breath no more di eliala (/viewuser.php?uid=54242)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3.. lo so, ho molta fantasia... ***
Capitolo 4: *** 4, ancora più fantasioso... mi stupisco! ***
Capitolo 1 *** 1 ***
breath no more
___________ Breath no more___________
I've been looking in
the mirror for so long.
That I've come to believe my souls on the other side.
Oh the little pieces falling, shatter.
Shards of me,
To sharp to put back together.
To small to matter,
But big enough to cut me into so many little pieces.
If I try to touch her,
And I bleed,
I bleed,
And I breathe,
I breathe no more.
(breath no more- evanescence)
-Dove sei stato ieri sera?- Rei era appena rientrato dopo
tutta la notte trascorsa fuori. Rimase un istante sulla porta, con le chiavi
ancora in mano, a fissare la testa di Kei che spuntava da dietro una della
poltrone del salotto, senza l’intenzione di rispondere.
Lentamente, il russo si alzò e si trovò a fronteggiare
l’altro faccia a faccia. Rei sbuffò e si sbrigò a chiudere la porta. Senza aver
ancora risposto si tolse il pesante cappotto, quasi coperto di neve, e lo posò
sull’attaccapanni che si trovava dietro la porta. Continuò a muoversi
all’interno della casa come se fosse solo, dirigendosi in cucina per prepararsi
qualcosa di caldo. Kei continuava a seguirlo con lo sguardo, arrabbiato,
nervoso, con le braccia incrociate sul petto, aspettando una risposta che
tardava ad arrivare. Ad un certo punto,
spazientito, raggiunse il compagno e lo afferrò per un braccio, costringendolo
a voltarsi per guardarlo :-dove cazzo sei stato?- esclamò rabbioso. Rei assunse
un’espressione infastidita, e provò a ritrarre il braccio, ma la presa
dell’altro si faceva sempre più salda. –Kei, lasciami! Mi stai facendo male!-
esclamò. A quelle parole Kei lasciò la presa, senza però distogliere il suo
sguardo dagli occhi dell’alto: voleva spiegazioni. –ho avuto da fare col lavoro.
Lo sa che possono chiamarmi in qualsiasi momento.- rispose il cinese voltando
nuovamente le spalle al compagno. Il silenzio assoluto e lo sguardo insistente
che sentiva alle sue spalle lo indussero a voltarsi nuovamente: Kei non ci
aveva creduto, non avrebbe potuto farlo, ma nonostante vivessero insieme da due
anni, Rei non gli aveva mai detto che lavoro facesse in effetti. Non era facile
dire al proprio compagno che era invischiato in affari più grandi di lui, e che
tanto tempo prima aveva trovato nella mafia cinese l’unica possibilità di
salvezza.
–Se lo dici tu- disse
freddamente il russo, in risposta all’affermazione di Rei. Poi si allontanò.
Rei abbassò la testa, avrebbe tanto voluto potergli dire
tutto, ma in quel modo l’avrebbe solo messo in pericolo. Inconsciamente gli
corse dietro –kei, aspetta!- lo sapeva che quei sui sbalzi d’umore non avrebbe
fatto altro che irritarlo, ed infatti si voltò stizzito. – se non hai
intenzione di dirmi la verità, va bene, non me ne frega un cazzo, ma lasciami
in pace. Vattene, che è meglio- sibilò
decisamente incollerito. L’altro si ritrasse a quelle parole, quasi
intimorito, ed abbassò lo sguardo, voltando leggermente la testa. –tra due ore me ne devo andare. Lavoro.- soffiò con risentimento. , – vado a lavarmi, e se fosse possibile
gradirei non trovarti qui. Mi dai sui nervi oggi.- affermò. Rei sgranò gli
occhi, incredulo, ma la freddezza negli occhi dell’altro non lasciava spazio a
dubbi. –va bene. Allora esco, ma non sono sicuro che poi avrò tanta voglia di
tornare qui. Potrebbe anche venirmi la voglia di tornarmene in Cina, e stavolta
per rimanerci.- disse, una volta ripreso il controllo di se. Si guardarono per
un istante negli occhi, entrambi con un distacco di cui non si credevano
capaci, e poi il cinese uscì sbattendo la porta.
Una volta in strada, Rei tirò fuori una sigaretta dalla
tasca interna del cappotto, e stava per accenderla, quando fu avvicinato da un
ragazzo poco più alto di lui, coi capelli rossi e gli occhi chiarissimi. Quello
si avvicinava con passo spedito e sicuro, e il moro iniziò ad allarmarsi: preso
dall’agitazione del litigio appena avuto col suo ragazzo non aveva prestato la
solita attenzione nell’uscire dal palazzo, ed era fin troppo chiaro da dove
fosse venuto. Il rosso gli si fece vicinissimo, e, quando fu sicuro che solo
lui avrebbe potuto vederlo, estrasse dal lungo giaccone una pistola, piccola,
nera, e con un ghigno crudele mormorò: -senti cinesino, mi sa che qui c’è
qualcuno che ha commesso un errore di troppo- Rei era paralizzato: allora
l’avevano trovato veramente…
Kei si tuffò sotto il getto d’acqua bollente quasi con
fretta, ma una volta che venne completamente coperto da quel getto caldo si
rilassò un po’. Rei lo aveva fatto arrabbiare, anzi, preoccupare. Fino a
qualche tempo prima non aveva importanza se avesse passato tutta la notte al
lavoro, o ovunque andasse, si fidava di lui, non pensava lo tradisse, però
ultimamente le cose si erano fatte più pericolose. Mentre cominciava ad
insaponarsi ripensò alle parole del suo capo di qualche tempo prima. Come aveva
fatto a sapere di Rei? Ma in realtà forse lo avevano sempre saputo…
Dopo l’ultima missione che aveva portato a termine tutto era
diventato più complesso… quell’uomo che avevano ucciso era immischiato in
affari che non avevano previsto, non era stata solo una questione di droga, si
trattava di traffico di organi gestito dalla mafia cinese… rimase circa un’ora
nella cabina della doccia, cercando di decidere se sarebbe stato più contento
se Rei fosse tornato da lui oppure no, salvandosi la vita. Alla fine chiuse
l’acqua ed uscì nel bagno pieno di vapore. Osservò nello specchio appannato la
sua immagine, niente di più che una macchia sfocata: in fondo lui non era che
quello, la pallida ombra di un uomo normale, era solo una pedina impegnata in
una partita troppo grande perché lui potesse capirla. Si avvolse
nell’asciugamano per assorbire un po’ di acqua prima di vestirsi e tornare nel
resto della casa. Si diresse al tavolino del salotto, dove aveva lasciato il
cellulare. Sbuffò quando trovò due chiamate di Yuri, il suo diretto superiore.
Nonostante non ne avesse la minima voglia, chiamò quel numero. Pensò che era
molto strano: Yuri non rispondeva.
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Allora, questa è la prima ff che scrivo riguardo questo anime, e mi è
venuta così… credo sarà abbastanza breve, perchè ho già in mente un finale in
stile tragico… spero sia piaciuta a qualcuno, e, vi prego, commentate, anche
per dirmi se c’è qualcosa che non va… lo so che la trama può risultare banale,
ma spero che non sia del tutto pessima. Ringrazio chi ha voluto assecondare
questo breve delirio della mia mente malata leggendo questa storia .^-^.
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Capitolo 2 *** 2 ***
bnm2
Allora, allora, ecco il secondo capitolo… spero di aver
sopperito alle mancanze che c’erano nel primo, e ringrazio chi me le ha segnalate…
proprio perché non sono molto esperta sono grata a chi, essendo più bravo/a mi
dia indicazioni ^^ sono pronta ad imparare. Bene, in questo secondo capitolo ho
provato ad approfondire un po’ la situazione, ma non sono molto soddisfatta…
vabbè, ringrazio solo chi leggerà, ed adesso, via!
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Bound at every limb by
my shackles of fear
Sealed with lies through so many tears
Lost from within, pursuing the end
I fight for the chance to be lied to again
(lies- evanescence)
………………………………………………………
Kei
aveva provato ancora a chiamare il collega, senza risultato. Alla fine,
annoiato, decise di rivolgersi a Boris. –senti, facciamo senza di lui. Io mi
sono rotto di aspettarlo.- disse Kei davanti al silenzio prolungato del suo
interlocutore. Stabilirono un nuovo
appuntamento, ed il tatuato tornò ad asciugarsi i capelli ed inevitabilmente il
suo pensiero tornò a Rei, alla loro storia, al modo assurdo in cui era
cominciata… sorrise, si concesse questa debolezza, mentre si abbandonava al
ricordo di quel primo bacio impacciato che si erano scambiati la seconda volta
che si erano visti, in preda ai fumi dell’alcol. Per lui era stato un po’ come
uno sfoga di tensione, un sospiro di sollievo tirato dopo l’ennesima missione
dall’apparenza suicida. E poi però tutto si era evoluto, e per quanto avesse
voluto evitarlo, erano entrati in ballo i sentimenti, le emozioni… aveva
sbagliato, ma era un errore così dolce che avrebbe amato ripeterlo
all’infinito. Doveva averlo fatto proprio arrabbiare, Rei, con tutte i suoi
silenzi, le sue palesi bugie, perché il cinese non era mai stato tanto freddo
come negli ultimi giorni, non era mai stato così distaccato. Mentre si passava
una mano sui tatuaggi che gli segnavano le guance gli venne in mente che non
gli aveva mai detto quanto lo amasse veramente, perché lo amava, lo sapeva,
eppure ora che rischiava di perderlo quel sentimento era diventato quasi
scomodo, lo bruciava dall’interno, minacciando di fargli implodere il cuore
incapace di accettare l’assenza di quella figura che era stata la causa di una
felicità inespressa ed incredibile di cui non aveva ancora goduto a
sufficienza.
Riuscì
a fatica a riscuotersi da quei pensieri troppo sdolcinati e si finì di
preparare.
Rei
si svegliò in una stanza buia e fetida, con un dolore lacerante alla testa,
nonché un notevole fastidio ai polsi. Ci impiegò qualche secondo prima di
rendersi conto di quello che era successo: aveva discusso con Kei, e poi era
uscito di corsa, e un ragazzo con gli occhi di ghiaccio l’aveva avvicinato e
fatto salire su una macchina coi vetri oscurati. Doveva averlo drogato, perché
non ricordava altro. Le sue gambe erano indolenzite a causa della posa
innaturale che avevano assunto, ma quando cercò di stenderle si rese conto di
avere pochissimo spazio per muoversi. Decise di rinunciare e provò ad abituare
lo sguardo a quella pochissima luce che proveniva da quella che aveva tutta
l’aria di essere una candela posizionata su una mensola che, a quel che poteva
vedere, era l’unico elemento di mobilio presente nel loculo. Dopo qualche
secondo riuscì a distinguere la figura eretta e composta di qualcuno che lo
stava osservando da un angolo. Con lentezza misurata, la figura si avvicinò,
fino a permettergli di distinguere con indubbia chiarezza, la stessa persona
che lo aveva avvicinato. –buon giorno cinesino… o forse dovrei dire buona sera,
dipende dai punti di vista…- si era accucciato davanti a lui, per poterlo
fissare direttamente negli occhi. La cosa che più di tutto inquietò Rei fu quel
sorriso crudele dipinto sul suo volto, così spaventosamente simile a quello di
un bambino che osserva una farfalla alla quale ha intenzione di strappare le
ali. –lo sia, cinesino, perché ti ho portato qui? Perché hai fatto qualcosa di
brutto. Non solo tu e i tuoi amici ci avete messo i bastoni tra le ruote
talmente tante volte che ore dobbiamo avere sempre qualcuno che ci pari il
culo, ma in più sei anche una spia, triade schifoso.- disse senza smettere di
sorridere. Srotolò il panno che stringeva nella mano sinistra, mostrando una
serie di strumenti acuminati e brillanti, che Rei conosceva fin troppo bene.
Con accuratezza, scelse una lama, corta, tozza, ma affilata come un rasoio. Con
impegno ed attenzione incise a fondo un riga sottile, che, partendo dalla
fronte, correva trasversalmente sino allo zigomo, passando per il sopracciglio.
Rei non emise un fiato, ne allora, ne durante il tempo che seguì, durante il
quale il russo utilizzò tutti i suoi mezzi mentre la rabbia saliva, proprio a
causa di quelle urla che non sentiva. Ma non aveva intenzione di urlare, il
moro, non per quel dolore fisico che aveva imparato a sopportare tanto bene, ma
perché sapeva che se avevano scoperto dei suoi collegamenti con i cinesi, conoscevano
senza dubbio anche a quali persone era legato, e quindi già sapevano già anche
di Kei. E non ci avrebbero messo molto: una volta capito che in quel modo non
avrebbe parlato avrebbero fatto ricorso alla carta del ricatto, a quella carta
che faceva sempre cedere chiunque, la minaccia di quella persona per proteggere
la quale si sarebbe disposti a abbandonare qualsiasi altra cosa.
Era
trascorsa più di una settimana da quando Rei se ne era andato, e Kei era decisamente
nervoso. Nonostante non fosse sua abitudine aveva provato a chiamarlo talmente
tante volte da aver perso il conto, ovviamente senza nessun risultato.
Era
preoccupato, molto, e l’atteggiamento assunto da Yuri Ivanov non aiutava; aveva
smesso di minacciarlo, di ricattarlo con la storia della sua relazione. Questo
non era normale per uno come lui che approfittava di ogni occasione per avere
dei punti di vantaggio.
Erano
passati in tutto dieci giorni quando il suo telefono squillò. Come ormai faceva
sempre, si precipitò a rispondere, con la tacita speranza che fosse lui, anche se ormai non era che un gesto
irrazionale.
Sbuffò
con frustrazione quando vide che era Yuri. Parlò con voce frustrata,
arrabbiata, adirata, e più il suo nervosismo cresceva, più l’altro sembrava
divertirsi. Dopo qualche minuto in cui il rosso non fece altro che dire cose
del tutto inutili, all’improvviso esclamò: - Hiwatari, ho un lavoretto per te. Non so quanto potrà essere lungo, ma
sicuramente ti ci divertirai- Kei stette un istante in silenzio. – posso
rifiutare? Non vorrei allontanarmi da qui- il suo interlocutore rise, facendo
alterare ulteriormente il tatuato. – oh mio caro, il rifiuto non è contemplato!
Hai presente quella triade, quella che ci ha bloccato quel carico di prostitute?
Bene, ne ho trovato uno pochi giorni fa, e l’ho lavorato a puntino… ma non
posso occuparmi di finirlo, mi hanno dato un altro incarico. Quindi vai in
fretta alla sede centrale, perché c’è Ivan che ti aspetta.- Kei, finalmente
attratto dalla prospettiva di poter sfogare tutti quegli scomodi sentimenti su
un essere umano, interruppe il “collega” –sì, ok, ma voglio sapere del
compenso- la risate che sentì provenire dall’altro capo dell’apparecchio fu a
dir poco agghiacciante. Non riusciva proprio a comprendere da dove gli
provenisse tutta quella ilarità, tanto più che gli stava cedendo un lavoro
importante. –oh, del compenso parleremo a lavoro concluso. Non ti preoccupare,
avrai un pagamento adeguato. Anzi, credo andrà bene anche se lo proporrai tu,
il tuo compenso…- Kei rimase in silenzio, interdetto.- ti stavo dicendo, ti
aspetterà Ivan. Ha l’ordine di accompagnarti alla cella, e poi di lasciarti lì.
Hai un massimo di due giorni, ma dovrai comunicare dopo le prime due ore quanto
tempo hai intenzione di “trattenerti”. Una volta finito, puoi richiamare
quell’idiota di Ivan in ogni momento, perché ha l’ordine di rimanere a tua
disposizione… ah, quasi dimenticavo, mi raccomando, divertiti!- esclamò con
gioia. Kei sorrise tra se e se. – non preoccuparti, lo sai che mi diverto
sempre in queste occasioni- assicurò prima di abbassare la cornetta.
Yuri emise un verso di pura soddisfazione quando
vide l’espressione ebete dipintasi sul volto di Rei. –caro il mio cinesino, hai
capito ora chi ti sei scopato per tutto questo tempo?- le risate di quell’uomo
erano acute e penetranti, quasi dolorose alle sue orecchie che da giorni non
sentivano altro che il silenzio interrotto dallo zampettio dei topi o dalla
voce di quello stesso uomo.
Quanto avrebbe voluto strapparsele, quelle orecchie,
prima di essere costretto a sentire quella telefonate, la cosa che più di tutte
le ferite, più di tutte le torture, gli aveva fatto male. Kei non lo stava
cercando, in fondo perché avrebbe dovuto farlo? Aveva detto di volerlo lasciare…
I suoi pensieri furono interrotti dalle dita gelido
dell’essere che l’aveva catturato che percorrevano con lentezza atroce le linee
del suo volto e del suo collo. Quel tocco gli faceva ribrezzo, avrebbe tanto
voluto potersene sottrarre. Si ritrasse con uno scatto che creò dolore ad ogni
singola particella
Del
suo essere, ma che allontanò quelle dita schifose. – chi lo sa se ti
riconoscerà? Il tuo caro Kei… in fondo sei ridotto in condizioni patetiche…-
rise di nuovo, e poi si alzò, allontanandosi. –sei solo uno schifoso! Un
vigliacco!- sputò finalmente. Il russo si voltò, sempre sogghignando: - tornerò
ancora, per fare fuori quel che sarà rimasto del tuo amante- poi fece una
plateale giravolta su se stesso prima di andarsene definitivamente.
Quando
la figura fu avvolta completamente dal buio, Rei si abbandonò ad un pianto
liberatore. Non gli importava che qualcuno potesse sentirlo, che qualcuno
potesse trionfare a quella sua sconfitta, perché la sua fine stava arrivando,
sotto la forma della persona che amava.
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Capitolo 3 *** 3.. lo so, ho molta fantasia... ***
bnm3
Allura… questo capitolo è un po’così, perchè se avessi scritto di più
poi mi sarei persa, sisi, visto che in realtà neppure io sono più tanto
convinta di come dovrà finire…
*si guarda intorno un tantino agitata, visto che Rei sta sventolando
una mannaia nella sua direzione con l’evidente
intento di farle tanto tanto male*….
Però nella mia mente malata sta andando bene, cioè, loro non si
lasciano…=____= (n.d. Rei) non è già una cosa buona??? =____= (n.d Kei) Vabbè,
ringraziamenti, tanti, tantissimi, a chi ha commentato, però devo dire che
nell’ultima versione della storia che mi è venuta in mente Yuri non subisce
nulla di grave…il problema è che, personalmente, io lo detesto, e per questo,
con tutte le probabilità, continuerà a vivere…0________________0
Ragionamento contorto? Bah, non lo saprò mai… comunque, bando alle
ciance e buona lettura, spero che sarà di gradimento.
________________________________________________________
I was never the right
one to dare to dream,
It's funny what this life has done to me now
You were always the only,
To help me see there was a road I must find,
A road that was mine
(down to my last- alter bridge)
…………………………………………………………………………….
Era
già arrivato alla sede, ma non riusciva ancora a vedere Ivan. Decise di andare dalla donna in abiti
sgargianti che si occupava di mantenere una parvenza di normalità all’interno
del grosso palazzo alla periferia est di Mosca. Quando vide che le si
avvicinava, la bionda sorrise. –salve signor Hiwatari, cosa posso fare per lei?- la cortesia di quella donna di
facciata lo nauseava, lo nauseava anche solo l’idea di quella… persona che si
aggirava per i corridoi andando a chiamare coloro i quali erano stati
incaricati di omicidi come se li stesse avvertendo che era pronto il caffè. –
sto cercando Ivan. Yuri gli ha lasciato un incarico.- rispose sbrigativo, senza
neppure guardarla negli occhi. –certo, lo chiamo subito. Aspettate qualche momento
qui.- disse indicando quella che aveva tutto l’aspetto di una comunissima sala
d’aspetto.
Kei, sbuffando, si poggiò ad una parete.
Presto, molto presto, tutta la sua irritazione
sarebbe sparita. Su questo solo pensiero si permise di indugiare, pregustando
il momento in cui le urla di un estraneo avessero riempito le sue orecchie ed
il sangue di questo sconosciuto avesse sporcato le sue mani. Socchiuse gli
occhi, ma non fu una buona mossa, perché ultimamente ogni volta che lo faceva
immagini della sua vita con Rei iniziavano a farsi strada nella sua mente
contorta fino ad arrivare a danzare davanti ai suoi occhi.
-ciao Kei!- esclamò una voce fin troppo squillante
che, per sua fortuna, lo riportò alla realtà. Quando aprì gli occhi trovò il
volto di Ivan, che gli offriva un sorriso smagliante.
Odiava tutto di quel ragazzo. Rideva in
continuazione, aveva paura ad uccidere, non si avvicinava ad i prigionieri. Ed
in più pretendeva di poter fare come voleva.
-sta’ zitto, non ti voglio sentire. Solo, portami
dove devi, e fa’ in fretta.- l’altro abbassò il capo, come sempre intimorito da
quel burbero tatuato.
Rifletté sul fatto che erano ben poche quelle
persone che non gli davano ai nervi in modo insopportabile, probabilmente si
contavano sulle dita di una mano, e Rei era una di queste persone. Scosse
violentemente il capo per impedirsi di soffermarsi su quei pensieri e mantenere
la testa completamente sgombra.
Si diressero verso una grande porta in legno
massiccio, che conduceva ai piani inferiori. Andavano sempre più giù, e man
mano che la scale si inoltravano di più nella terra, il buio si infittiva.
Per scelta, quelli dell’organizzazione non avevano
fatto arrivare la corrente in quel luogo, ed in più non vi erano prese d’aria.
Era una specie di strategia, a quanto diceva Yuri: i prigionieri dovevano
sentirsi molto più intimoriti, e questo, aggiunto alla malnutrizione ed alle
urla che ogni tanto si sentivano quando uno dei russi era “all’opera” li faceva cedere più rapidamente di quanto
avessero fatto in condizioni normali.
Benché aspettasse con macabra trepidazione l’istante
in cui avesse visto il volto del suo prigioniero,
Kei aveva una strana sensazione, un senso di claustrofobia che non aveva mai
provato.
Quando si fermarono erano scesi veramente tanto, e
l’aria aveva quasi una consistenza propria tanto era fetida e stantia. Ormai
Ivan avanzava con una mano davanti al volto, per impedirsi di respirare appieno
quell’odore, mentre l’altro si comportava come se non sentisse nulla di strano.
Gli indicò la cella, Ivan, una cella in tutto e per tutto uguale alle altre,
con la porta di ferro, spessa, con una piccola finestrella sbarrata in fondo,
per permettere a quelli che se ne occupavano di mandare un piatto con la poca
razione di cibo stabilita.
Il tatuato prese due candele e le chiavi che la
“guida” gli porgeva, e dopo un rapido gesto di congedo, entrò nella piccola
stanza. All’interno non si vedeva nulla, non c’erano neppure suoni, ma questo
non stupì il russo: solitamente i prigionieri si rintanavano in un angolo,
coperti dai loro stracci, raggomitolati su se stessi, in un primordiale ed
inutile tentativo di auto proteggersi. Non riuscì a trattenere un sorriso
freddo nel chiudere la porta, constatando così che Ivan se ne era già andato.
“fifone” pensò.
Si voltò
nuovamente, con una delle candele ben alta sopra la testa, per avere un raggio
di luce maggiore. La stanza era molto sporca, e puzzava, puzzava terribilmente:
forse qualche partesi quel malcapitato stava già andando in cancrena.
Si avvicinò però alla mensola che si trovava sulla
parete opposta a quella in cui era incatenato quello che un tempo di sicuro era
stato un uomo, ed osservò con piacere che Yuri gli aveva lascito tutti gli
oggetti di cui doveva aver già fatto largo uso. Posò lì una candela, e si
concesse di scegliere con accurata precisione l’arma che avrebbe usato per
prima. La sua attenzione venne catturata da un punteruolo, e subito lo prese
tra le mani, per saggiarne il peso e la consistenza.
Rei sapeva cosa stava accadendo, ma l’idea lo
agghiacciava a tal punto che la sua mente la stava rifiutando. Nonostante la
consapevolezza di quello che sarebbe accaduto, nonostante razionalmente sapesse
riconoscere con fin troppa chiarezza il proprietario di quel passo cadenzato,
il suo inconscio gli urlava che era sempre la stessa persona che in tutto quel
tempo –non sapeva quanto ne fosse in effetti passato- lo aveva torturato con
una gioia spaventosa.
Non riusciva più a muovere le braccia, non riusciva
più a versare lacrime, ma anche se buona parte delle sue capacità fossero
improvvisamente come congelate, il dolore che sentiva non accennava a
diminuire.
Kei… Kei…Kei stava per mostrarsi per quello che era
veramente? Di questo aveva paura, più che del male fisico che avrebbe potuto
fargli, temeva di essere costretto ad
accorgersi che aveva sempre mentito, che gli aveva sempre e solo mostrato una
maschera, che con lui aveva sempre solo recitato. E con quei pensieri, immancabilmente, un
nuovo e più forte dolore si fece sentire.
Chiuse forte gli occhi, stringendoli rabbiosamente,
e aspettò.
Sentì che l’altro gli si stava avvicinando, poteva
percepirlo, sempre più vicino, sempre più vicino. Poi, come aveva fatto il suo
predecessore, si accucciò davanti a lui.
Quasi gli faceva pena. Gli erano stati rasati
completamente i capelli, chissà di che
colore potevano essere, e a giudicare dalla posizione penzolante ai lati
del corpo, Yuri non doveva aver lasciato intatto neppure un singolo osso
presente nelle braccia. Per quel che poteva vedere aveva molte ferite, quel
prigioniero, alcune abbastanza importati, altre solo superficiali, il cui unico
scopo era quello di creare ulteriore dolore. – che cosa hai combinato, eh? Hai
fatto scomodare persino Ivanov!- si interruppe un istante, solo per stuzzicare
l’altro con la mano libera. –eh sì, devi aver fatto proprio qualcosa di
brutto!-
A quel punto il prigioniero aprì gli occhi, facendo
quasi venire un mancamento a Kei. Quegli occhi….quegli occhi così vivi, così
puri, così amati gli impedirono ogni reazione.
Non sarebbe dovuta andare così, il suo unico sogno
non poteva infrangersi così.
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Imploro umilmente i lettori di recensiiiiiiiire….ç___________ç
supplico!!!! Se non mi viene detto dove sbaglio
come faccio a fare meglio?_?
vabbè, grazie comunque a chi ha letto fino a qui, anche se sarà cattivo
e non recensirà… sigsig sobsob….
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Capitolo 4 *** 4, ancora più fantasioso... mi stupisco! ***
bnm4
Ecco l’ultimo capitolo…
sono stata brava, evvivaevviva! questo capitolo è venuto fuori molto velocemente, quindi non sono sicura del risultato -_-
P.S. Mi dispiace, volevo
davvero salvare Rei… e Kei…ma le happy ending non
sono proprio il mio forte…
P.S. 2
Mi dispiace ancora, ma Yuri non fa altro che la figura dello st****o, quindi
niente vendetta >_< solo morte XD
Now life is death and
light is dark
My sins have left their precious mark
Again I've lost my only one
(while everything dies-mortal love)
………………………………………………………………………….
Semplicemente
non ci voleva credere. Non c’era molto da dire o da fare, ma non poteva
accettare che si trattasse proprio di quegli
occhi, di quel volto, di quel corpo… non poteva essere. Semplice.
Eppure
per quale motivo il suo corpo si trovava incollato in quel punto, a pochi
centimetri da quella che sembrava proprio la sua faccia, senza essere più
capace di muovere un muscolo, di battere gli occhi, di respirare…
Quegli
occhi tristi non sparivano, non si chiudevano per permettergli di credere per
una frazione di secondo di aver commesso un errore, quegli occhi non sparivano,
e non gli permettevano di vivere.
Il
grande Kei Hiwatari paralizzato, senza
più neppure una particella d’ossigeno in corpo,
davanti ad un prigioniero che non avrebbe mai voluto vedere.
Riuscì a recuperare padronanza del suo corpo e si
sollevò sulle ginocchia. –sei proprio tu…- era un’amara constatazione, perché
non aveva bisogno di conferme o smentite, perché giorni di torture avrebbero potuto
distruggere il suo viso, ma quegli occhi erano così immutabili che nulla
avrebbe mai potuto trasformarli.
Si avvicinò di più a quel corpo, e con delicatezza
inusuale provò a forzare la catene che lo trattenevano, facendo piano piano,
come se temesse di potergli fare più male di quello che già non avesse subito.
- andrà… andrà tutto bene… tu non dovresti essere
qui, ci deve essere stato un errore…-
Disse sorridendo,
anche se con poca convinzione.
Mai come in quel momento Rei avrebbe voluto
abbracciarlo, stringerlo forte contro il suo corpo e sentirlo vicino, almeno
un’ultima volta.
Ma le sue membra erano immobili, incapaci di
rispondere a un qualsiasi impulso, e dalla sua gola riarsa non usciva nessun
suono.
Riuscì a posare la sua testa nell’incavo della
spalla del russo, e si abbandonò ad un profondo respiro, in modo da assaporare
quel suo odore tanto familiare e rassicurante.
Allora kei passò una mano dietro la sua nuca, ormai
completamente calva, e con amore lo trasse più vicino a se. –riuscirò a portarti
via di qui, presto, molto presto, saremo nuovamente a casa…tu non devi più
preoccuparti…- sussurrò senza lasciar andare il compagno. –Basta Kei… basta-
disse a fatica il cinese. –per… favore… lo sai anche tu che ormai non si può
fare nulla…- fu costretto ad interrompersi, perché i suoi polmoni reclamavano
attenzione, e non si accontentavano di essere semplicemente dimenticati. Un
respiro troppo profondo gli ricordò delle troppe lesioni interne che gli erano
state procurate. Iniziò a tossire in modo convulso, e Kei fu costretto ad
allontanarsi un po’ per permettergli di riprendere aria. –lo sai anche tu che da qui non esce nessuno…-
disse dolcemente, provando ad accennare un timido sorriso. Kei lo guardò
intensamente per qualche minuto, poi, spostando gli occhi, disse: -ma… ma qui
c’è stato solo un malinteso… mi hanno parlato di un prigioniero collegato ad
una triade… ed invece sei solo tu… vedrai, riuscirò a farti uscire, c’è stato
solo un errore…- il tono che assunse rei era quanto di più doloroso il russo
avesse mai sentito. –no, non hanno sbagliato. Mi… dispiace.- ebbe un violento
sussulto, il tatuato, che sollevò lo sguardo per cercare gli occhi del suo
amante, senza trovarli. Fece scivolare lentamente le proprie mani sul suo
volto, come aveva fatto troppe poche altre volte durante tutta la loro storia,
e Rei socchiusa gli occhi, per godere di quel contatto in modo del tutto
alienato, sognando ancora una volta di essere disteso sul loro letto, nella
loro casa, a godere di quelle stesse carezze. Poi una nuova fitta lo riportò
bruscamente alla realtà, e spalancò gli occhi. – ti prego Kei… fa’ quello per
cui sei venuto… ti supplico, finiscimi…-
Le mani calde e delicate che stavano percorrendo il
suo volto si bloccarono in un punto imprecisato, ed un nuovo brivido percorse
la schiena del russo. Il ghiaccio che per tanto tempo aveva velato i suoi occhi
improvvisamente si sciolse, mostrando a Rei tutti quei sentimenti che aveva
provato a reprimere per troppo tempo. Ed iniziò a scuotere la testa, Kei, con il
viso sconvolto e le mani tremanti, con un sorriso fuori luogo che increspava le
sue labbra perfette. – No. No Rei, non puoi. Non… puoi chiedermi questo…-
sembrava un bambino, indifeso e fragile, che ha appena sentito qualcosa di
orribile. – non puoi… a questo punto non mi interessa neppure più sapere per
quale motivo tu sia rimasto con me in questi anni, per quale motivo… non mi
importa di niente, né se sei un membro di un’associazione rivale, né se sei
solo una spia. Io ti amo, ti ho amato da sempre, ed ora l’unica cosa che ha
importanza è che tu torni a casa con me.
Devi sopravvivere, devi farlo, perché altrimenti io…- si bloccò
all’improvviso.
Tutte quelle emozioni che ora Kei non era più in
grado di trattenere stavano rischiando di fare esplodere il cuore del
prigioniero. Non pensava che il volto di Kei, solitamente così impassibile ed
illeggibile potesse trasmettere tanti sentimenti.
-basta, Kei, non… non ho più la forza di
sopportarlo… il tuo dolore… non posso… pensavo sapessi quanto ti amo, e che continuerò
a farlo sempre, in ogni vita che sarò costretto a vivere, però adesso sono
così… stanco…- il tatuato tornò a guardarlo: stava sorridendo di nuovo. – sai
che non mi avevi mai detto queste cose?-
No, era troppo, non lo poteva sostenere, non poteva essere
abbastanza forte da assimilare tutta la dolcezza che Rei gli donava, anche in
un momento come quello, sapendo che lo avrebbe perso. E non poteva accettare il
fatto che la colpa era solo ed esclusivamente la sua. Perché lo sapeva, era
solo una stupida rivincita che quel bastardo di Yuri Ivanov si era preso sulla
sua felicità. Fece vagare il suo sguardo su tutto il corpo del suo amato, ma
dovette distogliere lo sguardo: c’era sangue ovunque, e tante, troppe, ferite
infette.
Ovviamente, non era stato nutrito in modo adeguato,
per cui il suo corpo stava cedendo.
-sai, non ho mai creduto alla storia che tu fossi un
rappresentante di una ditta, di cosa poi? Solo che non ero proprio io la
persona adatta a non fidarsi del prossimo, io che ho mentito così spesso…- ma mai a te, mai su quello che sentivo …avrebbe voluto aggiungere. – speravo fosse qualcosa di tranquillo, che
ti tenesse lontano dai guai… a quanto pare mi sbagliavo- aggiunse sorridendo
tristemente. –Rei, mi stai chiedendo veramente di toglierti la vita?-
socchiudendo gli occhi con serenità, il cinese annuì con solenne lentezza. – va
bene- disse ancora il russo, prima chinarsi su di lui e posare con delicatezza le
proprie labbra su quelle ormai distrutte dell’altro, che una volta erano state
dolci e morbide, ed in quel bacio disperato i due misero tutto quello che in
tanto tempo non si erano detti, tutti i “ti amo” che si erano negati, tutta la
tenerezza che si erano ritenuti troppo orgogliosi per scambiarsi.
Sciolto il bacio, Kei, sorridendo con serenità,
mormorò pianissimo.- Stai tranquillo, non ti lascio solo. Ti raggiungerò subito
dopo.- razionalmente, Rei avrebbe dovuto chiedergli di non farlo, ma sapeva che le sue sarebbero state parole
vane, e così si limitò ad attendere, mentre sentiva che l’altro estraeva la sua
pistola, la caricava e la puntava. Gli
sembrò di vederlo, nell’ultimo istante, chiudere gli occhi e premere il
grilletto.
Il suono del primo sparo non aveva ancora smesso di
risuonare, che se ne sentì un secondo: Kei Hiwatari si era puntato la pistola
in bocca ed aveva fatto fuoco, morendo all’istante, il suo corpo esanime
accasciato su quello già senza vita dell’amante.
Quando Yuri Ivanov seppe dell’accaduto andò su tutte
le furie. I suoi ordini non erano stati eseguiti. Kei era stato lasciato solo
con il prigioniero, Alexander non era
rimasto ad aspettare che il lavoro del tatuato fosse terminato, non aveva fatto
in modo che sparato il primo colpo gli divenisse impossibile uccidere anche se
stesso.
Non lo aveva portato davanti ai capi in modo che
scegliessero una punizione adeguata al suo “tradimento”.
No.
A Kei era
stato permesso di puntarsi una pistola in bocca e morire.
Era arrabbiato, perché per Yuri Ivanov la morte era
una specie di premio che andava concesso con attenzione e parsimonia, solo dopo
il termine del proprio compito, e non una stupida forma di castigo.
Kei Hiwatari non se l’era meritata, quella
concessione.
Strinse forte le mani, facendo sbiancare le nocche,
mentre guardava con disgusto sempre crescente quella scena così eccessivamente…
non sapeva neppure come definirla, ma la sua mente si riempì solo di odio,
tanto. Alla fine erano morti insieme, vicini.
Kei Hiwatari si era preso quello che lui aveva
provato a togliergli, aveva vinto ancora
e lo aveva fatto senza il suo permesso
E aveva lasciato a lui l’incombenza di comunicarlo.
Eppure, che cos’era, solo fastidio, solo odio, quel
sentimento così anonimo, così inusuale che gli faceva stringere forte i pugni,
fino a far entrare le unghie nella carne, fino a far sbiancare le nocche?
Oh no, Yuri Ivanov, e tu lo sai… la voce risuonò chiara nella sua testa, beffarda e mordace come al
solito, la voce di Kei…
Ed aveva ragione. Sebbene non avesse alcuna
intenzione di ammetterlo neppure con se stesso, lui era geloso. Geloso di una
felicità che a lui era stata da sempre negata, di un qualcosa che il suo cuore,
ormai troppo gelido, non avrebbe mai potuto provare.
Si accucciò accanto a quei due corpi, ormai gelidi,
che aveva dato ordine di non spostare, e con due dita, sfiorò le esangui guance
tatuate del corpo che era caduto per ultimo, e, per quanto ci provasse, non
riuscì a comprendere.
Non capiva il significato di quel gesti, perché togliersi la vita solo per la morte
di qualcun altro?
La voce di
Kei, tagliente, arrogante, lo beffeggiò
ancora.
Sei solo uno stupido, Ivanov, e hai perso ancora
Yuri si riscosse, e si alzò di scatto.
-Alexander, stai pur certo che la pagherai-
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allora. la storia è finita, ditemi che cosa ne pensate .^-^.
un grazie particolare a Ketty91 e a Felicity89, che hanno seguito
la storia, e a _ALE2_ che mi ha dato i primi consigli 0__^! glatie mille!!!
io è tanto contenta!!!
allora, com'è questa prima storia a puntate??
ditemi ditemi, sono avida di commenti ( anche se temo ce ne saranno pochi... ç__ç sigsig sobsob)
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