Shattered

di Lady Irina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Giovane Leone ***
Capitolo 2: *** La Regina d'Inverno ***



Capitolo 1
*** Il Giovane Leone ***


1

shattered

 

The Gods are blind and men see only what they wish.

Tyrion Lannister, A Dance with Dragons

 

Castel Granito sorgeva maestoso su di un’altura a picco sul Mare del Tramonto, un’immensa distesa di acqua cristallina che durante l’Inverno si animava tentando di erodere la costa frastagliata delle Terre dell’Ovest. Da secoli era stata stato tramandato di padre in figlio, dai tempi di Lann l’Astuto che con la sua destrezza era stato in grado di strapparlo alle mani dell’antica famiglia Casterly. Sulle sue mura, su ogni torre, era possibile scorgere il vessillo della nobile Casata Lannister, un rampante leone dorato su sfondo cremisi, che riluceva fiero nella dolce brezza nata dall’oceano. Le leggende affermavano che le profondità della Rocca fossero colme d’oro e diamanti, tuttavia nessun Lannister aveva rischiato la propria vita per accertarsene. Le miniere era ben disseminata sul loro territorio collinoso e la Rocca era pregna di monili di valore inestimabile.

La Rocca aveva udito segreti scottanti sussurrati all’ombra di candele nel silenzio della notte. Era stata teatro di dissidi e di lotte di potere, di inganni e crimini efferati. Era il luogo dove si erano consumate forti passioni, ma il suo aspetto in tutti quei secoli non era mutato. Nulla poteva indurre ad immaginare che al suo interno pochi erano stati i momenti di pace. La storia che aveva macchiato quelle mura era stata torbida e perdurava ad esserlo anche sotto l’attuale proprietario. 

Tywin Lannister, un uomo sulla cinquantina ancora avvenente e dagli affilati occhi verdi striati d’oro, figlio di Tytos, aveva risollevato le sorti della famiglia, divenendo prima la Mano di Re Aerys per più di vent’anni e poi quella di suo figlio, Re Rhaegar, primo del suo nome. Tywin era straordinariamente astuto e capace, un uomo che incuteva timore e rispetto, e ovunque nel reame si asseriva che mai era esistito un Lord tanto potente.

S’era sposato una sola volta con la donna che aveva amato e perduto troppo presto, l’indomita Lady Joanna, l’unica che avesse saputo carpire i segreti del cuore del freddo Lord, e da lei aveva avuto tre figli. Jaime, il suo orgoglio, il suo erede, uno dei cavalieri più abili del regno. Cersei, la bella e nobile figlia che aveva sposato il Lord della Tempesta, Robert Baratheon. Tyrion, il nano deforme, il Folletto, l’essere che aveva ucciso la sua sposa in un talamo di sangue e lacrime.

Nell’aria quel giorno si respirava un’atmosfera festosa per il torneo indetto dal Lord in onore del primo quinquennio di regno di Rhaegar Targaryen. Erano accorsi Lord e cavalieri, Lady e principesse, per osannare un Re giusto che aveva riportato la pace a Westeros. L’ingresso di Rhaegar era stato applaudito con tale vigore da far tremare le mura solide di Castel Granito e il Re aveva sorriso mentre carezzava il capo del suo primogenito, Aegon, un bambino di quattro anni che somigliava incredibilmente a suo padre, con il quale stava condividendo la cavalcatura. La Regina Elia cavalcava a pochi metri da loro, la lunga treccia nera che sembrava incoronarla d’ebano, con la principessa Rhaenys che aveva salutato con un sorriso e la piccola mano aperta il suo popolo. La Regina madre, Rhaella Targaryen, era accanto a lei con Viserys al suo fianco accomodato su un pony color terra. La Regina Lyanna era rimasta ad Approdo del Re, assistita da Ser Oswell Whent, con suo figlio Jon, costretto a letto per un ferita che s’era procurato cadendo da cavallo mentre gareggiava contro suo zio in un duello a singolar tenzone, o così i due bambini l’avevano definito successivamente.

Jaime, per la sua parentela con Tywin, aveva ricevuto il posto d’onore alle spalle della famiglia reale pronto a proteggerla con gli altri sei membri della Guardia. Avrebbe potuto scegliere di scostare quel mantello bianco dopo la morte di Re Aerys poiché Rhaegar gliel’aveva concesso notata la sua giovane età e il ricatto con il quale suo padre aveva rubato l’erede all’uomo che aveva protetto il reame per anni. Non se n’era privato, però. Aveva deciso di rimanere ad Approdo del Re, alla corte di Re Rhaegar, un uomo cento e mille volte migliore rispetto a suo padre.

Il cavaliere stava osservano i giovani figli di sua sorella, i suoi figli, diligentemente accomodati su due sedie l’una di fronte all’altra mentre ascoltavano le lezioni di Tyrion sul regno di Maegor il Crudele. Jaime sorrise tra sé nel constatare quanto suo fratello fosse simile ad un Maestro della cittadella in quanto a cultura.

Trattenne una risata nell’immaginare gli occhi cupi di suo padre posarsi su quelli più luminosi del suo secondogenito che, nonostante i lunghi anni di soprusi e angherie, non aveva ancora smesso di amare la vita. Tyrion sarebbe stato un Lord migliore di lui, Jaime lo sapeva. Lui era nato per essere un cavaliere, per proteggere il suo Re, ma Tyrion era nato per essere il Signore della Rocca e Jaime gli avrebbe donato volentieri quel titolo.

La piccola Lady, che era identica a Cersei, ascoltava rapita le parole dello zio, gli occhi, verdi come l’erba dolce e umida di rugiada di un prato in fiore, velati di innocenza, incatenati alle iridi cristalline di Tyrion, le piccole mani paffute che sorreggevano il capo coronato da folti riccioli color dell’oro.

Quando Jaime posava lo sguardo su quella Cersei in miniatura, non poteva impedire al suo cuore di bloccarsi per un attimo. Sua sorella le aveva donato il nome della loro madre e ciò non aveva fatto altro che gettare sale sulla ferita ancora aperta. Cersei s’era sposata, i loro figli avevano il cognome Baratheon e mai avrebbe saputo la verità sulle loro origini.

Suo fratello, Joffrey, sbuffava d’impazienza, l’espressione corrucciata e le labbra strette in una smorfia che ne deformava i tratti simili a quelli del cavaliere. Sembrava essere a metà tra il desiderio di ascoltare quel racconto leggendario e la consapevolezza che Tyrion stava narrando una favola infondata.

« E durante la notte si possono ancora udire nella Fortezza i sibili delle spade che uccisero il Re Crudele,» terminò il racconto. La bambina trattenne il fiato, gli occhi resi più grandi dallo stupore. Joffrey, invece, scosse il capo e si sistemò meglio contro lo schienale. Tyrion trattenne a stento le risate dinanzi alla meraviglia che si leggeva negli occhi sinceri di Johanne, un mezzo sorriso che gli arcuava le labbra. Qualcuno avrebbe potuto definirlo il ghigno del Folletto, ma Jaime sapeva riconoscere la dolcezza nei tratti di suo fratello minore.

« Sono soltanto storielle. Non ci crederai, vero?» domandò incredulo e indispettito indirizzando uno sguardo arcigno verso la sorella più giovane. Johanne si volse verso di lui, gli occhi assottigliati e le labbra sporte in avanti, prima di annuire con vigore.

« Zio Tyrion non dice bugie. Giusto, zio?» sussurrò la piccola Lady rivolgendo allo zio un sorriso dolce che la faceva rassomigliare a Cersei il giorno in cui aveva scoperto di aspettare Joffrey. Era stata una visita cerimoniosa per la nascita del terzogenito del Re, Jaehaerys, e non erano trascorsi nemmeno due giorni quando Jaime era capitolato e l’aveva presa nella Torre Bianca della Guardia. Era stato avventato e stupido. Se qualcuno dei suoi confratelli fosse rientrato e l’avesse visti insieme, sarebbero morti entrambi e avrebbero arrecato onta e disonore al nome dei Lannister. Ma Jaime doveva averla e Cersei s’era ritrovata ad attendere il suo primogenito. Non avrebbe mai compreso l’amore che sua sorella nutriva nei confronti di quel piccolo bambino viziato dai boccoli biondi e dall’indole indisponente. Eppure ero lo stesso amore che lui provava per quella piccola leonessa dorata concepita in una notte senza Luna né stelle nel talamo che aveva visto giacere i Baratheon e i Re della Tempesta.

« Dovete andare a caccia adesso,» li congedò Tyrion con un sorriso incontrando i suoi occhi per un attimo prima di scompigliare i capelli della bambina. Jaime sarebbero dovuto tornare presto da Re Rhaegar e scortarlo durante la battuta di caccia, onorando il suo turno di guardia, ma s’era perso nel contemplare quell’innocenza dispiegata dinanzi ai suoi occhi.

« Lei non può venire. È solo una femmina. Io andrò a caccia con la corte, con il principe Aegon, lei può rimanere con te,» replicò altezzoso Joffrey prima di issarsi in piedi e congedarsi senza rivolgere nemmeno uno sguardo né agli zii né alla piccola sorella. Vi era stato un tempo in cui Jaime aveva tenuto per mano Cersei e insieme avevano imparato a camminare e a farsi strada nel mondo. Ma Joffrey non era Jaime e Johanne non era Cersei. Il cavaliere non sapeva se ringraziare gli Dei o maledirli. O ridere e rammentare che gli Dei non esistevano, come tante volte aveva affermato suo padre.

« Non è stato gentile,» si lamentò Johanne incrociando le braccia al petto. Non aveva versato lacrime per la scortesia di suo fratello. Era la degna figlia di sua sorella, contrita ma mai abbattuta. Il sorriso di Tyrion s’era spento, rimpiazzato da un’espressione dura rivolta verso la porta da cui era uscito il nipote.

« Tuo fratello è poche volte gentile,» esclamò Jaime tentando di consolarla. Era in ritardo. Barristan era stato a guardia delle stanze del Re la notte prima. Il Lord Comandante Gerold Hightower, il Toro Bianco, aveva disposto che fosse lui ad accompagnare la famiglia reale nel bosco, a caccia di pantere ombra e cinghiali. Il Sole era alto e la battuta stava per cominciare, « Andiamo, bambina. Ti accompagno nella sala del ricamo,» continuò più gentile, facendole cenno di seguirlo. Johanne si issò in piedi, dimentica della sua tristezza, e posò le dolci labbra rosee sulla gota di Tyrion che ricambiò scompigliandole ancora i capelli. Le piaceva ricamare, soprattutto quando poteva farlo in compagnia di altre bambine. A Cersei quell’attività non era mai stata gradita, ma la piccola Lady la trovava rilassante.

« Zio Jaime,» mormorò la bambina non appena furono usciti dalla sala, per poi interrompersi, come timorosa di poterlo disturbare. Jaime aveva un’andatura scattante, ma rallentò comprendendo che una bambina non avrebbe mai potuto seguirlo con facilità. La sua mano destra intrecciò quella del cavaliere e un sorriso dolce arcuò le labbra di Jaime.

« Sì, cara,» la spronò il cavaliere, invitandola a domandare cosa la turbasse.

« Perché i Cavalieri della Guardia Reale indossano sempre il bianco?» chiese Johanne innocente come soltanto una bambina poteva essere, sfiorando con la mancina il mantello che sempre pendeva dalle sue spalle.

« È il nostro vessillo, bambina. Quello dei Baratheon è un cervo nero su campo oro. Quello di tua madre è il leone d’oro su campo rosso. E quello della Guardia è bianco,» le spiegò Jaime osservando i corridoi deserti del palazzo in cui era nato e che un tempo, in un’altra vita, sarebbe stato suo e dei suoi figli. La battuta di caccia doveva aver richiamato i nobili che si stavano radunando nei cortili. Doveva affrettarsi, ma non poteva lasciare la piccola sola, non in un castello che conosceva poco.

« Siete una famiglia, allora,» constatò Johanne con un piccolo sorriso, come se avesse fatto una scoperta a lei gradita. Jaime Lannister aveva avuto un fratello minore e una sorella gemella, ma Ser Jaime il Giovane Leone aveva sei fratelli maggiori che l’avevano guidato sulla via della cavalleria e dell’onore.

« In un certo senso sì. Siamo fratelli di spirito e non di sangue,» approvò Jaime passandole la mancina tra i capelli per poi carezzarle le gote.

« Jaime, Barristan dice che è il tuo turno,» esordì la voce chiara e possente di Ser Arthur Dayne, il miglior spadaccino che Westeros avesse mai avuto. Con Alba, lo spadone di Valyria dei Dayne, Arthur era invincibile e Jaime per anni aveva tentato di eguagliarlo senza riuscirci. Aveva superato Ser Barristan e ser Oswell Whent e anche Lord Gerold, ma mai Arthur. La Spada del Mattino era appoggiato contro il muro candido del corridoio a pochi metri da loro, alle sue spalle le scale che conducevano ai cortili, gli occhi viola, più scuri di quelli dei Targaryen, che sembravano sorridere di dolcezza nello scorgere la sua mano, grande e callosa, intrecciata a quella piccola e delicata della sua bambina.

« Subito, Arthur. Potresti accompagnare mia nipote da mia sorella?» domandò gentile facendo cenno alla piccola di raggiungere il cavaliere quando egli rivolse un breve cenno d’assenso. Johanne osservò Arthur e si inchinò in una riverenza degna di Cersei che fece ridere di gusto Dayne. Il cavaliere si chinò e le baciò la mano.

« Gentile dama, come ti chiami?» le chiese cortese mentre Jaime li superava e scendeva velocemente le scale, una mano sull’elsa della spada per non impedire i suoi movimenti.

« Johanne, ma puoi chiamarmi Jenna,» esordì Johanne come sempre quando si rivolgeva a qualcuno con cui provava empatia. Jaime era già prossimo alle porte. Un sorriso si dipinse sul suo volto giovane e glabro. Scomparve quando si accorse della moltitudine di Lord e Lady che erano accorsi per la caccia, tra i quali, sul suo alto destriero bianco come la neve, figurava suo padre, implacabile e indistruttibile. Gli occhi verdi preannunciavano tempesta.

Note dell’autrice: Benvenuti alla corte di Rhaegar, primo del suo nome. Se avete letto fin qui, e vi ringrazio, vuol dire che questo capitolo ha catturato la vostra attenzione almeno per qualche minuto. Questo racconto è prevalentemente basato su un’idea ricorrente: se Robert non avesse mai dichiarato guerra alla corona, cosa sarebbe avvenuto a Westeros? Tenterò di mostrare la mia visione nei prossimi capitoli. Vi è l’inserimento di un personaggio non presente nelle Cronache, Johanne Baratheon, o Lannister come preferite, che avrà un ruolo importante, ma non vitale all’interno della storia.

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Capitolo 2
*** La Regina d'Inverno ***


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Lyanna guardava Jon dormire pacifico nell’enorme letto in cui poteva ancora percepire l’odore di Rhaegar. Da quando il suo Re era partito pochi giorni prima per presiedere al torneo in suo onore, la Regina di Inverno, com’era stata definita dalla madre del regno, aveva condiviso il talamo con il suo unico figlio.

Jaehaerys.

Quello era il nome effettivo del bambino di tre anni dai folti riccioli neri e dagli occhi d’ametista, scuri come quelli del padre, ma tutti l’avevano chiamato semplicemente Jon. Rhaenys, la dolce principessa che sarebbe divenuta presto una piccola donna, gliel’aveva donato quando l’aveva preso tra le braccia per la prima volta.

Lyanna carezzò i suoi capelli, un sorriso dolce impresso sulle labbra esangui. Jon aveva il carattere di Rhaegar, taciturno, malinconico e sempre troppo serio. Sorrideva soltanto quando giocava con Aegon e Rhaenys o quand’era tra le braccia dei suoi genitori.

Aveva partorito suo figlio nella detestabile afa del Sud e per poco non era morta per le febbri puerperali. Soltanto la consapevolezza di dover crescere quel piccolo principe e l’amore per il suo Rhaegar l’avevano salvata dall’oblio. Quando aveva udito il pianto di Jon, forte e vigoroso, aveva pianto dalla contentezza di saperlo vivo e perfetto, gli occhi viola che brillavano dinanzi al mondo che l’aveva accolto.

La gioia era stata resa più labile dall’ansietà che l’aveva invasa quando aveva ricordato il desiderio di Rhaegar.

Rhaenys. Aegon. Visenya.

Rhaegar, però, aveva preso il bambino tra le sue vigorose braccia e gli aveva sorriso baciandogli il capo per poi stringerlo a sé e Lyanna, se non fosse stata impedita dalla debolezza del suo corpo, si sarebbe issata in piedi e l’avrebbe amato, ringraziandolo per l’uomo splendido e il Re giusto che era.

La gamba destra del bambino era fasciata da delle bende che odoravano d’erbe curative e il Gran Maestro affermava che presto sarebbe tornato a correre, a giocare con i suoi fratelli. Era stato Aegon, trafelato e cupo in volto come mai l’avevano scorto, ad avvisare suo padre della caduta di Jon durante una seduta del Concilio Ristretto.

Avevano trovato Jon e Viserys nel cortile interno, Rhaenys accoccolata vicino al fratello mentre tentava di aiutarlo a rialzarsi e Jon che si teneva la gamba mentre cercava strenuamente di non scoppiare in lacrime per il dolore. Viserys non sembrava per nulla dispiaciuto, ma a Lyanna non era importato, non in quel momento. Viserys aveva affermato che Jon era soltanto un bastardo e che quindi non avrebbero dovuto preoccuparsi per il suo male. Aveva avuto la compiacenza di non farsi udire dal Re che intanto stava chiamando il Gran Maestro, ma sia Lyanna sia Elia erano state abbastanza vicine da carpire le sue parole.

Elia l’aveva guardata, gli occhi neri che sembravano dardeggiare come i suoi d’argento, mentre riprendeva a bassa voce Viserys per quella cattiveria. Elia amava Jon come se fosse stato suo figlio così come Lyanna adorava i piccoli principi del Drago e del Sole. Non v’era mai stata gelosia tra loro.

Elia amava un altro uomo, Lyanna non aveva mai avuto l’ardire di chiederle chi fosse notata la tristezza negli occhi della Dorniana, e Rhaegar ne era pienamente a conoscenza, per nulla turbato. Elia era una Regina gentile e compassionevole, una madre attenta e premurosa. Soltanto quello gli importava.

Rammentava ancora quando aveva incontrato Rhaegar, il suo nobile e giusto Re, per la prima volta, i dubbi che l’avevano assillata quando l’aveva domandata in sposa la notte dopo aver vinto contro Ser Barristan e averla incoronata Regina d’Amore e di Bellezza. Era stato al Torneo di Harrenhal, un anno dopo la morte di Re Aerys, in occasione del primo anno di vita del Principe Aegon, erede al trono di spade.

Aveva creduto che la stesse beffando e poi s’era pentita di quel pensiero così ingiusto. L’amore di Rhaegar era puro come l’acqua dei ruscelli di montagna, ardente quanto il fuoco di un drago. E la giovane fanciulla del Nord s’era ritrovata tra le sue braccia, un assenso sulle labbra prima che si posassero su quelle del suo Re. Rhaegar l’aveva stretta contro il suo petto e s’era perso in lei con una dolcezza e una passione che nessuno mai avrebbe attribuito a quell’uomo calmo e pacifico.

*

Il Parco degli Dei di Harrenhal era immenso e Lyanna s’era persa tra gli alberi secolari dai tronchi candidi e gli occhi rossi da cui sembrava fuoruscire sangue. Le fronde erano immobili. Il clima delle Terre dei Fiumi, la patria della sua nuova sorella, lady Catelyn Tully, la moglie di Brandon, era mite, ben diverso dal freddo che si provava nel Nord.

Lyanna lo rimpiangeva. Sarebbe voluta tornare a casa, a Grande Inverno. I nobili del Sud erano rumorosi e venali. Aveva scorto del disappunto anche nello sguardo di Ned, il mezzano tra i figli di Lord Rickard, il suo caro e silenzioso fratello, che era subito scomparso quando aveva invitato a danzare una giovane Lady dagli occhi viola e la treccia d’ebano. Le sembrava si chiamasse Ashara Dayne. Non aveva mai scorto suo fratello tra le braccia di una fanciulla, ma non le dispiaceva quella particolare dama del Sud.

S’era allontanata dalla sala principale, gremita e sin troppo calda, quando aveva scorto Robert danzare con la sua giovane promessa sposa, Lady Cersei, perfetta in quell’abito porpora arricchito da quello che Lyanna sospettava essere vero oro. Aveva avuto il tempo di notare che non era stata l’unica ad essersi indispettita. Anche Ser Jaime Lannister, il fratello della sposa, era a braccia conserte, in un angolo buio a bere del vino mentre scrutava con astio il futuro cognato.

Re Rhaegar aveva suonato e cantato seguendo le note della sua arpa d’argento, qualcosa di celestiale, divino. Lyanna s’era ritrovata a piangere senza rammentare di non essere sola, lo sguardo perso sulle abili dita del sovrano che sfioravano le corde con una maestria che non sembrava essere umana.

Benjen aveva riso quando il Re aveva terminato e s’era congedato per riporre personalmente l’arpa nelle sue stanze e Lyanna era stata costretta a versargli il contenuto del suo calice sul capo per farlo smettere. Prima che Bran, intento a vezzeggiare la sua giovane sposa con baci e carezze, potesse riprenderla per quel gesto avventato e scortese, Lyanna era uscita nell’aria fresche della sera.

S’era accomodata sotto quello che sembrava essere l’albero-cuore, la gonna del suo abito grigio bordato di fili d’argento che sfiorava l’erba bagnata di rugiada, e guardava il suo volto antico intarsiato in un’espressione seriosa e implacabile.

« Chi è?» esclamò perentoria quando udì il fruscio dell’erba che poteva essere stato causato soltanto da un uomo. Il tono era duro e inflessibile e Lyanna riconobbe suo padre nella sua stessa voce. Si volse a sinistra e notò un uomo giovane dai capelli d’argento e il volto pallido, dai tratti nobili e gli zigomi pronunciati. Il Re di Westeros era dinanzi a lei.

« Mi spiace disturbare la vostra quiete, mia signora,» mormorò Rhaegar Targaryen con la sua voce calma come le acque di un lago mentre prendeva posto su una pietra sporgente a pochi passi da lei. Era nobile persino nel bosco, persino senza la corona che era appartenuta a Re Daeron il Buono.

« Vostra grazia, perdonatemi. Non immaginavo che qualcuno potesse pregare gli Dei Antichi,» si scusò la Lady del Nord scattando in piedi ed esibendosi in una riverenza appena accennata poiché non aveva mai imparato ad inchinarsi, arrossendo senza accorgersene, turbata per quello che era avvenuto quando aveva incontrato lo sguardo prezioso del Re. Il suo cuore di fanciulla aveva perso un battito. 

« Non riuscivo a dormire e questo luogo è colmo di storia,» asserì il Principe incuriosito dal panorama che stava osservando. Non dovevano esserci molti alberi-diga nel Sud di Westeros, « Non dovreste essere sola, Lady Stark,» soggiunse più serio ritornando a scrutarla con quei suoi penetranti occhi viola.

« Passeggio spesso da sola,» ribatté gelida la dama del Nord, quasi ferita per le parole del Re. Non era una sciocca donzella indifesa. Era una figlia di Grande Inverno, erede dei Primi Uomini, una combattente non una principessa da salvare.

« Grande Inverno dev’essere un castello tranquillo e pacifico. Nessuna donna oserebbe passeggiare sola ad Approdo del Re,» affermò il Re, le mani grandi appoggiate sulle ginocchia, l’anello con un drago a tre teste d’ossidiana che brillava sull’anulare sinistro sotto i pallidi raggi della Luna che filtravano tra le fronde degli alberi. Lyanna annuì tornando a sedersi sull’erba fresca. Grande Inverno era casa e calore, la tana del metalupo. Vi erano ricordi annidati nelle sue stanze accoglienti che le facevano nascere un sorriso di innocenza per i giochi infantili con i suoi fratelli maggiori, per le lotte con le spade con Bran e le risate tra lei e Ned. Lyanna non avrebbe mai desiderato allontanarsi. Negli alberi del Parco poteva scorgere i sorrisi di sua madre, il fruscio che produceva Ghiaccio quando veniva pulita da suo padre ai piedi dell’imponente albero-cuore nei pressi del lago in cui solevano giocare quand’erano bambini.

Rhaegar, però, non conosceva le storie della sua giovinezza e sarebbe stato inutile raccontargli qualcosa che non avrebbe mai vissuto. Aveva udito che il Re era stato un bambino malinconico, perseguitato dallo spettro di Sala dell’Estate, sempre alla ricerca di nuovi libri nelle biblioteche reali.

« Le mie felicitazioni per vostro figlio. Il Principe Aegon è un bambino grazioso e amabile,» esclamò la fanciulla con un sorriso ad arcuarle le labbra rosee, abbandonando quei pensieri sfuggenti. Aveva scorto il Principe tra le braccia della Regina per pochi istanti, ma le era apparso come l’immagine del Re. Rhaegar doveva esserne molto fiero. Il suo reame era stato reso più saldo dalla nascita dell’erede e il popolo stava imparando velocemente ad amare quel piccolo Principe dagli occhi viola tanto diverso dalla Principessa Dorniana.

« Anche Rhaenys lo è. I bambini sono le mie gioie più preziose,» mormorò Rhaegar accarezzandole il viso con lo sguardo. Non aveva mai notato tale dolcezza nelle iridi di un uomo. Il sorriso del Re era così sereno da sedare qualsiasi dolore nel suo animo.

« Non dovreste essere con vostra moglie?» domandò Lyanna passando le dita signorile e affusolate sulle gonne dell’abito, per poter scostare lo sguardo dall’uomo dinanzi a lei.

« Elia sta riposando e non desidero turbarla con i miei pensieri inquieti. Il parto di Aegon è stato difficoltoso.»

Le condizioni precarie della Regina erano ben note in ogni angolo di Westeros. Lord e Lady erano accorsi per scorgere il Principe, ma non solo. Se Elia fosse morta, allora Rhaegar avrebbe sposato un’altra donna. Lyanna non aveva desiderato ascoltare quelle malignità sul conto della Regina che sembrava essere una donna forte e gentile. L’aveva invitata a sedere con lei nel padiglione reale con la Regina madre e sua cognata Catelyn sebbene quasi non la conoscesse. I sussurri, però, non giungevano mai abbastanza vicini alle orecchie dell’amato fratello della Regina, Oberyn Martell, la Vipera Rossa di Dorne. Il Principe Dorniano era pericoloso. Nessuno aveva intenzione di inimicarselo.

« Domani vi è l’ultimo scontro. Dovreste riposarvi,» mormorò la Lady tornando a guardarlo. Un lampo di divertimento attraversò le iridi del Re e un sorriso indulgente gli arcuò le labbra sottili.

« Lady Lyanna, vorreste forse divenire il mio Primo Cavaliere?»

« Domando perdono. Non era mia intenzione offendere,» soffiò Lyanna a denti stretti, arrossendo di nuovo senza rendersene conto. Non era abituata a scusarsi, la Lady del Nord. Era come il vento gelido che si insediava ovunque, in ogni angolo, senza domandare alcun permesso. Ma anche il vento era costretto ad arretrare quando incontrava un muro invalicabile com’era il Re dinanzi a lei.

« Non mi avete offeso. Dovrei riposare. Ser Barristan è un avversario temibile,» mormorò Rhaegar più gentile. Si sarebbe scontrato con un cavaliere della Guardia Reale, con Barristan il Valoroso che militava nei tornei dall’età di dieci anni. Lyanna aveva udito dei racconti su ogni membro della Guardia Reale. Vi era il Toro Bianco, il Lord Comandante, con la sua intransigenza e il suo senso dell’onore, Ser Oswell nato nella tetra Harrenhal in cui la notte qualcuno giurava di vedere ancora i fantasmi di Re Harren e dei suoi figli. Vi era Arthur Dayne, il più caro amico del Re, la risata sempre pronta e la spada invincibile, e il Principe Lewyn, un combattente temibile, la guardia di sua nipote, la Regina, « Ho udito che Robert Baratheon ha sciolto il vostro fidanzamento. Potrei essere tanto ardito da chiederne la ragione?» soggiunse incuriosito, gli occhi assottigliati, facendole dimenticare ciò a cui stava pensando.

« In verità, per quanto possa vantarsi del contrario, sono stata io a sciogliere il nostro fidanzamento,» sbottò la Lady del Nord, irritata dal ricordo di Robert. Le voci che circolavano tra i nobili sembravano dipingere lei come una sgualdrina e Robert come un uomo tradito. Da quando aveva riferito a suo padre che avrebbe preferito gettarsi dalle mura di Grande Inverno piuttosto che andare in sposa ad un beone e frequentatore di bordelli a basso costo, nulla era stato più come prima. Ned in un primo momento aveva tentato di farle mutare giudizio, ma poi s’era arreso dinanzi all’evidenza. Suo padre l’aveva guardata in modo greve e perentorio, poi aveva sospirato e le aveva riferito che avrebbe trovato un uomo più degno di lei. Brandon era stato il più felice. A lui Robert non era mai piaciuto, « Robert… non avrei mai sposato un uomo che la stessa notte dell’annuncio si fa ritrovare ubriaco nelle stalle del mio castello in dolce compagnia.»

« Robert è stato un stolto. Trattarvi in quel modo non è degno di un Lord né di un uomo,» replicò Rhaegar con uno sguardo di ghiaccio, talmente indignato da fargli brillare d’ira gli occhi d’ametista. Lyanna annuì tra sé, « Mi sorprende, debbo ammetterlo. Suo padre era nobile e gentile. Lo ricordo con affetto.»

« Sposerà Cersei Lannister, la figlia di Lord Tywin.»

Non sapeva neanche perché l’avesse proferito. Il fidanzamento era stato annunciato, tutta la corte ne era a conoscenza. Una parte di sé era dispiaciuta perché Cersei Lannister sembrava davvero innamorata di quel Lord che sembrava essere splendido con la folta barba nera e gli occhi di cristallo. Un’altra si ritrovava a sperare che il giorno delle loro nozze si appropinquasse velocemente così da sollevare la spada dal suo collo.

« Lo amate, Lyanna?» domandò sporgendosi verso di lei e scostandole una ciocca di capelli che le era ricaduta sul volto. Lyanna li portava sempre sciolti. Le dita di Rhaegar erano gentili, non callose come quelle di Robert e la fanciulla sentì ardere la pelle che il Re stava sfiorando. Era una carezza leggera, solo accennata. Si sarebbe potuta scostare in qualsiasi momento, ma non lo desiderava né bramava che Rhaegar si allontanasse.  

« No, certo che no,» sbuffò risentita, scuotendo il capo, gli occhi grigi che sembravano essere un mare in tempesta. Non aveva mai amato Robert. L’avrebbe sposato soltanto poiché Ned gliel’aveva domandato e non avrebbe mai potuto negarsi ad un desiderio di suo fratello. L’avrebbe sposato per rendere suo padre fiero di lei, divenendo una delle Lady più importanti del reame. Ma avrebbe rimpianto quel matrimonio tutti i giorni della sua vita, « Non lo conoscevo. E lui non conosceva me. Come potrei amarlo?»

« La prima volta che ho scorto Elia è stato al nostro matrimonio. Eppure nutro un sincero affetto nei suoi riguardi.»

« Affetto. Non amore,» precisò la Lady del Nord a voce talmente bassa che per un attimo credette che il Re non l’avesse udita. Rhaegar si sporse e i loro respiri si fusero per un attimo. Gli occhi del Re sembravano ardere come Altofuoco mentre la osservavano studiando il suo volto con l’attenzione di un artista. Lyanna deglutì a vuoto, tentando di imporsi una calma che non le apparteneva. Il cuore le batteva sin troppo forte. Le labbra di Rhaegar erano schiuse e la fanciulla si domandò se fossero morbide come apparivano, poi il Re scosse brevemente il capo, sospirando.

« Riposerei più sereno se sapessi che siete al sicuro nelle vostre stanze, Lady Lyanna. Potrei accompagnarvi?» domandò, la voce che tradiva il turbamento nello scorgere il rossore che le imporporava gli zigomi, mentre si issava in piedi e le porgeva la mano destra.

« Se lo desiderate, mio re.»

Percorsero la strada che conduceva alle sue stanze nel silenzio più assoluto, le mani ancora intrecciate. Lo sguardo del Re era puntato sul corridoio mentre quello di Lyanna vagava tra le loro mani e le spalle possenti di Rhaegar per poi tornare ad osservarne i tratti nobili del volto. Harrenhal era buia, addormentata, morta. Deglutì quando percepì le dita del Re accarezzarle il palmo, indugiando con un tocco gentile e disinteressato.

« Se vincerò domani, lady Lyanna, voi sarete la mia Regina,» mormorò chinandosi su di lei quasi a sfiorarle le labbra quando furono dinanzi alle porte delle sue stanze. Lyanna avrebbe potuto contare le ciglia lunghe dei suoi occhi magnetici per la vicinanza. Una soffusa luce di candela era stata lasciata accanto alla porta, probabilmente da Ned come segno che erano tutti nei loro letti, perfettamente addormentati.

« Vi prego di non vincere allora. Sarebbe sconveniente. Siete sposato, mio signore,» ribatté la Lady con durezza e determinazione. Rhaegar era sposato, aveva due bambini e un reame da gestire. Se l’avesse incoronata sua Regina d’Amore e di Bellezza, le voci su di lei non sarebbero mai cessate. Non le importava, ma quel ricordo non l’avrebbe mai abbandonata. Rhaegar sarebbe tornato ad Approdo del Re e lei al Nord, con la sua corona di rose blu, unico pegno d’amore che avrebbe mai accettato.

« Anni fa mia madre mi narrò di suo nonno, Aegon l’Improbabile. Egli si sposò per amore non per ragioni politiche. E concesse ai suoi figli lo stesso privilegio,» le raccontò sfiorandole la gota destra e il collo pallido. La voce di Rhaegar non era che un sussurro, lo stesso tono con cui aveva cantato di Valyria, la patria dei Draghi, della sua distruzione che ancora scuoteva le isole e il mare.

« Il reame sanguinò per questo.»

« Dormite serena, Lady Lyanna Stark,» le augurò posandole la labbra sulla fronte prima di volgersi e incamminarsi per il corridoio probabilmente diretto verso le proprie stanze. Le camere che condivideva con la Regina Elia, sua moglie, la sua legittima sposa, la madre dei suoi figli. Lyanna sospirò, appoggiandosi alla spessa porta di noce, le braccia strette al petto come per proteggersi da un nemico.

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