The King and the Tiger

di Gemini_no_Aki
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** My Tiger ***
Capitolo 2: *** Scars ***
Capitolo 3: *** Le Petit prince ***
Capitolo 4: *** Back home ***
Capitolo 5: *** The innocent ***
Capitolo 6: *** AU - First meeting ***
Capitolo 7: *** You're late ***
Capitolo 8: *** Never enough ***
Capitolo 9: *** By your side ***
Capitolo 10: *** Unlucky Day ***
Capitolo 11: *** I already knew ***
Capitolo 12: *** Waiting ***
Capitolo 13: *** Goodnight Tiger ***
Capitolo 14: *** Of scars and kisses ***
Capitolo 15: *** With You ***
Capitolo 16: *** Close range ***



Capitolo 1
*** My Tiger ***


Gli Inizi



La stanza era silenziosa, vuota, illuminata dall’insegna di un hotel di fronte alla sua finestra.
Chiuse gli occhi, con le mani posate sulle gambe, inspirò, poi espirò lentamente tirando indietro la testa come se stesse buttando fuori il fumo, il pacchetto di sigarette era accartocciato sul tavolo, vuoto, accanto ad un bicchiere ed una bottiglia, vuoti anch’essi.
Portò la testa avanti, premette le mani sugli occhi e li aprì, aveva bisogno di qualcosa.
Una sigaretta, qualcosa di forte da bere, un po’ di compagnia.
C’era un pub, a qualche isolato da quell’appartamento in cui viveva, non si poteva dire che fosse ben frequentato ma faceva al caso suo ed ormai era un cliente abituale.
Non si curò di cambiarsi, tra qualche ora al massimo i vestiti non avrebbero più avuto importanza.
Era annoiato, quella sera, più delle altre sere, non era stato contattato da nessuno per l’intera settimana, sembrava che a nessuno interessassero più i suoi servigi, ma da qualche parte, in giro per Londra, c’era sicuramente qualcuno che aveva bisogno di lui, doveva solo trovarlo.
Si appoggiò distrattamente al bancone senza dar realmente peso a quel che buttava giù, una giovane donna si avvicinò, iniziò a strusciarsi contro di lui provocante, si chinò a mordicchiargli l’orecchio, lui finì il bicchiere in un sorso e si voltò.
“Non questa sera, Anya.”
Disse alzandosi velocemente e avvicinandosi ad un tavolo lasciando la donna a sbuffare per un attimo prima di adocchiare un nuovo
compagno per la serata.
Era sicuro di non averlo mai visto, oltretutto sembrava fuori posto in quel pub, con quei vestiti costosi addosso, decisamente fuori luogo per un posto in cui i vestiti sarebbero finiti quasi sicuramente sul pavimento del bagno.
“Di solito se qualcuno è interessato a me mi offre qualcosa, o quantomeno si presenta.”
“Oh, non ho dubbi che lo facciano.”
Lo sconosciuto ben vestito sorrise nel vederlo esitare alcuni secondi.
“In ogni caso io non sono un semplice qualcuno, ma sarei comunque interessato a te.”
Si alzò lisciandosi il completo scuro e avvicinandosi, lo afferrò dalla maglia facendolo abbassare al suo livello senza smettere di sorridere.
“Invero sono molto interessato a te.”
Sussurrò al suo orecchio.
C’era qualcosa in quell’uomo che lo metteva in guardia, era indubbiamente affascinante, sotto ogni punto di vista, certo, ma pericoloso.
Leggeva il pericolo nei suoi occhi,lo leggeva nella voce, nel sorriso, lo leggeva in ogni fibra del suo corpo, del suo muoversi.
Ma la sua mente era contorta, ragionava in modo diverso da quella degli altri, era stato un soldato, un colonnello, aveva visto la morte, portato la morte con precisione e maestria, esattamente come avrebbe fatto un direttore d’orchestra, in alcune occasioni aveva sfiorato la morte; quando trovava qualcosa di pericoloso non scappava, non si allontanava, al contrario, lo desiderava.
“E in cosa, Mr Irlandese, saresti interessato di me?”
Domandò senza muoversi mentre l’altro si stava già avviando, elegantemente, verso l’uscita, non aveva troppi problemi a riconoscere gli accenti, come non aveva mai avuto problemi nell’imparare una nuova lingua.
Si voltò sorridendo tenendo aperta la porta del pub con una mano, quel sorriso di chi sa che non verrà rifiutato, sapeva a priori, prima ancora di parlargli, che quell’ex colonnello avrebbe accettato il suo lavoro.
“Voglio che tu sia la mia tigre.”
Un attimo dopo era sparito, a bordo di una macchina nera.
La serata non era andata esattamente come aveva previsto e come credeva sarebbe andata, quella notte non avrebbe avuto nessuna compagnia nel suo letto, ma non aveva importanza.
Infilò le mani nelle tasche, mentre camminava verso l’appartamento, vi tirò fuori in biglietto e lo guardò, una volta entrato nell’atrio, mentre aspettava l’ascensore.

Jim Moriarty
Consulting Criminal

E un numero di telefono, non un indirizzo, non altro, solo un numero di telefono ed un nome.
Non era così che veniva contattato di solito, ma come aveva detto, lui non era un semplice qualcuno.

“Hai pensato alla mia proposta, Tigre?”
Come avesse avuto il suo numero era un mistero, mistero che presto avrebbe risolto, aveva deciso.
“Accetto.”




Angolo dell'Autrice: secoli e secoli dopo l'ultima (Ah, che ricordi la mia ultima storia su loro due... =w= ) sono tornata di nuovo, per vostra grande, immensa gioia (sicura?!!).
Ora, non so se questa sarà una One-shot o qualcosa a più capitoli, non ho ancora deciso, qualunque cosa si riveli spero vi sia piaciuta.
Ho diverse versioni in mente di come Jim possa aver trovato Seb, questa è venuta spontaneamente, parola dopo parola,  e tutto sommato non mi dispiace.
Spero nemmeno a voi ;)

Bye Bye~
Aki

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Capitolo 2
*** Scars ***


Scars

Jim Moriarty si rotolò un paio di volte sul letto, da un lato all’altro, con fare annoiato, avvolgendosi sempre più nelle lenzuola.
“Torna dentro, Tigre.”
Borbottò rivolto all’uomo in boxer sul balcone, sbuffò e tornò a rotolarsi ancora tra le lenzuola calde.
Sebastian sollevò appena la mezza sigaretta che aveva in mano, niente e nessuno, nemmeno il suo capo, gli avrebbe impedito di finirla.
“Potevi aspettare domani per quella.”
Si lamentò con tono infantile ma il cecchino scosse vigorosamente, forse troppo, la testa, aveva bisogno di fumare qualcosa e avevano messo ben in chiaro che non doveva farlo in casa; il fumo si attacca ai mobili.
L’aria non era così fredda come ci si aspetterebbe in una notte, o mattina presto, di aprile, sentì Jim sbuffare, stavolta più sonoramente, e sorrise, non l’avrebbe mai ammesso davanti a lui ma si divertiva ad indispettirlo a volte.
Senza mai esagerare o tirare eccessivamente la corda, sapeva di cosa Jim era capace, e lo sapeva sulla sua pelle.
Finì, con lentezza calcolata, la sigaretta e la spense nel posacenere che ormai era parte integrante di quel balcone, poi tornò nella stanza.
Jim alzò lo sguardo e si districò dalle coperte aspettando che Sebastian prendesse il suo posto sul letto prima di accomodarsi, senza troppe cerimonie, sopra di lui.
Non parlò, iniziò a far scorrere il dito sopra alcune cicatrici che aveva visto ormai innumerevoli volte, cicatrici che, a volte, nei momenti peggiori, gli aveva procurato proprio lui.
E se ne vantava anche, questa era la verità, si vantava del potere che aveva su quel cecchino, il potere che aveva sull’uomo che amava.
“Questa...”
Mormorò seguendo col dito, in quella che poteva sembrare una carezza, una cicatrice che gli segnava il collo, come se avessero cercato di staccargli la testa dal corpo.
“Come è successo?”
La curiosità con cui caricava il suo tono a quelle domande serviva solo a coprire quell’irrazionale senso di paura che lo prendeva quando pensava a cosa doveva aver sopportato.
Sebastian non rispose subito, lasciò che Jim continuasse a passarvi sopra col dito, gli faceva quasi il solletico, ma quando il capo decise di fissarlo dritto negli occhi finchè non avesse risposto allora decise di cedere; non che non volesse dargli risposta, voleva solo vedere per quanto Jim avrebbe aspettato prima di spazientirsi.
“Credevo ancora in quello per cui combattevo, sai... La patria, la libertà e cose simili che ti dicono quando entri nell’esercito.”
Abbozzò in sorriso mentre Jim incrociava le braccia sul suo petto e si muoveva leggermente cercando una posizione soddisfacente senza smettere di guardarlo.
“Ero giovane, inesperto e, a quanto pare, anche una preda facile.”
A quell’inesperto Jim si lasciò sfuggire una risata, non era decisamente una parola che, ora come ora, collegava a Sebastian, e ancora meno a lui come ad un soldato.
“Venni catturato, insultato, legato, torturato.”
Il Consulting Criminal si morse il labbro, non sopportava che qualcuno potesse fare qualcosa di simile a Sebastian, al suo uomo, poco importava se era nel presente o nel passato, prima ancora di conoscerlo, solo lui poteva fargli del male, lui e nessun altro.
“Li uccisi, dopo mezza giornata, una volta trovato il modo di liberare le mani.”
Continuò passandogli piano una mano tra i capelli corti, come se volesse rassicurarlo.
“Non avevo notato che la corda aveva degli uncini che si erano infilati nella carne. Il risultato lo vedi.”
Concluse, con fare quasi sbrigativo, prendendosi in un certo senso la colpa di quella cicatrice.
Jim gli sbuffò sul viso, quasi offeso.
“Mi aspettavo una qualche storia emozionante. Un gran combattimento da cui tu sei uscito vincitore o...”
Borbottò qualcosa che il cecchino non comprese e, lentamente, rotolò giù, tornando disteso sul letto.
Sebastian sorrise voltandosi su un lato a guardarlo.
“Oh... Ok, magari di quegli uncini me ne ero accorto da prima, ma sarebbe stato imbarazzante, e umiliante, dirti che sono tornato alla base con questa corda uncinata attorno al collo come un collare di dubbio gusto e aver passato la notte a farmela togliere.”
Ammise sprofondando poi nel cuscino con le mani a coprirgli il volto, sentì Jim trattenere una risata mentre cercava di immaginare la scena, con un Sebastian molto più giovane che si presentava dal medico con un collare.
“La prossima volta voglio sentire qualcosa di emozionante, raccontami di uno scontro.”
Dichiarò deciso spostandogli le mani e chinandosi a baciargli il collo prima di appoggiarsi sul suo petto e addormentarsi.
Sebastian sospirò accarezzandogli i capelli, non avrebbe dormito, non ci riusciva mai con Jim così.
“Ma non sono le storie che ti piacciono, gli scontri in cui rimango ferito.”
Sussurrò, preferiva mettersi in imbarazzo e umiliarsi con quegli aneddoti piuttosto che veder Jim trattenere il respiro durante uno di quei racconti.




Angolino dell'Autrice: sarà una raccolta, ho deciso, aggiornata quando l'ispirazione verrà a bussare.
Ci saranno magari riferimenti ad altre mie Fanfic o ad altri capitoli, vedremo, in ogni caso tutto girerà attorno al Re e alla sua Tigre.
Quanto a questo capitolo invece... ero partita con l'idea di qualcosa di effettivamente serio, magari qualcosa che ricordasse al nostro Sebby un brutto momento ma che lo raccontasse per soddisfare Jim, invece... è stato imbarazzante, povero tigrotto.
Alla prossima ;)

Bye Bye~
Aki

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Capitolo 3
*** Le Petit prince ***


Le Petit Prince



Sconcerto.

Si era trascinato a casa senza premurarsi di chiamare l’autista, aveva bisogno di riflettere da solo, senza voci intorno che gli facevano chissà quali domande.
Come è successo? Dove è successo? Perché è successo?
Non sapeva e non voleva rispondere, non voleva parlare, non voleva sentirli.
Avrebbe voluto delle risposte ma loro non le avevano, come avrebbero potuto? Lavoravano per Jim senza sapere cosa avesse in mente.
Lui invece sapeva.
Il più delle volte.
Ma non questa.
Non gli aveva dato i dettagli, non gli aveva detto cosa pensava di fare.
Sebastian si lasciò cadere nella poltrona, in silenzio, immobile.
Perché?

Rabbia.

Il rumore degli spari non avrebbe infastidito nessuno in quell’appartamento di Conduit Street , nemmeno Mrs H., era così abituata che non vi faceva più caso, in ogni caso dubitava pure che fosse in casa in quel momento.
Sebastian non era il genere di persona che sfoga la rabbia urlando, assolutamente, è solo uno spreco di energia.
La sfoga sparando.
Ora, una persona normale andrebbe in un poligono, indosserebbe le cuffie e poi inizierebbe a sparare contro al bersaglio, ma nessuno ha mai detto che lui era una persona comune.
Non c’era nessun bersaglio da mirare, c’era solo il muro e la carta da parati che, pian piano si staccava sotto i colpi.
Ad essere sinceri non aveva iniziato sparando, ma alzarsi  ogni volta per riprendere le freccette era noioso, così le aveva lasciate perdere.
Quando si accorse della forma che i colpi di proiettile avevano formato sul muro lanciò la pistola, urlando.
Jim.

Dolore.

La rabbia sfumò lentamente.
Quando raggiunse il salotto, un mattino, Sebastian si sentì per un attimo disorientato, come se non riconoscesse il posto.
La confusione era qualcosa che quel salotto, e quella casa, di rado vedevano.
Non perché Jim fosse ordinato, certo non lasciava i suoi adorati completi dove capitava, ma tutto il resto sì.
Di grazia, Jim, potrei sapere perché c’è un paio di boxer sulla lampada?
Jim, il cappotto non va lasciato sul portaombrelli.
E l’ombrello non devi appenderlo all’anta dell’armadio.
Tutti pensavano che fosse ordinato, lui si mostrava come il più ordinato ma a volte era così preso da qualcosa, così impegnato che non gli importava dove mettesse le cose.
Ma il disordine di quei giorni era diverso.
Era un disordine di oggetti rotti, macchie, giornali accartocciati e fogli strappati.
Era come il passaggio di un uragano.
Sebastian osservò il salotto poi si voltò e scivolò di nuovo in camera dimenticandosi di quello che forse voleva fare.
“Jim si arrabbierà a vederlo...”
Si disse, ma non tornò indietro a sistemare.

Rassegnazione.

I morti non possono arrabbiarsi.
I morti non fanno caso al disordine.
Ai morti non importa degli oggetti rotti, del muro sforacchiato e delle macchie di sangue sul tappeto.
Ai morti non importa del sangue sulle sue mani.
Ai morti non importa più di niente.
C’era un libro sul comodino accanto al letto, dalla parte di Jim.
Il piccolo principe.
A Sebastian non piacevano quelle storie, quelle favole che sapeva che Jim amava.
Non gli erano mai piaciute.
Lo prese solo per curiosità, pronto a lanciarlo da qualche parte nella stanza dopo poche parole.
Aprì alla pagina da cui spuntava un foglio, Jim prendeva spesso appunti, se li segnava su un foglio per non dimenticarli e per non rovinare i libri.
“Per favore... Addomesticami.”
Chiuse il libro, con uno scatto, esattamente come aveva immaginato avrebbe fatto, ma non per quel motivo.
Era sempre per Jim.
Jim era la colpa di tutto.
Jim aveva finito con l’addomesticarlo, lui aveva finito col farsi addomesticare.
E ora... Ora non sapeva più come vivere da solo.
“Ah!” Disse la volpe, “... Piangerò.”
E pianse, come non faceva da molti anni.



Angolino dell'Autrice: Amo "Il piccolo principe", è uno dei libri che preferisco, probabilmente è nella Top 10, e amo la parte con la volpe.
Seb è una tigre, certo, ma è stato addomesticato in ogni caso, le cose non sono poi così diverse.
Ovviamente "Il piccolo principe" appartiene a Antoine de Saint-Exupéry, ho citato due frasi soltanto quindi immagino non ci siano tanti problemi, va beh... mi servivano...
Ovviamente non mi appartengono nemmeno Jim e Sebastian, ma questo è abbastanza chiaro.
Alcune cose, come Conduit Street e Mrs. H. sono prese dal libro "The Hounds of the D'Ubervilles", in cui il narratore è la nostra tigre al posto di John Watson.

Bye Bye~
Aki

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Capitolo 4
*** Back home ***


Back home

La prima settimana era passata bene.
Nel momento in cui si era trovato Jim davanti, dopo 3 anni, non l’aveva preso a pugni come aveva immaginato di fare.
A dire il vero Sebastian non ricorda molto di quell’esatto momento, non l’ha comunque preso a pugni.
Per la maggior parte della settimana aveva quasi fatto finta di non vederlo, non sapeva nemmeno lui se volontariamente o meno.
Jim era come un fantasma, un fantasma che si stendeva a letto di sera accanto a lui sfiorandogli la mano e baciandogli le labbra con una dolcezza che il vecchio Jim non aveva mai avuto.
Sì, doveva per forza essere un fantasma.
Dopotutto aveva passato mesi con la convinzione che Jim potesse essere vivo, che si sarebbe presentato alla porta, magari chiedendogli anche scusa.
Ma Jim, il Jim che aveva sempre conosciuto, il Jim che aveva amato, il Jim che ancora amava, non avrebbe mai chiesto scusa.
Era un’allucinazione, o un sogno davvero molto lungo.

La seconda settimana fu più difficile.
Quel fantasma, quell’allucinazione, quel sogno, qualunque cosa fosse sembrava avere una consistenza.
Consistenza che colpì il cecchino, e nemmeno troppo gentilmente, no, più una cosa da Jim.
“Sei impazzito?!”
Sbottò afferrandogli le mani e portandole sotto il getto d’acqua fredda del lavandino.
Sebastian deglutì un paio di volte cacciando indietro quella punta di dolore che l’acqua a contatto con la pelle tagliata provocava, ma non si lamentò.
Perché mai un fantasma si preoccupa così tanto?
Fissò l’acqua rossa nel lavabo finchè Jim non chiuse l’acqua e gli avvolse le mani in un asciugamano prima di spingerlo sulla sedia.
Non riusciva davvero a capire il comportamento di Sebastian, prima si comportava come se non fosse mai tornato, poi finiva col ferirsi, volontariamente, giocando con un coltello.
Lo fasciò gentilmente baciandogli poi il palmo di entrambe le mani; non erano ferite profonde da aver bisogno di punti, fortunatamente, non era mai stato bravo con gli aghi, ma per una settimana almeno non avrebbe potuto stringere qualcosa o impugnare facilmente una pistola.
Lo guardò, accucciato davanti a lui, sospirando tristemente, quella situazione non poteva andare avanti così.

La terza settimana fu anche peggio, un disastro.
Jim aveva passato l’intera giornata fuori casa, Sebastian non se ne era nemmeno accorto, non se ne accorgeva mai, ignorava quasi la sua presenza.
Sospirò, entrando, e si diresse in cucina a preparare qualcosa per la cena, un tempo, tre anni prima, era il contrario, Sebastian gli preparava tutto, ogni cosa che volesse, a volte anche all’ultimo momento.
Jim non sapeva più cosa fare per attirare la sua attenzione, per farlo reagire a tutto quello.
“Sono stato io a fare questo.”
Quella consapevolezza lo colpiva ogni volta che posava lo sguardo sul biondo.
Mai prima l’aveva visto così, così fragile, non ci aveva pensato quando aveva messo a punto il suo piano, non aveva pensato alle conseguenze quando aveva finto di spararsi in testa ed era sparito per tre anni.
Era andato spesso a trovarlo, di notte, mentre Sebastian dormiva, controllava da lontano che stesse bene, come aveva fatto a non notarlo?
Certo era stato lontano da Londra per tre mesi prima di presentarsi davanti alla loro porta, ma aveva un lavora da fare e in tre mesi non poteva succedere il finimondo.
E invece era successo.
Si svegliava spesso durante la notte, per le cose più stupide a volte, per bere, o andare in bagno o per una luce di troppo filtrata tra le tende.
Quella notte, voltandosi dal lato occupato dal compagno, lo trovò vuoto.
Si mise a sedere di scatto guardandosi intorno per poi notare la luce sotto la porta del bagno.
Si alzò piano raddrizzandosi la maglia di Sebastian che aveva adottato come pigiama e che gli stava davvero troppo grande.
“Sebastian? Tutto bene?”
Domandò con un tono quasi urgente che l’altro avrebbe potuto scambiare non per preoccupazione quanto, piuttosto, di dover entrare, bussò un paio di volte prima di aprire leggermente la porta.
Sebastian, il suo Sebby, era rannicchiato contro la vasca con la testa tra le gambe e le braccia a coprirla, come per proteggersi da qualcosa.
Jim rimase un attimo immobile davanti alla porta prima di avvicinarsi e chinarsi davanti a lui.
“Sebby...”
Lo chiamò, con voce più strozzata di quanto non volesse, no, non andava bene, almeno lui doveva essere forte, per una volta doveva essere lui quello forte.
E doveva assumersi le sue responsabilità.
Gli spostò delicatamente le braccia prima di prendergli il viso e alzarlo verso di lui asciugandogli le lacrime.
“Seb... Sebby, Sebby caro, guardami.”
Mormorò piano cercando di attirare l’attenzione del cecchino, lui mosse le mani mettendole sulle braccia di Jim e stringendole, come se cercasse di convincersi che quello che vedeva era reale, ancora più reale di quanto non sembrasse.
“Sono qui. Sono tornato Sebby, sono a casa.”
Continuò con lo stesso tono che si userebbe con un bambino spaventato dal temporale.
Sebastian spostò le mani portandole dietro al suo collo attirandolo contro di sé e nascondendo il volto nell’incavo del collo, piangendo.
“Shhh, non fare così Tigre... Sono qui.”
Sorrise accarezzandogli piano i capelli, che si arricciavano leggermente tra le sue dita, e il collo, sapeva che gli piaceva, sapeva che, solitamente, lo aiutava a rilassarsi, Jim giurava di averlo quasi sentito fare un verso incredibilmente simile alle fusa di un gatto, cosa che Sebastian aveva istantaneamente negato.
“Non vado più via, non ti lascio più da solo Tigre. Lo giuro.”
Si alzò, tirandoselo dietro perché, in quel momento, aggrappato in quel modo a lui, lo avrebbe seguito ovunque, e tornò in camera stendendolo a letto e mettendosi accanto a lui.
Sebastian lo guardò con un’espressione che Jim di rado gli aveva visto fare, non appena il Consulting Criminal si mise sotto le coperte lui si avvicinò avvolgendolo con le braccia e tirandolo contro di sé appoggiando la testa contro il suo petto.
Riusciva a sentire il battito regolare e tranquillo del suo cuore, così vicino, così vivo.
“J... Jim...”
Le lacrime ripresero a scendere, o forse non avevano mai smesso, e si trasformarono in singhiozzi mentre la presa si faceva più solida, quasi disperata, e il cecchino continuava a ripetere il suo nome, come a convincersi che era tutto vero.
Convincersi che finalmente il suo Jim era tornato, sul serio, che non era più solo.

La quarta settimana era ormai la normalità.
Sebastian aprì il mobile della cucina e rimase interdetto a fissarlo prima di voltarsi verso l’uomo in salotto.
“Jim, ho comprato ieri il pane, perché è già finito?”
“Avevo fame.”
Sebastian chiuse gli occhi ed espirò lentamente.
“Era il pano per minimo quattro giorni e tu l’hai finito?”
Il “Mhmh” che ricevette di risposta lo fece sospirare, arreso.
“Niente pane stasera, dunque.”
Concluse.
“Vai a comprarlo, Sebby.”
“Sono le 9, la panetteria è chiusa.”
“C’è quel minimarket aperto 24/24 h.”
“Non mi piace quel pane, è vecchio, e fuori c’è freddo.”
“Sebby~.”
Alla fine vinceva sempre Jim e lui si infilava il giubbotto e andava a comprare il pane, e magari anche qualche dolce, sapeva che a Jim piacevano, e a lui piaceva vederlo felice.
Gli bastava.
La notte però era ancora difficile, Sebastian aveva finito con l’odiare la notte, il momento di andare a dormire, le luci che si spengono.
Si svegliava spesso da incubi assurdi e terribili, più spesso di quando era tornato dalla guerra, si svegliava in lacrime e tremante, indifeso come odiava farsi vedere, anche da Jim.
Perché lui era quello forte, lui era quello che doveva proteggere il suo capo, il suo compagno, non era il contrario, non doveva essere il contrario.
E tutte le notti Jim era ancora lì, a stringerlo tra le braccia, a confortarlo, a dirgli che andava tutto bene, che lui era lì e lì sarebbe rimasto.
E Sebastian ci credeva, come ci aveva creduto la prima volta.



Angolino dell'autrice: Al diavolo l'idea di fare qualcosa in ordine cronologico, questo capitolo era lì che premeva per essere scritto e l'ho accontentato.
Seb indifeso è qualcosa di assolutamente dolce (e anche OOC, ma fa lo stesso, vero?), adoro vederlo così, adoro metterlo nei guai e farlo soffrire...  sono una cattiva persona per questo?

Bye Bye~
Aki

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Capitolo 5
*** The innocent ***


The Innocent


Erano le 20 quando aprì la porta dell’appartamento, Jim era fuori, aveva pensato fosse carino passare una serata a teatro mentre lui lavorava e, in una situazione diversa, Sebastian avrebbe anche confermato.
Non in quel momento però.
Lasciò il fucile, riposto con cura nella custodia, contro al muro del salotto e pensò a cosa fare.
Un’idea era di aspettare che Jim tornasse a casa, un’altra lo stava implorando di mandargli un messaggio e chiedergli di tornare ma Jim non sarebbe stato contento.
Si infilò in bagno lasciando la porta socchiusa dietro di sé, contemplò un istante l’idea di non usare la doccia per una volta ma il suo riflesso nello specchio lo fece desistere, avrebbe sporcato di sangue la vasca e la voglia materiale di mettersi a pulirla quella sera davvero non c’era.
Ad essere completamente sinceri quella sera non aveva proprio voglia di fare nulla.
Si medicò distrattamente il taglio sul braccio e sullo zigomo e, dopo essersi tolto la maglia grigia si infilò con ancora i pantaloni addosso nella doccia, non pensava a nulla in quel momento, non pensava a voler davvero rilassarsi o pulirsi dal sangue, non gli interessava, voleva solo che il getto d’acqua cancellasse quel disastro di giornata.

I tagli non facevano parte del lavoro assegnato da Jim, erano il risultato di una rissa in un bar dieci minuti prima di rientrare in casa, non era la prima volta che succedeva e non sarebbe di certo stata l’ultima, non era nella sua natura restare fuori dai guai.
Il lavoro, quello era tutto un altro paio di maniche, Jim non gli aveva dato tutti i dettagli, solo il nome e dove trovarlo, come faceva sempre, oltre a come preferiva che morisse.
In quel caso era molto semplice e diretto.
Aveva aspettato l’uomo davanti ad un lussuoso hotel in cui alloggiava, l’aveva seguito fino al parcheggio e lì l’aveva fermato, semplice, diretto e coi saluti di James Moriarty.

Sebastian si sedette lentamente nel piatto della doccia, con l’acqua ancora aperta che lo bagnava e bagnava il pavimento attorno, altra cosa che avrebbe fatto infuriare Jim.
Ma non riusciva davvero a toglierselo dalla testa, nemmeno l’acqua riusciva a cancellarlo, si coprì il volto con le mani e pensò che forse nel mobile davanti a lui c’era qualcosa che poteva aiutarlo, delle pastiglie, dei calmanti, qualcosa che gli facesse dimenticare, che lo facesse dormire, magari senza sogni, ma non aveva voglia di alzarsi.

Era stato improvviso ed imprevisto, quel bambino non doveva essere lì, e quale uomo minimamente sano di mente sparerebbe ad un bambino per assicurarsi la fuga?
Ma forse il suo obbiettivo non era per niente sano, e un innocente era morto.
Un bambino.
Sebastian si era sempre vantato della sua precisione e velocità, con qualunque arma, ma non era stato abbastanza veloce, aveva sì ucciso il suo obbiettivo come Jim gli aveva ordinato, ma...

Tutti hanno un punto debole, il suo era, ed è, Jim.
E i bambini.
Perché i bambini sono innocenti, sono vittime, i bambini non dovrebbero mai trovarsi in mezzo a guerre e armi, i bambini non dovrebbero mai vedere quel mondo, non finchè sono bambini.
In guerra era spietato, una macchina per uccidere, letteralmente, aveva distrutto e ucciso interi villaggi , ma non aveva mai toccato un bambino, anzi si assicurava che non ce ne fossero, uno l’aveva nascosto in un barile d’acqua, una volta, e quando era tornato al campo base quell’esserino di cinque anni trotterellava dietro di lui, intimorito dagli altri soldati e aggrappato alla sua divisa come avrebbe fatto alla veste della madre.
Sì, i bambini era uno dei suoi più grandi punti deboli.
Non sapeva quanto fosse passato da quando era arrivato in casa e si era messo sotto la doccia ma sentì chiaramente la porta aprirsi, segnale che Jim era rientrato.
Si sarebbe arrabbiato, lo sapeva.
Quando Jim entrò in bagno sfoggiava un sorriso divertito ed era pronto a sorprendere Sebastian da dietro, o almeno questa era l’idea, invece restò fermo sulla porta e il sorriso sparì sostituito da un’espressione che il cecchino non aveva voglia di controllare.
Rabbia? Disapprovazione?
“Cosa diavolo stai facendo?!”
Sbottò avvicinandosi e afferrandolo costringendolo ad alzarsi e ad uscire dalla doccia, Sebastian tenne gli occhi puntati a terra.
Jim si sporse per chiudere l’acqua cercando di non bagnare eccessivamente il completo costoso, afferrò un asciugamano e glielo lanciò addosso.
“Vai ad asciugarti, e guai se ti siedi sul letto ancora bagnato, capito Sebastian?”
Quando usava il nome completo non era mai nulla di buono, voleva dire che era davvero arrabbiato, annuì impercettibilmente e uscì mentre Jim chiudeva la porta del bagno con uno sbuffo.
Quando uscì, dopo aver fatto tutto e aver asciugato quanto bastava per non scivolare, Sebastian era in boxer, seduto sulla sedia della scrivania con l’asciugamano sulle ginocchia e le gocce d’acqua che cadevano dai capelli.
Jim chiuse gli occhi cercando di parlare con tono calmo, che qualcosa non andasse era evidente.
“Sebastian...”
Lo chiamò avvicinandosi e alzandogli il volto con la mano per guardarlo.
“Cos’è successo? È stato quel banchiere da strapazzo a farti queste? È scappato prima che potessi ucciderlo?”
Domandò tentando di capire, Sebastian scosse soltanto la testa costretto a guardarlo.
“Allora dimmi cosa c’è, Tigre. Lo sai che non mi piace vederti così e ora sono qui.”
“Lascia che ti aiuti.”
Pensò prendendo la salvietta e passandogliela gentilmente in testa asciugandolo.
“Un bambino.”
Mormorò guardando per terra.
“Ha ucciso un bambino un attimo prima che sparassi.”
Jim si fermò un attimo imprecando a mezza voce tra i denti, che quell’ex banchiere fosse senza scrupoli lo aveva appurato tempo prima ma che arrivasse a tanto non lo sapeva.
“La prossima volta mando un biglietto e uccidi da lontano.”
Decretò finendo di asciugargli i capelli che ora, ancora umidi, erano completamente in disordine, e dandogli qualcosa da mettersi addosso.
“Queste invece?”
Sfiorò piano il taglio sul braccio mentre il cecchino infilava i pantaloni e scrollava le spalle.
“Uno in un bar era interessato al mio fucile.”
Rispose atono, un modo semplice per dire che si era trovato in mezzo ad una rissa, Jim sorrise andando verso il salotto e facendogli cenno di seguirlo.
“Ora non pensarci più Tigre, ok?”
Lo abbracciò sforzandosi di riuscire almeno ad appoggiare il mento sulla sua spalla, era sempre un problema imbarazzante consolarlo con un abbraccio finchè era in piedi, la differenza di altezza era eccessiva e Jim non sapeva mai come fare.
“Piuttosto... Voglio una cioccolata.”
Ordinò, quasi come se Sebastian fosse una specie di maggiordomo.
“E se ti viene davvero bene potrei ricompensarti con un bacio.”
Concluse sedendosi sul divano ad aspettarlo.
E Sebastian, quel bacio, se lo sarebbe preso comunque, in un modo o nell’altro, di certo avrebbe migliorato quel disastro di giornata.



Angolino dell'autrice: Dopo tre giorni ad iniziarla, cancellarla e riscriverla finalmente sono arrivata a qualcosa che posso dire mi soddisfi almeno in parte.
So che Sebby non è così (Ma se non c'è nella serie... come lo sai?!) però dopo quei bei tre anni senza Jim è praticamente... a pezzi, anche ora che Jim è tornato e hanno ripreso la solita vita, serve tempo per rimettere a posto tutti i pezzettini, e serve molta pazienza, e in tre anni Jim ne ha messa da parte parecchia, solo per lui.
Alla prossima :3

Bye Bye~
Aki

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Capitolo 6
*** AU - First meeting ***


Note: Dunque, vagando su tumblr ho trovato questo headcanon che mi è davvero piaciuto, non ho la ppiù pallida idea di chi per primo abbia dato inizio alla cosa creando Severin Moran, chiunque tu sia, grazie! Spero appreziate il mio tentativo (primo ma non ultimo, mi sono già affezionata:3 ) di inserire anche lui e Rich, non ci saranno sempre, solo in alcuni capitoli che si riconosceranno per la sigla AU prima del titolo.
Buona lettura.





First meeting



“Non ti sto chiedendo molto in fondo Richie.”
La voce melliflua di Jim fece trasalire per un attimo il giovane attore che si schiacciò di più sul divano reprimendo quello che sembrava un singhiozzo, lo sguardo guizzò dallo schermo del cellulare alla porta d’ingresso, impaziente.
“Jim non puoi chiedermelo...”
Pigolò tormentando le maniche lunghe del maglione, se non avessero avuto lo stesso viso nessuno avrebbe mai azzardato una parentela.
“Per un attore bravo come te questo è un giochetto, Richie caro.”
“Sono... Sono un raccontastorie... Lavoro in teatro... Non posso farlo, Jim.”
Sebastian, palesemente ignorato per tutto il tempo, si appoggiò al tavolo della cucina con una birra in mano, non voleva intervenire, non che si stesse divertendo ma il suo intervento non era necessario, almeno finchè qualcuno non puntava una pistola contro Jim, e dubitava che uno come Richard, così schiacciato su quel divano e impaurito, potesse essere un pericolo.
“Sherlock Holmes verrà qui.”
Disse Jim avvicinandosi lentamente al divano, non aveva intenzione di ferire il fratello, né di spaventarlo a dire la verità, ma il tono con cui parlava anche normalmente non aveva nulla di comune.
“Tu dirai chi sei, mio caro Rich Brook, cosa fai... E lui non ti crederà.”
Certo la scelta delle parole usate non era quella perfetta per tranquillizzare qualcuno, Richard emise un gridolino, o un piagnucolio, e scosse la testa.
“Mi ucciderà.”
La porta d’ingresso si aprì in quel preciso momento e Richard non potè fare a meno di voltarsi, in fondo c’era una sola persona che avesse una copia delle chiavi e potesse andare e venire a suo piacimento.
“Rin...”
Chiamò attirando l’attenzione dell’uomo pressoché all’istante.
Un bell’uomo a conti fatti, vestito elegantemente e dai capelli biondi ben ordinati.
E aveva anche qualcosa di assurdamente familiare, pensò Jim.
Lo sguardo dell’uomo si posò su Jim con fare interrogativo, alzò un sopracciglio con un’espressione che era sempre più familiare, poi si spostò velocemente sui due fratelli, prima uno poi l’altro, su Richard e di nuovo su Jim prima di sospirare appendendo la giacca all’attaccapanni e lasciando la pistola sul mobile, come se fosse perfettamente normale girare armati.
“Immagino tu sia il fratello di Rich...Jim, esatto?”
Disse dopo averci pensato un attimo, si sedette sul divano e Richard si aggrappò a lui tirandogli piano un braccio, come un bambino.
“Dove sei stato, Rin? Dov’eri?”
Domandò appoggiando il mento sulla sua spalla, l’uomo stava per rispondere che un rumore distolse l’attenzione di tutti.
Sebastian posò la bottiglia di birra più rumorosamente di quanto avesse voluto sul tavolo, l’espressione che aveva stampata in viso era un misto di divertimento e di shock, tutto si sarebbe immaginato eccetto quello, e gli erano serviti diversi minuti prima di rendersi effettivamente conto della cosa.
“Ma che bella riunione di famiglia.”
Disse con tono fortemente ironico, si avvicinò a Jim senza distogliere lo sguardo dall’uomo sul divano che sembrava sorpreso quanto lui.
“Papà sarebbe davvero dispiaciuto nel vedere che non hai deciso di seguire le sue orme, Severin.”
Se Jim non avesse conosciuto bene il suo cecchino si sarebbe stupito nel sentire tanta ironia in una sola frase.
“Papà, Sebastian, sarebbe dispiaciuto sapendo che nemmeno tu hai deciso di seguirle. Col tuo temperamento però mi stupirei io di vedere la camera dei Lord ancora in piedi dopo un giorno.”
Sebastian fece per ribattere quando il telefono di Jim iniziò a suonare.
“Abbiamo un lavoro da fare. Richie, pensaci... Saresti davvero di grandissimo aiuto.”
Salutò con un gesto della mano ed uscì dalla casa con Sebastian.
“Perché non mi hai mai detto che avevi un fratello? Un gemello!”
Chiese Jim una volta fuori, non era arrabbiato, stranamente, forse solo curioso.
“Credevo lo sapessi.”
“Era segnato come disperso, Sebby.”
Sebastian sospirò con un mezzo sorriso, non avevano effettivamente un lavoro, era tutta una scusa di Jim per uscire da quel siparietto che aveva preso una piega a tratti assurda e comica.
“Non così disperso forse. Senti Jim abbiamo perso i contatti anni fa, in guerra e poi...”
Jim si voltò mettendosi davanti a lui e bloccandosi sul marciapiede, le mani dietro la schiena, intrecciate, si sporse verso di lui alzandosi appena sulle punte.
“Non devi giustificarti.”
Disse con un sorriso.
“Dimmi una cosa però, spara bene?”
Sebastian sorrise in rimando, quasi un ghigno, lo attirò contro di sé e si chinò su di lui, sulle sue labbra, come faceva di rado in pubblico.
“Mai quanto me.”
Rispose lasciando intendere quanto potesse essere geloso, e lo baciò.
Da quando erano usciti di casa Richard aspettò qualche minuto prima di parlare, era ancora appoggiato alla spalla di Severin, quel solo contatto riusciva a tranquillizzarlo e farlo sentire al sicuro.
“Dov’eri Rin? Sei stato fuori alcune ore...”
Domandò poi, nuovamente, ma Severin non aveva davvero voglia di rispondergli, gli posò un braccio sulle spalle stringendolo a sé e posando la guancia sui capelli disordinati dell’attore.
Bastò quello a dare a Richard la risposta che a voce non arrivava, si mise in ginocchio sul divano senza muoversi troppo gli avvolse le braccia attorno al collo dolcemente.
Lui era spesso spaventato, da suo fratello Jim, a volte anche dal mondo esterno, si rifugiava nel teatro e ancor di più nelle sue storie, si rifugiava dove nessuno poteva fargli del male, anche tra le braccia di Severin, ma quell’uomo, quello che aveva iniziato come guardia del corpo ed era diventato... Il suo tutto, lui era rotto.
Non sembrava forse, così preciso, così elegante, così forte, sempre pronto a difendere il piccolo, spaventato Richard, ma lo era, rotto, fragile, si cercavano, avevano bisogno l’uno dell’altro.
Severin non l’avrebbe mai mostrato in pubblico, non così apertamente, ma era soli in quel piccolo appartamento, e finchè erano soli potevano essere loro stessi.



Angolo dell'autrice: Ebbene... Non so molte cose su Severin, ho letto poco su di lui, quindi col carattere e i modi di fare credo proprio che improvviserò, fisicamente è uguale alla nostra tigre, meno cicatrici, non è stato congedato con disonore, spesso elegante e fatica ad adattarsi alla vita normale dopo essere tornato dalla guerra.
Quindi sì, ci sarà una bella dose di angst anche in questo caso, sebastian è stato fatto a pezzi dalla finta morte di Jim, come biasimarlo? Severin invece... beh, probabilmente non voleva nemmeno andare in guerra... quindi sì, tanto angst ma con Richie anche una gran dose di dolcezza (Fluff.... Fluff ovunque... mi sommergerà con questi due... aiuto cosa mi sta succedendo?! D: )
Appena non dovrò postare tutto da cellulare aggiornerò anche l'introduzione e gli avvertimenti.
Che dire? Spero vi sia piaciuta, alla prossima e buon ferragosto!

Bye Bye~
Aki

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Capitolo 7
*** You're late ***


You’re late



Jim non era mai stato, di natura, un uomo paziente, poteva essere tante cose, ma non paziente.
Quel pomeriggio aveva letteralmente buttato Sebastian fuori di casa col suo fucile e un foglio con un nome, una foto ed un posto salutandolo con la mano ed inviandogli un bacio prima di chiudere la porta, aveva deciso di fare una sorpresa a Sebastian, una cena lussuosa, preparata da uno chef rinomato che Jim si era premurato di chiamare e che, dieci minuti dopo l’uscita del cecchino, era nella loro cucina a preparare chissà quali piatti dai nomi impronunciabili ma dall’aspetto delizioso.
Una volta finito anche l’uomo venne fatto uscire dalla casa senza mezzi termini, con un “grazie grazie” quasi obbligato.
La tavola era apparecchiata, una candela rossa in mezzo ai due calici, un completo nuovo posato ordinatamente sul letto della camera in attesa di essere indossato e la cena pronta, ora mancava solo la persona per cui era stato organizzato tutto quello.
Jim si sedette sul divano con le gambe accavallate e attese, se aveva calcolato bene, e lui non sbagliava mai, Sebastian doveva tornare entro dieci minuti, non era molto tempo.
Non gli aveva dato un lavoro difficile, solo lungo, sapeva perfettamente a che ora l’uomo sarebbe uscito e arrivato nel punto in cui aveva detto a Sebastian di appostarsi ma l’aveva mandato fuori casa ore prima per dare il tempo allo chef di preparare ogni cosa.
Dieci minuti dopo però Sebastian non era in casa.
Jim iniziò a fissare il cellulare, poi passò a scrivergli senza mai avere una risposta, a quel punto, mentre ancora scriveva ed era giunto al ventesimo messaggio, iniziò a camminare avanti ed indietro per il salotto mentre ogni opzione si faceva strada nella sua mente.
L’obiettivo era in ritardo, Sebastian non rispondeva mai quando lavorava; oppure stava guidando per tornare ed era imbottigliato nel traffico, ipotesi esclusa, le chiavi della macchina erano nell’ingresso; stava tornando in metropolitana e c’era stato un incidente, escluso anche questo, Sebastian odiava viaggiare in metro da solo; era rimasto ferito per qualche oscura ragione e non poteva rispondere, a quel pensiero Jim si bloccò sul posto sudando freddo, l’aveva fatto appostare sul tetto di un palazzo, e Sebastian non era un novellino da farsi prendere alle spalle, anche se doveva ammettere che era capitato.
“Al diavolo il lavoro, torna. JM”
Scrisse ancora, il suono familiare della ricezione dei messaggi arrivò alle orecchie di Jim un istante dopo, alzò lo sguardo dal cellulare alla porta mentre questa si apriva e Sebastian entrava col cellulare in mano.
Fece per aprire bocca ma Jim lo precedette posando il telefono e incrociando le braccia al petto con espressione offesa.
“Sei in ritardo.”
Sebastian non rispose, posò le chiavi nell’ingresso, la custodia col fucile nell’armadio e si tolse il cappotto.
“Vai in camera e cambiati.”
A quell’ordine guardò fisso Jim per poi notare il tavolo della cucina apparecchiato per quella che si prospettava una cena romantica.
“Devo proprio? In fondo stiamo in casa.”
Disse avviandosi comunque verso la camera.
“Cambiati.”
Lo seguì imperativa la voce di Jim.
L’idea di una cenetta gli faceva piacere nonostante il primo pensiero fosse stato un “Signore aiutami se Jim ha cucinato.” piuttosto disperato, il secondo pensiero fu leggermente diverso.
Fissò con astio il completo grigio posato accuratamente sul letto e sospirò, non aveva voglia di far arrabbiare Jim, avrebbe mandato in fumo i suoi piani, e già non era contento del ritardo, ma dover indossare un completo per cenare in casa?
Sospirò arreso e si cambiò rendendosi conto di come fosse stato fatto perfettamente su misura, Jim pensava sempre ad ogni cosa, si sistemò come meglio potè anche i capelli e uscì.
Jim era fermo davanti alla porta con le braccia conserte e un sorriso divertito.
“Perfetto.”
Disse, più a sé stesso che a Sebastian.
“sì, perfetto... Quando mi avresti preso le misure?”
Jim fece le spallucce mentre prendeva una bottiglia dal frigorifero e gli indicava i piatti dicendogli in silenzio di metterli in tavola.
“Mentre dormivi.”
Sebastian aveva smesso di stupirsi delle risposte di Jim, soprattutto di quelle che potevano sembrare le più assurde, “Come si possono prendere delle misure esatte mentre qualcuno dorme?!”, sapeva che Jim era capace di tutto ormai, lo sapeva bene.
La cena iniziò e proseguì in un silenzio interrotto solo di tanto in tanto da qualche commento sui piatti, solo una volta giunti al dolce Jim si decise a parlare.
“Perché hai tardato?”
Non disse della paura che aveva avuto, non gli disse degli scenari sempre più disastrosi che aveva immaginato.
“Avevo una cosa da fare mentre ero fuori.”
La forchetta tintinnò sul piatto, posata con uno scatto dal Consulting Criminal.
“Sapevi che giorno era Sebby, e avevi qualcosa da fare?!”
Non era esattamente il modo in cui pensavano sarebbe finita la serata.
“Non dovevo incontrare nessuno, se ti rassicura.”
“No, non lo fa.”
La voce di Jim era bassa, fredda, come la notte che era ormai scesa, nel cuore dell’inverno e di una Londra coperta dalla neve.
“Non avrei dovuto tardare.”
“Non dovevi infatti.”
Sebastian sospirò leggermente, non riusciva nemmeno a finire una frase.
“Non è colpa mia se quel tizio non ricordava dove aveva messo quello che gli avevo ordinato.”
Il dolce era stato ormai messo da parte, Jim lo fissava con occhi pericolosi, gli occhi di chi è pronto ad uccidere.
“Sapevi di essere in ritardo.”
Sibilò.
“Quindi potevi passare a prendere qualunque dannatissima e inutile cosa fosse domani.”
A quel punto Sebastian si alzò.
Aveva passato i due giorni precedenti a pensare a quel momento, a pensare a cosa dire, cosa fare, come fare.
Se Jim non avesse organizzato quella cena in casa lo avrebbe portato fuori, avrebbe costretto il proprietario di un qualche ristorante di lusso a liberare una sala solo per loro, poco importava se era piena, e sarebbe stato tutto perfetto.
“Non potevo domani, Jim.”
Disse con un tono dolce che per un attimo non si addisse al suo viso, poi anche quello si addolcì, sorrise avvicinandosi a lui e fermando Jim prima che potesse dire qualcos’altro.
“E’ oggi, e nessun altro giorno, e hai ragione ad arrabbiarti per il mio ritardo.”
Jim annuì vigorosamente con la testa.
“Volevi che questa cena fosse perfetta per oggi, e la è stata, davvero.”
Si accucciò davanti a lui per non costringerlo a guardare in alto, gli accarezzò i capelli ignorando la mezza lamentela sul fatto che lo stesse spettinando.
“Volevo renderla perfetta anch’io, micio, per questo ero in ritardo. Non è una cosa che potevo rimandare, avrebbe rotto... La perfezione.”
Gli infilò al dito un anello in argento, era semplice, non troppo spesso, con una pietra gialla, fatto esattamente su misura, come il suo abito.
Jim aprì la bocca per dire qualcosa, poi la richiuse, la aprì di nuovo e ancora la chiuse, non sapeva cosa rispondere.
Si era arrabbiato, aveva rischiato di mandare all’aria la serata per un banalissimo ritardo, a quel punto più che giustificato.
“Cosa si dovrebbe dire in questi casi?”
Guardò l’anello, poi Sebastian, ancora accucciato immobile, non era sicuro ma pensava di essere anche arrossito, ciò che sapeva per certo è che non vi era altro luogo in cui avrebbe voluto essere, in nessun altro momento e con nessun altro, solo lui e Sebastian.
Aveva trovato la perfezione, il suo centro, per una volta, forse per la prima volta nella sua vita, era davvero, davvero, felice.
“Buon anniversario, Tigre.”
Gli prese il volto tra le mani avvicinandosi a lui e baciandolo come se fosse la prima volta.
La prima volta di un nuovo inizio.





Angolino dell'autrice: Oh, well... Una vagonata di fluff.
Una gran vagonata di fluff, mai scritta una cosa del genere... (o se l'ho fatto, scusate, al momento non riesco a farmela venire in mente.)
so che non sono molto nel personaggio in questa, sìì... troppo dolci probabilmente... ma non importa, ok?
Volevo scrivere del loro anniversario, e Sebastian mi da l'idea che sia il più romantico.
Alla prossima :3

Bye Bye~
Aki

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Capitolo 8
*** Never enough ***


Never enough



Sherlock Holmes.
Da quando quel nome era entrato nel loro appartamento non ne era più uscito.
All’inizio era stato solo un passatempo, poi Jim si era reso conto di quanto le loro menti si somigliassero, aveva finalmente trovato qualcuno di geniale che riusciva a seguire i suoi ragionamenti contorti e li fermava.
Sì, Sherlock Holmes era davvero geniale e perfetto per ciò che Jim aveva in mente.
Sebastian odiava quel nome, lo odiava perché stava allontanando Jim, lo allontanava sempre di più e non poteva fare niente per evitarlo, poteva solo guardarlo, eseguire gli ordini in silenzio, accontentarlo quando voleva.
Non era niente più che un collaboratore, niente più che... un gioco.
Un passatempo finchè Jim non avesse trovato qualcosa di più interessante e stimolante, e a quanto pareva l’aveva trovato.
Sherlock Holmes.
Sebastian avrebbe voluto ucciderlo la prima volta, in quella piscina, aveva il fucile puntato al suo cuore, gli sarebbe bastata una leggera pressione sul grilletto e addio.
Ma non lo fece.
Non lo fece per Jim, Jim sembrava tenerci, a quel gioco, voleva giocare fino in fondo per poi distruggerlo.
E intanto distruggeva il suo cecchino.
D’altro canto Sebastian non aveva mai pensato che avrebbe finito con l’affezionarsi al suo capo, non avrebbe mai pensato che sarebbe passato dal chiamarlo “Mr Moriarty” a “Jim”... a “micio”.
Non aveva mai pensato di potersi innamorare di lui.
E quello Sherlock Holmes stava distruggendo ogni cosa, aveva distrutto ogni cosa.
La prima volta che Sebastian aveva ammesso di amarlo Jim l’aveva guardato come se fosse un alieno e il biondo avrebbe tanto desiderato sparire.
Invece Jim lo baciò, senza gentilezza, si avventò su di lui mordendolo e tirandogli indietro la testa afferrandolo dai capelli.
Era un modo come un altro per dire che ricambiava, o almeno così pensava lui, Jim non l’aveva mai detto.
Probabilmente in verità non lo amava, come avrebbe potuto?
Era così banale, così ordinario, così noioso.
No, Jim non poteva amarlo.

“Dunque.”
Iniziò, continuando a scrivere al computer, senza guardare Sebastian seduto dall’altro lato del tavolo.
“Questo mio cliente vuole che uccidiamo sua moglie perché lo tradisce.”
Sebastian non riusciva a leggere niente nella sua voce, nessun divertimento, nessun disprezzo, era completamente piatta.
“È noioso ma è pur sempre lavoro.”
Gli allungò un foglio con qualche informazione in più e non disse più nulla.
Sebastian prese semplicemente il foglio e uscì salutandolo senza avere risposta.
Non c’era mai traccia di gentilezza quando Jim era in modalità lavoro, forse non cera mai stata davvero gentilezza e il cecchino stava solo cercando di illudersi.
Il lavoro era comunque semplice, e veloce.
Era appostato aspettando l’arrivo della donna che doveva uccidere quando il telefono vibrò.
“Ho trovato un nuovo gioco per Sherlock. JM”
“Bene. SM”
“Non ti interessa conoscerlo? ;( JM”
Sebastian sospirò prima di controllare nuovamente sulla strada e poi rispondere.
“Sto lavorando puoi raccontarlo dopo? SM”
“Noioso. JM”
Già, Sebastian era sempre noioso.
Stava per rispondere quando un rumore di passi attirò la sua attenzione.
Le scale su cui era appostato erano in un condominio abbandonato da anni, aveva controllato personalmente che non vi fosse nessuno.
Si girò pronto ad informare chiunque fosse di andarsene se non voleva un buco in testa che un dolore lancinante gli invase il corpo.
Si appoggiò al muro fissando l’uomo davanti a sé che impugnava una pistola.
Non lo conosceva, o se lo conosceva allora non ricordava quel volto.
L’uomo se ne andò senza una parola e a Sebastian servirono diversi minuti per capire cosa stesse accadendo attorno a lui, abbassò lo sguardo sulla maglia su cui si allargava una macchia di sangue calda e appiccicosa, recuperò il cellulare e se lo posò sulle gambe senza la forza di tenerlo sollevato.
“Jim”
Non si firmò, non scrisse altro che il suo nome.
“Quale gioco avevi in mente?”
“Tanto so che non ti interessa. JM”
La risposta arrivò quasi subito, Sebastian scivolò appena più in basso cercando una posizione più confortevole.
“Mi interessa invece”
“Bugiardo. JM”
Lesse un paio di volte quella risposta, non perché credesse di aver letto male ma piuttosto perché la vista andava via via offuscandosi, presto non sarebbe più riuscito a vedere nulla.
Presto anche il dolore sarebbe svanito.
“Ti amo”
Le lacrime iniziarono a rigargli il viso senza una ragione, se ne avesse avuto la forza probabilmente avrebbe finito col singhiozzare.
“Ti amo davvero”
“Dal primo momento”
“Mi dispiace di essere noioso”
“Vorrei non esserlo”
“Avrei voluto imparare... Avrei voluto che mi insegnassi”
“Avrei imparato”
Non aspettava più una risposta, a malapena vedeva ciò che stava scrivendo e non era nemmeno certo di aver scritto le parole giuste.
Ogni cosa sembrava ormai così lontana.
“Avrei voluto essere abbastanza”
Inviò anche quel messaggio e chiuse la schermata fissando lo sfondo del telefono.
Jim, prima dell’arrivo di Sherlock Holmes, quando ancora andava tutto bene.
Quando ancora era abbastanza per lui.





Angolino dell'autrice (in lacrime): Perchè?! Perchè diamine ho scritto una cosa simile?!
Ok, ricomponiamoci... Probabilmente ci sarà una seconda parte con la reazione di Jim, non lo so.
Pensavo di scrivere i messaggi di sebastian in modo sbagliato, con errori e cose simili, alla fine mi sono limitata a non metterci i punti alla fine e la firma, non riesco a scrivere volontariamente un errore.
Spero vi sia piaciuto e ancora di più spero vi abbia fatto piangere (Fatemi compagnia nella mia disperazione, vi prego!)

Bye Bye~
Aki

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Capitolo 9
*** By your side ***


By your side


Il primo campanello d’allarme iniziò a suonare nella testa di Jim quando Sebastian non inserì la sua sigla alla fine del messaggio.
Certo, sapevano chi era a scrivere, il nome veniva fuori nella schermata del messaggio, eppure... Sebastian era sempre preciso.
Un attimo dopo un secondo messaggio, ancora non firmato, ancora strano, come se il cecchino stesse cercando di distrarsi con cose che sapeva non gli interessavano.
Era strano, non era da lui e avrebbe voluto dirglielo ma non lo fece, rispose esattamente come sempre, freddo, quasi con cattiveria.
E intanto aveva messo da parte il computer e si stava infilando un paio di jeans, aveva imparato a fidarsi di quei campanelli d’allarme, Sebastian si stava comportando in modo strano, più del solito, non era solo annoiato, e noioso, come quando si mostrava geloso, no, era qualcos’altro.
“Ti amo”
Jim si infilò una maglietta, afferrò il cellulare e iniziò a correre giù dalle scale mentre uno dopo l’altro arrivavano i messaggi.
Agguantò l’autista per un braccio e gli diede solo l’indirizzo, non aveva ragione per spiegare perché quella fretta, spiegare lo avrebbe costretto ad ammettere che Sebastian era in pericolo.
Che poteva arrivare in ritardo.
Se non lo ammetteva invece c’era una possibilità che non fosse vero, e il biondo lo avrebbe preso in giro per quella sua insana paura, e probabilmente lo avrebbe lasciato fare.
“Avrei voluto essere abbastanza”
Deglutì stringendo il telefono in mano, voleva dirgli di smettere di scrivergli quelle cose, dirgli che stava arrivando.
Scese dalla macchina appena si fermò, non diede altri ordini, scattò fuori come una molla e iniziò a salire le scale due a due per poi gettarsi in ginocchio sul pavimento polveroso e prendere il volto di Sebastian tra le mani.
“Seb... Sebby ti prego... Sebby svegliati...”
Fece scorrere le mani sul suo volto tremando, come avevano potuto? Come avevano osato fare questo al suo Sebastian? Come avevano osato sfidarlo così apertamente?
“Eri abbastanza... Lo sei sempre stato Sebby. Ti prego... Ti prego Tigre, non farmi questo... Non lasciarmi. È un ordine, mi hai capito?! Non osare farlo, non osare morire. Non ti azzardare!”
Lo scosse dalle spalle, con forza, con rabbia, la stessa rabbia che sembrava volerlo bruciare, la stessa rabbia che voleva la morte di chiunque fosse colpevole di quel gesto.
Poi divenne disperazione, smise di scuoterlo come una bandierina al vento, lo strinse incurante del sangue, gli sostenne la testa accarezzandogli i capelli, gli pulì il volto dal sangue con un fazzoletto e pianse, lo pregò, lo implorò di aprire gli occhi.

Sherlock Holmes passò in secondo piano, per un’intera settimana Jim non cercò modi per distruggerlo, non fece nulla per tenerlo occupato, a quello ci pensavano altri criminali noiosi, sprovveduti e banali, a cui Scotland Yard non riusciva a stare dietro; in quella settimana Jim non si occupò di niente, niente lavoro, niente clienti.
“Consulting Criminal. Chiuso per ferie.”
Si sedette su una sedia abbastanza scomoda nella camera di una clinica privata il cui responsabile era nella sua rete, rimase lì seduto ignorando ogni cosa che accadeva nel mondo e a Londra, ignorando tutto eccetto il suo Sebastian.

Appena sollevò le palpebre la luce fu accecante, per un attimo pensò fosse una specie di paradiso, non c’era alcuna possibilità di riuscire a sopravvivere, poi si ricordò che il paradiso lo avrebbe probabilmente buttato fuori a calci.
“Piano, Tigre.”
A quella voce, così gentile e lontana, il cuore parve accelerare, cercò di voltare la testa verso la fonte di quelle parole ma non riuscì a muoversi, o a parlare.
“Piano ho detto. Non ti devi muovere.”
Lentamente la figura si avvicinò, ancora scura, gli mise una mano sul petto e lo accarezzò gentilmente.
“E nemmeno parlare, sai?”
Ma Sebastian ci provò comunque.
Jim scosse la testa con un piccolo sorriso, si sedette sul bordo del letto passandogli una mano tra i capelli e spostandogli un ricciolo che gli cadeva sulla fronte.
“Ho avuto paura. Ho pensato che saresti morto, e avrei dovuto cercare qualcuno di nuovo a cui affidare i tuoi lavori. Una gran seccatura.”
Sbuffò senza togliere la mano o smettere di accarezzarlo, per quanto infastidito potesse sembrare da quelle parole Sebastian sapeva che era stato davvero spaventato per lui.
“Pensavo di morire...”
Avrebbe voluto dire, ma tutto ciò che uscì fu una specie di sospiro rauco.
“Calmo.”
Sebastian chiuse gli occhi, li strinse, ma le lacrime scivolarono comunque lungo il suo viso, non voleva che Jim lo vedesse così.
“È tutto a posto, Tigre, starai bene vedrai.”
Ma non era questo che preoccupava il cecchino, si sentiva impotente in quel momento, non riusciva ad esprimersi, non riusciva nemmeno a chiamarlo, eppure c’erano così tante parole, così tante cose che avrebbe voluto dirgli, che Jim doveva sapere.
“Va tutto bene.”
Jim si chinò con dolcezza a baciargli la fronte avvicinandosi poi al suo orecchio.
“Starò qui, sarò al tuo fianco Sebby. Nessuno mi allontanerà da te, hai la mia parola. Nessuno.
Sussurrò un attimo prima che l’oblio riprendesse nel suo abbraccio Sebastian mentre la voce di Jim lo cullava nel sonno.





Angolino dell'autrice: Ok, mi sono ripresa da quello che ho scritto ieri.
Per quanto io sappia essere stronza coi personaggi che più amo (anche se non sono miei, ovviamente!), beh... i lieti fine sono sempre cosa buona e giusta, e il nostro Sebby merita un lieto fine (Disse quella che l'ha già ucciso in un paio di storie).
Alla prossima.

Bye Bye~
Aki

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Capitolo 10
*** Unlucky Day ***


Unlucky Day


Sebastian aprì gli occhi frastornato, la luce delle lampadine gli lampeggiava ad intermittenza davanti agli occhi, o forse era quella dell’uscita d‘emergenza?, sembrava volerlo accecare talmente era forte e fastidiosa, i rumori erano ovattati attorno a lui, era quasi certo di sentire qualcuno urlare, il tono di voce sembrava agitato, lentamente le luci si offuscarono, come nebbia o fumo, fino a spegnersi lasciandolo al buio.

“Ho un lavoro per te.”
La voce squillante del Consulting Criminal svegliò il cecchino del tutto, il tono faceva concorrenza alla sveglia che aveva preso a suonare insistentemente e che lui tentava in tutti i modi di ignorare.
“Le persone normali iniziano la giornata con un Buongiorno.”
Bofonchiò voltandosi dal lato opposto al capo e alla sveglia che nessuno aveva ancora deciso di spegnere, e premendosi metà cuscino sulla testa.
“Io non rientro in quella categoria.”
Cantilenò Jim, immobile nella sua posizione, accucciato di fianco al letto.
“Ma visto che tu ne fai parte allora rifacciamo.”
Sebastian fece appena in tempo a domandarsi cosa intendesse quando sentì il materasso al suo fianco abbassarsi e si ritrovò Jim disteso addosso.
“Buongiorno. Ho un lavoro per te, Tigre.”
Disse con un sorriso, il cecchino lasciò andare il cuscino che tornò nella posizione originaria sospirando appena, era Jim, non poteva farci nulla e, tutto sommato, lo amava proprio per quel suo non rientrare nella categoria “persone normali”.

La luce tornò di nuovo, di colpo, come riprendere a respirare dopo essere stati a lungo sott’acqua.
Era anche più accecante di prima, Sebastian fece per alzare un braccio per ripararsi dal chiarore ma l’arto rimase lì, fermo, come bloccato da qualcosa.
Ovviamente la luce accecante non bastava, ci dovevano essere anche le persone attorno che urlavano cose incomprensibili.
La lampadina lampeggiò debolmente poi si spense di nuovo e il mondo attorno a lui cadde nel silenzio.

Il toast bruciacchiato che il cecchino si ritrovò davanti quando raggiunse la cucina era tutto fuorché invitante, lo fissò un paio di secondi , sospirò e decise di tentare di trovarvi qualcosa di salvabile, che Jim non fosse una cima in cucina non era poi una novità.
“Dunque Tigre, mi è arrivata questa richiesta così bella che non potevo certo scartarla.”
Sebastian inarcò un sopracciglio mentre cercava un pezzo non bruciato della colazione, per Jim ogni richiesta era bella, senza alcuna eccezione.
“C’è quest’uomo, povera creatura, che ha scoperto che l’amata mogliettina si sta preparando per fuggire lontano lontano con l’amante.”
Iniziò a raccontare, come se si trattasse di una storia per bambini, Sebastian posò la testa su una mano, sbadigliò e fissò le briciole scure del toast nel piatto mentre allungava la mano libera verso la tazza di caffè.
“Amante che, senti un po’, è il fratello del nostro povero amico!”
Il tono di Jim si alzò, voleva quasi apparire shockato da quella notizia, al cecchino in realtà faceva poca differenza chi fosse l’amante o meno, dopotutto veniva pagato per uccidere, ed erano le sei del mattino.
Sbadigliò di nuovo biascicando una risposta vaga giusto per fargli capire che lo stava ascoltando, poi si concentrò sulle uova, come Jim fosse riuscito a bruciacchiare anche quelle era un mistero.

La luce andava e veniva, ad intermittenza, il cecchino non riusciva a capire perché facesse così, perché nessuno si preoccupasse di cambiare quella dannata lampadina, perché nessuno dicesse niente.
Le voci erano sparite, chiunque stesse urlando poco prima aveva smesso, grazie a Dio, c’era però qualcosa di innaturale e di tremendamente sbagliato in quel silenzio, eppure non riusciva a capire cosa.
Cercò di concentrarsi su un punto davanti a sé, cercò di far mente locale per capire cosa fosse fuori posto.
Poi la luce si spense di nuovo.

“Ovviamente non dovrai uccidere la mogliettina.”
“Ovviamente.”
Lasciò perdere l’uovo e posò la testa su entrambe le mani chiudendo gli occhi, forse serviva un altro caffè.
“Oh no, lei vuole tenersela bella stretta e farle capire che con lui non si scherza.”
“Potrebbe uccidere il fratello lui personalmente invece di farlo fare ad altri che vorrebbero dormire dopo aver lavorato anche i sei giorni prima.”
Si alzò tirandosi dietro la tazza e riempiendola di nuovo.
“Quindi tu, Tigre dovrai ucciderlo, lentamente e dolorosamente, mi raccomando.”
Quando si rivolse a lui alzò lo sguardo dalla tazza annuendo.
“Mi è stato richiesto specificatamente, vuole che soffra.”
Jim annuì mentre lo diceva.
“Pensi di poterlo fare?”
Sebastian finì di bere il caffè e posò la tazza sul mobile sorridendo.
“Non è quello che faccio sempre?”
Jim sorrise, compiaciuto della risposta , lasciò un fascicolo con tutte le informazioni sull’uomo che doveva uccidere e tornò nel suo studio lasciandolo solo a prepararsi.
Prese con sé il fascicolo tornando in camera, prima quell’uomo fosse morto e prima lui poteva tornare al meritato riposo.

La luce, stavolta, era soffusa, come nascosta da una cortina di nebbia, ma stavolta questo era l’ultimo dei suoi pensieri, qualcuno aveva avuto la splendida idea di sedersi sopra di lui.
Qualcuno di bello pesante oltretutto!
Per un attimo Sebastian si domandò se per uno strano scherzo del destino non fosse improvvisamente diventato invisibile, non riusciva a trovare nessun’altra spiegazione.
Chiunque fosse non era soltanto pesante ma anche immobile e senza alcuna intenzione di spostarsi.
No.
C’era davvero qualcosa di sbagliato in tutto quello, era certo di non essersi addormentato, stavo tornando dal lavoro che Jim gli aveva dato quella mattina, mancavano due, forse tre fermate prima di quella in cui sarebbe dovuto scendere e... Oh.

Il lavoro era stato lento in termini di attesa, quell’uomo, a quanto sembrava era un pezzo grosso di un’azienda e giusto quel giorno aveva un’importante riunione, Sebastian era abituato a fare le cose con calma e senza destare sospetti così decise di aspettare la fine di quell’importante quanto noiosa riunione, lo precedette e si fece trovare seduto comodamente sul suo divano quando rientrò a casa.
In termini di lavoro vero e proprio  fu lento perché Sebastian aveva deciso così, se quel pover’uomo doveva soffrire allora era giusto che facesse le cose per bene, e una cosa fatta per bene richiedeva tempo.
- Terminato. Hai altro per me? -
Si sedette su uno sgabello con una birra in mano davanti alla sedia su cui aveva legato l’uomo.
- Ottimo lavoro Tigre. Torna a casa. -
Sebastian sorrise , svuotò la bottiglia e la lasciò rotolare ai piedi del cadavere per poi uscire.
- Non il taxi, Tigre. Sono lenti. -
Il cecchino si guardò attorno interrogativo.
- Con la metro sarai qui in 5 minuti. -
Sbuffò, Jim sapeva bene quanto odiasse quel particolare mezzo di trasporto, o per lo meno, quanto odiasse viaggiare sottoterra.
- Smettila di esitare. Hai l’ingresso della stazione a 37 metri. -
Sebastian chiuse gli occhi respirando profondamente, se le persone normali si sentivano osservate quando non c’era nessuno a guardarle cosa avrebbe dovuto dire lui?
- Sono annoiato~ -
Il telefono vibrò di nuovo nella sua mano e, ormai arreso, si avviò verso l’ingresso della metro.
Sebastian si sedette nervosamente posandosi il borsone tra le gambe, poteva sembrare una persona che tornava dalla palestra.
Una fermata, respirò profondamente chiudendo gli occhi.
Due fermate, dire che odiava quel modo di viaggiare era un eufemismo.
Tre fermate, metà strada e già desiderava scendere, perché ogni volta finiva con l’assecondare quel pazzo di Jim?
Il cellulare vibrò nella sua tasca ma non se ne accorse, il treno rallentò pochi metri dopo la fermata, Sebastian buttò uno sguardo fuori dal finestrino senza vedere nulla, non era normale che rallentasse.
Dalla carrozza davanti qualcuno stava parlando, urlando, di un qualche pericolo, si alzò con espressione a metà tra l’interrogativo e lo scocciato, non ci bastava aver dovuto prendere quel mezzo infernale, no ovviamente ci si doveva mettere anche qualche pazzo che lo faceva tardare.
Stava per aprire la porta che portava all’altra carrozza quando fu il caos.
Prima ci fu un boato, la metro si bloccò di colpo e Sebastian, in piedi davanti alla porta, venne sbalzato indietro.
Non riuscì a registrare cosa fosse accaduto, la vista si annebbiò e ci fu solo il silenzio.

Doveva essere esploso qualcosa e lui era bloccato lì sotto.
A quella improvvisa consapevolezza il suo volto mutò in un’espressione di paura decisamente inusuale su di lui, era bloccato, letteralmente, qualcosa, e non più qualcuno come credeva un attimo prima, gli impediva di alzarsi.
Avrebbe dovuto capirlo quella mattina mentre fissava il toast bruciato che non poteva venire nulla di buono da una giornata iniziata in quel modo eppure non ci aveva voluto dar peso.
Aprì la bocca, voleva chiedere aiuto, voleva chiedere di uscire di lì, dire che quel posto era troppo piccolo per tutti, che gli stavano rubando l’aria, che non era abbastanza per tutti quanti.
Che non voleva morire lì sotto.
Ma quel che uscì fu un verso strozzato, e tutto fu buio di nuovo.



Angolo dell'autrice: Oh Santa Ispirazione, dov'eri finita in tutti questi mesi?
sono mesi, 4 mesi che ho questa storia in mente ma l'ispirazione aveva deciso di darmi forfait in continuazione e i tempi si sono allungati, allungati, allungati... Ma non temete! Sono ancora qui pronta a maltrattare il nostro tigrotto!
Ho voluto alternare le scene tra il presente e quello che era successo dutrante la giornata, mi sembrava una buona impostazione per la storia, spero non sia risultata confusionaria.
Dedicata, oh ma ormai cosa lo dico a fare, è ovvio!, alla mia Parabatai Francy che ormai ama questa coppietta <3

Bye Bye~
Aki

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Capitolo 11
*** I already knew ***


I already knew



“Lo sapevo, Jim, avrei voluto fosse il contrario, avrei voluto fosse come volevi tu, ma lo sapevo. Questa è la verità.”
Il vento freddo scuoteva i rami pigri e spogli degli alberi attorno a lui, fischiava e portava con sé quella che presto si sarebbe rivelata una tempesta, ormai Sebastian aveva esperienza nel riconoscerle, il vento era uno dei fattori che più controllava e ricontrollava durante un lavoro, era uno di quei fattori che potevano mandare a monte tutto. Aveva imparato a riconoscere le tempeste imminenti, di qualunque tipo fossero.
“Sapevo che saresti andato sul tetto, sapevo cosa avresti detto, o almeno lo posso immaginare, sapevo cosa avresti fatto.”
Si strinse nel cappotto, sollevò la sciarpa e la sistemò meglio per ripararsi dal freddo, pochi riccioli biondi si intravedevano da sotto la cuffia, li aveva tagliati per comodità quando ormai erano arrivati a sfiorargli le spalle, semplicemente impugnando un paio di forbici e accorciandoli senza badare troppo a come lo faceva.
“So cos’hai fatto, l’ho visto, dalla casa di fronte al tetto. Pensavo di essere pronto ma non era così, nessuno è mai pronto a vedere chi ama spararsi, nemmeno se sa che accadrà.”
Chiuse gli occhi, sfilò una sigaretta dal pacchetto e la accese aspirando lentamente.
“Non credo sarebbe cambiato qualcosa se me l’avessi detto, a parte il fatto di essere parte del tuo piano, ma già lo ero. No, non sarebbe cambiato nulla, io ti avrei comunque visto morire, sarei comunque qua oggi, vivrei sempre in quell’appartamento nel cuore di Londra e continuerei a pregarti di tornare. Ma forse avrei preferito saperlo.”
L’aria si era fatta più pungente, il cielo era bianco e le foglie danzano attorno ai fiori che aveva posato davanti alla tomba.
“Non hai mai detto di amarmi.”
Il discorso era cambiato come il vento.
“Non hai mai risposto a tutte le volte che te lo dicevo. Mi guardavi, sorridevi, e non so più riconoscere cosa quel sorriso volesse dire. Era un “Anch’io” indiretto? Era compassione? Pietà? Era... Cosa? Non l’hai detto nemmeno quando sapevi che non avresti più avuto modo di farlo. Non l’hai mai detto e ora non so più cosa sono, cos’ero, se ero anche solo qualcosa per te.”
I fiocchi di neve iniziarono a scendere lentamente sciogliendosi al contatto col terreno.
“Mi sarebbe andata bene anche una bugia, Jim, mi sarebbe bastata. Mi avrebbe dato abbastanza forza da andare avanti, ma ora? Ora non ho nulla, non ho verità, bugie alle quali aggrapparmi, non ho risposte.”
Sfiorò la lapide spostando la neve che la bagnava e che un attimo dopo si andava a formare nuovamente, e sorrise. Un sorriso vuoto, erano solo labbra che si alzavano in un gesto ormai troppo automatico.
“Devo andare.”
La voce era un sussurro, il vento la portò via con sé.
“C’è una cosa che devo fare, Jimmy, me ne sono ricordato solo ora e sono anche in ritardo.”
Il sorriso si fece più sereno, più vero, con uno sbuffo rassomigliante ad una risata.
“Appena l’ho finita torno da te, promesso.”
Gettò a terra la sigaretta spegnendola col piede e si voltò, il sorriso ora scomparso e sostituito da uno sguardo risoluto e triste. Si allontanò, in silenzio in mezzo alla neve che aveva iniziato ad attaccare e stava ricoprendo il selciato in un manto bianco e soffice.
“Appena sarà finita potrò baciarti.”



Angolo dell'autrice: Ogni tanto ritornano... ispirazione lampo, senza capo nè coda ma che so che a qualcuno piacerà di certo ;)
Il finale è a libera interpretazione ma se qualcuno di voi che legge ha già idea di come e cosa scrivo di solito, specialmente su di loro, beh, può immaginare qual è il finale che ho in mente.

Bye Bye~
Aki

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Capitolo 12
*** Waiting ***


Waiting


Definire Jim paziente era un azzardo davvero grande, si annoiava facilmente, come i bambini, e avere a che fare con un Jim annoiato era peggio di trovarsi con una bomba sul pianerottolo di casa.  Odiava aspettare, eppure c’erano situazioni, momenti, in cui era costretto a farlo. Momenti come quello.
La sala d’attesa dell’aeroporto era affollata e rumorosa quel giorno, sembrava che tutta Londra si trovasse lì. Era arrivato in anticipo, come se quello avrebbe potuto spingere l’aereo che attendeva ad atterrare prima, non che la cosa fosse effettivamente fattibile lo sapeva.
Le persone attorno a lui andavano e venivano, tutti sempre in movimento, si abbracciavano, si salutavano, si scambiavano promesse di rivedersi presto o di non dividersi mai più, una coppia era ferma quasi in mezzo alla sala, abbracciati da 20 minuti e apparentemente senza alcuna intenzione di separarsi, Jim non riusciva a comprendere in quel momento la necessità di quel contatto, come se da quello dipendesse la loro vita.
Il volo che aspettava era appena comparso sul tabellone, in perfetto orario, o così almeno sembrava, sarebbe atterrato in un’ora. Si guardò intorno di nuovo, un bambino correva avanti poi si fermava e si voltava verso i genitori, poi riprendeva a correre e si fermava di nuovo, una donna spingeva il carrello con diverse valige e si guardava intorno spaesata, forse alla ricerca di qualcuno, forse cercando di capire dove andare, la coppietta era ancora lì, di tanto in tanto spostavano il peso da una gamba all’altra ma nulla di più. Un’ora di attesa era lunga, specialmente per qualcuno che si annoiava così facilmente, erano 60 minuti, 3600 secondi, Jim sbuffò muovendosi appena sulla sedia metallica.
Probabilmente fu il suo lato matematico che decise di contare i secondi, farlo lo avrebbe distratto da qualunque altra cosa, il tempo sarebbe passato più velocemente. Aveva raggiunto ben 3 minuti quando il pensiero di un possibile ritardo si fece strada nella sua mente rallentandolo. Lo scacciò e riprese a contare, lentamente i numeri nella sua mente stavano prendendo il posto di ogni rumore che lo circondava come se si trovasse sott’acqua.
“E se venisse dirottato?” Il pensiero lo colpì come un pugno, la conta passò in breve in secondo piano mentre altri eventi, sempre più catastrofici, si facevano strada scivolando come serpenti nella sua mente. L’ora finì col passare rapida ma non per quello piacevole, Jim aveva iniziato a passarsi una mano nei capelli che ora si trovavano arruffati e non più in ordine come quando era uscito di casa. Si alzò dalla sedia su cui credeva di essere da molto più di un’ora e tenne lo sguardo fisso sulla porta.
«Con tutti i mezzi che esistono al mondo proprio qualcosa come l’aereo?» Borbottò sistemandosi la camicia con le mani. «Non andava bene il treno? O la nave? O...» Jim si bloccò, voleva così tanto continuare a lamentarsi a mezza voce per l’attesa di ore, per la distanza, per ogni cosa, ma quando lo vide entrare dalla porta, con un borsone sulla spalla, ogni cosa svanì istantaneamente. Le persone continuavano ad andare e venire, a camminare, correre, salutarsi, ma per Jim il mondo era bloccato a quel piccolo istante.
Senza pensare si lanciò tra le sue braccia avvolgendogli le braccia attorno al collo e restando quando più vicino possibile riuscisse in quel momento. Sebastian si ritrovò per un attimo sbilanciato indietro, lasciò cadere a terra la borsa e lo strinse a sé in risposta. Non esisteva più nient’altro. Improvvisamente Jim capì cosa quella coppietta che aveva osservato prima stesse provando, capì perché nessuno dei due volesse staccarsi dall’altro, aveva senso, ogni cosa, di colpo. Jim non voleva allontanarsi, temeva che se l’avesse fatto Sebastian sarebbe sparito, magari partito di nuovo, magari non sarebbe più tornato. Jim non l’avrebbe mai ammesso, non avrebbe mai detto di aver paura, non avrebbe detto di tenere a lui, di non volerlo perdere, dirlo era una cosa banale, assolutamente non da Jim. Sebastian lo sapeva e quello bastava, non si trattava della distanza o del tempo che era stato lontano, si trattava della ragione, della guerra, del non sapere mai se tornerai a casa o meno.
Le persone attorno a loro continuavano senza farci caso, alcuni si fermavano qualche momento a guardarli ma non aveva importanza, ne avrebbe avuta per Jim solitamente, ma non in quel momento. In quel momento c’erano solo loro, a casa, al sicuro, insieme.



Angolo dell'Autrice: I ritardi di Trenitalia a volte portano qualcosa di buono, non sempre, quasi mai a dire il vero, ma a volte sì. Non è mai semplice scrivere su di loro, non si tratta del non saper come scrivere, dopo Ninety trovo che scrivere della nostra Tigre mi sia, diciamo, quasi semplice. Il problema sta nel trovare cosa raccontare, non sono una coppia banale, non sono una coppia facile (Diamine, sono due assassini!), vorrei scrivere molto di più su di loro e mi dispiace non riuscirci.
Ma ogni tanto sforno qualcosa, e spero che vi piaccia!

Bye Bye~
Aki

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Capitolo 13
*** Goodnight Tiger ***


Goodnight Tiger


Nella perfezione del suo piano Jim non aveva messo in conto Sebastian, non che non fosse importante, al contrario, Sebastian era una delle cose più importanti, e probabilmente stabili, della sua vita, solo non aveva un ruolo fondamentale nel suo “Problema finale”. Si trattava solo di lui e Sherlock, del loro gioco. Jim aveva preparato ogni cosa nei minimi dettagli, la sua finta morte, l’inganno orchestrato da Sherlock Holmes, già vedeva i titoli delle pagine dei maggiori quotidiani che piangevano la tragica scomparsa di un giovane attore innocente. Ogni cosa era perfetta. Sebastian avrebbe superato la cosa, ne era certo, un paio di giorni al massimo e qualcuno lo avrebbe cercato per ingaggiarlo e il cecchino, ora libero, avrebbe accettato. O almeno era ciò che Jim credeva.
A volte però dimenticava le cose più banali e semplici, Sebastian non era come lui, aveva un cuore, un cuore già calpestato in passato, spezzato, provato dalla guerra ben più di quanto mostrasse in apparenza, Jim l’aveva visto a volte, nei momenti in cui si apriva, in cui si mostrava vulnerabile e umano, completamente diverso dalla tigre a cui il Consulting Criminal era abituato, l’aveva visto eppure ogni volta se ne dimenticava, e quella era una di quelle volte.
Aveva avuto ragione quando aveva pensato che qualcuno avrebbe contattato Sebastian, piccoli criminali di cui Jim non si curava, insignificanti, ciò che non si aspettava era la risposta che ogni volta arrivava da Moran. «No.» «Non mi interessa.» «Sparisci dalla mia vista.» «Giuro che se ti presenti di nuovo qui un buco in testa non te lo toglie nessuno.» BANG. Nascosto nella sua posizione sicura Jim sghignazzò quando la pallottola entrò nella fronte dell’uomo e si conficcò nel muro dietro di lui, non stava spiando il suo cecchino, ex cecchino, non aveva alcuna ragione di farlo. Come al tempo stesso non aveva nulla di meglio da fare.
«Sempre così leale il mio Sebby.» Mormorò con un sorriso, si rese conto un paio di minuti dopo di quello che aveva detto, il sorriso morì sul suo volto e rimase a fissare l’uomo mentre posava la pistola sul mobile, sospirava, riempiva un bicchiere, si sedeva sulla poltrona e lo buttava giù tutto in una volta senza più degnare di uno sguardo il cadavere sul pavimento. «Così leale verso un morto.»
Jim immaginò che fosse stato un caso, dopotutto era passato troppo poco dalla sua morte, finta morte, perché Sebastian potesse davvero andare avanti, avevano vissuto assieme troppo a lungo, Jim l’aveva salvato, lo sapeva, ciò che Sebastian non sapeva era che la cosa andava in entrambe le direzioni.
Una settimana passò in fretta, poi un’altra, e un’altra ancora dopo, erano veloci all’inizio, quasi frenetiche, doveva far attenzione ad ogni movimento per non rischiare di venir scoperto in modo stupido, per non mandare all’aria il suo minuzioso piano, poi iniziarono a rallentare, in modo graduale, finché non si ritrovò a contare i giorni invece delle settimane. C’era ancora molto lavoro da fare, cose che si era premurato di portare con sé, piccoli crimini all’apparenza insignificanti che nessuno avrebbe mai potuto associare a lui, nemmeno Sherlock Holmes, non che potesse da morto. Non che Jim in fondo ci credesse davvero, erano entrambi troppo intelligenti.
In mezzo a tutto quel lavoro però il tempo per Sebastian c’era sempre, lo seguiva nell’ombra, controllava ciò che faceva, non che facesse molto, lo controllava, come aveva sempre fatto. Lo guardava distruggersi lentamente, giorno dopo giorno, e non poteva intervenire per impedirlo. Avrebbe voluto rispondergli quando chiamava il suo nome nel cuore della notte o in pieno giorno, avrebbe voluto dargli un indirizzo, un indizio, un qualcosa, qualunque cosa.
Lo guardò posare un bicchiere accanto alla bottiglia vuota, sospirare e poi lasciarsi cadere sul materasso senza premurarsi di spostare le coperte ammonticchiate da un lato né di tirarsele sopra di sé; aveva smesso di lasciarsi prendere dalla rabbia, afferrare il bicchiere o la bottiglia e scagliarli contro al muro, quello però non voleva dire niente per Jim, niente di buono almeno.
«Jim...» Dio, quanto voleva raggiungerlo, sedersi sul bordo del letto e promettergli che non sarebbe più andato via, quanto desiderava cacciare quegli incubi, tornare a vedere la sua tigre essere forte e spietata. E non rotta.
«Shhh, ora, Tigre.» Mormorò dopo alcuni minuti, Sebastian scattò a sedere sul letto come un pupazzo a molla, si guardò intorno, non spaventato, mai spaventato. L’interruttore era troppo lontano dal letto per raggiungerlo ma anche volendolo non voleva davvero accenderla, non voleva vedere la stanza vuota come tutte le altre volte.
«Non ti sembra di aver ripetuto il mio nome troppe volte?» Sebastian deglutì muovendosi piano sul letto versi l’angolo in cui Jim era nascosto, dal canto suo Jim iniziava a rimpiangere quella scelta di interferire ma ormai non poteva tirarsi indietro.
«Cos’è successo alla mia bella e fiera tigre, mh? Si è trasformata in un cucciolo spaventato?» «Sei morto, Jim.» Fu la risposta lapidaria che ottenne, non che se la aspettasse, aveva esitato prima di dire il suo nome, come se non fosse sicuro.
«Nemmeno più un briciolo di fiducia? Sebby caro non c’è mai stato niente di non calcolato nel mio piano.» Si mosse verso di lui di qualche passo, non abbastanza da essere illuminato dalle luci che entravano dalla finestra eppure abbastanza da essere una sagoma nell’angolo della stanza. Come i serial killer nei film che Sebastian amava tanto guardare. Sebastian sospirò arreso, rimase a guardare la sagoma scura per alcuni secondi poi si lasciò nuovamente cadere sul materasso con un braccio a coprirsi gli occhi.
«Non sei reale.» Mormorò, più a sé stesso che a Jim, il quale avrebbe potuto sentirsi offeso se il cecchino non avesse continuato subito dopo. «Sei una di quelle stupide allucinazioni.» Premette i palmi delle mani sugli occhi come se così facendo potesse tagliare fuori dalla sua visuale ogni luce. «Non sono nemmeno più sicuro di volere che svaniscano.»
«Shhh. Dormi ora.» Sentì il materasso cigolare leggermente mentre si voltava. «Non resterai solo ancora a lungo. Devi avere un po’ di fede, solo un po’.» Sussurrò sgusciando fuori dalla stanza non prima di aver dato un ultimo sguardo all’uomo, aveva già iniziato a pianificare il grandioso ritorno, doveva solo mettere a punto qualche particolare, e Sebastian sarebbe stato il primo a saperlo.
«Buonanotte Tigre.»



Angolo dell'Autrice: Tutto è nato dopo la visione di Sherlock al cinema, durante le interviste alla fine Andrew dice "Goodnight". Da lì con la mia Parabatai abbiamo iniziato a immaginare quel tono, quel "Buonanotte" rivolto a Sebby, perchè se si parla di Jim in automatico c'è anche lui! (Era nascosto da qualche parte, magari l'ha aiutato col vestito da sposa... oppure sghignazzava alla vista, non saprei a dire il vero. xD)  In ogni caso, dopo un po' in cui mi ero bloccata con una scena che proprio non voleva scriversi eccola qui, col suo classico retrogusto triste perchè... Beh, mi diverto a scrivere del post Reichenbach dalla parte di Sebastian. (Credo che la traduzione di questa frase possa effettivamente essere "Mi diverto a torturare e distruggere Sebastian", ma suona meglio nella prima versione, vero? Meno diretta. Ok, teniamo la prima.)
In ogni caso, se siete arrivati qui in fondo senza chiudere la pagina spero la storia vi sia piaciuta, se volete lasciare un commentino sono sempre ben accetti e se avete delle idee potete scrivere in privato ma vi avverto, a volte sono lentissima a scrivere, dipende dall'ispirazione del momento!
Dimenticavo! la frase, alla fine “Devi avere un po’ di fede” è una frase presa da Prison Break, una delle tante che amo, ho voluto usarla qui e mi sembrava giusto farlo presente.

Bye Bye~
Aki

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Capitolo 14
*** Of scars and kisses ***


Of scars and kisses


Jim si mosse lentamente nel letto districandosi dalle coperte, la luce esterna lasciava la stanza in penombra, nel corso degli anni si era abituato a dormire in quel modo nonostante preferisse il buio più totale. La ragione era sull’altro lato del letto, Sebastian non amava il buio, lo rendeva inquieto, continuava a girarsi e rigirarsi nel letto incapace di prender sonno, e quando finalmente si addormentava gli incubi, i ricordi erano lì, pronti ad agguantarlo e trascinarlo in tenebre più oscure della sua stessa stanza. Per amore, per quanto non lo avrebbe mai veramente ammesso a voce, Jim si era adattato a dormire con la luce esterna dei palazzi e delle strade che filtrava dalle tende.
Lasciò scorrere un dito sulla sua schiena seguendo le cicatrici che la segnavano senza apparente logica, erano come una confusionaria mappa che non porta da nessuna parte eppure Sebastian non le nascondeva, non si era mai fatto problemi con gli sguardi altrui, non aveva mai provato imbarazzo o disagio quando qualcuno le vedeva, erano forse motivo di orgoglio per lui. Ognuna aveva una storia precisa, più emozionante o meno, Jim non le conosceva tutte, sapeva della corda uncinata che aveva lasciato segni attorno al suo collo, o delle tre strisce che dalla schiena salivano alla spalla e al braccio, della lotta con una tigre, conosceva molte altre storie ma non tutte. Avrebbe avuto tempo per conoscerle, la loro storia non era importante in quell’esatto momento tra il finire della notte e il sorgere del sole, quando i lampioni nelle strade si spengono e la città inizia a svegliarsi.
Spostò il dito con cui tracciava la complicata e assurda mappa e si avvicinò posando le labbra sul segno chiaro che il suo tocco aveva appena abbandonato, nessuno al mondo avrebbe mai potuto pensare, e ancor meno dire, che Jim Moriarty, l’uomo più pericoloso di Londra, avesse un lato romantico, gentile, quasi attento. I baci divennero due, poi tre, quattro, dieci, salirono lentamente fino alla base della nuca dove si soffermò diversi secondi in più con un piccolo sorriso. Non era sempre così ma c’erano giorni particolari, momenti come quello, quando Sebastian tornava a casa a notte fonda da un lavoro lungo e pericoloso. Quei baci leggeri e silenziosi erano per entrambi, Sebastian avrebbe capito che aveva fatto un buon lavoro, che Jim era fiero di lui, non sapeva ancora se per il lavoro o per essere tornato, e Jim... Jim voleva solo avere la certezza che la sua Tigre era sana e salva al suo fianco come doveva essere, nient’altro aveva importanza.



Angolino dell'Autrice: non sono nemmeno 500 parole ma sento di aver detto tutto ciò che dovevo dire in questa storia. è semplice, corta, senza un solo dialogo ma non servivano, non aveva davvero senso allungarla con dialoghi inutili, l'avrebbero appesantita e avrebbero tolto la sensazione di calma e silenzio che volevo dare e che ho creato per me stessa mentre la scrivevo.
Quindi, sperando vi sia piaciuta...  Alla prossima!

Bye Bye~
Aki

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Capitolo 15
*** With You ***


With You

Avere a che fare con Jim normalmente era complicato per tutti, per i clienti, per i sottoposti, per chiunque dovesse anche solo parlare con lui. Sebastian Moran si riteneva l’eccezione, non aveva nulla di speciale, e lo sapeva bene, non era più intelligente, o furbo, o qualunque altra cosa gli altri pensassero, semplicemente non aveva paura. Non di Jim di sicuro.
Voltò la testa dalla pistola che aveva smontato sul tavolo e pulito pezzo per pezzo con meticolosa attenzione, Jim sul divano era nella stessa posizione di due ore prima, le gambe raccolte e lo sguardo fisso sul muro vuoto come se vi fossero nascosti i segreti dell’Universo.
Chiunque avesse avuto a che fare con lui aveva imparato, a sue spese, che avvicinarsi al Consulting Criminal in quel momento era pericoloso, molto pericoloso. Sebastian non era chiunque. Si alzò lasciando la pistola smontata sul tavolo e si sedette accanto a lui, fissò brevemente il muro, aggrottò la fronte cercando di vederci un briciolo degli schemi che Jim vedeva, ma il muro rimase immobile e bianco, inclinò la testa, si voltò verso Jim senza avvicinarsi ulteriormente o senza parlare. Semplicemente in attesa.
Se aveva imparato una cosa dal suo lavoro, il primo, l’essere un soldato, un cecchino, era la pazienza, la capacità di aspettare immobile in silenzio, qualcosa che chiunque vedendolo non avrebbe mai detto. Eccetto Jim, ma Jim dopotutto non era chiunque. Jim Moriarty, mente dietro la più grande e fitta rete criminale di Londra, professore di matematica, indubbiamente un genio, sapeva leggere il silenzio che aleggiava in quell’appartamento semplice, nascosto in piena vista nel cuore di Londra. Jim sapeva leggere Sebastian anche quando non parlava, e Sebastian amava vantarsi con sé stesso di saper fare lo stesso, era la ragione per cui in quel momento era in silenzio. O quantomeno una delle ragioni.
Jim si mosse, impercettibilmente, mosse una mano, fece ruotare con due dita, lentamente, l’anello che da due anni a quella parte non aveva mai lasciato il suo dito, ruotò tre volte prima di bloccarsi e voltarsi di colpo verso il cecchino.
«Devo smetterla di mandarti in missioni all’estero.»
Oh. Quello. Il solito discorso che arrivava ogni volta che Sebastian tornava a casa dopo più di due giorni lontano per qualcosa che Jim gli aveva chiesto di fare.
Non c’era rabbia nella sua voce, piuttosto c’era qualcosa che non smetteva mai di stupire l’uomo, quella nota di preoccupazione, quella nota minuscola di amore che prendeva forma attraverso delle parole.
«Potrei trovare qualcun altro per farlo.» Per un attimo Sebastian sembrò ringhiare, un suono gutturale e pericoloso, eppure privo di rabbia anch’esso.
La mano di Jim era ancora sull’anello, lo accarezzò.
«Se succedesse qualcosa. Non sarebbe la prima volta, hai dei nemici anche tu. Se succedesse qualcosa.» Sebastian coprì la mano con la sua, un gesto lento e calcolato.
«Ehi.» Mormorò con un piccolo sorriso. «Non ti libererai di me facilmente Jimmy.» la mano sfiorò a sua volta l’anello. «Ho promesso che sarei stato con te fino alla fine della storia.» Jim sorrise avvicinandosi quel che bastava perché le loro fronti si toccassero.
«E la storia, la nostra storia Tigre, è ancora lunga.»
 


Angolino dell'Autrice: Fluff fluff fluff... il caldo mi fa questo effetto e non so se devo esserne felice o meno. Di certo sono felice di aver messo mano nuovamente ai miei due criminali preferiti e sì, tanto tanto sposati <3
Aki out

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Capitolo 16
*** Close range ***


Close range
 
 
«Ehi Boss.» Jim non si scomodò di alzare lo sguardo dal portatile aperto sul tavolo della cucina, non si scomodò di rispondere al cecchino seduto sul divano. Il silenzio fu eloquente quanto bastava da proseguire.
«Puoi promettermi una cosa?» Stavolta attese una risposta, era una domanda seria, la sua voce era seria, non lo stava guardando in verità, fissava un vecchio quadro appeso sopra il televisore, lo sguardo era neutrale come la voce, il respiro tranquillo. Jim ancora una volta non disse nulla portandolo a voltarsi verso di lui. «Sono serio Jim, almeno fai un cenno che hai sentito.» Borbottò piegandosi avanti e posando i gomiti sulle gambe. Jim mosse distrattamente la mano e Sebastian sospirò, quello era probabilmente tutto quello che avrebbe ottenuto in quel momento.
Voleva cambiare idea e non chiedere più nulla, voleva dirgli di dimenticare quello che aveva detto ma non poteva. Jim lo avrebbe tartassato per il resto della giornata per sapere cosa voleva dirgli di così importante da disturbarlo dal lavoro. Ormai aveva iniziato, non poteva tirarsi indietro.
«Quando avrai finito…» Tornò in una posizione più comoda appoggiato allo schienale del divano. «Con me intendo…» Jim si fermò un attimo prima di riprendere a scrivere sul portatile ma la concentrazione era tutta focalizzata sulle parole di Sebastian. «Voglio che sia tu a farlo. Tu a premere il grilletto e mettere fine alla mia vita.»
Il Consulting Criminal si costrinse a continuare il lavoro che aveva iniziato, poche battute ancora e avrebbe spedito la mail e allora tutta la sua completa attenzione sarebbe stata su Sebastian e sulla sua stupida domanda.
«Da vicino.» Proseguì in tono sommesso Sebastian come se parlasse più a sé stesso che a Jim ora. Quest’ultimo premetto l’invio e chiuse il programma per poi voltarsi sulla sedia e fissare il cecchino.
«Di cosa diavolo stai parlando?» Domandò spazientito, non era da Sebastian fare un discorso simile, assolutamente, eppure eccoli lì.
«Dico davvero Jim, voglio che sia tu.» Mormorò convinto, il tono faceva crescere una strana sensazione nella mente di Jim, qualcosa a cui aveva pensato negli ultimi mesi e che puntualmente aveva messo da parte perché no, si trattava di Sebastian, non di una persona qualunque.
«Non uno dei tuoi nuovi cecchini inesperti che devono inseguirmi per le strade di tutta Londra prima di prendermi.»
«Non vedo perché dovrei avere dei nuovi cecchini quando ho te, Tigre.» Fu la risposta secca e sbrigativa di Jim, Sebastian si limitò ad arricciare le labbra in un tentativo di sorridere, ma il sorriso sembrava congelato, finto, nulla a confronto di quello che era normalmente. E una vocina nella mente di Jim iniziava a scalpitare. “Lo sa. Lo sa.” Sembrava cantilenare sempre più forte, sempre più convincente, sempre più odiosa.
«Prima o poi commetterò un errore anch’io. Sono umano.» Si giustificò voltando lo sguardo verso il capo. «Gli umani commettono sempre degli errori. Promettimi che sarai tu a farlo.» Rincarò guardandolo negli occhi in cerca di una risposta affermativa a quell’assurda richiesta. «Voglio essere speciale, almeno in questo. Almeno quando fallirò.»
“Lo saaa~.” Cantilenò più forte la vocina e Jim avrebbe tanto voluto urlare per sovrastarla.
«Non fallirai.» Disse invece con decisione per convincere l’uomo, per zittire la voce, per ricordarlo a sé stesso. Si alzò avvicinandosi al divano e facendo scorrere una mano tra i capelli chiari del cecchino mentre si dirigeva in camera. «Ti ho scelto per questo.»
“Non fallirai.” Così aveva detto Jim, non fallirai, Sebastian voleva credergli ma come?
Prese il cellulare dal tavolino davanti a sé, aprì la posta sull’account di Jim, non era convinto che l’uomo fosse all’oscuro del fatto che leggeva le sue mail ma non ne aveva mai fatto parola. Sapeva già cosa era scritto nell’ultima mail inviata, gli ultimi dettagli di quel suo gioco. Il mittente era oscurato ma a Sebastian non importava.
Non fallirai aveva detto, ma aveva già fallito. E Jim non aveva promesso nulla.
 
“Lo prometto. JM”
 
Il messaggio arrivò qualche minuto prima dello sparo, non servivano altre parole, Sebastian sapeva esattamente di cosa stava parlando, sapeva cosa Jim stava promettendo. Tre minuti dopo la promessa era mantenuta, con un colpo di pistola, sul tetto dell’ospedale.  Non era letterale come Sebastian avrebbe voluto ma Jim amava le metafore, fin troppo a volte.
E in metafora l’aveva ucciso.



Angolino dell'Autrice:  Hello boys~ Ogni tanto torno fuori con qualcosa di nuovo
Giusto in tempo in vista dell'ultimo episodio di questa sera, una nuova MorMor perfettamente nel mio stile :3 (Felicità? Cos'è? Si mangia?).
Sorry, ennesima storiella ambientata un attimo prima della "Caduta".
Spero di non averci perso troppo la mano con questi due :)

Alla mia parabatai, che con Ninety ho convertito a questa coppia e che legge ogni cosa che scrivo... <3

Bye Bye~
Aki

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