Don't you remember?

di Elisaherm
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Don't you remember? ***
Capitolo 2: *** Plans ***
Capitolo 3: *** Family ***
Capitolo 4: *** Closed doors and secrets ***
Capitolo 5: *** Memories ***
Capitolo 6: *** Delirium ***
Capitolo 7: *** Prelude to Darkness ***
Capitolo 8: *** Erase this ***
Capitolo 9: *** Some tea? ***
Capitolo 10: *** Liars ***
Capitolo 11: *** Betrayal ***
Capitolo 12: *** Tabula rasa ***



Capitolo 1
*** Don't you remember? ***



Don't you remember?









«Cosa facciamo stasera, Jonathan?»

Clary, seduta a gambe incrociate sull'erba di Central Park a pochi centimetri dal fratello, stava tirando fuori dalla borsa il suo adorato blocco da disegno, che portava sempre con sé. Jonathan, dal canto suo, era beatamente sdraiato per terra ad occhi chiusi e si stava godendo il sole estivo.

«Che ne dici di andare in discoteca? Ho sentito molto parlare di una chiamata 'Pandemonium' dove spesso si radunano i demoni... potremmo spassarcela un po', ballare e poi andare a caccia.»

Clary lo sapeva bene, suo fratello era un ottimo Shadowhunter, forse il migliore della sua età, e non perdeva occasione per far fuori qualche demone ogni volta che poteva.

«Mh... Veramente oggi non ne ho molta voglia, pensavo a qualcosa di più tranquillo.»

Aprì il blocco da disegno e iniziò ad abbozzare un volto, il volto di uno Shadowhunter con delle ali dorate che aveva disegnato più volte e che una notte aveva persino sognato. Non sapeva da dove le venisse quell'immagine, eppure ultimamente era sempre lì, nel retro della sua mente.

«Ad esempio? Rimanere nel letto a leggere un libro e bere cioccolata calda? Come una vecchietta?» la prese in giro bonariamente Jonathan.

«Perché no? Anche se temo che questa non sia proprio la stagione più adatta per la cioccolata calda.»

Jonathan, probabilmente stufo dei suoi vaneggiamenti, alzò gli occhi al cielo e poi li richiuse per tornare a riposarsi in santa pace, mentre Clary continuò a disegnare.

«Credi che i mondani si accorgeranno mai della realtà nascosta che li circonda?» chiese ancora Clary. Era una domanda che si poneva spesso. Le cose sarebbero state molto diverse se i mondani fossero venuti a conoscenza dell'esistenza dei demoni e di coloro che li proteggevano da essi.

«Forse, ma non credi siano più felici vivendo senza il peso di temere tutto il tempo che la morte sia dietro l'angolo?»

«Immagino tu abbia ragione» sospirò Clary mentre finiva di sfumare con le dita i capelli e le ali del ragazzo che aveva disegnato.

«Ma certo che ce l'ho.» Jonathan si girò sorridente su un fianco e le diede un bacio sulla fronte. Clary rise divertita e poi iniziò a rimettere a posto il blocco e la matita.

«Che stavi disegnando?» 

«Niente di che, è solo qualcosa che ho in testa da alcuni giorni.» Riaprì il blocco da disegno che aveva chiuso e mostrò lo schizzo a suo fratello. 

«È un bel disegno» commentò Jonathan senza alcuna inflessione nella voce. «Facciamo una passeggiata?»

Clary annuì e si alzò, seguita dal fratello. La tracolla della borsa le scivolò giù dal braccio. Jonathan gliela rimise a posto e le sue dita indugiarono sulla pelle nuda della spalla.
 


Camminarono per un po' per il grande parco, finché, dato che si stava facendo tardi, decisero di tornare a casa, nell'appartamento in cima a uno dei grattacieli della Uptown di Manhattan che anni prima avevano comprato i loro genitori, prima di morire durante la lotta contro un demone superiore. Secondo Jonathan la morte dei loro genitori era stata causata dal Conclave, che aveva deciso di non mandare rinforzi nonostante fosse stata avvertita una fortissima presenza demoniaca. Perciò, dopo aver ottenuto il permesso di abitare con lei nella vecchia casa dei genitori, suo fratello aveva deciso di tagliare i rapporti con il Conclave e con gli altri Istituti, evitando tutti gli altri Shadowhunters. E, per lo stesso motivo, non erano mai andati a Idris, anche se Clary avrebbe tanto voluto vederla, dato che in tutti i libri che aveva letto era descritta come una città stupenda e unica nel suo genere.

«Cosa vorresti per cena? Potremmo ordinare qualcosa oppure posso provare a cucinare qualcosa» le propose Jonathan. Era sempre così dolce con lei, non avrebbe potuto desiderare un fratello maggiore migliore.

I suoi occhi splendevano quando si girò a guardarla, verdi come l'erba primaverile.
Ha sempre avuto gli occhi verdi, disse una voce nella sua testa. Spesso la gente si meraviglia di quanto siate simili, tu e lui. Il suo nome è Jonathan ed è tuo fratello. Ti ha sempre protetta.

 Da qualche parte nel retro della sua mente Clary vide occhi neri e segni di frusta, ma non seppe perché. È tuo fratello. È tuo fratello, e si è sempre preso cura di te.


«Va tutto bene, sorellina? Sembri un po' spossata.»

Clary si riscosse improvvisamente. «Sì, no, tutto bene, sono solo un po' stanca, non preoccupar—» Qualcuno bussò alla porta prima che potesse finire e lei andò a rispondere. Non appena aprì la porta riconobbe incredula il ragazzo di fronte a lei, non di nome, ma per l'aspetto. Era lo Shadowhunter che continuava a disegnare.
Questi rimase senza fiato per qualche momento, mentre i suoi occhi si illuminavano.
«Clary! Grazie a Dio sei qui!» esclamò poi «Temevo fosse un altro buco nell'acqua. Per Raziel, sai per quanto sei sparita? Hai idea di quanto ti abbiamo cercato? Stai bene? Ti ha fatto qualcosa?»

Sembrava allo stesso tempo sollevato e in preda al panico. Clary non riuscì a capire cosa intendesse con 'sparita'. E chi era ad averla cercata? Come faceva questo ragazzo a conoscere il suo nome?
Era così stupefatta che non riuscì a reagire quando il ragazzo le prese delicatamente una mano e iniziò a trascinarla verso la porta, guardandola nel frattempo come per controllare se fosse ferita.
«Scusa, c'è qualcosa che possiamo fare per te?» Suo fratello era apparso accanto a lei prendendo in mano la situazione e mettendole una mano sulla spalla. Non gli piacevano particolarmente gli sconosciuti, e considerando che questo conosceva il nome di Clary, probabilmente non lo avrebbe fatto rimanere a lungo. L'altro si fermò immediatamente al suono della sua voce e si girò con uno sguardo di fuoco posando cautamente la mano che non teneva la sua sull'elsa di una spada angelica che lei non aveva notato.

«Sebastian, maledetto bastardo! Ero sicuro che fossi stato tu a portarla via! Lasciala andare e forse ti risparmierò.»

Chi diavolo è Sebastian? Clary non capiva nulla di quello che lo Shadowhuter alla porta stava dicendo.

«Devi essere in errore, questa è mia sorella. Nessuno qui è stato portato via, quindi gradirei che te ne andassi ora» Jonathan lo stava guardando con altrettanto odio.

«Sarà anche tua sorella, ma lei non ti ama! Clary, avanti, torniamo all'Istituto! Gli altri ti stanno aspettando! Eravamo tutti così in pensiero, ti abbiamo cercato per mesi! Tua madre–»

«Nostra madre è morta. Anni fa. Se la conoscessi davvero lo sapresti. Quindi vedi di levare il disturbo» lo freddò Jonathan. L'altro lo fissò sconcertato, ma si riprese velocemente.
 
«Clary, ti prego, sai chi sono, sai che ti voglio bene. Sebastian è malvagio, è stato lui a rapirti, non è vero? Torna a casa. Torna a casa con me.» Il ragazzo la stava quasi supplicando di credere che quello che diceva fosse la verità.

«Clary, lo conosci? Se ti conosce può venire con te, se vuole, altrimenti rimane» mise in chiaro Jonathan con un tono che non ammetteva repliche. Lo Shadowhunter sembrava sempre più confuso, ma quando vide l'espressione di Jonathan, di cui Clary non si accorse, capì perché l'altro non lo aveva ancora colpito. Quella era l'espressione di chi ha un asso nella manica, e non vede l'ora di tirarlo fuori.

Clary non sapeva cosa fare. Era il ragazzo che disegnava da giorni, certo, ma non poteva dire di conoscerlo di persona. Non lo conosceva, e Jonathan le aveva insegnato a non fidarsi di nessuno.

«Mi spiace, ma io non ti conosco» disse lasciandogli la mano che ancora la teneva.
Il ragazzo sembrò impietrirsi per qualche attimo, guardandola come se non la riconoscesse. Il suo sguardo angosciato, tradito, spezzato la fece star male.
«Che diamine le hai fatto, bastardo? L'hai fatta bere dalla coppa?» inveì improvvisamente voltandosi verso Jonathan, la spada angelica pronta ad essere tirata fuori. Clary iniziò ad avere paura. Non era così che lo immaginava quando lo disegnava nel suo blocco. Lì era dolce, rassicurante, amorevole. Impallidì quando si voltò di nuovo verso di lei, alzando una mano e fermandola a pochi centrimetri dalla sua guancia, come se avesse paura ad accarezzarla. «Clary, ti prego, sono io! Sono Jace! Non ti ricordi? Io ti a–» Jonathan gli sbattè la porta in faccia prima che potesse finire la frase. Ma il ragazzo non sembrò darsi per vinto: continuò a tempestare la porta di calci e pugni, a chiamare Clary, a pregarla di aprigli e di ricordare.
 
Ma ricordare cosa? Continuava a chiedersi Clarissa.

Jonathan con tutta calma tirò fuori il proprio stilo e iniziò a disegnare due rune sul legno scuro della porta: una runa del Silenzio e una della Resistenza. In pochi secondi neanche un suono proveniva dall'altro lato della porta, che ora non tremava più sotto i colpi dello Shadowhunter.

Clary rimase ferma a fissare la porta, stordita. Jace. Jace. Momenti di una vita passata, ricordi di una relazione che non c'era mai stata le passavano veloci davanti agli occhi, ma appena cercava di afferrarne uno ecco che spariva, nascosto chissà dove nei meandri della sua mente. Era come se fossero esistiti ma in un altro tempo.

«Lo sai che ti voglio bene, vero?» Le chiese Jonathan riscuotendola dai suoi pensieri. Le si avvicinò e la guardò profondamente negli occhi, accarezzandole una guancia.

«Ma certo, sei mio fratello. Anch'io ti voglio bene»

Clary era contenta di mantenere la sua vita così com'era. Suo fratello era lì per lei, per renderla felice e tenerla al sicuro.

 



NdA:
1. La parte in corsivo non appartiene a me, è una citazione di Cassandra Clare che ho tradotto (anche se non so quanto la traduzione possa essere esatta) e lievemente modificato ai fini della mia storia.
2. Questa ff era nata per essere una one-shot, ma potrebbe anche diventare una long, dipende dalle recensioni che riceverò.
3. Per favore, fatemi sapere cosa ne pensate, ci tengo davvero molto.

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Capitolo 2
*** Plans ***




Plans




Eveʀyoɴe ʜeʀe

ωαѕ ѕ σ м є σ η є є ℓ ѕ є

- B E F O R E -



Quando Isabelle arrivò all'appartamento di Magnus era notte fonda e pioveva a dirotto. Oltrepassò la porta di casa che era stata lasciata aperta ed attraversò velocemente il corridoio, fermandosi solo per appendere la giacca completamente bagnata a uno degli appendiabiti dorati. Dopodiché entrò nella sala, che quel giorno era ammobiliata in stile barocco.

«Nessuna novità, e voi?»

Da quando, cinque mesi prima, Clary era sparita, Isabelle, Alec, Jace e Simon non si erano dati pace per ritrovarla, neanche quando il Conclave aveva deciso di abbandonare momentaneamente le ricerche perché, per loro, al momento la questione di primaria importanza era trovare Jonathan.
Quando fratello Zaccaria glielo aveva comunicato, persino Alec aveva espresso il suo disappunto nei confronti del Conclave in maniera piuttosto colorita.
Nonostante lui e Alec avessero rotto, Magnus si era offerto di aiutarli, dopotutto aveva visto Clary crescere e sapeva che senza l'aiuto di uno stregone probabilmente non l'avrebbero trovata mai.
Dato che nell'Istituto potevano entrare solo gli Shadowhunters, era nel suo appartamento che si riunivano ogni sera per le ricerche, dividendosi in gruppi e seguendo varie tracce, una più improbabile dell'altra. E tornando sempre a mani vuote.
Isabelle si guardò intorno. Dalle facce dei suoi amici era chiaro che stessero aspettando solo lei. Jace era seduto su una poltrona in un angolo della stanza, vicino al fuoco, il volto più cupo e disperato del solito. Isabelle gli si avvicinò e gli mise una mano sulle spalle, cercando di confortarlo. «Jace, vedrai che la prossima volta—»

«L'ho trovata.»

Isabelle dovette aggrapparsi allo schienale della poltrona. 

«Hai... hai appena detto che l'hai trovata?»

«Già.»

La ragazza si guardò intorno: gli altri erano sconvolti quanto lei. Evidentemente Jace aveva aspettato che arrivasse anche lei prima di raccontare l'accaduto.

«E allora perché non è qui? Oh no... Non mi dire che... che è—»

«È viva, Isabelle.»

«Sebastian le ha fatto qualcosa? È intrappolata? Legata? Ferita?»

«No, sta... sta bene. Sta benissimo» sospirò Jace. Sembrava esausto.

«E allora perché non sei riuscito a salvarla? Perché non è qui ora?»

«Lei non ha voluto essere salvata.»





Jocelyn era appena tornata da Idris con Luke quando ricevette una chiamata di Jace. Per quella che le sembrava la centesima volta da quando quell'incubo era cominciato, era andata a discutere con il Consiglio, o più precisamente con il Console, Jia Penhallow, per far ripartire le ricerche. Ma anche questa volta non c'era stato niente da fare: la priorità era e restava Sebastian.
La notte in cui le avevano detto che Clary era sparita era stata la più lunga e angosciante della sua vita. Era riuscita a superarla e ad arrivare al giorno dopo solo grazie a Luke, che non l'aveva lasciata sola neanche per un attimo.
Jocelyn lo sapeva. Sapeva che un giorno avrebbe dovuto saldare i debiti con il suo passato. Che avrebbe dovuto affrontare tutti i suoi errori. Il matrimonio con Valentine a soli diciannove anni, il Circolo, Jonathan, tutto... tutto le sarebbe crollato addosso. E quel giorno adesso era arrivato. Era un fallimento come madre. Aveva perso un figlio quando era appena nato. Allora non era stata colpa sua, ma solo e unicamente di Valentine. Ma stavolta... Per tutti quegli anni aveva cercato di proteggerla ed era stato tutto inutile. Una volta Madame Dorothea le aveva detto che non si può sfuggire al proprio destino di Shadowhunter. Quella notte, la notte in cui Jocelyn aveva perso anche sua figlia, comprese che aveva ragione.

«Jace, è qualcosa di importante? Sono appena tornata da Idris e—»

«Abbiamo scoperto dov'è. Vediamoci a casa di Magnus tra mezz'ora.»





«Jace, vuoi smetterla di fare il criptico e spiegarci cos'è successo? Che diavolo significa che non ha voluto venire?» Isabelle era estremamente irritata. Odiava quando Jace faceva così, quando spegneva le sue emozioni e si chiudeva in un mondo tutto suo, inaccessibile a chiunque altro.

«Significa, Isabelle» disse Jace alzando finalmente lo sguardo distrutto su di lei «che Clary non ricorda più chi sono e che vive felicemente con suo fratello ora.»

A quel punto Jace raccontò per filo e per segno quello che era accaduto, senza che nessuno lo interrompesse.
Solo quando ebbe finito Alec, rompendo il silenzio che si era creato, azzardò:«Forse stava fingendo. Forse stava cercando di ingannare Sebastian...»

«Che senso avrebbe far credere a Sebastian di non ricordarsi di me?»

«Non... non saprei...»

«O magari è il contrario,» esclamò Isabelle. «Può darsi che Sebastian la stesse minacciando e lei ha dovuto fingere di non ricordarsi di te, per demoralizzarti o qualcosa del genere. E mi sembra anche che stia funzionando.»

Jace aprì la bocca per rispondere ma fu anticipato da Simon. 

«Clary non riuscirebbe mai a mentire così bene. Lei non sa recitare, specialmente se sotto pressione.» Lui e Jace si scambiarono un'occhiata. In quella stanza erano quelli che conoscevano Clary meglio di tutti.

«Quindi presumo che l'unica opzione rimasta sia che Clary abbia davvero dimenticato tutto,» disse infine Magnus, che fino a quel momento era rimasto in silenzio.

Jace si rivolse direttamente a lui. 

«Speravo potessi aiutarmi a capire cosa abbia usato Sebastian per farle perdere la memoria.»

«Mi spiace, ma non ne ho idea. Se non si ricordasse solo di te potrebbe essere l'incantesimo di una fata, mentre se avesse dimenticato tutto ciò che riguarda il mondo dei Nephilim non sarebbe diverso da quello che Jocelyn mi faceva fare fino a pochi anni fa, a Sebastian sarebbe bastato trovare uno stregone abbastanza potente. Ma tu hai detto che ha dimenticato persino sua madre, quindi in pratica... tutta la sua vita precedente. Non conosco nessun potere terreno che possa fare una cosa simile»

«Terreno? Vuoi dire...»

«Voglio dire che potrebbe essere stato qualcosa di demoniaco. Ma potrei anche sbagliarmi, ho intenzione di controllare sui miei libri e di chiedere a Catarina, magari lei sa qualcosa.»

«A proposito, ma Jocelyn?» chiese improvvisamente Simon.

«L'ho chiamata prima. Dovrebbe essere qui a momenti» rispose stancamente Jace. Evidentemente non era pronto a dover affrontare la madre di Clary e raccontare tutto da capo.

«Come mai non hai aspettato anche lei per raccontarlo?» chiese Isabelle con curiosità.

Jace fece un lieve sorriso. «Volevo farlo prima sapere a tutti voi, e sentire che ne pensavate. Siete i miei amici, dopotutto.» 

«Ok, ora non diventare troppo sdolcinato. Per tornare al discorso di prima, comunque, credo che al momento la cosa più importante sia portare via Clary di lì. A farle tornare la memoria penseremo dopo.» Isabelle guardò ammirata Simon che, determinato, prendeva in mano la situazione. Era cambiato moltissimo da quando l'aveva conosciuto. Non solo perché era stato trasformato in un vampiro, ma perché era diventato più maturo, più deciso, pronto ad affrontare quel nuovo mondo di cui era ormai entrato a far parte.
Tutti si mostrarono d'accordo, tranne Jace, che tornò a guardare per terra senza dire una parola. Isabelle conosceva quell'espressione.

«Jace, cosa c'è?»

«Non so se dovremmo farlo. Non so se dovremmo salvarla.»

«Sei completamente impazzito? Vorresti lasciarla con quel... con lui?» Simon era sconvolto.

«Ascoltate, io... l'ho vista. Stava bene, Sebastian non le ha fatto del male, sembrava... felice. Perché dovrei farle ricordare il suo passato, che non è affatto rose e fiori, e toglierle quella felicità?»

Isabelle, che nel frattempo si era seduta, si rialzò e raggiunse Jace. Si inginocchiò di fronte a lui e gli diede uno schiaffo più forte che poté. 

«Smettila di fare l'idiota. Clary in questo momento vive con un assassino senza scrupoli senza neanche saperlo. Con il mostro che... che ha ucciso Max» La voce le si spezzò per un istante, ma riprese subito dopo, determinata. «Se non sarai tu a salvarla, lo farò io. E ucciderò Sebastian.»

Jace mantenne lo sguardo basso, ma annuì lievemente.

«Dobbiamo chiamare immediatamente il Conclave e farci mandare qualcuno» disse a quel punto Alec.

«Ci vorrebbe troppo tempo» si agitò Jace «Dobbiamo muoverci in fretta, ora che Sebastian sa che abbiamo scoperto dove si nasconde. Per fare arrivare altri Nephilim dovremo aspettare almeno 24 ore.» 

«Hai paura che scappi chissà dove? Dovrebbe rivelare la verità a Clary per farlo.» 

«Già, e comunque noi cinque non riusciremmo mai a batterlo da soli» aggiunse Isabelle.

«Scusate, non abbiamo il Fuoco Celeste? Con quello...»

«Jace non ha ancora capito come utilizzarlo, Seth» disse Magnus.

«Per l'ennesima volta, mi chiamo Simon» L'interessato alzò gli occhi al cielo.

«Va bene, allora appena arrivano Jocelyn e Luke ci metteremo in contatto con il Conclave» chiuse la questione Isabelle.





«Clarissa, sei sicura che vada tutto bene? È da prima che mi sembri un po' strana.» Jonathan si sedette sul divano accanto a sua sorella e le mise una mano sulla sua.

Clary alzò lo sguardo pensieroso su di lui e sorrise. «Stavo ripensando al ragazzo di prima.»

«Quello svitato che tempestava la porta di calci, dici? Sì, mi sembra di ricordarlo» ironizzò.

Clary rise, per poi tornare subito seria. «Sbaglio o ti ha chiamato Sebastian?»

«Già. O mi ha confuso con qualcuno, o era uno dei tanti pazzi accattoni che popolano New York. Gente pericolosa, meglio non averci a che fare.»
Ma gli accattoni di New York non girano con una spada angelica, pensò, ma annuì al fratello. Lui si girò come colto da un pensiero improvviso e la guardò profondamente negli occhi. «Sei assolutamente sicura di non conoscerlo? Di non averlo mai visto?» Sembrava che temesse qualsiasi risposta diversa da quella che si aspettava. Continuava a scrutarla come se stesse cercando di leggere la verità nel suo sguardo.

Ancora una volta, a Clary sembrò di vedere degli occhi scuri come la pece sovrapporsi a quelli verdi di suo fratello. Durò solo un attimo, quando batté un paio di volte le palpebre era tornato tutto come prima.

«Certo, non l'ho mai visto in vita mia,» rispose con sicurezza. Non sapeva perché, ma non voleva dire a Jonathan che quel ragazzo era lo stesso che aveva sognato e che continuava a disegnare.

«Ottimo.» Jonathan si alzò mettendo fine a quello strano momento che si era creato. «Che ne diresti di andare in vacanza da qualche parte per un po' di tempo?»

«Davvero? Come mai?»

«Beh, mi sono stufato di uccidere demoni tutti i giorni e poi...» si abbassò a scostarle una ciocca di capelli che le era finita sugli occhi «ho voglia di passare un po' di tempo con la mia sorellina. Perciò che ne diresti... di andare a vivere per un po' di tempo nella tenuta di nostro padre a Idris?» 

Gli occhi di Clary si illuminarono. «Dici sul serio? Credevo che non mi ci avresti portato mai!»

«Penso sia arrivato il momento di farti vedere quello che è nostro, Clarissa.» Jonathan si avvicinò a Clary, che si era alzata, e la abbracciò. Clary si lasciò andare fra le braccia di suo fratello, appoggiando la testa sul suo petto, finché non furono interrotti dallo squillo di un cellulare.

«Scusa, devo rispondere.» Jonathan si staccò da lei e prese il cellulare, per poi andare in camera sua. Clary si sedette di nuovo sul divano, sospirando. Quel giorno erano successe un sacco di cose.
Da lì poteva sentire la voce attutita di suo fratello al telefono. Sembrava irritato. «Sì. È tutto pronto? Bene. Domattina. Mi raccomando. Ok, devo andare, fammi sapere.»

Quando tornò in sala Clary gli chiese se fosse tutto a posto.

«Sì, era solo un mio amico. Allora, che ne dici di partire domani?» 

«Domani? Come mai tutta questa fretta?»

«Perchè non vedo l'ora di rilassarmi un po' con te, ovviamente. D'altronde me lo merito un po' di relax, non credi? Sono il miglior Shadowhunter della mia età!»

«Oh sì, e anche il più modesto!» lo prese in giro Clary.

Jonathan sorrise. «Inizia a preparare le valigie e stasera a letto presto, domattina si parte per Idris»





NdA:
1. Voglio innanzitutto ringraziare Clary F, Maryonn May, Kara Slayer, Zaffiro Argentato, gaia pallareti e Lilly_bella_92 per aver recensito il primo capitolo e avermi convinto a continuare questa storia. Grazie a tutte! <3
2. Non so ogni quanto posterò, penso una o due volte a settimana, perché tanto di tempo ne ho a volontà (scrivo a notte fonda, anche alle 4 del mattino, perché è il momento in cui mi viene l'ispirazione). Ma tanto appena uscirà CoHF (il 5 se non sbaglio) sarete tutte concentrate a leggere quello, già si sa! ;)
3. Ho cercato di descrivere anche i pensieri di Jocelyn anche se sono almost sure che sia venuta una schifezza. Jace, dopo aver superato il primo momento di depressione, è pronto ad andare a casa di Sebastian con gli altri e ad affrontarlo, anche se Jonathan non è da meno e ha già fatto la sua mossa...
Continuate a recensire, è molto importante per me! 

Ora chiudo questo angolo autore che sta diventando più lungo della storia, ciao a tutti e grazie per aver letto fino a qui! 

Elisaherm

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Capitolo 3
*** Family ***




Family








“Family isn’t always blood.
It’s the people in your life who want you in theirs.
The ones who accept you for who you are.
The ones who would do anything to see you smile, and who love you no matter what.”








Quando Jocelyn e Luke erano arrivati, Jace, con l'aiuto dei suoi amici, aveva spiegato loro la situazione.
A Jocelyn era scappata qualche lacrima, specialmente quando le avevano raccontato che Clary non ricordava assolutamente nulla della sua vita precedente, ma poi, come sempre da quando la conoscevano, si era ripresa e aveva deciso di affrontare la situazione con determinazione, iniziando a pianificare i dettagli dell'irruzione nell'appartamento di Jonathan con Magnus.
Dopodiché avevano mandato un messaggio di fuoco a Idris, mentre Luke si metteva in contatto con il Praetor Lupus e Magnus chiamava Catarina. 
Il giorno dopo, un sostanzioso numero di Nephilim, tre stregoni e un gruppo di lupi mannari si apprestava a raggiungere l'appartamento in cui si nascondeva Sebastian. Il piano era semplice. Sarebbero arrivati fin sotto il grattacielo in piccoli gruppi, per non dare nell'occhio. Una volta entrati nell'appartamento, Jace, Simon, Isabelle e Alec si sarebbero divisi dal resto del gruppo durante la battaglia per salvare Clary e portarla all'Istituto.
Isabelle finì di arrotolarsi la frusta intorno al braccio a mo' di bracciale e si mise un pugnale in uno degli stivali, guardando sua madre che era impegnata a esporre ancora una volta il piano.  Scambiò una veloce occhiata con Alec, che a pochi passi di distanza stava controllando le frecce del suo arco. I suoi occhi riflettevano lo stesso pensiero di Isabelle.
Speriamo che vada tutto bene.

«Dividetevi in gruppi di quattro o cinque persone. Ci rincontreremo sul retro del palazzo. Due squadre controlleranno le entrate per assicurarsi che non scappi.» Gli occhi di tutti i presenti erano puntati su Maryse. «Un'ultima cosa. Uccidete a vista,» concluse. 
Guardò la folla, e dai suoi occhi traspariva tutto l'odio per il mostro che le aveva portato via suo figlio. 

«Si parte tra dieci minuti.»

Poco meno di un'ora dopo, erano tutti sul pianerottolo di fronte alla porta dell'appartamento, nel silenzio più assoluto. Erano arrivati chi con un furgone, come Luke, Maia e Jordan, chi con mezzi mondani. Jace, Alec, Isabelle e Simon erano passati attraverso il Portale che Magnus aveva aperto per loro, arrivando per primi. Jace avrebbe voluto entrare subito, per portare via Clary, ma sapeva che così facendo avrebbe mandato a monte il piano, perciò si era rassegnato ad aspettare gli altri con impazienza. 
Molti si accalcavano sulle scale. Erano tanti, almeno una cinquantina. Sebastian non avrebbe avuto scampo.
A un certo punto, Robert Lightwood lanciò il segnale prestabilito. Due uomini del Praetor Lupus particolarmente possenti si buttarono di peso contro la porta, sfondandola, e i Nephilim fecero irruzione seguiti dai lupi mannari e dagli stregoni.
Entrarono in tutte le stanze. 
Cercarono ovunque. Inutilmente.
Dei fratelli Morgenstern non c'era traccia.





Clary non riusciva a credere ai suoi occhi.
La tenuta dei Morgenstern era enorme, situata in cima a un lieve pendio, con un giardino stupendo che circondava tutta l'abitazione.
I raggi del sole illuminavano la facciata di marmo bianco accecandole la vista. Poco lontano, scorse un fiumiciattolo che, a valle, terminava con un lago circondato da alte e robuste canne.
La maestosità delle colline, l'aria fresca, e il leggero rumore del ruscello che si avvertivano le regalavano una sensazione di libertà indescrivibile. Il vento era fresco, piacevole, e il prato, rigoglioso e profumato, era ben curato. Gli alberi erano altissimi e folti, alcuni fioriti, altri completamente verdi. L'acqua che scorreva dal fiumiciattolo era limpida, quasi cristallina. Il sole illuminava i campi e faceva fiorire le rose che erano un'incanto. In alto il cielo era blu e spesso si vedevano stormi di uccelli che interrompevano la sua uniformità. Il paesaggio era così paradisiaco e i suoi colori così delicati da farlo sembrare il dipinto di un pittore professionista che esterna tutta la sua sensibilità più profonda. Clary avrebbe voluto fermarsi e dipingere ogni cosa intorno a sé, dalle farfalle variopinte che volavano sui fiori al modo in cui i rami di un salice piangente, a pochi metri da lei, si rispecchiavano sull'acqua. Le sue dita fremevano dal desiderio di prendere una matita e iniziare a disegnare.
Si girò verso suo fratello con occhi colmi di felicità.

«Dalla tua espressione mi sembra di capire che ti piaccia.» 

«Perché non mi ci hai mai portata prima? È semplicemente stupendo!»

«Sono felice che la pensi così. Dopotutto era la casa di nostro padre. A dirla tutta, l'ho fatta rimettere un po' a posto prima di portarti qui, quindi che ne dici se ti faccio fare un giro? Così vedi anche il retro.»

Clarissa annuì, entusiasta.



Jonathan osservò sua sorella mentre si chinava ad annusare una rosa dello stesso colore dei suoi capelli. I suoi occhi verde smeraldo trasmettevano una meraviglia e una gioia di vivere che lui non aveva mai avuto. Era bellissima.

«Sorellina, devo assentarmi per qualche minuto. Se vuoi, lì ci sono le stalle,» disse indicando un punto poco distante dalla tenuta «che ne dici di aspettarmi lì e iniziare a sceglierti un cavallo? Ho intenzione di insegnarti a cavalcare.»

«Davvero?»

«Davvero.»

«Cosa devi fare? Se vuoi ti accompagno.»

«Non ce n'è bisogno, sarà questione di pochi minuti.» 

«Ok, allora ci vediamo tra poco» lo salutò Clarissa, iniziando ad avviarsi verso le stalle.
Jonathan rimase qualche istante a guardarla mentre si allontanava. 
Era diventata più alta in quei cinque mesi. E più forte. L'aveva fatta allenare per renderla più potente, una vera Morgenstern. Era sua sorella. Sua. Non avrebbe lasciato che gliela portassero via.
Si girò e si avviò verso il portone principale, entrando nella tenuta. Una volta arrivato nella propria stanza, chiuse le tende lasciando la camera nell'oscurità e tirò fuori il suo stilo.





Jace era appena tornato all'Istituto dopo essersene andato, a mani vuote, dall'appartamento di Sebastian. O meglio, ex appartamento. 
Fin da quando erano entrati, era stato chiaro che in quella casa ormai non c'era più nessuno da combattere o salvare. Eppure avevano continuato a cercare, in ogni stanza, in ogni possibile nascondiglio. Avevano aperto armadi e cassetti, trovandoli completamente vuoti, come se i proprietari fossero partiti per una lunga vacanza e avessero portato con sé ogni cosa.
Avrebbe dovuto immaginarselo, pensò Jace scagliando un pugnale verso il bersaglio della stanza degli allenamenti. Una volta saputo che Jace, e quindi il Conclave aveva scoperto dove si trovava, Sebastian non avrebbe atteso un istante prima di scappare chissà dove, portandosi dietro Clary. Probabilmente se ne erano andati la sera stessa, o magari la mattina dopo, prima del loro arrivo.
In ogni caso, ora non avevano la più pallida idea di dove fosse Sebastian. Erano tornati al punto di partenza.
Lanciò un altro pugnale, facendo centro.

«Ero sicuro che ti avrei trovato qui a deprimerti, angioletto»

Jace si voltò di scatto, tirando automaticamente il pugnale che aveva in mano. Avrebbe riconosciuto quella voce fra mille.
Il pugnale si conficcò nel muro...esattamente sul petto di Sebastian.

«Andiamo, non crederai che sarei venuto in carne e ossa da te. Non ho istinti suicidi, a differenza tua»

Jace lo guardò meglio. Era come guardare in uno specchio. L'immagine oltre Sebastian era chiaramente reale, una stanza oscurata probabilmente per non fargli capire dove fosse, ma se si fosse avvicinato cercando di passare dall'altra parte avrebbe sbattuto contro il muro freddo e duro. 

«Oh, questo? Un potere regalatomi da mia madre.»

Gli ci vollero alcuni secondi per capire che si stava riferendo a Lilith.

«Per tornare a quello che stavo dicendo prima, ero certo che saresti stato qui, da solo. Ormai conosco così bene la tua mente da sapere il modo in cui reagisci a determinate situazioni. Sei come un libro aperto, per me»

«Lo stesso vale per te. Anch'io ti conosco bene—»

«Ma tu non sai dove sono io, o sbaglio?» 

Jace ringhiò per la rabbia e la frustrazione e Sebastian rise divertito.

«Che cosa hai fatto a Clary?»

L'altro sollevò un sopracciglio. «Fatto? Non le ho fatto proprio niente, l'hai vista tu stesso»

«Non ricorda nulla della sua vita precedente! Se non vuoi farle niente allora lasciala andare!»

«Non è che la trattenga con corde o catene, sai. È liberissima di andare dove vuole» sogghignò.

Jace lo ignorò, continuando a guardarlo con odio e a urlare. «Liberala! Lasciala tornare a casa dalla sua famiglia!»

Sebastian sembrò tornare serio. «E perché dovrei farlo? Perché me lo ordini tu, angioletto? E poi, chi ti dice che lei voglia tornare da te? Questa è casa sua, adesso. Io sono la sua famiglia»

«Non ti illudere, sta con te solo perché non si ricorda chi sei veramente. È me che ama»

«Ne sei certo? Perché credi che se ne fosse andata dall'Istituto, la notte in cui è scomparsa? Esatto, è stata lei ad uscire, io non avrei mai potuto entrare nell'Istituto per portarla via ora che le difese sono state rafforzate da Magnus Bane. Lei se ne stava andando, dopo aver scoperto quello che tu le avevi fatto. Sai di cosa parlo. La verità è che è stata lei a venire da me. In poche parole» concluse sorridendo «sei stato tu a mandarla via «

Detto questo, agitò il suo stilo, e la finestra che aveva aperto nella sala allenamenti dell'Istituto di New York si chiuse sulla faccia sconvolta di Jace.




«Fatto quello che dovevi fare?»

«Sissignora. Pronta a cavalcare?»

Clary osservò di soppiatto suo fratello mentre la aiutava a montare in sella. Sembrava soddisfatto. Sapeva che le teneva spesso nascoste alcune cose, come quando andava chissà dove per qualche giorno, portandole al ritorno qualche regalo o souvenir, ma senza dirle cosa aveva fatto. Lo sapeva, ma si fidava ciecamente di lui, tanto da non preoccuparsene. Era certa che un giorno Jonathan le avrebbe confidato tutto quello che non le aveva mai detto. Clary aspettava quel giorno, e nel frattempo sperava solo che non fosse qualcosa di pericoloso per lui.

«Questo è Antares. Il suo nome è quello della stella più luminosa della costellazione dello Scorpione» disse mentre montava anche lui in sella. «Mentre quello su cui sei tu è Mastif, ma se vuoi puoi scegliergli un altro nome»

«Cosa significa Mastif?»

«Cavallo di fuoco»

«Mi piace. Va bene Mastif»

Dopo averle insegnato a cavalcare, Jonathan le aveva mostrato l'interno della tenuta, portandola attraverso enormi saloni fino alla fornitissima biblioteca.
Dopodiché l'aveva portata nella sua stanza, tenendola per mano. Una volta arrivati, si era chiuso la porta alle spalle e l'aveva lasciata andare. La stanza era grande il doppio di quella che aveva a New York, con un letto da una piazza e mezzo e una cabina-armadio piena di vestiti, pantaloni, gonne, camicette, scarpe e alcune tenute da Shadowhunter. Una porta dava su un lussuoso bagno, dove si trovava una vasca in cui avrebbero potuto stare comodamente quattro persone. La stanza era fatta interamente di marmo bianco e nero. Accanto alla vasca vi era una toilette con uno specchio di porcellana.
Clary si era girata verso Jonathan e aveva sorriso.

«Tutto questo è per me?»

Lui le aveva sorriso avvicinandosi a lei e abbassando il volto per guardarla dritta negli occhi. 

«Ma certo. Voglio che mia sorella abbia solo il meglio» Le aveva indicato un'altra porta. «Quella dà sulla mia camera. Sarà chiusa per la maggior parte del tempo, ma se vorrai entrare basta che bussi» Aveva attraversato la stanza fino alla porta in questione e la aveva aperta, senza però lasciarle vedere cosa ci fosse oltre. «Ti chiamerò quando sarà pronta la cena»
Aveva detto dandole un bacio sulla guancia, per poi chiudersi la porta alle spalle.
Rimasta sola, Clary aveva deciso di farsi un bagno usando alcuni degli innumerevoli sali, shampoo e bagni schiuma che si trovavano allineati sul bordo della vasca.
Più tardi, Jonathan l'aveva chiamata per la cena, che si era svolta in un magnifico salone.
Ora, Clary si trovava nel suo letto, a osservare la luce lunare che filtrava dagli scuri della finestra. Nonostante non fosse molto tardi, si sentiva piuttosto stanca. Quel giorno avevano fatto molte cose, e per di più la mattina si erano svegliati all'alba, per partire presto e portarsi dietro tutto il necessario con un portale. 
Da quello che Clary aveva studiato, solo gli stregoni erano in grado di aprire i portali, ma dopotutto Jonathan non era mai stato uno Shadowhunter qualsiasi.

Già, pensò mentre le si chiudevano gli occhi. Mio fratello è davvero speciale.



NdA (perché, come ormai avrete capito, mi piacciono gli elenchi puntati):
1. Grazie a tutti quelli che hanno recensito i capitoli scorsi e a quelli che hanno messo la mia storia tra le seguite/preferite/ricordate.
2. Probabilmente siete tutti impegnati a leggere Città del Fuoco Celeste sotto un ombrellone al momento (o c'è chi l'ha già finito? In tal caso, scrivetemi le vostre opinioni, è un mese che aspetto di poterne parlare con qualcuno senza rischiare di spoilerare!) ma io posto lo stesso, dato che sono quasi 15 giorni che non lo faccio. Cercherò di aggiornare ogni dieci giorni circa d'ora in poi.
3. ULTIME CONSIDERAZIONI PERSONALI Sono stata mezz'ora solo a decidere i nomi dei cavalli -.-"  non sono normale. A parte questo... Finalmente l'altro ieri sono tornata a casa dove mi aspettava la copia di CoHF che mia madre mi aveva comprato tipo una settimana fa quando ero ancora al mare. Mi rileggo alcune parti per vedere come erano state tradotte in italiano (l'avevo letto in inglese) e cosa trovo?! Ottenebrati. OTTENEBRATI. Ceh. Non ho parole. Io nella mia mente lo traducevo come Oscuri, o semplicemente lo lasciavo all'inglese, Endarkened, che fa anche più figo...Ma 'ottenebrati'. Non si può sentire, dai. 

A parte questo mio piccolo sfogo, buone vacanze a tutti, grazie per continuare a leggermi e, per favore, recensite.
Un bacio a tutti, al prossimo capitolo! :-*
Elisaherm

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Capitolo 4
*** Closed doors and secrets ***




Closed doors and secrets






Got a secret 

Can you keep it? 

Swear this one you'll save 

Better lock it in your pocket 

Taking this one to the grave 

If I show you then I know you won't tell what I said 

'Cause two can keep a secret if one of them is dead 









«Scacco matto.»

Jonathan sorrise trionfante.

«Uffa, non c'è gusto a giocare con te, vinci sempre!» si lamentò Clary.

«Cos'è, preferiresti che ti lasciassi vincere apposta?»

«Ovviamente no! Voglio vincere giocando onestamente!»

Jonathan la scrutò piegando lievemente la testa di lato. «E questa è una morale che applichi a ogni cosa?» Quando la vide annuire convinta, continuò. «Quindi, se tu potessi ottenere ciò che più vuoi al mondo con un inganno, non lo faresti perché non sarebbe 'onesto'?»

«No, non lo farei, per avere le cose bisogna impegnarsi e meritarsele, senza barare. Perché, tu invece lo faresti?»

Jonathan distolse lo sguardo. 

«Non lo so. Forse.»

«Non l'avrei mai detto. Facciamo un'altra partita?» 

«Clarissa... c'è una cosa che devo dirti.» 

«Sì? Dimmi.» Clary iniziò a rimettere le pedine sulla scacchiera, senza accorgersi dello sguardo tormentato posato su di lei. Jonathan aprì la bocca per parlare ma sembrò cambiare idea e la richiuse.

«Niente. Volevo solo dirti che dopo pranzo devo partire, ho un impegno importante al di fuori di Idris. Se tutto va bene, tornerò domattina presto.»

Clary sbuffò. «Se proprio devi...»

«Mi dispiace sorellina, ma è una cosa davvero importante. Farò il più velocemente possibile, te lo prometto. E al ritorno ti porterò un regalo. Va bene?» 

«E va bene...» sospirò Clary con aria teatrale. «Ma solo se mi dai la rivincita!»





Poche ore dopo Jonathan stava ultimando i preparativi per la partenza, richiamando ogni tanto Clary perché facesse attenzione alle istruzioni da seguire mentre lui era via che le stava illustrando.

«Non andare fuori dai nostri confini, se devi andare a cavallo. Anzi, guarda, preferirei che non uscissi proprio di casa, fino a domani. O, se proprio devi, rimani qui vicino e se vedi passare qualcuno nasconditi immediatamente. Non si sa mai. Ah, e se senti qualcuno entrare in casa crea immediatamente un portale e vattene. Ti avevo insegnato a farne uno, no?»

Clary annuì e Jonathan continuò. 

«Ottimo. Non entrare assolutamente nella mia stanza. Mi hai capito, Clarissa?» La guardò profondamente negli occhi.

«Perché?»

«Perché... preferisco che tu non ci vada quando io non ci sono. Me lo prometti?»

«Hai paura che possa trovare qualche scheletro nell'armadio?» ridacchiò lei. Quando però vide il volto del fratello rimanere serio, anzi, farsi ancora più teso, esclamò: «Va bene, va bene, te lo prometto!»

Jonathan parve rassenerarsi un po' e uscì in giardino per rinforzare gli incantesimi di protezione intorno alla Tenuta. Quando ebbe terminato rientrò in casa e salutò Clary, pronto a partire. 

«Mi mancherai, sorellina,» le sussurrò in un orecchio abbracciandola.

«Eddai, torni domattina, mica tra un anno!» rise lei.

«Lo so, ma mi mancherai lo stesso.» Jonathan le fece l'occhiolino, per poi prendere lo stilo e iniziare a disegnare un portale. 
Pochi secondi dopo era sparito.





Dopo aver passato il pomeriggio ad annoiarsi gironzolando per casa e aver cenato più presto del solito, Clary tornò in camera sua e si mise sul letto a leggere con la luce del tramonto che ancora illuminava la stanza.
A un certo punto, alzando gli occhi da una pagina, lo sguardo le cadde sulla porta di mogano scuro di fronte a sé. Quella della camera di Jonathan.
Si mise a sedere, continuando a fissarla.
Chissà perché suo fratello le aveva fatto promettere di non entrare.
Era passata una settimana da quando si erano trasferiti a tempo indeterminato nella Tenuta, e Clary aveva avuto occasione di visitare ormai tutte le stanze. Tranne quella.
Si alzò, attirata come da una calamita. 
Non farlo, hai promesso a tuo fratello che non saresti entrata.
Clary ignorò la vocina nella sua testa e si avvicinò ancora. In fondo, cosa poteva esserci di così terribile al di là della porta? E poi sarebbe stata attenta, Jonathan non l'avrebbe mai scoperto. 
Le ritornò in mente una fiaba che aveva letto molto tempo prima.


C'era una volta un uomo estremamente ricco che veniva chiamato Barbablù a causa del colore della sua barba. Un giorno Barbablù chiese in sposa la figlia minore di una famiglia caduta in povertà, che accettò. Le nozze furono celebrate con grande sfarzo e, quando la ragazza si trasferì nel palazzo dell'uomo, venne trattata come una regina.


Clary provò ad aprire la porta. Come si aspettava, era chiusa a chiave. Tirò fuori il proprio stilo e iniziò a disegnare una runa di apertura.


Accadde che Barbablù dovette partire per un lungo viaggio e prima di partire le diede queste indicazioni: «Ti lascio le chiavi di tutte le porte, di tutti i forzieri, di tutti gli armadi» disse togliendo di tasca un tintinnante mazzo di chiavi. «Adopera come vuoi il vasellame e le posate d'oro e d'argento; fruga nei ripostigli, saccheggia la dispensa. Ma per nessun motivo al mondo dovrai aprire la porticina che si trova nella cantina del castello e che si apre con questa chiavetta d'oro. Guai a te se entrerai in quello stanzino: dovrai pentirtene amaramente!»
La ragazza promise.



Quando la runa fu completata, Clary udì chiaramente il suono della serratura che scattava nel silenzio della casa. Si guardò intorno, prendendo tempo. L'orologio sul comodino indicava che erano le otto. Il sole aveva appena cominciato a scomparire dietro l'orizzonte. 
Con un sospiro, tornò a fronteggiare la porta.


Quella sera, rimasta sola, la moglie di Barbablù non riusciva a resistere alla curiosità e, nonostante la promessa fatta al marito, si diresse silenziosamente verso la stanza misteriosa.
Infilò la chiave nella toppa, la girò dolcemente, entrò, ma…orrore!
All’interno c’era poca luce, ma sufficiente per vedere un numero imprecisato di donne morte.
Le mogli scomparse di Barbablù…
Inorridita, la sposina si portò le mani agli occhi per non vedere più; ma in quel gesto la chiavetta le sfuggì di mano e cadde in una pozza di sangue.
La raccolse e fuggì via, dopo aver richiuso accuratamente la porta. Poi si rifugiò in camera sua tremando da capo a piedi. 
Guardò la chiave maledetta e vide che era sporca di sangue.



Era vero che la teneva all'oscuro di alcune cose, ragionò Clary, ma si trattava pur sempre di Jonathan, cosa avrebbe mai dovuto nascondere di così terribile nella propria stanza? 
E lei, perché stava facendo tutte queste storie? Di cosa aveva paura? Suo fratello non era certo un assassino. Si stava solo facendo influenzare da quella maledetta fiaba che le era tornata in testa nel momento meno opportuno. Era ovvio che non avrebbe trovato nessun cadavere o qualsiasi altra cosa altrettanto spaventosa. No?
Prese coraggio e, trattenendo il fiato, afferrò la maniglia e aprì la porta.






«Non dovevamo incontrarci domani mattina per continuare le ricerche, Magnus?»

«Sì, ma ci sono stati degli svolgimenti. Vi ho fatti venire per dirvi che ho contattato Malcom Fade.»

«Chi?»

«È il Sommo Stregone di Los Angeles. È un po'... eccentrico. Ma può aiutarci.»

Il che, detto da Magnus, voleva dire che questo tipo era veramente, veramente strano, pensò Isabelle osservando lo stregone ricoperto di glitter.
Pensò di chiedere perché, se era solo di questo che doveva informarli, non aveva mandato un semplice messaggio di fuoco, ma poi capì. Era per vedere Alec.
Non sapeva perché i due avessero rotto — Alec non aveva voluto dirlo a nessuno — ma era certa che fossero ancora innamorati l'uno dell'altro. Bastava notare come si guardavano quando credevano che l'altro non vedesse.

Isabelle era così concentrata a riflettere sulla coppia che non si accorse del portale che si stava aprendo vicino al caminetto finché non ne uscì qualcuno. Come gli altri, si alzò in piedi mettendosi in posizione di difesa, quando si accorse che di fronte a loro c'era uno Shadowhunter che non aveva mai visto, pochi anni più grande di loro.

«Il Sommo Stregone di New York e Alec Lightwood?» chiese trafelato rivolgendosi ai due in questione, che annuirono. «Dovete venire immediatamente a Alicante con me.»

«Aspetta! Perché noi no? Cos'è successo?» esclamò Isabelle.

«È in corso un attacco da parte di Sebastian Morgenstern e del suo esercito all'Istituto di Londra, tutti i Nephilim maggiorenni devono recarsi immediatamente a Idris per prepararsi alla battaglia. Non c'è un istante da perdere.»

«Veniamo anche noi!» Quando vide che il ragazzo stava per ribattere, perse la calma. «Non m'importa se non ho ancora diciotto anni, avete bisogno di più combattenti possibile. Verrò e convincerò i miei genitori a farmi partecipare.»

A quel punto lo Shadowhunter non ebbe più nulla da replicare e si diresse velocemente verso il portale con cui era arrivato, seguito dal gruppo.







NdA:
1. La canzone all'inizio è Secret, la sigla di Pretty Little Liars (che hanno iniziato a trasmettere su Italia 1 da pochi giorni e a cui mi sono appassionata) È questa: https://m.youtube.com/watch?v=tw13SWysREc
2. Questo capitolo in teoria doveva essere molto più lungo, ma visto che sono in ritardo con l'aggiornamento ho deciso di spezzarlo in due parti.
3. Mi piace pensare alla nostra Izzy come fan number 1 della Malec, a voi no? :3

Grazie per le recensioni allo scorso capitolo e godetevi l'estate! (Se estate si può chiamare, da me ieri ha piovuto tutto il giorno >.<)
Ah, dimenticavo, ho scritto una flash fic su Clary e Jonathan/Sebastian, mi farebbe piacere se la leggeste, http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2736487&i=1

Bacioni ^.^

Elisaherm

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Capitolo 5
*** Memories ***



Memories








D e f i n e  your meaning of  WAR.
To me, it’s what we do when we’re
 
[ ʙ O ʀ E D ]








Clary entrò nella stanza di suo fratello, trattenendo senza neanche accorgersene il fiato. Si guardò intorno.
La camera era perfettamente normale: grande quanto la sua, con una finestra, un armadio, un letto, un comodino. L'unica cosa differente era il caos che dominava quella stanza. Sul letto erano ammucchiati diversi vestiti, perlopiù quelli comodi che Jonathan indossava a casa, quando non portava la tenuta da combattimento. Le tende erano scure e coprivano la finestra fino al pavimento. La scrivania era piena zeppa di fogli, ma quando si avvicinò si accorse che erano bianchi, probabilmente lui aveva fatto in modo di poter essere l'unico a leggerli. Documenti, forse. Qualcosa che aveva a che fare con il Conclave. Niente di cui preoccuparsi, in ogni caso.


Visto, Clary? Tuo fratello non sta nascondendo niente di che.

Eppure...


Andò verso il comodino, su cui erano posate solo una sveglia e una lampada da letto.
Aprì il primo cassetto, altri fogli bianchi. Aprì il secondo. C'era qualcosa di squadrato avvolto da un piccolo telo. Lo tirò fuori e lo mise sul letto accanto a lei, incuriosita. Tolse con molta attenzione il telo e scoprì uno scrigno, su cui erano incise le lettere J. C.


Jonathan Christopher. Non avevo mai visto questo scrigno, cosa conterrà? 


Allungò la mano per aprirlo. Non fece in tempo a toccarlo che una scarica la attraversò fino alla testa, che iniziò improvvisamente a farle un male terribile. Si accasciò a terra e strinse gli occhi. Era come se qualcosa le martellasse l'interno del cervello. Una serie di immagini le comparve sotto le palpebre chiuse, la testa che continuava a pulsare dolorosamente.



Jonathan, di nuovo con gli occhi neri e un ghigno crudele sul volto. 







Il ragazzo che era venuto a cercarla, Jace. Chi era? Cosa voleva davvero da lei? Anche nel sogno che aveva avuto la cercava, la chiamava...



Ansimò. Alla sofferenza fisica se ne stava aggiungendo una emotiva che non riusciva pienamente a comprendere, un’inspiegabile disperazione di fondo che sembrava accompagnare i fotogrammi che si alternavano nella sua mente.



Una creatura ripiegata su se stessa, un angelo forse? Le rovine di una tenuta. Fuoco, cenere. Sangue. Che cos'era tutto questo?


Il bruciore alla testa era ormai insopportabile. Un'immagine si stagliò chiara sopra tutte le altre: era una runa che non aveva mai visto prima. Chiara e lucente, e allo stesso tempo oscura, Clary avrebbe potuto definirne ogni angolo, ogni linea, ma non riusciva a afferrarne il significato, nonostante sentisse che fosse enorme e profondo.


Come era arrivato, il dolore sparì. Clary aprì gli occhi e si rese conto di essere per terra, senza sapere come ci era finita. Era entrata nella stanza di suo fratello e aveva trovato uno scrigno, ma cos'era successo dopo? Non riusciva proprio a ricordarlo.
Si rimise in piedi e vide che lo scrigno, sul letto, era aperto. Aperto e vuoto. Lo riavvolse nel telo e rimise il tutto nel comodino di Jonathan, facendo in modo che lui non si accorgesse di niente. Uscì in fretta dalla stanza e si richiuse la porta alle spalle, per poi rabbrividire. Il sole era tramontato, era ormai calata la notte e faceva piuttosto freddo.
Si rese conto di avere un mal di testa terribile, sebbene fosse presto voleva solo andare a dormire. Passando davanti alla finestra gettò velocemente uno sguardo fuori, nel cielo pieno di nuvole scure che coprivano la luna, e si mise sotto le coperte.





Gli Ottenebrati si erano rivelati più forti di quanto il Conclave avesse previsto, ma per fortuna i Nephilim mandati da Idris uniti a quelli dell'Istituto di Londra erano numericamente superiori, perciò la battaglia era finita in parità. I nemici si erano ritirati improvvisamente, come richiamati da qualcuno, e ne erano rimasti solo alcuni, una ventina, che ancora combattevano contro gli Shadowhunters, ma era chiaro che presto sarebbero stati sconfitti. Gli altri erano semplicemente scomparsi sotto terra, il suolo si era aperto in due creando una voragine ed essi vi si erano buttati senza esitazione, lasciando attoniti i Nephilim.
Sebastian non si era visto per tutta la durata della battaglia.

Jace schivò un pugnale che era stato lanciato nella sua direzione e piantò la spada angelica nel corpo dell'uomo di fronte a sé, che si accasciò a terra con una ferita profonda al petto, il sangue che si mischiava al rosso della sua tenuta da combattimento.
Con il cuore in gola, gli tolse il cappuccio rivelandone il volto.
Fortunatamente non era qualcuno che conosceva, probabilmente veniva da uno degli altri Istituti precedentemente attaccati. Ma nel corso della battaglia gli era capitato di incontrare e dover combattere anche persone di Idris, che magari conosceva da anni. Prima fra tutti Amatis, la sorella di Luke. L'aveva vista in cima alle scale dell'entrata dell'Istituto, l'aveva inseguita senza neanche sapere cosa avrebbe fatto una volta che la avesse raggiunta — poteva davvero uccidere qualcuno che un tempo era stato così vicino alla propria famiglia e a quella di Clary? — ma mentre iniziava a salire le scale lei lo aveva guardato qualche secondo con uno sguardo freddo, distaccato, crudele, dopodiché era sparita nel nulla, come se non fosse mai stata lì.
Sapeva che non avrebbe dovuto sentirsi in colpa, che se Clary fosse stata lì con lui gli avrebbe detto che non era stato lui a farla trasformare, che non doveva prendersela con se stesso... ma Clary non era lì, era chissà dove con suo fratello, e solo a pensarci Jace si sentiva ancora più responsabile di tutto quello che era successo. Valentine gli aveva insegnato ad essere il più forte fin da piccolo, ma nonostante tutto non era riuscito a proteggere nessuno. E quello che aveva fatto a Clary... Se Sebastian aveva detto la verità lei l'aveva scoperto e se ne era andata di sua spontanea volontà. Magari finendo per accettare volontariamente di rimanere con suo fratello.

Eppure, il giorno in cui l'ho incontrata lei non ricordava nulla. Che fosse solo una messinscena?
No, la Clary che conosco non farebbe mai una cosa del genere.

Distratto dai suoi pensieri, non si accorse dell'Ottenebrato che lo stava attaccando alle spalle e quando si girò la lama del nemico lo aveva già colpito, causando una ferita non molto profonda sulla spalla.

«Jace!»

Sentì la voce di Isabelle chiamarlo, si voltò per un attimo e la vide impegnata contro altri due. Si affrettò a rassicurarla, schivando nel contempo un colpo al fianco.

«Sto bene!» Continuò a combattere senza badare troppo al bruciore del braccio, era abituato a ben altro, e riuscì ad abbattere l'uomo che l'aveva attaccato.
Nel frattempo, sentì da qualche parte dietro di sé che anche Isabelle ce l'aveva fatta.

Erano rimasti solo quattro nemici, ormai sembravano avere la vittoria in pugno, quando improvvisamente un urlo di dolore squarciò l'aria.
Si girarono in tempo per vedere Alec cadere a terra, una mano sull'impugnatura del pugnale che gli era stato conficcato nel petto dall'Ottenebrato in piedi di fronte a lui, nel vano tentativo di toglierselo.

«Alec!»

Corsero verso di lui il più velocemente possibile, dalla stanza accanto arrivò Magnus che, come un fulmine, li superò ed arrivò in tempo per tenere sollevata la testa del moro prima che la sbattesse.

«Alexander...»

Lo stregone iniziò subito ad utilizzare la sua magia più potente per estrarre il pugnale e guarire la ferita, mentre Jace e Isabelle, animati da una rabbia cieca, uccisero l'Ottenebrato in pochi secondi.
Dopodiché fu creato un portale che li riportò ad Alicante, dove Alec fu portato d'urgenza dai Fratelli Silenti.










1. Non linciatemi, so che sono passati mesi dal mio ultimo aggiornamento e che per di più vi avevo lasciato con la suspance, ma nell'ultimo periodo mi sono mancati del tutto sia il tempo che l'ispirazione per scrivere. Non ci metterò più così tanto a pubblicare un capitolo, ma non vi assicuro aggiornamenti costanti.

2. Ebbene sì, Clary ha trovato lo scrigno di Jonathan, ma subito dopo si è scordata tutto quello che ha visto. Cosa succederà ora? (Io lo so bene, muahahahah)

3. C'è per caso qualcuno che conosce Sherlock, Black Butler o Psycho Pass? Sono i fandom con cui sono fissata al momento e ho bisogno di qualcuno con cui sclerare >.<

Grazie a tutti per le recensioni allo scorso capitolo e a quelli che hanno aggiunto la storia tra le seguite/preferite/ricordate!


Elisaherm

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Capitolo 6
*** Delirium ***




Delirium






We live as we dream: alone.





«Magnus...» 

«Sono qui, Alexander. Sono qui.»

Alec era su un lettino dell'ospedale di Idris, circondato da alcuni Fratelli Silenti che si occupavano di controllare i suoi parametri vitali e che gli avevano precedentemente fasciato il petto. Gli occhi chiusi, il respiro finalmente calmo, continuava ormai da ore a ripetere il nome dello Stregone che, impotente, lo osservava seduto lì accanto, una mano ad accarezzare quella del moro incurante degli sguardi di disapprovazione dei presenti.
Magnus sospirò. Come aveva potuto lasciare che questo accadesse? La battaglia era quasi finita, credeva che il peggio fosse ormai passato, e invece... 
La ferita era grave, se fosse stata solo qualche centimetro più profonda Alec non ce l'avrebbe fatta. Il solo pensiero di dovergli dire addio senza essere riuscito a farci pace lo faceva stare male, si passò una mano fra i capelli e si accorse di avere la fronte imperlata di sudore. Lo guardò. Era ancora molto pallido e non accennava ad aprire gli occhi. I Fratelli Silenti avevano detto che stava meglio, che il pericolo era passato, ma allora perché non si svegliava? 
Qualcuno gli posò una mano sulla spalla.

«Starà bene, vedrai.» 
 
Si voltò e incontrò gli occhi di Jem, che lo fissava con un sorriso rassicurante. Ancora non si capacitava del fatto che lui non fosse più un Fratello Silente. Quando gli avevano detto come Jace, in seguito alla battaglia presso le Sorelle di Ferro, aveva purificato Fratello Zaccaria con il Fuoco Celeste, non ci aveva creduto finché non l'aveva visto con i suoi occhi.

Il suo sguardo ebbe il potere di calmarlo e Magnus sospirò.

«Ma certo. Alexander è forte, si riprenderà.»

E ne era davvero convinto. Si chiedeva solo quando avrebbe potuto parlarci di nuovo e rivedere i suoi stupendi occhi azzurri. Perché dopo quello che era accaduto, Magnus si era reso conto di voler perdonare Alec, nonostante quello che era successo fra di loro. Non voleva continuare a tenergli il muso come un ragazzino quando entrambi rischiavano di morire da un giorno all'altro. 

«I ragazzi ti stanno aspettando fuori, gli ho detto che stai arrivando.»

«Va bene,» rispose a Jem, alzandosi e gettando un'ultima occhiata a Alec.

«Stai tranquillo, qui ci penso io.» 

Magnus gli lanciò uno sguardo riconoscente e si avviò verso la porta. 

«Ah, Magnus?» lo fermò ancora Jem.

«Mh?»

«Stasera c'è la cena organizzata dai rappresentanti del popolo fatato, giusto? Ci andrai?»

«Non è qualcosa a cui posso rifiutare di partecipare, purtroppo,» sospirò. «Bisogna tenersi buona la Regina della corte Seelie, in questo periodo come non mai.»

«Va bene, allora ci vediamo domani.»

«D'accordo.»

Magnus uscì dall'ospedale e si diresse esausto verso la piazza dell'Angelo, dove gli altri lo stavano aspettando. Poco prima di arrivare, però, ricevette un messaggio di fuoco. Preoccupato, lo aprì e lo lesse velocemente. Dopodiché ripartì più in fretta di prima, lo sguardo pensieroso e una mano tra i capelli inusualmente arruffati.







Clary si guardò intorno, spaventata. Si trovava in una grande stanza buia, non riusciva a vedere quasi nulla intorno a sé a parte i contorni di quelli che sembravano mobili. La poca luce che filtrava nella stanza proveniva da una finestra alla sua destra, coperta da lunghi drappi scuri. L'unico rumore che riusciva a sentire era il suo respiro affannoso. Dove si trovava? Perché era lì da sola? Perché Jonathan non era con lei in quel posto così buio e spaventoso?
Fece un paio di passi in avanti e sbatté con il piede contro qualcosa. Soffocando un'imprecazione, cercò un sostegno a cui appoggiarsi e trovò quello che, sentendo la fredda consistenza della pietra, le sembrò il muro. Man mano che il dolore passava, cercò con le mani un interruttore della luce, una candela, qualunque cosa le potesse mostrare dove diavolo fosse, ma non trovò nulla.
Come se l'oscurità non bastasse, si rese conto che quel poco che vedeva non era nitido, ma sfocato e confuso, come in un sogno. Arrivò a tentoni fino alla porta ed uscì dalla stanza, ritrovandosi in un corridoio ancora più tenebroso. Circa a metà c'era uno specchio ovale con una cornice di legno scuro appeso al muro. Quasi non si accorse di aver camminato fino ad esso, fin quando vi si trovò davanti. Stranamente, nonostante il buio fitto riusciva a distinguere chiaramente il proprio volto, ma c'era qualcosa che stonava. Si avvicinò ulteriormente alla superficie di vetro e si rese conto che le sue pupille erano completamente nere. Lì per lì si stupì, ma pensò che non fosse un dettaglio di importante e si voltò senza farci più troppo caso.
Percorse il corridoio fino alla fine, spinta da qualcosa di indefinibile. Arrivò in un'altra stanza, leggermente più luminosa delle altre, e quando vi entrò si rese conto che era un'enorme biblioteca. Se non fosse stata tanto spaventata da quella casa inquietante avrebbe pensato che quella stanza fosse il paradiso. Era persino più grande di quella della tenuta in cui viveva con Jonathan! Avrebbe voluto restare lì a contemplare tutti i volumi, ma sentì una forza tirarla in avanti. Si avvicinò a uno scaffale che si trovava più o meno alla sua altezza e, guidata dall'istinto, prese un piccolo libro rosso che si trovava proprio di fronte ai suoi occhi e lo tirò fuori. Un istante dopo, si sentì uno strano rumore e le mura di pietra si spostarono fino a rivelare una scala segreta che scendeva nell'oscurità. Ebbe come una sensazione di déjà vu, aveva già oltrepassato quel varco insieme a qualcuno. La sensazione sparì così come era arrivata, e arrivata in fondo si ritrovò in una stanza più scura di tutte quelle in cui era stata. Batté un paio di volte gli occhi per abituarli all'oscurità, ma quando li riaprì non riuscì a scorgere nulla.
Improvvisamente, si accese una luce così forte e inaspettata da costringerla a chiudere gli occhi per poi riaprirli pian piano. Il bagliore proveniva dal fondo della stanza e illuminava le tenebre intorno come un sole. Si avvicinò cautamente e rimase a bocca aperta. Di fronte a lei, incatenato a un muro ma splendente in tutta la sua bellezza, c'era un angelo grande quanto un uomo, che la fissava con uno sguardo determinato e profondo, che sembrava arrivare fino alla sua anima. Le ali erano chiuse vicino al corpo, ma si capiva chiaramente che se fossero state aperte avrebbero occupato almeno la metà di quello che, ora lo poteva vedere chiaramente, era qualcosa di simile a uno studio. La sensazione di essere già stata lì si ripresentò più forte che mai.
L'angelo aprì la bocca e le sue parole risuonarono chiaramente nella mente di Clary.
Avvicinati, Clarissa Morgenstern.
Ebbe un attimo di esitazione, ma il cipiglio dell'angelo la convinse ad avanzare. Ora era a un passo da lui, che la superava di almeno dieci centimetri nonostante fosse incatenato al suolo.
Devi ricordare, figlia di Valentine. Ne va del destino di tutti i Nephilim e degli esseri umani. 

«Cosa dovrei ricordare?» avrebbe voluto chiedere, ma prima che potesse fare qualsiasi cosa l'angelo si liberò delle catene che si ruppero in mille pezzi e alzò un braccio verso di lei, fino a toccarle la fronte con una mano. Clary sentì un calore, una sorta di formicolio nel punto in cui l'essere la toccava, e improvvisamente fu avvolta da un'energia luminosa e bruciante che la costrinse a strizzare nuovamente le palpebre, mentre un turbinio la ghermiva senza che lei potesse opporvisi – o provare a farlo – in alcun modo.


Quando aprì gli occhi si rese conto di essere in una discoteca, non tanto grazie alla vista, dato che le luci stroboscopiche la accecavano di tanto in tanto per poi lasciarla nel buio, ma piuttosto grazie alla musica a tutto volume che la assordò improvvisamente. La folla era stretta tutt'intorno a lei, eppure sembrava non notarla, come se non ci fosse. Per un momento si chiese se non fosse diventata un fantasma. Ma allora che diavolo ci faceva in una discoteca? Improvvisamente, davanti a lei, ballando al ritmo della musica, vide arrivare... Se stessa. Se non l'avesse visto con i propri occhi avrebbe creduto di essere in un libro di fantascienza. Anche la sua copia sembrò non notarla e si chinò con l'orecchio verso un ragazzo riccio che si muoveva accanto a lei.

«Vado a prendere qualcosa da bere!» le urlò questi, prima di sparire tra la folla. La sua sosia continuò a ballare e Clary si chiese ancora una volta cosa diavolo ci facesse lì, quando l'altra si fermò come attirata da qualcosa. Seguì il suo sguardo e si immobilizzò sconvolta. Quello era...

«Il ragazzo biondo che è venuto quella sera! Quello che disegnavo!» esclamò, tappandosi immediatamente la bocca, per poi rendersi conto che comunque nessuno l'avrebbe sentita. Insieme a lui c'erano altri due ragazzi, che ne stavano tenendo fermo un altro. Tirarono fuori delle spade angeliche e lo colpirono.
Un demone, pensò Clary. La sua copia invece urlò di spavento, e fu in quel momento che il ragazzo biondo, Jace, le disse un angolino della sua mente, alzò lo sguardo e lo puntò su di lei. Le sembrò di perdersi in quegli occhi dorati. Stava per andare da lui, attirata da quelle iridi che tante volte negli ultimi giorni aveva provato a disegnare, quando si sentì trascinare nuovamente via.


La prima cosa che sentì fu una lieve brezza che le accarezzava la pelle. Aprì gli occhi e vide davanti a sé un bellissimo lago illuminato dalla luce della luna.

«Ma perché? Perché l'hai fatto? Non avevi bisogno di un figlio: ne avevi già uno!»

Il grido proveniva da dietro di lei, si voltò e la scena che le si presentò davanti la lasciò senza fiato. A una ventina di metri da lei, c'era di nuovo quel ragazzo, Jace, che stava puntando la spada alla gola di un uomo che le dava le spalle, di cui non riusciva a vedere il volto.
Eppure, quei capelli così biondi... No, Jonathan è più alto e più slanciato. Ma allora chi è?
Osservò Jace, quello sguardo carico di odio era lo stesso che aveva rivolto a suo fratello quando si era presentato alla loro porta di casa, a New York. 

«Non era di un figlio che avevo bisogno» rispose l'uomo che le stava dando le spalle «ma di un soldato. Credevo che Jonathan potesse essere quel soldato, ma la sua natura demoniaca era troppo forte. Lui era troppo feroce, troppo impulsivo, la sua intelligenza non era abbastanza sottile. Già allora, appena uscito dalla prima infanzia, temevo che non avrebbe mai avuto la pazienza e la sensibilità per seguirmi, per governare il Conclave seguendo i miei passi. Così provai di nuovo con te. E con te ebbi il problema opposto. Tu eri troppo delicato. Troppo empatico. Sentivi il dolore degli altri come se fosse tuo, non riuscivi nemmeno a sopportare la morte dei tuoi animali domestici. Capiscimi, figliolo: io ti amavo per questo. Ma ciò che più amavo di te, ti rendeva inutile ai miei scopi.» 

Clary non ci capiva più niente. Chi era quell'uomo? Il padre di Jace? E come conosceva Jonathan? Cosa intendeva quando parlava della sua 'natura demoniaca'? Doveva assolutamente scoprirlo, si avvicinò per poterlo vedere in viso, e solo in quel momento si accorse che c'era anche lei, accasciata sulla sabbia, incapace di muoversi e di parlare. E finalmente comprese.

Un ricordo... Tutto questo è un ricordo. E anche prima...

La voce di Jace la distolse dai suoi pensieri.

«Ultime parole. Ne hai?»

«Mi dispiace. Mi dispiace tanto.» 

Clary assistette impotente mentre l'uomo affondava la lama di una spada nel cuore di Jace.

«No!» Gridò riscuotendosi, iniziando a correre verso di lui. Non sapeva quasi nulla di quel ragazzo, eppure sentiva di essere in qualche modo legata a lui. 

Ma essendo in un ricordo, come avrebbe dovuto aspettarsi, nessuno fece caso a lei e lei non poté fare nulla se non guardare l'uomo, di cui finalmente vedeva il volto, prendere Jace tra le braccia e cullarlo come si farebbe con un figlio addormentato, per poi posarlo sulla sabbia e far cadere le gocce di sangue rimaste sulla spada con cui lo aveva trafitto in una coppa, mormorando una serie di parole incomprensibili. Dopodiché buttò sia la spada che la coppa nel lago e rimase in attesa. Improvvisamente, le acque del lago da cui si era allontanata si mossero e da esse emerse un enorme Angelo luminoso quanto il sole, molto più grande di quello che aveva trovato nel nascondiglio di quella casa buia. Assomigliava al disegno dell'Angelo Raziel che Jonathan le aveva mostrato in uno dei suoi libri. L'essere spalancò le ali dorate come le rune di cui era ricoperto e Clary, incredula, lo ammirò in tutta la sua bellezza. Se veramente questi erano i suoi ricordi, come aveva fatto a dimenticare un'immagine così spettacolare?

Anche l'uomo biondo, a pochi passi da lei, contemplava estasiato ciò che aveva di fronte, così come l'altra Clary, che si trovava ancora a terra.

Clary cercò di guardare gli occhi dell'Angelo, ma in quel momento si rese conto che la luce che lo circondava stava diventando sempre più forte e finì per inglobarla. Non riusciva a vedere nulla, era accecata dal bianco, sentiva solo che si stava alzando da terra. Ma Clary non voleva andarsene, doveva sentire cosa avrebbe detto l'Angelo, scoprire chi era l'uomo che aveva colpito Jace e soprattutto capire cosa c'entrava con Jonathan tutto questo. Cercò perciò di lottare contro la forza che la stava trascinando via, probabilmente in un altro ricordo, ma non riuscì ad opporvisi in alcun modo e si lasciò infine trasportare via.



«Maryse, dobbiamo parlarne almeno con lei e Jace, sono i primi interessati in questa faccenda» stava dicendo un uomo incappucciato ad una donna dai capelli neri.

«Non ho intenzione di preoccuparli più di così, fratello Zaccaria, non dopo tutto quello che hanno passato nella casa di quel pazzo, e Jia ha proibito di divulgare qualsiasi informazione a chi non sia membro del Clave. Glielo diremo solo se ce ne sarà bisogno.» L'altro stava per ribattere, ma la donna continuò «Per di più, c'è anche questa nuova questione da affrontare, ora... Ancora non riesco a credere che il Conclave abbia preso una decisione del genere, è solo una ragazzina! Possibile che non ci fosse un'altra maniera per–»

«Si può sapere di che state parlando?» La Clary dei ricordi aprì la porta dietro cui si era nascosta finora ed entrò nello studio, seguita dall'altra.

«Non ti hanno insegnato che non si origlia?» le chiese bruscamente la donna di nome Maryse, affrettandosi a chiudere alcuni fogli in un cassetto. 

La manovra non sfuggì a Clary, che sibilò:«Non ce ne sarebbe bisogno se voi ci diceste quello che sta succedendo invece di nasconderci tutto come sempre! Continuate a trattarci come bambini anche se più di una volta siamo stati noi a rimediare ai vostri errori.»

«Hai ragione, Clary. Chiudi la porta, ti diremo il possibile.» La voce di fratello Zaccaria risuonò nella mente di tutti i presenti. Maryse gli lanciò un'occhiataccia e strinse le labbra in una linea sottile, ma non disse nulla. L'uomo aprì il cassetto della scrivania e ne tirò fuori una lettera, passandola alla donna che lo fissava corrucciata.

«Che cos'è?» chiese la Clary del passato. Maryse la aprì e gliela porse senza dire una parola.

Dal punto in cui si trovava Clary non poteva vedere cosa c'era scritto, mentre si spostava per mettersi alle spalle dell'altra se stessa la sentì chiedere cosa significasse. Quando fu vicina, lesse l'unica parola scritta su un foglio completamente bianco. Aveva iniziato a studiare greco con suo fratello da qualche mese, e non ebbe bisogno della traduzione di Maryse per capire cosa voleva dire quanto scritto in quella lettera. Così come non ebbe bisogno che qualcuno glielo dicesse, per accorgersi immediatamente che quella era la calligrafia di Jonathan.

Erchomai.

Sto arrivando.


Mentre tutto scompariva improvvisamente nel buio, quella frase le iniziò a rimbombare nella testa insieme alle parole dell'Angelo con cui aveva parlato.

Devi ricordare, figlia di Valentine. Ne va del destino di tutti i Nephilim e degli esseri umani. 







Clary si svegliò nel suo letto, completamente sudata, con le coperte disfatte che le intrappolavano le gambe e la gola che le bruciava. Si sporse per controllare l'orologio sul comodino, erano solo le 5:30 e il sole non aveva ancora neanche iniziato a sorgere. Decise di andare a prendersi un bicchiere d'acqua e si alzò a fatica. 

Aveva fatto proprio uno strano sogno, pensò mentre si metteva le pantofole e si avviava verso la porta, a partire dall'Angelo Ithuriel che le diceva –

L'Angelo... Ithuriel...

Il primo incontro con Jace. Valentine che lo uccideva con la Spada Mortale. Raziel che lo faceva tornare in vita. La lettera mandata all'istituto da Sebastian. Da Sebastian.

Crollò in ginocchio. 

Sebastian, non Jonathan.

Improvvisamente ricordò tutto.










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Aggiornamento – abbastanza – veloce e capitolo più lungo del solito: cosa volete di più dalla vita? Un barattolo di Nutella. Sono anche riuscita a mettere l'immagine di Mastif e Clary che volevo mostrarvi il capitolo scorso, vi piace? *^*

Stavolta niente elenco puntato, non ho molto da dire, ringrazio come sempre tutti quelli che mi seguono/preferiscono, e spero che anche questo capitolo vi piaccia e che recensirete in tanti.

Au revoir!

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Capitolo 7
*** Prelude to Darkness ***




Prelude to Darkness






{Glory and Gore go hand and hand
You can try and take us
But victory's contagious}






Jace, Isabelle e Simon stavano aspettando Magnus in piazza dell'Angelo, osservando i feriti che continuavano ad essere trasportati all'ospedale di Idris.
Isabelle, appoggiata a un muro, non faceva che battere i piedi per l'impazienza, mentre Simon, poco lontano, la guardava come se non avesse saputo se sarebbe stato meglio tentare di calmarla o rimanere in silenzio. Jace era seduto qualche metro più in là, anche lui con la schiena al muro e lo sguardo fisso di fronte a sé.

«Com'è possibile che non l'abbiamo visto?» chiese infine affranto il ragazzo, più a se stesso che agli altri due.

«Magari non c'era davvero, Jace. Forse ha preferito rimanere nascosto mandando il suo esercito.» mormorò Isabelle senza guardarlo. 

«No. Sono certo che ci fosse. Era come se... lo sentissi. Forse è rimasto qualcosa della connessione che avevamo, non so. Lui c'era.»

«Forse è stato un bene, dopotutto lui è forte e noi non eravamo molti,» intervenne Simon. «E poi, c'era anche Jocelyn alla battaglia...»

«E con questo?» 

«Voglio dire che non sappiamo come avrebbe potuto reagire rivedendolo, dopotutto-»

«Avrebbe cercato di ucciderlo, come tutti noi,» lo interruppe Jace acidamente.

«Ma è pur sempre sua madre!»

«Credi che un genitore non possa uccidere il proprio figlio?» Il tono di Jace si era fatto gelido. Non aspettò una risposta e continuò. «Beh, ti sbagli. Te lo dico per esperienza personale.»

Il nome di Valentine risuonò fra di loro senza che nessuno lo pronunciasse, e il silenzio calò nuovamente.
Pochi minuti dopo, Magnus Bane svoltò l'angolo, individuò i ragazzi all'altro lato della piazza e si diresse velocemente verso di loro.

«Cos'è, il circolo dei depressi?» esordì quando li ebbe raggiunti.

«Come sta Alec?» chiese Isabelle raddrizzandosi.

«Sta ancora dormendo, mi hanno chiesto di dirvi che le sue condizioni si sono stabilizzate e che voi familiari potrete fargli nuovamente visita stasera,» disse lo stregone rivolgendosi alla ragazza e a Jace. «E c'è un'altra notizia importante che devo darvi.»

«Buona o cattiva?» chiese Simon.

«Mh, diciamo entrambe. Ho appena ricevuto un messaggio di fuoco da Malcom Fade, il mio amico stregone di Los Angeles. Pare che in uno dei suoi libri abbia trovato delle informazioni sulla presunta amnesia di Clary, che potrebbe essere stata provocata da Lilith stessa con una specie di incantesimo in grado di cancellare i ricordi che si vuole eliminare e modificare gli altri a proprio piacimento. Malcom ha scoperto che esiste una formula capace di annullarne gli effetti.»

«Allora basterà usare la formula e far tornare Clary quella di prima!» esclamò Simon entusiasta.

«Ed ecco la cattiva notizia: gli unici ad averla sono gli appartenenti al Popolo Fatato, e in particolare la loro regina. Quindi dovremo andare-»

«Alla Corte Seelie, il luogo anche detto 'dove vanno gli Shadowhunters quando non sanno più a che santo rivolgersi'?» fece Simon, scocciato. La prospettiva di tornare tra quelle creature maligne e infide non lo attirava affatto.

«Proprio così. Purtroppo non c'è altro modo,» concluse Magnus. 

«Partiamo subito allora!» disse infervorato Jace.

«Ti ricordo che, nonostante la mia voglia di andarci sia pari a zero, stasera ho la cena con i rappresentanti dei Nascosti. Potreste avere bisogno di me alla Corte, perciò andremo domani, non credo che per un giorno in più cambi qualcosa.»

Jace stava già per ribattere, ma Isabelle lo anticipò appoggiando lo Stregone.

«Magnus ha ragione, Jace, più siamo e meglio è. E poi potresti approfittare della cena di stasera per iniziare a parlarne con Meliorn, no, Magnus?»

«Sì, direi che è una buona idea.» Lo Stregone ignorò completamente lo sguardo accigliato di Jace, che comunque rimase in silenzio, e continuò.
«Va bene, allora ci vediamo qui domani alle 10 per andare alla Corte Seelie, fatevi trovare pronti e con tutte le rune al loro posto. Ora devo andare a prepararmi, a domani,» si congedò, e dopo un veloce cenno di saluto da parte dei tre ragazzi ripartì. 
Gli altri si diressero lentamente verso le proprie abitazioni, pronti a mangiare e andare a dormire per quella che di certo sarebbe stata una giornata pesante.






Sebastian apparì in una radura nel bosco, poco lontano dalla tenuta dei Morgenstern, un tempo di suo padre, ma ora, finalmente, completamente sua e di Clarissa. Si mise a posto con una mano i capelli scomposti e si girò a guardare il portale sul tronco di una quercia che si richiudeva, distratto.
Aveva passato tutta la notte all'Istituto di Londra, a controllare l'andamento della battaglia. Era quasi scoppiato a ridere nel vedere il furore ardente con cui Jace lo cercava ovunque con lo sguardo, smanioso di trovarlo.
Se solo l'idiota avesse saputo che lui era lì, invisibile, a pochi passi da Amatis! Avrebbe potuto facilmente trapassarlo con un colpo di spada, se avesse voluto. Avrebbe potuto farlo, e lui non si sarebbe neanche reso conto che ad ucciderlo era stato proprio il suo peggior nemico.
Ma nella mente di Sebastian la sconfitta del fratellastro era pianificata come qualcosa che sarebbe avvenuto a tempo debito, nella maniera più dolorosa e umiliante possibile, di fronte all'intero Conclave, mostrando che anche il più forte degli Shadowhunters, quello con sangue di angelo, non poteva nulla contro di lui.
Jace si sarebbe pentito di ogni cosa che gli aveva fatto passare. 
Al diavolo lui, Valentine e Jocelyn. L'unica che da sempre meritava di stare al suo fianco era sua sorella. Una volta eliminati tutti i suoi avversari, avrebbe avuto il mondo ai propri piedi e lo avrebbe governato con Clarissa.
Come avrebbe fatto a dirglielo, considerando che lei non sapeva nulla, non lo aveva ancora programmato. Ci avrebbe pensato più tardi, quando sarebbe stato il momento. Si riscosse e iniziò a camminare velocemente verso la tenuta, impaziente di rivedere la sorella. 
Non gli importava di aver perso la battaglia, in realtà, o di quanti del proprio esercito fossero morti. Anche se gli bruciava non essere riuscito a prendere l'Istituto di Londra. Probabilmente sarebbero bastati una cinquantina di Ottenebrati in più per vincere, ma non aveva importanza, ci avrebbe riprovato a breve, prima che il nemico potesse recuperare le forze: i feriti erano stati molti da entrambe le parti, ma la differenza stava, ragionò Sebastian con un sorriso, nella velocità di guarigione dei propri soldati.
I suoi sarebbero stati di nuovo pronti per la battaglia nel giro di un giorno, mentre i Nephilim avrebbero dovuto aspettare molto di più. Quanto aveva goduto quando aveva visto il maggiore dei Lightwood cadere a terra, e i suoi amichetti corrergli attorno disperati. Sperava ardentemente che non si svegliasse più. Chissà, forse era già morto.
Se n'era andato solo dopo che tutti i suoi si erano gettati nelle crepe del terreno che si era aperto sotto di loro, come aveva ordinato loro di fare. L'alleanza con la Regina della Corte Seelie si stava rivelando davvero utile.
Prima di tornare a casa, aveva trovato un posto isolato in cui cambiarsi la tenuta da combattimento sporca di sangue - nonostante tutto, non era riuscito a trattenersi dal colpire indisturbato almeno coloro che gli passavano vicino - ed era passato a comprare qualcosa per Clary, come faceva sempre tornando dai suoi 'viaggi'. Aveva scelto una palla di neve con il Big Ben per la collezione della sorella, ed era con la bustina arancione in una mano che ora stava entrando in casa, dopo aver controllato che gli incantesimi di protezione intorno alla tenuta avessero funzionato a dovere e che nessuno avesse provato a superarli. 

«Clarissa! Sono a casa!» gridò chiudendosi alle spalle la porta, per poi iniziare a togliersi la giacca di pelle. Nonostante dovessero essere circa le dieci del mattino, faceva davvero caldo. A Londra aveva piovuto terribilmente per tutta la notte, e la mattina non accennava a smettere, mentre qui anche se le pozzanghere fuori indicavano che l'acquazzone c'era stato, il sole adesso splendeva più che mai. 
Rimase in ascolto, ma dal piano di sopra non arrivò risposta. Probabilmente stava ascoltando la musica con le cuffiette, o era così persa nella lettura di qualche libro da non prestare attenzione a nient'altro, come al solito.
Si tolse svogliatamente le scarpe lasciandole in mezzo alla stanza, e iniziò a salire le scale portandosi il pacchetto.

«Clarissa? Ti ho preso un piccolo souvenir che credo proprio ti piacerà!» disse entrando in camera della sorella senza bussare.
Non fece in tempo a chiudersi la porta alle spalle che un qualcosa di argentato gli passò a pochi centimetri dall'orecchio, andando a conficcarsi nel muro. Girò la testa e vide che il qualcosa era un coltello.
Si voltò e dalla parte opposta della stanza, di fronte a lui, vide la figura di Clary con un nuovo coltello tra le mani pronto per essere lanciato, gli occhi pieni di odio.
Distogliendo lo sguardo da lei, appoggiò il sacchetto sul comò lì accanto, gettò prima un'occhiata ai vari oggetti gettati a terra che disseminavano la stanza, poi alla porta aperta che portava alla propria camera, infine agli altri quattro coltelli appoggiati sulla specchiera vicino a sua sorella. Sospirò.
Alzò di nuovo gli occhi su di lei, che non aveva smesso un momento di osservarlo.
«E così Ithuriel ha fatto il suo lavoro, eh?»







NdA:
Eccomi qui di nuovo! Piaciuto il capitolo? Yes, vi ho lasciati con la suspance, sappiate che il prossimo capitolo sarà interamente dedicato al confronto tra Clary e Jonathan. Si uccideranno a vicenda? Lo scoprirete nella prossima puntata.
Zona ‘l'autrice è una fangirl’: complici le repliche su Italia 1 e una mia amica, mi sono recentemente appassionata alla serie tv Merlin, di cui (ovviamente) mi sono già spoilerata il finale con tre stagioni d'anticipo -.-'
Qualcun altro amante di questa serie ha voglia di shippare con me? Fatevi avanti, signore e signori, senza timore!
E infine...
Sondaggino-ino-ino: Giusto per curiosità, ma voi siete per la Clace o per la Clebastian? Non che questo cambi qualcosa, ho già la trama scritta nei minimi dettagli nella mia mente (seh, come no), ma mi piacerebbe conoscere le preferenze del pubblico. Quindi fatemi sapere! 
Baci,

Elisaherm che mangia uova di Pasqua una dietro all'altra 


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Capitolo 8
*** Erase this ***



Erase this




the  d a r k n e s s  to your l i g h t
the  h a t r e d  to your
l o v e



 

La prima sensazione che Clary aveva provato era stata la confusione. Aveva un dolore pulsante alla testa, era come se qualcuno gliela avesse sbattuta violentemente contro il muro. Immagini e suoni le turbinavano nella mente, come se dopo tanto tempo ogni ricordo stesse cercando di ritrovare il proprio posto. 
Eppure non c'era davvero tutto, si era poi resa conto. C'era ancora qualcosa che mancava, qualcosa di sfocato che non combaciava con il resto. La sua memoria era come un puzzle incompleto di cui alcuni tasselli fossero andati perduti. 
Era rimasta in ginocchio su quel pavimento per dieci minuti, gli occhi spalancati fissi su una mattonella mentre nella sua testa cercava di ricollegare ciò che era successo negli ultimi cinque mesi al suo passato. Inutilmente. Una nube avvolgeva quanto successo tra l'ultima volta in cui ricordava di essere rientrata all'Istituto insieme a Jace, Isabelle e Simon dopo aver cenato da Taki e il momento in cui si era svegliata tra le braccia di suo fratello che le diceva che aveva preso una brutta botta in testa durante un allenamento.
La seconda cosa che aveva sentito era stata l'incredulità, subito seguita dalla rabbia. Gli ultimi cinque mesi della sua vita erano stati una bugia, una bugia di cui tutto ciò che la circondava era il simbolo: i souvenir sulla scrivania, i vestiti che lui le aveva regalato accumulati sulla sedia, tutto. Furiosa, si era alzata in piedi di scatto afferrando il primo soprammobile a portata di mano e scagliandolo a terra. A quello erano seguiti tanti altri oggetti, libri, fotografie incorniciate che erano andate in pezzi.
Per cinque mesi, le aveva fatto credere di aver avuto un'amnesia causata dalla contusione e di essersi dimenticata ogni cosa. Le aveva detto che era orfana, le aveva insegnato a non fidarsi del Conclave né di nessun altro Shadowhunter al di fuori di lui, l'aveva praticamente rinchiusa in casa, facendola uscire unicamente quando era con lui e lasciandola spesso per più giorni da sola, con i libri come unico passatempo. Ma le aveva anche insegnato un sacco di cose stupefacenti sul loro mondo, l'aveva fatta allenare nel combattimento finché non era diventata davvero forte, quando era con lei la portava sempre a visitare i posti che sapeva le sarebbero piaciuti di più, la accontentava in ogni piccola cosa e in generale si era sempre comportato come il fratello migliore che si potesse desiderare. E ora aveva scoperto che erano tutte bugie. 
Clary si era asciugata stizzita una lacrima traditrice che minacciava di rigarle la guancia. 
Perché aveva fatto tutto questo? Era alla sua mercé, avrebbe potuto farle credere qualsiasi cosa, farle qualsiasi cosa, e invece l'aveva trattata come il migliore dei fratelli. Perché?
A quel pensiero, passata l'iniziale tristezza, si era fatta rapidamente strada tra le sue emozioni la paura. Una sensazione penetrante di gelo l'aveva invasa improvvisamente.
Lui sarebbe tornato a casa da un momento all'altro, cosa doveva fare? 
Aveva pensato di scappare, ma non sapeva come raggiungere Alicante e per quel che ne sapeva, tra i tanti incantesimi di protezione che Sebastian aveva posto intorno alla tenuta ce ne poteva essere anche uno per non farla fuggire, che magari lo avrebbe anche avvertito del tentativo. Clary aveva tremato. E se si fosse già accorto che aveva riacquistato i ricordi?
No, l'unica cosa che poteva fare era farsi trovare pronta. Si era fiondata di sotto e controllando continuamente il giardino dalla finestra aveva iniziato a cercare come una pazza nei cassetti della cucina.



«E così Ithuriel ha fatto il suo lavoro, eh?»
Lui ha capito, è chiaro. Dopotutto, i miseri sei coltelli che è riuscita a trovare - cinque, ora, la sua mira non è mai stata ottima, ma sperava che almeno un bersaglio così vicino sarebbe riuscita a colpirlo, con l'effetto sorpresa e tutto - sono un segnale difficile da fraintendere. 
Eppure, sebbene abbia palesemente compreso, sul suo volto non c'è traccia di rimorso, paura, rabbia. Non c'è assolutamente nulla. 
La scruta in silenzio per un po', mentre lei si mette in posizione di difesa aspettandosi un contrattacco da un momento all'altro, infine sospira. «Bene, se è proprio inevitabile... Immagino di essermelo meritato, dopotutto.» 
Per un momento Clary non capisce cosa voglia dire, ma le sue parole seguenti la spiazzano.
«Avanti, sorellina», la invita Sebastian spalancando le braccia, «hai un minuto per prendermi lo stilo.»
Uno schiaffo farebbe più male. È come il loro allenamento giornaliero, quando Jonathan le dà un tot di tempo per colpirlo, per trovare qualcosa, per raggiungere un obiettivo. Ma questa non è un'esercitazione, non è un allenamento. Per un attimo è confusa, e lui se ne accorge. Che lo stia facendo apposta? Che stia volutamente giocando con la sua insicurezza, con la sua vecchia fiducia in lui?
Di che ti stupisci, Clary? È questo il vero Jonathan: un demone manipolatore e crudele.
Non deve lasciarsi imbrogliare, ora finalmente sa come stanno realmente le cose. Deve combattere, e sperare di riuscire a prendergli lo stilo e ad avere abbastanza tempo da usarlo. 
Si è allenata per mesi, è quasi al suo livello, può farcela.
Stringe più forte il coltello tra le dita, regola il respiro, posiziona le gambe. Rimane immobile per un secondo. E attacca.





Ndr: Sono tornata! Scusate se il capitolo è breve, ma non volevo farvi aspettare ancora! 
Avete visto il cast della serie TV di Shadowhunters? Che ne pensate? 
Io per ora preferisco quello del film, ma chissà, magari vedendo recitare quello nuovo mi piaceranno anche loro :/
A presto :*

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Capitolo 9
*** Some tea? ***


Some tea?



 
❝ I'd probably still  a d o r e  you
with your hands 
around my neck. ❞





 




Deve combattere, e sperare di riuscire a prendergli lo stilo e avere abbastanza tempo da usarlo. 
Si è allenata per mesi, è quasi al suo livello, può farcela.
Stringe più forte il coltello tra le dita, regola il respiro, posiziona le gambe. Rimane immobile per un secondo. E attacca.
Mirò alla giugulare, il coltello un'estensione della mano. Non fece in tempo ad avvicinarglisi che si ritrovò a terra, senza neanche sapere esattamente come ci era arrivata. Gli passò tra le gambe e si rialzò velocemente sperando di piantargli la lama nella schiena, ma lui si voltò immediatamente e le bloccò il polso con una mano, facendole cadere il coltello, mentre con l'altra preparava il prossimo colpo. Il potente calcio alla bocca dello stomaco di Clary lo colse inaspettato e lo costrinse a lasciarla e indietreggiare di qualche passo. 
Ora con le spalle alla porta, la ragazza ne approfittò per uscire e scese le scale due gradini alla volta, sentendoselo alle calcagna. Arrivò fino alla grande cucina, prese un bicchiere sul lavandino e quando si sentì afferrare da dietro glielo scagliò contro, mancandolo di qualche centimetro. Il rumore del vetro che andava in mille pezzi la assordò per un istante e si ritrovò a chiudere istintivamente gli occhi.
Quando li riaprì, Jonathan le stava stringendo entrambi i polsi tenendoli attaccati al muro e le bloccava le gambe con una delle sue. Aveva il respiro lievemente affannato e la stava fissando negli occhi con qualcosa che somigliava molto all'orgoglio.
«Tempo scaduto. Certo che sei migliorata,» affermò con un mezzo sorriso, «all'inizio non eri così veloce».
«Con all'inizio intendi quando mi hai rapita, cancellato la memoria e fatto credere che questa fosse la mia vita?»
Il sorriso sparì velocemente dalle sue labbra che ora formavano una linea dura. 
Ormai riconosceva le sue espressioni, il modo in cui contraeva la mascella, in cui aggrottava le sopracciglia: aveva appena detto qualcosa che lo aveva fatto infuriare.
«Non sai nemmeno come stanno le cose, e subito pensi che io ti abbia  presa e portata via con la forza stile uomo delle caverne, non è così?»
Era delusione quella che vedeva sul suo volto?
«Ma forse, dopotutto, avrei dovuto aspettarmelo. Io sono il cattivo della situazione, dico bene?»
Clary non solo non sapeva che dire, ma non sapeva neanche cosa pensare. 
Cosa diavolo stava succedendo? Ora che aveva riavuto la memoria, si aspettava di ritrovare il vecchio Sebastian crudele e spietato, ma chi era quello di fronte a lei? Chi era questo ragazzo rancoroso, deluso, stanco, che però non sembrava affatto intenzionato a farle del male?
«Se ti lascio andare, credi di riuscire a non tentare di uccidermi e ad avere una conversazione civile con me?»
Lo fissò qualche secondo per poi annuire, e lui la lasciò immediatamente e si allontanò di qualche passo.
«Ti va del tè?»
«Pensi davvero di potermi calmare con un po' di tè?»
«Di solito funziona.»
Clary tacque, improvvisamente conscia di quante piccole cose lui potesse aver imparato su di lei in questi cinque mesi in cui erano stati una famiglia. Finta. Una finta famiglia, basata su bugie e nient'altro. Non devi lasciarti ingannare, Clary.
«Lo prendo per un sì, allora,» concluse Jonathan dopo qualche secondo di silenzio.


Pochi minuti dopo, erano seduti uno di fronte all'altra al tavolino della sala, separati da due tazze fumanti di tè verde.
«Dunque, mi pare di aver capito che non ricordi esattamente tutto, no? Non ricordi cosa è successo quella sera.»
«Proprio così. So solo cosa è successo prima e dopo.»
Jonathan fece una smorfia.
«In poche parole l'angelo ti ha fatto ricordare solo ciò che gli faceva comodo, ovviamente. Tipico. Lo capirai tra poco», aggiunse vedendola aggrottare le sopracciglia. 
«Direi di iniziare a riempire il tuo vuoto con un po' di dura verità allora, che ne pensi? E bevilo quel tè, se avessi voluto davvero ucciderti a quest'ora saresti morta.»
La ragazza, arrossendo, si decise ad assaggiare la bevanda. Era davvero ottima, come sempre.
Jonathan la osservò ancora un po' attraverso le lunghe ciglia chiare prima di iniziare finalmente a parlare.


«Ma cos'è successo esattamente, Robert?»
«Non lo so, mi hanno solo detto di convocare tutti i rappresentanti degli Istituti per un'assemblea straordinaria del Conclave.»
«D'accordo, arrivo.»
«Mamma, cos'è tutta questa agitazione? Dove stai andando?» chiese Isabelle vedendo sua madre sfrecciarle davanti.
«Devo andare, riunione speciale del Conclave», rispose Maryse concisamente. 
«Così all'improvviso? È successo qualcosa di male?»
«Ancora non lo so.»
«Vengo con te», disse con decisione la ragazza.
«No, resta qui con Jace. Sarò di ritorno tra poco», ordinò con durezza Maryse, e prima che Isabelle potesse ribattere uscì.
La giovane Nephilim si risedette sulla poltrona con un lungo sospiro. Cos'altro era successo stavolta?





Da daaan! Sono tornata! C'è ancora qualcuno che segue questa storia?
Ho grandi notizie: ho vinto una borsa di studio, quindi andrò ad abitare un anno in Francia. Dato che non so se e quanto potrò aggiornare lì, il mio obiettivo sarebbe concludere la fanfic prima di partire (a settembre). Ci tengo a dire che in ogni caso non lascerò in sospeso la storia e che siamo a poco più di metà.
Cosa pensate della serie di Shadowhunters? Io la seguo anche se alcuni attori e soprattutto i cambi nella trama non mi piacciono più di tanto, ma spero che migliorerà col tempo. E sono curiosa di scoprire chi interpreterà Sebastian! Chi mi convince particolarmente sono i Malec, anche se ora Alec si è messo in testa st'idea di sposarsi con quella, io boh 😪
Grazie ancora una volta a tutti quelli che mi seguono/scrivono!
P.S.: c'è qualcuno che riesce a riconoscere la canzone all'inizio del capitolo? ;)

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Capitolo 10
*** Liars ***


Liars 
 



I was in the darkness 

So darkness I became.

 

 

 

La stanza era calda. Che ore erano? Le dieci? La luce entrava dalla finestra illuminando il pulviscolo che danzava nell'aria, il tavolino di mogano, il volto marmoreo di suo fratello. 

La stava fissando con la stessa espressione di chi osserva una bellissima farfalla da collezione rinchiusa in una teca. O era solo la sua immaginazione? 

«Vedi, Clarissa», enunciò finalmente Jonathan distogliendo lo sguardo e mettendosi più comodo sulla poltrona, «devi sapere che quella sera non ti ho affatto rapita come credi, ma sei stata tu a cercarmi».

«Cosa?» esclamò Clary immediatamente, aggrottando le sopracciglia.

Seccato per essere stato subito interrotto, il ragazzo continuò. «Hai utilizzato l'anello datoti dalla Regina della Corte Seelie, di cui sapevi che avevo ancora la copia. Ti ho sentita chiamarmi in piena notte, chiedendomi di venire immediatamente, dicendomi di voler fare un accordo. La malcelata disperazione nella tua voce sembrava autentica, mi ha convinto in qualche modo che forse non si trattava di una trappola, perciò poco dopo ti ho raggiunto in un parco vicino all'Istituto».

«Ma non ha senso! Perché mai avrei voluto incontrarti da sola, di notte, senza alcuna protezione? Avrei almeno avvertito qualcuno prima».

«Se mi lasci finire te lo spiegherò,» sospirò nervosamente suo fratello, apprestandosi ad andare avanti, ma Clary realizzò improvvisamente qualcosa a cui prima non aveva affatto pensato e non riuscì a controllarsi, improvvisamente infiammata dal pensiero che non aveva alcuna certezza sulla sincerità di Jonathan, che probabilmente si stava lasciando trascinare in una nuova ragnatela di bugie. Non puoi, non devi fidarti di lui.

«Perché dovrei crederti? Non sei altro che un bugiardo».

«Bugiardo? Forse una volta, quando ero Sebastian Verlac. Ma anche allora mi sembra di aver sempre espresso abbastanza chiaramente i miei sentimenti per te, senza alcuna bugia».

La voce di Jonathan era ragionevole e controllata, eppure Clary non fece altro che agitarsi ancora di più, e prima che se ne rendesse conto si era alzata in piedi.

«Sentimenti? Tu non hai sentimenti. Sei solo un assassino!» gridò fremendo incontrollatamente. Le parole erano scivolate fuori prima che potesse fermarle, e quando si accorse di aver probabilmente oltrepassato la pazienza di Jonathan fu assalita dalla paura.

Il suo sguardo si incupì in meno di un secondo. «Ti sbagli. Sarò anche un mostro, ma ti assicuro che ho anch'io dei sentimenti».

Nella stanza calò il silenzio. Clary non sapeva cosa dire. Sebastian non aveva alzato la voce, mantenendo il tono calmo sebbene si sentisse il suo risentimento. Non la stava guardando, come se si vergognasse della sua ammissione. Probabilmente, rifletté, per uno come lui provare dei sentimenti era davvero qualcosa di vergognoso, qualcosa da evitare a tutti i costi. Una debolezza. 

Ricordò d'un tratto quando le era stata raccontata la storia di un bambino biondo e del suo falco, e pensò che Jonathan era cresciuto come sarebbe dovuto avvenire a quel falco: era stato addestrato, ma non era stato amato e non gli era stato insegnato ad amare. 

Se Jocelyn non l'avesse portata con sé, Clary sarebbe stata probabilmente cresciuta allo stesso modo. Avrebbe avuto gli stessi segni di frusta sulla schiena.

«Ora, se hai davvero intenzione di ascoltarmi, ti dirò la verità, e dopo sarai libera di credermi, o di non farlo. Ma prima dovrai lasciarmi parlare, va bene?»

Clary annuì senza guardarlo negli occhi, e si risedette.

«Quella sera, appena ti vidi, mi resi subito conto che c'era qualcosa che non andava, eri scossa, avevi gli occhi rossi di pianto, ma non volevi raccontarmi cosa fosse successo. Mi dicesti solo che saresti venuta via con me se avessi promesso di non dire mai ai tuoi amici dov'eri. Non capivo, e non mi fidavo a restare lì, così vicino agli Shadowhunters, quindi ti ho portata qui. Quando ti sei calmata, mi hai chiesto semplicemente di poter andare a dormire. Ti ho sentita piangere tutta la notte. 

I giorni seguenti sei stata silenziosa, parlandomi unicamente quando strettamente necessario. Mi sono convinto allora che non si trattava di un piano tuo e dei tuoi amichetti per uccidermi: se avessi voluto farmi credere di essere dalla mia parte non mi avresti riservato il trattamento del silenzio. Infine, una sera finalmente mi hai parlato. E mi hai raccontato tutto».

Jonathan tacque improvvisamente.

«Ovvero?» chiese Clary col fiato sospeso. Sentiva la tensione in ogni fibra del suo corpo.

«Cosa ti ho raccontato?»

«Quella sera mi hai detto... di non voler più tornare all'Istituto. Che non c'era più posto per te lì. Che erano tutti dei bugiardi».

 

 

Ebbene sì, non sono morta, gente! So che il capitolo è un po' corto ma volevo aggiornare il prima possibile visto tutto il tempo che vi ho fatto attendere.

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Capitolo 11
*** Betrayal ***


Betrayal 
 
 
"The devil doesn't come as a vile, loathsome creature. 
No.
He comes as everything you could ever want. 
All your hopes and desires realized. 
Dressed in a slim cut tailored suit with a smile that glints like a straight razor.
But always at a price. 
How much are you willing to pay?"
 
 
 
 
«Quella sera mi hai detto... di non voler più tornare all'Istituto. Che non c'era più posto per te lì. Che erano tutti dei bugiardi». 
 
Non ottenendo alcuna risposta da sua sorella a parte un silenzio confuso e sconcertato, Jonathan si apprestò a continuare. Improvvisamente Clary non voleva più ascoltarlo, aveva paura di quello che avrebbe detto. Della verità. Ma Jonathan ricominciò a raccontare, e Clary non fece nulla per fermarlo.
 
«Mi hai confessato di essere entrata nell'ufficio dei Lightwood all'istituto e di aver trovat un accordo firmato da tutti i membri del Conclave.» Jonathan ora parlava cautamente, come se temesse di ferirla con le sue parole, ma anche con determinazione. Non si sarebbe fermato.
 
«Che tipo di accordo?» Ancora prima di pronunciarla, Clary aveva sentito che quella sarebbe stata la domanda fatale che avrebbe portato tutto alla luce.
 
«Un patto in cui io avrei dichiarato di lasciare in pace gli Shadowhunters per sempre in cambio... di te.»
 
Improvvisamente, era di nuovo fuori dall'ufficio di Maryse all'Istituto, ascoltando la conversazione della donna con fratello Zaccaria.
 
«Non ho intenzione di preoccuparli più di così, fratello Zaccaria, non dopo tutto quello che hanno passato nella casa di quel pazzo, e Jia ha proibito di divulgare qualsiasi informazione a chi non sia membro del Clave. Glielo diremo solo se ce ne sarà bisogno. Per di più, c'è anche questa nuova questione da affrontare, ora... Ancora non riesco a credere che il Conclave abbia preso una decisione del genere, è solo una ragazzina! Possibile che non ci fosse un'altra maniera per-»
 
«Si può sapere di che state parlando?» 
 
«Non ti hanno insegnato che non si origlia?» 
 
Perché stava rivedendo questo momento? L'aveva già ricordato la notte prima, dopo aver toccato lo scrigno. Forse c'era qualcos'altro a cui doveva assistere?
 
Si accorse che mentre la Clary del passato era assorta dalla lettera di Jonathan Maryse continuava a scrutarla con uno sguardo calcolatore e sospettoso. 
 
Ma certo! Il ricordo non finiva affatto lì.
 
Jonathan riconobbe una scintilla improvvisa di consapevolezza nello sguardo di Clarissa, che ormai era fisso sul tavolino, sebbene la ragazza non lo vedesse davvero. Decise di rimanere in silenzio e non interferire con il flusso di pensieri e ricordi che dovevano star assalendo sua sorella.
 
 
 
Clary aveva fatto finta di nulla, ma ci aveva fatto caso. Stavano parlando di lei prima che intervenisse rendendo nota la sua presenza. Quando era entrata, la rabbia e la sorpresa sul volto di Maryse erano state abbastanza per metterla in guardia, così, una volta congedata, aveva deciso di nascondersi alla fine del corridoio e aspettare che se ne andassero per entrare nell'ufficio e cercare di scoprire cos'altro stessero nascondendo. Dopo diversi minuti, finalmente frate Zaccaria uscì, e a distanza di qualche secondo lo seguì Maryse, che chiuse la porta a chiave e si diresse dalla parte opposta, in direzione della biblioteca, senza accorgersi minimamente della ragazza nascosta a pochi metri da lei. 
 
 Clary aspettò un minuto e poi si avvicinò alla porta, riuscendo ad aprirla abbastanza facilmente con una runa. Temeva lo scattare di qualche tipo di allarme, ma nulla accadde. Entrò, chiudendosi piano la porta alle spalle, e si voltò a fronteggiare il piccolo studio. Consapevole di dover fare in fretta, si avvicinò rapidamente ai cassetti della scrivania di mogano e li aprì trepidante. Immediatamente, riconobbe il foglio di pergamena che Maryse aveva nascosto in fretta e furia al suo arrivo, diede ancora un'occhiata alla porta per controllare che fosse chiusa, e iniziò a leggere.
 
 
Con il presente accordo, 
 
i membri del Concilio ristretto di Idris, rappresentanti dei Nephilim di tutto il mondo, dichiarano solennemente di impegnarsi a stipulare una pace con Jonathan Christopher Morgernstern, figlio di Valentine Morgenstern, e con i Nephilim del suo esercito. Il suddetto accordo non include in alcun modo i Nascosti. 
 
In cambio, il Concilio dichiara di offrire a Jonathan Christopher Morgenstern sua sorella, Clarissa Morgenstern, con la promessa di nessuna futura ritorsione o tentativo di riappropriazione.
 
Letto, approvato e sottoscritto,
 
Console Jia Penhallow
 
 
Seguiva una data, che faceva risalire la firma del documento a due giorni prima, e uno spazio vuoto. Per la firma di Sebastian, realizzò con un improvviso conato di vomito.
 
 

 
 
People work together, when it suits them. 
They're loyal, when it suits them. 
They love each other, when it suits them. 
And they kill each other, when it suits them.
 

 
 
 
Clary continuava a fissare con sguardo vacuo il documento incriminato, che, dopo essere stato letto e riletto da occhi increduli, giaceva ora accartocciato sul mogano della scrivania. Le lacrime le offuscavano la vista e non accennavano a smettere di cadere, proprio come la pioggia che, senza che lei se ne fosse resa conto, aveva iniziato a scrosciare fuori dalla finestra, mentre il suo mondo andava in pezzi.
Volevano sacrificarla in cambio della pace, venderla. Come una bestia. E non contava il fatto che se glielo avessero proposto, se quella avesse potuto essere davvero una soluzione, un modo per arrestare la guerra prima che fosse troppo tardi, Clary ovviamente avrebbe accettato. Meglio una sola vita infelice in cambio di centinaia di altre vite risparmiate che una strage. Ma il punto era che nessuno aveva pensato anche solo a parlargliene, nessuno le aveva dato una scelta, anzi, lo avevano tenuto ben nascosto, il loro piano. Per paura che rifiutasse? Che fuggisse? La credevano davvero così codarda, così egoista?
Doveva uscire da lì. Con una crescente sensazione di soffocamento, Clary lasciò il foglio dov'era e uscì dall'ufficio, senza preoccuparsi di chiudere la porta a chiave. Che capissero pure.
Tendendo l'orecchio per qualsiasi rumore di passi in avvicinamento, Clary si diresse verso l'uscita dell'edificio con l'intenzione di prendere una boccata d'aria, fare un giro, magari chiudersi in un locale che conosceva lì vicino per riflettere su quanto aveva scoperto – o per non pensare – e, passata qualche ora, probabilmente sarebbe tornata all'Istituto e avrebbe affrontato Maryse pretendendo spiegazioni, e, soprattutto, delle scuse da parte della donna. Ma così non fu.
Improvvisamente, infatti, attraverso la porta, che era rimasta socchiusa, sentì provenire dall'interno della biblioteca un mormorio sommesso tra due persone che riconobbe immediatamente. Non poté impedirsi di avvicinarsi alla porta e di aprirla di qualche centimetro in più, abbastanza da scorgere Maryse Lightwood e Jace parlare concitatamente vicino alle scale che portavano al piano superiore della grande biblioteca dell'Istituto. 
Sebbene la sola vista di Maryse in quel momento la rendesse furiosa, Clary era troppo intrigata dall'espressione urgente e determinata, quasi angosciata della donna mentre parlava con Jace per potersene semplicemente andare, così si mise all'ascolto. Le parole che sentì subito dopo la gelarono.
 
«Non si tratta solo di lei, Jace, non puoi dirlo a nessuno, se sua madre lo scoprisse sicuramente la porterebbe via e perderemmo la nostra unica occasione di vincere. Giura che manterrai segreto il piano con lei e con chiunque altro, avanti.»
 
Clary non riusciva a vedere il suo volto, dato che le dava le spalle, ma la voce di Jace risuonò chiaramente nella biblioteca. 
 
«In nome dell'Angelo, lo giuro.»
 
Trattenendo a stento un grido di puro dolore, Clary ansimò sconvolta, si voltò, e corse via, fuori dall'Istituto, scomparendo sotto la pioggia.
 
 
 
Ora sì che Clary ricordava tutto. Tornando con la mente al presente, si rese conto di avere le guance umide di lacrime, e che Jonathan le teneva una mano sulla sua, appoggiata sul tavolo, e la stava fissando con un'espressione piena di apprensione. Ora ricordava di aver vagato per lunghe ore quella notte, cercando disperatamente di realizzare cosa significava ciò che aveva scoperto, in un tormento di sofferenza, incredulità e, infine, cocente rabbia e delusione.
 
Il conclave. Ovvio. Jace aveva preferito ascoltare il Conclave, fare quello che il Conclave gli diceva di fare. Da bravo Shadowhunter. Di che si stupiva? Dopotutto era quello il suo mondo, quelli i valori con cui era cresciuto.
Come aveva potuto pensare che il suo amore per lei sarebbe stato più forte? Che stupida che era stata. 
Finalmente, dopo tanto tempo, sentiva di aver trovato un posto nella società dei Nephilim, ma dopotutto si era sbagliata. Non aveva ancora capito che in questa società l'onore e il dovere contavano più del sangue, più dell'amore, più di ogni cosa.
Per questo motivo non era mai stata veramente accettata, aveva sempre visto come gli altri Nephilim al di fuori dei suoi amici la guardavano: come un'estranea, una straniera venuta a ficcare il naso nelle loro cose, che non aveva alcun diritto di essere fra loro. Se non la vedevano come la figlia di Valentine la vedevano semplicemente come una ragazza cresciuta da umana che sebbene ne avesse il sangue non era mai diventata veramente una Shadowhunter. Era chiaro che non si sarebbero fatti scrupoli a sacrificarla per ottenere un bene superiore, la pace per tutto il loro popolo.
Ma questo se lo aspettava, in fondo, poteva arrivare ad accettarlo. Ma Jace, il dolce, ribelle Jace che lei conosceva, o credeva di conoscere, sottostare in questo modo alle volontà del Conclave? La sua vita contava veramente così poco per lui? Era davvero pronto a sacrificarla così facilmente? Non aveva avuto neanche il coraggio di dirglielo. O forse il Conclave era riuscito a fargli il lavaggio del cervello, lo aveva convinto in qualche modo, forse costretto. 
Chi altro ne era a conoscenza? I fratelli Lightwood? Luke? Forse persino Simon. Di chi poteva ancora fidarsi, e chi, invece, l'aveva tradita?
Un pensiero la sfiorò. Si chiese cosa avrebbe fatto Sebastian una volta presentatogli l'accordo. Avrebbe davvero accettato di non distruggere più il mondo in cambio di sua sorella? Sarebbe stato abbastanza? 
Si fermò, e si rese conto che aveva dovuto girare in tondo, perché si trovava in un parco non lontano dall'Istituto. Chissà se la stavano già cercando, con la paura di aver perso la loro importante pedina, la loro merce di scambio. Sentì la nausea che la assaliva da ore aumentare. 
Improvvisamente, colta da un'idea che avrebbe dovuto sembrarle assurda, ma che in quel momento, nell'apatia vuota che sembrava averle occupato la mente e il cuore, le sembrò quasi ragionevole, allungò la mano nella tasca anteriore dei pantaloni, e pochi istanti dopo ne tirò fuori ciò che cercava. L'anello dorato della Regina delle Seelie rifletteva alla luce di un lampione lì vicino.
 
Non poteva tornare indietro.
 
 
«Come ti ho detto, quella sera mi hai contattato attraverso l'anello, mi hai incontrato in un parco e hai detto che mi avresti seguito volontariamente se avessi promesso solennemente tre cose».
 
  « Ovvero?» 
 
  « Di non distruggere il mondo, di non uccidere tua madre, il mezzo-lupo o i tuoi amici - perfino l'angioletto, nonostante tutto, - e di non dire mai a nessuno di loro dov'eri.»  
 
La menzione di Jace fu come sale su una ferita aperta, ma poi Clarissa si rese conto di cosa le stava dicendo Jonathan.
 
 « E tu hai... accettato?»
 
 « Beh, sei qui ora, no?» le rispose sorridendo per la prima volta dall'inizio della conversazione. Prima che Clary potesse chiedergli altro, suo fratello continuò. «Per diversi giorni te ne sei stata sulle tue, senza parlare e mangiando poco o niente, nonostante tutti i miei sforzi. Finché una sera, davanti al camino, hai iniziato a sfogarti, e mi hai raccontato ogni cosa.» 
 
Clary ricordò quei terribili giorni in cui girava per la casa come un fantasma, passando il giorno a non fare nulla a parte ignorare Jonathan e la notte a piangere fino al mattino. Suo fratello, dal canto suo, non l'aveva mai forzata in alcun modo, a parte quando la incoraggiava a mangiare almeno qualcosa di quello che le cucinava, ma senza mai imporle di parlare o stare insieme. Era una cosa che all'epoca aveva notato e apprezzato, distrattamente, in una rimanente, piccola parte di sé che non era completamente consumata dal dolore del tradimento che aveva subìto da parte delle persone che amava di più.
 
La sera a cui Jonathan faceva riferimento, avevano finito di cenare in silenzio, dopodiché Jonathan si era seduto a leggere un antico tomo sulla poltrona vicino al camino, come l'aveva già visto fare di tanto in tanto in quei giorni. L'aveva raggiunto sedendosi sul tappeto, con le gambe raccolte e lo sguardo perso tra le fiamme ardenti.
 
«Di cosa parla?» aveva chiesto ad un certo punto, per distrarsi dai pensieri cupi che la affliggevano. 
 
«Della nascita di Idris», aveva risposto Jonathan, dissimulando la sorpresa nel sentirla rivolgergli la parola per la prima volta dopo giorni. «Sai, è una storia davvero interessante, per quanto in gran parte avvolta nella leggenda». 
 
Così avevano iniziato a conversare, mantenendosi sempre su argomenti leggeri, che non avrebbero distrutto la tregua temporanea che sembrava essersi creata, finché non era calato un lungo silenzio.
 
«Tu sapevi dell'accordo che il Conclave stava preparando?»
 
«Quale accordo?», si era accigliato Jonathan, mentre una punta di diffidenza tornava a scurire il suo sguardo.
 
Sembrava davvero non sapere di cosa stesse parlando. E così Clary aveva raccontato tutto quanto. E diversi minuti dopo, si era ritrovata a singhiozzare sulla spalla di suo fratello, circondata dalle sue braccia inaspettatamente calde, con una delle sue mani che le carezzava ritmicamente la testa per calmarla. Esausta, afflitta e disorientata com'era, in quel momento non le era importato nulla di essere letteralmente tra le braccia del nemico. Ma poi, poteva ancora considerarlo un suo nemico, o era piuttosto un nemico del Conclave? Ormai non era più sicura che le due cose si equivalessero. 
 
Ma aveva pur sempre ucciso Max, un bambino innocente, e commesso innumerevoli altri crimini. 
 
Tuttavia, Clary era troppo stanca per ragionare sulle implicazioni morali di ciò che aveva fatto e stava facendo, sull'enigma che era suo fratello. Se avesse iniziato a rifletterci in quel momento sarebbe impazzita una volta per tutte, aveva deciso, chiudendo gli occhi e appoggiandosi a Jonathan, cercando di bloccare ogni pensiero dalla propria mente.
 
«Vorrei solo dimenticare tutto» si era lasciata sfuggire in un mormorio, mentre scivolava verso un riposo a lungo desiderato.
 
Proprio mentre stava per addormentarsi, aveva sentito Jonathan risponderle: «Come pensi sarebbe stata la nostra vita se i nostri genitori non ci avessero separati, sorellina?»
 
 
 
 
 
Guess who's back?
 

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Capitolo 12
*** Tabula rasa ***


Tabula rasa





"Dimmi, da quando sei nato, hai mai detto una volta la verità?„

 

 

Jonathan si sentiva stranamente tranquillo. Nei mesi precedenti, nonostante tutto stesse andando secondo i piani, attendeva con ansia e trepidazione il momento in cui Clarissa avrebbe riacquisito la memoria. Sapeva che prima o poi sarebbe successo, era solo una questione di tempo. Dopotutto, quella era stata solo una soluzione temporanea. Poteva solo sperare che il momento sarebbe stato propizio, che non sarebbe avvenuto troppo presto. Ora, finalmente, era accaduto, e Jonathan si sentiva molto più calmo di quanto si sarebbe aspettato. Sarebbe bastato dire a Clarissa la verità... nella giusta dose. Dopotutto, i migliori bugiardi sono quelli in grado di mescolare perfettamente realtà e menzogna. 

«Quella sera decisi che avrei trovato un modo per aiutarti a dimenticare il dolore. Fu la Regina Seelie a offrirmi un'inaspettata soluzione, quando le andai a fare visita». 

Clarissa si agitò spalancando gli occhi.

«Aspetta, cosa? Ma le Seelie sono alleate con i Nephilim! Perché avrebbe dovuto aiutare te?»

«Il Popolo Fatato esiste da prima che i Nephilim e i mondani popolassero questo mondo. Come credi che siano sopravvissuti così a lungo, sorellina? Saltare sul carro del vincitore è la loro specialità».

Lo sguardo di sua sorella si coprì di disprezzo, il che rischiò di farlo sorridere divertito. 

«Capisco. E quale era questa soluzione?»

Jonathan scavallò le gambe e si passò una mano tra i capelli prendendo tempo, assicurandosi di mostrare un nervosismo che non sentiva.

«Ebbene... ogni cinquant'anni le Seelie sono capaci di produrre una complessa pozione che, in maniera non troppo diversa, ma più potente di quella utilizzata da uno stregone, rende possibile cancellare e modificare i ricordi di qualcuno a proprio piacimento. Quando te l'ho proposto, all'inizio hai rifiutato subito, ma dopo qualche giorno ti sei convinta a dimenticare e a provare ad avere una vita normale, tranquilla, da Shadowhunter, insieme a me. Quella che avremmo avuto, se non fossimo stati separati da bambini. Una tabula rasa, insomma. Avremmo ricominciato da capo. Solo che tu non lo avresti saputo, o meglio, non lo avresti ricordato. Mi hai fatto rinnovare il mio giuramento, anzi, i miei tre giuramenti, dopodiché hai bevuto la pozione, e ti sei addormentata. Il resto della storia lo conosci». 

«Già, lo conosco...», mormorò Clarissa abbassando lo sguardo, senza dubbio ricordando il giorno in cui si era svegliata ed era stata convinta da Jonathan di aver battuto la testa durante un allenamento.

A Jonathan, invece, venne in mente lo scambio avuto con la Regina Seelie quando, dopo che Clarissa aveva finalmente accettato di bere la pozione, si era recato a prenderne l'antidoto, di cui solo la Regina conosceva la formula.

«Una volta dimenticato tutto potrai farle credere tutto quello che vuoi, Sebastian Morgenstern. Come hai intenzione di approfittarne?»

«Non lo farò».

La Regina alzò un elegante sopracciglio in segno di stupore.

«No?»

«Quando Clary è venuta da me di sua spontanea volontà ho deciso di cambiare il mio obiettivo. Ho capito di avere ancora una speranza di avere finalmente una famiglia, e non voglio gettarla. Non mi importa più distruggere il mondo, ora che ho qualcuno con cui abitarlo. E con cui governarlo. E non voglio forzarla contro il suo volere. Le dirò la verità sul nostro legame. Tuttavia, se in futuro dovesse nascere qualcosa, non sarò certo io a oppormi...»

«E per quanto riguarda il resto della tua promessa? Davvero non ucciderai Jonathan Herondale e il resto della sua banda?»

«Ho promesso che io non li avrei uccisi. Se uno di loro muore accidentalmente in una battaglia contro uno dei miei Ottenebrati non è certo colpa mia». I due si scambiarono un sorriso divertito. 

Quest'ultima parte della storia Jonathan si assicurò di non raccontarla, così come il fatto che, se l'antidoto era effettivamente una fabbricazione del Popolo delle Fate, ciò che aveva fatto perdere la memoria a Clarissa non era altro che una pozione di sua madre. Per qualche motivo dubitava che sua sorella avrebbe preso bene il fatto di aver ingerito una creazione di Lilith.

La voce di sua sorella spezzò il silenzio che si era creato, scuotendolo dalle sue riflessioni.

«Jonathan?»

«Sì, Clarissa?»

«Dove eri la notte scorsa?»

«In Inghilterra».

«A fare cosa?»

Lo guardò fisso negli occhi, diffidente, aspettandosi una menzogna da un momento all'altro. Jonathan era ad un bivio: lasciar credere a Clarissa che in questi mesi aveva davvero abbandonato tutti i suoi propositi contro i Nephilim e che quando si assentava stava solo viaggiando. Sicurezza. Oppure dire a sua sorella la verità, e sperare che i mesi passati insieme fossero abbastanza perché ora lei lo ascoltasse e non decidesse di abbandonarlo. Rischio. Ma Jonathan, per quanto calcolatore e machiavellico di natura, aveva sempre amato una scelta avventata, l'adrenalina del rischio. Non avrebbe mentito, non stavolta. Non ora che poteva infine muovere la pedina che forse gli avrebbe fatto fare scacco matto, e sperare di ottenere ciò che si era reso conto di aver sempre voluto. No, stavolta la verità sarebbe stata decisamente più utile.

«Ho controllato l'andamento dell'attacco all'istituto di Londra».

Clarissa strinse le labbra ma continuò a chiedere, cercando di mantenere la calma, cercando di capire.

«Se non vuoi più distruggere il mondo, allora perché continui ad attaccare gli istituti?»

«Ho bisogno di un esercito più grande». 

«Ma perché? A che scopo?», domandò Clary con voce stanca.

«Perché ho un nuovo progetto, sorella. E una proposta da farti».

 

«Ma se non vuoi più distruggere il mondo, allora per cosa userai i tuoi Ottenebrati, Sebastian Morgenstern? Cos'è che desideri ora?»

Il sorriso di Jonathan si era fatto più affilato.

«Una rivoluzione».

 

~~~*~~~

 

Bonsoir! Per caso c'è ancora qualcuno che segue questa storia?

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