Mindtrip

di breosaighead
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologue ***
Capitolo 2: *** Nice to meet you? ***
Capitolo 3: *** Interesting ***
Capitolo 4: *** Help or not help? ***
Capitolo 5: *** Missing ***
Capitolo 6: *** Do you wanna know? ***
Capitolo 8: *** Burden ***



Capitolo 1
*** prologue ***







 
Mindtrip
(prologue)

 
 
 
 
Scrivere della propria routine non le era mai piaciuto sin da quando avevano cominciato a chiederglielo le prime volte a scuola e, con il tempo, era diventato ancora più odioso farlo.
Definendola estremamente noiosa, lei la paragonava alla Terra.
Difatti questa, instancabilmente, ogni giorno da quando si è formata compie il suo solito giro attorno al sole e al proprio asse, da ovest verso est, senza mai variare.
Non per niente noi comuni mortali siamo abituati a veder trascorrere le giornate, con il sole al mattino e la luna durante la sera.
Ma immaginate se questa quotidianità venisse interrotta, se tutto quanto cambiasse dall’oggi al domani o in una frazione di secondo in cui non avete nemmeno il tempo di battere le ciglia... tutto quanto si sconvolgerebbe.
E così era stato per Keira Bowen.
Ogni giorno come quello prima e come quello prima ancora, senza alcun accenno di novità che la facesse smettere di pensare al suo capriccioso piano di andarsene e lasciarsi tutto alle spalle. Abbandonare la casa con i suoi genitori, i suoi amici e soprattutto la sua monotona vita.
E Zayn.
Se davvero voleva fuggire, avrebbe dovuto abbandonare anche lui. Nessuno escluso.
A meno che lui non avesse deciso di seguirla, il che però era piuttosto improbabile, visto il suo storcere il naso a ogni cambiamento, anche se minimo.
Se in un tema le avessero chiesto di descrivere la sua vita fino ad allora, probabilmente ne sarebbe venuta fuori una lista della spesa senza un briciolo di emozione.
Ma ora, seduta con le ginocchia al petto e la fronte appoggiata su di esse, sulle scale antincendio abbandonate del loft in cui era stata assunta come baby-sitter di due mocciosi di cinque e tre anni, si pentiva di essersi lamentata e, non solo, si sentiva anche in colpa di non essersi mai accontentata di nulla e di aver voluto sempre di più, quando, in fondo, aveva tutto ciò di cui aveva bisogno.
Molti le dicevano che era un pregio aspirare a qualcosa in più, altri, come sua nonna, non la pensavano ugualmente: “La tua ambizione sarà la tua rovina.” le aveva detto tempo addietro l’anziana signora quando, pur di essere la protagonista del saggio di ginnastica, aveva fatto lo sgambetto a una sua compagna.
Ormai però era tardi per ricordare, pensare e piangerci su.
“Keira, non lasciare che tutto questo ti perseguiti come una palla da bowling che deve abbattersi su un gruppo di birilli.” ripeteva a se stessa, cercando di convincersene, ogni volta.
Le lacrime non le avrebbero riportato indietro niente di tutto ciò che aveva perso e che le era scivolato via come acqua durante una bracciata a crawl se non si tengono le dita unite fra loro.
Perché la vita è come il mare, ciò che porta a galla, sulla riva vicino ai tuoi piedi, così vicino da sfiorarti, lo rimanda indietro e se ti butti fra le onde nel tentativo di recuperarlo, puoi star certa che te ne andrai con esso, anche se sai nuotare.
Questo Keira lo sapeva bene, eppure, spesso, non poteva fare a meno di inseguire le onde, benché nel farlo ingoiasse tanta salsedine.
E in quei momenti avrebbe voluto una mano da afferrare, che la tirasse fuori dall’acqua e che, stringendole le spalle, la riaccompagnasse a riva.

 
 










Buonsalve,
allora, comincio col dire che questa è un po' una fanfiction "suicida" data la trama abbastanza complessa a cui sto ancora lavorando, ma mi auguro di fare un buon lavoro e che quindi ne venga fuori qualcosa di okay. 
Questo è solo al prologo, che spero vi abbia incuriosito abbastanza da proseguire con la lettura. 
Se potete e volete, vi invito a farmi sapere che cosa ne pensate, anche giusto così per sapere se ne vale la pena continuare,
un bacio.
Bri.

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Capitolo 2
*** Nice to meet you? ***







 
Mindtrip
(1)
"Nice to meet you?"
 
 
 
 
«Dici che mi sospenderanno, questa volta?» domando in un sussurro al mio compagno di banco – e non solo – interrompendo il silenzio intorno a noi, stando bene attenta a mantenere la voce bassa, abbastanza perché lui mi senta e non farmi beccare da quello di filosofia.
Vecchia volpe lui. Non gli sfugge niente: un sospiro, uno sbadiglio, un movimento accidentale come la caduta di una penna. Proprio niente.
A volte penso che abbia installato delle telecamere nascoste nella classe, magari dietro la cartina della Francia, lì proprio al centro, e che queste siano direttamente collegate ai suoi occhiali in modo da permettergli di non perdersi niente di tutto ciò che accade durante la sua ora.
Geniale, devo ammettere.
Spero comunque che non si accorga di niente, già che non gli sono simpatica, penso proprio che non la prenderebbe bene.
 
Zayn non mi risponde, ma capisco che ha sentito la mia domanda perché si ferma, appoggia la penna – sempre nera – sul banco e smette di tracciare il volto della persona che sta disegnando.
Lo guarda, socchiude gli occhi e muove la testa, prima da una parte e poi dall’altra.
Sta cercando qualche imperfezione da correggere; lo fa ogni volta ed io non capisco il perché, sarà ché io non lo faccio mai.
Continua a rimanere in silenzio. Come sempre dà per scontato che io sappia ciò che pensa, quali sono le cose contorte sulle quali sta ragionando. Forse dovrei dirgli che però, il più delle volte, io non ne ho idea.
Le sue labbra si socchiudono e forse vuole rispondermi.
No, voleva semplicemente soffiare sul suo foglio per togliere le cancellature della gomma.
 
«Non potrebbero mai sospenderti! – esclama mantenendo il controllo della voce. Mi volto nella sua direzione presa alla sprovvista, ma la sorpresa se ne va non appena incontro i suoi occhi verdi, erba al mattino in inverno con una goccia di rugiada. Non color ambra. – Voglio dire: per dei miseri ritardi di due minuti… Non sono così pazzi» Poi osserva l’anziano uomo dai capelli bianchi ma ancora folti alla lavagna che sta scrivendo non so quale parola greca, picchiando il gesso sulla tavola nera di grafite, facendo sussultare i suoi alunni ad ogni lettera.
Prima o poi ci ritroveremo senza lavagna, continuo a dire dal secondo anno.
«Beh, lui un po’ pazzo lo è» Si corregge. Io toglierei quel “un po’” e aggiungerei che è da rinchiudere.
Questi si gira di colpo, osserva la classe a 360° e si sofferma su Harry e me, con gli occhiali ben posati sul naso aquilino. Punta il gesso in avanti a mo’ di spada – e giurerei che se lo fosse stata, l’avrebbe già usata per trafiggerci – con la mano che gli trema leggermente, la bocca serrata, la faccia paonazza, del fumo immaginario che gli esce dalle orecchie, come i cattivi nei cartoni, e bofonchia qualcosa che faccio fatica a capire.
«Guai in vista» si sente in dovere di dire Harry.
 
In due settimane dall’inizio della scuola sono arrivata in ritardo all’ora di filosofia due volte, contando quella di oggi. Tra l’altro non è nemmeno un vero ritardo dato che le 8:05 non erano ancora scoccate e se proprio vogliamo essere precisi erano le 8:02; ai secondi questa volta non ho prestato attenzione.
«In ogni caso c’è il registro elettronico, può sicuramente testimoniare a mio favore» do voce ai miei pensieri senza accorgermene. Tanto non c’è nessuno nei dintorni che può credere che sia pazza.
«Se può esserti d’aiuto, posso testimoniare anche io. – dice una voce cristallina non molto lontana da me – Ho timbrato subito dopo di te. Sono quello che hai superato subito dopo aver detto “Scansati”».
Alzo lo sguardo, tenuto basso a fissarmi le mani per tutto il tempo, giusto per conoscere il volto di chi ha parlato e con cui, a quanto pare, ho avuto già uno scontro questa mattina.
In piedi, davanti ai distributori, c’è un tipo con uno strano risvolto nei pantaloni, delle scarpe basse che sicuramente non lo aiutano a sembrare più alto e un cappellino grigio che gli schiaccia i capelli tinti di rosso al viso. Quasi gli coprono l’occhio destro.
 
«Perché ti ostini a mettere quintali di gel solo per tenere dritto e alzato quel ciuffo di cui potresti anche fare a meno?» domando facendo una smorfia: i nodi dei capelli non vogliono sciogliersi al passaggio del pettine.
«Per lo stesso motivo per cui tu non vuoi tagliarli» mi spiega mentre si guarda allo specchio e mette altro gel nelle mani. Le strofina accuratamente e sempre con la stessa attenzione se le passa poi nei capelli.
«Rapunzel mi è piaciuto così tanto che li voglio lunghi come i suoi. Anche tu?»
«Sì»
Gli sorrido e scuoto la testa.
Zayn è una di quelle persone che non puoi capire, lo puoi, sì, studiare nei suoi gesti, anche i più piccoli, e credere di conoscerlo, ma la verità è che lo devi interpretare. Zayn va interpretato. Devi dare tu un senso a un suo determinato movimento e discorso non detto ma solo accennato.
«Voglio essere il maschio alfa e farmi distinguere da Harry e Niall»
«Non stare in mia compagnia e tingiti i capelli di rosso allora»
 
«Il rosso non è il tuo colore» gli dico. È un semplice consiglio.
Lui sobbalza mentre sta cercando di tirare fuori il bicchierino dalla macchinetta.
Una parte del contenuto gli cola lungo la mano e poi sul pavimento bianco appena pulito da Amleto il bidello – sì, ha il nome del protagonista di un’opera di Shakespeare –. Quando lo verrà a sapere spero di non trovarmi ancora qua o nei paraggi.
Il ragazzo si china a pulire la macchia di quello che credo sia thè con un fazzolettino bianco che aveva già in mano. Probabilmente sa di essere un tipo sbadato e aveva già previsto che avrebbe rovesciato la bevanda.
Smetto di fissarlo non appena se ne accorge, tornando a concentrarmi sulle mie Converse, un tempo addirittura bianche.
Con la coda dell’occhio lo vedo sogghignare. Fantastico, un altro Malfoy.
«Si nota ancora la macchia?» chiede sedendosi al mio fianco. O meglio, sdraiandosi al mio fianco. Le braccia dietro la testa e le gambe distese con i piedi incrociati.
«Personalmente me ne andrei in Tibet ad allevare alpaca»
«Lama.»
Mi giro di scatto verso di lui, inarcando il sopracciglio destro «Offendi?»
«Non ne avevo l’intenzione. Ti stavo solo correggendo: in Tibet si allevano i lama, non gli alpaca» dice sogghignando, ancora.
«In ogni caso non perderei tempo dal preside, presentando la mia iscrizione, e mi trasferirei lì»
Il suo viso mostra un’aria incredula e non ne capisco il motivo.
«Come fai a saperlo? – domanda – Hai forse un qualche potere soprannaturale?»
Gli faccio cenno di no con il capo e lancio un’occhiata ai suoi fogli. Una ‘o’ compare sulla bocca, abbassa gli occhi e sembra esserci rimasto male. Forse pesava che gli avrei potuto predire se da grande avrebbe avuto una Lamborghini, una modella come moglie e se magari sarebbe stato anche il vicino di George Clooney.
«Se così fosse, non mi avresti trovato qui, quasi sicuramente.»
Anche perché prima c’era Zayn che, non rispondendomi, evitava di farmi finire nei guai, obbligandomi a stare zitta, e che preferiva passare le ore di lezione in silenzio, anche se non ascoltava niente di ciò che diceva Matthews, il prof. di filosofia, durante il suo lungo monologo. Si può anche dire che le volte in cui parlava in classe erano contate.
«Comunque piacere, io sono Louis» Mi allunga la mano con un sorriso stampato in volto. La osservo un secondo prima di rispondere, poi ricambio subito la stretta.
 
«Ciao bimba» mi saluta un bambino che per tutto questo tempo ha preferito starsene da solo, per conto suo, mentre tutti gli altri già formavano i primi gruppetti.
«Ti va di giocare con me?»
Non so che rispondere. Senza aver formulato un’idea precisa, gli faccio cenno di sì col capo e lui mi allunga la mano, sorridendomi felice perché ha appena trovato una compagna di giochi.
Poi mi trascina dietro di sé senza dirmi il suo nome o chiedermi il mio, ma iniziamo a giocare. Mi passa uno dei due peluche che si è portato da casa, mentre lui tiene l’altro e sorridendo decide che siamo amici: «Proprio come loro due»
Però non posso far a meno di sorridere anche io.
 
«A questo punto dovresti dire chi sei tu…» mi ricorda Louis, sollecitandomi con lo sguardo. Solo ora noto i suoi azzurri che mi ricordano il mare della Normandia, dove passavamo le vacanze tutti gli anni, due settimane nel mese di agosto.
«Keira. – rispondo freddamente – Dobbiamo diventare amici anche noi?»
Lui è sorpreso dalla mia domanda. Di sicuro non è il genere di presentazione a cui è abituato, ma mi è venuto così spontaneo chiederglielo che non ho riflettuto se poteva suonar bene o no.
«Beh, non necessariamente se non vuoi»
Non gli dico niente, mi alzo semplicemente dalla sedia che ho occupato per tutto questo tempo, stanca di aspettare il preside e il suo richiamo, e mi avvio fuori dalla presidenza.
«Ci si vede in giro, Louis, se non decidi di partire» Gli dico di spalle, sulla porta.
«Questo vuol dire che siamo amici? – mi urla di rimando – Che strana ragazza» Lo sento sussurrare fra di sé prima di uscire.
Eppure non sono io quella sbadata, con il risvolto ai pantaloni e i capelli tinti di una brutta sfumatura di rosso, penso.

 

 









 
Ok, eccomi qui finalmente!
Era da un po' che avevo pronto questo capitolo, che però fino alla fine non mi convinceva del tutto.
Spero che vi sia piaciuto e non vi abbia annoiato troppo, essendo il primo e come si sa i primi sono sempre un po' noiosi.
Andando avanti, pian piano che entreremo nel vivo della storia, però non sarà così, anzi, penso che sarà anche piuttosto tutto movimentato, o almeno lo spero perché l'intenzione è questa.
Che dite, Keira accetterà di essere amica di Louis oppure no?
Ah, spero si sia capito, ma in caso non sia chiaro, i pezzi con Zayn sono tutti dei ricordi.
Fatemi sapere i vostri pareri in una recensione che mi fanno sempre molto piacere.
Ringrazio infatti  le persone che hanno recensito e hanno messo la storia nelle varie categorie, anche coloro che hanno semplicemente letto,
un bacio!
Bri.

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Capitolo 3
*** Interesting ***







 
Mindtrip
(2)
“Interesting”
 
 

Sono tante le cose che ho imparato a conoscere e riconoscere durante gli anni, fra queste ci sono la sensazione che si prova quando si viene osservati da qualcuno: un formicolio nel punto esatto in cui ti fissano o si sono incantati. Ed è per questo motivo che non credo che il mio brulichio appena sotto l’occhio sia dovuto a un semplice caso.
Faccio l’indifferente, continuando a bere il mio cappuccino come tutte le mattine prima di andare a lezione. È un’abitudine che mi ha trasmesso Zayn. All’inizio fregavo qualche sorso dalla sua tazza, così per assaggiare, ma alla fine lui si è stancato: «Ogni volta me ne ritrovo sempre di meno» si è lamentato una volta e da quel giorno ha finito col comprarne anche per me.
Un gesto davvero carino sotto molti punti di vista: cappuccino caldo tutte le mattine, e accompagnato da una brioche al cioccolato ogni fine settimana, almeno fino a qualche mese fa.
 
«Tieni. Questo è per te. – mi posa davanti un bicchiere – E non ti azzardare a bere il mio» mi avverte alzando l’indice, cercando di assumere un’aria minacciosa, risultando però tutto il contrario, come quando da bambini non voleva che usassi i suoi colori perché dopo non li richiudevo con il tappo o li mettevo a caso nel suo astuccio, rovinando l’ordine che aveva assegnato a ogni pennarello.
Gli restituisco l’occhiata seria ma non posso fare a meno di ridere: «Andiamo, Zezé, non dirmi che sei davvero così egoista da non voler più condividere il tuo cappuccino con me!».
«Esatto. Ora hai il tuo, perciò non ti azzardare!»
Si volta dall’altra parte per salutare un suo amico ed io ne approfitto per afferrare la sua tazzina e svuotarla in un sorso, poi la rimetto giù come se niente fosse, tornando a concentrarmi sul mio libro.
«Ti ho visto»
«E ora mi odi?»
Non risponde. Però sono sicura che la risposta sarebbe negativa, almeno credo.
 
Il formicolio, ora ancora più fastidioso, sembra non voler passare.
Mi giro e mi guardo intorno, esaminando il locale, oggi illuminato fiocamente.
Freen, la ragazza che sta al bancone da quando ho iniziato a frequentare questo posto, un pomeriggio d’inverno perché faceva troppo freddo per continuare ad aspettare Zayn davanti al vecchio cinema, dove trasmettono i film d’epoca che ci piaceva guardare – e con cui ho scambiato solo che qualche parola – sta servendo gli ultimi clienti prima di cedere il turno a Patrick, suo fratello dall’aria poco rassicurante e sempre assente, ma gentile e disponibile come pochi.
Il prof di scienze, l’assenteista coraggioso di ripresentarsi a scuola dopo tre settimane di assenza e segnare una verifica la lezione successiva, a tre tavoli a distanza dal mio, continua a correggere i compiti che dopo dovrebbe riportarci, se sono i nostri. Chissà se quello che tiene in mano è proprio il mio?
Forse era lui che mi fissava e ora ha riportato l’attenzione sui suoi fogli.
«Allora, pronta per una nuova giornata?» chiede la stessa voce cristallina con la stessa enfasi di qualche giorno fa, non appena mi ricompongo.
Faccio una smorfia al ragazzo che mi sta di fronte. Riconosco la voce e i suoi occhi, dal colore così simile al mare, ma ha qualcosa di diverso che per un secondo mi lascia spaesata.
«Sono Louis, ricordi?»
Annuisco, ma la mia espressione non deve esserne del tutto convinta.
«Che strano, eppure la gente non si dimentica così facilmente di me. – C’è sempre una prima volta per tutto, penso – Se può aiutarti, sono quello cui in poche parole hai detto che il colore dei capelli fa schifo» mi rinfresca la memoria, e detto così mi fa sentire in colpa – un po’ – però ora capisco cosa c’è che non va.
I suoi capelli rossi non ci sono più, ora sono castano scuro, come i miei.
«Se ti piacevano, non occorreva che li ritingessi per me» dico sicura che questa sia la vera motivazione per cui ora non li ha più di quel colore.
Accenna un sorriso «Oh, ma non l’ho fatto per te. Mio padre appena tornato a casa mi ha praticamente minacciato, costringendomi a tornare del mio colore» spiega scompigliandosi i capelli tenuti schiacciati dal solito capellino grigio di lana.
Oh.
«In questo caso, ha fatto bene: erano veramente pessimi – dico tagliente – senza offesa, naturalmente» aggiungo prima di sembrare del tutto scortese.
«Naturalmente»
«Sicuro»
Appoggio una banconota sul tavolino di plastica scuro e mi alzo. Si è fatto tardi e probabilmente sono in ritardo, sempre di quei soliti due minuti in più, ma questa volta non è colpa mia, sono stata trattenuta.
Louis rimane seduto pensieroso ed io mi accorgo di non sentire più alcuno sguardo addosso.
Faccio due più due e mi risiedo, spostando rumorosamente la sedia «Per caso mi stavi fissando?»
 
«Ti diverti a fissarmi, Zayn?»
«Non esattamente. Mi diverto a vederti arrossire» confessa, sapendo bene che ora le mie guance s’imporporeranno e non sarà per il caldo dovuto ai termosifoni accesi.
«Io non arrossisco» nego comunque.
«Andiamo, Kiwi, – lo stupido soprannome che mi ha dato quando ha scoperto del mio amore e odio per questo frutto, che dipende tutto dalla compagnia della persona con cui lo mangio. Pur sempre più carino di “Zezé”, almeno. – Lo sai anche tu che non è vero. Fai di tutto per non darlo a vedere, ma io riesco comunque a notarlo»
Ed io odio essere così senza segreti e debole, in un certo senso, quando invece lui per me non è nemmeno un libro chiuso, bensì perso secoli prima in chissà quale parte della terra.
 
Le labbra per niente carnose di Louis s’inarcano in un sorriso furbo «Diciamo che ti stavo…studiando?» Una domanda in risposta ad un’altra domanda.
«E perché?»
«Perché ti trovo interessante»
Sollevo lo sguardo al cielo per evitare di scoppiare a ridere «Come una rampa di scale abbandonata che rischia di cedere da un momento all’altro e diventare un mucchio di legna»
«Mi piacciono le cose abbandonate, hanno più fasciano di qualunque altro oggetto» afferma con una certa sicurezza nel tono di voce che prima non aveva, ed io sbarro gli occhi sorpresa dalle sue parole, ma è solo un momento, eppure preferisco terminare qui il discorso: «Stai attento però, sono sempre loro che giocano gli scherzi più cattivi»
Voglio andarmene. Improvvisamente anche questo luogo che per anni mi ha rilassato con il suo profumo di casa talmente accogliente comincia a farsi stretto, tanto che ogni respiro sembra quasi togliermi le forze e mi dimezza il fiato come dopo una maratona.
Faccio per rialzarmi, e questa volta senza fermarmi, ma Louis mi afferra la mano con una stretta un po’ troppo forte che non pensavo potesse possedere, e mi domando se ne sia cosciente.
«Aspettami, andiamo insieme»
«Non credo abbiamo gli stessi corsi» dico pur di liberarmene.
«Se non sbaglio, tu ora dovresti avere filosofia e da questo preciso istante – guarda l’orologio a cucù appeso nel muro dietro la cassa, sopra la cornice che ritrae i proprietari del locale, come a voler confermare ciò che intende dire – sei in ritardo» afferma con sicurezza.
Mi lascia il polso, interrompendo ogni contatto, e subito mi accorgo che riprendo a respirare. Inspiro ed espiro finché non sento di essere a posto, con tutti i miei sensi sotto controllo.
 
«Non lascerò mai che qualcuno ti tocchi oltre a me, in nessun modo. Puoi starne certa, Kiwi.»
 
Le parole di Zayn prendono a invadere la mia mente e non posso che trovarle divertenti, in questo momento. Però quando le aveva dette era così serio, con la fronte aggrottata e gli occhi con quel lampo di luce determinata, che ci avevo creduto senza dubitarne minimamente; perché per me le sue parole erano verità, le poche che diceva erano tutto tranne che bugie.
«E ora dove sei, Zayn?» una domanda nel silenzio di quest’attimo. Una domanda che mi è uscita, incurante che non riceverà nessuna risposta, perché non credo che Louis lo sappia.
«Chi è Zayn? – chiede lui, distraendosi dal conteggio delle sue monetine – Perché, da quel che ricordo, mi chiamo ancora Louis»
«Non è nessuno. – dico – Non è nessuno d’importante. – ripeto, forse per convincere più me stessa che lui, che in fondo non ha bisogno di essere convinto di niente. – Tranquillo»
Alza le spalle, senza dire più nient’altro e riprende il conto, io ne approfitto per afferrare la mia borsa, metterla su una spalla e uscire nel freddo autunno della periferia al nord di Doncaster.
Cominciò a camminare, svoltando il primo angolo che mi ritrovo davanti, incurante della via in cui mi ritrovo. L’unica cosa che so è che oggi non andrò a scuola e che, rientrando a casa, dovrò delle spiegazioni a Harry sul perché non l’abbia avvisato subito. Ma a quello penserò dopo, non è importante e c’è tempo.
«Ehi, perché non mi hai aspettato?» mi dice una voce delicata a qualche metro di distanza.
 
«Keira, andiamo a casa.» ordina Zayn mantenendo il suo solito tono, ma questa volta riesco a coglierne la rabbia dietro, quella cerca di nascondere.
«No»
«Non sai quello che fai. Andiamo a casa.» ripete innervosendosi, mentre perde un po’ di quella calma che l’ha sempre distinto da Harry e Niall, troppo impulsivi e suscettibili.
«A casa ci tornerò, ma di certo non con te e non adesso» affermo liberandomi dalla sua presa, fattasi più debole, convinto che lo avrei seguito, che gli avrei dato retta come sempre.
Mi nascondo tra la folla, che è tanta e lo perdo di vista, ma riesco a sentire la sua voce che mi chiama, ovattata a causa dell’alcol.
«Keira, dannazione, aspettami! Torna qui, non abbiamo finito di parlare»
 
«Perché fai domande stupide e del tutto inappropriate e inutili.»
«Ti riferisci a Zayn?»
«No… Ecco, vedi? Lo stai facendo anche adesso!» mi fermo di colpo per girarmi, ma lui mi ha già raggiunto e siamo ad appena un passo di distanza l’uno dall’altra. Lo fisso negli occhi e lui fa lo stesso con me.
«Senti, Louis, lasciami stare. Non sono la persona giusta con cui fare amicizia, anzi, con cui fare proprio niente»
«Non è vero. Non stavo scherzando quando ho detto che sei interessante»
«Te ne pentirai»
«Lascia che lo decida io»
«Come vuoi»
Si mette al mio fianco, stando attento a mantenere un certo distacco, e proseguiamo insieme, con lui che cerca di capirmi e io che spero di non essere tanto trasparente.










 
 
Hola a todo el mundo!
Come promesso sono ancora qui, in ritardo, ma più puntuale del solito!
Allora, che ne pensate di questo capitolo? 
Keira ha accettato, - per quanto si possa dire "accettato" - l'amicizia di Louis che sembra abbastanza interessato a lei.
E Zayn? Secondo voi dov'è Zayn? Oltre che nei ricordi di Keira. Si scoprirà presto, anche se non so ancora bene quando.
Beh, mi piacerebbe tanto ricevere le vostre impressioni, anche con consigli o quello che volete voi, in una recensione, sia negativa che positiva, perciò non abbiate paura e fatevi avanti!
Un grossso bacio e alla prossima,
Bri.

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Capitolo 4
*** Help or not help? ***







 
Mindtrip
(3)
“Help or not help?”

 


 
Sono le otto in punto. La campanella che annuncia l’inizio delle lezioni suona e, in cortile, lungo i corridoi e per le scale, come tutte le mattine, è l’inferno.
All'esterno i ragazzi si apprestano a entrare per non rischiare di rimanere fuori, altri chiudono il loro armadietto e camminano a passo spedito in direzione della propria aula, mentre i professori se la prendono comoda; a qualcuno cadono addirittura i libri e uno di questi finisce ai miei piedi, correndo il rischio di essere calpestato dalle mie Creepers nere.
Lo osservo un attimo e mi chino a raccoglierlo. Intanto il suo proprietario si è avvicinato, tende la mano verso l’oggetto, ma io l’ho già afferrato.
«Grazie» dice la voce del ragazzo, con un sorriso gentile che gli increspa le labbra piene. Le gambe lunghe sono fasciate da un paio di pantaloni marrone e ha una giacca di tweed che crea un forte contrasto con il suo viso.
Un giovane racchiuso in abiti troppo grandi. 
Si potrebbe pensare che abbia la mia età, se non massimo due anni di più, ma la sua valigetta di vera pelle nera e i volumi dall’aria seria che tiene in mano dicono il contrario.
Gli porgo il libro senza riuscire a scorgere il titolo. Lo prende e lo inserisce nella pila di quelli che tiene in mano, in equilibrio precario.
Devo dargli del tu o del lei?
«Potresti aiutarmi? – lancia un’occhiata ai tomi – Devo portarli nell’aula in fondo al corridoio del secondo piano» mi spiega, accennando con il capo alle scale, facendomi intuire la fine che potrebbe fare lui, insieme a tutto ciò che ha in mano, se rifiuto. Il corridoio si è ormai svuotato ed io annuisco, accompagnandolo in silenzio finché non raggiungiamo i gradini della seconda rampa.
«Tu chi dovresti essere? E scusami, ma i tuoi abiti sono un tantino troppo» dico, non curandomi del fatto che ancora non si sia presentato.
Non mi risponde, ha una mano infilata in tasca e sta cercando qualcosa, una chiave. La porta in legno dell’aula in cui dobbiamo lasciare i libri è davanti a noi, chiusa.
"Oh, merda!" impreco contro la mia linguaccia, mordendomi le guance.
Entriamo, lui accende la luce con il gomito, appoggia i libri sulla vecchia scrivania e si gira verso di me con un sorrisetto beffardo «Sono il nuovo consulente scolastico, a dire il vero, e ti ringrazio per il consiglio sugli abiti»
Non so che dire. Accidenti accidenti e accidenti!
«È che è molto giovane per essere un consulente e pensavo che fosse un tipo strano, magari uno di quelli un po’ confusi. Avevo un amico che voleva farsi frate, o forse lo desidera ancora, e andava in giro vestito così, come lei» spiego, il tempo di riflettere e mi mordo subito il labbro inferiore, socchiudendo le palpebre. Se volevo rimediare, ho sicuramente fatto peggio. Gli ho dato dello strambo, detto che si veste male e il tutto in un’unica frase. L’avrà sentita la parte in cui dico che è giovane?
 
«Kiwi, dovrebbero vietarti di parlare con gli estranei»
«Perché, che ho fatto?»
«”Ah, e quindi tu saresti Niall? Senza offesa ma mi ricordi quell’imbecille di Azzurro, di Shrek» Zayn imita divertito la mia voce.
«Andiamo, Zezé, non dirmi che tu non hai notato questa somiglianza!»
 
«Il tuo nome?» mi riscuote dai miei ricordi il nuovo consulente, nonché l’unico che abbia mai conosciuto. Pensavo che i tipi come lui, esistessero solo nei film.
Ha chiuso la porta del suo ufficio e ora sta aspettando la mia risposta, seduto con le gambe accavallate dietro la scrivania, invitandomi con un gesto del braccio a fare altrettanto su una delle due sedie di fronte a lui.
«Keira Bowen, classe ’97» rispondo con calma, prendendo posto.
«Io sono Liam Payne e fra queste mura puoi semplicemente chiamarmi Liam. Sono qui per aiutarti, in caso tu ne abbia bisogno»
Le lancette dell’orologio che segnano le 8:25, il silenzio che regna per i corridoi e quello che viene interrotto in questa stanza dalle ruote della sua poltrona girevole.
 
Trafalgar Road non è mai silenziosa, eccetto la sera e in inverno. È un quartiere tranquillo e monotono. Ci sono la serie di quaranta villette tutte uguali, venti a destra e venti a sinistra, con i mattoncini rossi e le tegole marroni; i giardini sempre potati e curati come non se ne vedono da altre parti; il piccolo parco, alla fine della via, sempre pieno di bambini il pomeriggio e il ritrovo dei più grandi in estate, la sera sul tardi.
Mamma ed io ci siamo trasferite qui dopo che lei si è risposata, perché il nuovo marito ha preferito così, ma non è stata una brutta idea e lui è un tipo a posto – “C’è di meglio, ma va bene” ho detto a mia madre quando mi ha avvisato delle sue future nozze – e anche il figlio, Harry, non è male da quando abbiamo imparato a convivere, da quando ha accettato che fra me e lui non sarebbe mai potuto esserci niente se non amore fraterno, e ora sembriamo essere imparentati da sempre.
 
«Harry ci prova con me, spudoratamente» informo Zayn, accomodandomi nel nostro solito tavolo, all’ora di pranzo, lontano da tutti e sempre libero, essendo il più vicino a quello dei ragazzi del club di matematica, che tutti cercano di evitare, ma a noi poco importa.
Lascio cadere con fare teatrale la borsa nella sedia accanto, così per essere sicura che si sia accorto del mio arrivo.
Zayn rimane comunque chinato sul suo foglio, concentrato, e per un momento penso che non gliene importi niente, poi però noto la sua fronte corrugata e una vena, al centro, più in vista delle altre. Sposto lo sguardo sul disegno e i tratti a matita, gli ultimi che ha fatto, sono più calzati rispetto al resto. L’ombra di un sorriso mi appare sulle labbra.
Zayn è silenzioso e non ha bisogno di tante parole ed è anche difficile da decifrare, ma non i suoi disegni che ormai da tempo parlano per lui.
“Un’artista trasmette le sue emozioni attraverso la sua opera e in essa saranno racchiuse tutte le sensazioni che egli ha provato durante la sua esecuzione”
«L’importante è che tu non gli dia corda e non ti faccia sedurre»
«Sei geloso?»
«Sei già mia»
«Non essere possessivo»
«Sono sicuro dei tuoi sentimenti, è diverso»
 
Fuori è sera, le ore di luce si dimezzano e l’oscurità arriva prima, finché già alle cinque di pomeriggio, non sarà completamente buio e i lampioni saranno accessi per illuminare le strade ancora trafficate.
Qualcuno bussa alla porta della mia camera, non mi lascia rispondere che abbassa la maniglia ed entra senza problemi, fermandosi accanto all’uscio.
Harry e le sue alquanto discutibili abitudini. A nulla è mai servito il cartello che ho appeso fuori per vitare situazioni spiacevoli e di essere disturbata “Non siamo al Colosseo, bussa prima e chiudi la porta dopo.”
«Sorellina, ho portato a casa due amici. Ordiniamo la pizza anche per te?» domanda, con la testa appoggiata al muro dove sopra è appesa una nostra foto scattata il giorno del matrimonio. Siamo venuti entrambi male e quella è probabilmente la foto più brutta che abbiamo, mossa con due facce imbronciate al centro.
Scuoto la testa, appoggiata sul cuscino e chiudo gli occhi, distendendo le gambe dentro la tuta.
Lo sento avvicinarsi dopo aver chiuso la porta, si siede sul letto e mi accarezza la fronte. Il suo profumo alla menta inonda la stanza e mi ricorda gli abbracci, che ho imparato a conoscere e a fidarmi dopo un periodo di esitazione, dove mi sono rifugiata durante tutta l’estate.
Harry è un posto sicuro che se trovato è il migliore, senza forse: lui è così e basta, ed io non volevo altro, anche perché altro non potevo più avere.
«Stai bene, Kiwi?»
«Ho parlato con il consulente scolastico, questa mattina. È quasi simpatico» gli spiego con voce flebile, mentre ripenso ancora la nostro colloquio. Non ci siamo detti niente, alla fine, però ho come la sensazione che lui dal mio silenzio abbia intuito tutto. È anche il suo lavoro dopotutto.
Harry è preoccupato. La lampada a muro lo illumina appena ma i suoi muscoli si sono irrigiditi, e non è per il freddo «Ti ha chiesto qualcosa?».
«Dipende da cosa, però no, abbiamo parlato del più e del meno, e comunque non gli avrei raccontato niente» dico e lui annuisce, alzandosi dal mio letto, incerto.
Harry è alto, la persona adatta cui chiedere se non si riesce a raggiungere l’ultimo scafale al supermercato, è forte, l’ha dimostrato, ed è sicurezza e meritava una sorella meno complicata.
Prima di uscire si volta indietro, ora sta sorridendo, accompagnato dalle sue solite fossette, perché sa che è inutile essere tristi.
«Noi siamo in soggiorno» mi avvisa prima di lasciare la porta socchiusa.
Harry è anche ostinazione e le sue strane abitudini di cui non può fare a meno, anche se sa che sono sbagliate.
 
Rimango ancora un po’ rinchiusa in camera finché non sento qualcuno esultare di sotto, Niall di sicuro. È talmente imbranato con la play, che non fa per lui, così quando vince esulta e offre da bere a tutti; peccato che in genere le birre siano le nostre.
Niall è il migliore amico di Harry, e anche il mio, è il biondo che, se prima credevo nel principe azzurro, mi ha fatto cambiare idea. È il bambino innocente che deve esserci in ogni gruppo. Quello che capisce i doppi sensi in ritardo, quando già si è cambiato discorso, e scoppia a ridere di punto in bianco. È quello senza riflessi, che, durante una partita a pallacanestro in giardino, prende la palla in faccia, ma non piange più: ormai ci è abituato, e ci ride su, coinvolgendo tutti.
Niall è l’allegria di cui si ha sempre bisogno, con le sue polo di vari colori, ma sempre dello stesso modello e le Supra bianche di un numero in più perché “Non c’era il mio numero e volevo un paio di scarpe nuove, non potevo aspettare”.
In soggiorno però non c’è solamente lui. Per terra con il joystick in mano e il viso di uno che ha appena subito un dura sconfitta c’è Louis, il tipo strano.
Si gira a guardarmi e che ci fa lui qua? Perché è qui?
«Louis» lo saluto.
«Sei tu la sorella di Harry?» è stupito di vedermi almeno quanto lo sia io.
Harry e Niall ci guardano, poi gli occhi verdi del primo s’illuminano: «Aspettate un secondo, Louis, è lei la stronzetta interessante che ti ha detto che i tuoi capelli facevano schifo?» domanda rivolto al ragazzo, a quanto pare, il nuovo membro della nostra compagnia.
Louis fa cenno di sì col capo e continua a tenere gli occhi azzurri fissi su di me.
Stronzetta. Stronzetta interessante.
Niall e Harry si scambiano occhiate complici, sogghignando sotto i baffi che ancora devono comparire sul volto di entrambi.
«Scusala, Louis, ma non è il suo forte presentarsi in modo decente. Zayn te lo diceva sempre di tenere la bocca chiusa»
Sollevo lo sguardo al cielo e vado all’ingresso, afferro la giacca di jeans appesa, a portata di mano.
«Zayn ora non è qui. – gli faccio notare – non metterlo in mezzo, Harry»
Esco senza dire nient’altro. Ho bisogno di schiarirmi le idee.
Il vento fresco delle sette di sera mi sferza il volto, non ci bado, così come non faccio caso al fatto che è freddo, e comincio a correre, superando via via tutte le villette, che si allontano, scomparendo dalla mia vista e lasciando lo spazio a nuovi sfondi.
Raggiungo l’incrocio, tra la via principale e il quartiere di Niall, dove si parcheggia sempre il furgoncino dei gelati in estate.
Le braccia appoggiate sulle ginocchia e il mio corpo che riprende fiato.
«Keira»
Mi volto verso chi ha appena parlato, lo inquadro sotto la luce fioca del lampione «Liam»
Sta facendo jogging: «C’è qualcosa che non va?»
«I-io – balbetto e ora sembra che abbia veramente bisogno del suo aiuto, di parlare con qualcuno, di sfogarmi – credo di sì».










 
Genteeeee,
come state? Spero abbiate passato tutti un buon Natale e che le feste stiano proseguendo bene.
Allora, come vi è sembrato questo capitolo?
La storia comincia a entrare nella sua vera essenza(?) e presto, molto presto, si scopriranno taaaante altre cose.
Vi anticipo solo che nel prossimo capitolo scoprirete che fine ha fatto Zayn!!
Liam sarà un personaggio fondamentale, almeno per come l'ho immaginato adesso.
Oggi sono di fretta - ringraziamo la mia amica che mi sta prestando la connessione ahahah - ma ci tenevo a postare, o sarei stata pervasa dai sensi di colpa fino al 2015!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, fatemi sapere (: 
Ora vado e auguro a tutte un buon anno, che questo 2014 possa essere migliore per tutti e vi porti tante cose belle, 
Bri.

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Capitolo 5
*** Missing ***







 
Mindtrip
(4)
"Missing"



 
«Doncaster è una città piccola, fin troppo» non posso che notare, atona, assorta nei miei pensieri e, in parte, lontana da tutto.

«Zezé, e se ce ne andassimo?»
La luna che splende di luce riflessa sopra di noi e il materassino color muschio, ben disteso, che ho fregato a Harry, per impedire all’erba umida di bagnarci. È piovuto molto in questi giorni, quasi per tutta l’intera settimana, ma ora il cielo è sereno, non c’è nemmeno una nuvola e le stelle sono così ben visibili anche ad occhio nudo, come in montagna.
«Guarda! L’Orsa Maggiore!» esclama Zayn, sorridente ed emozionato, il braccio interamente ricoperto di tatuaggi, con il dito teso ad indicarla.
«Dico sul serio: questa città è piccola, quasi 68 mila abitanti. È stretta»
«Anche io sono serio: è veramente l’Orsa Maggiore quella. E non ti preoccupare, Keira, noi non siamo di troppo. Inoltre tu puoi incastrati bene ovunque»
Sbuffo e lui comincia a elencarmi il nome di ogni singola stella che conosce – di alcune anche la costellazione di cui fanno parte – e che riesce ad individuare lassù, nel firmamento che sembra infinito. Sono davvero tantissime. Infinite.
Dice che se camminassimo guardando il cielo, oltre che ad avere dopo un enorme dolore al collo, ci perderemmo fra le stelle e lo stesso accadrebbe in una grande città, di notte illuminata da una vasta quantità di luci che diventerebbero la causa del nostro disorientamento.
Silenzio.
Zayn cerca sul tappettino la mia mano, la stringe e osserva le nostre dita intrecciate perfettamente.
«Che ti avevo detto? Sei giusta, Kiwi, qui, nel tuo posto fra le mie braccia e qui, in questa città con i suoi quasi 68 mila abitanti»
È vero, noi combaciamo, ma io spesso, in tutto questo, non mi ci trovo.


La tazza fumante fra le mie mani che ne ricercano il calore per intrappolarlo e il vapore che danza leggiadro, assumendo strane forme nell’aria fino a dissolversi in un punto non ben definito davanti ai miei occhi.
La saletta da thè – che serve solo ed esclusivamente il thè dello Yorkshire – e il suo ristorante sono accoglienti e ben discreti, con alle finestre le tende color panna dai bordi ricamati e i pizzi bianchi ben lavorati, tutte accuratamente accostate per permettere agli ospiti di cenare senza essere disturbati dai pedoni di fuori.
È capitato anche a me, ogni tanto, di percorrere il perimetro di qualche locale e fermarmi davanti a una vetrata a caso e osservare la gente seduta al suo interno che mangia, non preoccupandomi di dar loro fastidio, come ne darebbe a me se, ora, qualcuno arrivasse e si fermasse a guardarmi. È questo il motivo che mi spinge sempre a scegliere uno dei tavoli più vicini alla parete e magari anche più in disparte, lontano da tutti gli altri.
Oggi però è la prima volta che metto piede qui. Sarà stato per la mancanza del Wi-Fi che Zayn ed io siamo sempre passati oltre, preferendo l’ ”Hard Rock Caffè” all’angolo a questo posto.
Liam, completamente a suo agio, sorseggia il suo thè al latte, si lecca le labbra, che ho notato essere un gesto che fa piuttosto spesso, e domanda: «Che intendi dire?»
«Che gireranno voci se qualcuno ci vede»
La gente parla e non dichiara mai la verità, ingigantisce solo i fatti con falsità, calunnie e menzogne. Tutti pretendono di sapere quando in realtà non sanno niente, se non il proprio nome, e qui le cose non funzionano diversamente.
L’uomo – o ragazzo, ancora non ho ben capito – sembra non darci peso, mentre torna a bere il suo thè in tutta tranquillità, come se non avessi detto niente.
Deve essere uno che non dà troppa importanza alle opinioni altrui, oppure fida molto nel prossimo, e, se così fosse, mi dispiace per lui.
«Sono nuovo da queste parti, mi sono appena trasferito. Credo che potremo uscire, sempre per parlare, - sottolinea - almeno altre tre volte, prima che comincino a nascere e circolare voci» calcola velocemente facendosi scappare un sorriso.
Non mi dispiace questa idea, si può fare.
Liam non fa domande e lascia a te la prima parola; se giocassimo a scacchi, scommetto che mi lascerebbe essere i bianchi e muovere, così, per prima. Presumo non voglia essere indiscreto, sebbene sia il suo lavoro, – “Sono laureato in psicologia” – e lo apprezzo, pertanto evito di raccontargli quello per cui siamo qui, perché mi manca il coraggio per farlo e perché fa male, divagando con altri discorsi, perdendo tempo, che fuori è più buio di prima.
Il riflesso alla finestra dell’orologio segna le diciannove e un quarto, la stessa ora di ieri, quando ci siamo incontrati e lui mi ha proposto di bere qualcosa insieme oggi.
Bevo l’ultimo sorso dalla tazza ormai tiepida. La coppia vicino a noi si alza, lascia il conto sul tavolo e si avvia verso l’uscita. Eravamo arrivati insieme.
«Parla con lui» mi riscuote.
Non è una domanda, ma un’affermazione, un consiglio.
Mi fissa, con i suoi occhi dal colore così simile al miele: troppo dolci e troppo comprensivi, tanto che sono costretta a fingere un notevole interesse per i motivi floreali della tovaglia. Non voglio annegare nei suoi occhi.
Il loro miele è come il petrolio, cambia sì il colore, ma la densità è quella. Se solo mi ci soffermassi, non sarei più in grado di distogliere lo sguardo e non ne rimarrei incantata, ma imprigionata.
E il film “La gabbianella e il gatto” non mi è mai piaciuto, per voler fare la stessa fine.
«Con chi dovrei parlare?»
«Con il tuo ex ragazzo. Immagino che tu stia male per lui»
Sgrano gli occhi e un sorriso amaro si fa spazio sul mio volto, mentre le mie gambe mi suggeriscono di andarmene.
«Grazie per il thè, Liam. Devo andare» dico inespressiva, voltandogli le spalle, imitando i gesti dei signori di prima.
«Keira…» la sua voce è sorpresa, ma non aggiunge altro.
Non mi trattiene, infin dei conti perché dovrebbe?
Lui non sa, lui non c’era, non potrebbe capire. Non lo capisco nemmeno io dove sia il problema. L’unica cosa che mi è chiara è che riguarda Louis, la sua presenza a casa mia e la sua amicizia con Harry e Niall. Non è il benvenuto, lui ed io non potremo mai essere amici.
E Zayn non vorrebbe, lo avrebbe inquadrato male fin da subito, da quella mattinata dal preside, se fosse stato presente, perché le novità non erano il suo forte.
Il lampione, a un metro di distanza, sotto il quale sono appena passata, è spento e toglie la luce a questo tratto di strada, dove quella degli altri fanali posizionati più in là non riescono a coprirne la mancanza. Ma, alla fine, questa potrà essere colmata quando sostituiranno la vecchia lampadina bruciata, invece ce ne sono altre, di mancanze, che faranno sempre percepire il loro insostituibile vuoto.

Un’auto comincia ad avvicinarsi, mi segue e mi sta dietro finché a un tratto non mi supera, quasi, accostando di più al marciapiede, abbastanza da abbassare il finestrino perché sia possibile parlare senza dover gridare.
«Keira – mi chiama il ragazzo in macchina; il finestrino ora completamente tirato giù e il suo viso affacciato fuori, mentre la mano destra è sul volante e con l’occhio, a intervalli regolari, getta un’occhiata alla strada davanti – Dai, sali, che ti do un passaggio a casa»
È Liam.
Deve essere uscito dal locale subito dopo di me o comunque abbastanza in fretta da raggiungermi, non che abbia camminato molto però.

«Keira, sali in macchina»
Zayn è dietro di me, nell’auto di sua madre che ha fregato per questa sera, e mi segue a passo d’uomo. Lo ignoro.
La festa è finita da qualche minuto, così come i miei soldi per chiamare un taxi, spesi per l’ultima lattina di birra e il pacchetto di sigarette al distributore automatico, pochi metri più in là, vicino al giornalaio.
Vorrà dire che proseguirò a piedi, barcollando e con la sensazione di cadere a ogni passo perché la terra sotto di me sembra muoversi e ondeggiare e a malapena ricordo come si cammina; “prima un piede e poi l’altro, di seguito, alternati” così dice la teoria.
Le pareti degli edifici alla mia sinistra sono fredde, alcuni anche ruvide, a contatto con la mia mano, però mi impediscono di scivolare, sorreggendomi, e questo basta.
«Keira, sali in macchina. Per favore» ripete Zayn.
Il tono è autoritario, quello che userà con i suoi alunni quando sarà insegnante di lettere, in una delle scuole della nostra città, e io sarò a Londra, con o senza di lui. Le nostre intenzioni future non coincidono mai perciò noi non ne parliamo, per non litigare di continuo.
La nostra storia è una strada a senso unico che percorre sempre lo stesso tratto, in cui lo sfondo è lo stesso, sempre, che mi chiedo se non ci sia dell’altro oltre a questo e perché noi non lo vediamo?
Poi però mi accorgo che c’è molto di più, che noi ci stiamo perdendo tutto, che stiamo diventando ripetitivi e che i dischi rotti, che riproducono sempre le stesse canzoni, impedendo di ascoltare le altre tracce, sono da buttare, proprio come noi.
A che servo e a che cosa serviamo se non funzioniamo?
Anche gli stessi brani di una playlist prima o poi stancano che viene automatico saltarli, ma se li riprendiamo, dopo aver variato con qualcosa di nuovo, allora tornano ad essere nuovamente piacevoli.
Dovremmo fare così anche noi, attivare la riproduzione casuale e aspettare un po’.
«Zayn, siamo come due canzoni sempre in esecuzione di un disco rotto»
«Che io non sostituirei mai»
«Ma lo terresti da parte a fare polvere, fino a domandarti se non sia l’ora di liberartene, e io non voglio fare quella fine»
Silenzio.
Sospiro.
L’aria è piuttosto fresca per essere estate o forse è la situazione.
Il viso di Zayn è contratto, come ogni volta che riflette su qualcosa, le sue mani stringono con forza il volante e le nocche sono bianche: «Non capisco dove vuoi arrivare» dice, ma io non gli credo, lui è intelligente, è perspicace e sa cosa intendo, solo che non lo vuole accettare perché dopo tutto il tempo che abbiamo trascorso insieme è complicato.
I suoi occhi vagano lungo le abitazioni della via e infine si soffermano nei miei: «Dillo» ed è difficile trovare il coraggio per pronunciare le parole che possono mettere in pausa tutto.
«Ho bisogno di riposarmi, da te»
E ne ho bisogno davvero, di staccare da lui, almeno parzialmente.
«Ci sarò»
«Quando?»
«Quando tornerai, quando avrai respirato a pieni polmoni altra aria che non sia la mia. Sarò qui»
«Mi accompagnerai?»
«Solo per il primo tratto»


«E davvero mi ha accompagnato solo fino a metà» rifletto con le lacrime agli occhi, che, le sento, stanno scivolando lungo la mia guancia e sono amare e sembrano non volersi fermare.
Il motore della macchina cessa, si sentono i miei singhiozzi che non riesco a trattenere e che non sono calmi per niente, mi scuotono e mi fanno tremare. La sicurezza scatta e Liam scende, è in piedi davanti a me che mi osserva dall’alto, ma non comprende: «Perché stai piangendo?» domanda preoccupato, la voce grave.
«Fai fermare tutto, ti prego» lo supplico afferrandolo per la giacca di pelle nera, stropicciandogliela.
«Keira, calmati»
«I ricordi sono troppi, uno dietro l’altro, non li sopporto. Fermali!» urlo gettandomi fra le sue braccia calde che mi accolgono prontamente e mi stringono, fermando i miei sussulti. Affondo il viso nel suo petto, chiudo gli occhi e vedo solo immagini che si ripetono. Immagini che speravo se ne fossero andate, dopo quest’estate.
Liam mi allontana piano da sé, in modo da potermi osservare bene «Apri gli occhi Keira. Non ti aiuta tenerli chiusi, aprili»
E li apro di scatto, ritrovandomi la sua figura slanciata davanti, sfuocata, ma le immagini si sono bloccate, lasciando spazio al presente.
«Liam, aiutami ad addormentarmi senza Zayn, senza la presenza del vuoto che ha lasciato, perché, ti giuro, non lo sopporto più»
 










 
Bonsoir a tutte!
La mia intenzione era quella di postare prima del 7 gennaio ma...dite che prima del 7 febbraio sia lo stesso? 
Seriamente, scusatemi tanto, ma il tempo rimane il mio più grande difetto, per quanto possa sempre sforzarmi di rispettarlo; poi a gennaio sono successe così tante cose.
Però, appunto per questo ringrazio tutte voi che seguite la storia e che siete così pazienti, davvero siete un tesoro, grazie mille!
Passando alla storia: spero si sia capito che fine abbia fatto Zayn e che non ci siate rimaste troppo male, ma doveva andare così. Poi, ricordate che se avete bisogno di chiarimenti, per qualsiasi cosa, io sono disponibile a parlarne, anche perché ci tengo che sia tutto chiaro, quindi non fatevi problemi a dirmi ciò che pensate.
Detto questo, pero tanto che questo capitolo vi sia piaciuto e che la storia vi prenda (:
Un bacione a tutte!
Bri.

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Capitolo 6
*** Do you wanna know? ***







 
Mindtrip
(5)
"Do you wanna know?"




 
«Avresti mai il coraggio di farlo?»
«Che cosa?»
«Sostituirmi. Lo faresti mai?»
«No, no che non lo farei. Mai.»
«Allora adesso cosa sta succedendo, Kiwi?»


È lunedì e sono le otto e venticinque di mattina, ho la pelle d’oca sotto il maglione di una taglia più grande e il cappello nero che mi copre a malapena la testa, ed è più freddo del solito.
I capelli lasciati sciolti in tutta la loro lunghezza come l’ombra di un abbraccio che ora manca.
Il vento è talmente pungente che ti entra dentro facendosi largo tra i pori e non ti lascia, ti perfora, facendoti rabbrividire.
Il semaforo a venti metri più in là è rosso e le strade del centro di Doncaster sono trafficate – e lo saranno per almeno un’altra ora, finché tutti non avranno raggiunto la propria meta –, ma nessuno ha la voglia e la forza di cominciare la settimana, soprattutto se fuori c’è così tanta nebbia e la giornata è già iniziata male.
«È diventata un’abitudine fare tardi la mattina, eh» constata Louis, giunto alla fermata subito dopo che l’autobus se n’è andato, che con le mani in tasca, il giubbetto di jeans e gli skinny neri – con i soliti risvolti – e un’alzata di spalle mi ha proposto di fare una passeggiata per riscaldarci, non concedendomi però il tempo di replicare e rifiutare.
Lo avrei fatto, avrei detto “no” se me ne avesse dato il tempo.
Avanziamo l’uno di fianco all’altra senza parlare, in rigoroso silenzio al punto che se allontanassimo tutti gli altri rumori si sentirebbe solo lo scalpitare dei nostri passi contro l’asfalto umido e il nostro respiro; il battito accelerato è meglio lasciarlo stare.
Di sottecchi osservo i suoi lineamenti duri e la barba appena accennata, domandandomi perché sia così disponibile quando effettivamente non ci conosciamo per niente e per me lui è solo “Louis Tomlinson, il tipo strano che si è appena trasferito”, ed io sono “Keira Bowen, la sorella stronza di Harry, quella sempre in ritardo”.
Intanto, con le dita fredde e lo smalto trasparente al gusto di peperoncino sulle unghie, afferro il vecchio e dimenticato pacchetto di sigarette che avevo in tasca e «Vuoi?» gliene offro una.
Louis dal suo poco più di un metro e 75 scarsi  mi osserva attentamente: gli occhi con una particolare sfumatura azzurra più accentuata di prima che hanno assunto le colorazioni del cielo; e scuote il capo, allontanando la mia mano mentre torna a guardare la strada, scostandosi in tempo per non rischiare di sbattere contro un palo.
«Non dovresti fumare. Ti fa male»
Non “fa male”, ma “ti fa male”.
Anche affezionarsi a qualcuno fa male, eppure lo facciamo comunque, consapevoli dei rischi.
«Tante cose mi fanno male, Louis. – replico cercando un accendino nelle varie tasche della borsa – E in genere non fumo» sorrido fra me dopo aver trovato, seppellito dai numerosi scontrini di cui non mi sbarazzo mai, l’accendino di Harry con l’“H” incisa sopra che non gli ho più restituito e che lui cercava tanto, mettendo a soqquadro anche la mia stanza, finendo alla fine col comprarne uno nuovo, senza “H” incisa.
Stasera arrivando a casa glielo lascio all’ingresso, vicino alla pallina da golf autografata.
«E come mai lo stai facendo proprio adesso?» domanda Louis calciando via una lattina di Pepsi quasi vuota che lascia dietro di sé una lunga scia di gocce nere sul marciapiede grigio sporco.
Le osservo, butto fuori il fumo, serro le palpebre rilassando le spalle, poi, con pazienza: «Perché ci sei tu che mi fai male senza saperlo e questo – sollevo la sigaretta all’altezza delle sue labbra – mi nuoce di meno» ho di nuovo il filtro in bocca. Aspiro.
Louis attutisce il colpo e si blocca, accigliato.
Il semaforo è rosso e dobbiamo aspettare prima di proseguire, ma quando scatta il verde lui rimane indietro, vicino al signore in giacca e cravatta con il grosso dalmata che ha lo sguardo perso in tutt’altro punto e che, parlando al telefono, non si è accorto del cambiamento.
I suoi occhi azzurri sono puntati su di me. Ha ancora il viso perplesso, le mani sempre in tasca e le Vans basse che cercano qualcosa da allontanare, ma non trovano niente.
«Che intendi dire?» urla cercando di farsi sentire nonostante il sottofondo delle auto e la distanza da un marciapiede all’altro, quattro metri.
Un altro tiro e «Non credo di voler aver a che fare con te, intendo: esserti amica, non fa per me. La tua vicinanza…» il mio tono s’incrina e non so se proseguire.
«La mia vicinanza ti fa venire in mente un’altra persona.» termina lui per me. La verità è che già conosceva la risposta.
Il semaforo è cambiato un’altra volta e Louis attraversa senza guardare né a destra né a sinistra.
Io annuisco appena, voltandomi nuovamente in avanti, aspettandolo.
Mi raggiunge e l’orologio vicino all’insegna della farmacia segna cinque minuti alle nove e forse anche la fine della nostra amicizia mai iniziata veramente.
Ma è meglio così.

La porta reca una targhetta in ottone in alto, al centro: “Dottor L. Payne - Consulente scolastico”.
Scuoto la testa divertita.
Ora sì che la faccenda sembra più seria di quanto non sia in realtà.
Alzo il braccio e faccio per bussare, tentennando qualche minuto di troppo, chiedendomi se sia giusto, se veramente Liam saprà aiutarmi e non riderà di me e delle mie incertezze.
Prima che possa fare qualcosa Liam apre l’uscio sporgendosi in avanti, con un sorriso rassicurante a illuminargli il volto e il corridoio troppo buio.
«Keira! – esclama allargando le braccia – Come stai oggi?»
«Come faceva a sapere che ero qui?»
«Ti ho visto arrivare»
«Ha una mappa del Malandrino anche lei?»
Liam corruga le folte sopracciglia e s’illumina di colpo che per un momento mi è sembrato di scorgere la lampadina accendersi sopra la sua testa.
«Purtroppo no, ma hanno inventato le finestre se t’interessa» e volge lo sguardo, alludendo alla vetrata con le veneziane tirate giù che dà sul corridoio vuoto, da cui, appena appena, filtra la luce accesa all’interno.
Annuisco e mi sento un po’ stupida per ciò che gli ho chiesto, ma se veramente fosse stato un mago, sarebbe stato tutto più semplice e con un incantesimo avrebbe risolto miei problemi. «Peccato» sussurro solamente, mentre Liam m’invita ad entrare e io vorrei già andarmene.
Lui si siede al suo posto, dietro la scrivania, con le gambe accavallate e i gomiti sopra le ginocchia, le dita che s’intrecciano, formando una specie di triangolo, e aspetta pazientemente che sia io a parlare, ad aprirmi.

La sua Moto Guzzi California davanti a lui, completamente lucidata e messa a nuovo, con il motore che “Ora va che è una meraviglia. Facciamo un giro dopo?”, e il suo profilo reso quasi dorato dalla luce del tramonto mentre si passa il panno bagnato sulle mani.
«Lo sai che è inutile, vero?»
Zayn alza gli occhi al cielo e si pulisce il viso dall’olio, sogghigna. So già che sto parlando da sola.
«Il profumo per ambienti probabilmente nemmeno si sentirà perché sarà portato via dal vento»
«Vogliamo fare una prova, Kiwi?» propone; il casco nero già in mano e l’altro poggiato a terra, vicino ai guanti di pelle, neri anche essi.


«Signor Payne» lo richiamo, interrompendo il silenzio e i suoi pensieri.
«Liam, Keira. Sono solo Liam qui dentro» dice guardandosi intorno.
Certo, Liam, siamo confidenti, quindi ci si dà del tu, no? Eppure mi vergogno a chiederglielo, dal momento che non siamo poi così ‘confidenti’ e il nostro rapporto è più quello di “paziente e dottore quasi amico”, ma non posso farne a meno «Liam, p-potresti – balbetto – cambiare profumo? Prendilo alla fragola, alla vaniglia, ai frutto di bosco, qualunque insomma, basta che non sia al muschio! Per favore.» lo prego, gettando lo spray per ambienti nel cestino, facendo centro e rischiando per un momento di far cadere il suo contenuto sul pavimento.
L’ordine pressappoco maniacale della stanza è opprimente: i libri sistemati per autori, in ordine alfabetico, nella libreria, i fiori finti all’angolo della cattedra, il posacenere e il temperamatite poco più in là, con cinque centimetri di distanza ognuno.
Il quadro con la laurea e gli altri studi intrapresi divisi da due centimetri contati, e qualche coppa, della scuola, – sempre in rigoroso ordine – sul mobile da sei cassetti, tre per lato.
«Keira, forse dovresti sederti»
«Oh, no. Preferisco stare in piedi, sa…per correre via» Perché probabilmente terminata la seduta scapperò via, magari in bagno a piangere o da Harry, facendogli anche il favore di salvarlo da chissà quale lezione noiosa che non ha più voglia di seguire.
Però potrei anche rimanere, non glielo assicuro, ma potrei.
Le mie dita scorrono lungo il muro bianco fino a fermarsi all’interruttore della luce. Lo spengo e la stanza ora è illuminata solo dal chiarore esterno che non è molto.
La stanza cade in un’atmosfera triste mentre un pettirosso si posa alla finestra e inizia cinguettare.
«C’era un pettirosso quel giorno. – inizio a raccontare; il groppo in gola che m’incrina la voce e le lacrime che minacciano di uscire a ogni parola. Cacciarle indietro è del tutto inutile – Volava sopra le nostre teste. Eravamo in moto e lui ci ha sorpassato, poi è sparito davanti ai nostri occhi, volando via, dritto verso il sole. Una coincidenza alquanto bizzarra, non trovi?»
Liam ascolta in silenzio, non mi ferma, annuisce solamente, sovrappensiero. È la prima volta che lo racconto a qualcuno, a qualcuno che non c’entra niente con me e Zayn.
«Anche io stavo volando via dal mio nido, dalle mie certezze, con Zayn che mi accompagnava. Mi avrebbe accompagnato fino a Stamford, dove avremmo affittato una stanza in un motel e il mattino seguente avrei preso un treno per Cambridge. – una lacrima mi scivola lungo lo zigomo e tiro su con il naso. Se smettessi di raccontare, non credo continuerei più. – Non siamo mai arrivati a Stamford. Stavamo uscendo da Doncaster quando ha perso il controllo della moto ed è andato addosso al muro del bowling fuori città e poi ha sterzato contro un albero e…»
Liam si alza dalla sua sedia girevole, mi viene in contro, ma si ferma, incerto, prima di accorciare le distanze «Non c’è bisogno che continui, ho capito»
No, non credo.
Sento le unghie conficcarsi piano e poi sempre più forte nei palmi, le nocche devono essere bianche e vorrei tirare un pugno a qualcosa, ma non c’è niente con cui possa sfogarmi.
Liam dice che capisce e può anche essere è vero, ma in fin dei conti lui non può capire. Per un attimo vorrei usarlo come sacco da box e sfogare su di lui tutta la rabbia che provo in questo momento, con gli occhi che mi pizzicano e i muscoli tesi, pronti a scattare.
«No, non puoi capire, Liam. È tutta una grande cazzata della vita. C’eravamo entrambi lì sopra, avevamo anche i caschi! Ogni volta che prendeva la moto mi assicuravo che lo mettesse perché al suo “Stai tranquilla, non mi succederà niente” non ci ho mai creduto. Eppure è successo. E ora lo vedo di continuo, sembra un film, la scena che si ripete addirittura da ogni angolazione. Non posso più chiudere gli occhi ché mi compare davanti. I sogni non sono più un rifugio, si sono trasformati in incubi, come un film horror al cinema, e la cosa peggiore è che è Zayn a proiettarli, a tenermi la testa fissa sullo schermo, costringendomi a guardarli, mentre all’orecchio, deluso, mi accusa di starlo sostituendo » dico tutto d’un fiato, accorgendomi solo alla fine di aver trattenuto il respiro, di non essermi nemmeno fermata a pensare a ciò che avrei aggiunto dopo.
In fondo, però, non ce n’era bisogno, è come se tutto quanto avesse aspettato solamente di essere tirato fuori.
«E tu lo stai sostituendo, Keira?»
Fisso i miei occhi verdi, pieni di rabbia, la stessa che mi sta ribollendo nelle vene, nei suoi tranquilli. Come può domandarmelo? Con che coraggio me lo chiede dopo ciò che gli ho raccontato?
«Certo che no! Nessuno potrebbe mai sostituire il suo ricordo! – grido prima di provare a calmarmi, con fatica – Non glielo permetterei.»
«Allora perché lo dice?»
«Perché crede che io sia come gli altri, come Niall e Harry, che lo hanno rimpiazzato con quello nuovo, Louis, e ha paura che io possa fare lo stesso, che possa dimenticarlo come se niente fosse, come se non avessi mai provato niente per lui, come se lui non fosse stato le mie ali e allo stesso tempo anche il mio nido. Eravamo un tutto che ora non c’è quasi più perché si sta dissolvendo piano piano. Siamo una stella che sta raggiungendo il suo ultimo stadio, mentre in lontananza tutte le altre continuano a brillare e a vivere, e ce n’è una nuova che ci sta spingendo via, ancora di più verso la fine, tuttavia prima, però, questa prova ad attrarre qualche nostra particella a sé. E al termine di questo ciclo sarò rimasta solo io, a volteggiare da sola nello spazio, senza Zayn, con due scelte a disposizione»
Lo guardo dritto negli occhi, mentre lui distoglie lo sguardo, imbarazzato. Gli sto domandando, supplicando silenziosamente, di scegliere per me una delle due soluzioni, quella che secondo lui è migliore.
«Mi dispiace, Keira, ma non sono mai stato molto bravo in astronomia: non so cosa facciano le particelle di una stella, quelle rimaste. Non posso aiutarti.» risponde infine, accompagnando le ultime parole con il suo solito sorriso rassicurante.
Invece lui la sa la risposta. Liam sa qual è la scelta più giusta e l’astronomia non c’entra un cazzo.
«Sei un bugiardo, Liam! Avevi detto che mi avresti aiutato se mi fossi aperta con te, se ti avessi raccontato tutto!»
«Ed è quello che intendo fare, solo che questo dipende da te, io non posso farci niente»
Mi dirigo a passo spedito verso la porta, con i capelli che mi coprono il volto e la voglia, presentatasi un’altra volta e con maggiore intensità, di usarlo come sacco da box «Vaffanculo, Liam!»
«Ci sentiamo la prossima settimana, Keira, sempre che tu non abbia bisogno di passare prima. Magari vuoi dirmi che cosa hai scelto»
 
«Key, sorellina, andiamo?» mi domanda Harry, passandomi il braccio sopra la spalla, prendendomi la borsa e stringendomi a sé come faceva i primi giorni, quando la nostra convivenza era forzata e ogni motivo era buono per discutere. Dopotutto stavamo anche bene.
Annuisco voltandomi un momento indietro, contemplando il muretto nascosto dove Zayn ed io eravamo soliti a incontrarci la mattina, durante il pranzo e all’uscita. Ora non lo occupa più nessuno.
«A che cosa stai pensando?»
«Ho bisogno di distrarmi, Harry»
«Allora la festa che ha organizzato non so chi per giovedì farà sicuramente al caso tuo» interviene Niall, alla sinistra di Harry che gli lancia un’occhiataccia, cercando di farla passare inosservata e mimandogli qualcosa con le labbra, contrariato.
Un profumo di muschio si fa largo fra noi per poi sparire improvvisamente che penso di essermelo solo immaginato. Squadro il gruppo di ragazzi che ci passano a fianco, ma non è il loro.
«Ci sto e Harry, non preoccuparti, tanto ci sarai anche tu con noi due, no?»
«Vorrai dire con noi tre»
Louis ha affiancato Niall, gli dà il cinque, mentre il profumo di muschio torna nuovamente presente, come uno schiaffo, e non c’è nessuno oltre noi quattro.

«Allora adesso cosa sta succedendo, Kiwi?»
«Non lo so… Succede che tu non ci sei più, che io non posso rimanere bloccata fra queste macerie per qualcosa che non esiste. Succede che le mie particelle non sanno cosa fare, ché l’astronomia non mi è mai piaciuta se non quando me la spiegavi tu. Ma non ti sostituisco, Zezé.»
 










 
Ciao a tutteeee!
Mi scuso tanto per il ritardo, in genere non ci metto più di mese, be' a dire il vero l'ho fatto solo con il primo capitolo...ma questo è stato  un brutto periodo, proprio uno schifo!, che la voglia di scrivere era pari a zero, sebbene le idee ci fossero.
Spero, con questo capitolo, di essermi fatta perdonare, da tutte voi che siete state gentilissime e, a quanto dice il contatore di preferite/seguite/ricordate, siete rimaste tutte, davvero fantastiche.
Inoltre spero che con questo capito sia tutto più chiaro, leggendo le recensioni non tutte avevate capito che fine avesse fatto Zayn. Neanche in questo capitolo l'ho detto esplicitamente, ma si dovrebbe essere capito...
Ah, poi, lo so che  la fine è un po' tutto dialogato, ma è stato necessario scriverlo così, non credo che avrebbe reso abbastanza sennò.
Pooooi, poi è cambiato il banner! Vi piace?
L'ho fatto oggi ed è stato grazie a lui che mi sono convinta ad aggiornare ahahaha, quindi spero proprio di sì!
Concludo qui, ringraziandovi ancora tutte, appena un minuto libero passo a rispondere alle recensioni in sospeso, le apprezzo sempre,
un grosso bacio,
Bri. 

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Capitolo 8
*** Burden ***







 
Mindtrip
(6)
"Burden"

 
 
 
 
Muschio.
 
La porta si socchiude accompagnata da un breve cigolio probabilmente provocato da quel cardine in alto bisognoso d'olio e «Posso entrare?» domanda qualcuno; i capelli schiacciati sulla fronte dal cappuccio della felpa grigia e lui che tentenna sulla soglia; la gola forse un po' secca e il dubbio costante che lo accompagna da quando ha messo piede nell’atrio, giù al primo piano, di trovarsi nel luogo sbagliato al momento sbagliato, addirittura sprovvisto di fiori che a detta di tutti “Renderebbero felice chiunque”.
«Pensavo non ci fosse nessuno data l'ora» spiega; il piede che farebbe più che volentieri dietro front e poi subito sopra lo skate con il vento fra i capelli, senza una metà precisa ma “Ovunque è meglio che qui”.
La sedia sfrega stridula sul pavimento e Harry si è voltato di scatto: troppi film horror guardati trascorsa la mezzanotte. Chi ha appena parlato non gli è affatto sconosciuto, ma effettivamente l'ora non è delle più appropriate per una visita, però di lasciarlo sulla porta non se ne parla quindi: «Oh, Louis! Vieni, entra pure» lo invita con un cenno del capo, senza nascondere un'espressione sorpresa perché, onestamente, non si aspettava di vederlo prima delle 8 AM.
Passi silenziosi e lenti fanno il loro ingresso nella stanza, si fermano e aspettano che la porta in ferro di colore bianco, seppur più scuro rispetto alle pareti, si chiuda dietro di loro, possibilmente senza sbattere. Continuano a muoversi lungo un breve tratto, fino allo sgabello in disparte alle spalle di Harry, sotto il televisore al plasma in modalità silenzioso, mentre sulla E4 sta andando in onda la replica del primo episodio di “Skins”, ma a nessuno interessa: Harry conosce la serie a memoria ed è troppo impegnato a riflettere, Louis invece non l’ha nemmeno notata.
«Come sta?» esita, la voce in genere squillante estremamente bassa.
Non lo vedo: gli occhi stanchi e le palpebre troppo pesanti anche solo per provare a sollevarle un'altra volta, ma anche così potrei giurare che si sia voltato nella mia direzione, dopo aver distolto lo sguardo da quello indecifrabile di Harry, e abbia posato gli occhi colmi di disappunto sul mio corpo apparentemente inerme disteso sul lettino, avvolto fino a metà busto dalle lenzuola che mamma ha portato da casa e ha insistito affinché me le mettessero.
«Come qualcuno che aveva già perso se stessa anche senza l'aiuto di tutta quella roba. Uno schifo, ma meglio. – una pausa – Almeno così dicono loro» gli risponde Harry, al mio capezzale, non del tutto convinto, accennando un’occhiata alla parete.
Potrei aprire gli occhi, alzarmi dal materasso troppo duro su cui sono sdraiata da non so quanto tempo, a tal punto che non mi sento più gli arti, e urlare loro che si stanno sbagliando, che non mi sono persa da nessuna parte, che sono ancora qua nonostante tutto, che non ho la più pallida idea della roba di cui stanno parlando ma che sicuramente non era mia, e che loro in realtà non sanno proprio un cazzo.
Invece non faccio niente. La verità è che non mi va, che credano a ciò che voglio e gli fa più comodo.
«Andare a quella festa dopo il terribile fiasco dell’ultima in cui siamo stati... Ma come accidenti ho fatto a dire di sì?» impreca Harry contro se stesso. Gli occhi verdi spenti, l'acqua di un ruscello che dopo aver straripato inondando la riva finita la tempesta prosegue comunque il suo corso; così loro continuano a resistere.
Si passa una mano fra i capelli ricci senza vita, esausti come lui, e subito dopo si strofina gli occhi, con il capo chino e i gomiti spigolosi appoggiati sulle ginocchia magre che spuntano dai pantaloni neri strappati – più che vissuti – anche essi con una storia da raccontare.
Dovrebbe comprane altri, glielo ripeto sempre.
Il periodo in cui faceva a gara con Zayn per chi fra i due fosse più in grado di mantenere intatto un paio di skinny jeans, seppur indossandoli praticamente tutti i giorni, è finito da un bel pezzo, da mesi. E lui ha già perso quando il giorno dell'incidente Zayn è stato ritrovato con i vestiti ancora integri, sebbene la caduta dalla sua amata moto Guzzi e il tentativo di evitare tutto quanto.
Sulla parte si è creato il contrasto della sua ombra scura contro il bianco opaco della camera. Le tapparelle della finestra abbassate che a stento lasciano entrare la luce dell’alba, eppure c'è troppo bianco anche così e Harry sta tremando stringendo forte i pugni all'altezza delle orecchie, con le nocche bianche, i muscoli delle braccia tesi, evidenti.
I sensi di colpa che prima non lo avrebbero mai tormentato adesso cercano di scalfirlo per colpa mia, rivelando la sua fragilità, quella che cerca ancora di nascondere e che pensavo non avrei mai più rivisto dopo il funerale di Zayn e le due settimane che gli sono succedute. Sono un carico troppo pesante da sopportare per chiunque, e forse c’entra anche il fatto che a briscola Harry fa proprio pena, perché i “carichi” non ha mai saputo gestirli come si deve e le rare volte in cui ha vinto è stato unicamente perché era in squadra con Zayn, che, sì, che ci sapeva fare: quelli erano il suo forte.
Louis si è alzato, gli dà una pacca incoraggiante sulla spalla, e se un estraneo li vedesse, penserebbe senza dubbio che siano amici dai tempi dei tempi. Louis seppur i suoi tanti difetti ha capito che è questo ciò che gli manca: un amico – nello specifico, Zayn –.
Ed io sono costretta a chiedere gli occhi un'altra volta. È troppo e non ho nessuna intenzione di ringraziare il ragazzo dai risvolti ai pantaloni, sapendo che è l'unica cosa che sta aspettando e che pretenderà come un aguzzino appena sarò fuori da qui.
Poi a un tratto lo sento nuovamente, intenso, il muschio, e lo sento così troppo vicino e forte che vorrei avere il raffreddore, con il naso tappato, le orecchie tappate, un incessante mal di testa e magari anche qualche linea di febbre che mi faccia delirare, immergere in un mondo di allucinazioni.
Niente realtà e soprattutto niente muschio.
Niente Louis.
 
Ancora muschio.
 
Un brusio di voci sommesse proviene dal corridoio: sono le infermiere che passano davanti alla mia stanza. Il loro turno sta per iniziare ma stanno comunque spettegolando sugli avvenimenti della sera precedente – la nuova arrivata è andata a cena con il capo reparto e questa, a quanto pare, nell’ambiente, sarà la notizia del giorno –.
Poi ce n'è un'altra, di voce, dal tono estremamente cupo, quasi duro, ché suo malgrado ha il compito di informare quelle che si direbbero essere la moglie e la figlia delle condizioni non molto buone del paziente della 124, e al momento di salutarsi le voci delle due donne si fanno forza e non s’incrinano neanche un po’. Le loro lacrime non le porterà alla deriva facilmente, è sicuro.
Qualcosa di umido si posa leggero sulla mia fronte, un contatto di a malapena qualche secondo, un bacio e un sussurro: «Per quando torno, Keira, voglio che tu abbia aperto questi cazzo di occhi». Percorre poi con il dito il mio braccio, dalla spalla fino alla mano, la stringe forte e si allontana subito dopo, in direzione dell’uscita.
Apro gli occhi un istante prima che se ne sia andato, che la sua figura slanciata sia scomparsa definitivamente dietro la parete, per salutarlo silenziosamente, alzando il capo quel tanto che basta per vederlo, Harry, con la testa china, lo zaino in spalla e la tasca posteriore sempre aperta che mi chiedo se non abbia mai perso niente di valore, probabilmente no, o avrebbe già imparato a chiuderla. Il cappotto nero ancora da infilare, i piedi che si trascinano, svogliati come ogni mattina e l’andatura tuttavia elegante.
Faccio per sollevarmi sui gomiti ignorando la pressione al centro della fronte e mettermi seduta quando un brivido mi scuote l’intera colonna vertebrale.
“Merda!” è tutto ciò che sono in grado di pensare e borbottare mentre considero che l’unica cosa buona da fare sia rimanere sdraiata, magari con la coperta che arrivi fin sopra i capelli.
Ha le mani sul davanzale. Lo stanno stringendo quasi fosse una specie di appiglio che gli impedirà di cadere a terra perché le gambe gli cederanno da un momento all’altro, ma Louis semplicemente non vuole perdere il controllo e preferisce aggrapparsi saldamente a qualcosa che, è sicuro, non può rompere. La testa è alta, il viso guarda dritto di fronte a sé, l’espressione austera.
Gli occhi sono scuri, forse perché in controluce, e fissano impassibili il mio riflesso incerto, abbagliato dal sole nascente, e a mia volta provo sostenere il suo sguardo, non distogliendolo nemmeno quando la signora della 123 irrompe in camera e ne esce immediatamente farfugliando qualche scusa, del tutto spaesata.
Louis non si volta, continua a darmi le spalle mentre mi sorride di sghembo e, nello stesso istante in cui il suo viso diventa più chiaro ai miei occhi, sembra che non provi nient'altro che pena per me.
E ora che lo guardo meglio lo riconosco: ho la consapevolezza che si tratta di quello sguardo che non riesco mai a decifrare, quello che mi lancia ogni tanto di sottecchi, che aveva il giorno in cui ho rifiutato la sua amicizia per ovvie ragioni, perché in qualche modo rievoca i ricordi di Zayn, rendendo del tutto vani i miei sforzi di sopprimerli all'interno, nel mio inconscio.
È lo stesso sguardo che nasconde dietro ai suoi tanti sorrisi e alle sue mille battute, che provo a reggere ma che alla fine, a dispetto di tutto, ha la meglio. E vorrei solo riuscire a ignorarlo.
«Che ci fai qui, Louis? – domando atona, in realtà per niente interessata alla risposta. È più una domanda di cortesia – Vai via. Ti prego» finisco. Una supplica che spero colga e lo convinca ad andarsene.
Non lo voglio qui. Non voglio vederlo. Non voglio discuterci e, più di ogni altra cosa, non voglio sentire il suo stramaledettissimo profumo di muschio, non ora che la pressione al centro della fronte sembra non volermi lasciare in pace.
Avevo le mie ragioni quando ho detto che non volevo averci niente a che fare.
Louis ghigna, è concentrato su di me, sulla mia figura rannicchiata sotto le lenzuola con la testa che è rimasta scoperta. Non mi dà più le spalle e capisco che invece sarebbe stato meglio, perché sfidarlo così è ancora più difficile di quanto già non lo fosse.
«Per favore» aggiungo a denti stretti, un po’ per il dolore alla fronte e un po’ perché sono infastidita. Le pupille che vagano per la stanza in cerca di qualcosa che possa distrarmi dalla sua presenza. Non c’è niente.
Louis fissa senza vederlo davvero il vaso con i fiori – “Oh, delle dalie! Bellissime!” – che mamma o Harry devono aver portato, sul carrellino vicino al mio letto, e sembra soppesare la mia richiesta finché: «No. Spero tu non me ne voglia, Keira, ma intendo rimanere qui»
Mi metto a sedere di scatto, incredula per la risposta che ho ottenuto. Gli occhi sgranati e dalla bocca che non esce alcun suono.
Credevo avesse più rispetto per la gente ricoverata in ospedale, che non si sarebbe sottratto a una semplice richiesta.
Senza prevederlo sono già in piedi, pronta a fronteggiarlo, faccia a faccia, e cacciarlo via dalla stanza, con i fili della flebo che vengono scossi dai miei passi e, cavolo!, ora sì che sento la testa che sta per scoppiare e scommetto che poi andrà a dividersi in due parti simmetriche.
Mi sento improvvisamente frastornata, con le forze che vengono a mancarmi allo scorrere di ogni secondo. Louis lo nota e per venirmi incontro decide di abbandonare tutte le parole – taglienti – che avrebbe voluto rivolgermi, quelle che aveva sulla punta della lingua e che si stava preparando a sputar fuori senza ripensamenti; e le occhiatacce colme di rimprovero che aveva deciso di riservarmi.
Agisce così tempestivamente che penso abbia il brevetto da bagnino, anzi, ne sono sicura. Mi passa la mano dietro, sulla schiena, all’altezza delle costole e, come se la gravità avesse cessato di esistere, mi prende in braccio, attento al tubo attorcigliato sul mio polso, con la siringa che forse si è mossa un po’ e ora è diventata più fastidiosa.
«Non credevo di disturbarti così tanto. – dice mentre mi adagia senza alcuna fatica sul letto. Queste devono essere in un certo senso le sue scuse. – E comunque qui c’è il telecomando con cui avresti potuto chiamare un’infermiera» mi porge l’oggetto, prima appeso alla testiera del letto clinico, che non avevo notato. Dopo aver controllato che i tubi, bene o male, fossero ancora al loro posto, indietreggia contro la parete dove ha deposto lo skate blu cielo con le ruote da cambiare.
«Non mi è venuto in mente. Ero più concentrata su di te e sul fatto che non ti volessi qui»
«E ora hai cambiato idea? Posso restare?»
Mi viene da sorridere per l’ingenuità della sua domanda, la fa facile, come se ora fosse tutto a posto, come se la mia opinione nei suoi confronti fosse cambiata; «No».
Louis scuote il capo: si aspettava il contrario. Ha afferrato il suo skateboard e sta cercando di incastrarlo in qualche modo dentro lo zaino, la lingua fra i denti per lo sforzo e la concentrazione, quando lo interrompo: «Che hai detto prima? Hai mosso le labbra» specifico.
Finisce ciò che sta facendo, richiude la cerniera e la sua attenzione ritorna a me «Dicevo che prendere il telecomando per chiamare qualcuno non è l’unica cosa che non ti sia venuta in mente»
«E con questo cosa vorresti dire?»
«Guardati.» dice allargando le braccia, indicando tutto ciò che ci circonda in questo momento e fa un mezzo giro su se stesso, come a volerlo osservare meglio e per sottolinearlo ancora di più in qualche modo.
Lo zaino è in spalla mentre il cappellino da baseball con la visiera gialla gli sta schiacciando i capelli. Si volta, sta per sparire dietro la parete da cui mezz’ora fa se n’è andato Harry, ma prima: «Avverto il dottore che ti sei svegliata e ti consiglio di non far finta di dormire quando Harry tornerà. Non credo tu sia insensibile fino a questo punto. – muove un passo in avanti verso la porta, ma pare ricordarsi di qualcosa d’importante e subito retrocede – E comunque sono venuto qui solo per vedere come stavi, perché, se ricordi, alla festa sei svenuta fra le mie braccia mentre borbottavi cose completamente incomprensibili»
«E dunque sei qui solo per riscuotere i ringraziamenti che ti spettano? Lo trovo giusto» lo schernisco. Le braccia al petto incrociate e un’espressione beffarda sul volto.
Il viso di Louis assume un’aria scocciata – più rassegnata – e «Fai un po’ come ti pare, Keira» dice, volgendo lo sguardo al sole autunnale ora più visibile fra le veneziane, diversamente dai miei ricordi di quella sera, sempre lontani e offuscati, troppo confusi per riuscire a venire a capo.
«Non ricordo molto della festa, Louis» confesso, trattenendolo ancora un po’.
«Lo credo!»
«Ma so per certo che la roba di cui parlavate tu ed Harry non era mia, qualunque cosa fosse»
Louis sospira e so che non mi crede, come non lo farà Harry.
Rimaniamo in silenzio, non c’è altro da dire.
«Non sapendo quali fossero i tuoi fiori preferiti ti ho preso i miei: le dalie. Vedi di non far appassire anche loro più di quanto tu non abbia già fatto con te stessa. Ci vediamo, Keira»









 
Buon inizio estate a tutti e sorpresa!
Ormai credo che ci abbiate fatto, più o meno tutti e chi più chi meno, l'abitudine ai miei aggiornamenti distanti secoli e secoli fra loro, ma ad ogni modo: scusate se non mi sono fatta viva in tutti questi mesi che, sì, sono stati davvero davvero tanti!
In realtà credevo fosse trascorso meno tempo, poi un giorno ho deciso di guardare la data dell'ultimo aggiornamento e ho scoperto che erano trascorsi ben tre mesi e passa, accidenti!
Ho avuto un po' di problemi fra tutto quanto e in più il buon caro e vecchio "word" ha deciso di abbandonarmi - ecco spiegato l'avviso nell'introduzione -. Ora non ho ancora risolto il problema, ma ho la versione prova, quindi finché c'è, usiamolo!
E niente, se c'è ancora qualcuno che segue questa storia, spero che il nuovo capitolo via sia piaciuto e lo so che forse non è all'altezza di ciò che vi aspettavate dopo tutto questo tempo, ma spero lo sia almeno un pochino.
Non ho molto da dire, solo che siamo all'inizio e mi sono resa conto che, oh cavolo!,  scriverla è davvero più difficile di quel che pensassi ahahaha 
Mentre scrivevo mi domandavo se sarò in grando di trasmettere tutto ciò che voglio e vedremo, ma è sicuro che non l' abbandonerò, assolutamente!
Non vi assicuro degli aggiornamenti costanti, ogni settimana, però potrei anche riuscirci, dipende tutto da come andranno queste vacanze.
Se siete arrivati a leggere fino a qui, vi ringrazio, ma vi ringrazio anche se non ce l'avete fatta, non è un problema.
Vi ringrazio per il fatto che siete rimasti, grazie mille!!
Se volete e avete voglia insomma, fatemi sapere le vostre opinioni, qualunque esse siano, che sono sempre più che gradite e preziosissime! 

Al prossimo capitolo, 
un bacio a tutti,

Bri.
 

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