Maledizione, Percy...

di Severa Crouch
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il viaggiatore errante ***
Capitolo 2: *** Non uccidere la magia ***
Capitolo 3: *** Quando il mondo rischiava di crollare... ***
Capitolo 4: *** Riappacificare due nature ***
Capitolo 5: *** Maledizione, Percy... ***



Capitolo 1
*** Il viaggiatore errante ***


Titolo: Dannazione, Percy

Fandom: Harry Potter

Personaggio:Ferao OC, Percy Weasley Coppia: Fera/Percy

Genere: Introspettivo, Romantico

Note: Questa storia è al tempo stesso una follia e una sfida. La storia nasce in occasione del Compleanno di Pseudopolis Yard. Le amministratrici di questo luogo ameno hanno lanciato un'iniziativa che prevede 5 percorsi, ognuno costituito da 5 prompt. Il primo prompt è pubblico, il successivo viene rivelato solo dopo la pubblicazione della storia/capitolo. La sfida – personale – sta nel riuscire a creare una mini-long con una trama di senso compiuto che riesca ad amalgamare tutti i prompt che mi verranno rivelati e che al momento ancora non conosco. Il mio percorso è il n. 4 e il primo prompt è viaggiatore. I successivi prompt saranno segreti e quindi non potrò rivelarveli, solo le amministratrici lo sapranno.

Questa storia, inoltre, si collega al Ferusaverse, l'universo di storie bellissime in cui Med e Fera si spupazzano vari personaggi del Fandom di Harry Potter. Forse qualche lettore ha letto delle mie Perao (Percy/Ferao) e sa che è una delle mie OTP. Vi invito a leggere le storie di MedusaNoir e Ferao perché sono due autrici meravigliosamente brave e quelle su Percy in modo particolare perché sì. Ad ogni modo, la storia la potete leggere anche senza conoscere il pregresso (ma vi giuro che non potrete apprezzare i vari rimandi tra le storie e quindi vi togliete parte del gusto).

Spero che a Fera piaccia, nonostante Percy.

Sev

 

 

 

 

 

 

 

“Buongiorno, vorrei un biglietto intero per il museo della Basilica.”

Fera ebbe un sobbalzo nel sentire quel timbro vocale.

Erano anni che non udiva quella voce.

Da quando quella voce aveva cercato di far ragionare Charlie a non fare cavolate, che nessun drago poteva competere con lei, e nonostante ciò i draghi avevano avuto la meglio. Da quando era stata sbattuta in un angolo delle vite delle persone che aveva amato, che erano entrate nel suo cuore e poi ne erano uscite, come se lei fosse stata solo una casa vacanze, in grado di ospitarli per un breve periodo, ma non adatta per costruirci una vita assieme.

Il primo a voltarle le spalle era stato proprio lui, quando aveva conosciuto Audrey, e l'aveva sposata, e aveva avuto due bellissime bambine ed era tornato a pensare alla propria carriera al Ministero; poi c'era stata Med, che era così assorbita da Oliver e dal campionato di Quidditch - lei! - e dai turni del San Mungo da non riuscire a gestirla insieme al resto; infine, c'era stato Charlie.

Beh, forse Charlie era quello che era stato chiaro fin dall'inizio e le aveva detto che non sapeva gestire queste cose, che non vi era mai riuscito e che lui non avrebbe mai potuto scegliere tra un umano e una creatura alata, perché aveva abbandonato la famiglia per le scaglie dei draghi. Ci avevano provato, certo, e lui si era anche impegnato, ma quando era giunto un avvoltoio - e Fera aveva colto il cattivo presagio - con un messaggio da un importantissimo allevatore di draghi nei deserti sperduti della Terra di Fuoco, beh, i propositi seri di Charlie si erano scontrati contro la violenza del suo primo, vero, puro amore per quelle creature e Fera - che lo amava seriamente, dannazione! - non aveva saputo essere di ostacolo, ma si era detta felice per lui e lo aveva lasciato andare.

 

Dopo anni in Romania con Charlie, Fera aveva iniziato a sentirsi un'estranea persino nel mondo magico in cui era cresciuta, e allora era partita, certa che un posto per lei ci sarebbe stato da qualche parte nel mondo.

 

Questi pensieri le erano comparsi violentemente tutti insieme nella propria testa, nel momento esatto in cui quella voce aveva chiesto un biglietto intero per il museo della Basilica.

Sapeva che avrebbe dovuto alzare la testa, ancora incollata sulla tastiera del computer, e guardare il viaggiatore che aveva di fronte - cosa avrebbe detto il suo capo, altrimenti? -

 

"Vuole un'audioguida?" domandò alzando lo sguardo e fingendo di non sentire la morsa allo stomaco mentre gli occhi si posavano sui ricci rossi, su quelle lentigini, sugli occhi blu e la montatura di occhiali che aveva finalmente cambiato con una più moderna.

 

Lo vide rimanere imbambolato, senza sapere bene cosa dire e, dannazione, lei conosceva benissimo quello sguardo!

 

“Non è possibile avere una guida... ehm... più... Bab... ehm... umana?” domandò con evidente difficoltà.

“Visto che i Signori del Tempo e i Cyberman sono impegnati, direi che gli umani sono l'unica soluzione. Con la guida sono 8,00 Euro,” fu la risposta sarcastica di Fera.

Lo sguardo perplesso di Percy la fece sorridere.

Così, a trentacinque anni suonati, Percy continuava a non cogliere i riferimenti alle serie tv - e poco importava che fossero inglesi come lui o che il mondo magico si fosse aperto a quello Babbano, lui continuava a perdersi i riferimenti -

 

"Come, scusa?"

Fera scosse la testa, stampò il biglietto e glielo porse insieme ai due Euro di resto.

Martina, la sua collega, le lanciò uno sguardo implorante e Fera sapeva bene che aspettava il gruppo di turisti giapponesi e questo significava che la guida avrebbe dovuto farla lei.

Affidò la biglietteria alla collega e fece cenno a Percy di seguirla.

 

Rowena, quanto era strano camminare per quelle mura solenni con lui affianco. Era strano vederlo prestare attenzione alle spiegazioni, essere interessato dai dettagli, farle domande. Non era il Percy saccente e presuntuoso che aveva lasciato in Inghilterra, quello che sapeva tutto della vita e non aveva bisogno di insegnamenti. No, lui era il Percy delle serate trascorse nella sala comune di Grifondoro, dei pomeriggi in biblioteca trascorsi sui volumi polverosi di Incantesimi. Era il Percy che sperimentava sul calderone per cercare di far guadagnare punti a Grifondoro, nonostante Piton.

Le domande erano curiose, interessate alla storia, e si domandava dove fossero i riferimenti al mondo magico italiano.

 

“I maghi italiani hanno avuto una storia più travagliata della nostra. La Chiesa li ha perseguitati, sono stati torturati e si sono isolati in loro piccole comunità. Hanno popolato piccoli paesi ormai abbandonati dai Babbani, proteggendoli con incantesimi molto sofisticati,” spiegava Fera.

In fondo, lei capiva molto bene gli italiani: quando si riceve così tanto male, l'unica soluzione è fuggire, nascondersi, e cercare di sopravvivere. Lei aveva fatto lo stesso e non pensava che sarebbe stata trovata! Insomma, Roma è così grande e piena di chiese e lui proprio nella sua Basilica doveva mettere piede?

 

“Fera, non penserai sul serio che sia una coincidenza?”

“Come?”

Percy sorrise, e Fera mandò a quel paese la sensibilità del suo stomaco, visto che non era il caso di sobbalzare per così poco.

“Quando Charlie è partito, sono venuto a trovarti in Romania e non c'eri più. Lavorando per l'Ufficio della Cooperazione Internazionale viaggio spesso, sono anni che seguo le tue tracce. Arrivo sempre poco dopo, sono arrivato a sospettare che avessi qualche informatore al ministero, ma non sei il tipo e non avresti ragione di averne. Ho dovuto mobilitare il mio collega italiano per trovarti nel caos di Roma!”

 

Percy parlava tranquillamente, guardando ostinatamente un angelo di marmo.

Don't blink*. Un pensiero inevitabile in certe occasioni.

Fera avrebbe voluto che Percy le dicesse quelle cose guardandola negli occhi: non poteva confessarle così, dopo tutti quegli anni che lei aveva speso a cercare un posto adatto che lui l'aveva inseguita nonostante Audrey.

 

Audrey.

 

“E Audrey? Tua moglie sa che eri sulle tracce di una ex?” Marcò di proposito la parola moglie, quasi fosse uno strumento per fargli del male.

 

“Non vedo cosa c'entri Audrey, non è una cosa che la riguardi.”

 

Fera non poté impedirsi di strabuzzare gli occhi nell'udire quelle parole, poi esclamò: “ma certo, che sciocca... Non è divertente l'uso della Polisucco, chi sei?” Quell'uomo non poteva essere Percy, no, Percy non avrebbe potuto mai dire una cosa del genere, non era da lui. Lui non era così viscido.

 

“Ti ricordo che è passata più di un'ora da quando sono entrato in questo museo, abbiamo continuato a parlare e camminare per tutto il tempo e non ho bevuto alcunché. Se fosse Polisucco l'effetto sarebbe svanito...”

 

Fera provò il desiderio di prendere a schiaffi quello sguardo vittorioso: non c'era proprio nulla di cui essere fieri.

 

Percy alzò gli occhi al cielo, sospirò e le disse: “Audrey è mia moglie, ed io la amo, quello che sento per te non cambia in nessun modo l'amore che provo per lei. Inoltre, lei deve aver capito qualcosa, a casa mi chiama il viaggiatore errante perché dice che questi viaggi di lavoro sembrano alla ricerca di qualcosa...”

 

Non voleva domandarglielo.

Sapeva che sarebbe stato profondamente sbagliato e che la cosa più sensata da fare era quella di riportarlo alla cassa, salutarlo e rispedirlo in Inghilterra. Tuttavia, la parte stupida del suo cervello, quella non Corvonero, quella che ogni tanto sognava castelli in aria, diede l'ordine alle labbra di pronunciare la seguente frase: "Cosa senti per me, Perce?"

 

Il tono di voce le uscì come quello di un imputato che chiede il verdetto al Giudice ed è in attesa di una risposta da cui dipende il resto della sua vita.

Dannazione. Quella maledetta speranza che tornava a galla. Fera avrebbe potuto anche tollerarne la presenza, purché non si manifestasse all'esterno, purché non fosse a lui nota. Invece, lui, per quanto ottuso, per quanto idiota e imbranato in certe questioni, non poteva non aver notato il tremore nella sua voce.

 

“Non credo che questa sia la sede per affrontare l'argomento, Fera, sei a lavoro. Passo a prenderti alle 20.00 quando chiude il Museo. Andiamo a cena in un ristorante che ho scoperto in un vicoletto di Trastevere,” le disse sistemandosi gli occhiali sul naso in quel gesto che era così... Percy.

 

Dannazione. Maledetta, Fera.

Perché doveva sempre cacciarsi in situazioni del genere? Ma poi, da dove era uscito questo decisionismo? Era dunque vero che gli uomini dopo il matrimonio cambiavano? Non le aveva neanche chiesto di andare a cena con lui, non si era neanche curato di sapere se lei avesse altri impegni, o un fidanzato! Questa cosa la mandò su tutte le furie e le fece dire in un tono fin troppo acido: “E se avessi un impegno?”

 

Percy si limitò a replicare: “Saresti moralmente obbligata a rinviarlo per preferire un amico che non vedi da molto tempo.”

 

Dannazione, maledetto Perce.

 

 

 

 

Altre note:

Il riferimento ai Signori del Tempo e ai Cybermen è un rimando alla serie televisiva Doctor Who (guardatela).

*Don't blink: letteralmente “non sbattere le palpebre” è il consiglio che il Decimo Dottore dà nella puntata in cui compaiono gli Angeli Piangenti in Doctor Who. Gli Angeli Piangenti sono creature aliene in forma di statua che non possono muoversi finché le si guarda, ma nel momento in cui si distoglie lo sguardo, anche per un battito di ciglia loro si avvicinano e rispediscono le vittime nel passato. Sono delle creature terribili. ç__ç

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Capitolo 2
*** Non uccidere la magia ***


Spirava una leggera brezza estiva tra i vicoli di Trastevere.

Quando Percy le aveva detto che avrebbero trascorso la serata a Trastevere, Fera aveva immaginato la bolgia di turisti americani sudaticci e mezzi ubriachi, gli studenti universitari – quei pochi che non erano fuggiti in vacanza – che festeggiavano la chiusura del primo round della sessione estiva, e solo a settembre avrebbero ripreso i libri.
Aveva fatto training autogeno per poter gestire la bolgia e Percy, Percy nella bolgia, lei nella bolgia insieme a Percy. 
Invece, lui l'aveva sorpresa nuovamente, e quasi avrebbe detto di non conoscerlo abbastanza, se non fosse stato per tutto il tempo trascorso insieme. Del resto, poi, quella era l'unica ragione per cui alla fine si era decisa a seguirlo.

Percy la stava conducendo dalla parte meno frequentata di Trastevere, quella dove ci vanno in pochi, dove regnava la placida eleganza della Basilica di Santa Cecilia e le risate di qualche gruppetto di amici.

Tra quei vicoletti c'era un ristorantino al quale Fera non aveva mai prestato attenzione. Roma è talmente piena di ristoranti, alcuni dei quali sono delle trappole per turisti, così lei si fidava solo dei consigli dei colleghi italiani. In quei mesi aveva assaggiato piatti deliziosi e scoperto ricette che definirle gustose era troppo poco.

Dentro di sé si augurò di non finire in uno dei soliti ristoranti per turisti, perché non avrebbe potuto tollerare Percy ed una pessima cena nella medesima sera.

Le sorrise mentre salutava il gestore, il signor Maurizio, che evidentemente conosceva. Si guardò intorno e notò che per lo meno non c'erano le classiche tovaglie a quadretti, ma semplici tovaglie bianche. Li fecero accomodare ad un tavolo fuori, alla luce soffusa delle lampade e Fera iniziò a sentirsi un po' a disagio.

Sorrise nervosamente al cameriere che lanciava sguardi di intesa a Percy mentre sfogliava il menu. Quel maledetto di un Weasley sembrava addirittura compiaciuto della situazione: aveva raccontato qualcosa ai camerieri? Forse era stato in quel posto la sera prima e aveva dato particolari disposizioni?

Fera lo sapeva: gli italiani erano romantici e se c'era da muovere le montagne – o il Colosseo – per aiutare quello che loro chiamano un Romeo, lo avrebbero fatto con estremo piacere, salvo poi pretendere di essere testimoni della riuscita della missione con un'invadenza che definire irritabile è troppo poco.

Tutto il contrario degli inglesi, così sobri e attenti a non invadere la sfera della riservatezza del vicino da sembrare addirittura freddi. Percy, poi, era decisamente inglese. Avrebbe tollerato a lungo le invadenze del gestore e dei suoi camerieri?

Al momento, sembrava non curarsene e sfogliare il menu con estrema naturalezza.

Certo. Sapeva fingere, lui. Certo, non era lui quello che aspettava un verdetto. Questa era la punizione che le spettava per aver fatto una domanda idiota.

“Prenderò una bruschetta di pomodoro, carciofi alla romana e... tagliolini alla carbonara!”

Fingendo indifferenza Fera ordinò una bruschetta alla crema di carciofi e maccheroni cacio e pepe. Adorava il pecorino romano!

Percy iniziò a farle domande sulla vita a Roma, sugli italiani, sulla cucina e su come si trovasse a vivere in quel contesto.

Era difficile spiegare che, sì, in Italia lei stava bene, ma che era un benessere diverso da quello di Londra: Roma era una città consolatoria. La sua bellezza alleggeriva l'animo, le strade affollate dai pellegrini, i turisti, le classi di studenti in gita, riempivano le giornate di un'allegria che si respirava in poche parti del mondo. I Romani, poi, erano persone sempre pronte a fare due chiacchiere. Roma era una città dove il ritardo cronico dei mezzi diventava occasione di conversazione con gli abitanti del quartiere. Certo, a volte i Romani erano irascibili e cocciuti, come neanche gli Scozzesi, ma tutto sommato in Italia Fera viveva bene.


“Frequenti qualcuno?” le domandò a bruciapelo addentando una bruschetta.

Alzò un sopracciglio pensando che questa domanda avrebbe potuto fargliela prima di invitarla a cena fuori.

“Sì,” fu la risposta soddisfatta.

“E lui ti piace?”

“Certo.”

“E adesso che sei qui con me, pensi di amarlo di meno?”

“No, certo che no.”

“Non pensi sia bello tornare ad essere migliori amici e frequentarsi? C'era un tempo in cui parlavamo di tutto e trascorrevamo pomeriggi interi in sala comune e in biblioteca. Mi manchi, Fera.”

Ecco. La cruda verità spiattellata. Aveva frainteso tutto. Si era sbagliata e quanto era successo poteva anche farle credere che lui avesse fatto tutto ciò per amicizia. Perché era convinta che lui ci stesse provando con lei? Perché qualche sbaglio aveva finito per farle fraintendere tutto?

“Anche a me manchi, Percy,” gli confessò un po' più rilassata. 

Dopo il chiarimento, tornarono a parlare di tutto, come un tempo, tra una forchettata di tonnarelli e un bicchiere di vino. Percy, da buon irlandese, quando c'era da bere non si tirava indietro e continuava a riempire il bicchiere di Fera. Ridevano, ricordando aneddoti dei tempi della scuola: di quando i gemelli al primo anno avevano fatto esplodere delle Caccabombe nell'ora di Pozioni e avevano fatto andare su tutte le furie Piton, di quando Lee Jordan era stato beccato dalla McGranitt a cercare di trasfigurare il gufo di Meusa in un rospo.

Sembravano giorni spensierati e lontanissimi rispetto a quanto era accaduto dopo. La guerra, la crescita personale, le loro carriere, il matrimonio di Percy, Charlie e la fuga in Italia di Ferao.”

“Pensi che tornerai in Inghilterra?”

“Non lo so. Non mi trovo male qui, e poi c'è Federico.” Era strano fare il suo nome.

“È un mago italiano?”

“No, è un Babbano,” precisò Fera ricordando l'amico del suo collega, quello che aveva conosciuto ad una festa dopo circa un mese che aveva iniziato a lavorare al Museo della Basilica. Vide Percy saltare sulla sedia nell'udire quella notizia. Lui le prese le mani preoccupato, come faceva quando lei accusava i primi sintomi della febbre. Le domandò con un'espressione seria: “Ma lui lo sa che sei una strega?”

“No.”

“Fera, lo sai che adoro i Babbani, e la mia famiglia ne ha passate di ogni per questo interesse verso di loro: ma come fai a rinunciare alla tua natura? Come fai a rinunciare alla magia?”

“È possibile, Perce, sono mesi che la mia bacchetta giace in una scatola in fondo al mio armadio...”

“Non puoi uccidere la tua magia, Fera! Sei una strega brillante, per Godric! Avresti dovuto diventare un'esperta di Incantesimi, non puoi mollare tutto e vivere come una Babbana!”

Percy era sconvolto e Fera si mordeva l'interno della guancia nervosamente perché non aveva voglia di raccontare del perché lei non voleva più toccare la bacchetta magica, perché la sua magia stava morendo, perché da quando Charlie era andato via lei non si era mai sentita tanto male e non riusciva più a tenere in mano la sua bacchetta, e non aveva la concentrazione per fare anche i più semplici incantesimi.

Percy insisteva nel cercare di convincerla in tutti i modi, ma lei si ostinava a tacere fissando il piatto che improvvisamente non riusciva più a mandare giù.

Alla fine disse: “Non sono una strega, non sono una Babbana, non sono Inglese né Italiana. Io sono io. Sono Fera, solo Fera.”

"Ed è proprio perché sei Fera che non devi rinunciare al tuo dono, ma lo devi coltivare!"

Tratteneva le lacrime perché non voleva fare scenate da donnicciola: non le era mai piaciuto farsi vedere in lacrime, specie da lui, anche se Percy aveva un talento per far venire a galla tutto il dolore che lei provava.

Percy pagò il conto e la portò via. Appena usciti dal ristorante, però, la strinse tra le braccia sorprendendola. Fu strano tornare a sentire il corpo esile di Percy contro il suo, le braccia sottili di lui che la stringevano, le mani nervose, il suo profumo e la spalla ossuta su cui aveva versato molte lacrime.

Come tutte le volte, le asciugò le lacrime, con la stessa espressione che aveva visto fare a Molly Weasley quando Ginny cadeva per terra e scoppiava in lacrime.

Le sussurrò: “La magia ritornerà, Fera, hai solo bisogno di tempo per riprenderti.”

Camminarono fino a trovarsi in una piazzetta deserta in quella parte così silenziosa di Trastevere. Fera era silenziosa e Percy per rompere il silenzio le disse: “Vuoi provare ad usare la mia bacchetta?”

Le comparve un sorriso sul volto, perché nessuno in Italia aveva potuto accorgersi e capire il dolore di Fera nel non riuscire più a usare la magia. Il gesto di Percy, pieno di pazienza, come quando studiavano insieme e si trattava di ascoltarla ripetere le lezioni di Storia della Magia, la commosse profondamente.

Dopo mesi strinse nuovamente una bacchetta tra le mani e provò a dire: “Lumos...”

Una luce fioca si accese sulla punta della bacchetta. Percy le sorrise: “Hai visto? La tua magia c'è ancora, pensa che è uscita anche con una bacchetta che non ti sente da molto tempo. Certo, qualche volta hai usato la mia bacchetta, e lei mi è fedele ed ha capito che io te l'ho data volontariamente perché la usassi. È una buona bacchetta.”

Continuarono a camminare. Erano arrivati lungo il Tevere e dovevano destreggiarsi tra i turisti, mentre attraversavano Ponte Sisto, Fera stava guardava la cupola di San Pietro pensado alla bellezza di quel panorama. Era immersa nella contemplazione quando Percy disse: “Ad ogni modo, credo che presto ti toccherà venire in Inghilterra: Med si sposa.”

Fera non riuscì a credere a quella notizia. Medusa si sarebbe sposata e lei non ne sapeva niente? Come era possibile che all'amica le fosse passato di mente di dirle una cosa così importante? Sentiva la rabbia crescere dentro di sé a dismisura: appena arrivata a casa avrebbe inviato una lettera furente a Medusa accusandola di abbandono e tradimento.

Percy aggiunse: “Ah, Med ancora non lo sa.”

Fera scosse la testa e si fermò in mezzo al passaggio del ponte. Un ragazzino francese le andò addosso e si scusarono reciprocamente. “Come sarebbe a dire che Med si sposa e non lo sa?”

“Ho visto Oliver al Ministero che chiedeva informazioni sui documenti da preparare, abbiamo fatto due chiacchiere e mi ha detto che il prossimo fine settimana, dopo la chiusura del Campionato di Quidditch, vorrebbe chiedere a Med di sposarlo.”

“Tanto non accetterà mai.”

“Non essere pessimista, sono litigiosi, ma sono complementari e insieme sono una bellissima coppia!”

Da quando Percy frequentava Medusa e Oliver Baston? E perché Medusa non le aveva scritto niente? Forse Percy era uno degli amici scemi di Oliver a cui lei ogni tanto accennava? No, certo che no, Medusa le avrebbe detto qualcosa di Percy, per loro lui era l'idiota. In quell'esatto momento, però, Fera vedeva Percy sotto altri occhi, con gli stessi che usava quando erano migliori amici, prima che tutto si complicasse e si rovinasse. Fera in quel momento espresse il desiderio che tutto rimanesse per sempre in quel modo. Perché quello era il migliore dei mondi possibili, quello in cui loro erano solo Fera e Percy, e nient'altro.

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Capitolo 3
*** Quando il mondo rischiava di crollare... ***


L'indomani Fera andò a lavoro di buon umore: non solo aveva ritrovato il suo migliore amico, ma le chiacchiere con Percy le avevano alleggerito il ricordo del passato e in un certo senso si sentiva in pace con il mondo come non lo era da fin troppo tempo.

Quel giorno, poi, aveva solo una mezza mattinata di lavoro e Percy sarebbe andata a prenderla all'uscita e avrebbero girovagato ancora per le strade di Roma. C'erano talmente tanti anni di confidenze da recuperare!

La mattinata volò veloce come un battito di ciglia: un gruppo di americani fece domande idiote sulla storia italiana (normale amministrazione, visto che per loro la storia italiana era spiegata da serie tv come i Borgia...), poi un'adorabile gruppetto di Finlandesi, e lei amava gli Scandinavi, infine alcuni Spagnoli le avevano chiesto una montagna di informazioni alla cassa.

La sua collega, per fortuna, era altrettanto impegnata e non aveva potuto avvicinarsi con l'aria curiosa che le si leggeva in viso per chiederle come fosse andata la serata con il tizio inglese. La vide sorridere, di nuovo, quando vide in lontananza Percy mentre usciva dalla Basilica.

Dannazione, ma doveva proprio andarla a prendere dentro la Basilica? Gli aveva detto che si sarebbero visti fuori! Adesso Claudia l'avrebbe tormentata di domande, ancora più del previsto...

Eccolo, si guardava intorno l'aria da turista tonto. Studiava i cartelli esposti all'ingresso, si puliva gli occhiali, leggeva per passare il tempo e ogni tanto si guardava intorno.

Fera gli andò incontro sentendo dietro di sé Claudia ridacchiare un “Buon divertimento!”

Percy agitò la mano in segno di saluto non appena la vide, e Fera pensò che nonostante il trascorrere degli anni e la carriera al Ministero l'aria sfigata gli era rimasta addosso. Nessuno avrebbe mai detto che il tizio rosso con gli occhiali era l'assistente del Ministro della Magia e uno dei principali dirigenti dell'Ufficio per la Cooperazione Magica Internazionale. Al limite, poteva passare per un anonimo impiegato di banca.

Non che Fera avesse nulla con gli impiegati di banca, visto che all'inizio erano stati molto pazienti con lei nello spiegarle i prodotti bancari e l'utilizzo del bancomat e dell'home banking: roba che alla Gringott se la sognano!

Le venne da sorridere al pensiero di Arthur Weasley alle prese con una banca Babbana e si disse che quando sarebbe tornata in Inghilterra gli avrebbe fatto assistere ad un prelievo: era certa che ne sarebbe andato matto.

Percy le domandò subito se fosse stanca, se intendesse prendere qualcosa da bere, o un gelato, perché aveva pensato ad un itinerario da seguire quel pomeriggio e voleva illustrarglielo per avere qualche consiglio.

C'era da immaginarlo: Percy prima di venire a Roma avrà studiato la cartina dell'intera città.

“Non lo sai che le parti più belle di Roma si scoprono girando a caso?” gli domandò Fera che ormai era abituata a trascorrere i suoi giorni liberi tra le incombenze e i giri per la città. Aveva trascorso giorni interi a camminare pur di non stare chiusa in casa con i ricordi di Charlie che la tormentavano.

“Posso immaginarlo, ma io domani parto e voglio vedere il famoso Pantheon,” le rispose Percy scrutando la mappa.

Presero un bicchiere di tè freddo al limone in un bar mentre lui le mostrava il piano di guerra: quella non sarebbe stata una passeggiata, ma una marcia militare per tutte le cose che aveva in programma di vedere!

“Perce, ti rendi conto che solo per arrivare al Pantheon, con il traffico che c'è, impiegheremo un'ora abbondante?”

Percy la guardò con un ghigno odioso sul volto, e Fera avvertì il desiderio di prenderlo a schiaffi perché non poteva fare il saccente anche nella sua città, in mezzo ai Babbani e al traffico che conosceva benissimo.

Lo vide scuotere la testa ridacchiando tra sé e dire: “Dimentichi la Materializzazione...”

Fera rimase a bocca aperta. Non le passò minimamente per la testa che sì, lui aveva ragione, ma solo che per tutti quei mesi lei aveva lottato con il traffico, i mezzi pubblici perennemente in ritardo, gli scioperi, i guasti meccanici, per non parlare del maltempo e dell'affollamento di turisti e pendolari quando la mattina da casa sua avrebbe potuto benissimo Smaterializzarsi e comparire nella vietta deserta dietro la Basilica dormendo un'ora in più.

L'unica domanda che poteva porsi riguardava la compatibilità dello Statuto Internazionale di Segretezza Magica con l'affollamento di Roma, ma evidentemente Percy aveva certamente pensato anche a questi aspetti, vista l'espressione divertita che aveva sul volto.

Andarono nel vicoletto deserto dietro la Basilica e Fera afferrò il suo braccio: dopo tutto quel tempo senza usare la magia non era certo il caso di cominciare da un incantesimo complesso come la Materializzazione!

Spuntarono dalle parti del Pantheon in un vicoletto di cui non ricordava il nome, ma che Percy si era appuntato sulla mappa con un segno rosso. Lo seguì fino ad arrivare in piazza della Rotonda.

Non appena il Pantheon emerse in tutto il suo splendore, Fera sentì Percy esclamare per lo stupore nel respirare l'atmosfera che tanto affascinava anche lei.

“Penso di capire perché ti trovi bene qui, Fera...” le disse, tirandola per un braccio mentre si intrufolava dentro il Pantheon tra un gruppo di turisti tedeschi.

Lo vide fare un grande sospiro e leggere sulla guida: Il Pantheon (dal greco "[tempio] di tutti gli dei") è un edificio di Roma antica, costruito come tempio dedicato a tutte le divinità passate, presenti e future. Fu fatto ricostruire dall'imperatore Adriano tra il 118 e il 128 d.C., dopo che gli incendi dell'80 e del 110 d.C. avevano danneggiato la costruzione precedente di età augustea.”

Percy descriveva il posto e osservava minuziosamente ogni singolo dettaglio, come se dovesse rimanere impresso nella sua memoria per sempre.

Fera aveva sempre amato questo aspetto di Percy, la sua attenzione ai dettagli e il suo amore per la cultura e sebbene spesso avessero parlato di fare viaggi insieme, la seconda guerra magica e le vicissitudini personali aveva sempre impedito loro di mettere in pratica quel proposito.

“Sai, non saresti male come compagno di viaggio...” scherzò Fera, mentre gli scattava una foto con la macchina digitale che le aveva regalato Federico per il compleanno.

Fera aveva scoperto da poco il mondo della tecnologia e ne era affascinata. Le macchine digitali erano così diverse dai complicati strumenti magici che servivano per fare le foto animate. Certo, i soggetti erano immobili, ma queste foto riuscivano a rendere eterni i sorrisi e questo era un aspetto che le piaceva. Inoltre, si potevano usare per catturare dettagli, da osservare con calma in un secondo momento. Addirittura, Claudia amava fotografare il cibo e stava frequentando un apposito corso di fotografia.

Lei, invece, accontentava di fotografare gli amici e i monumenti per riempire il pc – sì, perché lei aveva anche un computer! - con tanti ricordi meravigliosi che la facevano sentire meno sola in quella nuova vita tutta Babbana.

Non aveva detto a nessuno di essere una strega e non riusciva a parlare di Hogwarts, dei suoi amici e degli studi che aveva compiuto. Solo uscendo dal mondo magico si era accorta di quante cose ignorava del mondo rimanente che non aveva potuto frequentare per anni.

Mostrò a Percy la foto che aveva scattato e lui restò sorpreso, le domandò se avrebbe potuto avere una foto, da portare in Inghilterra per ricordare queste giornate con lei. Fera gli disse che era pieno di posti dove stampavano queste foto e che avrebbero potuto scattarne altre e stamparle tutte successivamente, anche perché inviarle via email sarebbe stato complicato...

Camminarono in direzione dei Fori Imperiali, fotografando rovine, Percy mentre osservava la mappa, mentre si arrabbiava perché non avrebbe voluto essere fotografato, mentre cercava di ordinare un gelato. Fecero anche un po' di foto insieme, facendosele scattare da turisti di passaggio.

Alcuni chiedevano se fossero in luna di miele ed ogni volta era imbarazzante dover spiegare che no, loro non erano fidanzati, ma solo amici.

Percy ad un tratto le domandò: “Raccontami di Federico, come lo hai conosciuto?”

Fera trasalì per quella domanda così diretta, anche perché per tutto quel giorno lei aveva anche dimenticato Federico. Non che lui non fosse importante, ma sembrava che fosse un altra vita, quella senza Hogwarts, la vita nuova, normale, mentre Percy apparteneva al mondo di Hogwarts, quello della sua infanzia, quello in cui lei indossava le vesti da strega, era una Corvonero e tifava per i Tornados, non per la Roma.

Erano due vite distinte e separate, il prima e il dopo, e non voleva creare dei canali di comunicazione tra queste due vite. Gli raccontò di come si erano incontrati, degli amici in comune, dell'interesse per le serie tv della BBC, dell'amore di Federico per Londra e dei gusti musicali in comune.

“Praticamente è la mia versione Babbana,” osservò Percy.

“Penso che ti stia sopravvalutando, l'unica cosa che avete in comune sono gli occhiali e i capelli rossi,” rispose Fera cercando di scorgere la tipica espressione piccata che Percy aveva ogni qualvolta veniva contraddetto.

“Per favore, nessun Babbano può essere in gamba quanto me, anche perché non ha studiato Prefetti che hanno raggiunto il potere, come l'ho fatto io!”

“Se è per questo, anche nel mondo magico nessuno ha letto quel libro quanto lo hai letto tu!” rise Fera nel ricordarsi il periodo in cui Percy citava interi passi del libro come un mantra. In quei mesi c'era una citazione del libro adatta per ogni momento della giornata, persino per la colazione c'era la frase – al solo ricordo Fera sentiva il nervoso di quei giorni tornarle - “Chi ben comincia è a metà dell'opera: Edmund McCollins, che nel IX secolo fu prefetto di Corvonero, era solito fare un'abbondante colazione, per aiutare gli studenti a trovare le aule e questa abitudine gli tornò di grande aiuto quando inventò il sistema Ministeriale di Controllo e Regolamentazione della Metropolvere.”

“No, non iniziare a citare quel libro, Perce, o giuro su Rowena che prendo la bacchetta, ti Pietrifico e ti lascio in mezzo alle statue romane.”

“Come un centurione?” le domandò Percy divertito da quella minaccia irrealizzabile, perché sapeva benissimo che Fera non aveva con sé la bacchetta.

La frase di Percy richiamò alla mente di Fera Rory Williams, personaggio di Doctor Who, ribattezzato l'ultimo centurione, e l'associazione di idee la fece rabbrividire, avrebbe voluto trattare male Percy ma questo sarebbe stato ciò che Amy – fidanzata e poi moglie di Rory - avrebbe fatto, e lei non voleva passare per l'Amy di turno. No, decisamente no.

“Ora tocca a te, Perce, non hai mai raccontato come hai conosciuto Audrey...” disse Fera per cambiare drasticamente argomento e interrompere quell'affinità che ogni tanto la faceva sentire bene e pensare che le cose sarebbero potute essere diverse.

“L'hanno assegnata al mio Ufficio al Ministero,” esordì.

“Per Rowena! Non è da te provarci con le collaboratrici, cosa mi nascondi, Weasley? Hai anche tu un lato oscuro?” scherzò Fera.

“Mi sembra una semplificazione eccessiva, le cose sono molto più complesse: a quei tempi, come sai, non... io non...” Percy era in evidente difficoltà nel raccontare quanto era successo e Fera ne comprese il motivo.

“Diciamo che non ero in buoni rapporti con la mia famiglia, la guerra aveva reso un inferno lavorare al Ministero. Tu sei scomparsa, ed io lo capisco, perché quella è stata l'unica volta in cui non ho avuto ragione. È stato un incubo, finché non è comparsa Audrey. Lei mi è stata vicina senza chiedere nulla, dandomi modo di capire la cavolata che stavo facendo. Eravamo al ballo di Natale organizzato dal Ministero della Magia, e fuori c'era un acquazzone tremendo la notte che ci siamo baciati.”

Percy camminava guardandosi le punte dei piedi, ogni tanto alzava lo sguardo davanti a sé senza guardare un punto preciso.

Fera disse solo: “Lo capisco.” Ricordava fin troppo bene quei giorni, la sensazione che il mondo stesse cadendo, la solitudine che divorava le vite e la paura di morire.

Lei, poi, Nata Babbana, aveva dovuto sparire dalla circolazione nel momento esatto in cui aveva ricevuto l'ordine di presentarsi al Ministero della Magia per verificare lo stato di sangue. Si era rifugiata in un minuscolo villaggio delle Shetlands e non aveva detto niente a nessuno, neanche a Med, per non comprometterla.

Fera aveva vissuto in una piccola comunità di pescatori Babbani: dava lezioni di inglese e matematica ai bambini dell'isola in cambio di vitto e alloggio e la sera si sintonizzava su Radio Potter pregando di non sentire i nomi dei suoi amici.

La guerra le aveva dimostrato che non era vero che maghi e Babbani fossero uguali, che il sangue contava, perché i figli di maghi riuscivano a stare nel loro mondo, condividendo la paura con le persone che amavano, mentre lei era stata costretta a rifugiarsi in mezzo ai Babbani, espulsa dal mondo in cui era entrata ad undici anni.

La fine della guerra le aveva dato la speranza di poter nuovamente appartenere a quel mondo, e si era ritrovata con Med, e il lavoro al San Mungo la gratificava, finché non era arrivato Charlie con i suoi draghi e tutto era stato stravolto e lei era stata nuovamente lasciata indietro.

Quei pensieri finirono per turbarla profondamente, così salutò Percy, gli disse di tornare da Audrey e dalle sue bambine, di non preoccuparsi per lei, che stava bene davvero e che si sarebbero rivisti al matrimonio di Med, semmai ci sarebbe stato.

Era meglio interrompere violentemente il ricordo di quegli eventi perché le ferite non si erano ancora del tutto rimarginate e più che l'abbandono di Charlie, era il ricordo della rottura con Percy a rischiare di farle crollare tutto, il pensiero che avrebbe potuto essere più paziente e aiutarlo a far pace con la famiglia invece di fuggire sbattendo la porta. Certo, quello che c'era stato tra lui e Med non aveva aiutato, ma se solo fosse stata più forte...

 

 

 

 

 

 

NdA: Eccomi con il terzo capitolo. Dovevo pubblicarlo ieri sera, ma avevo bisogno di fare il punto nel ferusa!verse per raccordare il tutto.

Per la storia di Percy e Audrey ho fatto riferimento agli eventi narrati in “Una brezza lieve” di ferao (leggetela se non l'avete fatta perché Percy è l'amore! E perché ferao cercherà in tutti i modi di dissuadervi dall'intraprendere una simile lettura. Ignoratela e fidatevi di me. u.u), in particolare, l'evento del ballo è narrato nel capitolo 10.

Il complicato intreccio di Fera/Percy e Med/Percy è dato dalle storie “E graffierò ogni tua cellula” di MedusaNoir e “Mentre i Pennuti suoneranno da un cielo ametista” di ferao. Vi consiglio di leggere anche queste storie, non tanto per capire la trama che ci sta dietro, quanto perché sono belle storie. Ecco.

Infine, la descrizione del Pantheon letta da Percy nella guida turistica è presa da Wikipedia (perdonate la pigrizia!).

Vado a scrivere il quarto e il quinto capitolo che stasera scade l'evento e porca paletta devo finire *Sev agguerrita*!

A presto!

Sev

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Capitolo 4
*** Riappacificare due nature ***


Gli incubi erano tornati ad ossessionarla come un tempo, più di quanto non facessero i primi giorni trascorsi a Roma.

Claudia si era accorta immediatamente dell'aria con cui l'indomani Fera si era presentata in Basilica e del modo in cui aveva detto a Percy di partire quando lui, ancora una volta, si era presentato con l'aria smarrita di chi non ha capito nulla.

Percy infine era partito, anche perché le visite e le riunioni con il Ministro della magia italiana erano terminate e lui non aveva altri motivi per trattenersi a Roma.

La sua partenza, tuttavia, non aveva portato il sollievo sperato.

Fera continuava a lavorare in Basilica con il solito impegno, anche se era meno brillante, meno divertente e meno concentrata del solito. Persino il prete che ogni volta che andava in Basilica per il turno delle confessioni e passava a salutare “i ragazzi del Museo”, come li amava definire, persino lui si era accorto che qualcosa non andava in Fera.

Le domandò se avesse voglia di parlare con qualcuno, di raccontare cosa le stava succedendo, ma Fera declinò l'offerta con estrema gentilezza. Non voleva essere maleducata, ma non poteva rivelare a un prete – per quanto simpatico e alla mano – che lei era una strega e che era vissuta nel mondo magico e tutto quello che tornava a farle male.

Era stato Federico, quindi, ad imporle di parlare. Il primo giorno di riposo di Fera era andato a trovarla preoccupato dal suo silenzio. Di solito, loro si sentivano tutti i giorni e commentavano le puntate delle serie tv che guardavano assieme e si raccontavano la giornata rivelandosi una marea di aneddoti. In quei giorni, tuttavia, aveva notato che qualcosa si era come spezzato. Inizialmente non vi aveva fatto caso, anche perché era alle prese con un importante progetto a lavoro, la sera usciva tardi dall'ufficio e con Fera si erano sentiti velocemente per darsi la buonanotte.

Tuttavia, non appena l'emergenza lavoro era rientrata e la consegna era stata rispettata, Federico non aveva potuto fare a meno di notare il silenzio della sua ragazza sul telefono e, cosa inaudita, sui social network.

Erano giorni che non commentava i blog che seguiva ed erano altrettanti giorni che non gli lasciava un messaggio o una mail. Il fiume di parole che alimentava costantemente Fera sembrava essersi prosciugato all'improvviso e questo era estremamente preoccupante.

Federico vagava per il piccolo monolocale di Fera, cercando segni che potessero rivelargli il malessere della sua fidanzata quando trovò appoggiata sulla scrivania quella che aveva l'aria di essere una bacchetta magica.

Fera uscendo dal bagno lo sorprese ad osservare incuriosito la bacchetta in una mano.

“Cosa stai facendo?” gli domandò.

Federico le sorrise, sistemò gli occhiali con quel gesto che – Rowena – le ricordava Percy più di quanto non avrebbe voluto ammettere e disse: “Sei caduta nel tunnel dei giochi di ruolo, vero? Una cosa come il Signore degli Anelli, giusto? Ed è per questo che non sei più tu. Devo chiamarti Gandalf la bianca?”

Fera guardò Federico per un istante. Si soffermò sul profilo regolare, sugli occhi verdi e curiosi, sul fisico asciutto e sportivo, sul taglio nuovo che si era fatto e che continuava a sembrarle troppo corto. Pensò che lei non era meglio di Percy, visto che in quel preciso momento stava mentendo a quel ragazzo, tenendogli nascosta una parte della sua vera natura e il suo passato.

“La verità potrebbe sconvolgerti, Fede,” gli disse piano.

Le si avvicinò ridendo, l'attirò a sé dalla cintura dell'accappatoio che ancora aveva indosso e le disse: “Che non sei diventata Gandalf il bianco, ne ho appena avuto la prova, che cosa dovrebbe sconvolgermi?”

“Il fatto che sono una strega,” gli disse.

Federico alzò gli occhi al cielo, sbuffò e le disse: “Fera, quante volte ti ho detto che nei giochi di ruolo è bello cambiare? Non puoi essere sempre una donna! Insomma, lì fuori è pieno di orchi e chissà quali altre creature che vogliono mettere le mani su una fanciulla graziosa come te, e tu ti metti su un piatto d'argento?”

Fera allontanò Federico, indossò una lunga t-shirt con il logo degli Stark di quella nuova serie che avevano appena iniziato a seguire “Game of Thrones”, lo guardò mentre aveva ancora in mano la sua bacchetta magica e gli disse: “Non c'è nessun gioco di ruolo, Fede. Io sono una strega, lo sono davvero.”

Federico la guardò divertito, ma sembrava ancora non riuscire a crederle sul serio, tanto che disse: “Sì, va bene, quando ti arrabbi sei terrificante, ma non ti sembra di esagerare, al massimo sarai una fata...”

Fera sorrise per la sciocchezza che aveva appena sentito, si decise a prendergli la bacchetta dalle mani e farne uscire delle scintille rosse dalla punta.

“Vedi? E poi, le fate sono creature sciocche, i maghi e le streghe le usano come elementi decorativi, non osare paragonarmi a una fata!”

Federico guardò la bacchetta: l'aveva studiata a lungo senza trovare alcun tasto.

“Molto divertente, qual è il trucco?”

I Babbani... Era proprio vero che crederebbero a tutto pur di non vedere la magia, anche se ce l'hanno sotto gli occhi. Fera mosse la bacchetta e fece levitare un paio di libri nella stanza, e quando Federico la guardò con aria dubitativa per l'ennesima volta, si incavolò e fece levitare anche lui. Alla fine, lui le credette.

“Fera, è grandioso, perché non me l'hai mai detto?” esclamò realizzando che la magia esisteva nel mondo reale e non era solo una finzione letteraria!

“Perché non volevo più usare la magia, perché nel mondo magico sono stata fin troppo male...” rispose lei.

“Il mondo magico? Vuoi dire che non sei l'unica?”

Fera sospirò e dovette raccontargli di come tutto ebbe inizio il giorno che la professoressa Sprite bussò alla porta di casa sua, di Hogwarts, di Diagon Alley, della guerra, dei suoi genitori che non riusciva più a rintracciare e... di Charlie.

“Vuoi dire che il tuo ex era un allevatore di Draghi? Come quelli di Danaerys?”

Fera scosse la testa: la sua vita non era un videogioco o un telefilm!

“Sì, più o meno...”

“Che figo!” si lasciò sfuggire Federico.

Fera perse la pazienza, perché non poteva sopportare che anche lui subisse il fascino di quelle lucertole sputafuoco e non avrebbe tollerato che giustificasse Charlie: “No, non è figo, non è per niente figo! Mi ha lasciato per andare nella Terra del Fuoco con quei maledetti Draghi e realizzare il sogno di un allevamento dove fossero liberi di scorazzare!”

“Fera, capisco che ti abbia ferito, e lui è un idiota a perderti così, ma cavolo... i Draghi!”

Esasperata, Fera provò a recuperare le fila del discorso: “Sono stata così male che la mia magia si è spenta: anche le magie più semplici non mi uscivano, forse volevo tornare a vivere da Babbana, perché da piccola ero felice...”

“Babbana?” la interruppe Federico.

“I Babbani sono coloro che non hanno poteri magici,” spiegò.

Federico ci rifletté su e poi disse: “Ad ogni modo, sembra offensiva come parola...”

“Beh, non lo è... è da sempre che gli umani senza magia si chiamano Babbani, quelli con i poteri magici sono i Maghi e le Streghe,” spiegò Fera e continuò: “A volte capita che nelle famiglie Babbane nasca un Mago o una Strega, anche se non è ancora chiaro perché la magia nasca in alcune persone spontaneamente. Ad esempio, i miei genitori sono Babbani.”

“Adesso la tua magia sta tornando?” le domandò Federico.

“Sì, e non so cosa fare... è come se due parti di me, il mio passato e il mio presente fossero in guerra tra loro.”

“Fera, che tu abbia la magia o no, tu sei sempre Fera, sei sempre la ragazza meravigliosa che amo,” le disse prendendole le mani tra le sue.

Fera si lasciò andare all'abbraccio di Federico, anche se sapeva che l'entusiasmo iniziale si sarebbe raffreddato e che una volta assorbita la notizia sarebbero emersi i problemi e non sapeva se sarebbe stata in grado di spiegargli tutto e tradurre ogni cosa. Ad esempio, cosa avrebbe detto Med di lui? E Oliver? E i suoi amici del mondo magico? E lui come avrebbe giudicato il mondo da cui proveniva? Come una gabbia di matti?

Poteva spiegargli che si entrava a Diagon Alley dal retro di un pub battendo la bacchetta su dei mattoni, e come sarebbe stato per lui osservare le magie senza poterle fare?

Tutte queste domande le ronzavano nella testa, anche se in quell'esatto momento, mentre lui la stringeva a sé, Fera voleva credere con tutta sé stessa che ogni cosa sarebbe andata bene e che era possibile per un Babbano avere la moglie strega ed essere felici in entrambi i mondi.

“Ma dimmi,” le disse accarezzandole i capelli, “sai anche viaggiare nello spaziotempo?”

Fera ridacchiò e si limitò a rispondere: “Sono una strega, non un Signore del Tempo...”

“Peccato, allora dovremo continuare ad aspettare una cabina blu.”

Fera si addormentò tra le braccia di Federico e ringraziò mentalmente Rowena Ravenclaw di avere un fidanzato con la mente aperta e il senso dell'umorismo.

Quella pace ritrovata tra i due mondi, tuttavia, in conformità a tutte le statistiche di Babbanologia, non sarebbe durata a lungo. Infatti, la professoressa Burbage aveva sempre spiegato che il momento più difficile per un Babbano che ha una relazione d'amore con una strega arriva dopo: nello gestire lo Statuto di Segretezza Magica, non poter dire a nessuno la condizione della propria fidanzata e il senso di inferiorità che man mano affiora.

Fera si era attrezzata per far fronte a tutto ciò: aveva continuato a vivere da Babbana come se niente fosse, anche se ogni tanto la magia riaffiorava in modo spontaneo. Erano cose da poco conto, piccole levitazioni quando lui le faceva il solletico, luci fluttuanti e quegli esempi di magia spontanea che compaiono anche con i bambini. Fera aveva bisogno di esercitare i propri poteri magici per riprendere il controllo sulla magia e passava la sera a ripassare gli incantesimi imparati ad Hogwarts.

Federico guardava con timore la bacchetta magica sul comodino da quella volta in cui le aveva chiesto di trasformare il peluche in un ranocchio e lei lo aveva accontentato.

Nei giorni seguenti, Federico divenne strano. Fera studiò nuovamente il testo di Babbanologia, consultò gli appunti suoi e quelli di Percy per trovare qualcosa che potesse aver detto la Professoressa Burbage a lezione e che poteva esserle sfuggito, senza tuttavia trovare nulla.

Federico stava diventando meno divertente e questa volta era lui a parlare di meno, come se la mente fosse da un'altra parte.

Fera provò a parlarne con lui, che tuttavia negava qualsiasi problema, sostenendo solo che fosse un periodo difficile a lavoro e che il loro rapporto non era cambiato.

Si maledì per non avere né del Veritaserum – sebbene il suo uso fosse deprecabile – né per essere brava nella Legilimanzia – sebbene Med avesse insistito migliaia di volte per darle delle lezioni. Avrebbe potuto scrivere a Med se non fosse incerta sul dove trovare un gufo per consegnarle la lettera. Al pensiero del gufo, Fera si ricordò improvvisamente delle foto scattate con Percy che aveva fatto stampare e che non era riuscita a consegnargli. Ricordò le chiacchiere con lui e pensò che persino un consiglio di Percy – che aveva sempre ragione – le avrebbe fatto bene per fare un po' di chiarezza a quanto stava accadendo a lei e Federico.

L'aggiornamento della homepage di Facebook, tuttavia, rese superfluo ogni consiglio. Sulla home in tutta la sua brutalità comparve la verità che Fera tanto cercava. I colleghi di Federico avevano pubblicato una serie di foto scattate durante la festa dell'azienda cliente per la quale avevano lavorato giorno e notte. In tutte le foto Federico era attaccato ad una tizia bionda: parlavano in secondo piano rispetto ai due colleghi che avevano postato le foto, in un'altra foto – addirittura – ballavano! E c'era anche chi faceva lo spiritoso nei commenti per la nuova conquista di Federico.

Mentre scorreva la galleria di immagini, la verità emergeva sempre più nitida e così anche il nome della tizia: Giada. La gelosia e le lezioni di informatica fecero il resto. In poco tempo Fera riuscì a risalire al profilo Facebook di questa Giada, un senso di nausea l'assalì quando vide la foto profilo con lei in bikini.

“Tipico...”

Gli stati, poi, erano di uno svenevole che neanche la fanfiction più fluffosa avrebbe potuto raggiungere. Quel “so che mi pensi...” con quei puntini sospensivi messi per alludere al fatto che sì, Federico, il suo Federico quel giorno a quell'ora era con lei, nel suo monolocale con l'aria assente, mentre lei stava colpevolizzandosi per la sua natura da strega!

Quella storia andava avanti da prima che lei confessasse la sua natura magica. All'improvviso vide il viscido essere che era: altro che “i Draghi sono fighi!” o “Sei la mia streghetta speciale!” Quest'affronto era peggiore del tiro che Bill aveva tirato a Med! A pensarci bene, questa Giada assomigliava anche a quell'oca starnazzante di Fleur!

Fera nascose la bacchetta perché Federico sarebbe arrivato da lì a poco e avrebbe rischiato di fare una brutta fine se lei avesse avuto la bacchetta a portata di mano. Sentì bussare, ma non era la porta, era un gufo che batteva il becco contro il vetro della sua finestra con una lettera legata alla zampa.

 

 

 

 

NdA: Ecco il quarto capitolo!

Forse non l'ho detto, ma la storia è ambientata nel 2011 e nell'Aprile 2011 è andata in onda in America la prima stagione di Game of Thrones, quindi fate riferimento a quel periodo per tecnologia/serie tv. La prima stagione con Eleven va in onda nel 2010 e quindi anche i riferimenti a Rory e Amy sono pertinenti, o almeno credo di non aver fatto casino e dovrebbe tornare tutto, se c'è qualche errore, perdonatemi! :D
Al prossimo e ultimo capitolo! 
Sev

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Capitolo 5
*** Maledizione, Percy... ***


Il gufo era di Med e portava una lettera dal tono preoccupato, furente, preoccupato, gioioso, per finire minaccioso, come sempre Med terminava le sue missive. In quella lettera lunga circa due rotoli di pergamena, l'amica le raccontava di quanto l'avesse cercata, delle preoccupazioni, dei timori e dei controlli che faceva giornalmente al Pronto Soccorso per Maghi per sapere che fine avesse fatto la sua migliore amica.

Raccontava anche di come stava andando la storia con Oliver, di come il Portiere e l'infermiera fossero una coppia fissa e avessero iniziato a convivere da un po' di tempo. Aggiunse che Oliver non era male, sebbene fosse un Grifondoro. Poi, le diede la notizia del matrimonio con il solito tono entusiasta di Med, ed esigeva che lei fosse presente. Spiegava che il giorno stesso che Oliver le aveva fatto la proposta, Med aveva pensato di doverlo dire per prima a Fera, perché c'era bisogno che loro due analizzassero la faccenda insieme, come sempre avevano fatto. Insomma, sposarsi era un gran passo e bisognava farlo con convinzione, non come quell'idiota di Bill Weasley.
Med si era quindi accorta di non avere idea di dove fosse finita Fera e che le venne un'illuminazione, forse un briciolo di quella Vista che tanto aveva fatto disperare la Cooman. Insomma, le era venuto in mente Percy – e la cosa era rivoltante – ma si era decisa a dare retta a quell'immotivata e irragionevole illuminazione ed era andata proprio da lui. Lo aveva rinchiuso in ufficio e costretto a dire dove si fosse nascosta la sua migliore amica, sotto lo sguardo terrorizzato di Audrey.

Med si perdeva in disquisizioni su quanto una Serpeverde arrabbiata e motivata potesse essere terrificante, finché Percy non le aveva rivelato di aver saputo che Fera lavorava a Roma. Audrey aveva lanciato uno sguardo sorpreso e arrabbiato verso Percy, ma Med non aveva capito cosa potesse voler dire anche se era quasi certa di aver fatto una gaffe imperdonabile. Ad ogni modo, l'importante era il risultato e lei aveva saputo dove trovare la sua amica, così era corsa a cercare un gufo internazionale per spedire questa missiva e invitare la sua migliore amica in Inghilterra per organizzare il matrimonio e piantarla di fare l'eremita.
Med si diceva ancora preoccupata per lei, e concludeva dicendole che aveva sguinzagliato informatori per tutta Roma e che se non si fosse presentata entro una settimana sull'uscio di casa sua... beh poteva star certa che sarebbe stata lei a comparire sull'uscio di Fera e non sarebbe stato piacevole.

Fera sorrise nel leggere il racconto dell'amica. Si domandò se Percy non fosse finito nei guai per causa sua – ma perché poi? - così prese un po' di fogli, la sua bic inseparabile e scrisse una risposta per Med, visto che il gufo si era appollaiato sulla sedia di fronte a lei e la guardava con aria minacciosa.

“Ti prendo acqua e un po' di... ti piace il salame? Ci sarà da pazientare un po'.”

Scrisse una risposta a Med rassicurandola sul fatto che quasi certamente non aveva messo nei guai Percy, perché sì, si erano visti ma avevano parlato dei tempi di Hogwarts e lui si era detto innamorato di Audrey e non c'era nulla da temere. Poi, le raccontò di Federico, di quanto aveva appena scoperto e del fatto che tra un mese sarebbe terminato il suo contratto di lavoro al Museo della Basilica e che quindi avrebbe dovuto attendere fino a quel giorno prima di tornare in Inghilterra – insomma, Med conosceva fin troppo bene la precisione di Fera! - e pertanto la invitava ad attuare la minaccia non tra una settimana, ma tra un mese nel caso Fera non si fosse presentata sull'uscio di casa.
Aggiunse che aveva imparato un'enormità di cose dai Babbani e che addirittura aveva imparato ad usare la tecnologia! Concludeva la lettera dicendo di non vedere l'ora di riabbracciarla e che in quel mese avrebbero potuto continuare a scriversi via gufo, ma che avrebbe dovuto attendere il gufo di Med per le risposte perché Fera non aveva idea di dove trovare un gufo a Roma, considerato che era pieno solo di piccioni e gabbiani.

Stava guardando il gufo spiccare il volo quando suonò il citofono: era Federico. Adesso, Fera si sentiva più forte di mezzora prima. La lettera di Med l'aveva sollevata: lei non era sola, lei aveva degli amici che si erano preoccupati della sua scomparsa, che l'avevano cercata e che erano disposti a mandare gufi minatori pur di rivederla, e questo era qualcosa che quell'insulsa Giada non avrebbe mai avuto.

Federico entrò come se niente fosse, anche se la sua espressione cambiò radicalmente quando vide Fera con le braccia conserte che indicava la foto in cui lui ballava con Giada.

“Fera... posso spiegare...” fu il pessimo inizio.

“Fammi capire, anche lei ha sangue di Veela e ti è impossibile resisterle?” domandò sarcastica.

“Sangue cosa?”

Ovvio, non poteva capire quelle battute, non sapeva cosa fossero le Veela.

“Era una festa, dovevamo curare le pubbliche relazioni...” continuava a giustificarsi.

“E tu lo hai fatto molto bene a giudicare dai commenti che si leggono... Fede, ti stai dando la zappa sui piedi. Sparisci prima che perda la pazienza.”

“Fera, io ti amo, io non so cosa mi è preso...”

“Stai peggiorando la situazione. Vai da Giada – sì, so come si chiama – che sa che stai pensando a lei. Hai fatto la tua scelta, ed io sto bene. Vai.”

Fera era irremovibile, in quell'istante rivedeva Bill Weasley, sentiva le farneticazioni che le aveva raccontato Med e ciò la rendeva solo più determinata a non volerlo avere tra i piedi. Se c'era da allontanare le persone, poi, Fera era un fenomeno ad usare la freddezza.

“Sono certa che lei sia una fidanzata all'altezza di un professionista, secondo i canoni di tua madre, che non lavora in un Museo. Vai, sarete... siete una coppia bellissima.”

“Fera...” Federico provò ad avvicinarsi e attirare Fera verso di sé. No, l'aria da cucciolo bastonato non avrebbe funzionato. Allontanò violentemente il braccio dalla sua presa e gli disse: “Non osare toccarmi. Sparisci dalla mia vista. Adesso.”

Federico, forse anche spaventato dal possibile uso della bacchetta magica, indietreggiò e provò a domandare: “È possibile che resteremo amici?”

“Non pensarlo neanche...” rispose Fera sbattendogli la porta in faccia.

Forse era stata un po' troppo brusca, ma che cavolo, lui se l'era cercata e sapere di Med le aveva messo addosso talmente tanta energia e voglia di tornare in Inghilterra che liquidare Federico sarebbe stata roba da poco conto. Del resto, dopo essere sopravvissuta a Charlie, nulla poteva spaventarla.

La nostalgia di Federico sopraggiunse in serata, quando l'adrenalina scese, mentre stava scegliendo cosa guardare sul pc. In quel momento, l'abitudine nel sentirlo vicino, commentare insieme le puntate sopraggiunse a ricordarle la solitudine. Il pensiero di essere stata lasciata, di nuovo, non le fece chiudere occhio.

Nonostante la rottura con Federico il mese volò: dovette disdire il contratto di affitto urgentemente e spiegare al Museo della Basilica che non avrebbe chiesto il rinnovo del contratto. Infine, come se ciò fosse più semplice, c'era il trasloco da organizzare. Fortunatamente, da questo punto di vista il ritorno dei poteri magici l'aiutava non poco e una borsa con un incantesimo autorestringente riuscì a far entrare tutte le sue cose. Cercò il libro degli incantesimi domestici per lasciare l'appartamento immacolato e riuscire a negoziare sulla restituzione della caparra.

Med, nel frattempo, le aveva annunciato di essere riuscita a fissarle un colloquio di lavoro al San Mungo e a trovare un appartamento a Diagon Alley.

Il giorno che Fera riabbracciò Med venne letteralmente stritolata dalla sua amica. Era una giornata di metà settembre con il sole ancora tiepido e il mondo sconvolto da quanto era accaduto negli Stati Uniti. In quei giorni Fera aveva temuto di non riuscire a partire, ma con un po' di fortuna, una pila di libri in aeroporto e tanta pazienza era riuscita a prendere l'aereo per tornare nella sua Londra.

Non appena mise piede sul suolo britannico sentì l'aria frizzante di casa e corse fuori, dove Med e Oliver l'attendevano. Fera e Med iniziarono a parlare fittamente come se non si fossero viste da qualche giorno, riprendendo i discorsi proprio dove li avevano interrotti nelle lettere. Med le chiese notizie di Federico e Fera disse che non ne aveva e che l'aveva anche cancellato dalla lista di amici di Facebook e bloccato perché non voleva vederlo comparire neanche nei tag degli amici in comune. Raccontò delle lacrime di Claudia in aeroporto e della promessa che si sarebbero riviste e tenute in contatto.
Med ascoltava e faceva espressioni strane quando nominava termini tecnologici, ma non la interrompeva. Parlarono del matrimonio, che si avvicinava sempre di più e che era previsto per dicembre. Fera avrebbe trascorso dei giorni a casa di Med perché la casa in Diagon Alley ancora non era pronta.

Si lasciò tiranneggiare da Med, chiamò degli amici per poter aggiornare tecnologicamente il suo appartamento perché non voleva rinunciare a guardare le proprie serie tv e tanto meno poteva abbandonare i lettori fedeli del suo blog e quelle pazze fangirl che aveva conosciuto in Italia.

Al San Mungo finì nel reparto Filtri, dove poté riprendere a preparare pozioni di ogni tipo e continuare le ricerche interrotte sul sangue di Drago. La cosa più bella del lavoro al San Mungo era trascorrere la pausa pranzo con Med anche se la costringeva a parlare del matrimonio.

I mesi volarono letteralmente e il giorno del solstizio di inverno venne celebrato il matrimonio tra Med e Oliver Baston. Fera era la testimone della sposa, mentre testimone dello sposo era Percy.

In quei mesi erano stati entrambi così presi dal lavoro e dall'organizzazione del matrimonio che non avevano avuto neanche il tempo di parlarsi. Fera notò subito che Percy, al di là dell'aria fuori posto che aveva sempre, sembrava a disagio. Eppure, la presenza di così tante celebrità del Quidditch e del mondo magico avrebbero dovuto fargli fare la ruota come un pavone: lui, il testimone dello sposo e assistente personale del Ministro della Magia!

Durante il banchetto, quando gli sposi iniziarono a fare il giro dei tavoli e tutti ebbero salutato tutti, finalmente riuscirono a parlarsi.

“Sei venuto da solo al matrimonio?” esordì Fera.

“Anche tu, vedo...” fu la risposta di Percy.

“Federico ha preferito una senza bacchetta...” sintetizzò lei.

“Mi dispiace.”

Fera non vedeva Percy così ermetico dai giorni della rottura con Penelope Light, così gli domandò: “Che succede, Perce?”

“Ti va di fare due passi?” le domandò con un tono che sembrava una supplica. Fera annuì ed uscirono a camminare in mezzo alla neve avvolti dai mantelli. Si guardava le punte delle scarpe, e Fera capiva che non sapeva da dove cominciare. Lo vide alzare lo sguardo e sistemarsi la montatura degli occhiali per poi confessare: “Audrey mi ha mandato via di casa.”

Fera spalancò gli occhi sbalordita. Non voleva essere indiscreta, ma di fronte ad una tale confessione non poté fare a meno di chiedergli il perché.

Percy le raccontò allora quanto Med non poteva sapere. Il giorno in cui Med era piombata nell'ufficio di Percy e aveva estorto l'indirizzo di Fera, Audrey aveva capito che l'umore di Percy dopo il rientro dal viaggio in Italia era certamente dovuto a Fera. Lo accusò di averle mentito, di nasconderle la verità e gli intimò di andarsene via di casa. Percy aveva provato a rimettere le cose al loro posto, a rassicurare Audrey del suo amore, ma quando lei aveva saputo da Oliver che Fera sarebbe tornata a Londra gli disse senza troppi giri di parole di andarsene via o non gli avrebbe più fatto vedere le bambine.

Di fronte quella minaccia, Percy si era confrontato con Seamus Finnegan che era diventato un magiavvocato esperto nel settore delle separazioni. Seamus aveva parlato con Audrey e aveva capito che non c'erano margini per una composizione e che in certe situazioni, per salvare la civiltà dei rapporti, era meglio acconsentire alla separazione e trovare un accordo ragionevole.

“Ma...” Fera era senza parole, guardava Percy addolorato e non riusciva a credere che quanto Federico aveva fatto era successo al suo migliore amico e che lei era accusata di essere la Giada di turno.

Si fece coraggio e formulò la domanda che a Roma era rimasta senza risposta: “Perce, ma Audrey aveva ragione di dubitare di te? Insomma, a Roma sembrava che fossimo tornati amici.”

Un vento freddo entrava tra le pieghe del mantello facendola rabbrividire, mentre la neve iniziava a cadere silenziosa. Percy si strinse nelle spalle, sospirò e disse: “Audrey e le bambine sono la mia vita, ma da quando sono tornato da Roma spesso mi sono sorpreso a pensare che preferirei parlare di come è piuttosto che di come sarebbe potuto essere, e credo che Audrey se ne sia accorta.

“Maledizione, Percy...” disse piano Fera. Maledizione. Era peggio di un tradimento. Un tradimento puoi perdonarlo alla fine, puoi giustificarlo come un momento di debolezza, ma come fai a vivere con un uomo che fa certi pensieri? Su di lei, poi.

“Fai proprio dei pensieri idioti, lo sai? Queste sono cose a cui uno non dovrebbe mai pensare,” continuò Fera.

“Abbiamo firmato l'accordo di separazione a fine novembre, puoi capire perché un matrimonio mi metta a disagio,” confessò.

“Maledizione.”

Percy guardava per terra mordendosi le labbra nervosamente ed era rigido come se lo avessero Pietrificato e certamente non era in grado di tornare dentro e affrontare una festa. Al tempo stesso, rimanere sotto la neve era impensabile perché la temperatura stava scendendo e le scarpette di raso di Fera erano già zuppe di neve.

Camminarono fino ad un capanno che faceva parte della villa che Med aveva noleggiato per il matrimonio ed entrarono dentro.

“Che razza di idea sposarsi a dicembre!” esclamò Fera mentre accendeva un fuoco per scaldarsi. Invitò Percy a sedersi sopra le balle di fieno e in poco tempo riuscirono a recuperare un po' di calore.

Percy fissava il fuoco con aria assente, certamente preoccupato per come sarebbe stata la sua vita d'ora innanzi senza Audrey e le bambine.

“Sono destinato a stare da solo...” diceva sottovoce.

Fera evocò la bottiglia di Firewhisky che teneva sempre da parte per le emergenze – e questa, maledizione, era un'emergenza – e riempì due bicchieri. Percy avrebbe potuto scolarsi la bottiglia e non accusare colpo, ma lei aveva bisogno di scaldarsi un po' perché in qualche modo si sentiva responsabile per quanto era accaduto. Porse il bicchiere a Percy e le loro dita si sfiorarono. Percy alzò lo sguardo verso di lei e gli occhiali gli scivolarono leggermente lungo il naso.

Dannazione. Quello sguardo.
Fera mandò giù il bicchiere di Firewhisky per non sentire la tensione che aleggiava in quel capanno. Erano lì, soli, disperati e con un bisogno folle di riavvicinarsi.

Prima che Fera potesse fare qualcosa di molto stupido – come le stava suggerendo la parte stupida del cervello – Percy posò il bicchiere vuoto a terra, le prese il suo dalle mani e lo posò accanto al proprio. Si sistemò gli occhiali sul naso, prese la mano di Fera intrecciando le sue dita a quelle di lei mentre continuava a guardarla negli occhi.

La sua espressione era seria, come se stesse facendo qualcosa di estremamente importante. Il tocco delle dita era al tempo stesso familiare e sconosciuto perché erano passati molti anni dall'ultima volta in cui Fera aveva sentito quelle dita sottili e nervose tra le sue, ed era altrettanto tempo che il respiro non le si fermava in gola allo stesso modo. Percy le posò un bacio sulle labbra e il contatto le aprì un altro dei famosi cassetti della memoria.

In passato lui l'aveva ferita, o forse lei lo aveva deluso perché non era riuscita a stargli accanto quando ne avrebbe avuto bisogno. Adesso sapeva che Percy aveva bisogno di lei e anche se sarebbe stato un casino immenso per un milione di motivi, lei sarebbe stata al suo fianco.

Le braccia di Fera si portarono intorno alle spalle di Percy, mentre continuavano a baciarsi dolcemente. Sentiva lui tremare e confessarle di avere paura, ed il fatto che anche lei ne avesse non era assolutamente di aiuto. Gli accarezzò i capelli, mentre la mano di Percy le slacciava il mantello e si faceva largo tra la scollatura dell'abito da cerimonia. L'attirò a sé e Fera gli salì in braccio continuando a baciarlo e accarezzandogli il volto. Sentire di nuovo l'odore di Percy la portò su un sentiero già noto, le mani si mossero agili a sciogliere la cravatta, sbottonare la camicia, accarezzare, di nuovo, il petto pieno di lentiggini e poi scendere verso i pantaloni.

Percy le sollevò la gonna dell'abito, le spalline erano scese lungo le spalle, il corpetto dell'abito rivelava il reggiseno che dopo pochi minuti volò in un angolo del capanno. Percy accarezzava il corpo di Fera baciandolo avidamente. L'aiutò a sfilarsi le mutandine mentre la guardava come se fosse l'essere più bello sulla Terra.

Fera si muoveva sopra di lui, dando il ritmo al loro amplesso, guardandolo gemere su quel giaciglio di paglia. Forse l'indomani avrebbe accusato un mal di schiena con i fiocchi, e lei avrebbe saputo quale filtro dargli per alleviarlo. La paglia si infilava tra i ricci di Percy, mentre la testa reclinata all'indietro faceva scivolare gli occhiali verso la fronte.

Tante cose erano cambiate, ad esempio Percy non aveva riposto neanche i suoi occhiali come era solito fare, e tante erano rimaste uguali, come il modo in cui lui le stringeva i fianchi e suggeriva il movimento.

Cambiarono posizione e mancò poco che le rovinasse il vestito – maldestro e ansioso com'era – e quando i loro corpi tornarono a toccarsi dopo tutti quegli anni, Fera comprese che la sofferenza e la solitudine che aveva dovuto patire le servivano per accorgersi che l'uomo di cui aveva bisogno era sempre stato sotto i suoi occhi. Nel momento esatto in cui raggiungeva il culmine dell'orgasmo, per la prima volta dopo molto tempo avvertì di non aver più paura.

 

 

NdA: Adesso Fera mi ammazza. Ma non può lamentarsi, Percy è stato mollato da Audrey, quindi non l'ha tradita. u.u ed io ho avuto la mia scena lemon lo stesso! :D

Per fare felice risa sono riuscita a infilare la paglia (ehi, con questa scusa i prompt sono aumentati a dismisura! è_é) ma spero di essermela cavata.
Un'ultima notazione: l'accenno a non aver paura della morte è un riferimento a quanto dice Hemingway in "Midnight in Paris", ovvero che il vero amore ti porta anche solo per un istante a non sentire più paura. Nel film si parla di paura della morte, ma io ho generalizzato perché non aveva senso nel contesto parlare della morte. (a meno che non sia la mia per mano di Fera, ecco.)
*schiva gli Schiantesimi di Fera*

Non mi dilungo altrimenti sforo la consegna per scrivere i commenti.

Lascio la parola a voi, Peraoiste convinte (o meno). :3

Alla prossima,

Sev.

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