleva prendersi quella mezza giornata per pensare e per sapere come avrebbe affrontato la settimana successiva. La scuola, per loro del quinto anno, si sarebbe conclusa ufficialmente Mercoledì. Giovedì avrebbero avuto la cena di classe e poi non si sarebbero più rivisti fino alla maturità, fino alla prima prova di italiano. L’indomani e Martedì poteva rimanere a casa, però la classe aveva deciso di vedersi per pianificare le strategie che avrebbero attuato insieme ai professori per la maturità. Si decise che, in una di quelle due giornate, avrebbe parlato con Amy, perché quella situazione era diventata un peso enorme ed aveva bisogno di dirle tutto, nonostante gli dispiacesse. Sentì la luce del sole riscaldargli l’occhio e si spostò più lontano dalla porta, grazie alle ruote della poltrona. Si soffermò a guardare la bacheca che l’anno prima, per il suo compleanno, Claire gli aveva regalato. Non c’era nessuna foto in cui non avessero facce buffe o lingue di fuori. Erano venuti male, ma credeva che racchiusa in quelle foto vi fosse tutta la loro essenza. Claire era ormai un punto fisso nella sua vita, qualcosa di cui non riusciva a fare a meno. La serata precedente era stata chiarificatrice. Era sicuro di essere arrivato a un punto di svolta e sapeva che avrebbe dovuto dirle qualcosa. Quel silenzio, quel mettere a tacere i suoi sentimenti non gli faceva bene, per niente. Pensò a Robert e a quello che gli aveva detto: “Le ragazze funzionano in maniera strana”. Forse anche Claire era così. Lo guardava per una serata, ma poi in realtà non voleva stare con lui; lo abbracciava in motorino, però era solo un modo per non cadere e gli dava mille attenzioni anche se erano solo migliori amici. In fondo, quando lo capisci che la linea dell’amicizia è stata superata? Lo capisci quando succede a te, eppure quando devi capire se per la persona che ami è cambiato qualcosa è sempre più difficile. Si portò le mani agli occhi e cominciò a girare su se stesso, ancora seduto su quella poltrona. Forse se ne avesse parlato con qualcuno le cose sarebbero state più chiare, magari Claire aveva degli atteggiamenti che lui non era mai riuscito a cogliere e forse avrebbe avuto una conferma che si era solo illuso fino a quel momento. Sapeva che Robert era l’unico a poterlo capire. Aveva più esperienza di lui con le ragazze e, conoscendo Claire, poteva dirgli qualcosa. Voleva rischiare. Se poi lo avesse detto a tutta la scuola, poco gli importava ma quantomeno si sarebbe tolto quella curiosità. Voleva sapere come gli altri vedevano lui e Claire, voleva capire se era vero che loro due si guardavano come se stessero per spogliarsi da un momento all’altro. In quel momento, gli sembrò di percepire una chiarezza mai avuta. Chissà, la risposta a tutto era quella: condividere con qualcuno quei mille dubbi che lo assillavano.
 
 
 

Claire si era fatta trovare sotto casa sua alle cinque in punto. Non voleva che Vicki la vedesse e nemmeno che sua madre le facesse delle domande. Robert era arrivato puntuale e quell’appuntamento si stava rivelando piacevole. L’aveva portata in giro con la macchina, erano stati sdraiati al parco per più di un’ora a prendere in giro la scuola e i loro professori, le aveva fatto ascoltare i suoi cantanti preferiti e Claire fu sorpresa di scoprire che molti piacevano anche a lei. Attraverso lo sguardo di Rob, tornava spesso alla serata precedente e al modo in cui Eric l’aveva guardata sulla pista da ballo, ma provava a concentrarsi sul presente e su quello che stava vivendo.
“Che ne dici se torniamo a casa mia per mangiare un gelato?”
Era sicuramente poco di classe, perché il gelato dovresti offrirlo fuori, però sapeva che era solo una pretesa per salire a casa sua e baciarla. Aveva annuito convinta perché voleva prendersi tutto quello che poteva da quell’appuntamento. Era sempre stata convinta che un bacio riuscisse a farti avere un quadro completo della persona, e voleva capire bene Robert e se mai avesse potuto provare qualcosa di forte per lui. Posarono la macchina in garage e salirono l’ascensore. Avevano un paio di piani da fare insieme e, in pochi e semplici passi, vide il ragazzo avvicinarsi verso di lei e sfiorarle la mano. Claire percepì quel tocco come qualcosa di gentile, come una leggera carezza esitante, e notò come per un attimo riuscì a sentirsi sollevata. Solo che per quanto avesse voluto lasciare Eric fuori da quell’appuntamento, lei non ci era riuscita. Lui era lì dentro, in quell’ascensore, e la sua presenza era troppo grande per non essere sentita, per non essere percepita da lei.
“Prego, entra.”
Aveva varcato la porta in punta di piedi, sperando di non disturbare. Quando si accorse che non c’era nessuno in quella casa, che era quasi deserta, le intenzioni di Robert divennero sempre più chiare.
Probabilmente faceva con tutte quante così; per completare la giornata le portava in quella casa vuota a baciarsi o a fare altro. Nonostante il pensiero di Eric si fosse insinuato nella sua testa, nonostante adesso fosse fastidioso come un martello pneumatico alle sette del mattino, non riusciva a dirsi che essere lì con Robert fosse un errore. Era chiaro che Eric non la volesse e lei non poteva rimanere ad aspettarlo per sempre. In fondo, a prescindere dai suoi sentimenti, lui sarebbe rimasto il suo migliore amico, avrebbe sempre avuto un ruolo cruciale nella sua vita. Provò a sorridere, mentre percepiva Robert dietro lei trafficare con l’appendiabiti, e quando si girò verso di lui si mise a osservarlo meglio.  Cominciavano a piacergli quei capelli neri, quegli occhi castani di una sfumatura più scura rispetto a quelli con cui si rispecchiava troppo spesso. Robert aveva dei modi di fare che le piacevano. Tendeva a socchiudere gli occhi quando sorrideva, a toccarsi il naso ogni volta che era nervoso e a camminare come se ci fosse solo lui per strada: sotto sotto, una parte di lei, era contenta di essere uscita con lui. Si diresse verso la finestra. Aveva sempre adorato quella parte della casa.
“Claire?”
Era la prima volta in quella giornata che lui sussurrava il suo nome con quel tono interrogativo. Sapeva che sarebbe successa qualcosa se si fosse girata. Sentì i passi del ragazzo farsi più vicini e poi la chiamò un’altra volta. Non ebbe il tempo di dare le spalle alla finestra che lui l’aveva già baciata. Sentì qualcosa muoversi nello stomaco, le braccia muoversi verso il viso del ragazzo per approfondire quel contatto. Dal modo in cui la stava baciando, aveva capito che Robert stava esitando, così sfiorò, con la sua, la lingua del ragazzo per poi intrecciarle e continuare a baciarsi quasi senza respirare. Riusciva a non pensare a niente, solo che le sue labbra erano su quelle dell’ultima persona che immaginava e che in un certo senso le stava piacendo. Robert si staccò da quel bacio e prese ad accarezzarle il viso. Claire rimase con gli occhi chiusi lasciando che lui la toccasse in quel modo. Sentiva che se avesse aperto gli occhi sarebbe venuta meno tutta quell’atmosfera che si era creata. Il ragazzo andò a cercare di nuovo le sue labbra e lei, senza vederlo davvero, continuò a baciarlo forse con più trasporto.
 
 
Eric sapeva che avrebbe ricordato quella domenica come il giorno in cui aveva deciso di dare una svolta alla sua vita. Aveva preso il motorino ed era arrivato a casa di Robert. Quel giorno avrebbe detto al suo migliore amico tutto, avrebbe cercato in lui tutto quel conforto che da solo non riusciva più a trovare. Aveva corso per strada, aveva suonato come un pazzo al citofono dell’amico e Rob aveva aperto alla porta, preoccupato.
“Eric, cosa c’è? Sono occupato.”
“Ho bisogno di un consiglio.”
“Non può aspettare?”
Era davvero occupato, ma Eric aveva bisogno di lui in quel momento.
“Riguarda una ragazza.”
“Finalmente ti sei deciso a parlarne?”
Vide Robert gioire, forse avrebbe dovuto farlo prima.
“E’ della nostra comitiva.”
Sentì dei passi familiari, però decise di non farci caso, fino a quando vide Claire scostarsi dalla porta.
“Vuoi un consiglio per Amy?”
Aveva sentito ogni millilitro di sangue gelarsi dentro alle proprie vene. Lei era lì, la ragazza a cui avrebbe dovuto chiedere di uscire, era lì insieme a Robert e lui, pazzo per com’era, stava per descriverla fisicamente, stava per pronunciare il suo nome, stava per distruggere tutto, un singolo nome che gli sarebbe costato tutto.
“Sì, infatti. Chi è?”
Robert sembrava annoiato e non percepì nessuno dei sentimenti che Eric stava provando in quel momento.
“So che si parla di me, ma voi cosa state facendo insieme? Giusto per curiosità.”
Robert si avvicinò a Claire, prese la sua mano e sorrise felicemente verso Eric.
Continuò a guardarli, facendo scorrere lo sguardo da Claire, soffermandosi sulle loro mani intrecciate, a Robert. Lui stava cercando di sondare il terreno quando gli aveva chiesto cosa c’era tra lui e Claire.
“So… So… Sono.”  Aveva iniziato a balbettare e non lo faceva dalla terza elementare. “Sono felice per voi due.” Si stava mettendo le mani dentro alle tasche posteriori dei pantaloni. “Sì, insomma, avete trovato la vostra felicità.” Sapeva che non avrebbe dovuto aggiungere nient’altro, ma non riusciva a tenere a bada la lingua. “Mi fa piacere, sì, mi fa piacere.”
Claire gli sorrise e Robert le diede un piccolo bacio sulla fronte.
“Allora chi è lei, Eric? Sei venuto qui correndo, hai suonato un sacco di volte al citofono. Chi è? Vogliamo saperlo.”
Robert guardò Claire per cercare conferma e lei annuì.
“Nessuno.” Ancora quelle mani dentro alle tasche e lo sguardo verso di lei. “Credo che, se le chiedo di uscire, non accetterà mai. Sono stato uno stupido.”
“Dovresti chiederglielo comunque, secondo me. A noi ragazze piace un invito a cena fuori.”
Claire sorrise ed Eric avrebbe avuto voglia di chiederglielo, avrebbe voluto chiederle se le andava di uscire insieme, in quella pizzeria al centro di cui avevano parlato tempo prima ma non poteva, perché lei adesso stava con il suo migliore amico e non poteva dirglielo. C’era tutta una logica folle nei rapporti tra le persone e a lui mancavano tantissimi passaggi di come quei due si fossero messi insieme. Robert non glielo aveva detto, Claire non aveva mai accennato a nessun ragazzo e, per come si guardavano, aveva sempre creduto che potesse esserci qualcosa tra di loro, sicuramente tacita e nascosta, però dannatamente reale. E adesso era fottuto. Se entrambi avessero saputo i suoi sentimenti, si sarebbero allontanati.
Robert lo avrebbe deriso, perché faceva così con i ragazzi con cui si contendeva le ragazze, e Claire lo avrebbe guardato male. Ci sarebbe stato il silenzio imbarazzante quando loro tre si trovavano soli nella stessa stanza, ci sarebbero state diverse conseguenze che Eric voleva evitare. Così si decise a non dire niente.
“Non mi piaceva così tanto, in fondo.”
Nessuno dei due lo aveva preso in considerazione e nessuno dei due aveva bisogno di sapere.
“Allora vado.”
Aveva salutato entrambi con un cenno e se ne era andato.  Potevano fare quello che volevano della loro vita ma non credeva possibile che si fosse messa con Robert. Non c’era nulla di logico nel suo comportamento, eppure lui non cercava logicità: solo l’amore di Claire, solo quello.



spazio autrice Vi avevo avvertite, capitolo pieno, con tantissime cose forse anche troppe. Questo spazio autrice secondo me è superfluo perchè il capitolo parla da sè, come sempre vi ringrazio perchè leggete, recensite e seguite le storie sempre con costanza e amore. Alla prossima e spero che il capitolo vi sia piaciuto :)  

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Capitolo 8
*** 7. Altri. ***


 
 
Capitolo 7
3 anni prima
 


*I protagonisti del capitolo sono Eric e Claire, i loro POV si alterneranno.
Il nome in grassetto all’inizio del paragrafo cambia il punto di vista.*







Claire aveva visto Eric andare via e Robert chiudere la porta poco dopo. Andò a sedersi sul divano della cucina, bianco come la neve.
“E’ il mio migliore amico, eppure a volte non lo capisco.” Lo vide grattarsi la nuca, formando un angolo retto con il braccio, e sospirare. “E’ venuto qui, suonando come un pazzo e non mi ha nemmeno detto di questa ragazza.” Lei non voleva continuare a parlare di Eric, però sapeva che cambiare argomento avrebbe destato qualche sospetto. “Io sono convinto che sia innamorato di qualcuna da tanto tempo, solo che non ho idea di chi sia. Non so se lo sai, ma ieri sera Amy lo ha baciato.”
Doveva montare la sua maschera di indifferenza, di nuovo. Non lasciare trapelare nulla, come se fosse esterna a tutta quella situazione, come una lettrice con i personaggi del suo libro preferito, distante ma presente.
“Sì, lo so. Amy me lo ha raccontato.”
“Solo che non gli è piaciuto.” Claire era stupita. Mel per l’ennesima volta aveva ragione. Il bacio non l’avevano fatto in due: Amy aveva baciato Eric, non il contrario.
“Sarà un bel colpo per lei. Non riesco a capire come si sia innamorata di lui parlandoci solo due volte.”
Sorrise e guardò Robert per cercare il suo assenso, ma d’un tratto era diventato serio.
“Come mi sono innamorato io di te. Non è difficile.”
Sentì le guance bollenti e abbassò lo sguardo, posandolo sulle sue mani. Nessuno le aveva mai detto qualcosa di così importante in maniera diretta e non sapeva nemmeno cosa rispondergli, non sapeva che lui fosse già alla fase dell’innamoramento. Si limitò a non rispondergli, forse per fargli capire che lei non aveva la stessa intenzione, che lei era ancora all’inizio di un qualsiasi rapporto.
“Claire, mi spiace… sono sempre stato troppo diretto.” Sentì la sua voce avvicinarsi, ancora il suo sguardo sulle proprie mani e il corpo di Eric adesso accanto a lei, su quel divano. “Stiamo almeno sei ore al giorno insieme e i sentimenti in qualche modo ce la fanno a nascere.” Si era schiarito la voce, sapeva avrebbe cambiato di nuovo argomento. “A ogni modo, Eric è innamorato. L’altra volta gli ho chiesto se lo fosse di una ragazza che conosciamo e lui mi ha risposto che erano solo amici. Non sono convinto che dica la verità, ma che motivo avrebbe di mentirmi?”
Claire era già a conoscenza di quel discorso e sapeva, anche, che stavano parlando di lei.
“Perché hai pensato a questa ragazza piuttosto che un’altra?”
Voleva giocarsi bene quella carta, voleva capire di più.
“Quando la guarda.” Sembrava parlare in maniera incerta. “Lo fa in uno modo profondo. È come se a ogni sguardo volesse conoscerla meglio.” Sapeva che voleva cercare le parole giuste per non sminuire quell’amore, l’amore di Eric. “Come se in quel modo potesse scavarle così a fondo da depositare un pezzo della sua esistenza in lei.” A Claire mancò il respiro, non aveva idea che Eric potesse guardarla in quel modo, non era possibile. Provò a mantenere il contatto visivo con Robert, sperando che lui non scorgesse nulla nei suoi occhi, che fosse in qualche modo cieco. “Ma mi ha detto che sono amici, quindi forse me lo sono immaginato.” Le sorrise debolmente e si avvicinò a lei. Era stata così stupida a credere che Eric potesse essere lasciato fuori da quella porta. Forse Mel aveva ragione, su tutto. “A che ora devi tornare a casa?”
Controllò l’orologio. “Adesso andrebbe bene. Si è già fatto tardi.”
Rob si avvicinò al suo volto e le posò un leggero bacio sulle labbra.  “Prendo la giacca e ti accompagno a casa.”
Annuì e poco dopo si ritrovarono in quella macchina. Durante il tragitto risero, la ragazza provò a non pensare nuovamente a Eric, ma ad ogni parola di Robert ricordava cosa le aveva detto poco prima. Non si era limitato a dire perché avesse chiesto di quella ragazza piuttosto che di un’altra. Aveva descritto tutto un mondo dietro, di come lui credeva che Eric guardasse Claire e lei si era rivista in ogni parola. Era vero che Eric ogni volta che la guardava lo faceva in maniera profonda e lei, senza avere bisogno di uno sguardo di troppo, sentiva Eric insieme a lei, come legati invisibilmente. Guardò fuori dal finestrino, mentre sorrideva per Robert che cantava la sua canzone preferita a squarciagola, e in quel momento si sentì completamente sola. Se Eric non avesse continuato a depositare così tanto di lui dentro al suo cuore, lei avrebbe potuto continuare a vivere? Quando ne sei inevitabilmente assuefatta, c’è un altro modo di farlo? Era assurdo come quei pensieri le venissero in mente in quel momento, quando aveva appena finito di baciare Robert, il ragazzo con cui avrebbe potuto buttarsi tutto alle spalle. Si girò verso di lui, soffermandosi un attimo a guardarlo. Forse c’era davvero la speranza che potesse dimenticare Eric, forse con lui ci sarebbe riuscita. Robert parcheggiò e lasciò che Claire lo salutasse.
“Claire.”
“Dimmi.”
“Ti ho detto poco fa che sono innamorato di te e tu non hai detto niente.”
Si era dimenticata che lui potesse essere così diretto.
“Mi hai lasciata spiazzata.” Sapeva di telefilm americano, ma era vero. “E poi è solo il primo appuntamento.” Avrebbe voluto aggiungere che non stavano nemmeno insieme, però si limitò a sorridergli. “La strada è lunga.”
Lo salutò velocemente, scuotendo ancora la mano per poi salire a casa sua.
Doveva chiamare Mel.
 

Eric aveva sceso le scale lentamente, con una senso di vuoto dentro. Non gli rimaneva più niente, non c’era più la speranza, la voglia di dirle tutto, non c’era più niente per Claire e lui. Inserì le mani dentro alle tasche dei pantaloni, scese l’ultimo gradino e poi si diresse verso il suo motorino. Ci si sedette sopra, girò la chiave come era solito fare, afferrò le due estremità dello sterzo e rimase fermo, completamente immobile.
Claire non mi vuole, vuole il mio migliore amico. Riusciva a pensare solo a quello, a come le loro mani si stringevano, a come si sorridevano felicemente davanti ai suoi occhi, a come lo avessero completamente escluso. Robert, la sera precedente, aveva parlato di una ragazza e di una bella notizia, quindi parlava di lei, Claire, che si era decisa a uscire con lui. Perché non avrebbero dovuto dirgli cosa provavano? In fondo, nessuno dei due sapeva dei sentimenti di Eric per Claire e, fino all’ultima volta, lui aveva negato ogni cosa. Guardava senza vedere un punto fermo davanti a sé, ma aveva ancora il motorino acceso e nessuna voglia di muoversi.
Stai con il migliore amico e voglio vederti felice. Erano quelli i due fatti più ovvi che gli venivano in mente e voleva solo il meglio per entrambi, anche se significava sacrificare la sua, di felicità. Si decise a scendere il motorino dal cavalletto, mettere la freccia e girare la manopola destra per accelerare e andare via da lì. Provò a concentrare la sua attenzione sulla strada, sulle macchine che evitava perché come al solito gli venivano addosso, ma era tutto inutile. Continuava ad avere quelle immagini in testa, Robert e Claire insieme e avvertì una fitta tra le due costole, come se avesse potuto smettere di respirare da un momento all’altro. Girò di più l’acceleratore perché voleva tornare a casa prima, voleva sdraiarsi a letto e dormire, non pensare più a loro e a come avrebbe dovuto fingere da quel momento in poi. Sapeva che non ce l’avrebbe fatta a non farsi male, sapeva che avrebbe sofferto come un cane, che li avrebbe visti baciarsi naturalmente davanti a lui come se fosse la cosa più semplice da fare. Il dolore si intensificò, ma era ormai arrivato sotto casa. Posò il motorino dentro al garage e poi cominciò a correre verso il portone. Salì le scale e constatò che era solo dalla serratura con quattro mandate. Tolse la felpa velocemente e si buttò a letto, ancora con le scarpe addosso, con i vestiti sporchi di tutta quell’aria e quella strada che aveva percorso per due volte quel pomeriggio. Gli sembrò di sentire sua madre e i suoi rimproveri, Non metterti con i vestiti sporchi sul letto, ed era sicuro che lo avrebbero infastidito meno rispetto a quel vuoto, lacerante, che stava sentendo dentro di sé. Se c’era una cosa su cui aveva ragione, era che la paura di pochi giorni prima era fondata: avrebbe perso Claire. Era sicuro che tutto il tempo che lei adesso dedicava a lui, lo avrebbe rivolto a Robert. Non ci sarebbero più state le domeniche insieme, i pomeriggi a studiare tutte e tre, o quantomeno senza che lui si sentisse in qualche modo d’intralcio. Non ci sarebbero stati i pranzi dopo scuola, i sorrisi solo per lei, i messaggi prima di andare a dormire. Si sarebbe ridotto tutto ed era sicuro che l’avrebbe persa, che Claire non gli avrebbe più dedicato un suo sorriso perché c’era già Robert a renderla felice. Guardò la bacheca e, questa volta, con nostalgia. Non ci sarebbero più state altre foto da aggiungere, altri ricordi da accumulare o altri percorsi in motorino insieme.
 
 
 
Claire aveva il dito attorcigliato al filo rosa del telefono. Aveva raccontato a Melanie del pomeriggio e si era sentita rimproverare più volte.
“La prossima volta che mi dici che stai tornando, io vengo con te.”
“Mi è sembrata una buona idea e poi Robert è stato gentile.”
“Claire, forse tu non mi stai ascoltando.”
“Mel, ti sto ascoltando. E’ solo che ho bisogno, un bisogno viscerale di dimenticare Eric.”
“Lo hai capito che doveva chiedere a te di uscire?”
La ragazza trasalì. “Cosa stai dicendo?”
“Allora lo vedi che non stai ascoltando, ma soprattutto vedendo?”
“Cosa dovrei vedere?”
“A me pare abbastanza ovvio.”
“Cosa, Melanie?”
Appoggiò i gomiti sul tavolo, la mano destra attorno alla cornetta, ansiosa di sapere cosa lei non stava vedendo per l’ennesima volta.
“Qual è l’unico motivo per cui Eric, il tuo migliore amico, sarebbe corso da Robert di domenica pomeriggio?”
“Si era deciso a dire cosa provava alla ragazza che gli piace.”
“Esatto. Eric è il migliore amico entrambi. C’era un motivo per cui non dovesse dire più niente?”
“No.”
“Ha visto che stavate insieme e ha reputato opportuno non dire nulla.”
“Cosa avrebbe dovuto dire?”
“Claire, sveglia!” Mel sbuffò dall’altra parte del telefono. “Non poteva dire a te, che stai con Robert, di uscire con lui. Se la ragazza non fossi stata tu, credi davvero si sarebbe interrotto?” Era interdetta. “Inoltre avete parlato tanto di Amy, la colazione con lei, ed Eric non ti ha mai accennato di altre ragazze.”
Sentì gli occhi inumidirsi.
“Ho fatto un errore, Mel.”
Non poteva volerla, non poteva decidere di chiederle di uscire in quel momento, non con tutto quello che c’era in ballo.
“Andare da Robert? Lo credo anche io.”
Sentì la gola pizzicare. Era sicura che avrebbe pianto nei prossimi minuti, ne era certa. Aveva aspettato per troppo tempo quel momento, che lui le chiedesse di uscire, ma adesso aveva rovinato tutto, ancora. Il tempismo era pessimo, il loro lo era sempre stato.
“Perché non me l’ ha detto ieri?”
“Perché quell’idiota di Amy lo ha baciato e tu hai deciso di ridere e divertirti, rendendoti inavvicinabile.”
“Mi stai dando la colpa?”
“No, sto solo dicendo che tutti e due siete proprio scemi.”
Mel sospirò dall’altra parte del telefono, Claire riusciva a scorgere tristezza in quel sospiro, nemmeno paragonabile alla sua.
“E ora cosa faccio?”
“O parli con Eric e gli chiedi cosa sta succedendo, oppure non fai niente, assolutamente niente.”
“Sai, Eric, vorrei capire perché sei scappato.”
“E’ un inizio.”
“Va bene, lo chiamo. Ci sentiamo dopo.”
“Davvero?”
“Sì, a dopo.”
Aveva questi attacchi di impulsività. Sentiva il cuore batterle veloce e le parole sulla lingua, pronte a cadere giù per il dirupo. Si precipitò a prendere il cellulare, fece finta di non vedere il messaggio che Robert le aveva mandato pochi minuti prima e digitò velocemente il numero di Eric.
Stava ascoltando il terzo squillo, ma si era già pentita di quella telefonata alla fine del primo. Eric aveva risposto nel silenzio tra il quarto e il quinto squillo, quello che ti induce a chiudere e a far finta di non avere più bisogno della persona dall’altra parte del telefono.
“Claire, è successo qualcosa?” Aveva la voce stanca, ma allo stesso tempo agitata.
“No.”
“E allora perché mi chiami? Non sei con Robert?”
Solo il tono della sua voce bastava per farla vacillare ancora e ancora, come sempre.
“No, non sono con Robert.”
Stava cercando le parole giuste per non essere fraintesa, che non lasciassero spazio a interpretazioni.
“Eric, volevo chiederti cos’era quella scena oggi.”
Lo sentì trattenere il respiro.
“Non era una scena.”
“E allora cos’era?”
“Niente, ho solo pensato che non fosse più giusto chiedere a questa ragazza di uscire.”
“Noi siamo i tuoi due migliori amici. Dovresti dirci cosa sta succedendo.”
Non voleva che si sentisse accusato di quella sua mancanza nei loro confronti, però allo stesso tempo sapeva che quelle parole avevano quel tono.
“Voi siete i miei migliori amici, è vero.”
“Appunto, lo siamo.”
“Eppure mi avete nascosto cosa stava succedendo tra di voi.”
Si sentì come la peggiore persona al mondo. Robert e lei non avevano nascosto niente perché quella cosa non era nemmeno iniziata. Un bacio non significava un rapporto ben consolidato e lei voleva dirglielo.
“Non è come credi.”
Voleva dirglielo per fare in modo che lui le parlasse, che lui le dicesse davvero che era lei quella ragazza, che quella corsa l’aveva fatta solo per lei e non per un’altra.
“E allora com’è, Claire?”
“Robert ed io ci siamo baciati per la prima volta oggi.”
 
 
Per Eric era stato come spruzzare del peperoncino sulla sua ferita già infetta. Aveva ormai accettato che loro due stessero insieme, ma non aveva considerato che loro due si fossero baciati. Oltre al loro sfiorarsi le mani e sorridersi non aveva immaginato altro. Adesso, faceva ancora più male, come se già non fosse sufficiente quello che stava provando.
“Certo, se state insieme vi baciate, no?”
Era più una constatazione di fatto per se stesso che per lei.
“Non stiamo insieme.”
“E allora perché vi siete baciati?”
Non c’era logicità in quello che Claire stava dicendo.
“Eric, senti.”
Sentiva che, dall’altra parte del telefono, lei stava facendo una fatica immensa a dire quelle cose.
“Lo so che sei arrabbiato e tutto. Dovevamo dirtelo, è vero, ma è nato tutto all’improvviso.”
Sì, perché le coppie nascono da un giorno all’altro. I sentimenti si creano all’improvviso senza dare segnali!
“Robert mi ha detto che è innamorato di me, e io…” Era innamorato di lei? E quando era successo? Non glielo aveva mai detto, nemmeno accennato. Andò indietro con i ricordi a qualche giorno prima e si spiegò il motivo per cui l’amico era stato così esplicito chiedendogli di lui e Claire e del loro rapporto. “Eric, io ho bisogno di capirti meglio.”
“Che vuol dire?”
“Perché non hai detto più niente quando ci hai visti insieme?”
Avrebbe potuto dirglielo in quel momento il motivo, avrebbe potuto dirle tutto e togliersi quel peso. Si mise seduto a letto, respirando velocemente e sperando che lei non lo sentisse. Forse era quello il loro momento deciso, poi le cose sarebbero cambiate.
“Perché non volevo dirlo a te. Noi non abbiamo mai parlato di queste cose e non volevo metterti in imbarazzo.”
Claire era silenziosa. Non la sentì emettere nessun tipo di suono. L’aveva delusa e insultata nel peggiore dei modi: aveva reso inesistente la loro amicizia.
“Allora io e te cosa stiamo facendo?” La ragazza lo aveva detto piano.
“Siamo migliori amici che hanno deciso di escludere questa parte dal loro rapporto. Sarebbe poco carino se io facessi commenti maschilisti su altre ragazze.” In realtà, sarebbe stato poco carino descrivere cosa lui pensasse ogni volta che la vedeva. “E poi, Claire, nemmeno tu mi racconti delle tue avventure amorose.”
“Forse perché non ce ne sono?”
“Adesso c’è Robert, perciò credo sia più giusto parlarne con Melanie, e non con me.”
Aveva raggiunto un livello di idiozia molto elevato, associato al suo essere stronzo come pochi. Da dove gli erano venute quelle parole? Non ne pensava nemmeno una, eppure sapeva che quello era l’unico modo per non dire niente. Era assurdo come i suoi pensieri si riorganizzassero in quella maniera deleteria, tutto per non esprimere i sentimenti che provava per Claire. Solo per quello.
“Allora da ora in poi ne parlerò con Melanie.”
“Okay.”
Che idiota… il numero uno al mondo.
“Ci vediamo domani a scuola. Buona serata.”
“Anche a te.”
Chiuse il telefono e lo lanciò verso il muro. Poco importava se si fosse spaccato o meno. Provò a tranquillizzarsi, a prendere lunghi respiri, ma in quel momento l’unica cosa che voleva fare era urlare. Prese le cuffie e le infilò velocemente dentro alle orecchie.
Forse la musica sarebbe stata la sua cura, l’unico modo per estraniarsi dal mondo e resistere.





spazio autrice
Sono qui dopo un mese ad aggiornare, un altro capitolo molto pieno e carico di sentimenti. Eric e Claire sono intensi da scrivere e spesso risucchiano a me un po' di energia :) Sono fantastici a sapersi fraintendere, ma un giorno tutto questo dovrà finire.
Ringrazio le persone che fino ad oggi si sono presi il disturbo di leggere e recensire la storia, come dico sempre credo che la storia non ci sarebbe senza di voi quindi GRAZIE DI CUORE.
Vi lascio il link al mio gruppo, nel caso in cui voleste farne parte e vi ringrazio ancora.
Alla prossima ^^

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Capitolo 9
*** 8. Nessun'altro. ***


 
 
Capitolo 8
presente
 


*I protagonisti del capitolo sono Eric e Claire, i loro POV si alterneranno.
Il nome in grassetto all’inizio del paragrafo cambia il punto di vista.*






 
Claire sentiva ancora le labbra di Eric sull’angolo destro della bocca. Avrebbe voluto raggiungerlo e baciarlo come l’ultima volta che lo aveva fatto davvero, ma i suoi piedi erano piantati a terra con nessuna speranza che si potessero muovere. Lo stava guardando andare via da un paio di secondi, con lo sguardo fisso in quella direzione, fin quando non lo vide svoltare l’angolo e scomparire definitivamente. Quanto le aveva fatto male tutto ciò? Per quanto tempo avrebbe dovuto guardare i segni di ciò che quell’incontro le aveva fatto?
Portò un paio di ciocche dei suoi capelli dietro l’orecchio destro e si concentrò sulla sua borsa. Doveva necessariamente trovare le chiavi della macchina e tornare a casa. Era quella l’unica cosa a cui riusciva a pensare, non alle loro labbra vicine dopo innumerevoli giorni. Cominciò a cercare, però più girava la mano dentro a quel buco nero, più si rendeva conto che non poteva ricomporsi così, che non poteva togliersi Eric dalla testa a comando, ignorando tutti quei sentimenti che si erano di nuovo aggrovigliati malamente. Sospirò e posizionò la mano destra sul fianco, guardando avanti e sperando di scorgere nuovamente Eric. E quando lo vide effettivamente tornare indietro, smise di respirare.

Eric aveva deciso di interrompere quel loro assurdo modo di fare le cose. Scappare non era la soluzione e non lo era mai stata, così si convinse a tornare indietro. Se l’avesse trovata le avrebbe fatto tutte quelle domande che lo avevano tormentato per gli ultimi tre anni. Sperava che per qualche assurdo motivo lei fosse ancora lì. Posizionò i piedi sugli stessi passi che aveva appena percorso e, quando la vide ancora nel posto in cui l’aveva lasciata, sentì lo stomaco capovolgersi, per la prima volta da quando aveva deciso di tornare indietro. Tra i due il più codardo era lui, forse lo era sempre stato.
“Perché non mi hai chiamato in questi tre anni?”
Quella era la prima domanda, quella che lo aveva logorato di più.
“Sei tornata qui per le vacanze, ma non mi hai cercato nemmeno una volta.”
Claire sembrava spaesata, come se dovesse ancora rendersi conto di cosa stesse realmente succedendo, ed Eric era impaurito delle stesse domande, più che lecite, che le avrebbe fatto.
“Ero sempre sul punto di farlo, ma non l’ho mai fatto.”
“Perché?”
“Perché avrebbe fatto male sentirti.”
Si avvicinò a lei, ancora con le mani dentro alle tasche, solo per guardarla più da vicino e scorgere tutte quelle emozioni che, per la prima volta, lei gli stava comunicando.
“Non era già sufficiente che tu te ne fossi andata?”
“Sì.”
“E allora? Avrebbe fatto meno male. Lo sai pure tu.”
Si scompigliò i capelli, dandole un attimo tregua. Il suo sguardo era fin troppo penetrante e non voleva che lei facesse un passo indietro. Non poteva permetterselo.
“Eric, ti assicuro che mi sei mancato tantissimo, però eravamo arrivati ad un punto in cui era meglio allontanarsi.”
“Vorrai dire sparire.”
La vide sentirsi colpevole.
“Chiamalo come vuoi: allontanarsi, sparire, fuggire… come diavolo vuoi tu.”
“Non mi hai più detto nulla dopo quello che è successo tra di noi, eccetto che amavi Robert.”
Era difficile da ammettere senza che si sentisse male, senza che fosse così difficile da pronunciare e Claire rise, con la sua solita risata isterica di quando tu non hai capito nulla e lei ride per sottolineartelo.
“E tu ci hai creduto?”
“Claire, cosa vuol dire che ci ho creduto?”
Era visibilmente confuso. Perché avrebbe dovuto mentirgli?
“Ti ho detto che ti amavo da anni e tu credi davvero che io amassi Robert?” Continuava con quella risata e a guardarlo dritto negli occhi. “Tutti sono stati insignificanti rispetto a te, Eric. Non c’è stato nessuno che ho amato quanto te.” La vide gesticolare, ridere istericamente, ma allo stesso tempo rimanere ferita da ciò che lui aveva creduto, di come fosse stato convinto per anni che i loro sentimenti fossero così insignificanti. “Nessuno, Eric”
“E allora perché mi hai detto quella bugia?”
“Perché se non ti avessi ferito, se non mi fossi fatta schifo da sola, non sarei riuscita a prendere quell’aereo. L’unico modo era farmi odiare e ci sono riuscita.”
La guardò, provando a capire perché avesse deciso di farsi così male, e gli risultò semplice perché in fondo lui aveva fatto la stessa cosa per tutti quegli anni.
“Claire, adesso e dico proprio adesso, noi possiamo parlare. Abbiamo la possibilità di dirci la verità. Tutta la verità.”
“Che senso avrebbe?”
“Se hai mai provato qualcosa per me, è arrivato il tempo di dirmelo.”
“E poi?”
“Facciamo finta che rimarrai qui, che non dovrai prendere un altro aereo.”
“Ma io prenderò un altro aereo.”
“Teniamo in conto solo questo.”
Sapevano entrambi che le parole di Eric non erano casuali. Si erano ripetuti le stesse cose l’ultima volta, con la stessa sequenza, con lo stesso rammarico, con entrambe le voci rotte dai loro sentimenti strazianti.
“Non puoi dirmi questa cosa, non dopo che l’ultima volta sono stata io a dirla.”



Claire afferrò la borsa ed ebbe l’istinto di fuggire, ma le parole di Eric la portarono indietro, come sempre, come ogni singola volta.
“Tu sei stata la prima, Claire.”
“Cosa stai dicendo?”
“Tu sei stata la prima con cui ho fatto l’amore.” Si era avvicinato a lei. “La prima persona di cui mi sono innamorato.” Ed era troppo vicino, tanto che chiuse gli occhi un attimo, provando ad ascoltare più a fondo le sue parole. “Tu eri la mia migliore amica, la persona più importante della mia vita e, se io sono stato almeno per un po’ di tempo così fondamentale per te, me lo merito.” Sentiva le mani di Eric sul suo viso, delicatamente.
“Mi merito di sapere cosa provi.”
Riaprì gli occhi, guardandolo dentro alle sue iridi color nocciola.
“Ho un aereo da prendere tra cinque giorni e non posso.”
Lo disse allontanandosi, dandogli le spalle perché sapeva quanto potesse essere deleterio per lei guardarlo negli occhi e scorgerci tutta quella vita passata insieme.
“Non vuoi, tu non vuoi, ed è da tre anni che mi chiedo perché non vuoi e cosa ti ferma.”
Era ancora di spalle e sbuffò. Come poteva chiederle una cosa del genere?
“Ho una vita in un’altra parte del mondo. Da tre anni, ogni volta che torno a casa, faccio strade diverse per non incontrarti, allungo percorsi per non passare davanti a tutti quei posti dove siamo stati insieme. Giuro che ho provato a dimenticarti, ma non ci sono riuscita.”
Si era girata per dirglielo, in parte, guardandolo in faccia.
“Perché dimenticarmi se non lo vuoi?”
“Perché stare senza di te fa meno male di sentirti e averti ogni giorno accanto.”
Da lì a poco avrebbe pianto. Lo sapeva. La sua voce si era già abbassata di una nota.
“Cosa stai dicendo?”
“Gli anni del liceo sono stati i più belli, perché ogni giorno ero accanto a te, e giuro che avrei voluto dirtelo mille volte che ti amavo, però non ho mai trovato il momento giusto. Poi Amy mi ha detto cosa provava per te, Robert ha fatto lo stesso e la colpa è nostra.”
“Nostra?”
“Sì, noi ci siamo sempre appartenuti in silenzio, e non dicendo niente abbiamo reso inesistenti i nostri sentimenti agli occhi degli altri.”
E da parte loro, quella era stata la cosa più terribile da fare. Per quanto non lo avessero mai ammesso, quello era il peggio del loro rapporto. Non dirsi niente, non dire niente agli altri,  nascondere i loro sentimenti come se valessero poco quando, invece, significavano tutto.
“Lo so.” Vide Eric sconfitto. “Claire, adesso ci siamo solo noi due.”
La ragazza scosse la testa. “E un aereo per l’Inghilterra.”
“Lo capisci che non mi interessa?”
“Eric, ragiona. Come fanno due persone a stare insieme se non possono vedersi?”


Eric lo aveva capito. Claire era convinta che loro non potessero stare insieme, che non ci fosse il modo. Sospirò e la guardò ancora, sconfitto.
“Okay. Quando torni?”
“Tra un mese, per il compleanno di mia madre.”
Era un’idea folle, ma per la prima volta sapeva che non aveva nulla da perdere.
“Ci rivediamo tra un mese?”
“Poi dovrò andarmene di nuovo.”
“A me non importerebbe.”
“Perché dovremo rivederci?”
Vedeva incertezza nei suoi occhi, eppure non gliene poteva fregare di meno.
“Perché sono sicuro che non riuscirai a dimenticare facilmente questo.”
Si era avvicinato per baciarla, aveva posato le labbra sulle sue e, dopo anni, sapeva che ogni cosa fosse tornata al suo posto. Era come se si fosse risvegliato tutto di nuovo, come se avesse vissuto rapidamente ognuno di quei sentimenti che aveva semplicemente dimenticato, come racchiusi dentro a un sogno ormai sbiadito. Sentiva sotto il suo tocco i muscoli di Claire contratti, come a non sapere cosa fare, come se fosse incerta a ricambiare quel bacio, ma, se c’era una cosa di cui ormai era certo, era che la ragazza avrebbe ricambiato quel bacio. Le accarezzò i capelli con la mano destra e poi si mosse verso la nuca, per sentirla più vicina. E in quel momento Claire ricambiò quel bacio, abbandonandosi completamente ad esso. Eric osò cercare la lingua della ragazza e poco dopo erano già intrecciate tra di loro, come se non si fossero mai lasciate, come se avessero aspettato anni per quel momento, come se solo adesso in mezza apnea riuscissero a respirare regolarmente.
Erano per strada, in pieno giorno, con qualche goccia di pioggia a colorare i loro capelli, e continuavano in quel bacio senza sosta. Come se fossero tornati a tre anni prima in una stanza fin troppo conosciuta da entrambi. In quei momenti, Eric ebbe la consapevolezza che quel vuoto che aveva percepito, sempre come incolmabile, fosse Claire. Concentrarsi sempre sullo studio, sul lavoro di suo padre e sulle vite degli altri, gli aveva fatto perdere di vista se stesso e cosa lui avesse bisogno. Aveva sempre avuto bisogno di Claire e di tutto ciò che provava per lei. Si staccò da quel bacio e la guardò a lungo respirare, riprendersi ed arrossire violentemente.
“Un mese. Ci rivediamo qui il giorno dopo il compleanno di tua madre. Stessa ora, stesso posto.”
Non le diede nemmeno il tempo di rispondere. Le posò un bacio sulla fronte, le accarezzò i capelli e andò subito nella direzione opposta: sapeva che lei sarebbe stata lì.



 
Claire era sconvolta. Aveva il cuore sottosopra e non credeva ci potessero essere parole. Aveva sempre detto a se stessa che, se mai lo avesse rivisto e non avesse avuto ancora legami con qualcuno, lo avrebbe baciato solo per dimostrare che lo aveva dimenticato e che non avrebbe mai potuto provare qualcosa per lui, non di nuovo. Solo che adesso, quando credeva di aver fatto mille passi avanti ed esserselo lasciato alle spalle, era tornata indietro, terribilmente indietro. Fece un respiro lungo, guardandolo definitivamente andare via, e buttò fuori tutta l’aria che aveva in corpo provando a dimenticarsi di quello che era successo; del fatto che adesso c’era dentro più di quella volta per il suo compleanno e che avrebbe pensato per un mese a cosa fare, se presentarsi o meno, e poi ci sarebbe andata lo stesso, perché sapeva quello che provava per lui: lo aveva sempre saputo.
Cercò, nuovamente, le chiavi della macchina dentro la borsa e le trovò subito. Sorrise tra sé e sé e si rese conto di come il destino li avesse fatti baciare, di come il suo non essere scappata li aveva portati a quell’esatto momento. Come avrebbe fatto ad aspettare un mese? Non ci sarebbe riuscita, ne era consapevole, avrebbe passato quelle giornate a elencare tutti i motivi per cui non era giusto andare, per cui non poteva permettersi di andare, ma era sicura sarebbero sbiaditi non appena avrebbe ripensato a quel bacio e a come ogni cosa fosse giusta in quel momento. C’erano stati due momenti in cui ogni pezzo della sua vita era stato al giusto posto: la prima volta che avevano fatto l’amore e quel bacio, che sembrava aria pura e cristallina in confronto a quella che aveva respirato negli ultimi anni. Eppure alcune volte aveva creduto di respirare allo stesso modo, ogni volta che aveva provato ad innamorarsi di qualcun’altro, ogni volta che si diceva che quello sarebbe stato il ragazzo giusto per lei.
Solo che nessuno era giusto per lei. Nessuno a parte Eric.




spazio autrice
E' il 24 Dicembre e spero che vi faccia piacere vedere pubblicato il nuovo capitolo. E' come se fosse un piccolo regalo di Natale per voi lettrici che siete sempre qui a leggere e a seguire la storia. Questo capitolo del presente, a mio avviso, dice tante cose su Eric e Claire ma soprattutto sul loro passato. Ad un certo punto è cambiata qualcosa tra loro due ma poi sono subentrate altre situazioni che vedrete con il tempo e che potrete notare nei capitoli futuri sul passato. Spero che il capitolo sia di vostro gradimento e spero di ricevere i vostri pareri a riguardo :) Grazie per la costanza con cui seguite questa storia e alla prossima.
   



 

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Capitolo 10
*** 9. Malintesi. ***


 
 
Capitolo 9
3 anni prima
 


*I protagonisti del capitolo sono Eric e Claire, i loro POV si alterneranno.
Il nome in grassetto all’inizio del paragrafo cambia il punto di vista.*







Claire aveva chiamato di nuovo Melanie, digitando il numero di corsa, come se ogni minuto fosse diventato indispensabile.
 “Non voleva dirmelo, capisci?”
“Claire, mi sembra improbabile.”
“Dice che lui non voleva parlare di queste cose con me… Non abbiamo mai parlato di avventure amorose.”
“Questo è vero, ma ripeto che secondo me è andata diversamente.”
“Non mi pare.”
“Claire, ti dico la mia opinione solo una volta, poi non te la ripeto più e tu puoi fare quello che credi di quello che ti dico.”
“Illuminami.”
“Andiamo indietro nel tempo e seguimi questa volta.”
Trattenne il respiro. “Okay.”
“Allora, solo ieri sera Amy e lui si baciano. Tu piangi, giustamente direi, torniamo a ballare e lui non ti stacca gli occhi di dosso. Io credo che, se ci foste stati solo tu e lui, noi non staremo qui a parlare di cosa fa Eric e cosa fai tu.”
“Bene, continua.”
Sembrava non le sentisse nemmeno quelle parole, perché aveva avuto la stessa identica sensazione la sera prima, solo che aveva troppo paura di dire quello pensava, dato che fino a quel momento non aveva avuto nessuno con cui condividerle.
“Vi siete guardati in quel modo sulla pista da ballo e, poco dopo, lui se ne è andato.”
“Okay.”
“Poi lui è tornato a casa, ha dormito, ha riflettuto tutto il giorno su di voi e ha deciso di dirlo al suo migliore amico.”
“Perché proprio oggi?”
“Questo non lo so, ma, considerando che è da un paio di anni che questa farsa continua, si sarà deciso a dirti che ti ama.”
Claire stava per dire qualcosa, però le parole sembrarono non uscire dalle sue labbra.
“Tu hai baciato Robert, Eric vi ha visto insieme e adesso penso che sarà difficile riavvicinarvi. E’ evidente che si è creata una frattura tra di voi e dubito che riuscirà mai a fare un passo verso di te, non di nuovo, per lo meno.”
“Quindi credi che ho perso l’unica speranza che lui mi dicesse qualcosa?”
Sentì sospirare Mel dall’altra parte della cornetta. “Sì, credo di sì.”
“Cosa c’è di sbagliato in me, Melanie?”
Non riusciva nemmeno a trasformare quelle emozioni in lacrime.
“Niente, è solo il pessimo tempismo che avete sempre avuto. Mi spiace, Claire.”
Ma lei non riusciva a provare più niente. Aveva perso l’unica occasione che aveva per sentirsi dire ciò che provava da Eric e forse aveva perso davvero tutto.
“Okay.”
“Come “okay”, Claire?”
“Che posso dire? E’ solo un mio amico, il mio migliore amico, e in ogni caso non avrei detto nulla per via dei sentimenti di Amy nei suoi confronti.”
“Ma lui non vuole Amy. Vuole te.”
Mel era passata ad urlare.
“E anche se fosse così? Dovrei ferire Amy per stare con lui.”
“Claire, non ha senso. Ad Amy passa tra un paio di mesi; a voi due non passeranno i sentimenti che provate l’uno per l’altro.” La sentì ritornare ad avere un tono di voce normale. “Nemmeno tra cent’anni.”
“Okay. Vedremo, Mel.”
Forse Melanie aveva ragione. Una piccola parte della sua persona sentiva di darle ragione, eppure non riusciva più ad essere lucida. Quelle telefonate avevano messo in chiaro cosa voleva Eric da lei. Lo aveva detto lui. Non c’era niente da dire, nient’altro da fare.
“Mel, grazie per lo sfogo. Adesso però ti saluto, ché prima di cena vorrei andare a fare una doccia.”
Non era vero, ma aveva bisogno di chiudere quella telefonata.
“Domani vieni a scuola?”
“Sì, certo. La disposizione dei banchi è fondamentale per gli esami di stato, no?”
In qualche modo riuscì a sorridere.
“Allora a domani.”
“A domani, Mel.”
 
 
***
 
 
Aveva dormito a malapena tutta la notte. Continuava a svegliarsi, a rivivere i momenti con Eric, come tutti dentro a un grande sogno, senza considerare gli avvenimenti degli ultimi giorni. In quel dormiveglia non c’era spazio per lei e Robert, per il bacio con Amy. C’erano solo Claire ed Eric, a sorridersi, ad abbracciarsi, a viaggiare in motorino stretti stretti; tutti i loro ricordi più importanti di quegli ultimi anni, senza tralasciarne nemmeno uno. Quella dormiveglia era stata uno degli attimi più felici da mesi; lì non c’era spazio per i suoi rimpianti o per tutte le parole non dette. C’era spazio solo per loro e cosa c’era di vero nel loro rapporto. Alle cinque e trenta del mattino, nello stesso istante in cui era riuscita a riprendere sonno, aveva sentito il cellulare vibrare con un messaggio di Eric.
Non volevo dire niente di tutto ciò che ti ho detto, nemmeno una parola.
Claire aveva spalancato gli occhi. Era ritornata al loro discorso della serata precedente e lo aveva ripassato più e più volte a mente. A cosa si riferiva esattamente? Non aveva le forze per rispondere, né tantomeno per riprendere la discussione con lui. Per quella serata voleva cullarsi nei loro momenti felici, escludendo qualsiasi altra cosa. Provò a chiudere gli occhi la prima volta, sospirare, mettere il braccio sotto al cuscino per poi cambiare posizione e mettersi a pancia in su. Niente riusciva a farle riprendere sonno, niente avrebbe escluso Eric dai suoi pensieri, neppure quel sonno così invadente.
Avrebbe dovuto rispondergli in qualche modo, così riprese il cellulare che poco prima aveva posato sul comodino, e cominciò a scrivere qualcosa.
Non ti preoccupare, Eric. Mi sa che ultimamente non ci capiamo più.
Non appena rilesse il messaggio, subito dopo averlo mandato, si rese conto che forse avrebbe fatto meglio a non mandare l’ultima frase; era troppo personale e aveva fatto intendere più di quanto lei volesse. Si sdraiò a letto, ancora con il cellulare in mano e sapendo che non sarebbe più riuscita a dormire. A poco a poco Eric e lei si stavano allontanando, in mezzo a tutti quei fraintendimenti che ostacolavano il loro rapporto, come un muro che si ergeva velocemente tra di loro senza che riuscissero a fare qualcosa. Claire, però, non voleva perdere Eric, non aveva mai concepito una vita senza di lui, a prescindere dal ruolo che avrebbe avuto. Lo vedeva vicino a lei ogni volta che immaginava un momento futuro importante, lui insieme a Mel a sorriderle e a convincerla che andava tutto bene con loro accanto. Sospirò, si girò a guardare la finestra e vide le prime luci della giornata invadere la sua camera. Sperava solo che non fosse l’ennesima giornata di merda in cui si sarebbe pentita di essere uscita di casa.
 
 
Eric non aveva dormito per niente quella notte. Aveva solo pianto, soffocando ogni tipo di lamento con il cuscino. Il giorno precedente era stato il più brutto della sua vita. Ritrovarsi Claire e Robert insieme, dirle cose inutili al telefono per poi mandarle un messaggio in piena notte con le prime parole sincere che gli erano venute in mente, le prime dopo troppo tempo. Non riuscivano più a capirsi e ad ascoltarsi, ma lui non voleva perdere Claire. Più provava a non farlo, ad avvicinarla, a rendersi unico per lei, più si allontanavano, non si capivano e finivano per dire parole senza senso, quando avrebbero fatto meglio a stare in silenzio per evitare di ferirsi. Tutta la notte aveva rivissuto a piccoli passi la giornata precedente, per poi tornare ancora indietro soffermandosi su tutti quei momenti in cui Robert e Claire avevano parlato, provando ad identificare il momento esatto in cui avevano capito di poter stare insieme. Per Robert era stato semplice; era il suo migliore amico, in fondo, ed era certo che si fosse innamorato di lei quella volta, pochi mesi prima, quando Claire lo aveva aiutato durante il compito di fisica. Aveva parlato di lei per un paio di giorni, dicendo quanto fosse stata gentile, come avesse rischiato di farsi scoprire, ed Eric aveva pensato che le fosse solamente grato, però era troppo cieco per capire che qualcuno potesse innamorarsi di lei, che qualcun altro potesse amarla quanto lui.
Si era preparato per andare a scuola controvoglia, sciacquandosi più volte la faccia per fare andare via il segno di quella notte, dei suoi occhi rossi e di quel mal di testa martellante. Guardandosi velocemente allo specchio, si rese conto che l’unico modo per coprire quelle brutture era un paio di occhiali da sole. Nemmeno una donna si sarebbe fatta gli stessi problemi, ma in fondo quel giorno poteva fare quello che più credeva. Non c’era più nulla che potesse importargli.
Uscendo di casa, prese un toast e lo mangiò mentre scendeva le scale, prima di salire sul motorino e partire verso la scuola. Quel giorno avrebbe dovuto parlare con Amy e poi evitare Claire come se non ci fosse stato un domani. Non avevano niente da dirsi, eccetto tutte le cose che già sapevano, e voleva evitare di aprire discorsi, ormai diventati totalmente inconcludenti. Parcheggiò il motorino dentro le solite strisce bianche davanti al cancello della scuola e proseguì verso la classe. Erano tutti già lì, tutti a discutere su cosa fosse meglio. Vide Robert discutere con Richard, Claire parlare con Mel e sbuffare, ed Amy entrare dall’altra porta della classe. Non ce la faceva a sentire quelle chiacchere. Non erano compatibili con il suo umore né tantomeno con il suo mal di testa. Si diresse verso la lavagna, prese il gesso e cominciò a scrivere i nomi dei suoi compagni di classe con criterio. Sapeva che la complicità tra lui e Claire sarebbe stata centrale per la riuscita della seconda prova di matematica, che Robert era bravo a passare i compiti e che Melanie poteva essere messa ovunque, così da mobilitare Claire a passare più velocemente il compito.
“Ragazzi?”
Sapeva di avere una certa influenza in classe, ma ne ebbe conferma in quel momento. In pochi minuti tutti si girarono verso di lui e, nonostante potesse sembrare ridicolo con quegli occhiali, non dissero nulla.
“La disposizione è questa.” Quando vide che Claire lo stava guardando, provò a rimanere impassibile, a parlare a tutta la classe senza riferirsi direttamente a lei. “Come potete notare, ho considerato i gruppi e la vostra capacità di passare le cose agli altri.” Guardò la lavagna provando a spiegare. “Claire ed io stiamo al centro.” Appena cominciò a sentire gli altri borbottare, li interruppe subito.
“Vi ricordo che, nel periodo in cui eravamo seduti l’uno dietro l’altra, tutta la classe aveva sette ed otto.”
I suoi compagni annuirono.
“Noi ci occuperemo di passare il compito di matematica. Per il resto siete da soli. Dobbiamo essere veloci a fare girare le cose, chiari nella scrittura e soprattutto non dobbiamo farci sgamare.”
Osservò la classe, accorgendosi che tutti erano soddisfatti delle loro posizioni. Aveva considerato tutte le amicizie e i legami che si erano creati in quei cinque anni, senza tralasciare nulla. Sbatté le mani una contro l’altra, togliendo il gesso bianco in eccesso, e si diresse verso Amy, che in quel momento stava parlando con Jules, la ragazza che avrebbe avuto davanti durante gli esami.
“Amy?” La vide girarsi. “Devo parlarti un attimo.”
Un sorriso raggiante si dipinse sul suo volto ed Eric si rese conto che, siccome si era illusa davvero, doveva essere brutale, purtroppo. Uscirono fuori dalla classe, lei ancora con la bocca spalancata ed Eric sempre più infastidito.
“Dimmi, Eric.”
Si tolse gli occhiali così da guardarla dritta negli occhi. “Amy, il bacio di qualche giorno fa per me non ha significato niente.” Il sorriso le era appena scomparso dalle labbra. “Mi hai baciato, però io non provo nulla per te. Mi dispiace.”
Gli occhi di Amy cominciarono a bagnarsi di lacrime. Era prevedibile, eppure non poteva farci molto.
“Sei uno stronzo.”
“No, Amy, non sono stronzo.”
Aveva cominciato a piangere a dirotto davanti a lui.
“Sarei stato uno stronzo se non provavo niente per te, ti facevo credere il contrario, ricambiavo il tuo bacio e finivamo a letto.”Amy si era fermata a guardarlo. Non credeva di aver detto quelle parole. “Quindi non sono uno stronzo per averti detto come stanno le cose.”
Lasciò Amy lì, sentendo che correva verso qualcosa, forse il bagno, e rientrò in classe senza un motivo preciso. Poteva anche andarsene a casa per quello che ne sapeva, ma sentiva l’istinto di entrare in quella classe. Lasciò che la porta si aprisse e si richiudesse alle sue spalle, vedendo Robert vicino a Claire, più vicini di come fossero il giorno precedente.
 
 
Claire aveva osservato Eric uscire, parlare con Amy e poi rientrare. Nel frattempo Robert le parlava di qualcosa, anche se non riusciva a prestargli attenzione.
“Allora, Claire?”
Lo stava guardando solo perché aveva pronunciato il suo nome.
“Cosa?”
“Dopo vuoi venire con me?”
“Dove?”
Però stava continuando a squadrare Eric, ancora con gli occhiali da sole addosso e nemmeno a rivolgerle uno sguardo.
“In quella gelateria di cui parlavamo ieri.”
“Non lo so. Mel ed io avevamo da studiare insieme.”
Era solo un modo carino per dirgli di no. Gli interessava sapere come stava Eric. Doveva saperlo.
“Posso venirti a prendere dopo, quando finite.”
Claire lo fissò, per la prima volta durante quella conversazione e poi tornò ad osservare Eric.
“Se non sono troppo stanca, va bene.”
Lo guardò un attimo in faccia per confermare quello che gli stava dicendo e poi si mosse velocemente verso Eric, sedendosi vicino a lui.
“Cosa c’è, Eric?”
Lo vide girarsi verso di lei, ancora con gli occhiali addosso.
“Hai fumato?”
O forse aveva semplicemente pianto.
“No.”
Era un “no” secco e, quando lui le parlava in quel modo, voleva dire solo che non avevano più niente da dirsi.
“Allora perché non parli con me?”
“Perché così è più facile che non ci siano malintesi.”
Si era tolto gli occhiali e adesso la guardava negli occhi.
“Vuoi che il nostro rapporto sia così?”
“No, ma non possiamo non parlare più.”
Era sicura che avesse pianto. Aveva gli occhi rossi e un’aria stanca.
“Claire, davvero. Non voglio allontanarmi da te, quindi facciamo così.”
“Ma che stai dicendo, scusa?”
Eric la fissò ancora, immobile.
“Dovrei smettere di parlare con te soltanto perché abbiamo avuto un malinteso?”
“No, per la serie di malintesi di questi giorni.”
Sapeva che lui si stava riferendo anche al resto, al bacio con Amy, a Robert e lei insieme, e non solo alla discussione della sera precedente.
“Allora parliamone, parlane con me.”
“Non c’è nulla da dire.”
Eric raccolse i suoi occhiali e andò via. Claire rimase un attimo immobile, ancora con il braccio teso sul banco, verso la direzione in cui poco prima c’era il ragazzo di cui era innamorata e ancora con quella sensazione che di quel passo si sarebbero persi del tutto.
“Claire?”
Ci mise un po’ per capire che stavano chiamando lei. Se n’era fregata fino a quel momento che qualcuno avesse pensato qualcosa riguardo ai suoi sentimenti. Poteva anche essere una litigata tra amici, solo che Eric e lei non litigavano mai. Sentì la presenza di qualcuno dietro le spalle e, poco dopo, Melanie si sedette di fronte a lei.
“Claire, io torno a casa a ripassare. Vieni con me o vuoi rimanere qui?”
Era la prima volta che l’amica la osservava in quel modo, con quel suo sguardo visibilmente preoccupato, e poggiandole la mano sulla spalla destra, come se la capisse.
“Non lo so.” Ritrasse la mano che era ancora sul banco e incrociò le braccia al petto. “Anzi sì, passo prima da casa e poi ti raggiungo.”
Si alzò di colpo, constatando che la perplessità di Mel fosse più che giustificata, e si diresse verso la porta, consapevole che Robert non la stesse capendo e che da lì a poco le avrebbe chiesto spiegazioni.
“Claire, tutto okay?”
Le era venuto dietro e lei non aveva la forza di parlare con lui, di parlare con nessuno che non fosse Eric. Fermò i suoi piedi, troppo intenti a fuggire, respirò e si voltò, con un piccolo sorriso sulle labbra.
“Sì, Eric ed io abbiamo avuto un piccolo fraintendimento.”
Piegò leggermente la testa di lato e lui sembrò tranquillizzarsi. Evidentemente era riuscita a fingere bene.
“Ma niente di importante.”
Non era vero, però doveva solo essere convincente con lui, non con se stessa.
“Ora vado, ché prima di andare da Mel devo passare da casa.”
Aveva già percorso metà del corridoio quando lo sentì mormorare qualcosa.
“Okay, allora ci sentiamo.”
Solo non era sicura che avrebbe risposto.





spazio autrice
Il capitolo credo parli da solo. E' ambientato al passato, Claire ed Eric ancora a scuola e tutto riprende esattamente dalla loro ultima discussione che non è stata per niente chiarificatrice. Dal prossimo capitolo le cose cominceranno a muoversi molto di più, ci saranno due momenti importanti per i nostri protagonisti e quando leggerete ve ne accorgerete pure voi. Grazie come sempre a tutte voi, seguite, commentate e recensite e ve ne sono davvero riconoscente. A presto, Marty :)

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Capitolo 11
*** 10. Onestà. ***


Capitolo 10
3 anni prima


*I protagonisti del capitolo sono Eric e Claire, i loro POV si alterneranno.
Il nome in grassetto all’inizio del paragrafo cambia il punto di vista.*








 
Claire era appena uscita dal cancello quando vide Amy.
Provò a distogliere lo sguardo da lei, ma più ci provava, più ritornava a guardarla provando a capire cosa ci facesse fuori da scuola con le mani a coprirle interamente il volto. Non era dell’umore per ascoltarla, ma l’affetto che continuava a provare nei suoi confronti dopo gli ultimi avvenimenti prevalse completamente e si diresse verso di lei.
“Amy.”
La vide togliersi le mani dal volto.
“Che stai facendo qui?”
Le porse la mano per farla alzare ed Amy le afferrò tutto il braccio.
“Eric ed io abbiamo litigato.”
Si era persa quel momento, del tutto.
“Avevi ragione tu, Claire.”
E continuava a non avere idea di cosa stesse parlando, ma voleva far finta di saperlo.
“Non mi piace avere ragione se comporta vederti soffrire.”
Amy provò a sorriderle, Claire aveva appena detto qualcosa di dolce ma in fondo era inutile essere seccata con lei.
“Lo so.”
“E’ solo che, Amy, quando si tratta di ragazzi tu diventi troppo irrazionale. Lo scorso anno quel ragazzo lo hai fatto fuggire, con Eric non so cosa sia successo ma non sembra sia andata diversamente.”
Sospirò e volse lo sguardo verso il cielo.
“Mi ha detto che non mi vuole e gli ho pure dato dello stronzo.”
Non poteva crederci.
“Ma, come mi ha detto lui, non è stato stronzo.”
Amy non riusciva a guardarla in faccia.
“Affatto.”
“Perché?”
“Ha messo in chiaro i suoi sentimenti e non ha giocato con i miei. Avrebbe potuto assecondarmi e non l’ha fatto.”
Claire sospirò, era quello uno tra gli innumerevoli motivi per cui si era innamorata di lui.
“Avrebbe potuto usarmi e ha preferito non farlo.”
La ragazza si guardò le mani.
“E non riesco nemmeno ad odiarlo perché è stato troppo corretto nei miei confronti e io non mi merito niente di tutto ciò.”
Amy tirò su con il naso e guardò l’amica, stavolta dritta negli occhi.
“Gli sono saltata addosso e lui mi ha rifiutato per non farmi soffrire.”
Allora era vero.
“Avrei dovuto capirlo da quella espressione che dovevo lasciare perdere.”
Si sentì in pena per lei.
“E’ solo che dovresti approcciarti diversamente, Amy.”
“Lo so, me lo hai detto.”
“Mi spiace essere stata brusca l’altra sera, ma volevo evitarti tutto questo.”
Forse c’era ancora qualche speranza per loro.
“So anche questo, Claire.”
Si strofinò il dorso della mano contro l’occhio e sospirò.
“E ora?”
“Ora pensa solo agli esami, ho sentito che dedicarsi ad altro aiuta nelle pene d’amore.”
Si sforzò a sorridere, probabilmente avrebbe dovuto seguire il suo stesso consiglio.
 



 
 
Eric aveva visto Claire varcare il cancello rosso ed ero sicuro che non l’avesse visto. Era tornato indietro per prendere il casco che, insieme alle chiavi, aveva dimenticato in classe. Si era rimesso gli occhiali da sole ed era entrato in classe velocemente, prendendo ciò che aveva dimenticato e sperando che Robert non lo vedesse. Era quasi convinto che ci fosse riuscito, che nessuno gli avrebbe fatto domande, ma sentì la voce dell’amico raggiungerlo, insieme al suo corpo.
“Ieri poi te ne sei scappato.”
Da che pulpito arrivava quella predica? Aveva davvero detto quella frase?
“Sì, quindi?”
Era troppo nervoso per poter reggere quella situazione.
“Lo sapevo che ti sei innamorato di Claire, se no non te ne saresti scappato.”
Cosa stava dicendo?
“In realtà l’ho fatto per rispetto nei suoi confronti.”
Si era schiarito la voce.
“Claire ed io non abbiamo mai parlato dei nostri intrecci amorosi.”
Adesso aveva afferrato le chiavi del motorino, tanto per sottolineare che aveva fretta.
“Hai sempre avuto tu questa esclusiva, Rob.”
Era la verità e lui sembrava non riuscisse a replicare, per la prima volta era senza parole.
“Inoltre, abbiamo affrontato questo argomento e ti ho già risposto, non devo dirti più niente a riguardo.”
Afferrò il casco per metterselo sulla testa e lo superò, dato che gli stava di fronte.
“Allora dimmi chi è questa ragazza a cui vuoi chiedere di uscire.”
Si girò e gli sorrise.
“Non ne vedo il motivo.”
“Perché?”
“Considerando che tu non mi hai detto che volevi provarci con Claire, io non sono obbligato a dirti il nome della ragazza a cui voglio chiedere di uscire.”
“Non ha senso.”
“Lo so, ma evidentemente non tutte le cose vanno come vogliamo, giusto?”
Gli sorrise ancora, allacciò il casco sotto il mento e si girò. La sua espressione ritornò seria, come non lo era mai stata, e si diresse verso il suo motorino. Robert era l’ultima persona che avrebbe potuto fargli domande, era l’ultimo a dover pretendere delle risposte da lui. Salì sul motorino e poco di fronte la scuola vide Claire ed Amy parlare, l’ultima ancora con gli occhi lucidi e la sua migliore amica con la faccia dispiaciuta. Era inutile farsi delle opinioni a riguardo, possibilmente Amy aveva raccontato di quanto era stato stronzo e Claire la stava consolando. Sbuffò, appannando un po’ la visiera del casco, e poi si concentrò, calcolando il percorso più breve per tornare a casa. Cominciò a contare, per evitare di pensare, così sarebbe arrivato a casa distogliendo le discussioni appena avvenute e, per un po’, Claire.
Dodici, tredici, quattordici.
Per la prima volta dopo due giorni riuscì a dare un nome a quel sentimento che aveva e che non riusciva a sfogare in nessuno modo, la sua era rabbia, contro se stesso. Non gliene fregava niente di non essere stato messo al corrente dei sentimenti dei suoi migliori amici, loro non erano nemmeno al corrente dei suoi, era arrabbiato solo e unicamente con se stesso. Erano passati anni da quel ferragosto, dal primo abbraccio di Claire che aveva significato qualcosa e dalla prima volta che si era soffermato a guardarla bene, come se la stesse conoscendo in quell’esatto momento e da quell’istante non potesse più farne a meno. Senza rendersene conto, Eric non riusciva a bilanciarsi bene in motorino senza il peso di Claire e sentiva che lei era diventata indispensabile per lui. Si erano resi indispensabili l’uno nella vita dell’altra, senza che ne fossero a conoscenza e ancora prima di volerlo davvero. Non era mai riuscito a provare qualcosa di così profondo per quel qualcuno, se avesse dovuto classificare i suoi sentimenti per Claire li avrebbe inseriti sotto la categoria primo amore ed era arrabbiato proprio per quello. C’era qualcosa di irrazionale in quei sentimenti, qualcosa di illogico per l’amore che provava per Claire perché era nato all’improvviso e senza che lui fosse capace di fermarlo, eppure Eric era sempre rimasto fermo, dieci passi indietro ogni qualvolta che avesse voglia di dirle qualcosa. Era stato quello il suo errore più grande, aveva fatto passare tutti quegli anni prima di decidersi a dire a Claire cosa provasse e adesso, adesso non poteva più farci niente.





Claire aveva passato tutto il pomeriggio da Melanie a studiare.
Aveva deciso di chiedere pure ad Amy di passare il pomeriggio insieme e, nonostante temesse che la ragazza potesse parlare di Eric, erano rimaste tutto il pomeriggio a studiare. Avevano ripassato il programma di letteratura italiana insieme a quello di storia, provando a contestualizzare ogni autore con il proprio periodo storico, avevano fatto un lavoraccio ma riuscivano, dopo ore, a tenere ancora tutte le informazioni in testa.
Mel quel pomeriggio era stata particolarmente loquace, cercava di riempire i momenti morti con una battuta o rimpinzando le ragazze di dolci e bevande, senza che ce ne fosse realmente bisogno.
“Sono esausta, ma devo dire che sono soddisfatta.”
Claire le sorrise e poi guardò Amy, intenta a riscrivere una pagina di appunti presi da Melanie. Erano state bene tutte e tre insieme e riuscivano pure a studiare.
“Direi di rifare lo stesso nei prossimi giorni, che ne dite?”
Forse era prematuro chiedere una cosa del genere, ma Claire aveva bisogno di studiare e togliere dalla mente Eric e le ultime giornate. Vide Amy alzare la testa dai fogli e annuire, mentre Mel la guardava con un’espressione confusa, come se le mancasse un passaggio.
“Se per te va bene, Claire, a me va bene pure.”
Sorrise a Mel e poi prese le sue cose.
“Facciamo direttamente domani mattina?”
Voleva pensare poco e voleva solo studiare.
“Sì, okay.”
Prese lo zaino, lo appoggiò sulla spalla e si diresse verso la porta di casa, con Mel dietro.
“Claire.”
Parlava a bassa voce per non farsi sentire da Amy.
“Cosa è successo?”
“Stamattina abbiamo parlato e ha capito.”
“Anche di Eric e te?”
Scosse la testa.
“Quello no.”
Mel la guardò, era evidente che pretendeva di sapere di più.
“Guarda, ti chiamo stasera, okay?”
“Ecco.”
Proseguì verso le scale e sentì Mel chiudere la porta. Si portò la mano verso il giubbotto e controllò il cellulare, la schermata era talmente vuota che riusciva a scorgere l’orologio. Sospirò, da un lato era felice che Robert non l’avesse cercata così da non dovergli rifilare l’ennesima scusa, dall’altro Eric non l’aveva più cercata dalla discussione avvenuta quella mattina e tutto ciò non le piaceva. A prescindere da ciò che provava per lui, i loro rapporti non erano mai stati in quel modo e doveva fare qualcosa a riguardo, solo che in quel momento non ne aveva la forza ed era sicura che alla fine lui le avrebbe scritto qualcosa, qualunque cosa.
Alzò gli occhi, proprio nel momento in cui stava aprendo il portone, e vide Robert davanti a lei. Ecco il motivo esatto per cui non aveva visto niente sul suo telefono, per cui non l’aveva cercata. Diceva davvero quando parlava di venirla a prendere quando aveva finito con Melanie, ma lei era troppo stanca e non si sentiva di affrontarlo. Era stata fortunata perché lui non l’aveva vista e si nascose rapidamente alla sinistra del portone, proprio vicino al pulsante della luce. Tremava, aveva paura che lui potesse vederla e si mise in testa che poteva evitarsi tutta quella situazione, se solo avesse chiamato Mel.
Digitò in fretta i numeri e l’amica rispose al secondo squillo.
“Claire, che è successo?”
“C’è Robert qui sotto.”
Sibilava per paura che Robert potesse sentirla.
“E quindi?”
“Sono nascosta dietro al portone.”
La sentì ridere dall’altra parte del portone e quasi non si fece contagiare da quella risata.
“Lo so, Mel. Lo so, è ridicolo ma non voglio vederlo.”
“Prima o poi dovrai uscire da quella porta.”
In quel momento le venne in mente un’idea geniale.
“Amy è ancora lì?”
“Sì, perché?”
“Fai finta di dover buttare la spazzatura e accompagnala sotto.”
“Stai scherzando vero?”
“No, Mel. Ti prego.”
Forse in quel modo avrebbe potuto veramente evitarlo, ma Mel era in silenzio, nessun rumore aldilà del telefono.
“Mel?”
“Sì, okay. Scendi le scale e vai verso il garage, Amy ed io prendiamo l’ascensore.”
Non poteva nemmeno esultare più di tanto perché non voleva rischiare che Robert la sentisse aldilà del portone.
“Grazie Mel.”
“Questa volta però devi ricambiare il favore in qualche modo.”
“Qualsiasi cosa.”
“Bene.”
Non sapeva come avrebbe fatto senza di lei.
“Scendi le scale, io accompagno Mel e quando ho finito vengo da te.”
Controllò che Robert fosse ancora distratto e scese velocemente le scale. Sentì subito l’ascensore azionarsi, Amy e Mel salutare Robert e poi chiudere la porta. Scenari orribili si presentarono nella sua mente, Amy che straparlava, Robert che decideva di esprimere i suoi sentimenti a Mel, ma non appena sentì il telefono suonare attorno alla sua mano si interruppe tutto. Era sicura che Robert lì sotto non la sentisse e rispose al telefono.
“Pronto, Rob.”
“Claire, ciao. Dove sei?”
“A casa, perché?”
“Niente, sono arrivato un paio di minuti fa a casa di Melanie ma mi aveva già detto che eri andata via.”
“Eh sì, sono stanca.”
Provò a sbadigliare, forzatamente.
“Capisco.”
Probabilmente a furia di tirare quella corda si sarebbe spezzata.
“Allora in quel posto ci andiamo un altro giorno.”
“Magari dopo gli esami, sai ho troppa paura.”
Sentì il portone aprirsi, Mel fischiare, prendere l’ascensore e scendere dove era lei.
“Sì, certo.”
“Senti Claire.”
Da un momento all’altro le avrebbe detto qualcosa di importante e lei non aveva idea di cosa avrebbe sentito.
“Cosa Rob?”
“Se ti sei pentita di quel bacio, dimmelo.”
Non sapeva cosa rispondergli.
“Se in questo momento non sei pronta per stare insieme e hai bisogno di tempo, dimmelo.”
Era una stronza, con la “s” maiuscola.
“E’ solo che gli esami mi risucchiano troppa energia.”
“Lascia perdere gli esami, a me interessa di ciò che hai provato. Non sono stupido.”
“No infatti.”
Non era stupido, era stato così intelligente da capire che c’era qualcos’altro, che non erano gli esami, non era nemmeno la paura, era solo Claire ad essere il problema.
“E allora, dimmi tutto Claire.”
“Non c’è niente.”
Si schiarì la voce e poi continuò, non sapendo nemmeno se ciò che avrebbe detto fosse un minimo pertinente con quella discussione.
“Il litigio con Eric mi ha scosso, lui ed io ci stiamo allontanando e devo risolvere questa situazione.”
“Ne parli come se provassi qualcosa per lui.”
L’aveva bruciata, completamente e lei doveva essere veloce a rispondere.
“E’ il mio migliore amico e tengo a lui.”
“Anche io ci ho litigato oggi, ma questo non vuol dire che ci penso in continuazione.”
Claire poteva sentire che fosse seccato, anche se aveva provato abilmente a nasconderlo.
“Evidentemente diamo un peso diverso alle cose.”
“Guarda Claire, facciamo passare gli esami e poi magari ne riparliamo.”
Per una volta si sentiva capita e probabilmente, in quel modo, sarebbe riuscita a prendere il meglio da tutto.
“Va bene.”
“Allora buono studio.”
“Anche a te, Rob.”
Chiuse e vide la faccia di Melanie.
“Non guardarmi così, Mel.”
“Hai fatto l’unica scelta sensata fino ad ora.”
La vide salire le scale e controllare che Rob se ne fosse definitivamente andato.
“Il favore di poco fa me lo puoi ricambiare in un unico modo.”
La guardò dritta negli occhi, rigirandosi le chiavi in mano.
“Sii onesta con te stessa, Claire. Solo tu sai cosa vuoi.”

 





spazio autrice
Okay, ci siamo. Sono qui, dopo due mesi ma sono arrivata con questo nuovo aggiornamento. Dal capitolo sembrerebbe che la storia non si stia muovendo, che sia ancora ferma ma invece, come vedete, i nostri personaggi stanno cambiando le proprie idee e i propri modi di comportarsi. Spero che il tutto sia di vostro gradimento e la prossima volta passerà meno tempo per l'aggiornamento :) Vi ricordo che la storia ha un gruppo e mi piacerebbe molto sapere le vostre opinioni anche lì, dato che a poco a poco pubblico spoiler e quant'altro. Alla prossima e come sempre GRAZIE a tutti voi.

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Capitolo 12
*** 11. Futuro. ***


Capitolo 11
3 anni prima


*I protagonisti del capitolo sono Eric e Claire, i loro POV si alterneranno.
Il nome in grassetto all’inizio del paragrafo cambia il punto di vista.*








 
Martedì.
 
Claire.
Non mi ha cercato. Forse dovrei farlo io.
 
Eric.
Ha tutti i buoni motivi per non cercarmi. Sono stato irritante e giustamente ha preso le distanze da me. Dovrei scriverle qualcosa.
 
 
Eric: Scusa l’orario… Volevo solo sapere come stavi e come procede lo studio.
Claire: Procede bene. A te?
Eric: Benone. Allora buonanotte.
Claire: Buonanotte anche a te.
 
Mercoledì.
 
Eric.
Forse era meglio non scrivere niente. Non mi ha nemmeno detto come stava. È inutile che continuo a guardare quel dannato cellulare… Sono sicuro che non arriverà nulla.
 
Claire.
Non si può continuare così.
 
Claire: Buonanotte.
Eric: Buonanotte anche a te.
 
 
Era arrivato Giovedì senza che Eric se ne fosse realmente accorto. Gli ultimi due giorni erano stati un continuo strisciare fuori dal letto, studiare in cucina per poi mangiare qualcosa e ripetere il ciclo, il tutto condito con l’ossessione che gli era presa nel guardare il cellulare ogni singolo secondo. Con tutto ciò che stava succedendo in quel momento nella sua vita, gli esami di stato non riuscivano a intimorirlo. Claire era sempre più lontana, ma non riusciva a riportarla indietro, vicino a lui. Anche quella mattina, dopo aver controllato per l’ennesima volta lo schermo senza messaggi del suo telefono, si alzò dal letto e si trascinò in bagno, solo per sciacquarsi la faccia e lavarsi i denti. Non appena uscì, si diresse verso la cucina e sentì il citofono suonare. Sospirò infastidito, sapendo che fosse l’ennesimo postino o pacco da firmare, e camminò verso la cornetta.
“Chi è?”
“Sono Claire.”
La vista gli si annebbiò. Improvvisamente, si sentì le gambe molli.
“E ho portato la colazione, Eric.”
Se avesse aperto la bocca in quel momento era sicuro che avrebbe balbettato.
“Posso salire?”
Deglutì piano.
“Sì, sali.”
Si staccò dalla cornetta come se fosse rovente e cominciò a girare per casa. Perché era venuta? Non era stato sufficiente allontanarla? Che cosa avrebbe dovuto dirle? Era in condizioni pietose e non era pronto a vederla, non in quel modo.
Udì il campanello della porta suonare, ancora prima che riuscisse a dare un senso a tutto quello che stava succedendo, e si affrettò ad aprirla.
“Entra pure.”
Claire lo stava guardando dritto in faccia con una busta di carta in mano. Il colore delle sue guance era messo in risalto dal rosso del maglione che indossava. Notò in quell’esatto momento che quello non era un indumento qualunque. Era il maglione rosso che indossava solo quando aveva bisogno di una spinta in più per riuscire in qualcosa. E capì che quel qualcosa verso cui Claire aveva bisogno di essere spinta era lui. Per quanto si fossero allontanati in quei giorni, lei continuava a tornare da lui come se avesse bisogno di quella lenta agonia o solo del loro modo malato di appartenersi.
“Lo so, avrei dovuto dirti qualcosa.”
Stava togliendo la giacca, però fino a quel momento non lo aveva nemmeno guardato negli occhi.
“Tipo che stavo venendo da te, ma poi avresti potuto dirmi di no… e io volevo evitare tutto ciò.”
“Claire?”
La vide girarsi, smettere di sorridere e alzare lo sguardo verso di lui.
“Sì?”
“Perdonami.”
Dall’espressione della ragazza comprese che era stato superfluo dirlo, che lei lo aveva perdonato nello stesso momento in cui era entrata in quella casa e che, per quanto provassero a ferirsi, nessuno dei due aveva intenzione di andare via. Le corse incontro e l’abbracciò, circondandole le spalle con le sue braccia, inalando l’odore dello shampoo dei suoi capelli e rendendosi conto che avrebbe dovuto abbracciarla prima, perché entrambi ne avevano bisogno. Entrambi avevano bisogno di sentirsi fisicamente e lasciare perdere tutti quei silenzi che non servivano a nulla. Per la prima volta dopo fin troppo tempo riusciva a sentirla davvero.
“Non so nemmeno io perché volevo allontanarti, Claire.”
E invece lo sapeva bene. Era per tutto l’amore che le stava trasmettendo con quell’abbraccio, per tutti quei sentimenti celati che non riusciva a dire neppure ad alta voce.
“Neanche io volevo allontanarti, Eric.”
La strinse più forte, ma si pentì l’attimo dopo di averlo fatto.
“A me dispiace non averti detto di Robert.”
Sentì meno le braccia di Claire e ancora meno il suo corpo. Si allontanò, mentre lui aveva ancora le braccia sospese in aria, e cominciò a giocare con le dita.
“Non era una cosa che mi aspettavo.”
Non fu in grado di ascoltarla, tanto che ebbe l’istinto di portarsi le mani agli orecchi anche se niente lo avrebbe protetto da tutto ciò.
“Claire, seriamente, non riesco a sentirle queste cose.”
“E’ solo che voglio spiegarti.”
 
Claire era ancora senza fiato da quell’abbraccio e forse per quel motivo aveva cominciato a straparlare.
“Robert mi ha detto che gli piacevo, addirittura che si era innamorato di me.”
Forse introdurre quella cosa nel loro rapporto significava dargli fin troppa importanza. Erano finiti a parlare di Robert per due volte in due discussioni consecutive.
“E questo non vuol dire che stiamo insieme o cose del genere.”
Continuava ossessivamente a giocare con le mani e nemmeno riusciva a guardarlo in faccia, quando invece avrebbe dovuto farlo per farsi guardare dritta negli occhi e fargli capire che aveva importanza unicamente lui per lei.
“Claire, io non capisco cosa c’entri Robert in questo momento.”
Distolse lo sguardo dalle sue mani e lo fissò.
“Voglio spiegarti.”
Solo chi si sente in colpa fornisce spiegazioni delle proprie azioni agli altri.
“Lui ed io siamo usciti soltanto una volta, ma gli ho detto che prima dovevo risolvere con te per poter pensare ad altro.”
Lo vide sbarrare gli occhi. Sapeva come potesse sembrare una frase del genere, detta in quel contesto, e forse per la prima volta voleva dire proprio quello, senza girarci intorno.
“Ci stiamo allontanando. Lo abbiamo capito lunedì, eppure io non voglio che succeda.”
Tuttavia, avrebbe voluto urlargli che aveva immaginato tutta la sua vita con lui.
“Nemmeno io.”
“E allora cosa stiamo facendo, Eric?”
“Niente. Avevamo solo bisogno di parlare.”
“Ho fatto in modo che tu fraintendessi le mie azioni e volevo spiegarti.”
“Va bene, ti ho capita.”
Vide Eric sorriderle e poi muoversi verso la cucina. Lo seguì meccanicamente. Probabilmente il loro discorso finiva lì. D’altronde, cosa avrebbe dovuto aggiungere?
Si diresse verso il cappotto, dove aveva posato i due muffin che aveva comprato per loro.
“Ho portato dei muffin.”
“Sì, prendili.”
Afferrò la busta di carta e si avvicinò.
“Cioccolato per te e vaniglia per me.”
Li sistemò nei soliti posti in cui si sedevano e per un attimo sembrò davvero che avessero chiarito.
“Ho solo pensato di passare e chiarire prima di andare da Mel a studiare.”
Si sedette sulle sedie in acciaio e aspettò che Eric facesse lo stesso.
“Poi stasera abbiamo pure la cena con i professori.”
Il ragazzo si sedette, annuì e cominciò a mangiare il primo pezzo di muffin.
“Sono sempre buoni.”
Claire scoppiò a ridere, perché lo aveva detto con la bocca piena.
“Lo so, sono buoni.”
Gli sorrise ed ebbe di nuovo l’impressione che tutto andasse bene e che parlarne avesse risolto davvero le cose tra di loro. Osservando il muffin, ritornò alla prima volta in cui glieli aveva portati. La mattina successiva al ferragosto, si era alzata con un mal di testa feroce e aveva iniziato a cercare qualcosa per Eric. Voleva ringraziarlo per essersi preso cura di lei.
“Te la ricordi la prima volta che te li ho portati?”
“Ferragosto.”
Annuì.
“Ho fatto metà litorale per trovare due muffin vaniglia e cioccolato.”
A volte si chiedeva se anche per lui non fosse iniziato tutto quel giorno. Claire lo guardò mangiare in silenzio e fece lo stesso, sperando che quei momenti di tranquillità fossero uno schizzo del loro futuro. Sentì il telefono vibrare e, vedendo l’orario e il messaggio di Mel, si decise a buttare le carte e andare via.
“Mel mi aspetta.”
Lui le passò la giacca e buttò via le briciole.
“Sì, non ti preoccupare. Mi avevi già detto che ti aspettava.”
Si diresse verso di lei e l’accompagnò alla porta.
“Ci vediamo stasera?”
Si limitò a sorriderle, farle un cenno e chiudere la porta.
Rimase immobile per un attimo. Eric non aveva spiccicato parola e non era mai stato così freddo nel salutarla. Forse non era come pensava lei, forse tutto ciò non era servito a nulla, forse non erano stati sufficienti dei muffin e qualche parola per far tornare le cose come prima, non quando lei continuava a parlare di Robert, di cui non gliene fregava minimamente. Quanto poteva essere stupida? Quando ancora avrebbe potuto sopportare quella situazione? Abbassò le spalle, sistemò lo zaino e poi scese le scale. Avrebbe preso la metro per andare da Mel. Era poco lontana da casa di Eric, e in qualche modo prenderla la rilassava. Scese le scale, passando dal solito corridoio troppo illuminato e pieno di persone, per poi entrare dentro al vagone che l’avrebbe portata verso casa dell’amica. Andò a sedersi in uno di quei sedili all’angolo, sicura che nessuno l’avrebbe disturbata, poi solo in quel momento inserì le cuffie negli orecchi. Le piaceva ascoltare musica in quelle situazioni, perché le dava la sensazione di essere da un’altra parte e guardare la metropolitana scorrere veloce le faceva pensare un po’ a se stessa. Correva sempre veloce, forse fin troppo, ma era intrappolata da quei sentimenti. Si rendeva conto che ormai ripercorreva sempre gli stessi pensieri, gli stessi errori, gli stessi atteggiamenti, senza che riuscisse a far cambiare qualcosa. Appoggiò la testa al finestrino, ancora triste, ancora insoddisfatta per come erano andate le cose, e per una volta riuscì a non pensare niente, se non al fatto che a pochi mesi dal suo compleanno non aveva ancora detto ciò che provava ad Eric e che probabilmente non lo avrebbe fatto mai.
 
 
Poco dopo che Claire se ne era andata, Eric si era chiuso la porta alle spalle e piano piano si era lasciato scivolare a terra, rimanendo in quella posizione per una buona mezz’ora. Tutto ciò a cui riusciva a pensare era che, nonostante entrambi ricordassero le stesse identiche cose e gli avessero attribuito la stessa importanza, finivano sempre per parlare di Robert. Era già la seconda volta consecutiva che si ritrovavano a discutere di lui. Eric non riusciva proprio a sopportarlo. Non quando sapeva di amarla con ogni fibra del suo essere. D’un tratto si decise di alzarsi per concludere qualcosa con il ripasso delle materie, ma continuava a guardare l’orologio aspettando che arrivasse sera, che Claire e lui parlassero di nuovo e non di Robert ma di qualsiasi altra cosa.
 
***
 
Avevano scelto il ventisette Maggio per la famosa cena di classe con i professori. Per una volta avrebbero escluso il contesto scolastico stando tutti insieme, senza l’ansia dell’interrogazione e senza litigi per i voti assegnati ingiustamente. Era una di quelle serate di fine mese, quando la mattina fa così caldo da girare a maniche corte e la sera stessa ti ritrovi con qualcosa di lana dietro, giusto per sicurezza, perché il tempo fa un po’ come crede. Avevano deciso di andare in campagna da Amy, cucinare delle pizze nel forno a pietra che possedevano i nonni della ragazza e godersi la compagnia. Erano consapevoli che tutto ciò fosse poco formale, che avrebbero dovuto fare una bella figura con i professori ma tutti, indistintamente, avevano adorato quell’idea, quindi dalle otto spaccate di quel giorno sarebbero state persone qualunque.
Eric era arrivato puntuale, come al solito, e aveva trovato lì sia Claire che Robert. Entrambi erano ai lati opposti dalla sala, a intrattenersi con il cellulare in mano nonostante non ci fosse rete. Salutò con un cenno Amy e non ebbe nemmeno il tempo di posare il casco che la ragazza cominciò a dire a loro tre cosa fare.
“Claire? Robert? Voi starete al parcheggio. Tornate con un gruppo di minimo cinque persone. Credo che possano perdersi se non indicate loro dove andare.”
Non appena Amy pronunciò i nomi dei due ragazzi, Eric guardò Claire ed ebbe la sensazione che entrambi stessero pensando la stessa cosa, che Robert fosse ancora di mezzo, ma l’altra ragazza non ne aveva idea. Nessuno poteva immaginare cosa stesse succedendo, nessuno poteva sapere come stessero davvero le cose, nessuno eccetto loro tre.
“Eric, tu vieni con me.”
La sua testa scattò verso Amy. Come poteva chiedere una cosa del genere dopo tutto quello che si erano detti? In pochi secondi vide Robert inserire le mani dentro alle tasche e Claire incitare Eric con lo sguardo ad andare con lei, per poi spingere l’altro verso il parcheggio.
“Mi dispiace, Eric.”
Quelle parole gli arrivarono inaspettatamente, senza che lui le avesse minimamente previste. Amy si stava scusando. Si rese conto di essere stato troppo brusco e che, se Claire gli avesse fatto una cosa del genere, non si sarebbe mai ripreso.
“Non volevo assillarti in quel modo.”
Si girò verso di lei.
“Ho solo insistito perché... insomma…” Era evidentemente imbarazzata. “Mi piaci davvero.” Non sapeva cosa fare. Era paralizzato. “Solo che evidentemente non provi la stessa cosa per me.”
Distolse lo sguardo dai suoi occhi. L’unica cosa a cui riusciva a pensare, era quanto fosse dispiaciuto.
“Mi dispiace, Amy.”
Sapeva di dover aggiungere qualcos’altro.
“Davvero, mi dispiace.”
Amy ritornò a guardarlo, poi un sorriso comparve sulle sue labbra.
“Non possiamo costringere le persone ad amarci. L’amore non funziona in questo modo.”



Claire aveva spinto Robert verso il parcheggio senza pensarci due volte. Sapeva che  Eric ed Amy dovessero chiarire, ma non aveva minimamente pensato alla situazione in cui si trovavano loro due. Il ragazzo iniziò a camminare da solo, senza fare più resistenza, e a metà della strada si girò verso di lei, sbottando.
“Io non ti capisco.”
“Perché?”
Era visibilmente confusa.
“Io non vi capisco e non ce la faccio più.”
“Ma di cosa stai parlando, Robert?”
Sbuffò e la guardò, evidentemente stanco.
“Appena credo di avervi capito, tu mi trascini da un’altra parte per fare parlare Amy con lui.”
Stava gesticolando.
“Lo sappiamo entrambi che lui non vuole Amy. Lo sai tu, lo so io e sai pure cosa si sono detti, perché lei è amica tua e sarebbe pazza a non dirtelo.”
Era confusa, ma non aveva intenzione di giustificarsi con lui.
“Perché li hai lasciati da soli se sai tutte queste cose?”
Lo fissò dritto negli occhi, incrociò le braccia al petto e si diresse verso il parcheggio, superandolo senza spiccicare parola.
“Tu ed Eric fate anche le stesse cose. Ve ne andate appena non riuscite a reggere la discussione.”
Claire continuò a camminare, visibilmente seccata. Lei ed Eric non erano così, non lo erano mai stati.
“Eric ed io facciamo quello che crediamo e ci comportiamo come vogliamo. Amy aveva bisogno di scusarsi.”
Si girò del tutto verso Robert, che continuava a camminare accorciando la loro distanza.
“Il rapporto che c’è tra noi non potrai mai capirlo, perciò sei pregato di non dare opinioni su cose che non conosci.”
Non ebbe il tempo di continuare il discorso ché vide alcuni fari lampeggiare verso di loro.
 
***
 
Per una volta i suoi compagni di classe l’avevano salvata da una situazione scomoda. Non appena Richard arrivò, come al solito per ultimo, si avviarono verso la campagna, ma sia lei che lui presero direzioni diverse. La ragazza andò aiutare Amy per gli ultimi ritocchi della tavola, mentre Robert si avvicinava a Eric.
Claire si soffermò più volte a guardarlo, sentendo ancora la rabbia pervaderle il corpo. Ogni volta che, invece, incrociava lo sguardo di Eric, gli sorrideva, sorriso che lui contraccambiava volentieri. Lo avrebbe difeso a tutti costi, anche quando i suoi ragionamenti sembrava non avessero senso. Lui doveva essere perfetto davanti agli altri, dal momento che tutti dovevano vederlo come lo vedeva lei. Sapeva fosse un ragionamento assurdo, che fosse stato più logico se loro fossero stati insieme, eppure gliene importava poco perché Claire sapeva di appartenere a lui, con il cuore, con il corpo, pur non avendoglielo ancora detto.
“Claire? Stai bene?”
“Sì, Amy. Tutto bene.”
In pochi minuti fu tutto pronto, ognuno si trovò al proprio posto e il loro gruppo fu disperso tra i professori e i loro compagni di classe. Per una volta sembrava davvero di essere tutti allo stesso livello. Non sapeva che la sua professoressa di Astronomia avesse vissuto per dieci anni in America e nemmeno che al professore di Arte piacesse la musica metal. Per quelle poche ore, si ricordò che dietro ai volti dei suoi professori, alle interrogazioni e alla scuola, vi fossero persone, che potevano amare il mondo tanto quanto lei e, sicuramente, con molta più esperienza. In quello stesso momento notò che il liceo per lei finiva in quell’istante e che, a prescindere dalla maturità, quei cinque interminabili anni erano finiti e che adesso avrebbe dovuto pensare davvero al suo futuro, che adesso avrebbe dovuto lasciarsi tutte quelle cose alle spalle. Le si spense il sorriso sul volto, come se le fosse precipitato un mondo sotto alle scarpe, e d’un tratto sentì la mano di Mel accarezzarle la spalla.
“E’ la fine di un’era, Claire.”
E sapeva che Mel avesse ragione, tanto che si sforzò a sorridere, ancora con il bicchiere di prosecco in mano, quasi ci fosse qualcosa da festeggiare davanti a quel futuro così incerto, così incerto da fare solo paura.
 
***


Poco dopo che i professori se ne erano andati, insieme ad alcuni compagni, lei aveva deciso di andare fuori per godersi più a fondo quella serata e guardare le stelle. Le era sempre piaciuto fare anche quello in quel tipo di occasioni, perciò si sedette su una delle panchine di legno che erano lì da troppo tempo. Claire amava da morire quelle serate di fine Maggio perché adorava quel poco di freddo che si insinuava tra le ossa, il dover tirare su il naso e lo strofinare le mani tra loro per cercare un po’ di calore. Quella campagna era messa in un punto strategico, poiché da lì riusciva a vedere la costa, tanti puntini di luce intorno e poi l’oscurità assoluta del mare. La paura di poco prima riguardo al futuro piombò nuovamente su di lei e si accorse di come quella vista fosse simile alla sua vita: piccole luci fisse attorno all’oscurità più totale. Ripensò al discorso con i suoi genitori sull’università e alla pediatria che era il suo grande sogno. Ma lei non si sentiva pronta, a lasciare tutto, a lasciare Eric. Sentì dei passi dietro di sé e li riconobbe subito. Ormai si era abituata a quella camminata così familiare.
“Ci pensi mai a dove saremo tra quattro mesi, Eric?”
“Sì, ci penso spesso.”
Lo sentì sedersi vicino a lei e porgerle una coperta di lana.
“Grazie.”
“Tu? Ci pensi a dove saremo?”
“Sì. In questi giorni stavo valutando con i miei.”
“Sempre medicina?”
“Sì, sempre medicina.”
Claire sorrise al buio. In fondo la conosceva bene lui.
“Io credo che sceglierò Ingegneria. Sono bravo in matematica, e poi mio padre mi sta spingendo in quella direzione.”
“Fai bene. In fondo avresti un lavoro sicuro. Rimarresti qui?”
“Sì, sicuramente. Tu? Medicina è una buona facoltà da noi.”
Non sapeva dove trovare le parole per dirglielo. Strinse più forte a sé la coperta, sentendo ancora più freddo di prima. A momenti gli avrebbe comunicato la notizia che avrebbe cambiato tutto.
“Forse mi sposto in Inghilterra. I miei genitori mi hanno proposto di andare lì.”
Non riuscì a guardarlo negli occhi perché temeva di leggerci sentimenti diversi da quelli che sperava, temeva di non scorgere nemmeno un po’ di tristezza per quell’eventuale partenza, ma non sapeva di sbagliarsi. Non era riuscita a sentire il cuore di Eric spaccarsi perché già il suo aveva fatto più rumore.
“E’ una buona opportunità. Dovresti coglierla.”
Claire non sapeva che stesse mentendo, che in realtà Eric avrebbe voluto abbracciarla e dirle di non andare via.
“Devo ancora pensarci bene. Alla fine qui non è male.”
“Claire, non dovresti mai accontentarti del meno peggio. Dovresti sempre fare ciò che è meglio per te. Sei intelligente, hai una media paurosa e credo che riusciresti tranquillamente fuori.”
Eric avvicinò la sua spalla a quella della ragazza e, come sempre, Claire sentì un brivido pervaderle la schiena, che la fece ritrarre.
“Tra quattro mesi vorrei averti ancora accanto, Eric.”
“Di quello non dovrai mai preoccuparti.”


spazio autrice
Lo so, è passato parecchio dall'ultimo mese ma questo capitolo doveva uscire perfetto e ne sono soddisfatta perchè corrisponde a come lo immaginavo. Finalmente Eric e Claire parlano tra di loro, fingono di meno e l'ultima scena è una delle prime cose che ho scritto. Avevo già presente questa cena di classe, Eric e Claire che parlano del loro futuro. Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che sia stato di vostro gradimento, spero che il prossimo aggiornamento arriverà ancora prima e grazie, come sempre. A presto <3

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Capitolo 13
*** 12. Separarsi. ***


Capitolo 12
presente


*I protagonisti del capitolo sono Eric e Claire, i loro POV si alterneranno.
Il nome in grassetto all’inizio del paragrafo cambia il punto di vista.*








Per Claire partire era diventato ormai automatico. Metteva l’essenziale in valigia, salutava i suoi genitori promettendo che la volta dopo sarebbe rimasta qualche giorno in più e poi saliva sull’aereo. Per raggiungere l’alloggio universitario ci impiegava sempre la stessa mezz’ora e, di quante volte aveva percorso quella strada, ormai sapeva dove fosse ogni singolo albero. Aveva salutato il ragazzo della reception, ritirato le chiavi e, con la sua enorme valigia, prenotato l’ascensore. Il suo edificio, a differenza degli altri due convenzionati con l’università, era il più alto. C’erano dieci piani, perciò l’ascensore, quando andava bene ed era vuoto, impiegava cinque minuti. Lei si ritrovava sempre a sbuffare perché, considerando che la sua stanza era al terzo, preferiva andare a piedi, piuttosto che aspettare quei minuti interminabili, ma non quella volta. Aveva dietro il valigione di venti chili, per la metà pieno di conserve e sughi pronti preparate da sua madre, quindi non era difficile scegliere tra quello e il dolore alla schiena per i giorni successivi.  Sospirò, controllò il cellulare e poi sentì qualcuno chiamarla, con quell’accento inglese inconfondibile.
“Sei tornata!”
Voltando la testa a destra, notò Luke andare verso di lei. La stanza di Claire aveva una cucina e un salone comunicante con altre due stanze, di cui una apparteneva a Luke e l’altra ad Adele, che sentiva vicina quasi quanto Mel.
“Cos’è quella faccia?”


Luke era il suo migliore amico. Tuttavia, il loro rapporto non era come quello che aveva con Eric, o perlomeno era iniziato con una forte attrazione che poi aveva portato al nulla, dato che Claire pensava ancora a lui e l’altro si stava innamorando di Adele, che fin dal primo giorno non riusciva a sopportarlo. Luke ed Adele avevano iniziato il loro rapporto così, a farsi ripicche lasciando piatti sporchi in giro, barattoli di burro di arachidi aperti nonostante l’allergia del ragazzo, per poi assistere ad una Claire urlante, stanca di quella situazione. Ogni volta che ci pensava le veniva da ridere perché aveva iniziato a parlare a voce alta, aveva indicato tutti e due, li aveva fatti sedere sul tavolo l’uno di fronte all’altra e li aveva costretti a dirsi tutto quello che detestavano. Li aveva lasciati in quel modo, chiudendosi in camera sua, dove aveva sentito entrambi urlare di sottofondo, finché non aveva udito più niente, tanto che era uscita di corsa e aveva visto solo la porta della stanza di Luke chiudersi, al di là della quale aveva ascoltato il rumore di due labbra baciarsi.
 

“Ho visto Eric.”


Claire aveva raccontato a Luke ed Adele di Eric in un pomeriggio d’estate, esattamente alla fine del primo anno di università. Era una di quelle tipiche giornate estive in cui piove a dirotto, ti senti appiccicoso per via dell’umido e puoi trovare sollievo soltanto con un bicchiere di gelato. Lei si era messa a osservare la pioggia perché le ricordava quando una volta avevano condiviso l’ombrello troppo vicini. Dopo aver bevuto dell’acqua, aveva sentito i piedi scalzi di Luke entrare in cucina, seguiti da quelli di Adele.
“Vuoi un po’ di gelato alla panna, Claire?”
Lei aveva annuito, però si era girata velocemente verso la finestra continuando a guardare fuori, come se sperasse che da un momento all’altro di vedere Eric materializzarsi lì.
“Non parli mai di te, ma se volessi parlare di qualcosa…” Adele l’aveva buttata lì, perché anche lei, insieme a Luke, voleva solo vedere Claire stare meglio. “Di qualsiasi cosa.”
La ragazza era scoppiata a piangere, non riuscendo a trattenere i singhiozzi e le lacrime. Dopo un anno senza di lui, aveva cominciato a parlare di Eric. Di Claire ed Eric in un’altra città.

“Cazzo.”
Luke corse ad abbracciarla.
“Stai bene? Dimmi di sì, Claire.”
“Sto bene.”
Esitava. Luke se ne era accorto. Vide il ragazzo prendere il cellulare, digitare un messaggio veloce e prendere la sua valigia.
“E’ pesante.”
“Adele è sopra, con il gelato alla panna che ci aspetta.”
Claire sorrise e lo seguì su per le scale.
“Non aspetterò questo dannato ascensore.”
“Potevamo aspettare.”
Arrivarono al terzo piano in pochi minuti. Luke camminava veloce con quella valigia in mano, quando Adele comparve davanti alla porta antiincendio pronta a correre verso di lei.
“Stai bene?”
Luke era già dentro la loro cucina, mentre Adele era avvinghiata a Claire, che nel frattempo ricambiava l’abbraccio.
“Com’è stato?”
Claire non riusciva a rispondere. Non poteva dire che fosse stato né bello né brutto, solo che lo aveva aspettato da tanto e voleva rendere giustizia a quel bacio e alle parole che si erano detti.
“Come se non fosse passato nemmeno un secondo.”
Adele la guardò e si incamminò verso il loro appartamento, con Claire dietro di lei che riusciva con difficoltà a mettere un piede dopo l’altro, considerato il vaso di Pandora che aveva deciso di aprire in quel momento.
“Allora?”
Luke alzò un sopracciglio. Adele le porse la vaschetta con il gelato alla panna.
“Siediti e racconta.”
Sfilò la giacca, afferrò il gelato e il cucchiaino, si sedette nella posizione di pochi anni prima ed iniziò a parlare.
“Abbiamo preso un caffè. Gliel’ho pure proposto io.”
Gli amici sbarrarono gli occhi.
“Scusa, ma è da tre anni che non vi vedete.”
“Lo so, eppure è venuto naturale.” Ed era sempre stato così. Non riusciva nemmeno a tenere a freno la lingua solo perché sentiva il bisogno di stare con lui. “E’ stato tutto naturale.”
Posò lo sguardo sul gelato, raccolse con il cucchiaino una piccola parte e, prima di continuare a mangiare, riprese il discorso.
“Abbiamo parlato di questi tre anni divisi… come sono andati, cosa abbiamo fatto e poi ci siamo detti che ci siamo mancati.”
L’ultima parte della frase l’aveva detta fissando una nuvola fuori dalla finestra. Sentì i sospiri di Luke ed Adele, però non gli permise di fare domande perché proseguì con il racconto.
“Alla fine ci siamo salutati. Io l’ho visto svoltare l’angolo, mentre cercavo le chiavi dentro la borsa, quando è tornato indietro e mi ha baciata.”
Guardò i suoi amici, fissandoli negli occhi.
“Sono riuscita a respirare di nuovo dopo anni.”
Le sorrisero.
“Era come se non ci fossimo mai lasciati, come se tutto fosse rimasto intatto, come se io non fossi mai partita.”
Luke si alzò all’improvviso. Claire e Adele lo seguirono con gli occhi. Aveva iniziato a ballare per la cucina.
“Io lo sapevo.”
“Luke, siediti.”
Claire cominciò a ridere.
“Quando fa così, credo fermamente sia gay.”
Luke continuò imperterrito nel suo balletto.
“Io lo so fin dal primo racconto che non ti ha mai dimenticata.”
Come se potesse essere così semplice, che loro due non si fossero mai dimenticati e che bastasse un bacio per farli stare insieme.
“Luke, pensi davvero che, se fosse stato così semplice, lui e Claire non starebbero insieme?”
“Certo, però da qualche parte devono partire.”
Tornò a sedersi vicino ad Adele e, come sempre, incominciò a straparlare. “Adesso sappiamo che non si sono mai dimenticati. Se lo sono detti, quindi ora possono fare quello che credono.”
Al suo solito, si mise a gesticolare.
“Possono buttare tutto via, come hanno fatto finora.”
Mimò una persona che buttava via il sacco di spazzatura. “Oppure, amarsi.”
Adele annuì.
“Per la prima volta nella vostra vita, direi.”
Claire sospirò.
“Questa volta non c’è nessuna Amy. Ci sei solo tu in mezzo, che ostacoli la tua felicità.”
Dopo l’affermazione di Luke, le parole di Eric erano ancora più vive.
Non vuoi, tu non vuoi. È da tre anni che mi chiedo perché non vuoi e cosa ti ferma.
“Abitiamo in parti diverse del mondo. Non possiamo stare insieme.”
Adele distolse lo sguardo da Luke e lo posò su Claire.
“Si può sempre trovare un modo per far funzionare le cose.”
Si alzò, dirigendosi verso il lavandino.
“Basta non arrendersi, Claire.”
 
 
 
Eric aveva passato gli ultimi giorni a casa. Da quando era andato via da Claire, aveva iniziato a piovere ininterrottamente, perciò, nonostante avesse provato a correre velocemente, era finito per bagnarsi tutto quanto e per prendersi la febbre. In quelle giornate, rimanendo a letto, non aveva fatto altro che ripercorrere quella discussione, soffermandosi più del dovuto sul bacio che si erano dati, senza riuscire a pensare a nient’altro. Anche se erano passati tre anni, non era cambiato niente: né il modo in cui lei lo faceva sentire né il loro modo silenzioso di appartenersi. Le lenzuola diventavano troppo calde ogni volta che vi sostava per più di dieci minuti, così si ritrovava a rigirarsi a letto per tutto il tempo. Qualche volta sentiva il cellulare vibrare, ma lo ignorava dato che, per la prima volta, sapeva non potesse essere Claire, malgrado durante tutti quegli anni avesse disperatamente voluto ricevere una sua chiamata o un suo messaggio. Di tanto in tanto sua madre veniva a controllare come stesse. Entrambi sapevano che le sue condizioni erano migliori di quelle che dava a vedere, eppure lei aveva deciso di essere discreta e di non chiedere a suo figlio cosa lo turbasse. Eric aveva trovato il pretesto perfetto per rimanere a letto a dormire durante quei giorni, al buio della sua camera, solo per riflettere al meglio e sperare di trovare la soluzione migliore per come gestire le cose con Claire. Tempo prima, avrebbe chiamato Robert, però con l’inizio dell’università non si erano sentiti più. Le facoltà differenti e gli orari difficili da incastrare avevano solo confermato come la loro amicizia fosse stata inevitabilmente logorata e quasi impossibile da cucire. Adesso condivideva delle lezioni con Chris e il suo gruppo, ma Eric non parlava quasi mai di se stesso né con lui né con gli altri. La sua vita gli sembrava a tratti monotona. Studiava spesso per riuscire a mantenere alti gli standard che i suoi genitori gli facevano intendere velatamente, mentre nel tempo libero leggeva tanto. Si era immerso in troppe storie diverse, sapendo che solo così sarebbe riuscito ad allontanarsi dal mondo reale che ultimamente non riusciva più a tollerare. Spesso usciva con Chris e il suo gruppo e andava a bere qualcosa insieme a loro, anche se ogni sera tornava a casa annoiato ripromettendosi che prima o poi avrebbe cambiato giro, cambio che non era avvenuto neppure una volta durante quegli anni, perché sembrava che quelle persone avessero bisogno di lui e delle sue battute. Nonostante la sua apatia persistente, Eric riusciva a mostrarsi agli occhi degli altri come super divertente ed interessante, tanto che quelle persone si ritrovavano a ridere fino alle lacrime. Non credeva che dire le cose come stessero fosse fonte di risate, perciò finiva col sentirsi un po’ come i buffoni di corte, messo lì a far ridere. Negli ultimi mesi, alla sua solita routine, si era inserita una ragazza. C’era voluto del tempo perché venisse a sapere che si chiamasse Charlotte. Adorava punzecchiarla, passare del tempo con lei, solo che fin dall’inizio aveva capito che era interessata a qualcun altro. L’ultima volta che si erano visti, nella sua macchina, aveva iniziato a parlare di questo ragazzo in una maniera così familiare, che solamente quando era tornato a casa aveva capito che quella ragazza aveva richiamato in qualche modo lui e Claire.
“Io e lui non ci siamo mai dati una possibilità.”
Da quel momento aveva cominciato a pensare a Claire, alla loro ultima discussione e a come le sensazioni di Charlotte le avesse provate sulla propria pelle. Aveva lasciato la macchina di Charlotte perché riusciva ad identificarsi in ognuna delle situazioni che si erano venute a creare. Sapeva cosa Charlotte sentisse, come lei non lo avrebbe scelto mai e soprattutto come facesse schifo innamorarsi della persona sbagliata. Sapeva anche che quello che provava per Charlotte sarebbe potuto essere amore sole se avesse chiuso definitivamente con Claire, ma il problema era che ciò non era mai avvenuto, oltre al fatto che adesso quest’ultima aveva ammesso di aver mentito su ciò che provava per Robert. Quello era l’unico motivo che aveva spinto Eric a non pensare più a lei. Si erano lasciati proprio perché lei gli aveva detto di amare Robert e che alla fine aveva scelto di rimanere da sola, eppure Eric non si era mai confrontato con lui su quell’ argomento e forse avrebbe dovuto farlo. Gli vennero in mente tutte le frasi che Claire gli aveva detto poco prima degli esami; che prima di stare con Robert avrebbero dovuto risolvere la situazione, che avrebbe voluto averlo accanto nei prossimi mesi, rendendosi conto di aver preso in considerazione solo i fatti negativi, solo le frasi che confermavano che non lo volesse, lasciando da parte tutti quei modi silenziosi che lei aveva utilizzato per comunicargli i suoi sentimenti. Per non parlare che solamente in quel momento aveva capito che, quando Claire aveva espresso come si sentiva, alla festa del suo diciottesimo compleanno, avrebbe dovuto ascoltarla e non considerare ciò che era venuto dopo, che erano evidentemente bugie. Cosa aveva fatto per meritarsi tutto quel dolore? L’amore della sua vita, perché Claire era quello per lui. Malgrado gli avesse mentito per tutto quel tempo, quando si erano incontrati, piuttosto che andare via, non parlandole mai più, Eric era tornato indietro come uno stronzo e l’aveva baciata. Era assurdo che avesse incontrato Claire dopo tutti quei discorsi che aveva fatto nella sua mente, dopo che in quei giorni si era continuamente chiesto il vero motivo per cui non si erano mai dati una possibilità, dando a Robert tutta la colpa, quando invece avrebbero dovuto attribuirsela loro. Riusciva a concentrarsi esclusivamente su quei punti, non considerando che si sarebbero rivisti tra meno di un mese e che di sicuro l’avrebbe baciata di nuovo. Era come se non fossero passati tre anni, ma semplicemente un giorno. Probabilmente il motivo per cui si sentiva fossilizzato e piatto era dovuto al non aver mai visto una conclusione con Claire, una conclusione che segnasse come un pennarello indelebile che loro due non si sarebbero mai più voluti. Allo stesso tempo, non poteva negare che con Charlotte si fosse risvegliato qualcosa; la sua curiosità, il suo affacciarsi al mondo. Tuttavia, aveva deciso per loro, aveva segnato un confine che lo divideva da quest’ultima e da quel ragazzo che lei amava. Poteva solo ringraziarla per avergli ricordato chi fosse e per averlo risvegliato, tra loro due c’era una confine ma non poteva dire lo stesso per Claire. In quel momento non c’erano segni tra loro due, c’erano mille possibilità per amarsi, ma a loro ne bastava solo una, era sufficiente concedersi una singola possibilità, quella che non si erano mai dati. 


***


 
Quando la febbre passò, dopo qualche giorno, si sentì più lucido che mai. Iniziò ad uscire di casa più spesso finché, nel ritrovarsi a passare davanti alla caffetteria dove aveva incontrato Claire, non gli venne un’illuminazione. In quel mese in cui avrebbe aspettato di rivederla, considerando che avrebbe potuto anche non presentarsi all’appuntamento che avevano fissato, le avrebbe mandato un messaggio ogni Mercoledì. Quel giorno della settimana non lo aveva scelto a caso. La loro prima volta era stata all’una e diciassette di Mercoledì, perciò sapeva che lei avrebbe capito, che al terzo messaggio con la stessa cadenza avrebbe ricollegato tutto quanto. Voleva ricordarle ogni singola settimana, sempre alla stessa ora, alcune delle cose che si erano detti, quelle che lui riteneva più importanti e che non era riuscito a dimenticare dopo tutti quegli anni, come il fatto che, ogni volta che vedeva le sue orecchie muoversi, sapeva stesse dicendo una bugia o che, ogni volta che si arricciava una ciocca di capelli attorno a un dito, sapeva fosse nervosa. Quei particolari non sarebbero mai cambiati, nemmeno dopo dieci anni vissuti separati. Se l’avesse persa, quella volta voleva che la colpa fosse la sua e non degli altri.

 
 

Buonanotte, Claire.
Claire aveva ricevuto quel messaggio alle due di notte di un Mercoledì. Si era svegliata di soprassalto e, leggendo che era stato Eric a scriverglielo, si era messa seduta a letto come se una scossa elettrica le avesse appena pervaso il corpo. Non gli scriveva da anni. Quelle parole non le leggeva da ancora più tempo. Sorrise davanti a quello schermo illuminato, sapendo già cos’avrebbe risposto, nonostante i ruoli fossero invertiti, visto che era sempre stata lei a scrivere per prima.
Buonanotte anche a te, Eric.
Avvicinò il telefono al suo cuore, un po’ per consolarsi e soprattutto per sentirlo in qualche modo vicino. Non riusciva a spiegarsi perché le avesse scritto a quell’ora. Forse era uscito ed era così ubriaco da scriverle, anche se Eric non era mai stato così. Non lo aveva mai visto bere quantità superiori a un bicchiere di un qualsiasi superalcolico, considerato che sapeva quanto lui odiasse non essere lucido e non avere controllo delle proprie azioni. Osservò ancora quel “buonanotte” così familiare e si addormentò con il sorriso sulle labbra.
 
Aveva sperato che ogni sera arrivasse qualcosa da Eric. Era come se avesse impostato il suo orologio biologico a quell’ora e spalancasse gli occhi nella notte, senza riuscire più a prendere sonno. Ne aveva parlato con Luke ed Adele, ma nessuno dei due era riuscito a comprendere il perché dei quei messaggi. Claire aveva visto passare i giorni, ne aveva contati sei e poi, poco dopo la mezzanotte di Martedì ed esattamente all’una e diciassette minuti, aveva ricevuto un altro messaggio da Eric.
Tra quattro mesi vorrei averti ancora accanto, Claire.”
Ricordava esattamente quando lei gli avesse detto quella frase. Era la cena di classe. Avevano fatto pace la mattina prima e avevano iniziato a parlare del loro futuro. Eric avrebbe scelto Ingegneria, mentre lei Medicina in Inghilterra. Alla fine, le cose erano andate così: ognuno aveva preso la propria direzione, quindi, immancabilmente, si erano persi. Non avevano più parlato. Nessuna parola di conforto per la loro lontananza era stata espressa. Vivevano in due mondi separati, dove c’era solo una cosa a fare da ponte tra di loro: l’amore che, nonostante fosse un po’ logoro e malconcio, continuava a tenerli legati. Si rattristò davanti alla consapevolezza che quella frase fosse volata al vento e si riaddormentò, sognando entrambi in quella campagna, avvolti dalla coperta di lana con le spalle appiccicate per sentire meno freddo.


L’una e diciassette del Mercoledì successivo le aveva fatto capire il motivo per cui per quelle tre settimane le avesse scritto sempre a quell’ora e in quel giorno della settimana.
Ho sempre pensato che i nostri corpi s’incastrassero alla perfezione.”
Aveva ricevuto quel messaggio ed aveva iniziato a piangere perché quella frase era ancora vivida nella sua testa. Ogni volta che sentiva i racconti delle ragazze al consultorio, dove aveva fatto volontariato un’estate, ricordava la sua prima volta; come non fosse stata traumatica, come il suo corpo e quello di Eric fossero aderiti semplicemente l’uno all’altro, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Mercoledì 11 agosto, perché il suo compleanno era finito alla mezzanotte del 10, all’una e diciassette, loro erano mezzi nudi nel suo letto. Claire continuava a riversare quelle lacrime sul suo viso, sapendo che lì erano stati sinceri, che lei gli aveva aperto il suo cuore e che Eric avrebbe dovuto riferirsi sempre a quelle parole, senza considerare tutti quei segnali opposti che gli aveva sempre mandato. Si asciugò con il dorso della mano gli occhi e poi si decise a rispondere, con quella che era stata la frase più difficile da dire quella notte, quella che lui avrebbe dovuto ricordare ogni volta che lei non avrebbe saputo come dirgli che lo amava.
Avrei voluto sceglierti ogni giorno perché lo sapevo che alla fine mi sarei ritrovata con te. Dalla prima volta in cui mi hai stretto la mano, io lo sapevo.”
Premere invio era stato quasi più difficile. La rendeva ridicola sotto ogni punto di vista. Credeva che, il mese precedente, dopo l’ultimo bacio, avesse sconfitto la parte più razionale di se stessa, quella che la spingeva a non presentarsi al loro prossimo incontro e a lasciare le cose così come stessero, ma quella parte razionale era sparita, forse semplicemente accantonata da tutte quelle sensazione che sentiva più vere. Sapeva che a quell’incontro si sarebbe presentata e lo avrebbe baciato, per la prima volta senza esitazioni e senza che ci fosse qualcosa di mezzo, come a riprendere davvero da quell’11 Agosto di tre anni prima. Se le altre sere si era riaddormentata senza problemi, adesso aveva gli occhi spalancanti ed era sdraiata supina sul suo letto. Non aveva voglia di alzarsi e andare in cucina, perché avrebbe svegliato Luke o Adele. Così si alzò solamente, si avvicinò alla finestra enorme della sua camera, alzò la tapparella e si sedette sul davanzale interno. Allungò le maniche del pigiama e avvicinò le gambe piegate al petto, poggiando il mento sulle sue ginocchia e guardando fuori dalla finestra. C’era il cortile interno su cui si affacciava il plesso del suo dormitorio, al di là del quale si presentava tutta una serie di alberi, che conducevano ad un bosco poco fitto che percorreva ogni volta che andava a correre. Di notte, con le poche luci ad illuminare tutto, sentiva una pace inaudita; completamente diversa rispetto alla mattina in cui c’era fin troppo rumore. Il Martedì sera organizzavano sempre la serata karaoke nel loro dormitorio, perciò non era la prima volta che vedeva i suoi colleghi ritornare a casa. Scorse quattro ragazzi, soffermandosi a guardare una delle due ragazze. L’aveva vista alcune volte in mensa, anche se di lei sapeva solo il nome: Lily. Dal momento che erano in coppia, pensò che la loro fosse un’uscita doppia, finché non notò Lily guardare insistentemente l’altra ragazza, dagli occhi alle labbra, come se avesse voluto fare l’amore con lei in quel momento, anche se quest’ultima rideva delle battute del suo ragazzo, a cui teneva stretta la mano. Nel frattempo c’era l’altro, che avrebbe dovuto essere l’appuntamento di Lily, visibilmente annoiato. Probabilmente aveva capito che la ragazza della sua uscita non poteva essere interessata a lui. Claire era stata quella ragazza per troppo tempo, impotente davanti a qualcosa di così ovvio come i suoi sentimenti, eppure per la prima volta sentiva di poter dire ciò che provava ad alta voce, che era arrivato il momento giusto. Era sempre stata innamorata del suo migliore amico e non poteva lasciarlo andare un’altra volta, non adesso che qualcosa li aveva attirati e fatti rincontrare.




spazio autrice
Ci siamo, nuovo capitolo e questa volta prima del solito e riguarda Claire ed Eric post bacio ed è stato bello immergersi da un'altra parte della loro vita. Come sempre ringrazio tutti voi che seguite questa storia e che lasciate il vostro parere.
Grazie e alla prossima :)  

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Capitolo 14
*** 13. Tempismo. ***


Capitolo 13
3 anni prima


*I protagonisti del capitolo sono Eric e Claire, i loro POV si alterneranno.
Il nome in grassetto all’inizio del paragrafo cambia il punto di vista.*







 

Prima prova: Italiano.
 
Claire aveva vomitato tutta la notte a causa dell’ansia. Aveva iniziato ad avere paura il giorno prima senza che riuscisse a capirne il vero motivo, ripetendosi centomila volte che in qualche modo se la sarebbe cavata, che in fondo la prova di italiano era la minima cosa dato che era matematica ad essere sempre stata tosta, fin da quando sua madre andava al liceo. L’alba era ormai vicina. Lei non vedeva l’ora di andare a scuola per fare quel dannato compito e iniziare quegli esami di Stato, che già sentiva di non sopportare più. Osservò i primi raggi del sole entrare dalla finestra, lasciata socchiusa la sera precedente per via del caldo, e poi cominciò a prepararsi buttando giù un paio di caffè. Nonostante avesse notato un aumento dei battiti del suo cuore, solo con almeno quattro tazzine al giorno riusciva a rimanere sveglia e, soprattutto, concentrata.
“Buongiorno, Claire.”
Sorrise a sua madre, che riusciva ad essere già nel pieno delle forze e truccata a quell’ora del mattino, sedendosi a tavola. Le piaceva da morire girare lo zucchero dentro la tazzina del caffè, ripetendo lo stesso gesto più volte per evitare che rimanesse appiccicato sul fondo.
“Stanotte non hai dormito, vero?”
Scosse la testa.
“Credo sia normale, mamma.”
“Sì. Neanche io riuscivo a dormire.”
Vide sua madre mettersi il latte freddo dentro la tazza che le aveva regalato per il compleanno, prima che si voltasse verso di lei.
“Solo che io avevo un insopportabile scatto al dito per il nervosismo.”
Entrambe risero.
“Io e il dito siamo stati amici durante l’università. Ad ogni esame dovevo tenere le mani sotto al tavolo per non farmi vedere.”
La immaginò molto più giovane, totalmente insicura rispetto all’avvocato fiducioso che aveva davanti.
“Per non parlare di quando ho dovuto discutere la tesi. Non riuscivo nemmeno a firmare.”
Continuarono a ridere, mentre Claire ancora una volta si rendeva conto dell’umanità di sua madre. A volte si dimenticava che c’era stato un momento in cui avevano avuto la stessa età e in cui avevano pensato le stesse identiche cose. Era come se sua madre fosse stata quella donna da sempre, come se fosse nata in quel modo.
“Ho avuto diciassette anni anche io.”
Claire annuì. Le aveva appena letto nella mente. La donna si diresse verso il tavolo e si versò un po’ di zucchero dentro la sua tazza.
“A proposito di compleanni.”
La guardò di nuovo.
“Tra poco arriveranno i tuoi diciotto anni. Nessuna festa in vista?”
Non ci aveva pensato, non fino a quel momento.
“Magari vediamo prima come vanno gli esami.”
“Farai diciotto anni a prescindere dagli esami, Claire.”
Su questo aveva ragione, ma non poteva chiederle una cosa del genere, non quando non avevano ancora parlato dell’Inghilterra, non quando doveva ancora concludere quel ciclo della sua vita.
“Ne parliamo appena finisco, okay?”
“Ti ho cresciuta bene però, a volte, dovresti lasciarti andare per un minuto e pensare a cose semplici come queste.”
Sua madre si avvicinò e le diede un bacio sulla nuca, prima di prendere le chiavi della macchina e uscire. La osservò chiudere le porta e poi si alzò per andare a prepararsi. Quella giornata, nel bene e nel male, sarebbe stata unica.
 
Eric si sentiva abbastanza tranquillo. La prova di italiano era quella che lo impauriva meno. Sapeva che in qualsiasi modo sarebbe uscito intero da quella giornata, perché in quell’anno si era esercitato a fare ognuna delle diverse tracce che sarebbero spuntate quel giorno. Inoltre era sicuro che, grazie alle pagine di tutti i libri che andava leggendo, sarebbe riuscito a scrivere qualcosa di sensato. Si era alzato svogliatamente dal letto, poi era andato in cucina trovando la tavola piena. Spalancò la bocca e cominciò a osservare la torta al cioccolato, i muffin e i croissant con diverse glasse colorate sopra.
“Ecco, ti sei svegliato.”
Sua madre si asciugò le mani bagnate dall’acqua con dei tovaglioli e gli sorrise.
“E’ un giorno importante per te, oggi.”
“Non c’era bisogno, mamma.”
Sapeva che avesse fatto tutto lei considerato che avevano delle forme troppo imperfette per essere state comprate in una qualsiasi pasticceria.
“Oggi inizia la maturità. Hai bisogno di essere in forze.”
Si avvicinò al figlio, poggiando una mano sulla sua spalla per poi farlo avvicinare al tavolo e farlo sedere.
“Ti accompagno io a scuola.”
Eric si girò bruscamente verso di lei, con in mano il croissant alla nutella.
“Perché? Posso andare in motorino.”
Lei scosse la testa.
“Gli esami sono importanti. Non è un giorno di scuola qualunque.”
“Non è vero.”
“Devi imparare a dare il giusto peso alle cose.”
“E’ solo una prova.”
“Non è così, Eric.”
Per la donna il discorso si era concluso con la sua ultima affermazione perché stava già percorrendo il corridoio per dirigersi in bagno. Il ragazzo scrollò le spalle e continuò a mangiare la sua colazione, provando a dare davvero un peso a ciò che avrebbe affrontato, ma non ci riuscì. Probabilmente se ci avesse pensato più del dovuto, sarebbe diventato ansioso e preoccupato. Bevve alcuni sorsi di acqua; dopodiché andò nella sua camera. Era solito fare colazione alla fine, poco prima di uscire, quindi afferrò solo lo zaino e si posizionò sul divano della cucina, aspettando sua madre. Sentì il telefono vibrare e lo tirò fuori dalla tasca: era Claire.
Non ce la posso fare. Stanotte non ho chiuso occhio.
Aveva davanti ai suoi occhi la prova che sua madre avesse ragione.
Se ti dicessi la verità su come mi sento io, mi picchieresti.
Sorrise e vide sua madre prendere le chiavi di casa e della macchina.
“Andiamo?”
Non lo accompagnava a scuola da quando gli avevano comprato il motorino. Da quattro anni ci andava con quel veicolo a due ruote, anche se in qualche modo gli mancava stare in macchina con lei. Ricordava che suo padre, per il suo quattordicesimo compleanno, gli aveva detto di seguirlo, finché Eric non si era ritrovato quel motorino grigio metallizzato davanti. Altri sarebbero stati più felici di riceverlo, ma lui percepiva che con quel mezzo aveva firmato la sua condanna alla solitudine. Così era stato perché, nonostante glielo avessero comprato per comodità e per fare in modo che non aspettasse sua madre all’uscita di scuola, a lui veniva pesante mettersi in sella e tornare a casa. Per quello stesso motivo, aveva iniziato a dare passaggi non necessari ai suoi compagni, fino a quando Claire era diventata la sua passeggera fissa. Su quel motorino cinquanta avevano parlato e riso, tanto che solo in quel modo un po’ della sua solitudine se ne era andata, tornando prepotentemente ogni volta che saliva da solo. Ormai, tuttavia, aveva deciso di non farci più caso.
“Eric?”
La donna catturò la sua attenzione per la prima volta da quando erano saliti in macchina.
“A che stai pensando?”
“… che è da quattro anni che vado a scuola da solo.”
Guardò sua madre, visibilmente triste per quella affermazione.
“Un po’ mi manca essere accompagnato.”
“Abbiamo recuperato durante i giorni di pioggia.”
Lei provò a sorridergli, accarezzandogli la mano con i polpastrelli.
“Sì, certo.”
“E poi, ti sei reso più indipendente.”
“E’ vero.”
Solo che per Eric quelle cose non erano mai state importanti. I giorni di pioggia gli davano unicamente un assaggio di tutti quei discorsi che si stava perdendo con i suoi genitori. L’indipendenza non l’aveva mai chiesta perché loro non erano mai stati troppo appiccicosi, forse l’opposto.
“E’ stato meglio così.”
 
Quando Claire scese dalla macchina, la sua tensione era semplicemente aumentata, come se avesse premuto più volte il tasto per alzare il volume. Tirò un lungo sospiro, guardò la scuola e si rese conto che quella era una delle ultime volte in cui avrebbe varcato quel cancello come studentessa. Sistemò lo zaino e si diresse verso l’ingresso, notando Eric poco distante da lei.
“Perché dovrei picchiarti?”
Il ragazzo si girò e le sorrise.
“Non sono per la violenza gratuita.”
Claire rise, mentre un po’ di quella tensione svaniva pian piano.
“Prometto di non fare nulla.”
Allargò le spalle, posizionando le mani in segno di resa.
“Allora se è così, va bene.”
Eric chiuse gli occhi e sospirò.
“Stanotte ho dormito come un bambino e non sono per niente teso.”
La ragazza ebbe davvero l’istinto di dargli una pacca amichevole, ma era felice che almeno uno dei due fosse tranquillo.
“Hai dormito per tutti e due, allora.”
Eric annuì. Poco dopo si ritrovano in classe, ognuno ai posti che avevano precedentemente assegnato: Claire dietro Eric.
Non appena l’orologio segnò le nove, insieme ai nove rintocchi delle campane della chiesa vicina, la commissione si presentò. Sembravano tutti quanti professori alla mano, tuttavia Claire non poté fare a meno di notare che il presidente sembrava disinteressato e non sapeva se ciò fosse un bene o un male.
Mezz’ora più tardi, tutti quanti avevano i fogli protocollo con i relativi timbri della scuola e il foglio con le diverse tracce del compito. Claire chiuse le palpebre, riaprendole subito dopo per allentare la tensione. I suoi occhi, come fossero stati catturati, si fissarono sulla seconda traccia. Il tema libero parlava d’amore. Non ce ne sarebbe stato uno più adatto a lei. Si soffermò un attimo a leggere anche il resto, per poi rendersi conto che scegliere qualcosa sull’amore poteva essere molto più stimolante e sentito. Voleva mettersi alla prova. Per una volta aveva deciso di parlare d’amore come se dovesse scrivere nel proprio diario segreto tutte le sue sensazioni. Scrisse il proprio nome, il cognome, la sezione della sua classe e infine il numero della traccia che aveva scelto, segnandovi accanto il titolo “L’amore è”.
Prima di cominciare, lanciò un’occhiata al ragazzo seduto davanti a lei, percorrendo le sue spalle una volta e ricordandosi come gli si fosse avvinghiata durante quegli anni in motorino, finché lui non si girò a guardarla, quasi a volerle dire che tutto sarebbe andato al meglio. Si sorrisero per un attimo. Adesso Claire aveva tutta l’ispirazione che le serviva per scrivere davanti ai suoi occhi: perché l’amore era Eric e avrebbe scritto di loro.
 
***
 
 Aveva consegnato tra le prime e aveva aspettato che qualcuno uscisse. Notò la sagoma di Mel farsi più vicina, con un sorriso enorme stampato sulle labbra.
“Prima prova andata.” disse quelle parole correndo verso di lei, per poi abbracciarla senza che riuscisse a respirare.
“Ne mancano altre tre.”
“E che palle, Claire.” Melanie si staccò dall’abbraccio. “Il lato positivo delle cose non lo vedi mai, eh?”
Lasciò che un po’ di quell’ottimismo la contagiasse.
“Prima prova andata, allora.”
Sorrise all’amica, abbracciandola di nuovo.
“Erano belle le tracce. Tu cosa hai scelto?” Mel la guardò scuotendo la testa. “Che te lo chiedo a fare? Quella sull’amore.” Si rispose prima ancora che Claire potesse dire qualcosa. “Anche io. Sento di aver fatto un tema pazzesco.”
Claire rise. Quando Mel diceva la parola pazzesco le veniva sempre da ridere perché accompagnava un gesto con la mano, solo per sottolineare come fosse soddisfatta di ciò che aveva fatto. Si portò la mano davanti alle labbra per evitare di ridere ulteriormente e senza apparente motivo, vedendo arrivare Amy.
“Com’è andata?”
“Io lo so.” Mel non lasciò che l’altra rispondesse. “L’amore ai tempi dello stalking?”
Claire diede immediatamente una gomitata a Mel, che cominciò a ridere come se non lo avesse mai fatto. Stranamente, Amy riuscì a cogliere la battuta e rise pure lei.
“No, ho scelto la terza traccia, quindi niente stalking.”
Poco dopo sopraggiunse anche Robert, esprimendo con un’esclamazione la sua felicità di aver finito.
“Meno tre.”
“Vedi, Claire?” Mel guardò l’amica. “Qualcuno che pensa che è un peso in meno! Dammi il cinque, Rob.”
Le loro mani si incontrarono, provocando un rumore così forte che rimbombò per tutto il cortile. Qualche minuto più tardi, scorse Eric uscire, con un’espressione poco soddisfatta in viso. Gli andò incontro prima che potesse raggiungere il proprio gruppo.
“Cos’è successo?”
“Per la metà del tempo ho fatto una traccia, poi ho visto che non mi riusciva niente e ho deciso di cambiare.” Claire trattenne il respiro, visibilmente preoccupata per lui. “Sono stato dentro fino ad ora per provare a ricopiare. Ci sono riuscito ma non credo la mia scrittura sarà comprensibile.” Buttò fuori tutta l’aria che aveva in corpo e cominciò a guardarlo male. “Che c’è?”
“Si capirà tutto. Di sicuro la tua scrittura è più comprensibile della mia.”
In qualche modo voleva dargli sicurezza. Poggiò la mano sulla sua spalla, stringendola. Sapeva fosse troppo, che probabilmente gli altri l’avrebbero vista, ma voleva rassicurare il suo migliore amico.
Quello sembrava il gesto migliore. In realtà avrebbe voluto accarezzarlo o abbracciarlo, però non poteva, non in quel momento.
Spostò i suoi occhi dalla spalla di Eric alla sua faccia, accorgendosi di un suo leggero arrossamento quindi lasciò la presa e lo vide tranquillizzarsi, anche se adesso si pentiva di aver fatto qualcosa del genere, tanto che provò a parlare ancora.
“Su cosa lo hai fatto?”
“Ho scelto quello sull’amore. Il problema è anche quello.”
Si posizionò parallelamente al corpo di Eric, in modo da raggiungere gli altri.
“Perché?”
“Forse sono andato troppo sul personale.”
Claire aveva avuto la stessa sensazione con il suo tema.
“Anche io, anche se non c’erano linee guida, perciò dovrebbe andare bene così.”
Eric scrollò le spalle, visibilmente più tranquillo di prima.
“Sì, dovrebbe andare.”
Si avvicinarono al gruppo. Appena li vide arrivare, Rob alzò la voce.
“Domani c’è matematica, quindi tutti a ripassare a casa mia.”
 
 
Eric non era riuscito a svincolarsi dall’invito di Robert. Si erano dati appuntamento per le quattro e mezza a casa sua per le “cinque ore più folli della tua vita”, così le aveva chiamate; ma non aveva nemmeno voglia di ripassare, o per lo meno non aveva voglia di fare qualsiasi cosa che riguardasse l’interagire con lui. Dopo l’ultima volta a scuola non avevano più parlato. Rob sembrava avesse dimenticato tutto, come se l’amico quel giorno avesse avuto la luna storta. Ci era passato semplicemente sopra, anche se Eric non si era pentito di quello che gli aveva rivelato, perché intendeva dire proprio quelle cose. In ogni caso aveva deciso di lasciar perdere. Preferiva dare quella parvenza di normalità, in modo che tutto fosse davvero come sempre, senza particolari problemi. Andò a prendere Claire, che gli aveva fatto capire che senza di lui non sarebbe andata da nessuna parte, arrivando puntuali a casa di Rob.
“Speriamo sia fattibile.”
“E’ l’ultimo compito di matematica del liceo, Claire.”
“Lo so.” E quel tono gioioso non l’avrebbe mai dimenticato. Rob aprì la porta e subito sorrise loro. “Eccovi, mancavate solo voi.”
 
***
 
 
Adesso che Eric era a conoscenza di ciò che Robert provava per Claire, cominciò a vedere diversamente il suo modo di interagire con lei. Le faceva spesso battute su qualcosa, provava ad approcciarsi fisicamente con una penna o con una qualsiasi scusa e le guardava costantemente le labbra. Lo aveva visto fare così con molte ragazze. Conoscendolo, era certo che, se avesse potuto, avrebbe fatto l’amore con lei sul momento e su quel tavolo su cui stavano studiando ormai da un paio di ore. Più provava a concentrarsi, più pensava a loro due in quella stanza pochi giorni prima mentre si baciavano. Se non si fosse presentato a casa sua e non avesse suonato, Robert l’avrebbe già usata come tutte le altre. Non sapeva se gli desse più fastidio il fatto che conoscesse i pensieri di Robert o che non potesse esserci lui al suo posto.
“Eric?”
Claire lo stava chiamando.
“Eric!”
Ogni volta che pensava ad altro, lo chiamava con quel tono solo per avere la sua attenzione. Era l’unica a pronunciare il suo nome in quel modo.
Il ragazzo scosse la testa, lasciò libere le braccia e poi si avvicinò al quaderno della ragazza.
“Credi basteranno queste formule?”
Entrambi avevano capito quanto fosse inutile fare esercizi dopo mezz’ora, quando gli altri continuavano ad esercitarsi nel caso in cui uscisse qualcosa di simile nel compito dell’indomani.
“Credo vadano bene.”
Lei gli sorrise. Dopodiché, cominciò a ricopiare con la penna tutte quelle formule nella maniera più chiara possibile. Si sentì inutile perché in fondo tutto il lavoro lo stava facendo Claire, ma sapeva che, se l’avesse aiutata, avrebbe fatto solo più confusione e si sarebbe dimenticato di scrivere qualcosa. Sospirò e incrociò nuovamente le braccia, aiutando saltuariamente Mel che credeva di eseguire esercizi “particolari” che non avevano mai affrontato in classe e guardando ogni tanto Claire. Da quando si era innamorato di lei non faceva altro che guardarla. Il fatto stesso di non poterla osservare gli dava fastidio perché credeva di poter dimenticarsi parti del suo corpo. Aveva paura che con il tempo l’avrebbe sostituita con immagini sfocate e con capelli di tonalità differenti. Osservò l’orologio. Erano già passate più di cinque ore.
“E’ tardi.”
Si alzò dal tavolo e raccolse tutti i fogli sparsi. Anche Claire fece lo stesso. Consegnò i formulari che aveva trascritto con cura ad ognuno di loro.
“Dovrebbe esserci tutto, o per lo meno Eric ed io crediamo ci sia tutto.” Tutti annuirono. La ragazza ritornò al suo posto per sistemare le ultime cose. “Ma conto di più sul nostro aiuto domani.”
Risero tutti, compreso Eric.
“Domani è la giornata decisiva, Claire.”
Amy disse quella frase con un tono alquanto triste. La matematica non era mai stata il suo forte. Non era l’unica. Ad esempio, Eric non sopportava alcune materie, come la chimica, che, malgrado fosse abbastanza elementare, non riusciva proprio a piacergli.
“In qualche modo faremo.” Pronunciò quella frase e poi prese le chiavi del motorino, facendo cenno a Claire. “Allora a domani.”
Amy e Mel scesero subito sotto perché i genitori erano già arrivati. Eric aveva appena varcato la soglia quando, voltandosi per aspettare Claire, vide Robert afferrare la mano della ragazza.
“Claire, posso parlarti?”
Era riuscito a sentire solo quella domanda, nonostante Robert l’avesse pronunciata con un tono appena udibile.
 
 
Claire era immobile. Robert le aveva afferrato la mano, mentre Eric la stava aspettando fuori. Sapeva che, se avesse parlato con lui in quel momento, avrebbe ferito Eric mortalmente, quindi allontanò la mano dell’altro.
“Devo dirlo ad Eric. Aspetta.”
Si avvicinò alla porta. Il ragazzo la stava fissando, perciò non aveva alcun dubbio che avesse sentito tutto.
“Robert vuole parlarmi… non so nemmeno di cosa. Puoi aspettarmi un attimo sotto?”
Era visibilmente seccato. Claire lo capì dal modo in cui la guardava.
“Hai cinque minuti.”
Non aspettò nemmeno una sua risposta e scese le scale. Al che, lei chiuse la porta e si diresse verso Robert, raccogliendo lo zaino.
“Di cosa dovevi parlarmi?”
“Volevo scusarmi per l’altra volta. Non dovevo dire niente riguardo Eric e te.”
“Sono felice che anche tu sei giunto a questa conclusione.”
Robert sorrise, notando la punta di sarcasmo nelle parole di Claire.
“Mi sono pentito subito e volevo dirtelo.”
“Cos’altro devi dirmi, Robert?”
Era andata dritta al punto. Non voleva perdere altro tempo.
“Ti ho detto che sono innamorato di te, ma tu non mi hai risposto.” Fece una breve pausa per guardarla dritta negli occhi. “Ti ho detto che ti avrei dato del tempo e te ne ho dato.” Sembrava esasperato. “Adesso hai chiarito pure con lui, quindi vorrei capire qual è il problema.”
Si trattenne dallo sbuffare in faccia a Robert, perché era evidente che non avesse capito nulla.
“Il problema è che mi sono resa conto che non posso stare con una persona che non voglio.”
“Allora perché mi hai baciato?”
“Volevo darci una possibilità, Robert, però la mia volontà non era abbastanza.”
Accompagnò quella frase ad un sorriso amaro e poi abbassò lo sguardo, voltandosi e uscendo da quella casa. Aveva deciso che non avrebbe mentito sui sentimenti quando rischiava di ferire gli altri. Quella prerogativa l’aveva solo con se stessa. Poteva mentire solo sui sentimenti che provava lei.
 
Eric percepì quei minuti come interminabili. Robert l’aveva fatto apposta. Aveva aspettato quel momento per farlo spazientire, per farlo aspettare lì sotto come un idiota mentre lui si faceva la sua bella discussione con la ragazza che amava. Era sul motorino da quando era sceso e non aveva fatto altro che tamburellare le dita contro il parabrezza di plastica, producendo un rumore cupo che non faceva altro che rispecchiare il suo umore. Come avrebbe fatto il compito dell’indomani? Come sarebbe riuscito a superare quei cinque minuti, quando le domande che si faceva erano sempre più dolorose e insistenti? Le aveva risposto male, ma per una volta non riusciva ad avere sensi di colpa a riguardo. Non era il suo tassista. Inoltre, i sentimenti che provava per lei non lo avrebbero fatto diventare uno zerbino. Scese dal sellino del motorino e osservò il portone del palazzo in cui abitava Robert. Vide la luce accendersi, sperando fosse Claire. Se fossero passati più di cinque minuti, avrebbe significato che erano impegnati a fare altro. Lui non sarebbe riuscito a gestire una cosa del genere. Pensò a loro mentre si baciavano, con immagini più vivide di quelle che aveva pensato poco prima sul tavolo della cucina, avvertendo il proprio cuore fermarsi dentro al petto. Si voltò di nuovo verso il motorino ed ebbe l’istinto di andarsene, scappando via, quanto più lontano da tutto ciò.
“Andiamo?”
Era Claire. Improvvisamente, tutto aveva ricominciato a funzionare.
“Si è fatto tardi.”
Non voleva chiederle niente perché sapeva che in quel modo si sarebbe mostrato troppo interessato, così salì sul motorino aspettando che si appoggiasse sulla sua spalla destra per poi posizionarsi dietro di lui. Per andare a casa di Claire avrebbero impiegato dieci minuti. In quel momento, non aveva voglia di parlare con lei. Era seccato perché lo aveva fatto aspettare sotto, eppure allo stesso tempo sentiva qualcos’altro dentro di sé. Sentiva che in qualche modo il suo tempo con Claire si stava esaurendo e che da lì a poco le occasioni per stare insieme sarebbero diminuite drasticamente. Se c’era una cosa che odiava di Robert, era il suo tempismo. Lo aveva sempre anticipato in ogni cosa, soprattutto con Claire. Era arrivato prima, l’aveva baciata per primo. E quella sera, se avesse fatto un altro passo verso di lei, in quel motorino sarebbe stato ancora una volta da solo. Sentiva le braccia di Claire cingergli la vita, più forte del solito, chiedendosi davvero di che altro avesse bisogno per dirle dei suoi sentimenti. Si rese conto di essere già arrivato, quando all’improvviso percepì dentro di sé la stessa forza che lo avevo messo nelle condizioni di andare da Robert qualche domenica prima. Parcheggiò il motorino, poi come al solito si slacciò il casco per respirare un attimo. Claire scese e lo salutò con la mano, sorridendogli, nonostante fosse visibilmente malinconica in volto. Dopodiché, Eric non si  accorse neanche di cosa era in procinto di fare. Posò il motorino sul cavalletto laterale, malgrado suo padre gli avesse ripetuto mille volte che non era affidabile lasciarlo in quella posizione, e si diresse verso di lei. L’unico motivo per cui il suo tempismo era pessimo era dovuto alle decisioni giuste che decideva di non prendere. Si tolse il casco, sapendo che non lo avrebbe aiutato con quello che avrebbe fatto, e poi baciò Claire. Non le prese il viso tra le mani come aveva sempre immaginato. Non sentiva nemmeno in bocca il sapore delle mentine che avrebbe dovuto mangiare.
Era un bacio a stampo, semplice, forse anche squallido per le persone che passavano davanti a quel palazzo, però lui aveva desiderato farsi avanti da troppo e adesso era certo che avesse solo perso tempo. Avvicinò la mano alla nuca di Claire, accarezzandole debolmente i capelli, mentre in cuor suo sperava che la ragazza ricambiasse quel suo piccolo tentativo. Dopo un po’, le labbra di lei si schiusero. Il ragazzo sentì subito le sue mani sugli addominali, come a volerlo percepire davvero. Sembrava di essere in uno di quei sogni che credeva non si sarebbero mai realizzati. Era a conoscenza del fatto che da un momento all’altro sarebbe finito tutto, ma non voleva permettere che quei pensieri rovinassero quell’attimo. A un certo punto, Claire si allontanò dal suo corpo, staccando le labbra dalle sue, aprendo gli occhi e sistemandosi i capelli per nascondere il rossore evidente sul suo viso e guardarlo negli occhi.
“Lo sai anche tu.”
Non sapeva come Claire avesse il coraggio di parlare, non dopo ciò che era successo.
“Cosa?”
“Non possiamo, Eric. Non adesso.”
Ancora stordito e con il suo sapore tra le labbra, si sistemò il casco e salì sul motorino, lasciandola lì.






spazio autrice
Lo so, questo capitolo è arrivato tardi, ma non è stato un bel periodo e la voglia di scrivere, nonostante le idee ci fossero tutte, non era al massimo. Come vedete doveva essere scritto bene, con la sua calma e c'è l'ultima scena che è parecchio importante. Adesso si aprono mille scenari perchè dall'astratto assoluto e dall'amore adolescenziale platonico si è passati ad un piano più concreto, che sicuramente avrà delle conseguenze. Spero davvero che il capitolo sia di vostro gradimento e grazie come sempre a chi segue, ricorda e preferisce la storia, ma soprattutto a chi si prende il disturbo di lasciare la propria opinione capitolo dopo capitolo. Alla prossima <3

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Capitolo 15
*** 14. Contatto. ***


Capitolo 14
3 anni prima


*I protagonisti del capitolo sono Eric e Claire, i loro POV si alterneranno.
Il nome in grassetto all’inizio del paragrafo cambia il punto di vista.*







 

Seconda prova, matematica.
 
Eric non era riuscito a dormire quella notte, quando credeva di essersi addormentato, sognava di Claire e della reazione che avrebbe voluto da parte sua nella realtà e si svegliava all’improvviso: agitato e distrutto. Quella mattina continuava ad essere distrutto, a pezzi, come se tutta la notte qualcuno lo avesse preso a botte e solo adesso fosse riuscito a svincolarsi da quella presa. Stare alzato non gli garantiva lucidità e, considerando che parte della sua vita dipendeva dal compito che avrebbe fatto nell’ora successiva, baciare Claire non era stata la sua idea migliore. In quel modo, aveva solo confermato la sua ipotesi relativa al tempismo pessimo, questa volta aveva anticipato in qualche modo le azioni di Robert ma non era riuscito a prevedere che quel bacio potesse andare in un modo diverso rispetto a quanto si aspettava. Solo che fino ad ora aveva solo immaginato il bacio in se stesso, le diverse azioni che avrebbe messo in moto per far toccare le loro labbra ma mai ciò che succedeva dopo. Passò dalla cucina afferrando alcuni muffin rimasti dalla mattina precedente e poi si buttò sul divano, mangiando e fissando le mattonelle della cucina.
“Ma hai dormito stanotte?”
Suo padre sembrava visibilmente preoccupato.
“Hai le occhiaie nere e fin troppo marcate.”
“Sì, ho dormito.”
Non poteva ammettere la sua deficienza a suo padre, non così alla leggera.
“Sono solo stressato.”
Scrollò le spalle, sapendo che Eric non volesse parlare di ciò che stesse succedendo.
“Se lo dici tu.”
Lui e suo padre avevano questo modo di comunicare tra loro, essenziale ma basato su ciò che il proprio corpo comunicasse. Erano entrati così in sintonia che ormai riconoscevano i singoli movimenti e sapevano quanto e come potessero avvicinarsi l’uno all’altro.
“Andiamo?”
Anche quel giorno sua madre aveva deciso di accompagnarlo, solo che a differenza della giornata precedente non gli avrebbe dato lo stesso peso. Era assurdo come gli eventi della sua vita variassero di importanza non appena succedeva qualcosa, era in grado di far cambiare dimensione ad ogni singola cosa. Mandò giù l’ultimo boccone e poi seguì sua madre in macchina.
 
***
 
Il viaggio in macchina fu veloce e fin troppo silenzioso, si rese conto che in qualche modo avesse ferito sua madre il giorno prima con le parole che le aveva detto, ma sfortunatamente si era limitato a dire la semplice e pura verità. Salutò la donna e scese dalla macchina, quando chiuse lo sportello si rese conto che era appena arrivata anche Claire. Deglutì a fatica e, per evitare che lei potesse credere che lui la stesse evitando e si creasse ancora più imbarazzo, aspettò che lei lo vedesse. Claire si accorse subito di lui e, nonostante avesse provato a nascondere la sua sorpresa, Eric riconobbe subito quella espressione.
“Ciao, Eric.”
“Ciao.”
Cominciarono a camminare verso la scuola e sapeva che quei minuti che avrebbero condiviso sarebbero stati i peggiori della sua vita. C’era quel tipico silenzio pieno di imbarazzo tra di loro e sperava di non dover mai trovarsi in quella situazione con Claire. Sospirò e vide che lei si era accorta di quella sua azione, tanto che lo spiazzò un’altra volta.
“Credo che dovremo parlare di ieri.”
Si fermò di botto e lei fece lo stesso.
“Però adesso non è il momento, Eric.”
Lo guardò dritto negli occhi per la seconda volta e notò che le sue parole erano fin troppo pacate e pesate.
“Ci sono gli esami e dobbiamo concentrarci su questo.”
Aveva ragione e sapeva pure quanto fossero importanti per lei i risultati che ne avrebbe ricavato.
“Ti chiedo solo questo favore.”
Ed era lecito da parte sua chiedergli una cosa del genere, sapeva anche che se non fosse stato importante non avrebbe deciso di parlarne successivamente, ne avrebbe parlato in quel momento.
“Va bene, Claire.”
Mille discorsi gli avrebbero logorato il cervello, sarebbe stato impossibile per lui concentrarsi a studiare, ma solo lei poteva rispondere dei suoi sentimenti, solo lei aveva tutte le risposte a quella situazione intricata.
“Entriamo?”
Annuì e varcarono la porta d’ingresso.
 
  
Claire, quella notte, era riuscita a dormire. Non si era svegliata nemmeno una volta e, nonostante la paura per il compito, era stranamente tranquilla. Per lei quel bacio aveva significato tutto e ogni cosa sembrava si fosse magicamente messa al suo posto, fino a quando un macigno le era crollato addosso: l’Inghilterra. Non aveva ancora deciso se andarvi o meno, ma sapeva che quella scelta avrebbe dovuto prenderla da sola e considerando ogni singolo aspetto della sua vita. Era arrivata a scuola in perfetto orario, aveva avuto una discussione con sua sorella per chi dovesse usare il bagno quella mattina nonostante solo lei dovesse fare esami poche ore dopo e aveva incontrato Eric davanti scuola. Silenzio, imbarazzo, chiedere del tempo solo per maturare a pieno la scelta che avrebbe dovuto prendere.
“Credi che andrà bene oggi?”
Stavano ancora salendo le scale e si guardarono ancora, Claire si soffermò a osservare le sue labbra, pensando alla morbidezza che il giorno precedente la aveva avvolta e vide la bocca di Eric muoversi per rispondere alla domanda che lei gli aveva appena fatto, spingendola a riposizionare i suoi occhi su quelli di Eric.
“Faremo del nostro meglio.”
Un sorriso spento si dipinse sul suo volto e Claire sapeva che in qualche modo fosse colpa sua, non aveva mai avuto quel tipo di espressioni per qualcosa che riguardasse la scuola, quelle erano di altro tipo e comprendevano il suo sguardo perso in un punto non specifico della stanza. Adesso la guardava e sorrideva in quel modo, come se non ci fosse nulla d’aggiungere, come se adesso fosse tutto nelle sue mani.
Proseguirono ancora in silenzio e poi si posizionarono l’una dietro l’altro senza proferire parola, avrebbero dato la colpa alla tensione del compito ma Claire sapeva che fosse per quel bacio e che alla fine avrebbero dovuto affrontare tutto quanto.
Cominciò a guardare la porta da cui il giorno precedente erano entrati gli insegnanti e anche quel giorno la commissione si presentò alle nove. Consegnarono metodicamente i fogli come il giorno precedente e poi il compito di matematica: era stato come ricevere una doccia fredda in pieno inverno. In classe avevano svolto solo due delle diverse tipologie che aveva davanti e le venne spontaneo sussurrare insulti a bassa voce.
“Maledetta.”
Eric ebbe la stessa sensazione perché si giro verso di lei poco dopo.
“Ma che cosa sono queste cose?”
Nel frattempo cominciò a sentirsi un mormorio di sottofondo, era sicura che tutti i suoi compagni stessero riscontrando le stesse difficoltà e l’unico modo per riuscire a fare integralmente quel compito era aiutarsi.
La professoressa esterna si alzò di scatto e cominciò ad urlare qualcosa che riguardasse loro e il fare silenzio, come se avesse potuto fare qualcosa quel giorno, come se avesse potuto punirli ancora di più dopo quel compito incomprensibile. Claire sospirò a fondo, sentendo persino un dolore in mezzo ai polmoni e poi tirò su le maniche del maglioncino di cotone che quella mattina aveva deciso di indossare.
“Eric!”
Esclamò il suo nome con un tono abbastanza forte da farsi sentire e vide lui appoggiare le spalle sulla sedia e avvicinarsi con essa verso di lei, pur rimanendo di spalle.
“Dobbiamo fare del nostro meglio.”
Lo sentì ridere perché poco prima lui aveva detto le stesse parole, solo coniugando un verbo diversamente, si girò un attimo.
“Non dovevi nemmeno dirlo.”
 E poi tornò al suo posto con la sedia.
 
***
 
Claire aveva appena consegnato il compito e poco prima di tornare al suo posto, prese il fogliettino che poco prima aveva scritto poggiandolo sul banco di Eric. L’ultimo quesito del compito era arrivato pochi minuti prima e sapeva di potergli passare il bigliettino solo in quel modo perché una professoressa esterna, vedendoli collaborare, era rimasta ferma tra i loro banchi compiacendosi e spostandosi quando Claire aveva consegnato il compito. Era davvero convinta che lei non potesse trovare il modo per aiutare Eric, come se fosse anche lontanamente possibile quell’eventualità. La professoressa ritornò alla cattedra, dove la commissione continuava a guardare l’orologio sperando che quella noia finisse quanto prima, e Claire passò davanti a loro sorridendo. Con i professori era così, a volte, volevano essere presi in giro solo per dimostrare che in qualche modo erano loro ad avere in mano il potere.
“Arrivederci.”
Rimase davanti alle scale, aspettando che Eric arrivasse da un momento all’altro. Sentiva il bisogno di sentire che tutto fosse andato bene e che fosse riuscito a copiare tutto e in fretta. Era più tesa di quanto non fosse stata durante il compito e rimase immobile davanti a quegli scalini, con le braccia incrociate al petto e respirando appena. Durante quelle ore avevano collaborato tutti tra di loro, erano riusciti a far arrivare gli esercizi a tutti i suoi compagni di classe e la professoressa si era messa tra Eric e lei principalmente per quel motivo, l’attività sospetta partiva da loro due e se ne era accorta. Fortunatamente erano riusciti a far passare tutto a poco a poco, anche se si erano viste scene esilaranti come il via vai per andare in bagno, dove qualcuno aveva messo due esercizi, e le penne volanti che dentro al tappo avevano dei piccoli pezzi di carta che solo in quella situazione erano capaci di leggere e successivamente comprendere. Vide Eric scendere velocemente e dall’espressione sul suo viso sembrava fosse andato tutto bene.
“Per poco non mi beccava, ma ce l’ho fatta.”
Claire si buttò su di lui con un slancio e cinse le braccia attorno al suo corpo.
“Meno male.”
Lo strinse più forte.
“Meno male, meno male.”
Quasi non lo sentiva più respirare.
“La maledetta si è messa tra di noi, ma ce l’abbiamo fatta.”
Dopo l’euforia ed essersi staccata da Eric, si rese conto di come avesse, nuovamente, fatto male a fare in quel modo.
 
 
Eric la guardò incredulo. Poche ore prima diceva che non fosse il momento per parlare e poi lo abbracciava in quel modo.
“Hai visto gli altri, Claire?”
Era arrossita e non riusciva nemmeno a guardarlo negli occhi.
“Sono sicuramente fuori.”
Si incamminò verso di loro, sperando che lo seguisse e così fece.
“Ci siete riusciti.”
A differenza di lui e Claire, gli altri sembravano rilassati e sorridenti.
“Abbiamo sconfitto questo compito di matematica e non dovrò mai più rivedere calcoli in vita mia.”
Vide Mel quasi piangere dalla gioia, mentre Eric pensava a come avrebbe continuato a vedere numeri e integrali per il resto della sua vita.
“Beata te.”
Sbuffò e poi sentì Robert parlare.
“Allora andiamo a mangiare fuori?”
Eric provò a dimenticare tutte quelle situazioni folli che si erano venute a creare, riuscendo pure a far finta di niente. A volte si chiedeva come la gente facesse, ma si rese conto che fosse più facile così.
“Sì, andiamo.”
Che senso aveva in quel momento pensare a Robert e le sue frasi senza senso o a Claire? Avrebbe festeggiato la fine di quel compito e l’essere riuscito ad aiutare tutti i suoi compagni, come d’altronde si era precedentemente promesso di fare. Ogni volta pensava sempre al quadro completo della sua vita, ma mai alle piccole cose che riuscivano a renderlo felice. Fu il primo ad avviarsi verso il motorino e Claire lo seguì subito dopo.
Le porse il casco guardandole le labbra e il sorriso che la ragazza aveva stampato in faccia da quando era uscito dall’aula. Sperava con tutto se stesso che il motivo per cui era così allegra non fosse legato solo alla riuscita del compito e che in qualche modo fosse lui il motivo per cui sorrideva. Una delle cose che voleva, aldilà dello stare insieme e baciarla tutto il tempo, era renderla e vederla felice.
“Due prove e abbiamo finito, Eric.”
Le sorrise e poi si posizionò sul motorino, aspettando che lei salisse. Notò fin dall’inizio che il corpo di Claire si limitava solo a sfiorarlo, solitamente si teneva sui suoi fianchi, ma quella volta aveva deciso di poggiare le mani alla fine del sedile del motorino. Probabilmente non significava niente, stava semplicemente prendendo le distanze dall’abbraccio di poco prima, provando ad essere coerente con il fatto che si erano baciati e dovevano ancora parlare. Oppure era un modo come un altro per fargli capire che non era successo nulla, che tutto quello che avevano fatto fino a quel momento non significava nulla. Si era ripromesso che non avrebbe immaginato motivi o risposte riguardo a quella situazione, ma gli risultava sempre più difficile e a tratti inutile: Claire continuava a contraddirsi e a confonderlo.
Non avevano detto una parola durante il tragitto e appena arrivati Claire era andata a parlare subito con Melanie, varcando la porta del locale ancor prima che lui inserisse l’antifurto del motorino. Si era seduto in silenzio e aveva cominciato a sentire i discorsi dei suoi amici, come sempre Robert e Mel avevano opinioni forti e continuavano a scontrarsi sullo stesso argomento ormai da mesi. C’era Robert che sosteneva che le facoltà umanistiche non servissero a niente e Mel che, volendo proseguire in quell’ambito, si sentiva ferita e gli rispondeva insultandolo, sostenendo che ad economia si scrivevano solo i falliti. Eric sorrideva alle loro frasi, pur sapendo che non fosse giusto sminuire le due facoltà; erano solo percorsi differenti che li appassionavano in maniera diversa ma collegata alle loro personalità. Qualche volta si soffermava a guardare Claire, che sorrideva e appoggiava Mel nella sua discussione, anche se non aveva mai detto qualcosa riguardo ad economia. Tendeva sempre ad avere opinioni neutre per non ferire o dispiacere le persone. Avevano pranzato con quel discorso a fare da sottofondo e sembrava davvero che Eric fosse davvero sollevato per quell’ora.
“Qui ci sono i soldi, vado un attimo in bagno a lavarmi le mani.”
Vide Claire alzarsi, andare via e i suoi pensieri iniziarono a correre velocemente. Fino a quel momento aveva spento tutte le emozioni ma d’improvviso cominciò a pensare ad ogni tocco che durante il compito si erano scambiati. Sentì una scarica elettrica pervadergli tutta la schiena e si rese conto di come lui non potesse aspettarla, come non potesse rimanere tutto quel tempo ad osservare da lontano che lei manifestasse un minimo interesse nei suoi confronti.
“Vado anche io.”
Seguì le mattonelle verso il bagno ad occhi bassi, aprì la porta e la trovò alle prese con l’asciugatore, si girò verso di lui sorridendogli ed Eric, preso dall’istinto, si avvicinò a lei e la baciò di nuovo. Quel bacio era completamente diverso da quello della sera precedente, Eric non pensava nemmeno che sarebbe riuscito a baciarla un’altra volta, ma non gli interessava minimamente. Le prese il viso tra le mani per approfondire quel bacio e lei appoggiò i suoi polpastrelli sul dorso della mano di Eric. Claire lo stava ricambiando in un modo che non credeva nemmeno possibile, sentiva la lingua della ragazza accarezzare la sua e i polpastrelli sempre più stretti alla sua mano. Si staccò da lei per riprendere il fiato, ma Claire per la prima volta prese l’iniziativa e si buttò a capofitto sulle sue labbra, baciandolo con più veemenza rispetto a prima ed Eric si allontanò per guardarla negli occhi, prima di riprendere da dove aveva appena interrotto. Sentiva i jeans sempre più stretti e una voglia enorme di sentire il corpo della ragazza addosso, tanto che spostò le mani sui suoi fianchi e nel frattempo avvicinò il suo corpo a lei. Quella vicinanza gli provocò un brivido fortissimo e credette di aver sentito Claire sussultare quasi quanto lui.
 
 
Claire continuò a baciarlo, sentendo la pressione decisa delle dita di Eric sui suoi fianchi. Era un bacio completamente diverso rispetto a quello della sera precedente, principalmente perché lei si era lasciata andare. Per tutto il giorno gli aveva dato segnali contrastanti, ma voleva che adesso lui capisse i suoi sentimenti e provasse a muoversi secondo quelli. Lei non riusciva a dare voce a tutto ciò che provava perché aveva paura di dire le cose male e fare in modo che lui fraintendesse, perciò sperava che lui capisse. Sperava che quei baci,  insieme all’ avvicinarsi così tanto a lui, gli facessero capire che era lui la persona che voleva, era lui quello che sognava di avere ormai da due anni. Riprese fiato e sentì le mani di Eric spostarsi sotto la maglietta e Claire trasalì, non perché le mani del ragazzo fossero fredde, ma perché non si aspettava che lui potesse volerla così tanto. Fino a quel momento aveva sempre avuto paura che lui non ricambiasse i suoi sentimenti, ma quei baci erano la prova che avesse perso solo del tempo a pensare che il suo fosse un amore a senso unico. Continuò a baciarlo avvicinando maggiormente i loro corpi, facendoli aderire alla perfezione ed Eric la strinse a sé spostando le mani sulla schiena così che lei non potesse sfuggire in nessun modo da lui. Claire gli passò le mani tra i capelli, stringendoli attorno ai suoi polpastrelli e le loro labbra erano attaccate, non accennando minimamente a separarsi. Non aveva mai provato niente di tutto ciò per nessuno, aveva il cuore battere a mille e non pensava nemmeno che dovesse mai staccarsi da quel contatto. Aveva sempre sentito che qualcosa mancasse dentro di sé e non credeva che potesse sentirsi così completa con lui, era come se Eric fosse sempre stato il pezzo mancante, la sua parte complementare.
D’un tratto sentì qualcuno schiarirsi la voce e si staccò, velocemente, da Eric girandosi verso la porta.
“Ragazzi, meno male che sono solo io.”
Mel era davanti a loro e sorrideva compiaciuta, un secondo dopo entrò Amy e Claire sentì il sangue gelarsi dentro le vene.
“Tutto bene?”
Eric rispose a quella domanda.
“Sì, Claire credeva che l’asciugatore fosse rotto e, invece, doveva solo inserire la presa.”
Lo vide sorridere, senza destare nessun sospetto.
“Mi ci vedo come ingegnere.”
Rise ironico e poi uscì dalla porta, insieme ad Amy. Claire stava per seguirli ma Melanie chiamò il suo nome e lei si girò verso l’amica.
“Ho dovuto schiarirmi la voce due volte per fare in modo che mi sentiste.”
Claire era imbarazzata, così tanto che continuava a guardi le mani.
“Poteva entrare qualcun altro e far succedere un casino.”
Era la prima volta che ci pensava e come sempre Mel diceva le cose ancor prima che lei riuscisse a realizzarle.
“Lo so.”
“Stai attenta la prossima volta.”
Annuì e vide Melanie uscire. Stava per seguire l’amica, ma poi si soffermò a guardarsi allo specchio. La maglietta stropicciata, le labbra gonfie e gli occhi felici erano la prova che quei baci erano davvero esistiti e che ci fosse davvero una possibilità per loro. Quando era diventato così difficile amare qualcuno?









spazio autrice
Son due mesi che non posto, ma sono stati davvero pieni ed è bello riuscire anche solo a postare adesso. Spero che il capitolo vi piaccia e credo che ci stiamo avviando alla parte più complicata della storia, Eric e Claire non sono più semplici amici e non potranno più fare finta di niente. Sembra una minaccia, ma in realtà non lo è xD
Alla prossima :*

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Capitolo 16
*** 15. Avvicinarsi. ***


 
 
Capitolo 15
3 anni prima
 


*I protagonisti del capitolo sono Eric e Claire, i loro POV si alterneranno.
Il nome in grassetto all’inizio del paragrafo cambia il punto di vista.*
 

 
 

Eric era uscito dal bagno velocemente, con Amy dietro di lui che blaterava qualcosa e lui che cercava di calmarsi. L’istinto aveva preso il sopravvento e a lui sembrava di essersi appena buttato da uno scoglio altissimo, sentiva ancora l’adrenalina scorrere dentro alle vene ed era felice. Aveva baciato Claire in quel bagno, le loro lingue si erano intrecciate per dieci minuti buoni e, soprattutto, lei lo aveva stretto maggiormente a sé dandogli la conferma che potesse davvero esserci una possibilità per loro due. Grazie a quel contatto era sicuro di essere riuscito a sentire la morbidezza del suo seno contro al proprio petto e non era riuscito a resistere, tanto che aveva toccato con le mani i fianchi e la schiena di Claire. Era la prima volta che la toccava in quel modo, sperava che potesse farlo ancora e in quel momento pensava solamente a come nascondere la presenza evidente che si ritrovava nei jeans. Mel aveva rovinato l’atmosfera, ma con la sua mente era ancora dentro a quel bagno, a baciare Claire senza sosta. 
“Tutto bene?” 
Robert lo fissava insistentemente, anche se sperava fosse solo una sua impressione. 
“Sì, problemi con l’asciugatore.” 
Raccolse la giacca e poi il casco, dirigendosi fuori dal locale e verso il motorino. Si sedette aspettando che gli amici uscissero e vide Rob varcare per primo la porta. 
“Va tutto bene tra di noi, Eric?” 
Robert aveva capito che effettivamente tra loro stava succedendo qualcosa. 
“Perché? Cosa pensi che stia succedendo? 
Scrollò le spalle, tanto per fargli capire che fosse pure inutile parlarne. 
“Niente, chiedevo solamente se ci fossero dei problemi.” 
Eric scosse la testa, ma Rob riprese a parlarne. 
“L’ultima volta te ne sei andato seccato.” 
Si ricordava solo come se ne fosse andato lui e non di cosa avessero parlato. 
“Vabbè, oggi è un altro giorno.” 
Gli sorrise nella maniera meno autentica che esistesse al mondo. Scorse Mel dietro l’amico e la ringraziò mentalmente perché, inconsapevolmente, l’aveva salvato da una discussione fin troppo scomoda. Poco dopo, vide Claire ed Amy arrivare. 
“Per la terza prova, studiamo per conto nostro?” 
Rob lo aveva chiesto sapendo già la risposta, ne avevano parlato già precedentemente ma voleva solo averne conferma. 
Eric vide Mel e gli altri annuire con la coda dell’occhio, ma non riusciva a staccare gli occhi di dosso da Claire. Quelle immagini erano ancora troppo vivide nei suoi occhi, come fotografie immobili. 
“Allora ci vediamo per l’esame.” 
Mel fu la prima a dirigersi verso la macchina di Robert ed Amy la seguì poco dopo, ormai Robert tendeva a dare passaggi a tutti da quando guidava. Claire era rimasta per ultima, davanti a lui, senza sapere cosa fare. 
“Se vuoi, mi faccio dare un passaggio da Robert.” 
Erano stati vicini fino a poco tempo prima e, adesso, si stava allontanando. 
“Perché, Claire?” 
Le tese il casco e lei salì sul motorino, delicatamente, come se credesse di disturbare in qualche modo. Eric partì senza dire niente e in poco tempo riuscì a raggiungere casa della ragazza, durante quel tragitto nessuna parola, nessuna vicinanza tra i loro corpi. Come avrebbe potuto iniziare a dire qualcosa? Erano di nuovo distanti e lui non ce la faceva a continuare in quel modo. La guardò raggiungere il portone, ancora senza dire niente, e poi la vide fermarsi e irrigidirsi. 
“Alla fine non ti ho più dato il quaderno di filosofia.” 
Aveva pensato a una cosa che non c’entrava completamente niente, dava davvero così poca importanza a ciò che era successo tra di loro? 
“Sì, è vero.” 
“Allora sali.” 
Ebbe la sensazione che Claire gli stesse dicendo che avrebbero avuto modo di parlare, che salendo a casa sua in qualche modo si sarebbero chiariti, tanto che mise l’antifurto al motorino quanto prima e la seguì in ascensore. Arrivati al pianerottolo di casa di Claire, lei si diresse verso la porta chiusa a chiave e la aprì. Era evidente che non ci fosse nessuno ed Eric sorrise tra sé e sé, comprendendo che era davvero la loro occasione: sarebbero riusciti a parlare come mai fino a quel momento. Seguì Claire fino alla sua stanza e si schiarì la voce, prima di iniziare a dire qualcosa. 
“Possiamo parlare?” 
Vide la ragazza trasalire e girarsi verso di lui con il raccoglitore rosa tra le dita, totalmente spaventata. Come al solito non aveva capito niente, lo aveva fatto salire davvero per uno stupido quaderno di filosofia, di cui non poteva fregargli di meno. 
“Lascia stare, Claire.” 
Afferrò il raccoglitore e cominciò a scendere le scale. 
“Eric?” 
Udì il suo nome, sapendo che avrebbe dovuto girarsi. 
“Eric!” 
Stavolta Claire aveva quasi urlato e si girò verso di lei. 
“Claire, se tu non provi niente per me non ha senso baciarci, non ha senso la mia vita e non hanno avuto senso tutti questi mesi.” 



Claire scoppiò a piangere, ormai non sapeva nemmeno quanti battiti al secondo il suo cuore riusciva a fare a causa di quelle parole ma era come immobile. Le stava dicendo che la amava, in quel momento aveva sentito tutte quelle parole che credeva che avrebbe continuato ad immaginare per il resto della sua vita e riusciva solo a singhiozzare e piangere. Eric si era avvicinato a lei per abbracciarla, riusciva a sentire il suo odore attraverso quei vestiti e capì che in quell’abbraccio c’era tutto, la paura di Eric e la sua di paura. Paura che quella loro vicinanza non si sarebbe più verificata, paura che continuando in quel modo si sarebbero persi, o stavano insieme o avrebbero fatto meglio a lasciarsi andare. Portò le mani sul volto di Eric, lo strinse e poi si avvicinò alle sue labbra, si soffermò a guardarlo prima di chiudere gli occhi e baciarlo. Le emozioni che stava provando non erano nemmeno paragonabili ai baci con Robert o ai baci con qualsiasi altra persona; nelle labbra di Eric c’era tutta la sua essenza. Poteva percepire la passione che metteva in ogni cosa, la voglia di vivere ma soprattutto c’era tutta la voglia che aveva di lei. Sentì il corpo di Eric aderire al suo, con la stessa perfezione di poche ore prima, e le mani del ragazzo cingerle i fianchi e appoggiarla lentamente sul muro. Avevano ripreso a baciarsi con lo stesso ritmo di quando erano rimasti in bagno e Claire dovette staccarsi un attimo per riprendere fiato: era come se avesse corso per un chilometro. Vide il petto di Eric respirare velocemente per cercare di prendere quanto più aria possibile e, quando entrambi furono pronti, ripreso a baciarsi con più passione di prima. Claire si allontanò dal muro, continuando a baciare Eric e poi gli prese la mano, stringendola forte e conducendolo nuovamente verso la sua camera, non voleva che continuassero a baciarsi nel corridoio.



Eric si precipitò sulle labbra di Claire, forse in maniera troppo avventata e riprese a baciarla come prima sapendo che quello che stava facendo fosse giusto. Toccò di nuovo i suoi fianchi e poi la schiena, scolpendosi nella mente ogni minima parte di quel corpo e vide Claire avvicinarsi a lui e fare la stessa identica cosa. Non sapeva a cosa avrebbero portato quei baci ma prima che potesse domandarselo davvero, Claire gli tolse la giacca buttandola a terra, poi tolse le forcine dai suoi capelli, lasciando che le lunghe ciocche bionde ricadessero sulle sue spalle. Sapeva che adesso c’erano solo loro due, che gli stava dando la possibilità di spogliarla. Non aveva idea di come fare perché non aveva mai tolto i vestiti ad una ragazza, non c’era andato nemmeno vicino ma non voleva che Claire lo scoprisse quindi provò a camuffare tutto con un’aria esperta che si cucì addosso. La baciò ancora e poi la aiutò a liberarsi dei suoi vestiti, baciandole il collo e poi ogni centimetro di pelle che, a poco a poco, compariva. Rimase in reggiseno e, poco prima che lei potesse denudarsi del tutto, andò a spegnere il lampadario così da lasciare solo la luce fioca della candela che Claire aveva acceso non appena era entrata in stanza. Non voleva che con tutta quella luce lei si sentisse in imbarazzo davanti a lui e voleva fare in modo che entrambi fossero a loro agio. Si tolse la maglietta, sganciò i pantaloni e vide Claire togliersi il reggiseno, lentamente, ed essere nuda davanti a lui. 
“Claire? Sei a casa?” 
Era la voce della sorella di Claire e vide la ragazza diventare rossa, rivestendosi velocemente. Lui fece lo stesso e Claire lo guardò, in fondo pure dispiaciuta. 
“Vado verso di lei così hai più tempo per vestirti.” 
La vide sorridergli, legarsi i capelli in una coda, respirare profondamente e poi, prima di uscire e chiudere la porta, accendere la luce. 
Eric si sentì terribilmente svuotato e si vestì velocemente, senza soffermarsi a pensare a ciò che sarebbe successo in quella stanza se Vicki non fosse tornata a casa.



Claire chiuse la porta alle sue spalle e sospirò un’altra volta. Si diresse verso sua sorella che, nel frattempo, aveva salito le scale ed aveva accorciato la loro lontananza. 
“Ho visto il motorino di Eric sotto.” 
Scrollò le spalle, sapendo che Vicki non avesse mai sospettato che lei potesse provare qualcosa per lui. 
“E tu sei tutta rossa.” 
Claire la guardò accigliata, forse non era stata così discreta come pensava. 
“L’ho fatto salire un attimo per prendersi il quaderno di filosofia.” 
Si interruppe, voleva essere convincente. 
“Sai com’è, tra un paio di giorni abbiamo la terza prova e da mesi gli prometto di fotocopiarlo e non lo faccio mai.” 
Eric uscì dalla sua stanza e Claire vide che teneva in mano il raccoglitore. 
“Maledetti raccoglitori, non entrano nemmeno dentro lo zaino.” 
Vicki rise alle parole di Eric, lo salutò e poi si chiuse in camera sua. Claire si avvicinò a lui e al suo orecchio. 
“Mi sa che è meglio che vai.” 
“Credi che parleremo mai?” 
“Sì, te lo prometto.” 
Eric le sorrise, le sembrò di vederlo davvero felice dopo tanto tempo e lo accompagnò alla porta. Le diede un leggero bacio sulla guancia, le sfiorò la mano con un dito e poi scese le scale. Chiuse la porta senza fare rumore, sospirò e poi si girò per andare verso camera sua. Salendo le scale vide Vicki uscire dalla sua camera e osservarla, prima di farle una domanda. 
“Da quanto tempo è che ami Eric?” 
Non provò nemmeno a negare. 

 

*** 


Il pomeriggio era passato lento, ma stranamente era stato produttivo. Claire si era buttata dentro allo studio, riuscendo a ripassare parte del programma e nemmeno una volta il ricordo di poche ore prima le aveva sfiorato la mente. Nonostante era solita studiare in camera sua, aveva studiato tutto il pomeriggio nel tavolo della cucina per evitare un qualsiasi tipo di riferimento ad Eric e lei in quella stanza. Vicki che, solitamente, passava dalla cucina per bere un po’ d’acqua non si era nemmeno fatta vedere; Claire pensò che potesse sentirsi in imbarazzo a pensare a lei ed Eric e, soprattutto, a darle una connotazione diversa da quella familiare. Pensava che fosse imbarazzante pensare alla propria famiglia al di fuori da quel contesto e il solo pensiero di Vicki a letto con un ragazzo la faceva rabbrividire, non perché non la ritenesse capace ma perché non riusciva a pensare che fosse la stessa Vicki con cui condivideva il mascara. Osservò l’orologio con l’ora e impilò i libri, iniziando ad apparecchiare e, poco dopo, sentì la porta di casa aprirsi. I suoi genitori erano soliti fare la spesa durante quel giorno della settimana ed erano capaci di uscire alle quattro del pomeriggio per poi tornare alle otto con milioni di buste, si dedicavano quella mezza giornata per fare la spesa, ma Claire credeva che si ritagliassero quel momento per ricordare i tempi in cui non erano ancora sposati ed erano da soli. 
“Stasera schifezze per cena.” 
Vicki urlò dal primo piano e si precipitò in cucina in pochi secondi e Claire sorrise e basta. Finì di apparecchiare la tavola, silenziosamente, e si sedette per prima. Suo padre posò le buste di carta del fast food, già impregnate di olio, sul tavolo e cominciò a dividere i panini nel frattempo che Vicki e sua madre prendevano posto. 
“Allora cosa avete fatto oggi pomeriggio?” 
Sua sorella prese subito la parola e raccontò di come fosse pulita l’acqua del mare. 
“Credo di non averla mai vista così pulita di pomeriggio. Riuscivo a vedermi i piedi.” 
I suoi genitori scoppiarono a ridere, Vicki era quella sempre spontanea e incontrollabile. 
“Una bella sensazione.” 
“Quando eravamo giovani era sempre così.” 
Suo padre annuì alle parole di sua madre. 
“Una volta io, papà ed alcuni amici siamo andati in barca allontanandoci dalla costa.” 
Pensare ai suoi genitori in quel modo era difficile, quasi quanto Vicki e un ipotetico ragazzo. 
“Ci siamo tuffati vedendo i pesci sotto l’acqua e credo che non mi dimenticherò mai il colore di quel mare” 
Sua madre sorrise. 
“Certi giorni i tuoi occhi hanno lo stesso colore, Claire.” 
Lei arrossì, i suoi genitori le facevano sempre qualche apprezzamento sui suoi occhi o su quanto fosse bella per loro, ma lei non li aveva mai presi seriamente. Le sembrava che fosse naturale provare un amore del genere nei confronti dei propri figli, era impossibile il contrario. Si asciugò le mani con il tovagliolo di carta e sperò che nessuno le chiedesse cosa avesse fatto lei quel pomeriggio. 
“Tutto bene con il ripasso?” 
“Sì, ma ancora stasera devo continuare.” 
Suo padre osservò il suo cambiamento di espressione, sperava potesse attribuirlo all’ansia per gli esami. 
“Allora sali in camera tua, Claire. Qui sparecchiamo noi.” 
Era la prima volta che sua sorella Vicki le veniva incontro. 
“Sì, allora salgo.” 
Non le aveva fatto nemmeno una battuta riguardo a quel pomeriggio, nemmeno uno sguardo malizioso alla domanda di cosa avevano fatto, era possibile che adesso Vicki la guardava in modo diverso?
Arrivò in camera sua senza accorgersene e varcando la porta, ciò che aveva cercato di escludere, piombò tutto all’improvviso. Si sentì inerme come quei temporali intensi ma del tutto inaspettati che ti prendono in pieno un secondo dopo che sei uscito di casa senza ombrello. Vide lei ed Eric in quella stanza, lo rivide nudo soffermandosi su particolari che poche ore prima non aveva nemmeno colto e si diede, mentalmente, della stupida. Aveva sempre desiderato quello, aveva sempre sperato che si ritrovassero nudi in quel letto e allora perché fuggiva? Adesso che aveva tutto, che poteva averlo, perché fuggiva? 



Eric aveva passato il pomeriggio a rivivere quelle scene, fissando il raccoglitore rosa di filosofia. Riuscendo ad immaginare il tocco leggero di Claire, i loro baci sempre più intensi e a come si fosse innamorato del tutto a vederla insicura e nuda davanti a lui. Erano entrambi vulnerabili in quel momento, ma avevano deciso di spogliarsi ed abbracciare quella debolezza. Era come vedere il tuo film preferito e farlo ricominciare non appena finiva, la prima, la seconda, la terza volta, cogliendo ad ogni visione un nuovo dettaglio e dando un nuovo significato alle parole e ai gesti. Non era sicuro che rimanere imbambolato in quel modo potesse essere utile per i suoi esami, ma aveva studiato per un anno intero ogni argomento di quelle materie e non era un salto nel buio come il compito di matematica. Prese il quaderno di Claire e lo posò dentro alla zaino e un foglio di carta scivolò a terra. Eric lo afferrò, notando quanto fosse stropicciato e notò le calligrafie di Mel, che aveva scritto per prima, e di Claire che rispondeva. 
“Smettila di buttare cose a terra per guardarlo.”
“Non dire stronzate.”
“E tu non buttare più niente.”
“E tu non osservarmi.” 
Girò il foglio, ancora incredulo. 
“E tu diglielo cosa provi.” 
“Mai.” 
“Eric prova lo stesso per te, lo sappiamo entrambe.” 
Claire non aveva risposto più risposto ed Eric aveva gli occhi sbarrati. Per la prima volta si rese conto che tutto ciò che fino a quel momento aveva immaginato potesse davvero concretizzarsi se solo, uno dei due, ne avesse avuto il coraggio. 



spazio autrice
Stavolta non avete aspettato due mesi per il capitolo e ne sono davvero felice. Ho provato a scrivere ed aggiornare più velocemente per voi, che state crescendo capitolo dopo capitolo. Credo non ci sia molto da dire su questo spezzone di Eric e Claire, a parte che c'è davvero un avvicinamento tra di loro ed era anche arrivato il momento. Spero che il capitolo sia di vostro gradimento e GRAZIE, come sempre, per tutto.
Alla prossima <3

 

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Capitolo 17
*** 16. Dignità. ***


 
 
Capitolo 16
3 anni prima
 


*I protagonisti del capitolo sono Eric e Claire, i loro POV si alterneranno.
Il nome in grassetto all’inizio del paragrafo cambia il punto di vista.*

 

La giornata precedente era passata ancora più lentamente, ma quantomeno Eric era riuscito a studiare un po’. Claire e lui non si erano minimamente sentiti, Eric credeva che fosse inutile scriverle un messaggio dato che ogni parola sarebbe stata superflua in previsione della grande discussione che, prima o poi, avrebbero avuto. Sua madre lo aveva accompagnato, nuovamente, e aveva varcato il cancello appena in tempo tanto che cominciò a correre per le scale, con il bidello che come al solito lo richiamava. Entrò velocemente e si andò a sedere, gli occhi di Claire furono i primi che riconobbe, ebbe la sensazione che lo stesse aspettando e fosse un po’ preoccupata della sua assenza, sensazione esatta dato che la ragazza si rilassò immediatamente appena lo riconobbe e gli sorrise.
 

***
 
Le due ore erano passate in fretta, Eric aveva risposto a ciascuna delle domande provando ad ampliare quanto più le risposte dato che la loro professoressa di geografia astronomica non aveva fatto altro che ripetere loro la stessa frase per tutto l’anno “Prima date la risposta alla domanda che vi faranno e nel frattempo fate capire che avete padronanza dell’argomento.” Si sentiva stranamente sollevato ad aver superato quella prova e vide la stessa espressione stampata in faccia al resto del gruppo, ad eccezione di Robert che sembrava furente.
“C’erano domande stupidissime e io ieri ho ripassato tutt’altro.”
Nonostante lui e Mel battibeccassero spesso, lei provava sempre a tirargli su il morale.
“Con quello che ti ho dato sicuramente sarai andato bene.”
“Potevo prendere il massimo, Mel.”
Vide Rob lanciare il proprio zaino, per rabbia, aldilà del cancello della scuola, rischiando di finire sopra una macchina. Eric si decise ad intervenire, sapeva quanto il ragazzo potesse essere distruttivo in quelle occasioni e andò a prendere lo zaino, per poi porgerglielo.
“Robert.”
Non lo chiamava mai con il suo nome per intero.
“E’ andata così.”
Lo vide annuire sconsolato e poi Eric gli mise una mano sulla spalla.
“L’importante è saper galleggiare.”
Rob rise ed entrambi sapevano il significato di quella frase. Ad ogni compito o interrogazione, Robert diceva sempre in quel modo ad Eric per tranquillizzarlo. Sarebbe andata bene in ogni caso, ma almeno non sarebbe stata una insufficienza.
“Galleggiamo, allora.”
Si sorrisero e sembrò per un attimo che tutto fosse tornato al suo posto, in fondo la rabbia nei confronti di Rob era mista ad un po’ di invidia. Un’invidia di quella buona, che faceva in modo che coesistesse con l’ammirazione inconscia per il modo in cui si approcciava a Claire. Adesso, che Eric si era finalmente sbloccato, rimaneva esclusivamente infastidito dal fatto che non gli avesse detto niente. Adesso, era solo infastidito che Robert non gli avesse mai parlato di Claire e di cosa provasse per lei, considerando che parlava di lei come una ragazza diversa da tutte le altre con cui si era precedentemente approcciato. Mel interruppe quel flusso di pensieri, chiamando il gruppo e indicando loro la bacheca: avevano pubblicato le date degli orali.
 
 
Claire fu la prima a correre verso la bacheca di legno e, sfortunatamente, vide che la lettera sorteggiata era la “F” ed il suo cognome era l’unico all’interno della sua classe che iniziasse con quella lettera. Era la prima del primo giorno e non avrebbe avuto modo di capire come fossero gli altri orali perché lei sarebbe stata la prima cavia, in assoluto. Eric, avendo il cognome con la lettera successiva, sarebbe stato subito dopo lei. Fino a quel momento, pensava che la vicinanza tra i loro cognomi fosse una coincidenza incredibile e che fosse il modo in cui l’universo voleva comunicare loro l’inevitabile vicinanza, ma in quel caso le dispiaceva e anche tanto. Sperava che la sfiga potesse colpire solamente lei, nonostante non fosse assolutamente possibile. Tutta l’ansia e la tensione le si era scaraventata addosso e cominciò a correre via dal cortile, ripetendosi che era la solita sfigata a cui succedevano sempre le cose. Sentiva il suo gruppo chiedere tra di loro cosa le stesse succedendo e solo quando Mel la richiamò si rese conto che stava pure ridendo e che quel suo comportamento non era neanche lontanamente normale.
“Che ti sta succedendo?”
Claire si fermò e si girò di botto.
“Sono la prima.”
“Da qualcuno dovevano pur iniziare.”
Come sempre Melanie vedeva il bicchiere mezzo pieno, ma non era soddisfatta da quella risposta, era evidente che fosse incompleta e che quell’atteggiamento non fosse tipico di Claire.
“Ed Eric mi ha detto che mi ama e ieri stavamo per farlo a casa mia.”
L’amica sbiancò in faccia.
“Niente di ché.”
“Claire, ma sei impazzita?”
Le prese il braccio e fece in modo che il gruppo non riuscisse a vederle.
“Non è niente di ché il fatto che sono successe le due cose che tu speravi da tutta la vita?”
Claire scrollò le spalle.
“Ma lo senti quello che ti sta uscendo dalla bocca?”
“Non è successo niente di importante.”
Mel la guardò, con infinito disprezzo.
“Sei diventata una delle persone che odio, quelle che non sono mai contente di ciò che hanno e che devono crearsi problemi dove non ce ne sono.”
Claire provò a controbattere, ma non uscì nemmeno un suono dalla sua bocca; era come se le sue corde vocali si fossero atrofizzate e Mel, non ricevendo risposta, andò via. Aveva ragione, aveva tutto e non ne era contenta, forse si meritava davvero quel senso di insoddisfazione che sentiva costante nella sua vita. Si spostò i capelli dal viso, sistemandoli dietro le orecchie e, con la visuale libera, notò che Eric si stava avvicinando verso di lei.
“La fortuna non è mai stata dalla nostra parte, eh?”
E Claire era sicura che quella frase avrebbe potuto applicarla a ciascun aspetto della sua vita.
 
 

 
Qualche giorno dopo
 
 
Con l’orale alle porte, Eric si era chiuso in casa a studiare. Aveva deciso di mettere completamente tra parentesi ciò che era successo tra lui e Claire la settimana precedente e far finta che fosse solo un sogno, per la prima volta nella sua vita aveva deciso di spegnere le emozioni, escludendole completamente. Era riuscito a dormire e a mangiare tranquillamente, senza che l’ansia lo mettesse in agitazione e senza che la stessa gli impedisse di avere il giudizio offuscato. Quel martedì mattina, giorno che avrebbe ricordato per il resto della sua vita dato che avrebbe segnato la fine di quei stramaledetti anni di liceo, non era ansioso e nemmeno preoccupato, era solo pronto a dare il meglio di sé e a prendersi ciò che si meritava.
Era arrivato lì alle 8 e si era posizionato davanti alla classe dove si sarebbero svolti gli orali; dopo un paio di minuti, era arrivata Claire con svariati fogli in mano, tutti stropicciati e scarabocchiati. Gli aveva sorriso, sperando di rassicurarla in quel modo, e poi si era messa a ripassare; aveva un’aria diversa, anche se Eric non sapeva spiegarsi cosa la rendesse tale. Nonostante il rumore della suola delle sue scarpe a contatto con il pavimento, aveva percorso tutto il corridoio per raggiungere Claire. Si era messa a ripassare in una vecchia panca, messa lì perché in quella parte della scuola non ci andava mai nessuno, e andò a sedersi accanto a lei, sperando di non disturbarla.
“Andrà tutto bene, non preoccuparti.”
Posò una mano sulla sua spalle, notando come per la prima volta non si fosse irrigidita a quel tocco.
“Son più tesa per come sono andati gli scritti che per altro.”
Eric, fino a quel momento, non ci aveva ancora pensato, ma le sorrise, nonostante lei guardasse un punto non definito davanti a sé.
“Figurati se non hai preso il massimo.”
“Speriamo.”
Claire scrollò le spalle, facendo finta che non le importasse e rigirando quei fogli stropicciati, ma Eric sapeva che da quei punteggi dipendeva in gran parte la possibilità di studiare fuori. Era sicuro che, nonostante non ne avessero più parlato, quello era uno dei motivi per cui Claire continuasse a rimandare il loro confronto riguardo ai propri sentimenti.
Chiamarono il nome della ragazza qualche minuto dopo ed Eric la seguì, silenziosamente. L’ansia che fino a quel momento non aveva percepito si riversò direttamente dentro alla sua pancia, che aveva iniziato a brontolare. La cosa assurda era che quello stato emotivo non era per lui ed il suo esame, ma per Claire. Sapeva quanto fosse importante per lei quel momento e sperava che andasse tutto bene.
“Allora signorina, da cosa vuole partire?”
 
 
Claire aveva appena concluso il suo orale.
Era riuscita a dare il meglio di se stessa durante quei 10 minuti, aveva preso il punteggio massimo nelle prove scritte e aveva risposto bene a quasi tutte le domande fattele dai professori, qualche titubanza in fisica ma per il resto tutto era filato liscio come l’olio. I primi volti familiari che vide furono quelli dei suoi genitori, entrambi sorridevano soddisfatti e sua sorella si era precipitata ad abbracciarla, sussurrandole all’orecchio quanto fosse orgogliosa di lei.
“Sei troppo brava, Claire.”
Pochi secondi dopo Mel si era unita a quell’abbraccio e, nonostante non si parlassero dalla terza prova, Claire la strinse più forte a sé così da chiederle implicitamente scusa. Sciolsero quell’abbraccio poco dopo e la ragazza ebbe appena il tempo di incrociare i suoi occhi con quelli di Eric, prima che chiamassero il turno del suo migliore amico.
Non era ancora riuscita a rilassarsi perché era come se l’esame non fosse ancora finito per lei, come se insieme ad Eric sarebbe stata interrogata anche lei. Copiò gli stessi movimenti, che poco prima Eric aveva fatto con lei, e quando lo vide sedersi sentì l’agitazione salire. Non avevano mai parlato della rilevanza degli esami di stato per Eric, ma sperava con tutto il suo cuore che potesse prendere il massimo per via del suo interesse smisurato ad ogni singola cosa. In quegli anni Eric era sempre stato il ragazzo che alzava la mano per gli approfondimenti, che non dava mai niente per scontato e sperava davvero che i professori tenessero conto di quello, oltre che della sua preparazione.
“Anche lei ha preso il massimo nelle prove scritte.”
Per un attimo si era sentita stranamente sollevata, poi si era irrigidita nuovamente nel sentire le domande dei professori.

 
***
 
Era andato tutto bene anche ad Eric e quando lo avevano congedato, Claire aveva cominciato a respirare senza che il diaframma le si bloccasse in mezzo al petto: adesso erano davvero liberi da qualsiasi cosa. Vide i genitori del ragazzo congratularsi con lui, Robert, Mel ed Amy fare lo stesso e poi si rese conto di essere rimasta l’unica a non aver detto niente. I piedi si mossero velocemente e corse ad abbracciarlo, aveva fatto quell’azione tante volte, ma adesso aveva assunto un significato diverso. Con quell’abbraccio volevo trasmettergli quanto fosse fiera di lui e quanto si meritasse tutto ciò. Lo strinse più forte a sé, quasi stritolandolo e nemmeno per un secondo sentì la presa di Eric venire meno a quella stretta. Era come se il mondo si fosse fermato per un attimo e ci fossero solo loro, stretti in quell’abbraccio. Claire, che poco prima aveva chiuso gli occhi per godersi quel momento, li riaprì bruscamente ritornando alla realtà e allontanandosi da Eric, ma continuando a guardarlo. In quel momento si ricordò che Eric e lei all’inizio dell’anno si erano promessi che, appena finiti gli esami, sarebbero andati al mare.
 
 
“Claire, ti giuro che la prima cosa che faccio non appena finiamo questa maturità di merda è farmi un bagno al mare.”
La ragazza aveva riso.
“Mi immagino te che corri, che urli ‘vaffanculo maturità’ e che ti tuffi a mare.”
Eric aveva cominciato ad annuire.
“Con tutti i vestiti, eh.”
Si era messa la mano destra davanti alla bocca per contenere le risate.
“Certo, con tutti i vestiti. Altrimenti non c’è soddisfazione.”
Il ragazzo rise insieme a lei ed entrambi si fissarono mentalmente quell’appuntamento, sperando che nessuno dei due se ne dimenticasse.
 
 
“Ti ricordi dove dobbiamo andare adesso, Eric?”
“Al mare.”
Iniziarono a sorridersi, riconoscendo che entrambi se ne erano ricordati.
“Andiamo a casa e poi ti passo a prendere tra mezz’ora.”
Claire si fece accompagnare a casa da suoi genitori, che sarebbero andati prima ad accompagnare Vicki all’oratorio dove faceva animazione e poi al lavoro, e posò tutti gli appunti sullo scaffale. Era come se con quel gesto avesse davvero concluso gli anni del liceo, era come se adesso potesse lasciarsi alle spalle quei cinque anni e decidere per sé e per il suo futuro. Sentì il citofono suonare e si precipitò a rispondere, per poi scendere verso Eric. Salì sul motorino, afferrando velocemente il casco e in poco meno di mezz’ora si ritrovarono al mare. Posarono gli zaini e si tolsero le scarpe e i calzini, gettandoli con noncuranza sulla sabbia e poi cominciarono a correre, entrambi con un paio di jeans e una banale maglietta a maniche corte addosso. Vide Eric girarsi verso di lei e afferrarle la mano, stringendo le dita attorno alle sue e poi correre ancora, forse più velocemente. Claire si sentiva libera, come non lo era mai stata in vita sua e si rese conto che correre verso il mare era una di quelle cose che da quel momento in poi avrebbe amato fare per tutta la vita. Avevano i vestiti inzuppati, li guardavano tutti quanti ma Claire rideva e, osservando Eric, anche lui faceva lo stesso. Iniziò a urlare, fregandosene che avrebbe potuto attirare maggiormente l’attenzione su di sé.
“Siamo liberi.”
Ed Eric le faceva da eco.
 
 
“Siamo liberi.”
Avevano corso fino al mare ridendo, mano nella mano, e adesso Eric sentiva l’impulso di baciarla. Si tuffò dentro l’acqua, bagnandosi completamente, e quando riaprì gli occhi vide Claire a pochi centimetri da lui che aveva seguito il suo esempio. Smise di sorridere, divenendo serio e poi si avvicinò a lei e alle sue labbra. Entrambi riuscivano a toccare la sabbia con la punta delle dita dei piedi, ed Eric durante il bacio fece in modo che si muovessero e si posizionassero dove riuscivano ad avere una maggiore stabilità. La sentì rigida fino a quando non toccarono del tutto la sabbia con i piedi, tanto che si avvicinò a lui dando maggiore intensità a quel bacio. Eric per un attimo ebbe la sensazione che stessero insieme, continuò a baciarla senza sosta e con le mani ad avvicinarsi alla sua schiena. Claire, aiutata dal mare e dalle mani di Eric, cinse i fianchi del ragazzo con le sue gambe. Eric era consapevole che in quel modo lei riuscisse a sentire la sua erezione, ma lei non sembrava badare a niente di tutto ciò. In quel momento, il ragazzo si rese conto che se Vicki non li avesse interrotti si sarebbero ritrovati davvero a fare l’amore sul letto di camera sua. Quasi spinto da quella consapevolezza afferrò i glutei di Claire con decisione e, nonostante l’avesse vista trasalire, spostò i suoi baci dalla bocca al collo. L’odore di Claire, nonostante il mare, era quasi inebriante e lei respirava più forte ad ogni bacio, quasi fosse la prima volta che qualcuno la baciava e la desiderava in quel modo.
Solo che avvicinarsi così non sembrava giusto, si bloccò, lasciò che i piedi di Claire poggiassero nuovamente la sabbia e la parte più razionale di sé prese il sopravvento. Non era un modo per rifiutarla o altro, voleva solo avere un po’ di rispetto per se stesso. Claire si avvicinò di nuovo a lui, provando a riprendere a baciarlo, ma Eric bloccò quel gesto iniziando a parlare.
“Questi baci non significano niente se non ne parliamo.”
Solo lui sapeva quanto fosse faticoso allontanarsi da quelle labbra.
“Possiamo baciarci anche mille ore, non ne ho problemi, ma…”
Aveva lasciato la frase a mezz’aria, aspettando che Claire la continuasse.
“Ma se non parliamo non sai che significato attribuire.”
“Claire, mi hai detto che avremo parlato e credo che non sia giusto farlo adesso.”
La vide annuire.
“La maturità è appena finita, Eric.”
“E ancora non sai nemmeno se andrai in Inghilterra.”
Lo fissò, come stupita che lui potesse prestargli così tanta attenzione.
“No, ancora non lo so.”
Era sicuro che non ci avesse più pensato.
“Allora è inutile baciarci. Ne parleremo in futuro, Claire.”
Le aveva sorriso, credendoci poco, e si era diretto verso la riva con l’acqua ad impedirgli di andare più veloce. Prese dal suo zaino l’asciugamano e cominciò a tamponarla sulla sua pelle, voleva evitare di salire in motorino bagnato perché era sicuro che si sarebbe preso la febbre.
 
 
Claire rimase ferma in acqua qualche minuto, vedendo Eric allontanarsi sempre di più e si rese conto che con quegli atteggiamenti così scostanti non aveva fatto altro che ferirlo. Effettivamente, lei non sapeva dove sarebbe stata nel futuro prossimo ed era pure inutile parlare di qualcosa adesso dato che non sapeva nemmeno da dove cominciare. Era ancora sconvolta dall’esame di maturità e da quei baci scambiati poco prima, sapeva di non essere lucida, sapeva che nonostante fosse consapevole dei sentimenti nei confronti di Eric non poteva prendere in quel momento una decisione: non era affatto lucida. Si immerse in acqua, tappandosi il naso e per una volta riuscì a sentire solo il suo respiro. Non c’erano pensieri, non c’erano sentimenti, c’era solo lei e il suo respiro, che in qualche modo le confermava che fosse viva. Ma, senza sentimenti e pensieri, poteva davvero definirsi viva?
Riemerse dall’acqua qualche secondo dopo e poi si avviò verso Eric, già con il borsone in mano.
“Vado a cambiarmi.”
“Ti accompagno, Eric.”
Lui sembrò non capirne il motivo.
“Di solito le serrature qui son sempre rotte.”
“E’ vero.”
Annuì convinto e Claire seguì i suoi passi. Con le scarpe bagnate veniva più semplice camminare, soprattutto se i suoi piedi aderivano alle impronte del ragazzo. Andarono in silenzio verso gli spogliatoi, con i raggi del sole a riscaldare in parte i vestiti bagnati. Si fermarono davanti alla porta di legno bianco e lo vide entrare per primo.
“Allora fai attenzione tu.”
Claire annuì, scontatamente, e si sedette sopra il proprio zaino. Sentiva ancora la stessa sensazione di quando, poco prima, era sott’acqua, riusciva a sentire ancora la sabbia tra le dita dei piedi e rumori ovattati provenienti dalla spiaggia, ormai troppo lontana. Sentì Eric aprire la porta ed uscire, facendole cenno di entrare e guardando insistentemente l’orologio. Lo guardò, di rimando, anche lei notando che si era già fatta l’ora di pranzo e si precipitò a cambiarsi. Per la prima volta in vita sua non pensava a niente, era solo preoccupata di arrivare tardi per il pranzo senza che avesse compiti a cui pensare o interrogazioni da preparare. Cambiò la maglietta velocemente e lo stesso fece con i pantaloni, prese un elastico e, nel frattempo che raccoglieva i capelli, vide la porta dello spogliatoio aprirsi.
“Claire, l’ultima volta e poi mi riprendo la mia dignità.”
Aveva ripreso a baciarla come quando erano a mare, poco prima che si fermasse, e anche lei continuò in quel modo. Sentiva le sue mani percorrere ogni centimetro del suo corpo e lei faceva lo stesso, se fosse davvero stata l’ultima volta voleva imprimersi bene Eric nella mente. Era in balia dei sentimenti ed era quello tutto ciò che contava in quel momento.




spazio autrice
Orario insolito in cui pubblicare, ma sono anche stata più rapida a scrivere. Spero di riprendere a postare in maniera più regolare da adesso in poi. Credo che in questo capitolo ci siano molte cose, molti avvenimenti importanti e credo che in qualche modo ci sia una svolta. Claire che decide di abbandonarsi ai suoi sentimenti ed Eric che, invece, decide che non può più continuare così. Spero che il capitolo sia di vostro gradimento e colgo l'occasione per farvi gli auguri di buon anno <3, anche se in ritardo :D
Volevo ringraziare tutti coloro che seguono la storia e che sono qui capitolo dopo capitolo.
Vi ricordo, inoltre, che la storia ha un gruppo, mi piacerebbe trovarvi lì dato che pubblico spoiler e foto riguardanti Unspoken Words e mi faccio viva, ogni tanto, scrivendo quando aggiornerò :)
Grazie, ancora, e alla prossima <3

 

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Capitolo 18
*** 17. Incastarsi. ***


Capitolo 17
presente


*I protagonisti del capitolo sono Eric e Claire, i loro POV si alterneranno.
Il nome in grassetto all’inizio del paragrafo cambia il punto di vista.*


Claire si era decisa ad andare, diceva che fosse solo per vedere se Eric facesse sul serio, per togliersi la curiosità nel caso in cui fosse davvero ritornato lì e l’avrebbe aspettata un intero mese. Si era detta che fosse più per curiosità, perché quei messaggi in fondo erano solo pure sadismo, un modo per torturarla e vendicarsi per avergli mentito per tutto quel tempo su ciò che provava per lui. Si era posizionata sul marciapiede opposto rispetto al bar in cui si erano visti per non dare nell’occhio, sperando, in fondo, che sarebbe arrivato davvero. In realtà, dopo tutto ciò che si erano detti, credeva che non si sarebbe presentato, che avrebbe fissato quella porta in legno per due ore e poi se ne sarebbe andata via, avendo la conferma che la loro occasione era stata tre anni prima e non ce ne sarebbero state altre. Fissò per alcuni minuti quel bar e attraverso le vetrate immaginò come al solito la vita di quelle persone, due amiche che parlano dei loro problemi sentimentali, un giovane adulto che pensa alle occasioni mancate e una donna anziana che sorseggia un cappuccino con lo sguardo perso nel vuoto. Sapeva di star proiettando tutto ciò che provava su delle persone che nemmeno conosceva, ma era un modo diverso per non pensare al fatto che se Eric non si fosse presentato lei non si sarebbe mai più ripresa.
D’un tratto, sentì qualcuno chiamare il suo nome, si girò di scatto e vide Robert.
“Claire?”
Luii sorrise e lei continuò a guardare verso la porta della caffetteria.
“Presente.”
Sperava che Eric non arrivasse in quel momento perché era sicura che avrebbe frainteso tutto.
“Fatti abbracciare.”
Avrebbe decisamente frainteso ogni cosa.
Era pur sempre un suo compagno di liceo, a prescindere dal fatto che avesse usato la sua persona per giustificarsi malamente.
“Non ti vedo dal tuo compleanno.”
Abbracciare Rob era strano e si rese conto, solo in quel momento, che quella fosse la prima volta in assoluto in cui si abbracciavano. Lasciò quella presa velocemente, guardando nuovamente verso la porta della caffetteria, constatando che Eric non fosse ancora arrivato.
“Sì, neanche io.”
Sorrise più per cortesia che per altro.
“Poi dove ti sei trasferita?”
“Sto studiando medicina in Inghilterra, in una città che è così insignificante che nemmeno la conoscerai.”
Avvicinò le mani tra loro, grattandosi il palmo con l’indice destro.
“Tu hai fatto economia?”
Robert rise e annuì.
“Sì, altrimenti ognuna delle litigate con Mel sarebbe stata inutile.”
Claire ricordò appena quelle discussioni, sembravano ormai così sfocate e lontane da non sembrare nemmeno reali.
“E’ vero.”
“Mi ha fatto piacere vederti, Claire.”
“Anche a me.”
Si sorrisero un attimo.
“Sei sempre più bella.”
Non si aspettava che potesse dirle una cosa del genere e non si aspettava nemmeno il bacio in fronte che le diede, poco prima di andare via. Lo guardò di spalle e notò una ventiquattro ore a tracolla poggiata sulla spalla sinistra e la stessa andatura di quegli uomini di affari che prendevano gli aerei con lei. Poteva vestirsi in maniera differente, ma era sempre lo stesso Robert con la medesima sfrontatezza. Col senno di poi, si rese conto che non sarebbe mai riuscita ad apprezzare Robert per via di quel carattere: era fin troppo diverso da Eric.
 
 
Ad Eric era mancato il respiro, aveva visto Claire e Robert abbracciarsi e gli era mancato completamente il respiro. Li aveva visti, ma aveva tenuto gli occhi fissi su Claire, che aveva sorriso forzatamente più volte. Dopo tutto quel tempo e quelle numerose volte in cui aveva frainteso ogni cosa, sperava vivamente che fosse arrivato il momento di capire e comprendere ogni sfaccettatura di Claire. Adesso che la paura era scomparsa, che forse quella possibilità l’avevano davvero avuta, era più facile comprenderla. Gli veniva più semplice cogliere quella flebile linea di confine tra l’essere cortese e il suo effettivo fastidio. Adesso era più facile leggere tutto. Attese che Robert andasse via, come se dovesse aspettare il suo turno, e poi si diresse verso Claire.
Era rimasta di fronte al bar per tutto quel tempo ed Eric pensò che forse nemmeno si aspettava che lui si sarebbe presentato. Chiamò il suo nome piano e quasi si stupì che Claire fosse riuscita a sentirlo.
“Credevo che non saresti venuto.”
Lo disse spalancando le labbra in un sorriso e cominciando a ridere.
“Allora non hai ancora capito niente di me.”
“Dai colpa alla mia paura.”
Le loro labbra si toccarono ancora dopo un mese, ma ad Eric sembrò che fosse passato ancora più tempo. Erano familiari, ma allo stesso tempo diverse. In quel bacio non c’era più la Claire sorpresa di trenta giorni prima che non sapeva nemmeno se fosse stato il caso farlo rientrare nella sua vita e nemmeno la Claire adolescente che non faceva altro che confonderlo. Aveva l’impressione di baciare la ragazza che per il suo diciottesimo compleanno si era messa completamente a nudo, consapevole di ciò che volesse, ed era la Claire che aveva sempre desiderato accanto a sé. Con le mani accarezzò le guance di Claire, continuando con quel bacio che riusciva a comunicare tutto il loro amore. Fu Eric a staccarsi per primo da quelle labbra e notò come Claire avesse ancora gli occhi chiusi, quasi avesse difficoltà ad aprirli perché dentro ad un sogno. Le prese la mano e Claire osservò, prima, l’intrecciarsi delle loro dita e poi il suo viso.
“Credo che dovremo farci davvero quella chiacchierata, Eric.”
“Quella che ti ho chiesto di fare ben 3 anni fa?”
Solo adesso riusciva ad essere ironico a riguardo.
“Proprio quella.”
“Questa volta sarai onesta?”
Lo baciò brevemente, di nuovo, con una naturalezza che credeva che non avrebbero mai avuto.
“Andiamo a casa mia?”
 
 
 
Si erano baciati dentro all’ascensore, sul pianerottolo e poi per tutta casa sua. Claire aveva detto di andare da lei perché sapeva che i suoi genitori sarebbero stati tutto il giorno fuori e che Vicki era fuori per il weekend con Ian, il fratello di Mel. Erano arrivati in camera sua con le labbra gonfie e gli occhi pieni di emozione. Salire le scale era stato come rivivere il giorno del suo compleanno, lei a condurlo verso quella stanza ormai troppo infantile e rosa, e lui che si lasciava trascinare, quasi volesse avere continue conferme. La baciava in maniera differente, non c’era più il ragazzo insicuro e timido di anni prima, ma solo la consapevolezza che entrambi erano lì per lo stesso motivo e sapevano a cosa quei baci li avrebbero portati. La baciava con più sicurezza, avvicinandosi a lei ogni volta che il contatto delle loro labbra non era più sufficiente. Le tolse il maglione lentamente, senza fretta, guardandola dentro agli occhi ogni volta che le loro bocche erano separate e aiutandola a liberarsi di quei vestiti. Le sue mani non erano più impazienti e curiose come anni prima, adesso erano sicure di sfiorare i punti più delicati, convinto che le avrebbero provocato un brivido. Claire lo condusse verso il suo letto e lui si sedette, lasciando tra le gambe lo spazio perfetto che avrebbe ricoperto la ragazza poco dopo, avvicinandosi ancora a lui e baciandolo dall’alto, quasi come se Claire volesse averne il controllo. Eric prese a baciarle la pancia, sfiorando i fianchi con i polpastrelli della mano destra e sollevando sempre più la maglietta. Cominciò a baciarle l’ombelico per poi percorrere, bacio dopo bacio, l’incavo che lo avrebbe portato al suo seno; Claire, nel frattempo, aveva le mani tra i suoi capelli e sentiva la testa di Eric scivolare verso la sua bocca a poco a poco. Si alzò dal letto, le baciò ancora una volta il collo e poi la guardò negli occhi prima di baciarla di nuovo e farla sdraiare a letto. Questa volta il controllo l’aveva lui e Claire era, quasi, inerme sotto quelle carezze e quei baci, che bramava silenziosamente da tempo. Le tolse i pantaloni poco dopo, continuando a baciare ogni piccolo pezzo di pelle che gli si presentava davanti e lei non faceva altro che sospirare sotto ognuno di quei tocchi. La ragazza pensò che nessuno era mai stato così attento con lei, nessuno così paziente. La vide guardarla ancora negli occhi, ancora in silenzio e senza dire una parola, e poi levarsi la maglietta e gettarla fuori dal letto, a terra. La baciò ancora, ma aveva iniziato a farlo con più foga e ad ogni contatto si sentiva la pesantezza dei loro respiri. Eric si trovava sopra di lei, con un braccio a tenere il peso del suo corpo, e lei aprì leggermente le gambe per fare in modo che si avvicinasse, come poco prima aveva fatto Eric ai bordi del letto. I loro baci aumentarono ancora di intensità e Claire ebbe la sensazione che il cuore le stesse scoppiando dentro, sfiorò con le mani il petto di Eric e sentì che il suo cuore batteva all’unisono con il suo. Si rese conto che fosse arrivato il momento di fondersi e completarsi del tutto, tanto che sentì Eric sfilarle via le mutande nel frattempo che i suoi baci continuavano a torturarle la bocca. Vide Eric interrompere quel contatto e guardarla negli occhi.
“Posso?”
Gli sorrise un attimo, nonostante tutto quel tempo aveva la capacità di sorprenderla ancora. Si rese conto che quella domanda fosse più per chiederle implicitamente se lei stesse prendendo delle precauzioni, dato che Eric lo aveva già capito dal primo bacio che sarebbero finiti a letto a casa sua. Si protese verso di lui per un altro bacio ed Eric, dopo pochi secondi, entrò dentro di lei. Non c’era impaccio, non c’era nemmeno un pizzico di imbarazzo, ogni singola parte del proprio corpo era al posto giusto e, soprattutto, entrambi riuscivano a darsi piacere. La loro prima volta non era stata perfetta a livello tecnico, ma ogni volta che Claire la ricordava riusciva a sentire il cuore riscaldarsi. Adesso era tutto diverso, adesso coglievano ogni singola sfumatura dei loro respiri e sapevano esattamente l’effetto che l’uno faceva all’altra, forse perché in quegli anni se lo erano chiesti fin troppe volte. I loro respiri continuavano a mescolarsi e Claire, ogni volta che Eric la guardava, arrossiva ma non perché fosse imbarazzata. Fare l’amore con lui era la cosa più naturale del mondo e attraverso gli occhi del ragazzo credette di cogliere la stessa cosa. Si mosse ancora dentro di lei, dandole sempre più piacere ed ebbero la fortunata di raggiungere il culmine insieme. Ancora abbracciati, ancora appagati e ancora incastrati alla perfezione.
Era come riprendere da dove si erano lasciati, forse solo con la consapevolezza che, adesso, sarebbe stato più semplice.
 
 
 
Eric era rimasto dentro di lei ancora per un po’, anche se avrebbe continuato a fare l’amore con lei per ore. L’aveva abbracciata, baciata e coccolata ancora, e poi l’aveva vista dirigersi verso il bagno con un plaid addosso, senza dirsi ancora una parola ma sorridendosi semplicemente, come se tutto ciò che provavano fosse già scritto sulle loro labbra. Si era sdraiato su quel letto, con la pancia in su, le mani intrecciate dietro la testa e aveva guardato il soffitto a lungo, pensando a quanto tutto fosse stato perfetto. Aveva lasciato da parte i suoi istinti primitivi, godendosi il momento ed era quasi grato a se stesso per averlo fatto. Vide Claire tornare e sdraiarsi accanto a lui, si girò a guardarla e iniziò ad accarezzarle i capelli, mentre la ragazza chiudeva gli occhi e si abbandonava a quella dolcezza.
“Poi vorrei capire perché tutto ciò ti sembrava impossibile, Claire.”
“Mmm.”
La ragazza ci pensò un attimo, riaprì gli occhi e poi rispose sorridendo.
“Il fatto è che a diciotto anni tutto ti sembra più grande di te”
Eric scosse la testa, non era d’accordo.
“No, è solo che non hai mai voluto rischiare.”
Fece una breve pausa e si girò verso di lei, poggiando il braccio sul materasso e tenendosi la testa con la mano.
“So solo che il coraggio di rischiare ce l’hai o non ce l’hai ed è a prescindere dall’età. Se una cosa ti sembrava impossibile a diciotto anni, crescendo ti sembrerà sempre più impossibile, crescendo diventi solo più codardo.”
L’aveva messa in difficoltà, lo sapeva, possibilmente quello era uno dei discorsi che non avrebbero potuto affrontare per evitare di ferirsi o dire cose fuori luogo.
“Se fosse come dici tu, io non sarei qui.”
Si coprì meglio con il lenzuolo ed Eric sapeva che lo stesse facendo solo perché aveva colpito una parte sensibile, un nervo ancora scoperto.
“E cosa è cambiato?”
Era evidentemente in difficoltà.
“Sentiamo, Claire.”
La vide coprirsi ancora e mettersi seduta, appoggiando le spalle alla testata del letto.
“Sono stati tre anni di merda.”
Aveva assunto un tono di voce stridulo.
“Continuavo a rivivere tutti i momenti vissuti insieme, ma soprattutto continuavo a vedere i tuoi occhi feriti l’ultima volta che abbiamo parlato.”
“Almeno te ne eri accorta.”
Si era rimesso i boxer e poi si era seduto dalla parte opposta del letto.
“Non hai idea di come sono stata male in questi anni per quegli occhi.”
“Era il minimo.”
La vide volgere lo sguardo verso la finestra.
“Mi hai detto che fingevi, Claire.”
“E tu ci hai creduto.”
“E che dovevo fare?”
Pensò per un attimo che adesso la colpa era la sua e che infondo non doveva credere alle sue parole.
“Niente. Che motivo avevo di mentirti, Eric?”
Lo aveva detto in una maniera così sconsolata che avrebbe voluto abbracciarla.
“Quale persona sana di mente riesce a dire una bugia su una cosa così importante?”
Claire si coprì ancora, avvicinando le gambe al busto e rannicchiandosi in quel modo.
“Hai ragione.”
Lo disse quasi sussurrando.
“Sono stata una codarda.”
La vide coprirsi la testa e sdraiarsi a letto, sconsolata.
“Sono tre anni che rivivo quell’estate e, a parte che con lo studio, non sono andata avanti nella mia vita.”
“Claire….”
Non sapeva nemmeno cosa dire.
“Ho solo più coraggio adesso perché ho sofferto inutilmente senza di te e credo che mi sono posta troppi problemi prima. Se solo non fossi stata una codarda, potevamo stare insieme da tutto questo tempo.”
“Credi che avremmo resistito, Claire?”
In fondo, la preoccupazione della distanza riguardava anche lui. Si spostò dai bordi del letto a Claire in pochi secondi e si inserì dentro le lenzuola, abbracciandola e accarezzandole la pancia con le mani.
“Io credo di sì.”
Si avvicinò più a lui ed Eric poggiò il mento sulla spalla della ragazza, quasi a volerla ancora più vicina.
“Allontanarsi, per noi due, non è mai stata la soluzione.”
Claire si girò verso di lui, con gli occhi pieni di lacrime e lui prese a baciarla. Sapeva quanto potesse essere sensibile, ma non credeva che lei avesse sofferto quasi quanto lui. Si staccò da quel bacio e le posò le labbra prima su una e poi sull’altra palpebra, come se in quel modo potesse farla stare meglio e potesse farle dimenticare quegli anni, quasi potesse dimenticare anche lui.
“Lo so e me ne sono resa conto solamente adesso.”
Si avvicinò a lui, e si sentì abbracciare con forza.
“Dopo anni mi sento di nuovo bene.”
La strinse forte a sé.
“Ero sempre vuoto, sempre da un’altra parte ma non ci avevo mai pensato che fosse per te.”
“Nemmeno io.”
Le baciò la fronte e Claire chiuse gli occhi, quasi come volesse imprimersi ancora ogni cosa e fosse tutto provvisorio.
“Non voglio fare il guastafeste, ma dovremo pensare a come sarà dopo.”
Vide il volto di Claire muoversi verso di lui e guardarlo dritto negli occhi, Eric non aveva idea del modo in cui sarebbero cambiate le loro vite nei successivi mesi.
 
 
Claire, a quella domanda, non sapeva come rispondere.
“Non lo so.”
Si allontanò un attimo da Eric e poi si mise nuovamente seduta.
“Nel senso che io non ci ho pensato.”
Vide il ragazzo osservarla ed essere, visibilmente, confuso.
“Io torno spesso qui a casa, ma certi mesi rimango lì per via delle lezioni e del tirocinio.”
L’aveva detto quasi balbettando ed Eric se ne era accorto. Si era, nuovamente, coperta con il lenzuolo ed aveva incrociato le braccia. Non aveva mai pensato al fatto che se Eric si fosse davvero presentato sarebbe finita in quel modo, aveva dato quasi per scontato che lui non sarebbe venuto e che si sarebbe vendicato in quel modo. Si rese conto che attribuire un ragionamento così contorto ad Eric era diverso dal fatto che lui poteva, effettivamente, pensare di fare una cosa del genere. Lo aveva pensato spregevole sotto ogni punto di vista, perdendo lontanamente di vista il vero Eric, quello che aveva davanti e colui che continuava ad amare dopo tutto quel tempo.
“Non volevo metterti in difficoltà, Claire.”
Adesso poteva leggere nei suoi occhi pura e semplice delusione.
“E’ solo che non lo so.”
Era sicura che da un momento all’altro se ne sarebbe andato, per la prima volta sarebbe scappato lui.
“Non lo so, Eric.”
L’aveva visto alzarsi e prendere i vestiti.
“Siamo di nuovo nella stessa situazione.”
Aveva infilato i jeans in due rapidi movimenti.
“Di nuovo nella stessa cazzo di situazione.”
Claire era ancora nuda, dentro al letto e lui si stava già mettendo la maglietta.
“Prima mi dici che tre anni fa non poteva funzionare, adesso sembra di sì ma poi quando ti chiedo nel pratico come dovremo fare non ne hai idea e soprattutto non pensi nemmeno ad una soluzione.”
Era già passato ai calzini.
“E forse questo secondo aspetto è ancora più grave.”
 Adesso, aveva indossato le scarpe.
“Mi rendo conto che avresti preferito che oggi non fossi mai venuto lì, così avevi la scusa di non buttarti e amen.”
Era ancora immobile a letto e non riusciva nemmeno a muoversi.
“Ho ragione io, Claire, sei solo più codarda.”
Prese la giacca e poi la guardò dritta negli occhi, sempre più arrabbiato.
“So dov’è l’uscita.”
Claire lo aveva visto chiudere la porta, poi lo aveva sentito scendere le scale e alla fine chiudere la porta di casa. Si rannicchiò su se stessa per un attimo e iniziò a pensare a come, per l’ennesima volta, fosse stata stupida. Sembrava che ad ogni volta che loro si avvicinavano, lei doveva rovinare ogni cosa. Andò a recuperare i suoi vestiti e a poco poco si rivestì, sentendosi più nuda ad ogni strato di cotone che indossava. Si buttò a letto, senza forze, e rimase lì per un paio di ore in cui pensò che l’unica persona che avrebbe voluto chiamare fosse Mel. Si sentivano regolarmente, ma non voleva tediarla nuovamente con Eric e quei discorsi che erano inconcludenti per colpa dei suoi atteggiamenti idioti, aveva già passato parte della loro adolescenza a fare così. A volte ripensava a come Mel l’avesse sempre incitata a dire ad Eric cosa provasse, altre volte a come la sua migliore amica le dicesse che prima o poi avrebbe dovuto prendere una decisione, ma spesso ripensava ad una frase che, dopo tutto quel tempo, aveva ancora impressa in mente.
Sei diventata una delle persone che odio, quelle che non sono mai contente di ciò che hanno e che devono crearsi problemi dove non ce ne sono.
A volte avrebbe voluto vedersi chiaramente, avrebbe voluto vedersi attraverso gli occhi di Mel per riuscire a capirsi meglio e districare tutti quei dubbi e tutte quelle paure che ormai facevano parte della sua esistenza.
 


spazio autrice
Siamo qui, puntuale dopo un mese.
Io credo che questo capitolo parli ancora da solo. Siamo al presente, sembrava che Claire avesse fatto dei passi avanti andando lì, ma è evidente che è Eric ad essere il più maturo dei due. Sembra che non finisca mai tra loro due e che continuino a rincorrersi senza mai stare insieme :'(
Spero di aggiornare puntualmente la prossima settimana e prima di salutarvi ci tengo a dirvi che ho fatto un altro video/trailer per la storia: lo trovate qui
e che, inoltre, la storia ha un gruppo facebook :)
Alla prossima e grazie a tutti voi <3

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Capitolo 19
*** 18. Distruggersi. ***


 
 
Capitolo 18
passato
 


*I protagonisti del capitolo sono Eric e Claire, i loro POV si alterneranno.
Il nome in grassetto all’inizio del paragrafo cambia il punto di vista.*

 

 

Eric aveva accompagnato Claire fino a casa. L’aveva lasciata davanti il portone senza dire niente, facendole un debole sorriso di cui non ne avrebbe mai compreso il vero senso; non sapeva se indicasse dispiacere o semplice compassione per lei, che non sapeva nulla della sua vita. Aprì il portone del palazzo e avanzò verso le scale, lasciando che la porta si richiudesse dietro le sue spalle con un rumore sordo. Era probabile che quella sarebbe stata l’ultima volta in cui si sarebbero stati così vicini per molto tempo e lei, in qualche modo, si era impressa ogni momento nella mente. I piccoli raggi del sole che entravano dentro lo spogliatoio, i loro respiri affannati e il sapore del sale, che una volta asciutto, si era depositato sulla pelle di Eric. Sospirò davanti alla porta di casa sua, sapendo che sua madre o sua sorella avrebbero fatto domande se l’avessero vista sconvolta, e poi entrò. La investì Vicki con un enorme sorriso.
“Siamo stati scelti per andare in Francia.”
“Davvero?”
All’inizio dell’anno la sua classe aveva fatto richiesta per un laboratorio di teatro a Parigi ed erano stati scelti, tra tantissime altre scuole. Claire corse ad abbracciarla, lasciandosi alle spalle tutto ciò che era successo, perché sapeva quanto sua sorella avesse sperato che quel sogno potesse diventare realtà.
“E quando parti?”
“Tra cinque giorni.”
“E’ bellissimo, Vicki.”
La stritolò ancora un po’.
“Quindi parte anche Ian?”
La vide diventare rossa, nonostante volesse mantenersi normale.
“Credo di sì.”
“Così Mel ed io possiamo fare un bel pigiama party o a casa mia o a casa sua, senza fratelli che rompono le scatole.”       
La abbracciò di nuovo.
“Prenditi il meglio da questa esperienza.”
Si staccò da lei e le sorrise ancora.
“Ci proverò.”
Recuperò la borsa che aveva gettato a terra e poi richiamò l’attenzione di sua sorella.
“Vicki?”
“Sì?”
“Usate delle precauzioni.”
La vide arrossire del tutto e mormorare qualcosa, sapeva di essere in qualche modo sadica ma era il suo modo di far sapere a Vicki che le voleva bene e che si prendeva cura di lei. Iniziò a salire le scale verso la sua camera e nel frattempo le urlò ancora qualcosa.
“Mi raccomando, eh.”
Arrivò al suo piano, si affacciò per guardarla e poi rise di gusto. Sua sorella era davvero convinta che sia lei che Mel si fossero bevute la storia della “prospettiva” al centro commerciale, ma per Claire era stato sufficiente osservarli mentre si guardavano negli occhi.
Prese la borsa, la svuotò dei vestiti ancora bagnati e poi si tolse le scarpe. Osservò i piccoli granelli di sabbia appiccicati sotto i talloni e li lasciò dov’erano, voleva portarseli per tutto il resto della giornata e ricordarsi del mare. Sapeva che toglierli non sarebbe stata la soluzione migliore perché ormai sentiva Eric insieme a lei in ogni momento della giornata.
Lasciò in lavanderia la maglietta e i jeans, sentì la voce di sua madre chiamarla e poi si diresse in cucina, un forte odore di lasagna la investì completamente e guardò sua madre, quasi incredula.
“Non fare quella faccia, Claire.”
“Perché hai fatto le lasagne?”
Suo padre cominciò a ridere e sua madre insieme a lui.
“Perché?”
“Ma lo chiedi seriamente?”
Aveva poggiato le spalle al muro nel frattempo che suo padre divideva le porzioni.
“Oggi hai solo finito il liceo.”
“Niente di ché.”
Sua madre sottolineò la precedente affermazione di suo padre, ironicamente.
“E’ una cosa assolutamente normale, vero Claire?”
“Lo so che non succede tutti i giorni, ma non cambia niente.”
Suo padre sbuffò, scuotendo la testa.
“Non succederà mai che mia figlia si godrà semplicemente il momento, vero?”
“Sia lei che Vicki hanno questo brutto carattere.”
Li sentì scambiarsi quelle parole e nel frattempo vide Vicki entrare in cucina.
“Fate come se non esistessimo, eh.”
Sua madre si girò e posò i primi due piatti sul tavolo.
“Diciamo solo la verità.”
“La mia è solo un’introduzione, mamma.”
Sua padre adesso aveva sistemato le ultime due porzioni.
“E’ vero, ma ciò non esclude che dobbiamo essere contenti per i tuoi successi.”
In quel tavolo quadrato, dove Claire era sempre vicino a suo padre, vide sua madre allungare la mano e stringere la sua con forza.
“Un giorno lo capirai.”
Vicki iniziò a mangiare e sussurrò qualcosa con la bocca piena.
“Ma non è questo il giorno, mamma.”
Risero tutti quanti e poi Claire prese la forchetta.
“Buon pranzo, famiglia.”
“B
uon pranzo.”
 

***
 
Quella giornata era iniziata con gli esami di stato, con l’addio di Eric ed alzare quella cornetta era altrettanto difficile. Doveva chiamare Melanie e parlare con lei, sentiva il bisogno di chiarire.
“Mel?”
“Ciao Claire.”
Faceva finta di essere scocciata, era evidente.
“Hai l’esame domani?”
Voleva rimanere vaga e poi chiederle scusa.
“Sì, purtroppo aggiungerei.”
“Manca poco.”
“Claire, cosa dovevi dirmi?”
Quando avevano qualche disguido lei andava sempre al centro della questione.
“Volevo chiederti scusa.”
“Credevo che abbracciarti fosse sufficiente, no?”
“Avevo bisogno di dirtelo, Mel.”
Claire si schiarì la voce, quasi cercasse aiuto da ogni parte.
“Hai ragione a dirmi in quel modo e mi dispiace.”
“Claire, tu sei la mia migliore amica, ma te l’ho detto mille volte. Devi solamente capire cosa vuoi e prendertelo.”
“Lo so.”
“Hai illuso Robert con la storia dell’uscire insieme, adesso non ho idea di cosa tu stia combinando con Eric. So per certo cosa provi per Eric, ma non può stare ad aspettarti per tutta la vita.”
“Lo so, Mel.”
“E allora agisci di conseguenza, Claire.”
Avrebbe voluto raccontarle del mare, dei loro baci, dei loro corpi nudi in quella camera da letto, ma voleva smettere di essere egoista.
“Ti avevo chiamato per porgerti le mie scuse e per chiederti se domani dopo l’esame volessi pranzare insieme a casa mia. I miei lavorano e Vicki sarà troppo intenta a preparare la valigia.”
“Farò finta che sia solo un pranzo.”
La sentì sospirare dall’altra parte del telefono.
“Chissà cosa hai combinato in questi giorni.”
Claire si lasciò sfuggire una risata nervosa.
“Ci vediamo domani allora.”
“Sì, Claire a domani.”
“Buono studio.”
Poggiò il telefono sulla base in plastica e poi prese le cuffie, per qualche ora sarebbe scomparsa.


Eric aveva deciso di non tornare a casa per quella sera.
Aveva chiamato sua madre per dirle che avrebbe dormito da Robert, dato che l’amico avrebbe avuto l’orale l’indomani, e poi se ne era andato in un piccolo bed and breakfast di fronte agli scogli e al mare. Aveva sempre immaginato di portarci lì Claire e che avrebbero dormito insieme, abbracciati, con le onde del mare a fare da sottofondo, ma ormai si era rassegnato ad ogni tipo di idea che racchiudesse loro due insieme. Prima di dargli la chiave della stanza, la proprietaria dell’hotel lo aveva guardato dalla testa ai piedi chiedendogli il pagamento per intero della stanza e una penale che gli avrebbe restituito al momento del check-out, come se Eric potesse avere una minima intenzione di distruggere quelle quattro mura. Arrivò in stanza senza dire niente, ancora con lo zaino che aveva preparato per andare al mare sulle spalle, si diresse verso la vetrata ed aprì la porta senza pensarci due volte, affacciandosi dal balcone. Riusciva a sentire l’odore del mare, quasi come ne fosse completamente investito e si sedette sul tavolino in plastica, che lasciava appena lo spazio per sporgersi dalla ringhiera in legno. Guardare il mare e l’orizzonte sempre più lontano, in qualche modo gli sgombrava la mente, riusciva a vedere le infinite possibilità che si stava perdendo rimanendo in quel modo e scegliendo Claire ogni giorno, sapendo che lei era sempre scostante e mai sicura di ciò che provasse e stesse sentendo. Sospirò, sedendosi e soffermandosi a guardare le onde del mare increspate dal vento sempre più insistente ed allungò le gambe sulla sedia opposta a lui. Tolse le scarpe, facilitando il tallone con le dita dei piedi, e percepì la sabbia di poche ore prima scivolare via. Dopo aver lasciato Claire, era arrivato direttamente lì e doveva ancora lavare via ogni tipo di ricordo. Si alzò, lasciò le scarpe a terra e andò a farsi quella doccia che sentiva di meritare da tempo. Si tolse i vestiti, sentendo ancora il sale appiccicato sulla pelle, ed entrò dentro il box. Il getto d’acqua sembrava ricordargli il mare, la loro corsa e il modo i cui si erano baciati languidamente e a lungo. Prese lo shampoo e iniziò a strofinarsi la testa, sperava che in quel modo riuscisse a dimenticarsene. Come se fosse così semplice dimenticarsi di qualcuno che, ormai, aveva sostituito il suo stesso cuore.

 
***
 
Era uscito dalla doccia, forse con meno pesantezza nel cuore, si era asciugato e poi quasi esausto si era messo a letto. Aveva pranzato con un gelato e non aveva nemmeno mangiato qualcosa di più sostanzioso dalla sera prima, data la tensione per gli esami. Aveva ancora l’accappatoio addosso, la faccia spalmata sul materasso e le braccia quasi ad abbracciare il letto. Guardava attraverso la finestra il mare, i raggi del sole pomeridiano ad illuminare le onde, mentre lui aveva solo la forza di guardare lì e non muovere un dito. In un giorno era stato capace di finire la maturità, trattenere i suoi ormoni più e più volte con Claire e dirle, in modo non definitivo, addio. Le aveva detto che voleva la sua dignità indietro, ma in fondo era solo il modo più semplice per evitare di farsi ancora del male. Ogni bacio gli faceva contorcere lo stomaco dall’emozione, ma allo stesso tempo sentiva dei piccoli tagli farsi sempre più profondi ad ogni parola o gesto esitante di Claire. Non voleva dissanguarsi ulteriormente, nonostante continuasse ad amarla con tutto se stesso. Sbuffò, si sistemò sui gomiti e poi si alzò dal letto per buttare a terra l’accappatoio e rivestirsi. Non c’era sua madre a riprenderlo per aver messo tutta alla rinfusa e lui aveva deciso di uscire e passeggiare. Aveva preso il cellulare, in caso qualcuno avesse davvero bisogno di lui, ed aveva cominciato a camminare tra gli scogli. Non era mai stato pratico a destreggiarsi tra quegli ammassi di pietra, tanto che da piccolo non faceva altro che cadere e sbucciarsi le ginocchia. Perse un attimo l’equilibrio tra un sasso e l’altro ed era come se il mondo volesse sottolineargli ancora che era tutto fin troppo destabilizzante per i suoi gusti. Sospirò e rinunciò a bagnarsi le punte dei piedi con l’acqua, nonostante si fosse fatto il bagno poche ore prima era sempre stato attratto dal mare. La prima volta che sua madre lo aveva portato in piscina per imparare a nuotare, Eric non si era nascosto dietro alla sua genitrice come gli altri bambini. Era stato il primo ad entrare in acqua, il primo ad arrivare fino al temuto punto in cui non si riusciva a toccare e il primo ad imparare lo stile a rana. Ancor prima di imparare il dorso, che detestava con tutto il suo cuore dato che non si rendeva mai conto delle distanze e finiva con lo sbattere la testa contro il muretto azzurro, lui era già lì a nuotare come poteva. Adorava i capelli bagnati, la cuffia stretta intorno alla testa e gli occhialini che lo aiutavano a vedere anche sott’acqua. Aveva smesso perché aveva deciso di concentrarsi sulla scuola, ma forse non avrebbe mai dovuto fare una scelta del genere. Sentì il telefono vibrare e si precipitò a recuperarlo, notò che Robert gli aveva mandato un messaggio.
Anche se sono nella merda, domani è l’ultima occasione per galleggiare insieme.
Era un invito poco esplicito per gli esami dell’indomani, aveva deciso di andarci lo stesso per assistere all’orale di Mel, d’altronde adesso era libero di fare ciò che voleva. Non rispose a quel messaggio e ripose il cellulare in tasca, rendendosi conto che l’indomani avrebbe rivisto Claire e avrebbe dovuto fare di tutto per controllarsi ed evitare di baciarla. Aveva creduto che fosse possibile per loro evitarsi, che data la fine della scuola sarebbe stato più semplice non vedersi, ma non aveva tenuto conto degli esami in comune, dei risultati degli esami e del compleanno di Claire. Non aveva pensato che lui non poteva assolutamente mancare per i suoi 18 anni, se non fosse andato lei non gliele avrebbe mai perdonato e lui non sarebbe stato capace di rimanere a casa. Era impossibile allontanarsi, nonostante ci stesse provando in ogni modo.
 
 
Claire, quella mattina, si era alzata stranamente riposata e senza pensieri. Era come se avesse ridotto ogni pensiero che riguardava Eric e lo avesse riposto dentro ad una scatola, chiusa ermeticamente. Sua madre l’aveva accompagnata a casa di Mel, Claire l’aveva aiutata a ripetere le ultime cose e poi erano andate a scuola, varcando l’ingresso con uno sguardo complice. Si erano dirette verso la stanza dell’orale, che Claire conosceva fin troppo bene, e poi erano rimaste ad aspettare fuori dalla porta. Era la terza per quel giorno e prima di lei ci sarebbero stati Robert e poi Amy. Tutto il loro gruppo avrebbe finito gli orali quel giorno e lei ne era sollevata, non avrebbe dovuto mettere piede in quella scuola più volte del necessario. Vide Mel andare a salutare Robert ed Amy, e Claire fece loro un impercettibile gesto con la mano. Si avvicinarono a lei, nonostante la ragazza avesse fatto in quel modo per evitare che gli trasmettessero un po’ di quell’ansia e che, quando Eric sarebbe arrivato, si fosse inserito nel gruppo.
“Allora Claire come ti senti?”
Amy non era venuta il giorno prima, ma poteva capirla dato l’orale imminente.
“Più leggera.”
Non era vero, per niente.
“Direi semplicemente sollevata.”
Sospirò.
“Ne ero sicura, non vedo l’ora di finire oggi.”
Sia Rob che Mel annuirono a quelle parole.
“Credo che questa frase esprima i pensieri di tutti, Amy.”
Robert lo aveva detto piano, un po’ sconsolato ma in fondo felice che prima o poi sarebbe finito tutto quanto. Claire gli sorrise appena, sapeva quanto potessero sentirsi agitati e l’unica speranza era davvero finire. Si guardò intorno, non vedendo alcun segno di Eric, pensava che almeno per Robert sarebbe venuto. Li aveva visti pizzicarsi tra loro nell’ultimo mese, ma la loro amicizia era sempre stata così, Eric che prendeva sempre le distanze da Rob e lui che ad ogni costo voleva palare con Eric: erano fin troppo diversi. Sentì Amy sospirare, si girò verso di lei e le strofinò la mano sulla spalla per consolarla.
“Son sicura che andrà bene, non preoccuparti.”
Amy annuì e poi si girò a guardare la commissione che stava entrando in stanza. In fila indiana, seguirono Robert e poi si sedettero alle sue spalle. Appoggiate al muro, c’erano sei sedie, due per i genitori di Rob, una per Amy, una per Mel, una per Claire e una sedia, libera alla sua destra, per Eric.
Rob iniziò a parlare, ma Claire non riusciva a sentire una parola. Era troppo seccata con Eric per ciò che stava facendo, troppo seccata perché per una questione di principio non stava partecipando all’orale del suo migliore amico. Si girò verso Mel, chiedendole di farle vedere l’ora e poi notò Eric salutarli appena e sedersi accanto a lei. Si avvicinò all’orecchio di Eric per rimproverarlo.
“A prescindere da quello che è successo tra di noi, Rob è il tuo migliore amico.”
Non si scompose nemmeno un po’ e poi sentì le labbra di Eric avvicinarsi al suo orecchio, respirare piano dandole un brivido e poi rispondere a ciò che lei gli aveva detto.
“Non tutto gira intorno a te, Claire.”
Un’espressione delusa si dipinse sul suo volto e si sentì stupida. Era la prima volta che Eric le diceva qualcosa di così pesante, la prima volta in assoluto in cui la sminuiva in quel modo e la faceva sentire come se lei non significasse niente per lui. Si girò a guardarlo, ad osservare bene il volto che l’aveva incenerita in quel modo, ma Eric per la prima volta non ricambiò quel contatto visivo. Continuò a guardarlo, sperando che prima o poi avrebbe volto lo sguardo verso di lei, ma sembrava veramente interessato alle parole di Rob. Si rese conto che era la prima volta che lo guardava da così vicino, gli sembrava stanco ed aveva la pelle segnata dalle occhiaie. Si chiese per un attimo se in qualche modo fosse colpa sua, ma forse non era lecita quella domanda, non con ciò che le aveva detto pochi minuti prima. Prese la mano e andò ad accarezzare quella di Eric, forse per fare in modo che lui guardasse almeno quella ma lui risultò essere immobile. Claire sentì gli occhi inumidirsi, allontanò la mano e girò il viso verso la commissione e Rob, che continuava il discorso di cui lei non aveva sentito nemmeno una parola. Accavallò le gambe, incrociò le braccia e in quel momento riuscì solo a pensare che voleva che Eric la guardasse, aveva bisogno che Eric la degnasse di uno sguardo.


Per Eric non guardarla era stato difficilissimo. Sentiva i suoi occhi sul suo viso, la sua mano sulla propria, ma sapeva che non avrebbe dovuto cedere, sapeva che fare in quel modo era l’unico per rendersi in qualche modo libero. Finse, ancora, di interessarsi al discorso di Rob e, appena finito, lo seguì a ruota congratulandosi con lui per primo. Lo abbracciò calorosamente e poi gli sorrise, lo vide cominciare a camminare e saltare, poco dopo, urlando qualcosa che solo dopo riuscì a comprendere.
“E’ finita.”
Lo vide afferrare i suoi appunti e buttarli in aria.
“E’ finita.”
Più lo sentiva urlare e più si rendeva conto che era finita anche per lui. Gli sorrise, si avvicinò a lui e lo aiutò a rilanciare i fogli di carta che erano caduti a terra. Sapeva che quello era l’ultimo gesto avventato che riguardasse quella scuola, ma anche l’ultima volta che avrebbero condiviso qualcosa insieme. Robert cominciò a ridere per la gioia e si avvicinò ad Eric, abbracciandolo ancora.
“Non ci sarà più bisogno di galleggiare.”
Furono richiamati da Mel, che gli indicava con le braccia di ritornare in classe dato che Amy aveva appena iniziato l’orale. Entrò in stanza facendo piano, vide Claire essersi spostata verso il muro ed avere Mel accanto a lei e lui si sedette accanto a Rob nella parte opposta. Forse era stato troppo brusco, ma sapeva che Claire avesse capito, stare lontani era l’unico modo per evitare di ferirsi e perdersi del tutto. Aveva passato tutta la notte a rigirarsi nel letto del bed and breakfast pensando a come avrebbero fatto in futuro e solo quando, all’alba, si era alzato per osservare il sole sorgere dal mare aveva capito che avrebbe dovuto attendere Claire, dato che lui aveva già detto fin troppo.
I suoi pensieri si spostarono ad ascoltare l’orale di Amy, la voce squittente di qualche mese prima aveva sostituito un tono pacato e composto che la faceva sembrare molto consapevole di ciò che stesse ripetendo. Sapeva quanto Amy volesse che quell’orale fosse perfetto per i suoi genitori, Eric si girò a guardarli e notò la madre trattenere le lacrime e suo padre accarezzare la schiena della moglie. Una volta Claire gli aveva raccontato che Amy era stata adottata a tre anni da coloro che attualmente considerava come i suoi genitori e di come avesse vividi i ricordi dei suoi primi anni di vita. La ragazza non era mai entrata nel dettaglio, ma diceva sempre che i suoi genitori biologici la lasciavano sola per ore dentro ad un boxe e che lei non riuscisse nemmeno a piangere, rimaneva immobile lì dentro senza emettere suoni. Non ci aveva mai pensato, ma forse era quello il motivo per cui fosse così “appiccicosa”, forse era davvero tutto legato ai primi anni di vita. Sospirò, ripensando al fatto che l’aveva rifiutata in malo modo, ma sapeva che solo in quel modo lei si sarebbe staccata da lui e dall’ipotetico rapporto che non avrebbero mai potuto avere. Osservò la commissione, abbastanza soddisfatta dall’orale appena sostenuto da Amy, e li vide congedarli. Uscirono fuori un’altra volta, vide i genitori di Amy congratularsi con la figlia, Claire e Mel stritolarla e poi toccò a lui complimentarsi.
“Grazie, Eric.”
“Hai finito pure tu.”
Le sorrise e lei ricambiò quel sorriso, sinceramente.
“Io volevo chiederti scusa.”
Era assurdo come si riferisse a ciò a cui lui aveva pensato poco prima.
“E di cosa?”
Fece finta di non capire, in fondo non aveva motivo di scusarsi con lui.
“Di niente, allora.”
La vide sentirsi un po’ più sollevata, era sicuro che per lei si chiudesse qualcos’altro insieme al liceo.
“Hai fatto davvero una bella figura.”
“Grazie.”
Ebbe appena il tempo di sentire le parole di Amy, che Claire li richiamò per assistere all’orale di Mel.

 
 ***
 
Mel era andata bene, tanto che la commissione le aveva fatto pure i complimenti. Erano usciti tutti dalla stanza e Mel, a differenza di Robert che aveva esultato in corridoio, aveva cominciato a correre verso il cortile. Arrivati al piano terra, alle spalle della portineria e della stanza adiacente, Eric l’aveva vista correre e urlare qualcosa riguardante la dignità e come l’avesse persa facendo in quel modo. Mel appena aveva finito di urlare, aveva alzato le braccia in aria, chiuso la mano destra in un pugno e successivamente aveva alzato solo il dito medio. Eric aveva iniziato a ridere perché non l’aveva mai vista in preda a quel tipo di follia, ma sapeva che da Mel se lo dovesse aspettare; lei lì dentro era sempre stata la più spontanea e la più divertente. Vide Amy e Robert correre verso di lei, urlandole di fermarsi, i genitori di Mel ed Ian ridere a crepapelle affermando che fosse pazza ma che fosse parte della loro famiglia e notò l’assenza di Claire. Erano tutti distratti a fermare Mel, quando Eric sentì qualcuno afferrargli la mano e trascinarlo all’interno della stanza accanto alla portineria. Sapeva che fosse Claire ad averlo portato lì dentro, tanto che appena la ragazza accese la luce, il suo sguardo si posizionò a guardare il pavimento.
“Non puoi non guardarmi.”
Glielo aveva detto piano, quasi si vergognasse ad ammetterlo a se stessa. Sentiva di nuovo i suoi occhi insistenti, li sentiva ancora sul suo viso, insieme all’impulso di guardarla e baciarla come il giorno prima.
“Eric, non puoi.”
La sentì avvicinarsi a lui.
“Non puoi far finta che io non esista.”
Lo guardava dritto negli occhi e lui, adesso, osservava il suo corpo e non più il pavimento.
“Non puoi distruggermi così.”
Claire aveva spostato il capo in modo tale che i loro occhi potessero incrociarsi, gli aveva preso il viso tra le mani, ma lui continuava a non guardarla.
“Guardami, Eric.”
Era sempre più insistente e aveva deciso di chiudere gli occhi, solo in quel modo sarebbe riuscito a non guardarla. Aveva sentito le mani di Claire abbandonargli il viso bruscamente, il suo corpo allontanarsi e lui attendeva, in silenzio, il rumore della porta che lei avrebbe chiuso quando sarebbe uscita da lì. Strizzava gli occhi più forte che poteva, sperando che in quel modo andasse davvero via senza esitazioni e senza tornare indietro.
Aveva sentito la mano di Claire poggiarsi alla maniglia, per poi sentire in meno di un secondo le sue labbra sulle proprie. Non aveva pensato che chiudere gli occhi non avrebbe reso immuni le sue labbra, non aveva riflettuto che adesso l’unico modo per non dire niente era andarsene da quella stanza. Era stato oltremodo stupido a pensare che non guardarla lo avrebbe protetto. Sentiva di nuovo quella labbra, sentiva di nuovo quel sapore di cui non avrebbe mai voluto fare a meno, ma ebbe la forza di staccarsi da lei e sistemare il suo viso vicino al suo orecchio destro come poche ore prima.
Claire non si aspettava niente di tutto ciò ma era completamente sotto il suo controllo.
“Io ti vedo, Claire”
Respirò piano sul suo collo e inspirò il suo odore.
“Ti respiro, Claire.”
Avvicinò le proprie labbra al suo collo, ma senza che si toccassero completamente. La sentiva sospirare e credette di aver sentito un gemito uscirle, per sbaglio, dalla bocca.
“Ma hai detto una cosa sbagliata.”
Allontanò le labbra, il viso e anche il suo corpo da lei.
“Sei tu a distruggermi.”





spazio autrice
Eccoci qui, con il nuovo capitolo e spero davvero sia di vostro gradimento. Ha un ritmo decisamente diverso, forse più calmo ma alla fine si capisce che tra Eric e Claire non è per niente finita, a prescindere da ciò che sostengono o che provano a fare. L'ultima scena è stata difficile da scrivere perchè ho cercato di rendere tutto quanto più verosimile e fare dire loro cosa sta davvero succedendo, in quel modo si distruggono e forse è più Claire a distruggere Eric e non il contrario. Niente, questo è quanto.
Grazie come sempre per il supporto, per le recensioni e per le continue letture ai capitoli.
Alla prossima <3

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Capitolo 20
*** 19. Scoprirsi. ***


 
 
Capitolo 19
3 anni prima
 


*I protagonisti del capitolo sono Eric e Claire, i loro POV si alterneranno.
Il nome in grassetto all’inizio del paragrafo cambia il punto di vista.*

 

Eric era uscito da quella stanzetta sbattendo la porta, aveva intravisto Claire e aveva letto nel suo volto quanto fosse mortificata riuscendo a farlo sentire in colpa. Poteva essere meno violento, poteva dire le cose in maniera diversa, ma aveva imparato sulla sua pelle che essere bruschi era l’unico modo per allontanare le persone; era stato efficace con Amy e, adesso, lo era stato anche con Claire. Non si sentiva in nessun modo sollevato, si sentiva solamente in colpa e allo stesso tempo represso.
“Eric?”
Si girò verso Mel.
“Ero con Claire.”
Non sapeva nemmeno perché si stesse giustificando, lei non gli aveva nemmeno chiesto dove fosse stato.
“Non so cosa sta succedendo tra di voi, ma tu mi sembri alquanto sconvolto.”
Era quasi incredulo a sentire quelle parole, lui non le aveva chiesto niente, lui non le aveva detto niente e lui non riusciva a risponderle. La vide ridere per l’imbarazzo e grattarsi la nuca con la mano destra.
“In qualche modo risolverete, Eric.”
Lo consolò in quel modo, con quelle parole semplici che gli accarezzavano le orecchie e la vide andare via; nonostante lui fosse rimasto zitto per tutto quel tempo, Mel sapeva sempre di cosa lui potesse avere bisogno. In quegli anni aveva sempre avuto le parole ed i sorrisi giusti, a volte anche i suoi silenzi erano serviti a qualcosa.
“Eric?”
Si era girata per dirgli un’altra cosa.
“Domani escono i risultati.”
Aveva deglutito a fatica, sapendo quanto ciò lo avrebbe reso nervoso.
“Ci vediamo tutti qui alle tre, non mancare.”
Annuì silenziosamente e si rese conto che avrebbero condiviso in quel modo l’ultimo pezzo dei loro cinque anni e l’ultima briciola della loro adolescenza.
 
 
Claire lo aveva visto uscire dalla stanza e sbattere la porta. Sentiva ancora il respiro di Eric sull’orecchio, le sue labbra vicino al collo e si sentiva sempre più mortificata. Lo aveva accusato, quasi sputando dalle sue labbra tutto ciò che credeva di provare, ma c’era una parte di lei che credeva che Eric avesse fatto bene ad allontanarsi e a non cedere. Dovevano stare separati fin quando lei non avesse deciso, ma lei nel frattempo si sentiva male al solo pensare che Eric avesse rifiutato quel bacio e tutto ciò che lei dicesse. Sapeva che decontestualizzare quella situazione non poteva che farle male, ma continuava a vedere davanti a sé quegli occhi chiusi ed a sentire quelle labbra fredde non ricambiare il suo bacio. Uscì dalla stanza senza forze e senza nemmeno sapere dove andare. I suoi pensieri corsero nuovamente alla scena che si era consumata pochi minuti prima, adesso si vedeva come uno spettatore esterno con gli occhi puntati su Eric e lei. Loro come sempre vicini, lei che cerca di provocarlo e lui che non risponde al suo tocco in nessun modo. Sentiva come se la sua paura più grande si fosse appena avverata e che lei ed Eric non avessero costruito niente fino a quel momento, con quell’ultima loro scena non c’era più spazio per i baci a mare o quelli nella sua stanza quasi senza respirare. Sentì una stretta al petto, il diaframma bloccato e dovette appoggiarsi al muro per riprendersi; si era appena resa conto che la vita senza Eric sarebbe stata in quel modo, si era appena resa conto di come tutto sarebbe stato arido e morto senza di lui. Nessun sorriso, nessun tocco impercettibile, nessun modo per immaginarsi insieme nel futuro.
“Claire?”
Percepiva la presenza di Mel davanti a sé, la sua voce chiamarla ma senza che riuscisse a vederla.
“Ma che ti sta succedendo?”
Si sentì scuotere e finalmente riuscì a guardarla, meno assente ma ancora persa in quelle immagini.
“Gli altri sono già andati via.”
Annuì, ciò voleva dire che Eric se ne era andato.
“E anche tu sei sconvolta.”
Credeva davvero che non se ne fosse accorta.
“No, non lo sono.”
Mel alzò il sopracciglio destro e Claire sapeva che stava per rimproverarla.
“Sei umana, Claire.”
Si avvicinò a lei e le strinse il braccio con la mano destra.
“Quando la smetterai di dire cose nettamente opposte rispetto a ciò che dice la tua faccia o il tuo corpo?”
“Io-”
Aveva lasciato la frase in sospeso, stava quasi iniziando a balbettare.
“Non lasciare che i tuoi sentimenti ti divorino dentro.”
Le prese la mano, la condusse fuori dalla scuola e Claire sentì il cuore scaldarsi.  
 

***
 
Avevano pranzato a casa di Claire e Mel, nonostante lei non avesse detto niente, se n’era presa cura come se fosse sua madre. Aveva preparato la pasta e gliela aveva messa davanti, lei aveva preso la forchetta ed aveva cominciato a rigirare gli spaghetti ma poi si era fermata, aveva guardato Mel e aveva abbandonato la forchetta dentro al piatto.
“Non mi vuole più, Mel.”
Adesso guardava un punto non definito davanti a sé e sperava che Mel la consolasse.
“E’ una cazzata e lo sai pure tu.”
Lo aveva detto con un tono pacato, continuando ad interessarsi al piatto di pasta che aveva davanti a sé.
“Oggi era distrutto, non ha detto niente appena è uscito dalla stanza.”
La vide versare un po’ di acqua dentro al bicchiere e poi guardarla.
“E sono convinta che quella faccia era dovuta a qualcosa che hai detto tu, Claire.”
“No questa volta io non ho detto niente.”
La vide bere l’acqua e nel frattempo osservarla.
“Ti pare normale che non mi ha detto niente quando è arrivato, Mel?”
L’amica continuava a guardarla, impassibile.
“E’ arrivato e non mi ha rivolto la parola, poi ha continuato così e volevo metterlo alle strette.”
Claire era visibilmente arrabbiata.
“Volevo che mi guardasse dentro agli occhi perché non può semplicemente non guardarmi o non parlarmi.”
Mel la interruppe subito.
“Ieri cosa gli avevi detto?”
Claire arrossì e fu evidente che Mel aveva capito già tutto.
“Che non appena saprò se andrò in Inghilterra parleremo di ciò che sta succedendo.”
“E allora, Claire, adesso di cosa dovreste parlare?”
“Siamo amici.”
La vide scuotere la testa.
“Siete tutto tranne che amici.”
“Non è vero.”
“Sei così stupida da non vederlo?”
“No, Mel, lui è il mio migliore amico.”
“Posso assicurarti che Eric è mio amico.”
Mel si interruppe indicandosi e poi riprese a parlare.
“Ed io non lo guardo come lo guardi tu, Claire”
La vide sbuffare e le fece capire che era quasi infastidita dal doverle sempre spiegare tutto.
“Tu te lo spogli con gli occhi, te lo baci ogni volta che lo tocchi e lui ti permette tutto ciò.”
Le mancava il fiato, ma ebbe modo di risponderle ugualmente.
“Non è vero.”
“Invece è vero, Claire. Adesso che lui non te lo permette, tu fai la bambina ferita, la bambina in lacrime che ha perso il giocattolo.”
Incrociò le braccia per respingere le parole di Mel e per proteggersi.
“E lui ti sta allontanando per evitare di perdervi, per poterti amare completamente solo quando tu ne sarai sicura.”
Quel discorso aveva senso, Mel era incalzante con quelle parole ed aveva ragione su ogni cosa.
“Forse Claire tu non lo ami abbastanza.”
Stava facendo quella pausa apposta, lo stava facendo solo per capire meglio ciò che provasse.
“Forse hai passato così tanto tempo ad idealizzarlo che adesso non vale più niente.”
“Non è vero.”
“Forse il tuo non è amore, è solo gelosia e possessione.”
“Non è vero.”
Lo aveva detto piano, quasi sussurrandolo a se stessa.
“Non è così che ami una persona.”
“Non è vero.”
“E allora non dovresti ferirlo così.”
“Non lo sto ferendo, gli dico solo come stanno le cose.”
“Però nel frattempo lo illudi.”
Stava davvero solo facendo in quel modo?
“Io so cosa provo per lui ma-”
Aveva interrotto la frase perché sapeva già cosa volesse dire e come esprimerlo l’avrebbe resa solo stronza.
“Ma?”
“Ma se dovessi andare in Inghilterra non so come riuscirei a sostenere un rapporto del genere.”
Mel la guardò, alzò l’angolo destro delle sue labbra e poi iniziò a batterle le mani.
“Ecco, il problema è lì.”
Interruppe quel rumore e continuò ad osservarla.
“In realtà a te piace che ci sia un problema di mezzo. Prima Amy, ora l’Inghilterra e poi la distanza.”
Vide Mel alzarsi dal tavolo ed appoggiarsi alla cucina, quasi avesse appena avuto la piena consapevolezza di qualcosa.
“A te piace soffrire Claire, sei fondamentalmente masochista.”
 
 
Per quel pomeriggio Eric non aveva nulla da fare e così aveva deciso di passeggiare per la sua città. Aveva lasciato il motorino a casa, aveva preso il primo autobus per il centro ed aveva iniziato a camminare ponendosi come obiettivo la libreria più fornita del paese. Sperava di perdersi in mezzo a tutti quegli anni di storia e a quelle infinite pagine giusto per sentirsi un po’ meglio ed escludere del tutto quella repressione sessuale che sentiva addosso. Claire continuava a baciarlo, lui continuava a starci ma non faceva altro che sentirsi nervoso dato che l’istinto di farlo con lei era sempre più forte e, a stento, riusciva a reprimerlo. Era passato velocemente davanti ai classici, sperando di non leggere la targhetta arancione con scritto Austen che inevitabilmente gli avrebbe fatto pensare a Claire, e si era diretto verso la fantascienza. Amava quel genere ma ultimamente tra le “proposte” scorgeva sempre i primi volumi di saghe che sembravano avere trame sempre più simili tra loro quando lui preferiva un unico libro, carico di informazioni e, soprattutto, autoconclusivo. Successivamente si era spostato nel reparto filosofia, si era sempre ripromesso che dopo gli esami avrebbe ripreso in mano la lista che andava stilando, mese dopo mese, e si sarebbe portato avanti con le letture che lo avevano sempre incuriosito. Adesso ché era arrivato il momento, aveva i soldi appena sufficienti per comprare il libro in cima a quella lista ma solo quello in versione economica. Afferrò La Banalità del Male e, leggendo ancora della vita dell’autrice, si convinse che lo avrebbe comprato tanto che si diresse verso la cassa.
“Per me che studio filosofia è un ottimo acquisto.”
Eric non si rese nemmeno conto che quel ragazzo stesse parlando con lui.
“Hannah Arendt è oltremodo brillante.”
Stava decisamente parlando con lui.
“Parli con me?”
Sbattè gli occhi e si girò a guardarlo.
“Non sono molti i ragazzi che in questa stanza si trovano con un libro della Arendt in mano.”
Lo vide guardare il libro che aveva tra le dita ed Eric lo imitò, facendo la stessa identica cosa, e poi diresse lo sguardo verso quel ragazzo che gli sorrideva sornione.
“Era nella mia lista da molto tempo.”
Ma cosa voleva esattamente quel ragazzo da lui?
“Io sono Martin.”
Eric sapeva che dentro di sé ci fosse un omino con una faccia basita e alquanto sconvolta. Il sorriso, la mano tesa verso di lui e l’iniziare il discorso dal nulla era un chiaro modo per attaccare bottone. Guardò insistentemente quel braccio e andò a stringergli la mano, giusto per non essere maleducato.
“Eric.”
“Piacere.”
Aveva ancora quel sorriso stampato in faccia ed Eric si limitò a ricambiare quel movimento di labbra con poca convinzione. Andò verso la cassa, pagò con i contanti, prese la busta con dentro lo scontrino e si diresse verso l’uscita, sentendo gli occhi di Martin seguirlo e il suo corpo avvicinarsi.
“Eric?”
Sperava che non lo chiamasse in nessun modo e, con la mano sulla maniglia metallica, si girò verso di lui.
“Hai tempo per un caffè?”
Annuì senza nemmeno avere la completa consapevolezza di ciò che stesse facendo. Era evidente che questo ragazzo ci stesse provando spudoratamente con lui, ma forse aveva bisogno di sentirsi desiderato da qualcuno. Per una volta, voleva attenzioni solo per sé e non gli interessava che fosse un ragazzo, aveva sempre pensato che si fosse innamorato di Claire anche se fosse stata del sesso opposto. A lui piacevano le persone, non il loro sesso.
 
***
 
Data l’aria secca e calda di Luglio Eric e Martin si erano seduti in un bar all’aperto così da riuscire a respirare meglio. Aveva visto quel ragazzo prendere un pacco di tabacco dalla tasca posteriore dei jeans per prepararsi una sigaretta ed Eric era rimasto in silenzio ad osservare come facesse tutto ciò, con Martin che non aveva smesso di guardarlo nemmeno un attimo. Sapeva come posizionare il filtro, quanto tabacco mettere dentro alla cartina e poi aveva iniziato a leccare la carta, guardando ancora Eric, che con quel gesto ebbe la conferma che Martin ci stava decisamente provando con lui perché stava aspettando che Eric avesse qualche tipo di risposta fisica al suo modo di muovere la lingua e il tutto aveva una connotazione chiaramente sessuale. Nonostante ci fosse assoluto silenzio tra di loro e Martin stesse facendo di tutto per provocarlo, Eric non si sentiva minimamente imbarazzato.
“Posso fumare, Eric?”
E che senso aveva chiederglielo?
“Forse dovevi chiedermelo prima di farti la sigaretta.”
Lui gli aveva sorriso.
“Allora posso?”
“Fai pure.”
Incrociò le braccia e Martin si mise la sigaretta in bocca.
“Sai che quando una una persona incrocia le braccia ti sta rifiutando?”
Eric si sistemò sulla sedia liberando d’istinto le braccia, poi vide Martin ridere e prendere l’accendino; aveva gli occhi chiusi quando aspirò il primo tiro di tabacco e ad Eric piacque tantissimo vedere ciò. Non aveva mai fumato in vita sua perché aveva sempre pensato che dieci centimetri di tabacco accorciassero la vita di chilometri, ma adorava il modo in cui ognuno avesse un modo diverso di fumare e di fare propria quell’azione. Tra l’indice e il medio c’era un odore ben preciso, un filtro impregnato che macchia la pelle e sporca un po’ più le labbra.
Martin lo guardava dritto negli occhi, non aveva paura di lui o di cosa potesse pensare, era come se non ci fosse bisogno di nascondere nessuna parte di se stesso per rendersi accettabile agli occhi di Eric.
“Quand’è che hai finito la maturità?”
Rise.
“Si capisce così tanto?”
“No, Eric, ho solo provato ad indovinare.”
Lo vide aspirare ancora una boccata di fumo.
“Sai già cosa farai dopo?”
“Ingegneria.”
Sorrise ancora ed il fumo gli uscì pure dal naso.
“Non ho mai visto nessuno esserne così convinto.”
In realtà Eric non ne era convinto, era solo ciò che gli avrebbe garantito un lavoro.
“Mi apre tante porte e poi ho sempre il tempo libero per i miei interessi.”
Sembrava che con quella frase lo avesse impressionato.
“Credevo di essere l’unico a pensarla così. Ho sempre sostenuto che l’essere umano sia versatile, noi non siamo le università che scegliamo.”
Eric annuì.
“Esatto, sarebbe così deprimente essere una cosa sola.”
 
 
***
 
Martin aveva fatto in modo che Eric uscisse la parte più matura e che lui non era nemmeno sicuro di avere. Aveva così tante opinioni sul mondo e sul modo di vedere le cose che dirle ad alta voce gli era sembrato oltremodo strano; per la prima volta si sentiva davvero ascoltato e, soprattutto, non era più un semplice ragazzino con degli stupidi pensieri. Martin, in qualche modo, aveva dato del potere alle sue opinioni e lui ne era tremendamente appagato. Lo guardò e si rese conto che, in fondo in fondo, aveva sempre sognato di essere come lui, aveva sempre voluto essere così disinvolto e disinibito, anche davanti ad uno sconosciuto.
“Hai una bella testa, Eric.”
Il ragazzo, durante quel tempo insieme, non aveva smesso nemmeno per un attimo di sorridergli.
“Adesso però la tua età mi incuriosisce, non ci credo che hai appena finito la maturità.”
“Ne ho diciotto.”
“Io alla tua età mi facevo le canne nel parco sotto casa.”
Era fin troppo compiaciuto, ma Eric voleva sapere la sua di età.
“Parli come se avessi trent’anni.”
“In realtà ne ho solo ventidue e sono sicuro che quattro anni fa avevi appena dato il tuo primo bacio.”
“Non esattamente.”
Eric aveva sorriso, quasi alludendo che in realtà ci fosse dell’altro e che non glielo avrebbe mai detto. Guardò l’orologio e si rese conto che il biglietto dell’autobus sarebbe scaduto nei prossimi quindici minuti.
“Devo andare, Martin.”
Scorse stupore nei suoi occhi, come se lui non si aspettasse che Eric se ne sarebbe andato per primo; lo vide passarsi una mano tra i capelli e muovere gli occhi velocemente, quasi cercasse una soluzione veloce. Eric estrasse dal portafoglio le monete sufficienti per pagare entrambi i caffè e poi si girò a guardarlo.
“Non c’è bisogno che paghi tu, Eric.”
“Figurati.”
Ormai i loro sorrisi erano diventati la parola chiave di quell’incontro.
“Senti-.”
Martin aveva lasciato quella frase a mezz’aria solo per fare in modo che lui non andasse via.
“Domani sera io e il mio gruppo suoniamo. E’ un locale qui in centro.”
Lo vide stropicciarsi gli occhi.
“Non so nemmeno se vuoi rivedermi e già ti chiedo di conoscere i miei amici.”
Sorrideva, guardandolo dentro alle sue iridi e con un velo di sarcasmo fin troppo palpabile.
“In ogni caso c’è questa serata, in quel locale che hanno aperto da poco qui vicino.”
Annuì verso Martin, facendogli intuire che avesse capito di cosa parlava.
“Se vuoi venire, ti aspetto.”
Eric non sapeva nemmeno di riuscire a fare quell’effetto alle persone e si limitò a sorridergli, ancora.
 
 
Claire e Melanie avevano passato tutto il pomeriggio a parlare di Eric. Mel aveva aperto con forza gli occhi a Claire e, adesso, sembrava che lei fosse davvero consapevole di ciò che Eric provasse per lei e di come fosse semplicemente masochista. Erano in silenzio da un paio di minuti, sdraiate sul letto di Claire e posizionate ad incastro per stare comode, con i capelli sparsi sulla trapunta.
“Claire?”
“Hmm?”
“Hai mai pensato che la cosa più semplice da fare per te ed Eric sarebbe stata quella di ritornare indietro?”
“No.”
“Pensaci adesso, pensa a quella singola cosa che ha cambiato tutto quanto e che è il motivo per cui vi trovate qui a rincorrervi senza mai afferrarvi.”
Claire guardava ancora il tetto.
“Chiudi gli occhi.”
E li avevi chiusi, non vedendo più nulla.
“Solo se li stringi forte, ti si configura chiaramente.”
I suoi occhi stavano leggendo un messaggio e c’era una domanda aperta su quello schermo.
“E’ quel momento in cui sai che se avessi parlato o avessi agito sarebbe cambiato tutto quanto.”
 
No, Eric, non va per niente bene. Oggi ti ho sentito parlare con Robert e so che parlavate di me. Io ti reputo più di un migliore amico, perché mi conosci come nessun’altro, ma non provo più solo amicizia nei tuoi confronti da troppo tempo. Mi sono innamorata di te.
 
Forse se avesse mandato quel messaggio e non lo avesse cancellato, avrebbe cambiato le cose e, adesso, sarebbe tutto diverso.
“Prova a ravvolgere il nastro, Claire.”
C’erano tanti piccoli momenti dentro ai suoi pensieri, rapidi ma allo stesso tempo insistenti, come a formare una traccia permanente nel suo cervello. Mel voleva che lei si rendesse conto di come le cose potessero essere diverse se solo lei avesse agito diversamente, ma Claire sapeva che renderla consapevole non l’avrebbe resa più coraggiosa.
“Avrei potuto mandargli un messaggio o dirgli di stare insieme nonostante l’Inghilterra.”
Mel si girò verso di lei, annuendo.
“Vorrei che fossi solo felice, Claire, davvero.”
 
***
 
Mel, come sempre, era stata oggettiva; le aveva detto tutto ciò che pensava senza che Claire ci rimanesse male e senza filtrare le parole. Quella era una delle caratteristiche che più apprezzava dell'amica e a volte ammirava come riuscisse ad essere così coerente. Mel le voleva bene, ma ciò non implicava che la dovesse difendere a spada tratta anche quando avesse torto. Sorrise tra sé e sé, sapendo quanto fosse fortunata ad avere una amica come lei e come quel rapporto mancasse del tutto con Amy. Probabilmente la ragazza era sempre stata il rimpiazzo di Mel per tutte quelle volte che Claire l'aveva sentita distante. Era assurdo come facesse in quel modo con tutti, come avesse sempre interposto persone tra lei e le persone che amava davvero. Amy e Robert avevano fatto le stesse veci, erano solo scudi che la separavano da Mel ed Eric, semplici modi che le permettevano di modulare la sua sofferenza. Non sapeva nemmeno il motivo per cui non si buttasse nelle cose, era solo codarda e non ne sapeva nemmeno il motivo. Claire si rese conto che fosse un modo paradossale di ragionare, aveva paura di stare male ed affrontare le conseguenze delle sue azioni ma allo stesso tempo soffriva per ciò che decideva di non fare e per tutte quelle decisioni che non aveva mai preso; era sempre in balia delle situazioni e non aveva mai il vero controllo della sua vita. Sbuffò e scese in cucina, sentì la porta aprirsi e vide i suoi genitori entrare nella stanza.
“Ciao, Claire.”
“Ciao.”
Sorrise loro e poi si diresse verso camera sua.
“Tra dieci minuti riunione di famiglia.”
Era come se le fosse arrivato un masso addosso. Si girò lentamente, sperando che non fosse come pensava.
“E cosa riguarda?”
“Francia e Inghilterra.”
Sua madre le sorrise, forse ingenuamente.
“E non stiamo parlando della seconda guerra mondiale.”
Era arrivato il momento di affrontare quel discorso e lei voleva che lo facessero subito.
“Vado a chiamare Vicki.”
Sorrise a sua madre e non voleva, in alcun modo, che lei percepisse la sua tensione. Posò leggermente i piedi, uno dopo l’altro, e salì le scale. Aprì la porta di Vicki senza bussare e la trovò ancora affaccendata con la valigia.
“C’è la riunione di famiglia.”
Sua sorella non aveva nemmeno sentito le sue parole e, adesso, si trovava seduta sopra la valigia cercando di chiuderla.
“Adesso, Vicki.”
La vide girarsi verso di lei e Claire intuì che avesse bisogno d’aiuto.
“Prova a chiudere la cerniera, Claire.”
Afferrò il metallo e iniziò a girare intorno alla valigia, mettendoci tutta la forza possibile.
“Salici sopra, Vicki.”
Vide sua sorella alzarsi e finalmente riuscì a far aderire i due lembi della cerniera, per poi inserire il lucchetto nello spazio comunicante. Vicki, ancora sulla valigia, alzò le mani in segno di vittoria.
“Adesso è sicuro, si parte.”
Poggiò i piedi a terra, aiutandosi con la mano di Claire e poi si diressero verso la cucina. Sua madre e suo padre erano già seduti ai soliti posti di combattimento e lei si sedette prima di Vicki.
“Per te, Vicki, abbiamo poco da dire.”
Era sempre suo padre a fare il portavoce, aveva sempre le parole giuste che rispecchiassero i propri pensieri e quelli di sua madre.
“Speravamo che potessi partire per questa esperienza.”
Sua madre accarezzò la mano di sua sorella.
“Sappiamo quanto ci tenessi.”
“Volevo davvero partire e quasi non ci speravo più.”
Claire guardò Vicki e vide il suo volto rilassato, senza alcun peso o preoccupazione.
“Sono davvero emozionata.”
Si avvicinò a lei per abbracciarla e le diede un bacio sulla fronte.
“Andrà alla grande.”
Chiuse gli occhi per sentire meglio quel contatto, ma sua madre la richiamò subito alla realtà.
“Passando a te, Claire.”
Sentiva come se da un momento all’altro l’avessero rimproverata per qualcosa che lei aveva fatto. Si allontanò da Vicki e trattene, a stento, un sospiro.
“Adesso che gli esami sono finiti, dobbiamo parlare del tuo futuro.”
Sua madre la guardava dolcemente, ma lei non sarebbe mai stata pronta ad affrontare quell’argomento.
“Vuoi fare la pediatra e noi vogliamo darti la possibilità di avere il meglio dal tuo percorso di studio.”
“Abbiamo letto su Internet che in quell’università di cui ti parlavamo c’è un ottimo corso.”
“Sì.”
Non sapeva nemmeno quale parte del corpo la facesse tremare così tanto.
“Ovviamente prima dovrai fare medicina e poi ti potrai specializzare in ciò che preferisci.”
“Lo so, papà.”
Forse quella era l’unica cosa di cui era a conoscenza. Una prima magistrale a fare da trampolino di lancio per ulteriori anni di studio che l’avrebbero portata al suo sogno.
“Ci siamo informati per conoscere i criteri d’accesso.”
Dall’espressione che suo padre aveva in viso, era sicura che lei rientrasse in tutti.
“I tuoi attestati di inglese sono sufficienti e la tua media scolastica è perfetta.”
Sua madre prese la parola, per continuare quel discorso.
“Se prendi centro entri quasi sicuramente.”
Erano quasi fastidiosi quando intervallavano le loro voci tra una frase del discorso e l’altra.
“Dato il tuo splendido orale siamo sicuri che non avrai problemi.”
Gli occhi di Claire si mossero da suo padre al volto di sua madre e credette di non averli mai visti così fieri di lei. Più li guardava e più si rendeva conto che fosse ancora una volta in balia degli eventi.
“E se io non volessi andare?”
Le facce dei suoi genitori erano parecchio perplesse e forse, se non ci fosse mai stato Eric, Claire avrebbe già fatto i salti di gioia.
“Questa città ha poco da offrirti, il corso di laurea in medicina non è un granché e tu, Claire, ti meriti più di questo.”
Quasi trasalì sentendo quella frase.
                                                     
Claire, non dovresti mai accontentarti del meno peggio, dovresti sempre fare ciò che è meglio per te. Sei intelligente, hai una media paurosa e credo che riusciresti tranquillamente fuori.
 
Eric gli aveva detto quelle parole alla cena di classe del mese prima con così tanta naturalezza da lasciarla basita. Prese le ultime briciole di quella forza che sentiva dentro di sé e rispose ai suoi genitori, cercando di essere più concreta possibile.
“Domani escono i risultati, quindi domani sera decideremo cosa fare.”
Li vide annuire e guardarsi.
“Forse è più giusto così.”
Suo padre era sempre il più pratico.
“Anche se io ho una buona sensazione.”
E sua madre, invece, era quella che sprizzava ottimismo da tutti i pori.
“Abbiamo finito, allora?”
Voleva chiudersi in camera sua e prendere un po’ di aria. Annuirono tutti quanti e lei si alzò, dirigendosi verso le scale. Sentì i passi veloci di Vicki e la sua voce raggiungerla.
“Non vuoi partire per Eric?”
Si girò verso di lei, piano, e capì che non ci fosse più nessun motivo di mentire.
“Vorrei solo sapere cosa vuol dire stare con lui.”
Sua sorella corse ad abbracciarla.
“Studiare fuori non preclude ciò. Puoi avere entrambe le cose, Claire.”
Glielo aveva detto piano e scandendo bene ogni parola.
“Dovrai fare un po’ di fatica, ma non precluderti ogni tipo di felicità.”
Adesso Vicki era davanti a lei e non faceva altro che sorridere.
“Grazie.”
Si limitò a dire solo quelle parole e poi riprese la camminata verso la sua stanza. Chiuse la porta dietro le sue spalle e si limitò a sbuffare. Non aveva molta scelta, in fondo, i suoi genitori le stavano offrendo l’occasione migliore della sua vita, ma allo stesso tempo non voleva rinunciare in nessun modo ad Eric, non adesso che sentiva che fosse arrivato il loro momento. Come avrebbe fatto a non rinunciare a una delle due cose?
Sospirò, pur sentendo il respiro bloccato in mezzo al petto e poi inviò un messaggio ad Eric. Sperava che lui capisse qualcosa in quel modo e che forse avrebbe capito che lei era pronta, nonostante le mille insicurezze sulla lontananza e su come sarebbe stato vivere la loro vita insieme ma separati.
Eric, domani devo parlarti.




spazio autrice
Vi anticipo che questo capitolo è stato un parto. C'erano alcune scene che non mi convincevano, alcuni pezzi che mancavano ma devo dire che con il giusto aiuto (Christine23 è il grandissimo AIUTO perchè stimola la mia creatività in una maniera incredibile <3) e la giusta canzone sono riuscita ad andare avanti. Abbiamo un nuovo personaggio, abbiamo Martin che porterà parecchio scompiglio ma spero che vi sia piaciuto. Eric aveva bisogno che qualcuno portasse freschezza nella sua vita e credo che lui ci sia in qualche modo riuscito. Non posso anticiparvi niente, ma spero davvero che il capitolo vi sia piaciuto e che, come me, abbiate apprezzato Claire che (FINALMENTE!!!) riesce a vederci chiaro e prende una decisione che tutti aspettavamo da fin troppo.
Ringrazio come sempre tutte le persone che si prendono la briga di leggere questa storia, tutti i seguiti, preferiti, ricordati e chi di voi lascia il proprio parere. Grazie, di cuore.
Alla prossima <3

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Capitolo 21
*** 20. Fermarsi. ***


Capitolo 20
3 anni prima



*I protagonisti del capitolo sono Eric e Claire, i loro POV si alterneranno.
Il nome in grassetto all’inizio del paragrafo cambia il punto di vista.*


Eric, dopo aver cenato, si era messo a guardare passivamente la televisione con un bel sorriso stampato sulle labbra. In realtà non aveva smesso di sorridere un attimo da quando aveva salutato Martin, si sentiva come su una nuvoletta ben solida e aveva difficoltà a scendere. Continuava a girare i canali senza prestare attenzione al programma in onda e ripensava a quella discussione e a come fosse andato tutto bene. Si sentiva più sicuro di sé e in qualche modo felice che potesse interessare a qualcuno; con Martin non c’erano intoppi ed era tutto così dannatamente esplicito da non lasciare spazio ad ipotesi ed interpretazioni. Le sensazioni che provava con Claire erano completamente diverse, non si era mai sentito così leggero perché sapeva che da un momento all’altro si sarebbe pentita di qualcosa o avrebbe cambiato idea. Posò il telecomando sulla pancia e recuperò dalla tasca la locandina che Martin gli aveva dato, il nome della loro band era scritto in rosso e con un carattere che non gli fece nemmeno capire cosa volesse dire quella parola, ma a lui bastava sapere che in qualche modo sarebbe riuscito ad evadere da quella situazione assurda. Martin era aria pura e lui quasi si era stupito che sarebbe stato così semplice respirare ancora con qualcuno che non fosse Claire. Si rese conto che in realtà con lei non avesse mai respirato, era sempre stata una continua agonia ed adesso che erano ancora in bilico era quasi impossibile respirare. Non poteva continuare a vivere con la speranza di toccare ancora le labbra di Claire o con la possibilità che lei potesse decidere di stare insieme. Sentì il cellulare vibrare sopra al tavolo, sbuffò e poi si alzò, svogliatamente. Nel frattempo che il suo telefono obsoleto apriva il messaggio, provò ad interessarsi alla televisione per poi spostare l’attenzione sulle righe davanti ai suoi occhi.
Eric, domani devo parlarti.
Lesse il mittente e rimase incredulo davanti a ciò che aveva tra le mani. Sentì una fitta allo stomaco ed odiò se stesso per quell’ansia che aveva cominciato a scorrergli nelle vene. Ancora una volta, Claire gli aveva capovolto la giornata ed ogni tipo di pensiero logico che avesse elaborato fino a quel momento: odiava che lei capovolgesse sempre tutto. Lanciò il telefono sulla poltrona e poi si buttò a letto, ne aveva abbastanza di tutte quelle stronzate e voleva solo sentire un minimo di quell’appagamento che Martin gli aveva donato qualche ora prima. Provò a sentirsi per un attimo in quel modo ma si rese conto che quella nuvola su cui stava seduto era sparita con quel messaggio e lui era precipitato a terra. In fondo lo sapeva che quelle sensazioni provocategli da un estraneo non sarebbero mai bastate e non lo avrebbero mai appagato come tutte quelle volte che Claire lo aveva riconosciuto. Riconosceva di essersi sentito bene con Martin ma quelle ore insieme erano solo il modo più veloce per distrarsi e mettere tra parentesi quel pezzo enorme della sua vita che si chiamava Claire.
 

***
 

Eric si era rigirato a letto per tutta la notte, aveva preso sonno solo alle prime luci dell’alba e si era svegliato solo all’ora di pranzo. Ancora assonnato e, soprattutto, ansioso aveva mangiato un po’ di pasta al volo e poi si era precipitato a scuola per arrivare qualche minuto prima delle tre per parlare da solo con Claire. Aveva posato il motorino davanti al cancello rosso e appena sceso aveva iniziato a sentire le gambe tremare. Attendeva quella conversazione da fin troppo tempo e non poteva fare altro che essere nervoso, le parole di Claire gli avrebbero cambiato la vita e lui non immaginava nemmeno come. Si tolse il casco, inserì l’antifurto al motorino e poi cominciò a sentire la suoneria del suo cellulare.
Era un po’ stranito da quella telefonata perché non aveva la minima idea di chi potesse essere, quando prese il telefono in mano e non riconobbe il numero divenne ancora più titubante perché il suo numero di cellulare lo aveva sempre dato solo alle persone che conosceva. A volte gli era capitato di ricevere telefonate dai suoi compagni di classe con i numeri dei genitori, ma sapendo che erano tutti lì a vedere i risultati non aveva idea di chi potesse essere. Osservò ancora un attimo quel cellulare, pensò che forse era una di quelle telefonate che gli regalava una crociera e poi si decise a rispondere.
“Pronto?”
“Sono Martin.”
Aveva perso dieci anni di vita, era completamente allibito e sapeva di essersi lasciato sfuggire un sospiro di sorpresa.
“E come hai fatto ad avere il mio numero, scusa?”
Stupito sì, ma allo stesso tempo si sentiva di nuovo su quella nuvoletta.
“Ti ho fregato il cellulare in libreria.”
Non si era accorto di niente e Marti ridacchiava pure.
“Se avessi rifiutato il caffè probabilmente non ci saremmo più rivisti e non potevo rischiare di non rivederti.”
Era fin troppo esplicito.
“Martin, se non avessi una buona opinione di te credo che avrei già riattaccato.”
“E’ la prima volta che ti sbilanci.”
Eric rise, di cuore, ed in fondo era pure vero.
“Forse mi sono sbilanciato troppo, allora.”
Sorrise come il giorno precedente e come se lo avesse davanti a sé.
“Hai deciso per stasera?”
“E’ complicato.”
Ed era vero.
“Cosa c’è di complicato nel prendere una decisione?”
Avrebbe voluto fare la stessa identica domanda ad un’altra persona.
“Sto per scoprire i risultati del diploma.”
“Ancora meglio. Se vanno bene, ti aspetto per festeggiare.”
Non riusciva a spiegarsi il motivo per cui lo facesse sentire così leggero.
“Non lo so.”
“Io sono lì, fai tu Eric.”
Continuava ad avere un tono allegro nonostante Eric non gli stesse dando nessuna garanzia.
“Va bene.”
“Allora spero di vederti stasera.”
Sapeva che le sue non fossero parole vuote e che ognuna di esse volesse davvero significare ciò che stava dicendo.
“Ciao, Martin.”
Non poteva dirgli che una piccola parte di se stesso, quella libera dall’amore per Claire, sperasse di andare lì.
“A presto.”
Chiuse lo sportellino del telefono e sorrise, aveva davvero bisogno che qualcuno lo facesse sentire così.
 
 
Claire lo aveva visto ridere al telefono e le sue sinapsi erano diventate irregolari. Eric aveva quell’espressione ogni volta che parlava con lei e non riusciva ad immaginare che lui potesse dedicare la stessa risata a qualcun altro. Durante la notte aveva riformulato e ricostruito quel discorso mille volte, ma adesso era come se tutto fosse privo di senso perché forse lei non era così speciale come pensava. Cominciò ad insinuarsi nella sua testa un’idea folle ma che in qualche modo aveva senso, forse Eric aveva dato per spacciato il loro rapporto ed aveva conosciuto qualcun altro durante quei due giorni. Era quella l’unica spiegazione che avrebbe giustificato del tutto il rifiuto del ragazzo dentro la stanzetta il giorno prima e il motivo per cui non voleva più parlare con lei. Sentì un brivido di freddo, nonostante il caldo asfissiante, e capì che tutti quei discorsi erano inesistenti e non avevano nessun senso. Non poteva trarre un delirio del genere da una semplice risata, ma per la prima volta si rese conto che lei non sarebbe mai riuscita a gestire il loro rapporto a distanza. Lei aveva bisogno di possedere un minimo di controllo che sapeva non avrebbe mai potuto avere. Lo vide chiudere il telefono, osservare ancora lo schermo con un sorriso stampato in faccia, e poi posarlo dentro alla tasca. Capì subito che l’aveva riconosciuta perché aveva accelerato il passo e lei aveva deciso di andare incontro a lui, giusto per affrontare subito quel discorso.
“Ciao.”
Gli aveva sorriso, piuttosto che salutarlo e lui si era tolto gli occhiali da sole.
“Dimmi tutto.”
Aveva il casco in mano ed aveva posato gli occhiali dentro ad esso.
“Volevo solo dirti che ho deciso di andare in Inghilterra.”
Non sarebbe mai riuscita a sostenere la lontananza.
“Quindi parto dieci giorni dopo il mio compleanno.”
Non sarebbe riuscita a non farsi mangiare dalla gelosia a chilometri di distanza.
“Sai è meglio per me.”
In realtà non sarebbe mai riuscita a resistere a tutti i baci che avrebbe trattenuto e a tutte le volte che avrebbe avuto voglia di fare l’amore con lui.
“Capisco.”
Lo aveva detto con un tono poco convinto, ma lei era troppo intenta a pensare ai suoi sentimenti piuttosto che immaginare cosa Eric stesse davvero pensando.
“Quindi finisce così, Claire?”
Vide la sua espressione cambiare.
“Non vuoi nemmeno provare a vedere cosa succede a stare insieme?”
Non disse niente e sentiva la fitta allo stomaco trasformarsi in un singhiozzo. Lo vide girarsi attorno, forse per controllare che nessuno li stesse guardando, e le prese la mano conducendola nella stessa stanza dove poco meno di 24 ore prima stavano parlando. Eric accese l’interruttore e chiuse la porta alle sue spalle.
“Noi ci siamo baciati, Claire.”
La guardava dritto negli occhi e lei di rimando faceva lo stesso, sperando che sarebbe riuscita a rispondergli.
“Lo so che ci siamo baciati.”
“Fino a ieri volevi che ti guardassi.”
“Lo so.”
Lo vide acquisire la consapevolezza che lei non gli avrebbe dato nessuna delle risposte che lui sperava di sentire. Lo vide posare il casco per terra, porre la mano sinistra sul fianco e muovere i capelli con la mano sinistra.
“Io sto impazzendo, Claire.”
Lo aveva detto piano, quasi sibilando e per la prima volta Claire si rese conto di quanto stesse soffrendo, forse lo stato d’animo di Eric non era minimamente paragonabile al suo.
“Mi devi dire cosa cazzo vuoi da me.”
Aveva fatto una pausa, aspettando che lei le rispondesse.
“Niente, Eric. Da te non voglio niente.”
“Quindi mi hai baciato, abbiamo quasi scopato-“
Aveva sentito la voce di Eric incrinarsi su quell’ultima parola e le sembrò di capire che avesse usato quella connotazione solo perché si era sentito usato.
“E tu non vuoi niente da me?”
Avrebbe voluto tutta la vita con lui, ma non sapeva nemmeno come dirglielo.
“Renditi conto che noi non sapremo mai come sarà stare insieme.”
 
 
Eric glielo aveva detto piano, come se lo sussurrasse più a se stesso che a lei.
“Non ci hai dato nemmeno la possibilità di vedere se funzioniamo o meno.”
Non riusciva ad essere arrabbiato per la decisione che lei aveva preso perché tanto Claire continuava a non motivare niente di tutto ciò. Pensò che era stanco che lei lo trattasse in quel modo e che effettivamente aveva ormai perso ogni tipo di dignità con lei. Si girò a guardarla, osservò il modo in cui lo stava guardando e non riusciva a pensare a niente se non al fatto che avevano rovinato tutto, con i sentimenti di mezzo era andato tutto a rotoli.
“Ci stiamo facendo solo del male, Claire.”
Sospirò, rassegnato.
“E io volevo solo amarti con tutto me stesso.”
La guardò un’altra volta e notò sorpresa dentro ai suoi occhi, come se non fosse evidente il fatto che lui la amava. Si fermò a guardarla, la vide ancora sorpresa ma anche spaventata dal risvolto della loro discussione e poi si precipitò a baciarla, forse davvero per l’ultima volta. Non era un bacio casto, nemmeno un bacio lento. Le labbra di Claire lo avevano accolto subito, senza esitare nemmeno un attimo e le loro mani erano ormai su ogni parte del loro corpo. Sentiva le mani della ragazza sulle guance, le proprie mani sui suoi fianchi e i loro corpi ormai avvinghiati. Sentiva i jeans fin troppo stretti e pensò che Claire dovesse pur sentirlo quanto voglia avesse di lei. Eric la baciò con maggiore foga, erano entrambi in apnea ma nessuno dei due sembrava volersi staccare da quel bacio. Le proprie mani avevano cominciato ad esplorare la pelle di Claire sotto la maglietta a maniche corte, fino ad afferrare un suo seno ancora coperto dalla stoffa. Sentì il respiro di Claire farsi più affannoso, vide il suo corpo trasalire e decise di sganciarle il reggiseno per baciarla più facilmente. Sapeva di essere nella posizione più scomoda del mondo ma sulla sua pelle sentiva un profumo delicato di mandorle e l’odore di Claire lo faceva impazzire. Passò a baciarle la pancia con le mani di Claire tra i suoi capelli, sfiorò l’ombelico con la lingua ed ebbe l’impulso di sbottonarle i pantaloni e continuare a baciarla dove sperava da fin troppo tempo. Si fermò un attimo, poggiò il mento sulla sua pancia e la guardò, notò i suoi occhi socchiusi e come si stesse godendo quella situazione, nonostante dicesse di non volere avere niente a che fare con lui. Continuò a baciarle la pancia, poi il ventre e pian piano le tolse i pantaloni, per poi iniziare a torturare con la lingua la sua intimità, che aveva già fin troppa voglia di lui. Era sicuro che entrambi si fossero dimenticati di essere ancora a scuola e dentro ad un sgabuzzino perché lui non riusciva a fermarsi dal dare piacere a Claire e lei gemeva in maniera sempre più insistente. Spostò la propria mano destra dai glutei della ragazza e inserì, piano piano, le sue dita dentro di lei, la vide trasalire con quell’azione, ma non aveva intenzione di fermarsi. La sua lingua continuava a muoversi come a formare dei cerchi regolari e concentrici e la sua mano si muoveva piano, riuscendo a sentire il corpo di Claire contrarsi attorno ai suoi polpastrelli. Si staccò da Claire qualche istante dopo e, prima di continuare a baciarla, si asciugò con la maglietta le labbra, ormai fi tropo umide. Le sue dita erano ancora dentro di lei ed era sicuro che Claire era completamente inerme ed abbandonata al suo tocco. Lei riusciva a dire tanto con le parole, ma poi il suo corpo diceva tutto l’opposto e ciò che stava succedendo ne era la prova concreta. Continuò a baciarla ma questa volta più lentamente, succhiandole le labbra per suscitare in lei altra sorpresa e notò come lei continuasse a ricercare il contatto tra loro, anche quando lui andò a stuzzicarle il collo. Quella, per Claire, era una zona erogena fin troppo sensibile e la sentì gemere ancora, con un tono più basso ma deciso. Spostò di nuovo le sue labbra su quelle di Claire, continuando a muovere le sue dita dentro di lei, e con le loro labbra ancora attaccate, la sentì aggrapparsi a lui e contorcersi dal piacere. Respirava irregolarmente, sentiva il calore delle sue guance attraverso le proprie ed aveva ancora gli occhi chiusi, come se volesse in qualche modo godersi quel momento. Forse quella di Claire era solo una semplice reazione fisiologica, ma quando riaprì gli occhi Eric si rese conto che il sorriso che aveva stampato sulla faccia era fin troppo simile a quello di Martin. Per la prima volta, pensò che forse poteva davvero avere un qualche tipo di effetto su di lei. La vide riprendere a respirare in maniera regolare e poi si decise a sganciare una bomba.
“Vuoi tutto questo da me, Claire.”
Aveva poggiato la sua fronte su quella della ragazza.
“E lo vuoi per ogni giorno della tua vita.”
Le sorrideva ed aveva alzato l’angolo destro della sua bocca, mostrando le sue fossette fin troppo evidenti.
“Vorrei, Eric, vorrei tutto questo.”
Si era allontanata e adesso si stava alzando e riabbottonando i pantaloni davanti ai suoi occhi.
“Ma tutti questi chilometri finiranno per distruggerci completamente.”
“Non è vero, proveremo a far funzionare tutto quanto.”
Lei gli stava sorridendo.
“Non siamo dei robot senza emozioni, Eric.”
La vide scuotere la testa.
“Non potrei mai partire con una voragine dentro al petto e la voglia di ritornare a casa ogni fine settimana.”
Forse non sarebbero mai riusciti a resistere.
“Allora preferisci fare così?”
“Non so cosa preferisco fare, Eric.”
Andò a baciarla di nuovo, respirando affannosamente sulle sue labbra e sentì le mani di Claire sul suo petto, lei avrebbe voluto allontanarlo e mantenere le distanze tra i loro corpi, ma le loro labbra erano ancora appiccicate e non accennavano minimamente a staccarsi. Come poteva pensare che stare insieme a distanza potesse distruggerli? Quel modo di appartenersi non era sufficiente a sopperire ogni tipo di mancanza? Continuò a baciarla, con Claire che spostava le mani sulla sua nuca e con i loro corpi di nuovo perfettamente incastrati tra di loro, come se gli spazi tra le loro gambe fossero in qualche modo complementari. Le prese il viso con le mani continuando a baciarla e poi la accarezzò debolmente con i pollici. Si staccò da lei e da quel bacio lentamente e nel frattempo cercò di raccogliere le forze per accettare quella situazione. Posizionò le braccia parallelamente alle sue gambe e poi le diede un ultimo bacio sulla fronte.
“Spera solo che non prenda cento.”
Il ragazzo sbarrò gli occhi.
“Non vuoi trasferirti?”
Era la prima volta che intuiva che potesse essere così.
“I miei genitori mi stanno offrendo questa opportunità, non posso rifiutarla.”
Eric annuì e pensò alle parole che le aveva detto il mese precedente, nonostante tutto continuava a pensare che lei dovesse fare il meglio per se stessa.
“Non puoi, Claire.”
Le sorrise un’ultima volta e poi le diede le spalle, aprì la porta e si girò a guardarla di nuovo.
L’aveva lasciata andare perché voleva pensare ad una Claire realizzata in qualche parte del mondo. Aveva sempre pensato che lei meritasse il meglio e sapeva di dover mettere da parte la sua felicità per farla diventare la persona che aveva sempre sognato di essere. Non era un segreto che Claire amasse la pediatria e lui non voleva che lei si trattenesse nella loro città per stare con lui.
“Avremo dovuto pensarci prima.”
La vide annuire, sconsolata.
“Forse sarebbe stato tutto diverso, Eric.”
Le sorrise con poco entusiasmo e poi uscì del tutto dalla stanza.
“Andiamo a vedere i risultati?”
“Sì, andiamo.”
Erano due semplici amici.


Claire ed Eric camminavo paralleli verso la bacheca con i loro risultati. Avrebbe voluto afferrargli la mano e fargli capire che per loro era ancora tutto possibile e che fino a quando non avrebbe letto quel risultato potevano ancora essere le stesse persone di pochi minuti prima dentro quella stanza, ma si limitò a farsi bastare il calore del corpo di Eric. Vide un gruppo dei suoi compagni di classe davanti a quella bacheca di legno e scorse, per lo più, facce sorprese non sapendone indicare il tipo. Si girò a guardare Eric e notò che anche lui aveva colto quella sorpresa, tanto che entrambi iniziarono a camminare più velocemente. Tra la folla riuscì a riconoscere Mel, non comprendendo nemmeno la sua di faccia e tutti non facevano altro che parlare tra di loro, senza che lei riuscisse a distinguere le parole. Vide Mel riconoscerli e dirigersi verso di loro.
“Cosa succede, Mel?”
La ragazza aveva iniziato a sorridere.
“Solo vedendolo potete capirlo.”
Eric e lei si guardarono ancora e poi lo vide farsi spazio tra la folla. Claire era immobile, non riusciva nemmeno a mettere un piede dietro l’altro perché sapeva che con quel voto sarebbe cambiata, inevitabilmente, la sua vita. Non c’erano più supposizioni o immaginari aperti su come sarebbe stato il suo futuro negli anni successivi perché un numero avrebbe determinato la sua vita e lei non era pronta, forse non lo sarebbe mai stata. Osservò Eric e come i suoi lineamenti fossero cambiati nel vedere il suo voto, dal sorriso sulle sue labbra capì che doveva aver preso un voto alto. Si decise ad avvicinarsi alla bacheca, ma ad ogni passo sentiva che lei in fondo non voleva nemmeno andarci in Inghilterra, non era mai stato il suo sogno perché lei aveva sempre voluto mettere radici in un unico posto. Non voleva che l’università fosse una parentesi in un’altra parte del mondo, ma che gettasse le basi per creare reti e contatti nella città in cui avrebbe passato il resto della sua vita. Avrebbe dovuto ricominciare da zero altrove e lei sapeva di non avere la forza di costruire tutto alle basi, in fondo al suo cuore c’era quella consapevolezza che non sapeva nemmeno di avere, ma che sicuramente sarebbe stata spazzata via da quel dannato voto.
Anni prima aveva comprato il libro delle risposte, ricordava ancora la copertina nera, la scritta in oro e come avesse passato un intero pomeriggio a domandarsi se fosse giusto dire ad Eric ciò che provava. Aveva avuto diciannove risposte diverse, tutte quante che la invitavano ad aspettare e solo alla fine, quando aveva bisogno del no definitivo, aveva aperto la pagina con su scritto un semplice . Claire, però, sapeva che solo un sì in mezzo a tutti quei no fosse insignificante e ricordava ancora le parole di Vicki, che non credeva né alla fortuna e nemmeno a quei libri. Claire, questi libri funzionano come con le monete e il testa o croce. E’ ciò che speri durante il lancio della moneta che coincide con ciò che vuoi veramente.
E lei lo sapeva che ciò che desiderava veramente non fosse prendere cento. Si forzò a mettere un piede dietro l’altro, sapendo che ogni passo la allontanava inevitabilmente da Eric. Sospirò, sperando che quel respiro così lungo l’avesse sentito solo lei, e poi iniziò a cercare il suo nome tra quello dei suoi compagni di classe. Agganciò con gli occhi il suo rigo e poi spostò lo sguardo verso destra. Se si era già preparata ad avere cento, adesso aveva anche la lode e quasi la certezza automatica che l’avrebbero presa. Non sapeva nemmeno cosa avesse fatto per prendere quel voto e rimase incredula ad osservare la scritta della lode accanto al cento. Sentì della mani circondarla e notò che fossero proprio di Mel.
“Congratulazione, Claire.”
Sciolse quell’abbraccio e guardò la sua migliore amica negli occhi. Vedeva gioia, felicità per lei, ma Claire non riusciva a riflettere dentro di sé quelle emozioni.
“E tu?”
“Un bel novanta.”
“Te l’hanno fatto tondo tondo, Mel.”
E le sorrise nel modo più sincero che ricordava. Notò Eric allontanarsi da quel gruppo e si girò a guardare quanto avesse preso; anche nel voto era identici ed era sicura che almeno lui potesse godersi quel momento senza iniziare a pensare ai rimpianti. Guardò ancora la bacheca rendendosi conto che c’erano stati voti parecchio alti, Robert nonostante avesse detto che la terza prova era andata male era riuscito a raggiungere qualche voto in meno rispetto a Melanie ed Amy aveva preso più di quanto sperasse. Si spiegò in quel modo la sorpresa dei suoi compagni e si rese conto, ancora una volta, di essere troppo presa dai propri stati d’animo per vedere le loro espressioni.
Afferrò il cellulare, spostando gli occhi sullo schermo e iniziò a digitare il numero di casa; posò il dito sul tasto verde della telefonata, ma non ebbe il coraggio di schiacciarlo. Fare quella chiamata voleva solamente dire che in Inghilterra ci sarebbe davvero andata e lei voleva ancora coccolare l’idea che forse Eric e lei avrebbero potuto stare insieme. Si girò a cercare Eric, lo vide con il casco in mano in procinto di andare via, così si decise e iniziò a correre verso di lui. Doveva abbracciarlo per l’ultima volta, doveva sentire il suo odore ancora per qualche minuto prima di dirgli addio. Non era mai stata brava nella resistenza e non riusciva nemmeno a correre decentemente senza affaticarsi, ma riuscì a raggiungerlo velocemente. Si fermò e poi chiamò il suo nome.
“Eric?”
Lo vide fermarsi e rimanere immobile.
“Eric!”
Si girò verso di lei, visibilmente confuso, e Claire andò a circondare con le proprie braccia il suo busto. Lo strinse forte a sé, sapendo quanto gli sarebbe mancato nei prossimi mesi e quanto avrebbe rimpianto forse per tutta la vita la scelta di andare via. Sentì il casco del ragazzo cadere a terra e le braccia di Eric accarezzarle la schiena. Investita da tutto quell’affetto iniziò a piangere, quasi senza capirne il motivo; con quelle lacrime stava liberando ogni sentimento che sentiva intrappolato dentro di sé e sentiva che il nodo, che perennemente sentiva dentro alla gola, si stava sciogliendo. Eric spostò la mano destra sui capelli di Claire, stringendola più forte e poi le posò un leggero bacio sulla nuca.
“Va tutto bene, Claire.”
Glielo aveva detto sussurrando e lei a quelle parole riuscì solo a singhiozzare più forte. Non andava tutto bene perché sapeva che lo avrebbe perso e non voleva che lui accettasse quella situazione, voleva che Eric per una volta fosse egoista.
“Andrà tutto bene, non preoccuparti.”
Era evidente che lui volesse che lei perseguisse la sua felicità.
“Sei solo spaventata, ma non hai idea di quanto riuscirai a brillare lì.”
Avrebbe voluto dirgli che non le importava di brillare perché per splendere avrebbe dovuto rinunciare al suo cuore, ma non ebbe nemmeno la forza di dirgli ciò perché sentì il corpo di Eric allontanarsi dal suo.
“E’ meglio se per un periodo ci allontaniamo, Claire.”
Si asciugò le lacrime con pochi risultati, recuperò un fazzoletto dalle sue tasche, ma non riuscì a dirgli niente.
“Sarà doloroso per entrambi, ma è meglio così.”
Le sorrise con poco entusiasmo, forse per farle capire che lui era davvero convinto di ciò che diceva e, dato che per lei parlare era impossibile, si limitò ad annuire. Lo vide recuperare il casco e poi darle le spalle.
Finiva così per loro ed era tutta colpa sua.


spazio autrice
Benvenuti in questo nuovo capitolo :) Credo ci sia poco da commentare e spero di leggere i vostri pensieri su ciò che leggete. E' stato difficile da scrivere perchè ancora una volta Eric e Claire si sono sfiorati, ma adesso sono di nuovo lontani chilometri. In fondo fanno così da sempre e per capire il presente era necessario fare luce sul passato e su ciò che non si sono mai detti( non a caso la storia si chiama "Unspoken words"). Spero davvero di leggere i vostri pareri, ma in ogni caso ringrazio chi legge, chi inserisce la storia nella propria lista delle letture e grazie per essere ancora qui.
Alla prossima <3

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Capitolo 22
*** 21. Occhi. ***


Capitolo 21
presente



*I protagonisti del capitolo sono Eric e Claire, i loro POV si alterneranno.
Il nome in grassetto all’inizio del paragrafo cambia il punto di vista.*


Eric era infuriato ed era appena uscito da casa di Claire.
Quasi non riusciva a credere che tutto fosse precipitato, di nuovo, così velocemente. Rimase davanti il portone qualche minuto, sperando di vederla scendere per rimangiarsi tutto ciò che aveva detto, ma più passava il tempo e più si rendeva conto che era solo un illuso a pensare una cosa del genere. Poggiò le mani sui fianchi e sbuffò rumorosamente, era davvero stupido a pensare che Claire fosse cambiata in quegli anni, lei era sempre la solita, sempre incapace di prendere una qualsiasi decisione. Guardò l’orologio e si rese conto che avrebbe dovuto prendere il bus entro pochi minuti per non rischiare di perderlo e aveva perso fin troppo tempo per quella giornata. Se vederla con Robert gli aveva smosso lo stomaco, adesso sentiva di averlo del tutto capovolto. Non era bastato fare l’amore con lei e parlare dentro alle coperte nudi per far andare via la paura, forse non avrebbero mai trovato il modo di mandarla via, era ormai intrisa in ogni loro parola e sguardo. Forse avevano troppa paura di ferirsi e che all’ennesima ferita sarebbero scappati via. Ormai era diventato fisiologico per loro, ad ogni felicità che si regalavano seguivano tagli sempre più profondi. Ad ogni taglio corrispondeva una cicatrice ed ormai i loro corpi erano pieni di segni, tutte tracce precise che conducevano al loro passato e a ciò che erano stati.
Raggiunse la fermata del treno senza pensare ad altro, guardò verso il tabellone indicante l’orario d’arrivo e poi si rese conto di aver intravisto una figura familiare. Era sicuro che quella tonalità di rosso non potesse passare inosservata a lui che per un paio da mesi aveva cercato Charlotte in continuazione. L’ultima volta si erano visti dentro la macchina di lei, lui l’aveva baciata ed era stato quel contatto a fargli capire che se lui si fosse coinvolto maggiormente in quel rapporto non si sarebbe mai ripreso, non quando lei voleva già qualcun’altro. Non era sicuro che lei volesse vederlo, ma sapeva che se non l’avesse fermata se ne sarebbe pentito. Provò a destreggiarsi tra tutte quelle persone e poi iniziò a chiamare il suo nome. Avevano parlato poco, ma sapeva che Charlotte non voleva che lui fosse irruento, lui riusciva ad avvicinarsi a lei solo quando era lei a permetterglielo e in quei mesi ne aveva avuto continue prove. La vide girarsi verso di lui e stupirsi.
“Eric?”
Si avvicinò verso di lui, stupita ma allo stesso tempo quasi felice che l’avesse chiamata.
“Come stai?”
Eric alzò l’angolo destro della bocca formando una smorfia, a tratti ironica, e si rese conto di come a lei in realtà nemmeno importasse cosa avesse da dirle. Lui si era avvicinato ogni volta che lei voleva, a volte si era allontanato era vero, ma sapeva che a lei importasse poco di lui. Vide Charlotte sorridergli e cambiò espressione.
“Adesso ti importa?”
Era serio, forse fin troppo.
“Avresti potuto chiedermelo mille volte, ma secondo il tuo punto di vista ero troppo insistente o troppo curioso.”
Si guardò le scarpe solo per non guardarla dritta negli occhi e si rese conto di quanto fosse stanco di starsene lì a subire a non dire niente.
“Hai la luna storta?”
Spostò i suoi occhi e la guardò, notando che aveva arricciato un sopracciglio e che fosse visibilmente perplessa.
“Non te ne rendi nemmeno conto, Charlotte? Davvero?”
“Ma di cosa?”
Sapeva che lei non si meritasse nemmeno un po’ quel trattamento e che in realtà fosse solo nervoso per colpa di Claire e di come per l’ennesima volta si fosse avvicinato così tanto da bruciarsi.
“Senti, Eric, non so qual è il tuo problema ma io ti ho sempre detto chiaramente come stavano le cose e adesso sei solo risentito.”
“No, Charlotte, non sono risentito. Ho solo avuto la conferma che dopo tre anni amo ancora la mia migliore amica e che nessuno sarà mai come lei.”
Lo aveva detto così veloce che quasi si era dimenticato come respirare.
“E ci ho provato ad innamorarmi di te, ma eri solo una distrazione.”
Aveva scordato pure le buone maniere anche se, in fondo, Charlotte gli aveva solo ricordato una vita che non gli sembrava di aver mai vissuto.
 
Eric le sorrise, forse era il sorriso più triste che Charlotte avesse mai visto nella sua vita.
“Il fatto è che, Charlotte, io voglio stare con te. Non provavo una cosa del genere da tanto tempo e all’improvviso sento un’irrefrenabile voglia di sapere ogni singola cosa di te, dal tuo colore preferito alla tua canzone preferita ed è terribilmente sbagliato volere queste cose da te.”
“Perché?”
“Perché è evidente che tu non puoi provare qualcosa per me, nemmeno un po’. Tu hai la tua vita e il famoso ragazzo che ami e che è sempre presente. In questa macchina è come se ci fossero tre persone e non due e io non posso, non di nuovo.”
Charlotte non riusciva più a sostenere il suo sguardo, così lo abbassò osservandosi a lungo le mani.

[…]
“Ne sono sicuro. In ogni caso qui c’è la cioccolata che ti avevo portato e dentro c’è pure il mio numero. Grazie.”
Lo guardò con sguardo incredulo.
“Per cosa?”
“In questa macchina mi hai mostrato tanto di te stessa e penso che se rimango un minuto di più qui dentro rischio di innamorarmi definitivamente di te.”



“Volevi dire questo in macchina, quando sei andato via?”
“Avrei voluto dirti di non ferirmi, di non scheggiarmi e di considerare ogni mio sentimento. Avrei voluto dirti tante cose, ma alla fine stavi solo richiamando alla mia mente un’altra persona.”
Charlotte prese la mano destra e andò ad accarezzargli la spalla.
“Perché non ti vuole?”
Eric la guardò, capendo che quella domanda lui non se l’era mai fatta.
“Mi vuole, ma è complicato stare insieme.”
Lo guardò ed iniziò ad osservarlo come faceva sempre.
“Ti assicuro che non c’è niente di complicato quando due persone vogliono stare insieme.”
E sapeva che lei lo avesse provato in prima persona perché una volta glielo aveva anche detto. Vide Charlotte spostare il proprio sguardo dietro di lui, notò i suoi occhi illuminarsi e poi si girò a guardare verso quella direzione vedendo per la prima volta il ragazzo di cui lei si era innamorata. Era sicuro che se Eric lo avesse visto tra la folla nemmeno lo avrebbe riconosciuto, ma girandosi a guardare Charlotte si rese conto di come lui, nonostante tutto, non avesse mai avuto una vera chance con lei. Non avrebbero mai potuto intraprendere qualcosa di serio, non quando guardavano in quel modo le altre persone, non quando i loro cuori erano già occupati da altri volti.
“Eric, ti presento Andrew.”
Gli sembrò quasi che il sorriso di Charlotte fosse appiccicato, da quando aveva visto Andrew era rimasto lì immobile sul suo volto; Eric pensò che a lui sarebbe venuto, sicuramente, un crampo con tutto quel sorridere. Si girò verso il ragazzo e notò quanto la sua fisionomia gli ricordasse qualcuno, nonostante non sapesse dire chi potesse essere.
“Io sono Andrew.”
Sorrideva anche lui e gli aveva pure teso la mano.
“Eric.”
Era sicuro che Charlotte non avesse nemmeno accennato ad Andrew chi fosse, d’altronde che tipo di senso poteva avere? Nemmeno lui aveva mai parlato a Claire di Charlotte o di Nat. Erano stati tutti insignificanti rispetto a lei, tutti modi per placare la solitudine che nessuno avrebbe mai colmato. Osservò Andrew e notò come, anche lui, guardasse allo stesso modo Charlotte. Vederli insieme era come guardare un’unica persona riflessa ad uno specchio, avevano lo stesso modo di guardarsi, di perdersi nei dettagli dell’altro ed Eric non poté fare altro che guardarli e sperare che decidessero di andare via. Si sentiva scomodo in quella situazione e sapeva che anche lui e Claire avrebbero potuto avere tutto ciò, se solo lei si fosse decisa.
“Allora io vado, ragazzi.”
Decise di portare con sé le parole di Charlotte e si rese conto che avesse ragione, due persone che vogliono stare insieme non hanno bisogno di tutti quei giri per ritrovarsi. Lo salutarono all’unisono e lui rispose solo con un sorriso debole sulle labbra. Vide gli occhi di Andrew spostarsi veloci verso Charlotte, sorriderle e in quell’esatto momento Eric capì perché gli fosse così conosciuto. Andrew gli ricordava Martin ed Eric era sicuro che potesse aggiungere anche lui in quella lista a cui pensava qualche minuto prima, altre labbra per non pensare a ciò che gli mancava davvero.
 
 
Claire era rimasta immobile. Guardava aldilà della finestra e gli ultimi raggi del sole le illuminavano debolmente la stanza. Si sentiva stanca, a tratti svuotata e non riusciva nemmeno a recuperare le forze per alzarsi dal letto e per una volta fare la cosa giusta e corrergli dietro. Non ne capiva il senso, non quando aveva detto quelle parole che non sarebbe mai riuscita a rimangiarsi. Sentì il telefono squillare, i trilli risuonare per tutta la casa e capì che era quello il suo motivo per alzarsi. Erano passi lenti i suoi e le sembrava di non essersi mossa se non di pochi centimetri. Il telefono smise di squillare, lei sospirò e, adesso, sul ciglio delle scale non sapeva se scendere o ritornare in camera sua. Guardò lo specchio di fronte a sé ed iniziò ad osservarsi. Le lentiggini erano ancora lì, i capelli sembravano sgualciti di quante volte Eric glieli aveva accarezzati, si passò le dita sul lobo dell’orecchio destro e sfiorò i piccoli morsi che lui le aveva lasciato. Erano passati tre anni dall’ultima volta che avevano fatto l’amore e non poteva pensare altro se non che fosse diventato davvero esperto. Sorrise davanti a quello specchio e notò come il solo pensare a qualcosa che lo riguardasse la facesse divertire e diventare più bella. Si toccò l’angolo destro della bocca solo per verificare che quel sorriso fosse vero e poi si rese conto che solo lui riusciva a farla sentire in quel modo. Staccò la mano dal suo viso e, con un elastico di fortuna, si legò i capelli in una coda. Si guardò ancora e, nonostante la diversa capigliatura, quel sorriso era ancora lì ogni volta che pensava a qualcosa che lo riguardasse. Non sapeva nemmeno di avere quell’espressione qualsiasi volta che si parlava di lui e guardarla allo specchio l’aveva resa solo più consapevole di ciò che avesse perso. Lasciò liberi i capelli e si decise a scendere le scale. Sentì nuovamente il telefono suonare e, questa volta, riuscì a recuperarlo.
“Pronto?”
“Claire, sono Mel.”
Sbarrò gli occhi, solo perché si rese conto che fossero in qualche modo telepatiche.
“Mel?”
“Tua madre mi aveva detto che saresti tornata in questi giorni e ho pensato di chiamarti.”
La sentì ridere dall’altra parte della cornetta.
“Sai come ai vecchi tempi.”
“Quelle telefonate che duravano ore mancano anche a me, Mel. Maledetta Inghilterra.”
“Poverina, lasciala stare. Come va allora?”
Claire sospirò e Mel sembrò averlo capito.
“Dimmi che non stai per parlarmi di Eric.”
Rise nervosamente.
“Se vuoi lascio stare allora.”
“La colpa è stata mia. Non dovevo chiederti niente.”
Dalla voce sembrava fin troppo rilassata e in attesa di una risposta.
“Da dove comincio, Mel?”
 
***
 
“Vedo che siete rimasti gli stessi idioti del liceo.”
Mel l’aveva ascoltata e quella frase era l’unica cosa che riusciva a dirle.
“Dopo tutto questo tempo, Claire, non riesco a comprendere il motivo per cui tu non lo vuoi.”
Corrugò la fronte, alzando un sopracciglio.
“Mi spiego meglio.”
Tossì e poi riprese il discorso.
“Finalmente avete capito che quell’anno eravate con il corpo e con i sentimenti allo stesso posto, adesso siete ancora allo stesso posto e allora che motivo c’è di stare così lontani?”
“Io abito stabilmente in Inghilterra.”
“Non hai mai sentito parlare di videochiamate o sesso telefonico?”
“E la quotidianità dove la metti?”
“Quotidianità?”
“Io ho sempre voluto un rapporto come quello dei miei genitori.”
Si schiarì la voce e poi riprese a parlare.
“Stare insieme ogni giorno e condividere ogni cosa.”
Mel sorrise e non riuscì nemmeno a trattenersi dal risponderle male.
“Ma questo modo assurdo di amare chi te lo ha insegnato? Amiamo tutti un modo diverso, Claire, siete voi a crearvi il modo.”
 
 
Sua madre l’aveva portata a teatro per la prima volta, le aveva detto che avrebbero visto un balletto e Claire si era preparata a quell’evento mettendosi addosso tutti i gioielli che aveva ricevuto per il precedente compleanno. Ricordava ancora le luci che attraversavano i cristalli del lampadario, i vetri in cui vedeva riflesse le persone e gli abiti di quelle donne, così pomposi che non ricordava di aver mai visto tutta quell’eleganza tutta insieme. Sua madre aveva avuto i biglietti da una sua amica, ma aveva deciso di portare Claire con sé e lei ne era entusiasta. Si era seduta su quelle poltrone rosse, dove era sicura ci sarebbe entrata anche Vicki, e al momento dell’apertura del sipario le si erano illuminati gli occhi. Aveva davanti a sé tanti ballerini, vestiti e tutù bellissimi, e non riusciva a staccare gli occhi da quelle figure che si muovevano davanti a lei. Erano così delicate ed ogni passo veniva inghiottito da quella musica che sembrava calzare a pennello con i loro movimenti. I due protagonisti avevano cominciato a ballare, i loro corpi paralleli, le loro mani pronte a sfiorarsi e poi il ragazzo aveva preso la mano di lei, l’aveva guardata dentro gli occhi e poi l’aveva stretta a sé. C’era il suo petto a stringerla dalle spalle e lei aveva chiuso gli occhi, quasi volesse prendere il meglio di quel contatto. L’aveva vista allontanarsi e poi girarsi verso di lui, sfiorarlo ancora e poi il ragazzo l’aveva presa dai fianchi ed alzata per aria. Riusciva a scorgere le punte dei piedi tesi, la schiena incurvata verso il corpo del ragazzo e non aveva la minima idea di come facesse ad affidarsi così tanto a lui. Lui la stava sostenendo, lei lasciava che lui la tenesse e, piano piano, lui aveva fatto strofinare i loro corpi quasi impercettibilmente, facendole poggiare i piedi a terra. Percepiva i battiti del cuore così forti da sentire pulsare l’orecchio destro e vedendo gli sguardi dei ballerini agganciati pensò che lei avrebbe ricercato sempre quel tipo di amore nella sua vita. Guardarsi fino a consumarsi, sino a sperare che fosse l’altro a staccare lo sguardo, dirsi tutto attraverso gli occhi, come se ogni parola fosse superflua e inutile dinanzi a quell’amore che riuscivano a leggere lì dentro.
 
Solo adesso Claire poteva rendersi conto che dentro gli occhi di Eric c’era sempre stato amore puro, quell’amore viscerale che lei aveva sempre sperato di provare e che non era riuscita a leggere fino a quel momento per colpa della sua paura.
“Claire?”
Era tornata indietro con i ricordi e si era pure dimenticata di Mel.
“Io te l’ho detto cosa ne penso, però cazzo non buttate tutto all’aria un’altra volta.”
Poteva anche rinunciare alla quotidianità se Eric la guardava in quel modo.
“Io ti consiglierei di andare da lui.”
Sorrise, forse aveva solo bisogno che qualcuno la spingesse verso ciò che aveva sempre voluto.
“Forse dovrei farlo.”
Chiuse il telefono ancor prima che Mel potesse risponderle e si precipitò a recuperare il cellulare. Aveva eliminato il numero di Eric il giorno stesso in cui era arrivata in Inghilterra, si era decisa che così avrebbe dovuto comporre cifra per cifra quel numero ogni qualvolta avrebbe voluto chiamarlo. Nonostante non lo avesse memorizzato sulla rubrica, ogni numero era come marchiato a fuoco dentro al suo cervello e nessuno di quei tratti le risultava sbiadito o sfocato. Digitò le prime tre cifre velocemente, poi si interruppe un attimo e riprese a scrivere il numero, anche se con fatica. Non doveva più tirarsi indietro, il tempo per scappare era finito.
 
Eric era ancora sull’autobus quando sentì vibrare il telefono. Quasi gli venne un colpo non appena lesse il nome di Claire sullo schermo e rimase per tre vibrazioni consecutive con il dito sul tasto verde senza avere la forza di rispondere. Socchiuse gli occhi e pensò un attimo a come Charlotte ed Andrew si guardavano, a come avesse disperatamente bisogno di essere felice allo stesso modo con Claire e come sperasse che lo stesse chiamando per quel motivo. Gli occhi chiusi non lo avrebbero mai aiutato a far avverare il suo desiderio, ma forse era il caso che le rispondesse almeno per l’ultima volta.
“Che c’è?”
“Possiamo vederci, Eric?”
Continuava a farlo rimbalzare da una parte all’altra della città senza che ne fosse consapevole. Si accorse della vicinanza della fermata successiva e si decise a scendere.
“Scusa un attimo.”
Si fece largo tra tutte le persone e riuscì a respirare nuovamente.
“Cosa stavi dicendo?”
Non voleva nemmeno che tutti coloro che erano all’interno del vagone sentissero la sua conversazione.
“Se potessimo vederci.”
La sentiva impaziente e non ne capiva nemmeno il motivo.
“Non puoi dirmelo al telefono?”
Non voleva essere stronzo ma solo che lei non si prendesse più gioco di lui. Gli rimbombarono le parole che aveva detto a Charlotte e si rese conto che lei non centrasse niente, che la vera destinataria di quelle parole fosse stata sempre e solo Claire.
 
« Avrei voluto dirti di non ferirmi, di non scheggiarmi e di considerare ogni mio sentimento. »
 
“Eric.”
Aveva detto il suo nome con la stessa intonazione di quando si erano rivisti e lui capì che forse non era caso parlarne in quel modo. Sentiva nel silenzio di Claire tutto ciò che non si erano mai detti e, adesso, non c’erano più parole vuote o apparentemente senza significato.
“Non voglio più fuggire.”
C’era qualcosa di nuovo e che lui non sapeva nemmeno se sarebbero mai stati capaci di creare.
“Non voglio più essere una codarda, voglio rischiare.”
“Dove sei?”
“Ancora a casa.”
“Sto arrivando.”
Chiuse il telefono, lo buttò dentro le tasche e poi iniziò a cercare con lo sguardo una bici che fosse senza catena. Ne individuò una e si precipitò a prenderla, sapeva che fosse sbagliato rubare qualcosa ma tecnicamente la stava prendendo in prestito ed era sicuro che quella persona troppo distratta se avesse saputo il motivo lo avrebbe subito perdonato. Non era solito pedalare la bici perché per muoversi in città si spostava sempre in treno o a piedi; dopo il furto del suo motorino cinquanta non aveva più guidato nessun mezzo a due ruote, forse per non dimenticare la sensazione di libertà che sentiva ogni volta che il vento gli si incastrava tra i capelli. Pedalò più veloce che potesse, prendendo un senso vietato e camminando sopra i marciapiedi, scostandosi ogni volta che poteva dai pedoni.
 
«Avrei voluto dirti tante cose, ma..»
 
C’era stata solo un’altra volta in cui aveva corso in quel modo e, anche in quel caso, doveva raggiungere Claire ma all’aeroporto. Continuava a pedalare e finalmente arrivò davanti il portone di quella casa, posò la bici sul muro, buttò fuori tutta l’aria e poi si decise a schiacciare il pulsante del citofono. Una breve pressione e Claire gli rispose subito, quasi stesse aspettando lì dietro. Chiuse la porta alle sue spalle e poi iniziò a correre verso di lei, la vide aprire la porta e andò ad abbracciarla.
“Devi promettermi una cosa.”
Glielo aveva detto all’orecchio solo perché se l’avesse guardata negli occhi, avrebbe colto un po’ di paura e lui aveva bisogno di dirglielo senza tirarsi indietro.
“Non ferirmi, Claire.”
Aveva preso a baciarle la fronte.
“Non scheggiarmi.”
Poi era arrivato al naso.
“Considera sempre ogni mio sentimento.”
Adesso le stava sfiorando le labbra. Sapeva di averle dato un peso enorme e Claire con un bicchiere di cristallo come Eric doveva fare molta attenzione.
“Questa volta prenditi cura di me.”








spazio autrice
era arrivato il momento di aggiornare. Ci sono stata più del dovuto, ma alla fine eccomi qui :) Alcune parti sono state riscritte mille volte solo per dare loro la giusta connotazione. Spero che sia tutto di vostro gradimento e spero di leggere i vostri pareri. Grazie come sempre a tutti voi che seguite la storia, alla prossima <3

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Capitolo 23
*** 22. Vite separate. ***


 
 
Capitolo 22
3 anni prima
 



*I protagonisti del capitolo sono Eric e Claire, i loro POV si alterneranno.
Il nome in grassetto all’inizio del paragrafo cambia il punto di vista.*

 

 

 

 

 

Eric era tornato a casa con un unico pensiero.
Aveva cominciato a cercare la locandina di Martin per tutta la stanza, sapeva di non averne bisogno ma inconsciamente sapeva che trovarla lo avrebbe spinto ad avere un motivo in più per andare da lui. Sin da quando aveva varcato la soglia di casa aveva sentito una voglia irrefrenabile di distrarsi e sapeva di poter ottenere quell’effetto solo con lui. Trovò quel pezzo di carta sotto il tappeto blu, recuperò il cellulare dalla tasca e fu indeciso se mandargli un messaggio o fargli una sorpresa. Optò per la seconda solo perché sapeva che Martin sarebbe stato contento di vederlo, almeno lui lo sarebbe stato.
 
Claire appena arrivata a casa aveva preso un foglio, si era seduta nella scrivania e aveva iniziato a scrivere due frasi.
E’ meglio se per un periodo ci allontaniamo, Claire.
Sarà doloroso per entrambi, ma è meglio così.
Più ripassava a penna ogni lettera, più si convinceva che fosse davvero meglio in quel modo. Alla fine della prima frase scrisse il suo nome in stampatello, calcò la lettera finale del suo nome, che inevitabilmente la riportava a pensare come la stessa e fosse la vocale iniziale del nome di Eric. Accanto alle due frasi scrisse due domande.
Un periodo quanto dura, Eric?
E’ meglio per me o per te, Eric?
 
Era arrivato a concerto già iniziato ed ogni previsione immaginata da Eric si era appena manifestata davanti ai suoi occhi. Vide Martin alzare gli occhi verso di lui e sbagliare una nota. Lo osservò sorridergli e riprendere il ritmo della canzone come se nulla fosse, facendo in modo che nessuno se ne accorgasse. Erano solo due le persone in quella stanza ad aver capito, solo loro sapevano perché quella note fosse errata e non era un problema di memoria o di attenzione. Eric sapeva di essere quel problema e la cosa lo faceva sentire così importante, che avrebbe pagato tutti i suoi soldi per continuare a sentirsi in quel modo. Per una persona era tutto e, per una sera, anche se non fosse Claire a ritenerlo importante, andava bene anche così.
 
Claire era scesa a cena continuando a ripassare con i pensieri quelle due frasi.
“Adesso possiamo organizzare i tuoi diciotto anni?”
Se ne era dimenticata e sua madre lo aveva pure capito.
“Sei un disastro, non puoi dimenticare i tuoi diciotto anni.”
Vicki scuoteva la testa e suo padre sembrava sorridere.
“Dove vorresti farla?”
Forse era il tempo di dire qualcosa.
“Anche a casa mi andrebbe bene.”
Seguì un discorso dove i suoi genitori cercavano di farle capire che forse sarebbe stato il caso festeggiare fuori, ma a lei non importava niente. Sapeva solo che quella sera avrebbe visto Eric e forse il suo regalo migliore era quello.
 
Erano stati due secondi ed Eric non aveva nemmeno pensato che tutto ciò potesse succedere. Due secondi e le labbra di Martin erano poggiate sulle sue. Sentiva l’odore del tabacco, della birra sorseggiata fino a poco prima e lui voleva con tutto se stesso ricambiare quel bacio e sentirsi vivo, ma sapeva che nemmeno in quel modo Claire sarebbe svanita. Si staccò da quel bacio a stampo lentamente, sperando che Martin riuscisse a comprendere che non fosse il momento adatto per loro. Lo vide riaprire gli occhi ed Eric riuscì a cogliere quella sfumatura che aveva sperato di comunicargli con quella lentezza.
“Mi dispiace, Martin.”
Avrebbe solo voluto che qualcuno capisse cosa gli stesse succedendo senza che lui avesse bisogno dirlo a parole. Lo vide riprendere la birra, bere dalla bottiglia e guardare davanti a sè, intuendo che fosse un po’ deluso.
“So che sono stato precipitoso ma so anche che non mi hai esattamente rifiutato.”
Martin sorrideva tra sé e sé senza guardarlo in faccia.
“Credo che non siano i risultati degli esami ad essere complicati.”
Si era alzato provando, con scarsi risultati, a non versare la birra a terra. Recuperò un’altra sigaretta dal portafoglio e se la portò alla bocca, gli veniva male con una mano libera ma riuscì comunque ad accenderla. Posò l’accendino nella tasca posteriore e poi, dopo aver aspirato il primo tiro, lo guardò di nuovo ed Eric non riusciva a dire niente.
“Solo amare la persona sbagliata è complicato.”
Martin era stato, davvero, capace di capire senza che lui parlasse.
“Sono sicuro che tutto ciò ti faccia sentire continuamente inadeguato e mi dispiace, Eric.”

 

 
7 giorni o 168 ore o 10080 minuti o circa 604.800 secondi
DOPO.
 


Claire rifletteva sul fatto che era passata una settimana e loro non si erano più visti, non si erano più scritti e non si erano più detti niente. Sua madre aveva organizzato la festa dei suoi diciotto anni, lei si era limitata a scegliere il colore dei palloncini e delle decorazioni, preferendo un rosso acceso ad un semplice rosa pastello. Vicki le aveva aiutate nella scelta e poi era andata in Francia. Ogni giorno mandava qualche foto via email con facce buffe, ma la più bella era stata quella in cui imitava lo sguardo serio della Monnalisa ed usciva la lingua di fuori. Ogni sera lei e i suoi genitori parlavano sempre di quanto Vicki si stesse divertendo, ridevano delle foto che lei continuava a mandare loro e poi passavano a parlare dell’Inghilterra e di come Claire quell’anno non riusciva a godersi le vacanze, ideando le scuse più disparate. Una volta i dolori prima del ciclo, poi il ciclo, poi non poteva prendere sole per via del post ciclo per paura che potesse succederle qualcosa. Veniva sempre Mel da lei e qualche volta pure Amy. Non se la sentiva di definirsi depressa, era solo vuota, irrecuperabile e preferiva rimanere a casa.
 
Erano passati 604.800 secondi, circa, dall’ultima volta volta che Eric aveva visto Claire. Si era buttato a studiare per i test d’ingresso e, in quel raro momento di pausa, aveva deciso di prendere la calcolatrice e trasformare i giorni che li separavano in secondi. Sospirò, spalmò le proprie spalle sulla sedia e scivolò piano piano per guardare il soffitto. Martin dopo il bacio aveva provato a chiamarlo, ma lui non aveva risposto, non sapeva cosa dirgli se non che gli dispiaceva di avergli dato dei segnali nettamente diversi rispetto a quelli che lui si aspettava. Un giorno sarebbe stato pronto per lui, ma in quel momento aveva solo un pessimo tempismo nel fare le cose. Tra un quesito di logica e uno di fisica, gli si infilava in mente l’ultima frase che, poco convinto, aveva detto a Claire.
E’ meglio se per un periodo ci allontaniamo, Claire.
Ed Eric stava iniziando a pensare che avesse fatto l’ennesimo errore madornale. Allontanarsi da Claire non era mai servito a niente e, adesso, si erano persi pure da amici. Anni a farsi problemi che lei non potesse ricambiare e che l’avrebbe persa e invece lei ricambiava ma adesso era troppo tardi. Sbuffò, sistemò la sedia e decise di continuare a studiare. Era troppo tardi per tutto e ormai quel tempo non glielo ridava indietro nessuno.
 
 
Claire, qualche giorno dopo, aveva accompagnato i suoi genitori a prendere Vicki in aeroporto. Davanti ai vetri di quell’edificio trasparente immaginò come da lì a qualche mese quell’aeroporto sarebbe diventato la sua seconda casa ed il modo essenziale attraverso cui raggiungere il suo futuro. Fino a quel momento non si era mai resa conto che presto avrebbe dovuto cambiare abitudini ed iniziare la sua vita in una nuova città. In un altro contesto sarebbe stata entusiasta e fin troppo felice, ma ancora una volta riusciva solo a pensare che non ci sarebbe più stato Eric nella sua quotidianità, le sarebbe rimasto solo il ricordo delle cose che facevano insieme e il richiamo di tutte le cose che lui preferiva e che lei non gli avrebbe potuto fare vedere.
“A cosa stai pensando?”
Sua madre, ultimamente, glielo chiedeva troppo spesso e lei finiva sempre per mentire e dire altro.
“Al fatto che Vicki avrà così tanto da raccontarci che non basterà una settimana per tutti i dettagli che dirà.”
Mentiva ed era pure ironica, così da tanto da fare ridere sua madre.
 
Eric aveva preso la decisione di dare un cenno di vita a Martin. Avevo preso il cellulare e, nonostante avesse riscritto mille volte quel messaggio, alla fine era arrivato a scrivere una semplice frase che si concludeva con una domanda.
Vorrei spiegarti tutto. Ci vediamo adesso al solito bar?
Non aveva nemmeno pensato di aspettare una sua risposta perché si era preparato, era uscito ed era andato a sedersi nel tavolino, quello del loro primo incontro. Aveva accavallato le gambe ed iniziato a guardare verso la direzione da cui l’altra volta erano arrivati, come se Martin potesse essere così banale da ripetere sempre le stesse strade e le stesse azioni. Sentì alle sue spalle dei passi familiari e si girò verso di lui.
“Non sarei dovuto venire, Eric.”
Sul volto di Martin non c’erano le sue solite espressioni, era fin troppo serio.
“E io avrei dovuto risponderti.”
Si stava giustificando, ma voleva spiegargli tutto di presenza.
“Lo so che ti ho baciato e niente cancella quel bacio, ma non volevo che ti allontanassi.”
Eric non sapeva nemmeno cosa dire senza combinare un macello.
“Amo la mia migliore amica da 4 anni, Martin, non posso dare un colpo di spugna a quei sentimenti.”
Lo vide sbarrare gli occhi e deglutire.
“Quattro anni sono tanti, Eric.”
“Lo so, per questo quando mi hai detto che mi sentivo inadeguato sono andato via senza dire niente.”
Martin annuiva, come se adesso tutto avesse più senso.
“Avevi colpito nel segno senza che avessi detto niente e sapevo che avessi così tanta ragione che volevo solo andarmene via e non farmi investire ulteriormente da quelle parole.”
A volte quella sua sensibilità la odiava così tanto che scappare era l’unica via per non soffrire.
“Non potrei mai competere con quattro anni di amore, Eric.”
Il cameriere aveva interrotto quella frase, chiedendo se volessero ordinare. Eric guardò Martin dentro agli occhi, forse per la prima volta perché quella sfumatura di giallo attorno all’iride non l’aveva mai colta, provando a capire cosa dovessero fare e se quella conversazione sarebbe continuata o no.
“Mi porti due birre, il mio amico qui di fronte deve raccontarmi giusto gli ultimi quattro anni della sua vita.”
Eric sorrise a Martin e fu felice che, almeno lui, avesse deciso di dargli un’altra possibilità.
 
 
Claire era sdraiata a letto e stava guardando la stampa della statua di Amore e Psiche che, gentilmente, sua sorella le aveva portato da Parigi. Negli ultimi giorni si era persa a guardarla ed era sicura che di presenza fosse del tutto diverso e che la foto non rendesse abbastanza. In quel modo era come avere un pezzo di arte insieme a lei, che però non sarebbe mai riuscita a sostituire l’emozione che le suscitava vedere le opere d’arte per la prima volta e dal vivo. Claire aveva sempre apprezzato l’arte perché riusciva a percepirne la stabilità, nonostante gli artisti fossero morti da centinaia di anni, se non secoli, avevano lasciato un pezzo della loro esistenza in quelle opere rendendosi immortali. Sentì i passi di Vicki aldilà della porta, la sentì fermarsi, poggiare la mano sul pomello e poi esitare. Claire si posizionò con le spalle alla testiera del letto e attese che la sorella si decidesse ad entrare, lei era sempre rumorosa ed era strano che stesse facendo in quel modo. Contò a mente i secondi che Vicki impiegò per aprire la porta e poi la vide varcare la soglia della sua stanza in silenzio. Claire la guardò in faccia e lesse nella sorella un’espressione che non aveva mai colto.
“Vicki che c’è?”
La vide sedersi sul suo letto e poi guardarla dentro agli occhi.
“Ian è andato a letto con un’altra.”
Claire la abbracciò senza dire niente, avrebbe voluto sorridere e chiamare Mel perché aveva sempre avuto ragione che tra i loro fratelli ci fosse qualcosa, ma davanti al viso sconvolto di Vicki non poté fare altro che stringerla più forte a sé.
“Li ho pure colti in fragrante, Claire.”
Ai singhiozzi di sua sorella la voglia di sorridere le passò del tutto e continuò ad abbracciarla, senza dire niente.
“Come puoi tradire così la fiducia della persona che dici di amare?”
 
Eric, dal numero di insulti che Martin aveva rivolto a Claire, sapeva che lui avesse capito ogni singola cosa.
“Te lo propongo solo una volta, Eric, a fine Agosto i miei amici della band ed io andiamo in Grecia per dieci giorni.”
Stava per dire qualcosa, ma Martin lo interruppe.
“Non devi darmi una risposta adesso e nemmeno domani. So che avrai i test di ingresso a Settembre, ma sappi solo che prendo un biglietto in più nel caso in cui volessi venire.”
Eric non aveva niente da dirgli tranne che ancora una volta Martin era la sua via di fuga, era il mezzo per sfuggire a tutta quella solitudine.
“Ci penserò.”
Martin gli sorrise ed Eric si rese conto che era quella la risposta che lui voleva.
“Adesso devo andare a provare con la band.”
Lo vide alzarsi, prendere il tabacco dalla tasca posteriore dei jeans e prendere l’ennesima sigaretta.
“Ho la sensazione che prossimamente avrai qualcos’altro da raccontarmi su Claire.”
La mise in bocca e l’accese con lo stesso accendino che aveva la prima volta che si erano conosciuti.
“Spero siano racconti più leggeri, Martin.”
Lui gli sorrise ancora ed Eric prese le sue cose per andare via.
“Fammi sapere, eh. La Grecia ti aspetta.”
 
 
La madre di Claire aveva insistito tanto affinché mandasse gli inviti. Lei voleva che chiamasse ciascuno degli invitati, ma Claire non ne aveva voglia considerando che avrebbe dovuto telefonare ad Eric. Preparò un messaggio identico per tutti gli invitati, forse impersonale, ma con tutte le giuste indicazioni.
E’ arrivato il momento più atteso dell’estate: i miei 18 anni. Casa mia, 11 Agosto, 20:30.
Selezionò gli invitati, inserì il nome di Eric all’interno della lista e poi schiacciò il pulsante invia. Sapeva che probabilmente lui non le avrebbe risposto, ma sperava solo che quella sera in un modo o in un altro varcasse la porta d’ingresso di casa sua.
Sbuffò e si decise di andare a controllare come stesse Vicki. Uscì dalla sua stanza e, ancora con il racconto di qualche giorno prima che gli frullava in testa, entrò in camera di sua sorella.
“Come stai?”
Vicki stentò un sorriso.
“Meglio.”
“Ho mandato gli inviti del mio compleanno.”
Sua sorella si mise sull’attenti, più emozionata di quanto in realtà fosse lei.
“Manca solo una settimana e tu non hai ancora il vestito, Claire.”
Annuì e forse in quel modo aveva trovato come fare distrarre sua sorella e farla uscire da quello stato post-tradimento.
“Allora oggi pomeriggio usciamo?”
Dopo giorni gli occhi di Vicki si illuminarono e a lei bastava così.
 
Eric stava osservando il messaggio da un paio di minuti. Riusciva pensare solo a quanto fosse impersonale e come fosse sicuro che avesse mandato lo stesso testo a tutti quanti.
Evidentemente non meritava un messaggio personalizzato, evidentemente era come tutti gli altri, evidentemente adesso lui non significava più niente per lei. Si sentì stupido a dover giudicare tutto attraverso un messaggio, ma allo stesso tempo sapeva che ormai non rimaneva più niente del loro rapporto. Non si era nemmeno disturbata a scrivergli qualcosa solo per lui, ma d’altronde cosa poteva pretendere? Aveva detto lui di allontanarsi, lo aveva proposto per primo e non importava più che adesso aveva cambiato idea. Aveva ancora il cellulare in mano, seppur con lo schermo poco illuminato per il troppo tempo passato a rileggere, e non sapeva nemmeno cosa risponderle. Un semplice “ok” sarebbe stato ancora più impersonale, ma forse sarebbe riuscito a farla svegliare e farle capire cosa aveva provocato in lui quel messaggio. Poi pensò che non voleva che ci fossero ulteriori fraintendimenti e che magari quella sera avrebbero potuto chiarire. Provò a scrivere qualcosa, poi cancellò tutto e poi riscrisse le stesse parole di poco prima. Si sentiva solamente cretino a fare in quel modo e odiava che un messaggio del genere potesse metterlo in crisi. Vide il cellulare illuminarsi e il nome di Mel lampeggiare.
“Pronto?”

“Finalmente si è decisa a mandare gli inviti.”
La conferma che il messaggio fosse uguale per tutti era appena arrivata.
“Senti Eric, sto raccogliendo i soldi per comprarle il regalo. Ti ho chiamato per sapere se volevi partecipare.”
E che doveva dirle?

“So che il vostro è un rapporto particolare.”
Mel non faceva mai delle pause tra le varie frasi, Eric aveva sempre pensato che fosse la persona con la parlata più fluida che conoscesse.
“E so pure che farle un regalo è difficile.”
A volte si stupiva di quanto lei fosse capace di fare un’analisi della realtà circostante così nitida.
“Quindi volevo sapere, appunto, se facessi il regalo a parte o con noi.”
“Cosa pensavate di prenderle, Mel?”

Forse era l’unica cosa che gli interessava sapere.
“Una polaroid.”
Ed Eric sapeva che fosse il regalo più indicato per lei.
“E’ un periodo che ne parla in continuazione.”
Eric sorrise silenziosamente.
“Non riesco nemmeno a capire perché d’improvviso si è fissata con questo tipo di macchine fotografiche.”
Per lui era inevitabile ripensare a qualche mese prima, quando lei aveva condiviso con lui la scoperta delle polaroid a poco prezzo.
“In realtà è già da un po’.”
“Aveva assillato anche te?”

“Sì, Mel.”
“Allora è il regalo perfetto.”
La sentiva davvero soddisfatta per essere riuscita a prendere qualcosa che a Claire sarebbe davvero piaciuta.
“Io lo faccio a parte.”
“Lo immaginavo, Eric.”
“Fammi sapere se trovi la macchina fotografica”
“Certo. Buona serata.”
“Anche a te, Mel.”
 
“Eric, con i soldi dei 18 anni voglio comprarmi una polaroid.”
Avevano appena finito l’ora di inglese, stavano aspettando la professoressa dell’ora dopo e Claire se ne era uscita con quella sparata.“L’inglese ti da alla testa?”Lei aveva riso, pur rimanendo seria, scuotendo la testa.
“E’ solo che con la polaroid puoi fare una sola foto. La scatti e anche se è venuta brutta te la devi tenere perché buttarla è un peccato e ogni pellicola costa un sacco.”
Quando gli spiegava quei pensieri così elaborati, quasi si stupiva di come fosse tutto così lineare.
“Con il cellulare eviti gli sprechi.”
Claire lo aveva guardato e si era messa una mano sulla bocca.
“Ci credo, il tuo telefono al posto della fotocamera ha lo scotch.”
Avevano riso entrambi ed Eric non poteva che dargli ragione.
“Poi con le polaroid scatti quell’attimo e non puoi più tornare indietro. E’ come se quel momento fosse impresso per sempre.”
Stava iniziando a guardarsi i piedi, quando parlava di qualcosa di personale spostava sempre il suo sguardo sulle scarpe.
“Sai quanti momenti ho fermato chiudendo gli occhi, Claire?”
Lui aveva sempre messo pausa ad ogni loro momento, giusto per farlo rimanere impresso nei suoi ricordi.
“Non sarebbe più bello che fosse in una fotografia?”
“Potresti sempre perderla.”
La vide scuotere la testa.
“Sai pure tu che quel ricordo non lo cancelleresti mai.”
Claire si diresse verso il suo banco, la professoressa era già arrivata.
“La prima la scattiamo insieme, Eric?”
Lui le annuì.
“Promesso.”
 
 
Claire, dopo aver mandato tutti quei messaggi, aveva pensato bene di lasciare il telefono a casa ed uscire con sua madre e Vicki. Sua sorella si era messa nel posto davanti, come al solito, aveva poggiato i piedi sul cruscotto e poi messo la musica a volume altissimo.
“Dai Vicki, metti piano.”
Sua madre esortava senza che sua sorella le desse riscontro, così si decise a spegnere tutto.
“Dai mamma, accendi.”
Sua madre poggiò la mano sul tasto di accensione della radio senza dare modo a Vicki di rimettere la canzone di prima.
“Volevo capire che strada fare, Claire.”
Sentendo il suo nome, la ragazza aveva ruotato il viso, già poggiato svogliatamente sulla sua mano, verso la madre incrociando lo sguardo nello specchietto retrovisore.
“Guarda mamma, vorrei solo che fosse semplice. Senza perline, cose luccicanti, solo semplice e preferibilmente che mi stia bene.”
Vicki scoppiò a ridere.
“A te starebbe bene anche uno straccio, Claire. Non farmi parlare.”
Per una volta sua sorella e sua madre erano d’accordo. Tutte e due continuarono a discutere di come a Claire donavano quasi tutti i vestiti e di come avesse un eleganza fuori del comune. Lei non sentiva di avere nessuna di quelle caratteristiche ma si scocciava a controbattere, in fondo a volte era più importante la percezione che gli altri hanno di te. Sua madre aveva parcheggiato, Claire era scesa dalla macchina e davanti a sé aveva trovato il vestito. Non uno qualunque, non di quelli che prendi solo per levarti il pensiero, era il vestito con la i maiuscola e lei doveva entrare in quel negozio per andare a provarlo.
“Mamma.”
La chiamò e nel frattempo indicò il vestito. Vide gli occhi di sua madre illuminarsi e quelli di Vicki sorridere. Entrano nel negozio senza dire niente e Claire si limitò a dire alla commessa cosa volesse e quale fosse la sua taglia. Entrò in camerino, si spogliò velocemente ed ebbe la sensazione che quel vestito le cadesse a pennello. Uscì dal camerino con i capelli legati con le mani ed andò verso sua madre per farle alzare la cerniera. Lasciò liberi i capelli, la ciocca destra dietro l’orecchio e si guardò allo specchio.
Era un tubino bianco, fino alla vita ricoperto di pizzo che non faceva altro che risaltarle i fianchi. Le dava luce, forma e si sentiva anche più adulta.
“Stai benissimo.”
Sua madre sembrava visibilmente commossa, Vicki aveva gli occhi a cuoricino e lei era incredula. Non si era mai vista in quel modo, mai adulta solo bambina.
“Direi di prenderlo.”
Forse quella era l’unica cosa che avrebbe scelto di quella festa.
 
 
Eric, dopo la telefonata di Mel, era uscito. Aveva deciso di fare il regalo a parte e sapeva già cosa le avrebbe comprato. L’ultima volta che erano usciti da soli, poco prima che cambiasse tutto, erano andati in libreria a comprare Orgoglio e Pregiudizio. Dato che aveva preso il libro, lui voleva comprarle il dvd. Sapeva che le avrebbe fatto piacere e sapeva pure che fino a quel momento non lo aveva ancora comprato. Certo, era passato del tempo da quando si erano visti, ma Claire non era solita comprare dvd, vedevo tutto in televisione o al cinema. Arrivò con il motorino davanti alla libreria, parcheggiò il motorino e in quel momento gli mancò il respiro. Era Claire con sua madre e sua sorella. La vide in mano con una busta bianca e pensò subito che forse aveva comprato il vestito per la festa. Era immobile, non sapeva se potesse andare verso di lei e se Claire volesse che lui si avvicinasse. La vide spostare lo sguardo e posare gli occhi sui suoi. Era sorpresa e lui non riuscì a leggere niente che avesse a che fare con la voglia di Claire di sparire o scappare via. Si avvicinò verso di lei, continuando a guardarla, e la ragazza fece lo stesso. Si girò verso la madre, facendole cenno di aspettarla lì e la vide proseguire verso di lui. Eric salutò con la mano la madre e Vicki e poi si ritrovò davanti a Claire.
“Compere?”
Riusciva pure a sorridere senza pensare che l’ultima volta si erano detti di allontanarsi.
“Mancava solo il vestito per la festa.”
Claire indicò la busta che aveva in mano e gli sorrise.
“Ora mancano solo le scarpe.”
Quasi faceva male parlare del nulla e guardarsi dentro agli occhi.
“Rigorosamente col tacco.”
“Ma hai sempre detto che ti facevano male.”
Lei gli sorrise di nuovo, quasi fosse scontato ciò che gli stesse per dire.
“Chi bella vuole apparire, un po’ deve soffrire.”
“Come stai, Claire?”
Era diventato, di colpo, serio.
“Mi distraggo. Tu?”
Era ovvio che non gli avrebbe risposto e che avrebbe ricorso a qualche altra parola per fargli capire come si sentisse.
“Mi manchi, Claire.”
Le si era avvicinato senza che lui volesse, come se i suoi piedi si fossero mossi da soli verso di lei.
“Hai detto tu di allontanarci.”
Sapeva che entrambi non avrebbero mai perdonato quella sua affermazione.
“Lo so.”
Fece un passo indietro, quasi volesse dirle che si era pentito di ciò che le aveva detto e che quei giorni erano ormai persi. Claire sembrò capirlo e, per la prima volta, dopo tutti quegli anni non aveva smesso una volta di guardarlo dentro agli occhi.
“Verrai, Eric?”
Lo sapeva che era il suo modo di farsi perdonare il messaggio impersonale di poco prima e che se lui non avesse detto di allontanarsi lei lo avrebbe chiamato subito.
“Dovresti saperlo, Claire.”
Sentì la voce della madre della ragazza interromperli. Claire si sporse verso di lui e gli posò un leggero bacio sulla guancia. Con quel contatto sentì di nuovo calore, di nuovo forza, di nuovo vita. Le posò una mano sul fianco e poi le sussurrò all’orecchio ciò che avrebbe voluto dirle sin da quando aveva ricevuto l’invito per il messaggio.
“Non potrei perdermela per nulla al mondo.”




spazio autrice
Magari nemmeno vi aspettavate un aggiornamento dopo un mese e mezzo ma eccomi qui :) Spero davvero che sia di vostro gradimento e spero di avere un vostro riscontro a riguardo! E' stato difficile riprendere a scrivere dopo tempo ed ho voluto strutturare il capitolo con questi piccoli racconti per farvi vedere la quotidianità di Eric e Claire e come è per loro la vita dopo l'ultimo capitolo al passato in cui avevano deciso di allontanarsi. E niente questo è tutto. Il prossimo aggiornamento sarà sicuramente fatto prima, il capitolo è già pronto, manca giusto qualche piccola cosa da sistemare e una nuova idea da intrufolare.
Detto ciò, grazie come sempre a chi continua a leggere la storia e a lasciare i pareri.
A presto :)

 

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