-Can you save me?- Di lacrime e sangue

di Ship_COFFE_Bar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo: ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo: ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo: ***
Capitolo 4: *** Capitolo quarto: ***



Capitolo 1
*** Capitolo primo: ***




Chapter one: 




Per un attimo mi limito ad osservare la sigaretta stretta fra le mie dita, la punta 

accesa brucia producendo un rivo letto di fumo.

Quando la porto alle labbra e avverto il calore e il sapore del fumo, mi sento 

invadere da un profondo senso di pace.

Sorrido, getto la testa indietro, mentre sbuffo, liberando nell'aria una scia simile a 

quella prodotta dalla sigaretta.

-Signor Laufeyson, la pregherei di spegnere la sigaretta-

Guardo la donna, seduta sulla poltrona rosso scuro, le gambe elegantemente 

accavallate, e gli occhiali dalla montatura chiara leggermente abbassati sul naso.

I capelli rossi sono tenuti corti, ma si attorcigliano fra loro in grossi boccoli.

La cartellina e il completo nero le danno un'aria fastidiosamente professionale.

Giusto per cercare di farla innervosire, prendo un'ultima boccata prima di spegnere 

la cicca sul costoso tavolino di vetro.

Ostentando noncuranza, mi sistemo meglio sul divanetto, mentre la guardò di 

sottecchi scrivere qualcosa sulla cartellina.

"Dio, quanto vorrei spaccargliela in testa"

-Grazie. Allora, signore...preferisce se la chiamò con il nome di battesimo?- chiede, 

con un sorriso fastidioso che riconosco essere anche il mio.

-No- 

-Perfetto, allora io la chiamerò Loki e lei potrà chiamarmi Natasha- questa donna mi 

fa saltare i nervi.

Eccola che scrive di nuovo sulla sua dannata cartellina.

"La odio già. Eppure sono qui da soli...cinque minuti" 

È un record.

Sbuffo di nuovo, incrociando le braccia al petto.

-Questa situazione è assurda- mormoro, stringendo i denti. 

Natasha alza lo sguardo dai suoi appunti e si sistema gli occhiali sul naso,

- Loki, se non avessi fatto quel che hai fatto, ora non saresti qui- 

"Mh, diretta, per essere una strizza cervelli"

-Bene, vogliamo incominciare la seduta?- annuisco.

"Prima inizia, prima finirà" 

Poggia la cartellina e la penna sul tavolo, intrecciando le mani, guardando la penna, 

noto che è abbastanza appuntita.

Se fossi abbastanza veloce da riuscire a...

-Non ci pensare nemmeno- dice, candidamente, riuscendo a leggermi nei pensieri.

-Non nuocerai a te stesso, non con me presente e tantomeno con la mia penna-.

Sposto la sguardo su di lei e le mie labbra si piegano in un sorriso amaro.

-Dicevamo?-  sospiro, guardando il mozzicone di sigaretta.

-Cosa vuole sapere?- continuo a darle del lei, e chiedo, stanco, passandomi una 

mano sugli occhi, nel tentativo vano di alleviare il pulsante mal di testa che mi 

martella le tempie.

-Innanzitutto, sono curiosa di sapere cosa si prova- 

"Oh, questa è nuova"

-Prego?- 

-Intendo cosa spinge una persona a tentare il suicidio?- si piega in avanti come una 

ragazzina che spettegola con la sua amica.

"Ma non dovrebbe saperlo da sola? Cosa gli insegnano nella scuole per psicologi? 

Come tediare i pazienti?"

Decido comunque di risponderle, ma rimango un attimo immobile, un po' per lo 

stupore residuo un po' per cercare le parole.-Se glielo dico mi fa fumare?- 

"Arrivi addirittura alla contrattazione? Quanto sei caduto in basso, vecchio mio"

-No-

-Immaginavo- rido, scostandomi ciocche di capelli scuri dal viso.

-Allora?- mi sento a disagio e viceversa allo stesso tempo.

-Io non sono pazzo- mi sento in dovere di specificare, lei solleva un sopracciglio, 

scettica.

-Questo lascialo decidere a me- scuoto la testa, continuando a ridere 

sommessamente.

-È complicato...ma è come se..se un peso enorme ti spingesse a terra...ha mai 

provato quella sensazione?- la vedo annuire interessata, è una delle poche volte 

che qualcuno resta ad ascoltarmi.

-Ecco, io quella sensazione l'ho provata per tutta la mia vita. E per tutta la mia vita, 

quel peso non ha fatto altro che spingermi a terra, obbligandomi a mangiarne a chili 

e chili, sempre restando...in silenzio- prendo una pausa, sospiro, poi continuo.

-Ma arriva un momento in cui non si può più sopportare, le persone forti si ribellano, 

oppure sopportano stoicamente...ma io non sono una persona forte...io sono 

debole- mi lascio andare ad una risata che sembra un singhiozzo.

-Capisce? Avevo un modo solo per ribellarmi, io. Solo uno. Dovevo farlo, dovevo 

liberarmi da quel peso- lei riprende la cartellina ricominciando a scrivere, poi mi 

osserva.

Vedendo che non continuo:

-E l'unico modo per farlo era dissanguarsi nel proprio bagno?- annuisco, ma 

rimango in silenzio.

-E ora? Cosa pensi di fare ora?- la guardò negli occhi, attraverso le lenti, e per la 

prima volta nella mia vita sono completamente sincero.

-Non ne ho la più pallida idea-

C'è ancora, quel peso, e continua a spingermi a terra, a farmela mangiare, a 

obbligarmi al silenzio.

E vorrei gridare, liberarmi, squarciarmi il petto e lasciare che il cuore esca fuori, 

sporcando di rosso ogni cosa.

Ma sono debole e devo stare in silenzio.

Mi limito ad osservare i tagli irregolari su entrambi i miei polsi, pieno di malinconia, 

guardandoli come fossero vecchie fotografie.

-Bene...direi che la seduta può concludersi qui. A giovedì prossimo, Loki- ripone i 

libri, la cartellina e la penna in una lucida ventiquattr'ore, mi alzo, infilandosi 

stancamente la giacca di pelle nera, che mi sta più grande di un paio di taglie.

Apro la porta, mormorando un: -Arrivederci- senza voltarmi.

Esco, percorrendo gli asettici corridoi fino all'uscita, dove un milione di flash 

abbaglianti mi acceca.

Con un mugolio esasperato, mi copro gli occhi e cercò di farmi spazio nella folla di 

giornalisti e delle loro domande.

Davanti a me parcheggia una limousine nera, il vetro davanti si abbassa,me Tony mi 

intima di salire.

Prima di obbedirgli, sento una delle domande dei giornalisti, mi giro lentamente 

verso il ragazzo.

-Come?- sembra terrorizzato, -Sali in macchina- ringhia il mio consorte, mentre, 

tremante, il ragazzo dice: -Ha..ha intenzione di tentare di nuovo il..il..- mi avvicinino, 

sentendo Tony bestemmiare.

-Il suicidio?- mormoro a bassa voce squadrandolo da testa a piedi.

Insignificante. Mi sento subito in sintonia con lui.

Annuisce, e io gli sorriso benevole, vedendolo ammorbidirsi un po'.

Alzo una mano, piegando le dita tranne l'indice e intanto: 

-Sai dove potete andare tu e tua madre?- poi salto in auto, fra il clamore dei 

giornalisti, lo stupore del ragazzo e l'incazzatura di Tony.

Lo sento che mi guarda di sottecchi, ma non mi volto, continuando a guardare la 

strada insistentemente.

-Cosa diavolo pensavi di fare?- chiede, la sua voce sembra un ringhio, e attraverso 

gli occhiali da sole posso vedere gli occhi dardeggiare.

-È la trentesima volta che me lo chiedi. Ero stufo di vivere, cosa vuoi che ti dica?- lo 

sento irrigidirsi, stringere il volante con le dita.

-Intendevo coi giornalisti- sputa fra i denti, parcheggiando davanti alla Tower, dove 

fotografi e importuni sono già stati cacciati.

-Perché? Anche tu ne hai mandati a farsi fottere un paio, ieri, no?- chiedo.

Il colpo arriva talmente veloce che me ne accorgo solo quando la guancia 

incomincia a bruciare e pulsare terribilmente.

La sberla mi avrà lasciato i segni delle dita, penso, Tony tiene ancora la mano 

alzata, pronta a colpire.

-Non. Osare. Parlarmi in quel modo- scandisce, afferrando,i per i capelli e 

portandomi vicino al suo viso.

Reprimo un gemito di dolore.

Si è tolto gli occhiali e i suoi occhi scuri mi colpiscono con la forza di mille pugni.

-Ricordati che tutto quello che hai, tutto quello che sei, ogni cosa, lo devi a me! 

È chiaro?!- mi strattona un'ultima volta, annuisco dolorante.

Il peso che mi spinge a terra si è ingigantito ancora di più.

Scendiamo dalla macchina, io rimango dietro di lui, fino a quando non mi intima di 

muovermi, allora mi sbrigo ad entrare in ascensore.

Sento le lacrime pungermi gli angoli degli occhi, premendo per uscire, ma le blocco, 

tenendo le labbra sigillate mentre il peso mi obbliga ad ingoiare un altro po' di terra.

Rimango in silenzio.






Angolo assassina/autrice...
Tonyyyyy! mi dispiaceeeeee! Ma per questa storia mi servi più stronzo che mai.
I'm shorry!
Comunque, lo so che non è granché come primo capitolo, ma non mi è riuscito di farlo più lungo senza rovinare o modificare gli altri capitoli.
Credo che posterò i capitoli ogni martedì, ma se non riuscissi, vi avviserò oppure...perdonatemi perché sono un'inetta.
Fatemi sapere cosa ne pensate e spero che la storia vi piaccia. 
Un saluto

Im a Murder girl

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Capitolo 2
*** Capitolo secondo: ***




Chapter two:




La luce entra a sprazzi dalle tapparelle abbassate, illuminando appena la stanza.

Un raggio mi colpisce gli occhi, svegliandomi, apro lentamente gli occhi, 

sospirando, mentre la luce illumina una ciocca dei miei capelli, facendola 

risplendere come fosse oro.

Mi metto seduto, il materasso e la struttura del letto cigolano, lo stesso quando mi 

alzo per andare in cucina.

Raggiungo il ripiano e mi preparo stancamente un po' di caffè.

Guardo la tazza con un misto di tristezza e felicità, riconoscendola come una delle 

poche cose che mi sono portato via andandomene da casa.

Aspettando che sia pronto, vado in salotto, lanciandomi letteralmente sul divano.

La chitarra riposa in un angolo, appoggiata lì accanto al divano, allungò una mano a 

sfiorare le corde, che vibrano appena.

Poi, in un gesto automatico, faccio partire la segreteria del telefono, in bilico sul 

tavolo del salotto.

Attimo di pausa, poi una voce metallica incomincia, e non so nemmeno perché l'ho 

fatta partire, tanto so già come finisce.

Come al solito, nessuno mi avrà chiamato.

Ne i miei genitori, ne i miei amici, figuriamoci Jane.

E perché dovrebbero farlo? Li ho trattati tutti da schifo, e anche rendendomene 

conto non mi importava.

Non hanno più ragioni per interessarsi a me, ora che non ho più niente.

Ora che non sono più nessuno.

Ma la voce metallica oggi recita un diverso copione;

-Un messaggio perso- mi alzo di scatto, e sobbalzo, quando la voce metallica viene 

sostituita da quella triste e dolce di mia madre.

-Thor, tesoro? Ci sei?- le trema la voce sembra che abbia pianto, -Mamma- 

mormoro verso il nulla, con l'assurda speranza che mi possa sentire.

C'è un'altra pausa, nella quale la sento singhiozzare sommessamente.

-Spero che ascolterai questo messaggio- la sua voce è sempre più rotta, mentre 

cerca di soffocare le lacrime.

-Io...volevo solo dirti che ti voglio bene, te ne vorrò sempre e...e anche tuo padre...ti 

prego, torna a casa possiamo...possiamo ancora essere una famiglia- 

"No, mamma. È troppo tardi" stringo i pugni, mentre la telefonata finisce, 

lasciandomi un senso di inquietudine mai provato prima.

Un fischio mi avverte che il caffè è pronto, afferro la tazza, buttando giù il caffè 

bollente, sentendolo bruciare giù per la gola, fino allo stomaco, a soffocare quel 

senso di inquietudine.

Mi do una sciacquata veloce, cercando di riordinar i capelli.

Prendo la giacca, rimasta abbandonata ai piedi del letto, la infilo, controllando 

l'orologio e rendendomi conto che sono le dieci e mezza.

"Perfetto, in ritardo il primo giorno di lavoro" mi dico, chiudendo la porta 

dell'appartamento e lanciandomi giù dalle scale.

Arrivo di corsa alla porta del condominio, saluto un paio di persone e poi esco, 

venendo investito dall'aria fredda del mattino.

Fortunatamente, la clinica non è molto lontana.

La raggiungo in cinque minuti di passo affrettato, la struttura è imponente e le mura 

sono completamente bianche, mi incutono soggezione.

Sulla porta girevole indugio, sentendomi a disagio.

Al centri della porta, campeggia una scritta nera a caratteri cubitali:

                        
                                "Clinica psichiatrica Romanoff, 
        
       Specificata in casi di autolesionismo, tossicodipendenza e 
                                             insanita mentali


"Strana questa dottoressa Romanoff" mi chiedo che tipo potrebbe essere  una 

donna così, il nome sembra quello di una spia russa dei film.

Entrò, percorro i corridoi ricordandomi le indicazioni datemi dal personale una 

settimana prima, quando feci la proposta di lavoro.

Subito accettata, forse non c'è molta gente disposta a lavorare qua, e incominciò a 

capire perché.

Ci sono un sacco di porte, dentro ci sono persone che piangono, ridono come dei 

pazzi, urlano, bisbigliano frasi senza senso.

Deglutisco, raggiungendo alla fine di un corridoio una porticina nera lucida, in 

contrasto con le pareti.

Busso, -Avanti- apro la porta lentamente, accennando un "buongiorno".

-È in ritardo, signor Odinson- solleva appena lo sguardo dai documenti che sta 

compilando, invitandomi a sedere con un gesto elegante della mano.

Mi siedo sulla sedia davanti alla scrivania, sentendomi come quando a scuola 

convocavano i miei genitori, e io dovevo starmene seduto su quelle scomodissime 

sedie mentre la preside elencava tutto quello di sbagliato che avevo fatto.

Tutto quello che c'era di sbagliato in me.

-Potrebbe...chiamarmi solo per nome?- alza lo sguardo e scuote le spalle, come a 

dire che non gli cambia nulla.

-Allora, Thor, io sono Natasha Romanoff, la tua nuova datrice di lavoro, nonché 

direttrice della clinica- sorride, appoggiando il mento sulle mani intrecciate.

-Ti ho convocato  per avvisarti che il paziente di cui ti prenderai cura, oggi non 

verrà, quindi puoi prenderti una giornata libera- 

"E dirmelo per telefono no?" Come a leggermi nel pensiero dice:

-Ci tenevo a dirtelo personalmente- piccola pausa -Ma solo per oggi, sappilo, i

prossimi giorni dovrai venire, a parte domani forse...è domenica domani, giusto?- 

-Sì- annuisce, mormorando qualcosa e leggendo delle carte. 

-Cosa dovevo dirti ancora? Oh, ma certo- sbatte le mani fra loro, facendomi 

sobbalzare.

-Il paziente in questione- inizia, piegandosi verso un cassetto della scrivania e 

rovistandovi dentro.

-È un tipo molto...speciale- mi porge una cartellina verde chiaro, traboccante di fogli 

scribacchiati.

-Ma dovrai trattarlo con cura. È un personaggio piuttosto di rilievo- annuisco di 

nuovo, uscendo dall'ufficio e dalla clinica.

Decisamente una strana dottoressa.

Prima di ritornare all'appartamento, mi volto indietro osservando critico e 

preoccupato la struttura.

"Ho paura che non sarà facile come pensavo"

...

-Allora, io devo uscire, vedi di non combinare casini- mi rannicchio sul divano, 

sospirando.

-Hai capito?-  "Ti odio"

-Sì- dalla vetrata posso vedere l'intera New York, posso vedere ogni cosa farsi 

insignificantemente piccola, da quassù.

Vorrei che funzionasse anche con i miei problemi, mi sento schiacciare sempre di 

più, sempre di più, di più...

Sospiro, appoggiando la fronte sulla strofa fresca del divano, cercando di svanire, 

sperando con tutte le mie forze di sparire.

-Ti prego- chiudo gli occhi, raggomitolandomi ancora di più su me stesso, stringo 

forte le palpebre, mi tappo le orecchie con le mani.

-Ti prego- gli occhi serrati non impediscono però ad una lacrima di solcarmi 

silenziosa la guancia.

-Ti scongiuro- per un attimo non sento nulla, e credo che forse c'e l'ho fatta, allora 

aspetto.

Un secondo, due, tre...apro gli occhi.

Nulla da fare, la vista della vetrata mi si ripropone come sempre.

Non mi sento nemmeno disperato, neanche triste, le lacrime scendono sulle guance 

senza che io me ne accorga.

Vorrei non riuscire a provare nulla, vorrei essere immune a tutto lo schifo di questa 

città.

 Ma non lo sono.




...Angolo dell'autrice/assassina...
Bonjour, gente, come va? *lancia brioche al cioccolato e tazze di cappuccino*
Sì...lo capite solo se leggete la presentazione, comunque!
Ringrazio tutte quante voi che avete recensito, frostgiant, roby_lia, she_s_a_rebel e mikola! e anche chi ha messo fra le seguite! Thank you~
Sappiate che odio questa fase della storia quanto voi, calma piatta, non succede nulla...ma non ci posso fare niente, stai due si devono ancora incontrare.
Per il prossimo cap di 20 AU love stories...abbiate pazienza, ho delle faccende da sbrigare e l'ispirazione tarda ad arrivarmi, accidenti a lei! e.e
Comunque spero il cap vi sia piaciuto, fatemelo sapere con una recensione, plz!
Un saluto

Im a Murder girl

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Capitolo 3
*** Capitolo terzo: ***


Chapter three:





Gli occhi vagano da una parte all'altra del salotto, solo per evitare lo schermo del 

computer, che getta una luce azzurra sul mio viso.

Ho le dita ad un millimetro dai tasti, trattengo il respiro e cerco qualcosa. 

Andiamo. Ci deve essere qualcosa. Una cosa qualsiasi.

Scosto il computer sbuffando. Fissare lo schermo non mi aiuterà a scrivere.

-Jarvis? Fammi un caffè- mi accascio sul divano, socchiudendo gli occhi.

-Subito signore- mi passo la mano sulla fronte, inspirando lentamente aria,

-E le mie pillole, Jarvis. Dove sono le mie pillole?- un braccio meccanico mi allunga 

una tazzina di caffè, la prendo, ignorando la superficie bollente.

-Mi spiace, ma il signor Stark ha ordinato di non darle nessun medicinale- impreco, 

e quasi sputo la bevanda.

-Cosa cazzo significa?- poggio la tazza sul tavolo e mi dirigo in camera da letto.

Apro i cassetti. Vuoti. Con calma, Loki, resta calmo.

-Jarvis, dove sono?- mi tremano le mani, mentre mi abbasso a guardare sotto il 

letto. -Mi dispiace Signore, ma non posso dirglielo- anche se so che non è una 

persona, in questo momento lo prenderei volentieri a pugni.

-'Fanculo, Jarvis. Dove. Cazzo. Sono. Le mie pillole?- la voce non mi risponde, 

forse si è spento.

Mi mordo l'interno della guancia emettendo un suono che è a metà fra la risata e la 

disperazione, -Jarvis, per favore. Per favore!- 

Mi lasciò andare sul letto, mugolando.

Dio, ma perché c'e l'hai con me?

Allungo una mano verso il cellulare, appoggiato accanto alla sveglia sul comodino, 

schiaccio i tasti di malavoglia, componendo il numero della clinica.

Aspetto un paio di secondi, prima che la voce irritante della Romanoff mi risponda.

-Pronto?- sembra annoiata. O forse è solo stanca, in fondo è domenica mattina.

-Dottoressa? Stava dormendo?- sbuffa, -Sì, cosa vuoi, Loki?- soffoco una risatina,

-Devo...ho bisogno di parlarle- sbuffa di nuovo, e posso quasi vederla alzare gli 

occhi al cielo.

-E non puoi parlarmene per telefono?- 

-Be'...-

-Facciamo così- inizia, interrompendomi -Io non posso venire, ma magari...uhm...sì, 

ho il numero qui...adesso...un momento- vado in soggiorno, recuperando la tazza di 

caffè e bevendola tutto d'un fiato.

-Ecco! Gli dico di raggiungerti lì. Buonagiornata- cerco di parlare ma chiude la 

telefonata. Chi dovrebbe raggiungermi? 

Infilo la giacca, tastandomi la tasca  in cerca di una sigaretta.

Prima di uscire mi fermo, e corro al computer, afferro un post it e una penna, 

scrivendo qualcosa come: -vado alla clinica. Non so quando torno- 

Tanto Tony torna sempre tardi, anche il week end. Ma non si sa mai, sarebbe 

capace di far pattugliare l'intera New York per trovarmi.

Esco in fretta, infilandomi nell'ascensore, che si chiude con un rumore secco.

Arrivo in strada e chiamo un taxi, che arriva subito, lo pago in anticipo, lanciandomi 

letteralmente sul sedile posteriore, il tassista mi osserva lievemente preoccupato, gli 

indico la strada con un gesto nervoso della mano, incitandolo a sbrigarsi.

Spero solo che chiunque mi debba raggiungere in clinica, non scappi appena mi 

veda. Lo specchietto riflette la mia immagine, sembro a metà percorso fra il tossico 

e lo schizofrenico.

Be', in fondo, la speranza è l'ultima a morire.


...


Mi rigiro il fascicolo fra le mani, studiandolo.

L'avrò letto tipo dodici volte, ma ancora qualcosa mi sfugge.

Il nome, come aveva anticipato la Romanoff, non mi è nuovo, devo averlo sentito in 

qualche intervista, un po' di tempo fa. Mamma leggeva anche dei suoi libri. Pare 

che fosse bravo, ma poi c'è stato uno scandalo...non so cosa sia successo, dato 

che non ho mai prestato troppa attenzione al telegiornale.

Il telefono squilla, e per quei pochi secondi in cui alzò la cornetta e la poggio 

all'orecchio, spero sia mia madre.

-Pronto?- 

-Thor? - sospiro, sedendomi sul divano, guardo la chitarra come una vecchia amica, 

sfiorandone ancora una volta le corde.

-Sì, dottoressa Romanoff?- sembra stanca, dal suo tono di voce. Del resto lo sono 

anche io. È domenica mattina.

-Ciao, senti, mi spiace disturbarti, ma c'è stato un piccolo cambio di programma- 

ride nervosamente, mi passo una mano sul collo -Cosa devo fare?- chiedo, 

esasperato.

-Vieni in clinica. Ci sarà un paziente ad aspettarti, quel paziente- lo dice in tono 

confidenziale, come se avesse paura di poter essere sentita da qualcuno che la 

spia. -Ok...vado, buona giornata- non faccio in tempo ad augurarglielo che ha già 

riattaccato.

Sospiro, guardandomi intorno. Sarà meglio che mi prepari. E mi vesta, mi accorgo 

solo ora di essere a torso nudo. Raccatto la maglietta, mi do una lavata e bevo il 

caffè di corsa, ustionandomi la lingua.

Esco, correndo giù dalle scale, scendo in strada e chiamo un taxi, ma mi ci vogliono

un paio di volte perché possa finalmente salire a bordo.

Gli dico dove andare e appena arriviamo lo pago subito, correndo verso la clinica.

Quasi non mi spiaccico sulla porta, attirando gli sguardi di alcuni passanti, mentre 

attraverso i corridoi asettici provo ancora quel senso di disagio e voglia di 

andarmene, ma continuo a camminare forzatamente, fino a che i piedi non mi 

portano nel cortile della clinica.

Osservo spaesato, investito dalla luce calda del sole, appena coperto dalle nuvole.

Ecco. Sulla panchina in fondo, c'è una persona, mi avvicino piano, cercando di 

sembrare amichevole. Mi siedo accanto a lui, ma sembra che non mi abbia 

nemmeno visto.

Preferisco lasciare che sia lui ad incominciare una conversazione, così restiamo in 

silenzio per una buona decina di minuti.

-È così difficile- lo guardo di sottecchi, cercando di scorgere il suo viso, ma tiene la 

testa china, ed i capelli lunghi e scuri, (deve essere per forza lui) lo coprono 

completamente.

-Che cosa?- mi torturo le mani, inspirando profondamente l'aria fresca della 

mattina.

-Tutto. Te ne sei mai reso conto? Svegliarsi ogni mattina, andare a lavoro, 

accompagnare i figli a scuola...coltivare i propri interessi insieme alla vita sociale e 

lavorativa. Non è tutto terribilmente impossibile?- 

La sua voce è bassa. Mi piego leggermente per cogliere il senso delle sue parole, 

ma anche avendole sentite continuo a non comprenderle del tutto.

-Allora?- alza il viso. I capelli si scostano, rivelando un paio di occhi verde chiaro, 

oscurati da un velo malinconico, e dalle lunghe ciglia scure.

-Io...io credo...di sì- balbetto, incatenato da quegli occhi come da un magnete.

Allungo una mano a sfiorargli il viso, ritraendola subito dopo come se mi fossi 

scottato. nello stesso istante, un'idea del tutto pazza mi viene in mente, e non 

riesco a frenare la lingua per impedirle di pronunciare quelle parole.

-Senti, e se ne discutessimo davanti ad una tazza di caffè? Da Sturbucks, 

oppure...puoi venire a casa mia- verso il finire della frase le parole si fanno confuse 

e le mie guance diventano di un colore tendente al rosso sgargiante.

Rimane immobile, "Perfetto, adesso penserà che sono un maniaco" sono già pronto 

ad andarmene, mi alzo, accennando ad una scusa, ma lui mi afferra un braccio, lo 

sguardo un po' più lucido.

-Ci sto- annuisco, poco convinto.

-Allora...il bar deve essere da quella parte- indico, appena usciamo dalla clinica.

-No- sbatto le palpebre, confuso. "Ma non aveva detto di sì?"

-Ma..?- mi guarda di sottecchi, e giurerei di vedere una strana luce nei suoi occhi.

-Andiamo a casa tua- 







...Angolo autrice/assassina...
Lo so, fa cagare, ma è un capitolo di passaggio! Resistete, le cose stanno per farsi interessanti, finalmente.
Spero di non aver dato l'idea del tipo "si vedono per pochi secondi ma già si amano", perché non è così.
Abbiate pazienza, sono una deficiente.
Un saluto

Im a Murder girl

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Capitolo 4
*** Capitolo quarto: ***


Capitolo quarto




L'appartamento è illuminato solo dalla luce proveniente dalle finestre, ingombro di 

roba, talmente tanto che quasi non si riesce a camminare.

La prima cosa che mi attira è la chitarra acustica poggiata in un angolo, intorno 

sono sparsi dei fogli scarabocchiati, pieni di scritte e note.

-Uhm... Siediti- guardo il divano e gli rivolgo uno sguardo confuso. Una grossa 

macchia scura e alquanto inquietante mi fa passare la voglia di sedermi su di esso. 

Lui intercetta il mio sguardo e guarda fisso la macchia un paio di secondi prima di 

arrossire di botto, passandosi una mano dietro al collo.

-È... È solo caffè!- si affretta a specificare, annuisco, rimanendo parecchio scettico.

Mi siedo, stando sulla parte sinistra della inquietante macchia, studiandola di 

sottecchi.

Il luogo è piccolo, il letto è quattro metri più in là, e il ripiano cucina con la.

televisione è poco più avanti dal divano.

Su un tavolino è poggiato un telefono, vecchio modello, o forse sono io che a forza 

di vivere al di sopra della città ho perso l'abitudine. Sì, probabilmente è così.

"Quella torre mi fa male, credo sia l'aria rarefatta che c'è lassù"

Dopo un po' mi si avvicina, tiene nelle mani due tazze piene di liquido scuro, allungo 

subito una mano a prenderne una, faccio per poggiare le labbra dischiuse sul bordo 

di ceramica rossa, ma lo vedo trattenere il fiato.

Guardo la tazza, distogliendola dal viso, -È tua?- scuote la testa, e i capelli gli si 

agitano mollemente. 

-Non fa niente. Ehy, vacci piano, è bollente!- continua poi, vedendomi buttare giù il 

caffè. Sospiro, socchiudendo piano gli occhi, sentendo il calore che dalla gola arriva 

allo stomaco e si espande a tutto il corpo, provocandomi un brivido alla base della 

schiena.

Mi lecco le labbra con la lingua intorpidita dal troppo calore, poggiando la tazza sul 

tavolino, mezza piena.

-Grazie- mormoro, guardandolo negli occhi, annuisce, bevendo il caffè a sua volta, 

per poi poggiare la tazza accanto alla mia. Sorride, e per un momento mi sembra 

che sia piena estate."Dannazione!" Non posso essere arrossito. Dio, no.

-Allora. Di che vorresti parlare?- dice noncurante, afferrando il manico della chitarra, 

fissandone assorto le corde con l'aria di chi non sa esattamente cosa fare.

-Merda, si è scordata. Di nuovo, sarà il caldo- ragiona ad alta voce, mentre si piega 

a prendere una piccola scatolina sotto al tavolino, intanto mi lancia uno sguardo

distratto.

-Parla pure, ti ascolto- inspiro, chiudendo gli occhi e sbuffando un rivolo d'aria. Mi 

prudono le mani, e improvvisamente, vorrei avere una sigaretta.

-Hai un pacchetto di sigarette?- dico, si piega nuovamente, aprendo un cassettino 

del tavolo, recuperando un pacchetto di Marlboro e lanciandomelo, mentre apre 

l'altra scatola, rivelando una matassa di fili tutti di diverse dimensioni e materiali, 

incominciando a sfilare la prima corda e cercando nella matassa una simile.

Prendo l'accendino dalla tasca dei pantaloni, o almeno, quello è l'intento.

-Merda. Ce l'hai da accendere?- cerca anche lui nelle tasche dei pantaloni, 

recuperando un accendino rosso brillante.

Incastro morbidamente la sigaretta fra le labbra, piegandomi in avanti.

Mi sembra di vederlo arrossire leggermente, mentre mi ritiro con la sigaretta che mi 

brucia i polmoni un po' alla volta.

-Non per fare il rompipalle ma non dovresti fumare- lo sento mormorare, intanto sfila 

un'altra corda, portandola alla luce e osservandola scettico.

-Quando sarò morto smetterò- ride sommessamente, recuperando una corda sottile 

e semitrasparente.

Prendo una boccata e sbuffo, lasciandomi ricadere sui cuscini del divano.

-Sembra una politica poco efficace- ribatte, guardandomi di sottecchi con quegli 

occhi che incomincio ad odiare. Nessuno può averli così azzurri. Così belli. 

-Oh, ma io sarò morto molto presto- lasciò andare la testa all'indietro, sbuffando 

cerchi di fumo grigi, che si disperdono pigramente nell'aria dell'appartamento.

-Vuoi tentare di nuovo il suicidio?- il suo tono è calmo, lo guardo, ha finito di 

cambiare le corde, passa le dita sulle nuove, producendo un suono caldo e dolce. 

Non ho idea del come possa essere un suono caldo, ma a me sembra così.

-No. Semplicemente, tra poco morirò- mi picchietto il petto con un dito.

-Qui dentro, fra poco ci sarà solo ghiaccio. Freddo e duro e implacabile. Si 

diffonderà nel mio corpo, congelandomi completamente le membra. A quel punto 

sarò talmente freddo che la mia pelle sarà blu e le mie vene scoppieranno, di 

conseguenza, perderò sangue dal naso e dalle orecchie e da chissà quale altro 

buco. E i miei occhi saranno rossi. Uno spettacolo imperdibile- rimane in silenzio, 

suonando ancora quella dolce e calda melodia che non riesco a riconoscere.

-Mh. Molto poetico. Si sente che sei uno scrittore, sai?- rido, e lui mi segue a ruota, 

piegandosi sulla chitarra.

-Sì... Mi piace essere teatrale- affermo, passandomi una mano sul viso e prendendo 

un'altra lunga boccata dalla sigaretta.

-Ci hai mai pensato?- mi chiede, ritornando a suonare.

-Cosa?- mi sistemo meglio sul divano, la sigaretta bloccata fra due dita e lasciata 

bruciare lentamente.

-Non sarebbe inquietante se esistesse veramente qualcuno che ci ha creati e sa 

tutto di noi e può farci morire in qualsiasi momento?- lo guardo con un ghigno.

-Intendi Dio? Be', certo, ma lui è misericordioso, e non si dovrebbe averne paura, di 

conseguenza- smette un attimo di suonare, guardandomi negli occhi.

-Non credevo che uno come te credesse in Dio-

-Non credevo che uno come te non credesse in Dio- ride, alzando le mani in segno 

di resa.

Dopo un po' -Perché?- 

-Cosa perché?- spengo la sigaretta nel posacenere poggiato sul tavolino, 

osservando il moto costante delle mani e delle dita sulle corde dello strumento.

-Perché pensi che io creda in Dio?- alzo le spalle, sbadigliando.

-Dai tanto l'idea del bravo ragazzo, tutto casa e famiglia... Così- in realtà, ho 

sviluppato due possibili ipotesi su di lui.

O è effettivamente un bravo ragazzo che fa volontariato, oppure è una porno star 

decaduta e senza soldi, ma con molto sex appeal.

Lo vedo sorridere triste, -Poco tempo fa era così- mormora, spostando la chitarra di 

lato e guardandomi con un'espressione indecifrabile che mi fa scorrere un brivido 

lungo la schiena.

Riprendo la tazza di caffè e la vuoto completamente, sentendo il suo sguardo 

puntato addosso.

-Tutti questi discorsi poetici mi faranno venire fame- si alza, andando verso la 

cucina. Guardo l'orologio che porto al polso.

-In effetti- concordo, guardandolo rovistare nei cassetti e nel frigorifero.

Mi lancia un pacchetto di patatine -Tieni- dice, aprendone un altro.

Posso dire senza ombra di dubbio che è una delle migliori cene della mia vita.

...

Mi stiro le braccia, passandomi una mano sul viso.

Sul tavolo riposano due lattine di birra, una rovesciata crea una piccola pozza 

ambra sul tavolo.

Sospiro, sentendo la testa pesante per l'alcol.

-Dovrei andare a casa. È tardi- mormoro, cercando di alzarmi e ricadendo sul 

divano con un suono gutturale.

-Non ho forze- dichiaro, ridendo della mia incapacità di smuovermi da quel divano.

Accanto a me, Thor butta giù un'altra birra, senza battere ciglio.

Ride, posando la lattina sul tavolo, -Dì la verità, non ce la fai più a bere- ha gli occhi 

vitrei e puzza d'alcol, ma suppongo di essere messo nelle sue stesse condizioni, se 

non peggio.

Non ho mai retto bene l'alcol.

-No- ammetto, coprendomi il volto con le mani per cercare di fermare tutti quei 

puntini che si muovono istericamente davanti ai miei occhi.

Quando tolgo le mani mi si è avvicinato, e mi porge una mano

-Dai, ti aiuto ad alzarti- afferro la sua mano, ma, sempre per colpa delle troppe birre, 

perdo l'equilibrio, cadendogli addosso. 

Mi ritrovo con le labbra a pochi centimetri dalle sue, le mie braccia intorno al suo 

collo, e mi sembra di sentire la sua mano sul fianco.

-Scusa... Scusa- socchiudo gli occhi, e la vista mi si appanna. Ho sonno.

Quando le nostre labbra si sfiorano, quasi gli occhi non mi escono dalle orbite, al 

contrario di lui, che li tiene chiusi e mi stringe il fianco sempre più forte.

Boccheggio, cercando di sfuggire alla presa, ma ricado sul suo petto, complice il 

furioso malditesta che mi stringe le tempie in una morsa.

Decido che se non posso oppormi, almeno mi posso far valere.

Mi spingo contro le sue labbra, afferrandogli i capelli e tirandoli leggermente, 

sentendolo gemere infastidito.

Mi arpiona il fianco, mordendomi il labbro inferiore.

Sento il calore pervadere il mio corpo, e per un attimo mi sembra che il freddo che 

mi attanaglia il petto si ritiri.

Mi sembra di essere... Sì. Mi sembra di essere di nuovo vivo.

...

Il rumore  della sveglia mi assale le orecchie, trapanandomi i timpani, sbatto un paio 

di volte le palpebre, gli occhi investiti dalla luce del sole.

Faccio per alzarmi, ma un braccio attaccato alla mia vita mi blocca.

Un braccio?

Apro gli occhi di scatto, svegliando l'occupante del letto accanto a me.

-Ma che diavolo?- impreca, passandosi una mano sul viso, sollevo le coperte e mi 

osservo. Tiro un sospiro di sollievo.

Ho ancora i pantaloni.

-Aspetta, che ci fai nel mio letto?- si alza scandalizzato, guardando prima me, poi le 

bottiglie di birra sul tavolino. 

-Oh, cazzo-

-Puoi dirlo forte- mi chino a raccogliere la maglietta, abbandonata ai piedi del letto, 

e la infilo stancamente.

Aspetta un minuto.

-Ma che ore sono?- mi guarda confuso, cercando il cellulare e trovandolo sotto al 

cuscino, dopo un attimo: -Le otto del mattino- mormora, ancora più sconvolto di 

prima.

-Come abbiamo fatto a dormire così tanto?!- sbatte il telefono sul letto prendendosi 

la testa fra le mani.

-Merda, devo andare!- dannate birre, questa è l'ultima volta che mi ubriaco in vita 

mia.

Finisco di vestirmi, la porta dell'appartamento è rimasta aperta, prima di uscire lo 

sento chiamarmi per nome, -Loki!- mi giro, sbuffando esasperato.

-Cosa?-

-Quello che... È successo...io...- 

-Era solo una scappatella, lo so, lo so, addio!- concludo, correndo fuori dalla 

stanza, rischiando di rompermi l'osso del collo giù per le scale.

Dannazione, Tony mi ucciderà.

Chiamo un taxi, ma solo alla terza volta riesco finalmente a salire, mi guardo nello 

specchietto. Oh, non è decisamente uno dei miei giorni migliori.

Sprofondo nel sedile, -Portami alla Stark Tower- sbuffo, passandomi le mani nei 

capelli spettinati cercando di districare i nodi.

L'autista mi guarda scettico.

-Cos'è, sei sordo?- si riprende e mette in moto, borbottando qualcosa sui giovani 

d'oggi e quanto sono maleducati.

Quando arrivo a destinazione, un poliziotto mi scorta dentro, e nel tragitto, mi 

mordo istericamente le labbra, cercando di non pensare al fatto che probabilmente

Tony avrà già mobilitato tutte le forze d'ordinanza di New York.

Magari ha scomodato anche il suo segretario, come si chiamava? Rogers?

Bha, non ne ho idea.

Le porte dell'ascensore si aprono con un "dling", che fa voltare Tony, intento a 

parlare con un uomo vestito di scuro.

Mi viene incontro con un sorriso stampato in faccia, abbracciandomi.

-Dov'eri finito?- mi sibila ad un orecchio con tono tutt'altro che gentile, 

stringendomi il braccio e affondandovi le unghie.

-Mi hai fatto preoccupare!- aggiunge ad alta voce, fingendo di non guardare il 

poliziotto che confabula con l'altro uomo.

Stanno parlando di me? Probabile.

Sono nei guai? Altamente probabile.

Mi interessa qualcosa? Stranamente, no.

In effetti, c'è un solo pensiero che mi vaga per le pareti del cervello, insieme ai 

ricordi della giornata scorsa.

"È stato il miglior sesso della mia vita"






Angolo autrice/assassina....
E qui le cose si complicano... Oppure si scomplicano? Questione di punti di vista.
Scusate se pubblico tardi ma ho avuto problemi con la connessione ad internet che non mi faceva vedere niente, quindi...
Fortunatamente la cosa è risolta.
Allora? Che ve ne pare del capitolo? Troppo? Troppo poco? Scrivetemi e ditemi cosa ne pensate! *aria da presentatrice di programmi scadenti mode on*
Un saluto

Im a Murder girl

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