all is gonna change

di gioconiglio
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** perché? ***
Capitolo 2: *** Incontro ***
Capitolo 3: *** Attrazione ***
Capitolo 4: *** interazione ***
Capitolo 5: *** Il Tempo ***
Capitolo 6: *** Reincontro ***
Capitolo 7: *** La Verità ***
Capitolo 8: *** Rivelazioni ***
Capitolo 9: *** difendere ***
Capitolo 10: *** La Notte ***



Capitolo 1
*** perché? ***


NATO. Per alcuni l'inizio di tutto avviene al sicuro nelle quattro mura di un ospedale, o di una casa, ma per me l'inizio di tutto era iniziato in una foresta distante dalla città di Moonlight Falls di quattro ore di cammino lento. La mia sfortuna era iniziata quando ero nato, quella tiepida notte estiva di luna piena del 1998. Mia madre era morta di parto, solo un ricordo avevo di lei, mi guardava e mi aveva detto solo “Sei bellissimo”; lei era una donna di origini native, era chiaro chiaro, aveva dei bellissimi capelli neri lucenti portati lunghi lunghi e mossi e i suoi occhi erano neri come la notte. Quella notte portava un semplice vestito bianco candido e una collana di oro bianco, era bellissima ma comunque una bellezza appassita in quel ricordo e pronta ad essere sostituita da nuovo e bello. Sapevo che anche mio padre era morto quella notte lui era in macchina a tutta velocità per cercare Rachel, mia madre, ma non aveva visto il camion che correva veloce verso di lui, era stato un frontale, lui era stato sbalzato fuori dalla macchina e dal vetro del parabrezza mentre il camion scoppiava e la sua auto si accartocciava. I medici dissero che non doveva aver sentito dolore.
Venni ritrovato solo più o meno quattro giorni dopo il parto, sarebbe stato impossibile per un neonato come me sopravvivere tanto se non che una lupa aveva appena avuto i cuccioli e mi aveva scambiato per uno di loro e mi aveva dato il latte e giocavo con i miei fratelli lupo e tutto era così bello. Ecco, tuttora non c'era una spiegazione logica a quello che ero, a me piaceva quella, la trovavo in qualche modo quasi perverso poetica, ero un licantropo.
La mia infanzia iniziava nella casa dei miei zii da parte di mia madre vicino alla riserva e a Moonlight, era una casetta accogliente a due piani, dalle pareti in legno dipinte di bianco e con uno strano tocco europeo, dentro si apriva un minuto soggiorno dai colori caldi, un divano in pelle evidentemente vecchio, una vecchia TV logicamente non a schermo piatto in HD, un tappeto che non serviva a niente in quella casa poiché in terra c'era mouchette dal colore verdastro, procedendo in avanti, varcando un arco di piccole dimensioni si trovava la cucina con un piccolo tavolo con quattro sedie; procedendo in direzione opposta a quella della cucina si trovava il bagno e le scale che portavano al secondo e ultimo piano, dove c'erano le tre camere quella degli zii, quella degli ospiti e la mia; la mia camera era modesta, visto che era ridosso al tetto il soffitto era inclinato e in alcuni punti proprio basso, problema da non poco visto il metro e ottanta e oltre che ero. Avevo in quella camera il letto di legno a destra, a sinistra la scrivania con il mio portatile Apple sopra e vicino una macchina da scrivere, ormai tenuta quasi esclusivamente come oggetto d'arredo, vicino alla scrivania c'era la mia libreria e l'armadio guardaroba. In terra, quasi come segno di marca della casa quella odiosa Muochette verde che pareva colore palude. Fuori della casa, grazie ad una porta vicino le scale, si raggiungeva un grande garage dal pavimento in cemento dove mi dilettavo a riparare auto e moto.
Io ero Boris Cooper, nato probabilmente il 17 luglio 1997 ed ero immortale e quelli fino al 17 luglio sarebbero stati gli ultimi giorni in cui crescevo e poi sarei rimasto in quel corpo per sempre, un diciassettenne per sempre. Ero un ragazzo alto un metro e ottantasei, magro in vita ma dalle spalle larghe e molto muscoloso, avevo i capelli eri corti, ma con il ciuffo e gli occhi marroni scuri scuri quasi neri, la mia carnagione era color caramello lucida e deliziosa; essendo un licantropo, però essa era comunque molto resistente; quel giorno portavo dei jeans stretti con uno strappo sul ginocchio, una maglietta nera e delle Timberland ai piedi; insomma, ero irresistibile. Oltre ad aver un bel corpo avevo anche un bel carattere ero un ragazzo tutto pepe sempre sorridente, con un sorriso caldo, bianco e perfetto che irradia benessere nella gente. Ora potrete pensare che io fossi il super ragazzo super popolare ma non è così, me ne stavo sempre un po in disparte insieme alla mia piccola cerchia di amici cioè io, Luke e Elizabeth ma ciò era successo ai tempi delle medie, ora Elizabeth si era trasferita a New York mentre io e Luke siamo rimasti qui soli. Lei era una ragazza dolce e geniale, i capelli castani mossi erano così belli, sapevano un così gradevole profumo così femminile ma con una punta di piccantezza e i suoi occhi verdi, come i prati in aprile erano così perspicaci e belli, la sua voce era celestiale come un canto angelico. Lei era perfetta, semplicemente perfetta. Ricordo ancora il giorno in cui lei se ne era andata, era aprile, il giorno del suo compleanno e le avevo regalato un bracciale dal grande significato per me, l'avevo fatto io era un bracciale in cuoio, all'inizio i fili s'incrociavano poi si snodavano stando liberi e poi tornavano a formare la treccia, lei si limitò a dire “E' bellissimo, non so neanche come ringraziarti” io l'avevo abbracciai, stavo piangendo, alcune lacrime irrigavano il mio volto sicuro che quello sarebbe stato l'ultimo giorno in cui l'avrei vista. Lei non lo sapeva, ma quel bracciale raffigurava il mio amore per lei. Non l'avrei mai dimenticata, lei era il mio solo, unico vero amore; ma era più di vero amore non c'era una parola per definirlo, sapevo che per gli animali esisteva un imprining cioè l'amare alla follia una cosa e l'unico scopo che ti resta nella vita è renderla felice ed essere sicuro che stia bene e al sicuro, ora anche se il mio amore per lei va oltre a questo la potrei facilmente definire come il mio imprinting personale.
Luke invece era anche lui un ragazzo di origini native, aveva i capelli un po più lunghi dei miei, un po più basso di me e meno muscoloso, era un ragazzo molto simpatico e anche lui come me condivideva la maledizione del licantropo, quando avevamo undici anni gli avevo detto ciò che ero e lui mi aveva chiesto di trasformarlo e da bravo stupido io avevo accettato, ma comunque sembrava felice, anche se gli sarebbe per sempre rimasta una cicatrice sulla spalla sinistra dove l'avevo morso a forma di dentatura di lupo, per sempre. Era seduto di fianco a me nel tavolo della mensa, aveva appena bevuto un sorso d'acqua che ora ora stava sputando a causa di una mia battuta esilarante, vicino a noi era seduti anche Josh, Leah e Michael, i primi due era fidanzati possiamo dire anche in modo strano, bisticciavano continuamente ma quello che mi faceva impazzire di loro era che trovavano sempre nuovi modi per fare la pace, mi dispiaceva molto che io e Luke non avremmo più avuto la possibilità di vederli, al mio diciassettesimo compleanno avremo inscenato la nostra morte e saremo fuggiti nei boschi, del resto i nostri parenti e amici si sarebbero accorti del fatto che non saremo più cresciuti. E dopo qualche anno saremo tornati a vivere in qualche altra città dove nessuno ci avrebbe riconosciuto, per poi spostarci in un'altra e in un'altra ancora; ma i miei pensieri si erano interrotti dal suonare acuto della campanella di fine scuola, gli altri ragazzi si alzarono disordinatamente caricando gli zaini sulle spalle avviandosi verso l'uscita ma non io, ero rimasto altri due minuti a pensare ma quando mi accorsi che gli ultimi studenti rimasti mi stavano guardando mi misi ad uscire in velocità, raggiungendo Luke che mi stava aspettando per percorrere insieme il lungo viale che ci distanziava da dove avevamo parcheggiato le nostre auto
-Ehi- fece lui
-Ehi- gli risposi ancora assopito in quel pensiero
-Che hai?- sembrava preoccupato
-Niente-
-Non ti avevo mai visto tanto concentrato e allo stesso tempo distratto in vita mia-
-beh- ribattei io -Stavo pensando alla nostra vita quando lasceremo questa città, voglio dire che faremo dopo essere stati nei boschi, dove andremo? Dove staremo, nel senso dove abiteremo? Chi mai darebbe alloggio a due ragazzi? E poi ci sono i nostri amici, che faranno loro quando...
-ti stai facendo troppe pippe mentali, rilassati, ce ne occuperemo a momento debito- fece Luke aprendo un largo sorriso, proprio in quel momento passò Michael già in macchina, la sua vecchia golf bianca con una ammaccatura sul muso a destra e senza specchietto, perso in un parcheggio a Seattle, Michael era un ragazzo molto simpatico e popolare in quella scuola, sorrideva sempre e parlava apertamente con tutti, era biondo con i capelli con un ciuffo per aria com'era di moda in quel periodo, aveva gli occhi verdi scuri, una leggera barbetta dominava il suo mento simile a quello di un bambino. Quel giorno portava la giacca blu di prussia con le maniche panna della nostra scuola, un paio di jeans stretti e una canottiera sotto la giacca da dove sporgeva la collana che gli aveva regalato la sua ragazza Lindzay per il compleanno, avvenuto qualche settimana prima, forse due.
-Ehi ragazzi-
-Ehilà Josh- fece Luke -Come te la passi?-
-Non c'è male, non c'è male- fece lui -Ehi sentite adesso io, Josh, Leah e Lindzay andiamo fino alla spiaggia a farci una nuotata che fate? Volete unirvi?-
-Volentieri- feci io
-Si può fare- aggiunse Luke
-Bene, ci vediamo in strada fra una mezzoretta, okay?-
Prima che avessi potuto dare una risposta lui era già partito com'era solito fare, lasciando me e Luke soli che ci avviammo verso le nostre macchine.
La mia auto era un vecchio pick-up azzurrognolo che avevo sistemato l'estate scorsa, dalla carrozzeria era venuta via della vernice a brandelli e in alcune parti era arrugginita ma a me piaceva, dava al mezzo un'aspetto vissuto; comunque sia aprii la portiera, accesi la vettura e partii.
A casa avevo subito avvisato i miei zii della mia partenza e mi cambiai, mi misi un paio di bermuda blu scuri, una canottiera nera che mi era un po' lunga ma giusta di spalle con sopra una camicia a maniche corte a quadri azzurra, misi dentro uno zaino un costume da bagno, sempre a bermuda, non ero un tipo da costumi attillati, un termos con del te freddo, un tramezzino; mi misi in tasca il mio iPod e mi avviai alla porta prendendo anche la tavola da surf che era appoggiata vicino ad essa e partii.

La spiaggia era a circa una decina di chilometri ad est di Moonlight, era quasi esclusivamente una scogliera a strapiomdo sull'oceano, eccetto per una piccola baia nota praticamente solo a noi e ad altra poca gente; gli alberi di conifere la coronavano per tutta la lunghezza delle scogliere, per poi scendere anche sulla spiaggia accessibile solo grazie ad una piccola strada sterrata che, senza cartelli, si staccava da quella principale tre, quattro chilomerti prima.
Appena scesi dalla vettura mi accorsi con piacere che era anche venuta anche Renee, la sorella adottiva di Lindzay di quattro anni più piccola di noi, era una ragazzina di colore indomabile lei, con dei capelli ricci che gli coronavano la testa come la corona di un leone e due occhi molto, molto espressivi così scuri, così belli.
Appena mi vide urlò a squarciagola “Boris” correndomi in contro e abbracciandomi, io la sollevai la terra, in una specie di girotondo magico
-Ciao tesoro- le feci, lei si staccò subito dalla mia prese dicendomi apertamente e on una faccia imbronciata
-Credevo che non saresti più venuto
-Ti pare che io sia tipo da non venire?- le feci con un sorrisetto beffardo
-E che sarebbe quello stupido sorrisetto che hai?- mi chiese, non ci volle molto perché soppiammo a ridere come due pazzi
-Ciao Boris- era Lindzay che si avvicinava abbracciandomi, io ricambiai il suo abbraccio e dopo aver salutato tutti con abbracci e pacche sulle spalle Luke si fece avanti
-Allora che ne dite? Un bagnetto?- subito Renee si mise a saltare urlando “Si! Si! Si! Si!” vedendo Luke, Michael e Josh già mezzi nudi e le ragazze che si spogliavano lasciandosi addosso solo il bikini ricordai che io ero con i pantaloni, così dissi “Voi andate io mi metto il costume e vi raggiungo”, se fossimo stati solo noi maschi non mi sarei fatto tanti problemi, io non avevo niente che gli altri non avevano già visto ma con le ragazze era diverso, sopratutto con la piccola Renee; così mi misi dietro la mia macchina e mi tolsi in velocità pantaloncini e mutande, mettendoli dentro un sacchetto e mi misi il costume, allora uscii dal mio nascondiglio e mi tolsi anche la camici e la canottiera e corsi dai ragazzi già in acqua e si schizzavano e giocavano.
L'acqua era fresca, rinfrescante e limpida, sulla mia pelle da licantropo creava una piacevole sensazione di benessere. Renee mi saltò addosso in un abbraccio che ad apparenza sembrava durare infinito, ma forse durò solo qualche secondo
-Vieni! Vieni!- urlava la piccola -Portami dove non tocco!-
-Non si può proprio, signorina- feci io assumendo un buffo accento nobile
Lei allora provò a spingermi e a montarmi sopra per farmi cadere e poi, conoscendola, avrebbe insistito ancora con più decisione; come poteva pensare lei che solo spingendomi avrebbe potuto far cadere Quel colosso che ero io di più quasi trenta centimetri più alto di lei?
Ad un certo punto le sue suppliche vennero ascoltate e io, con in groppa Renee, e i miei compari ci allontanammo da riva finche lei non fu pienamente soddisfatta.
Restammo in mare ancora qualche tempo, sino a quando si erano fatte le quattro, allora rientrammo in terra; Renee ora si era concentrata nella costruzione di un castello di sabbia, le ragazze erano nel mezzo di una discussione sedute su alcuni asciugamani mentre io, Michael, Luke e Josh che intanto ci eravamo asciugati, tolti i costumi e rimessi solo i pantaloncini, stavamo giocando a calcio. Il tempo pareva essersi fermato, era una scena così bella, eravamo tutti felici e mi chiedevo se lo sarebbero stati anche quando io e Luke ce ne saremo andati, speravo con tutto il mio cuore che ci avrebbero dimenticato ma sapevo che non sarebbe mai successo, o meglio non nell'immediato futuro, la partita era terminata e ci sedemmo vicini alle ragazze, nuovamente bagnati come quando eravamo usciti dall'acqua, solo che ora era sudore
-Che schifo!- fece Lindzay
-La va te vi- fece Lea scandendo molto bene le sillabe, i loro ragazzi le stavano abbracciando e tutti noi, col sole che si stava unendo al mare, anche lui in un'abbraccio che era un tramonto dai migliaia di colori dietro di noi, scoppiammo a ridere, io feci a Luke “Questo intendevo quando avevo detto -Che faranno i nostri amici-”.

 

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Capitolo 2
*** Incontro ***


ERO tornato a quella casa che mi aveva accolto quando non avevo più niente più o meno alle sette e mezzo, quando il sole era già andato sotto le colline, mio zio Ed stava guardando la partita, seduto sulla sua comoda poltrona, con in una mano il telecomando e nell'altra una bottiglia di birra.

Lui era un tipo a posto, non troppo simpatico ma neanche troppo impertinente, anche se era un po' in sovrappeso per quel lavoro, faceva il capo dei vigili del fuoco, che fosse sovrappeso era una cosa perfettamente comprensibile però, visto che i piatti di zia Virginia facevano leccare i baffi; letteralmente per lui visto che ne aveva un paio proprio sotto il naso, ormai bianchi però visto la sua non più giovane età.

-Ciao- feci

-Come è andata?- mi chiese senza distogliere lo sguardo dallo schermo

-Bene-

-Bene.- fece lui con tono che la conversazione non dovesse proseguire oltre

-Chi sta vincendo?- chiesi io per cambiare argomento

-Secondo te?- ribatté con tono scocciato

-Sicuramente non i Seattle- replicai

-Merda!- urlò lui alla televisione -No No No!-

-Okay... io... io vado da zia Virginia- feci; a me piaceva guardare le partite, ma quando i Seattle perdevano era meglio andare il più lontano possibile da Ed, che poteva distruggere qualsiasi cosa nel raggio di decine di metri; ora stavo entrando in cucina attraverso l'arco di legno che una volta, evidentemente, c'era attaccata una porta. La mia amata zia stava preparando la cena, lei era una donna non molto in carne, dai capelli neri che non erano ancora bianchi, era una brava donna che mi aveva sempre considerato come il figlio che non aveva mai avuto visto che da piccola, per via di un brutto e sanguinoso incidente d'auto, aveva perso la possibilità di averne, come suo padre aveva perso l'uso delle gambe.

-Ciao- feci

-Ciao- fece sorridendo

-Che c'è per cena?- chiesi ricambiando il sorriso

-Maccheroni e formaggio- rispose mentre stava amalgamando la pasta ai molti formaggi messi dentro una terrina

-Buono- replicai; lei sorrise compiaciuta e mi domandò “Com'è andata in spiaggia?”

-Bene- feci io

-Sono contenta-, sembrava felice. Io mi allontanai dirigendomi in camera, vidi mio zio lanciare alcune imprecazioni alla TV, ma orami non ci facevo più caso da anni.

Mi diressi in camera mia, quella vecchia camera che mi ospitava la notte da sempre. Stavo per accendere il computer ma una cosa attirò la mia intenzione, una piccola foto dietro ad esso, rimasta lì per chissà quanti anni, eravamo io ed Elizabeth. Sembravamo felici insieme, o meglio lei era smagliante, e io pure, era estate, del 2004 se la memoria non mi inganna; eravamo al DisneyWorld di Orlando, si vedeva la ruota panoramica di Topolino e le montagne russe sullo sfondo; quasi avevo dimenticato quel giorno, per quanto indimenticabile fosse, avevamo viaggiato per ore dallo stato di Washington eravamo scesi, avevamo passato l'Idaho e poi dritti fino in Kentuchy, poi eravamo andati a sud est fino in florida e poi ad Orlando, ora vedevo i suoi occhi verdi, cosi luminosi e belli, le sue goti rosee e le sue labbra carnose contorcersi in un sorriso mozzafiato, in quella foto portava un vestito blu a pois rosa ed era stupenda, io le stavo vicino, il mio braccio sinistro era appoggiato alle sue spalle; stavo sorridendo, uno dei miei smaglianti e bianchissimi sorrisi, eravamo proprio belli insieme. Lì, in quel ricordo cartaceo, portavo una polo blu con sotto una maglietta gialla che si abbinava alla marca della polo, inscritta sul lato sinistro di essa.

Presi quel ricordo cartaceo, sopra c'era un bel strato di polvere che, distrattamente, lo tolsi via col pollice e lo misi nel portafoglio, quel vecchio portafoglio di pelle marrone che da anni mi accompagnava ovunque, dentro c'erano alcuni scontrini, un biglietto del pullman, alcune banconote e la foto di mia madre, che ora viaggiava assieme a me ed Elizabeth.

Senza che me ne accorgessi erano passati molti minuti, arrivarono le otto e accesi finalmente il lettore CD che subito iniziò a produrre musica e il computer che dopo emise l'iconico suono della mela morsicata, appena si accese andai su Facebook, scrivendo Elizabeth, ma... il suo cognome? Qual'era? Proprio ora che avevo disperatamente bisogno di mettermi in contatto con lei non sapevo il suo cognome e quante Elizabeth ci saranno state su quel Social Network? Centinaia? Migliaia? Milioni? Non lo sapevo. Presi la tastiera in mano e, taggando Michael, Josh, Lindzay, Luke e Lea, scrissi “giornata perfetta in spiaggia, ci sentiamo ragazzi<3”, rimasi un momento indeciso per pubblicarlo o meno ma non ci volle molto che mia zia mi chiamò per dirmi che era pronta la cena e senza prendere la decisione a cuore premetti il tasto “Pubblica” e mi diressi giù velocemente, come una persone che non vedeva cibo da anni.

Mi sedetti al mio posto, di fronte a zia Virginia e presi due cucchiaiate della cene che mi stava di fronte, dentro una terrina

-Hai fame, immagino- disse Ed

-Logico- risposi, per quanto difficile da comprendere loro sapevano del mio, ecco... problema, ma avevano col tempo imparato ad apprezzarmi comunque, anche se sono un mostro. Era da pochi anni che avevo imparato a trattenere la trasformazione a luna piena, ma quando mi arrabbiavo era impossibile trattenerla, la trasformazione avveniva ed era meglio non trovarsi vicino a me nei primi secondi di trasformazione, potevo letteralmente uccidere.

Mia zia mangiava in silenzio ma tutto di un momento disse

-Sapete?-

Io e mio zio, impegnati a parlare di sport ci eravamo girati verso di lei per quello strano comportamento

-Domani andrò ad un corso di cucito, non tornerò prima delle sette e mezza o alle otto, Ed, caro, potresti preparare tu la cena?- chiese sorridendo

-E se invece domani non andassimo a mangiare fuori?- proposi

-Buona idea- fece mio zio -Del resto dovrei chiamare i miei colleghi visto che ai fornelli ho ottime probabilità di dar fuoco alla casa- continuò ridacchiando

-Va bene dai- disse zia Virginia -Ma andremo verso le otto e mezzo, devo prepararmi dopo il cucito-

-Per me non c'è problema- feci prendendo un'altro cucchiaio di pasta, essendo un lupo avevo sempre una grande fame, ma non ingrassavo neanche di un grammo, cosa che a volte faceva sospettare qualche umano ma io gli dicevo che era normale che non ingrassavo poiché facevo molto esercizio fisico, bugia speravo ben architettata visto che non potevano esistere altre più credibili.

Finita la cena aiutai mia zia a spreparare e, dopo essermi lavato bene i denti mi diressi in camera mia, dove guardai il mio profilo di Facebook un'ultima volta, lo stato aveva ricevuto tre like e due commenti che ero troppo stanco per guardarli, così spensi computer e lettore, mi tolsi la maglia e i pantaloni per mettermi un paio della tuta più comodi, restando a petto nudo e mi cacciai sotto le coperte.

 

Aprii gli occhi al suonare squillante della sveglia, dovevo non aver dormito molto visto che per poco non ripresi il sonno ed ero anche in considerevole ritardo,

-Cazzo!- esclamai mentre mi alzavo di scatto dal letto, mettendomi il primo paio di pantaloni che mi erano capitati in mano, erano dei bermuda bianchi a sottili righi grigi sopra mi misi una canottiera bianca e una camicia azzurra, il risultato non era niente male.

Scesi di corsa giù per le scale, mangiai velocemente un biscotto in cucina e mi lavai i denti, mentre mi mettevo le scarpe, delle Converse grigie, recuperai lo zaino, il telefono e il portafogli e mi precipitai fuori della porta di casa mentre erano le otto meno cinque minuti, in altre parole avevo cinque minuti per raggiungere la scuola che era considerevolmente lontana da casa mia, entrai nel pick-up senza chiudere la porta dalla fretta ma che alla fine si chiuse mentre facevo retro marcia, e poi via a più di trenta chilometri sopra il limite, sperando di non incontrare vigili per la strada, anche se sapevo che non era possibile.

Arrivato a scuola la campanella stava suonando e io mi affrettai ad entrare e vidi una cosa strana e allo stesso tempo bellissima: Una ragazza, nuova, stava entrando in aula di biologia, le era la persona più bella che avessi mai visto in tutta la mia inutile e miserabile vita, il suo profumo così dolce e gradevole all'olfatto, i suoi capelli mossi, di quel bel castano chiaro, per qualche motivo mi ricordava qualcuno, ma chi? Era troppo familiare quel volto, dove l'avevo visto prima? Solo allora mi accorsi che stavo facendo veramente tanto tardi, allora mi affrettai ad entrare nella mia aula, ma prima riuscii a fiutare un odore nell'aria, o meglio un non odore, era Jack. Quel ragazzo era un tipo proprio strano, bianco come un lenzuolo, freddo come la roccia, non emanava odore, non emanava calore; il suo cuore non batteva.

Che cos'era? Guardai un'ultima volta quella porta che stava per chiudersi e entrai nella mia aula.

La professoressa Sue non era di certo una donna che perdonava, anzi, sopratutto un perfetto idiota come me, lei era alta, troppo per la sua età, leggermente gobba, i suoi capelli rossicci davano l'impressione di diventare bianchi da un momento all'altro, i suoi occhi anche se con un paio di occhiali davanti, erano fulminanti per quanto piccoli fossero.

Come ho già detto lei non perdonava, infatti appena entrato presi un quattro per il ritardo, la giornata non si preannunciava delle migliori, durante quella noiosa ora non facevo che pensare a lei, chi era? Perché mi ricordava qualcuno che era stato importante nella mia vita? Io conoscevo quella ragazza?

Ero così assorto in quei pensieri che quasi non mi accorsi che la campanella aveva suonato e che i miei compagni stavano andando in corridoio, Luke mi guardava meravigliato

-Ma che hai adesso?- fece sorridendo

-Niente- risposi frettolosamente -Niente-

-Sinceramente?-

-Sinceramente... beh ho una ragazza da conoscere- dissi sorridendo

-Vengo con te-

-Non te lo consiglio-

-Ma dai!- esclamò lui -Casomai se non mi vuoi ammetti che hai paura che si innamori di me- disse ridendo

Io non badai a quelle parole, camminavo, ma che, stavo quasi correndo su l'uscio della porta, quando la vidi; lei era bellissima, stava uscendo dalla sua aula, come se essa fosse l'oriente e lei il sole, come se fosse Persefone che varca le porte degli inferi poiché lei è paragonabile ad una dea, ma una dea non è adatta a questo mondo di mortali e dannati.

Mi avvicinai a lei, sentivo il sudore scendermi giù per la schiena e per il torso, ero dietro di lei a non più di dieci metri, si volto e mormorò “Boris?”. Il mondo come io lo conoscevo era crollato sulle mie stesse spalle, i suoi occhi così verdi, le sue goti rosee, la sua voce soave e melodiosa, non poteva che essere lei: Elizabeth.

Mi avvicinai a lei e ripetei quel nome

-Elizabeth?- lei sembrò meravigliata e un bellissimo sorriso prese forma nel suo volto

-Boris!- fece lei tutta felice come una pasqua -Da quanto tempo!- continuò

-Perché sei tornata?- feci serio

-Perché mi mancavate tutti, stupido- fece sorridendo e poi continuò -E perché i miei hanno divorziato e io e mio padre siamo tornati a vivere qui- io allora l'abbracciai tutto felice e lei ricambiò la stretta, restando per un attimo soffocata, quell'abbraccio per quanto breve fosse mi sembrò durare un eternità e oltre, non ero mai stato tanto felice di vedere una persona in tutta la mia vita, lei si divincolò da me sorridendo e dicendo in modo perspicace e allo stesso tempo meravigliata ed eccitata “non hai più l'apparecchio e ne hai messi su di muscoli” poi continuò più seria

-L'ultima volta eri un così magro e asciutto, è da tanto che non ci vedevamo- l'ultima parte della frase l'aveva evidentemente rattristita molto così decisi di tirare un po' su il morale di quella scena strappalacrime

-Dai tempi delle torte di fango- feci con un sorriso a trentadue denti così bianchi da emanare luce propria, ci riabbracciammo ancora ma questa volta finì di colpo

-Devo andare, ci sentiamo dopo- fece velocemente e lasciandomi lì a bocca aperta; avevo veramente incontrato Elizabeth o era stato solo uno scherzo fatto dalla mia mente?

Luke stava arrivando con perfetta calma e mi chiese sorridendo

-Allora chi è la tua nuova fiamma?-

-Ti faccio conoscere qualcuno ma dopo, ora sto morendo di fame- feci sorridendo

Mi ero seduto al tavolo con i nostri amici che, ovviamente di Elizabeth non sapevano neanche il nome e non sapevano che era tornata dopo tanti anni. Da mangiare io presi una pasta fredda che probabilmente le cuoche a basso costo di quella scuola pubblica l'avevano comprata in lattina e poi aperta e servita così com'era.

La mia attenzione era ricaduta sugli altri quando Luke annunciò

-Sapete, Boris si è trovato una nuova ragazza- io lo guardai con sguardo fulminante mentre per gli altri quella notizia non era altro che argomento di pettegolezzi e subito partirono migliaia di domande

-Chi è?- cominciò Josh

-Quanti anni ha?- ora era Michael

-Non dirmi che è più piccola- sta volta era Lindzay

-Se è più piccola è una cosa immorale- era Lea

-Ragazzi! Ragazzi! Ragazzi!- intervenni -Non sono fidanzato, non è la mia fidanzata-

-Chi?- Stavo per rispondere “Elizabeth” ma mi trattenni dicendo solo

-Non posso dirlo, ma lo scoprirete- feci nell'esatto momento che la campanella finale suonò e molti studenti lasciando i pranzi metà la e andarono via, io però aspettai che Elizabeth finisse così da poter andare via insieme, lei mi guardava felice come una pasqua, mentre io le dicevo dolcemente “Perché prima tutta quella fretta” lei per un po' ci pensò e poi mi disse sorridendo

-Perché ci stavano guardando tutti-

Io assunsi un tono di voce irresistibile e le dissi

-C'è qualcuno che vuole conoscerti, vieni- lei mi seguì dicendomi in modo felice e giocoso che assumeva sempre alle “Con molto piacere”, uscimmo da scuola insieme e fuori c'era Luke e i suoi occhi s'illuminarono, aveva capito chi fosse lei e subito gli partì un grido acuto

-Elizabeth!-, lei per un momento fece difficoltà a ricordarsi chi fosse lui ma poi capì

-Luke!- fece abbracciandolo, cosa che non mi diede non poco fastidio e sentii un ringhio partirmi da dentro ma lo ricacciai subito via

-Ne è passato di tempo- fece lui

-non ricordo neanche quanto- fece lei sorridendo; il ringhio tornò e questa volta più forte e più difficile da controllare, Luke capì e le disse “Beh io sono abbastanza tanto indietro con i compiti quindi beh, ci vediamo in giro” poi corse via

-Ma che aveva?- mi chiese

-Compiti- risposi io -Hai bisogno di un passaggio?-

-Molto volentieri- rispose.

L'accompagnai fino al mio vecchio pick-up tutto scolorito, parlammo dal più e del meno per la strada lei sembrò meravigliata quando le dissi che quella carrozzella l'avevo riparata io, e durante quella conversazione venni a sapere il vero motivo del perché erano tornati lì: Dopo aver divorziato i suoi genitori la volevano entrambi in affidamento, ma quando seppe che suo padre stava tornando a Moonlight lei aveva lasciato la vita di ricchezza per tornare nel luogo dove era cresciuta da piccola

-Mi mancavate terribilmente tu e Luke- fece, io le misi un braccio intorno al collo ma vidi che si era spaventata

-Boris stai bene? Sei bollente-

-Sto benissimo, e solo che...- mi ci volle qualche secondo per riflettere alla risposta da dare -Che noi Nativi abbiamo un diverso adattamento ambientale e siamo più caldi- sperai in quel momento che se la bevesse con tutto il cuore, e fu così per mia grande fortuna; ora lei si stava accoccolando sul mio braccio restando così per un po', poi a mio dispiacere dovetti interrompere quell'atmosfera magica e carica

-Dove abiti?- domandai

-Qua, alla fine di Regent Street-

-Okay- feci.

Regent Street era una via molto vicina e sfortunatamente non ci volle molto perché la percorsi tutta fino a raggiungere la sua casa dalle mura in legno e pietra, molto bella e differente dalle altre casa di Moonlight

-Vuoi entrare?- chiese lei guardandomi

-Sarà per un'altra volta- risposi provando a sorridere

-Sicuro?-

-Si

Lei stava entrando in casa, percorrendo il vialetto di ciottoli dalla strada alla porta ma io la trattenni un ultimo istante

-Eli-

-Si?

-Quando farà bello, nei prossimi giorni, possiamo trovarci e andare un spiaggia, anche con Luke, se vuoi.-

Lei ci pensò qualche secondo, poi fece

-Si, mi sembra perfetto.-

-Ok, a domani- feci io allontanandomi

-Ciao- fece lei, io stavo salendo in macchina, le feci un segno di saluto con la mano e mi allontanai, stupidamente innamorato.

Il mio arrivo a casa fu come tutti gli altri, mi arrivava in faccia una scena già vista più volte, mio zio era tornato prima e mi aspettava sulla veranda guardandomi con sguardo serio, mia zia era dentro probabilmente a fare il bucato

-Perché ci hai messo tanto?- cominciò

-Ho accompagnato un'amica a casa.- feci io

-Chi era?-

-Nessuno.- Sapevo che quella risposta così dura l'avrebbe insospettito, ma non avevo voglia di raccontargli del piacevole incontro con Elizabeth, non ancora.

Per tutto il resto della giornata non facevo altro che pensare a lei, ma poi una cosa che fino a poco prima non aveva neanche invaso l'anticamera del cervello ora era al centro dei miei pensieri: Jack.

Erano assieme a biologia loro due, e quando avevo sentito il suo non-odore, lei mi aveva lasciato solo, qualcosa non tornava, e se lei lo amasse? Questo spiegherebbe moltissime cose, ma allo stesso tempo mi faceva sorgere molti più interrogativi, perché non mi spiegava più semplicemente come stavano le cose? Perché allora sembrava anche innamorata di me?, ma la cosa più importante perché io l'amavo? Tutto ciò non aveva senso, non potevo innamorarmi di una ragazza con cui avevo passato i primi anni della mia vita, non potevo innamorami di una ragazza che mi considerava quasi come un fratello, non potevo.

Per fortuna la serata passò in tranquillità, una tranquillità quasi irreale per quella casa, lo dissi e compii il più errore della mia vita

-sapete chi ho accompagnato a casa?

Ai miei zii ci volle qualche secondo per rispondere poi mia zia interruppe il silenzio dicendo

-Chi caro?

Io stavo accennando ad un sorriso, dissi la fatidica parola

-Elizabeth-

I miei zii rimasero a bocca aperta, con gli occhi fuori dalle orbite che mi guardavano come fossi pazzo

-Quella Elizabeth- intervenne mio zio

-Proprio quella, si sono ritrasferiti qui- ero proprio felice di dirlo a qualcuno

-E' fantastico, vero?- era mia zia

-Si, proprio fantastico- fece mio zio

-Sai cosa sarebbe carino- continuò mia zia zia -Se la invitassimo a cena un giorno, vero?-

-Si- feci io -Sarebbe perfetto-

Dopo questa conversazione la cena riprese con la sua noiosa tranquillità.

Quella notte sognai per la prima volta Elizabeth Ibis.

Io ero in forma di Lupo, lei era sopra di me, scappavamo da qualcuno o da qualcosa, stavo correndo con le mie forze, sentivo i muscoli strapparsi, le veni esplodere, il cuore battere così forte da scoppiare e poi le tempie che pulsavano, il mio respiro affannato e le zampe cedettero, caddi rotolando vicino ad un , lo conoscevo era alla spiaggia e Elizabeth cadde da me e si trovava a poche decine di centimetri dallo strapiombo sul mare e su scogli appuntiti e taglienti, poi capii cosa fosse il mostro che ci stava inseguendo, era Jack.

Lui mi attaccò e sentii una morsa di dolore alla spalla destra che mi costrinse a tornare nudo, ero ormai senza maglietta, strappatasi durante la trasformazione e i pantaloni a brandelli, la spalla era rossa e doleva ma io riuscii a sferrargli un colpo alla faccia che gli fece aprire il volto, lei ci guardava e solo dopo la vidi; era in piedi sul dirupo, coi piedi a metà strada tra la vita e la morte

-Non posso decidere, vi amo entrambi- fece e si buttò all'indietro, a braccia aperte verso la morte

-No!- urlai.

Ero in camera mia, tutto sudato e con le lacrime agli occhi, era solo un'incubo, uno stupido insensato incubo.

Guardai l'ora sul telefono, appoggiato al comodino, segnava le cinque e mezzo, il sole non aveva ancora fatto capolino tra le colline ma pur con tutta la buona volontà non riuscivo più ad addormentarmi, così decisi di farmi una doccia e prepararmi lentamente per la scuola.

La sola sensazione dell'acqua fredda sulla mia pelle che lentamente diventava calda fu una liberazione del mio spirito ancora turbato, e senza volerlo ero stato lì dentro più di quanto avessi programmato, assopito dai pensieri di Elizabeth, poi capii una cosa: Non potevo amarla.

Io ero una creatura della notte, un mostro immortale se non ucciso, lei era la creatura giusta, un umano la perfezione. Lei non doveva stare con me, l'amavo troppo per incatenarla a me ed era giusto che prendesse le sue decisioni da sola, Jack, lui sarebbe potuto essere un compagno ideale per lei, intelligente, bello, perspicace; un ragazzo tranquillo ed educato e non un animale nel senso stretto del termine.

Finita la doccia erano le sei e tre quarti, mi asciugai i corti capelli neri e mi vestii con una camicia di jeans, jeans e un mio vecchio paio di scarpe nere, col tacchetto, simili a delle Clark ma non formali, scesi le scale e andai in cucina a mangiare una tazza di latte con i cereali, mi rifeci la cartella ed ero pronto per la scuola, avevo già preso su le chiavi della moto, non avevo voglia di usare l'auto, e stavo per chiudermi la porta alle spalle quando

-Boris?. Era mia zia -Boris, dove stai andando?-

-A scuola- le feci io con una punta di sorpresa da quella domanda

-Non te l'ho detto?- continuò lei

Ora io la guardavo come se fosse pazza

-Detto cosa?

-Oggi non hai scuola- a quella domanda io rimasi un'attimo scioccato, in una cittadina così piccola gli scioperi sono inesistenti, perché allora poteva chiudere una scuola pubblica?

-Perché?

-Perché i tuoi professori devono andare ad un corso d'aggiornamento, torna su e riposati.

-Non ho sonno- feci io -Posso uscire?-

lei arrise e disse con voce lievemente alterata da un risolino -A casa per mezzogiorno, intesi?-

-Capito- feci io già avviatomi verso il pick-up.

A poche centinai di metri da casa tirai fuori il cellulare e chiamai Elizabeth, non mi sarei sorpreso se non avesse saputo la notizia, in quel paesino dimenticato da tutto e da tutti ci voleva un bel po' prima che il numero della famiglia venga registrato nel vecchio e datato computer della segreteria.

Ci volle un po' di tempo prima che il telefono agganciasse una cella e che si sentirono i battiti elettronici, ne passò uno, poi due, tre e rispose

-Pronto?- fece

-Ehi Beth- feci

-Boris ma perché mi chiami se tre pochi attimi ci vediamo a scuola?

-Perché oggi non c'è, i professori sono ad un corso

-Ah- fece, sentivo i secondi passare inesorabili, poi -Ok, allora avviso i miei e mi ributto a letto-

-Non se ne parla- feci io sorridendo -Ti porto a fare un giro-

-Ma ai miei che dico?- sembrava preoccupata, ingiustamente preoccupata

-Digli che non c'è scuola e vai a fare un giro con un vecchio amico-

-Ok, lo farò.-

-Grande, ci vediamo presto- feci, girando la manopola destra della moto e andando più veloce, era così bello i boschi che circondavano Moonlight ridevano nel Sole, sulle colline mentre i frutti d'Agosto appassivano, corrugandosi e morendo dagli alberi, tutto era bello e tutto stava cambiando.

Arrivai a casa di Elizabeth in lieve anticipo, lei stava uscendo dalla porta e vedendomi il suo viso s'illuminò e sulle labbra apparve un grande e luminoso sorriso

-Ciao- feci io

-Ehi- fece lei divertita -ma da dove l'hai tirata fuori questa?- domandò sorridendo, i suoi denti bianchi erano in forte contrasto con la sua pelle chiara, ma ancora abbronzata dalla sua vecchia vita, Dio quanto l'amavo

-Beh,- feci io -I miei vicini un paio di anni fa avevano traslocato per Vancouver e si erano dimenticati questa nel retro, diciamo- abbassai lo sguardo un po' sentendomi un ladro -Diciamo che me ne sono appropriato, non avevamo il loro numero e non erano più tornati, quindi-

-Quindi?- fece lei sempre più divertita

-Quindi ora è mia- conclusi, ci guardammo un attimo negli occhi e scoppiammo a ridere, una risata che sembrava durasse anni, lei la troncò con una voce ricca di curiosità e i suoi occhi verdi s'illuminarono come stelle al chiaro di luna

-Dove andiamo?- fece lei -Ti porto in un posto- feci io avviandomi verso la moto -Vieni, è meglio che ti stringi a me- conclusi.

Partimmo con un rombo, in poco tempo vedemmo la casa di Elizabeth scomparire tra gli alberi, sentivo le sue mani, quelle mani perfette stringersi a me, le sentivo sul mio ventre, sui miei muscoli e involontariamente iniziai a sudare per la sorpresa piacevole, ora le sentivo più strette a me e rallentai la moto impercettibilmente per allungare quel momento di piacere ma ancor prima del previsto eravamo arrivati.

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Capitolo 3
*** Attrazione ***


ERAVAMO in un luogo per me assai significativo, un bosco dagli alti atri di conifere scure, con verdi muschi scuri attaccati alla loro corteccia un tempo, chissà quanto anni addietro, marrone; quel bosco non era un bosco qualunque, era quello dove ero nato, quella notte estiva di quasi diciassette anni fa. Anche se non sapevo esattamente dove fosse la tana della lupa che mi aveva amato e il luogo dove mia madre mi aveva dato alla luce, sapevo che era quel bosco e sapevo che Elizabeth sapeva. Nel suo sguardo si dipinse un filo di turbamento -Perché mi hai portata qui?- fece lei -Perché voglio fare un giro nel verde e questo è il bosco più verde in questa zona; se vuoi dopo possiamo andare anche in spiaggia,- dissi -Ma prima dovremo metterci il costume- aggiunsi con un tono scherzoso -Sicuro che sia sicuro?- chiese lei turbata -Certo- risposi -Ma se ci sono orsi o lupi?- -Credimi, gli noterei prima io di loro- mi ero pentito di dire ciò, stupido, sperai che lei non facesse caso a quelle parole, ma per un'attimo sembrava che volesse una spiegazione, aprì la bocca ma non ne usci suono alcuno, la richiuse, la riaprì e sta volta disse “Okay, andiamo”. Camminammo per più ore, io di fianco a lei e lei a me, quando il sentiero era infangato la tenevo io passando sopra la sporcizia e poi la lasciavo andare, era un sentiero che andava verso nord, sopra il monte Olympo, attorniato da conifere millenarie, alte come il cielo e protese verso di esso come se volessero toccarlo, mentre alcune nubi di cotone scendevano come a toccare le verdi cime di quegli alberi; qui e là spuntavano marmoree rocce dal terreno, verso le dieci giungemmo in una radura, attorniata da alti abeti, al centro si trovava una quercia, rara da quelle parti vicino ad essa c'era una grande roccia grigia, piana e lunga; alla loro destra un ruscello che tagliava a metà la radura e arrivava giusto a mezzo metro dalla roccia, le nubi in cielo avevano appena oscurato il sole ma uno dei suoi ultimi raggi illuminava quel luogo meraviglioso, creando una scena surreale. Io ed Elizabeth ci eravamo accomodati sopra la rocca, lei era stupenda, come sempre del resto e io non riuscivo a distogliere lo sguardo dal suo volto, il tempo sembrava essersi fermato, come tutto l'universo intorno a noi due. Lì, seduti comodamente sulla grande rocca grigia, con quel ruscello a pochi centimetri di distanza che gorgogliava impetuoso per quanto piccolo che fosse, e se stavamo zitti potevamo sentire delle rane gracchiare crogiolanti beate al sole, e l'erba alta di campo coronata da fiori di molti colori scrosciare al vento, come le fronde degli alberi intorno a noi; e noi due parlavamo e tutto era così bello, così unico. Era passata un'ora, due forse e si era fatto mezzo giorno ed era meglio tornare a casa, con la fame ero solito ad essere intrattabile, quando un rumore, impercettibile ad orecchio umano catturò la mia attenzione, era un passo che aveva appena spezzato un rametto e che ci stava seguendo, provando ad annusare l'aria non sentivo niente e una forte sensazione di freddo sulla pelle, dissi ad Elizabeth “E' meglio che ci muoviamo” -Si- fece lei -Mi sta venendo fame -Dopo sento Luke e altri miei amici se hanno voglia di venire in spiaggia, tu... ti vuoi unire? Conoscerai gente nuova... -Si, volentieri- fece lei arrossendo, ci alzammo da quella roccia ma la sensazione che qualcuno ci stesse seguendo e stesse osservano le nostre mosse era sempre lì, statica come gli astri in firmamento. Poi lo vidi, Jack Ibis era proprio dietro di noi ci osservava, i suoi occhi erano rossi come il sangue e i suoi denti intinti in esso. Non ero sicuro però di ciò che avevo visto, un'attimo prima era lì, l'attimo dopo non c'era più; scomparso, allora iniziai a temere per la nostra vita e per nostra intendevo quella di Elizabeth, io potevo anche morire per quel che mi riguardava. Camminammo in silenzio fino alla moto, e ancor più in silenzio fino a casa sua, lei era stretta stretta al mio corpo, sentivo le sue mani, le sue unghie penetrare nell'addome marmoreo, solo quando eravamo sotto casa sua mi accorsi che era ancora rossa, ma ora sembrava anche in estasi, sicuramente il contatto col mio corpo deve averla colpita, tanto da non riuscire a mettere in fila più di due parole -Beh, allora...- iniziò, io la stavo guardando e lei stava arrossendo sempre più, avrei voluto non crearle tanta influenza che probabilmente era dovuta solo al fatto che noi due ci conoscevamo fino dall'alba dei tempi ed ero cambiato moltissimo da prima ad ora, e anche lei -Ci vediamo- concluse lei praticamente scappando in casa -A dopo?- feci io con un involontario senso interrogativo -Si, a dopo.- fece lei entrando definitivamente in casa, era evidente: io l'amavo e lei provava qualcosa per me. A casa feci in tempo a chiamare i miei amici, Luke, Lindzay e Lea erano d'accordo, mentre Michael e Josh dormivano ancora ma anche loro, dopo due o tre chiamate diedero il loro okay e dissero che ci avrebbero raggiunti fra una mezzoretta, poi mi rivestii con una canottiera nera, un attimo trasparente, grazie alla sua tramatura ricca di fori, dietro era stampato in bianco il numero dieci, un paio di bermuda da mare scuri alle gambe e delle infradito. Da casa presi solo il telefono, quel vecchio iPhone 4s nero, con lo schermo leggermente strisciato che mi accompagnava sempre da quasi quattro anni e le chiavi di casa e della moto che erano appese al portachiavi vicino alla porta d'ingresso, salutai mia zia Virginia che stava guardando una telenovelas che poteva piacere solo che a lei, mentre aveva in testa ancora i grandi bigodini e la tinta, lei era molto felice che io avessi trovato, o meglio, ritrovato una vecchia amica e che le facessi conoscere un po' di gente nuova. Mentre il mio vecchio zio Ed non era ancora tornato dal lavoro, per quanto la sua presenza lì era quasi divenuta superflua. Accesi la moto con un forte ed energico calcio, ed essa si accese con un rombo e con una nuvola di fumo nero che mi fece un po' tossire, non potevo portare il casco, lo tenevo per Elizabeth, avrei preferito morire di una morte lenta e molto, molto dolorosa piuttosto che vederla con solo un piccolo graffietto al dito. Dio quanto l'amavo. Il tragitto da casa mia alla sua bella ed elegante casa non fu lungo, visto che io ero solito a correre come un matto, adoravo il brivido della velocità sulla pelle, i capelli che volano e il rombo del motore, io adoravo la velocità. Arrivato al vialetto che conduceva a camera sua lei non c'era, evidentemente non era ancora pronta così decisi di entrare, del resto io conoscevo i suoi genitori da una vita, così mi sistemai i capelli in disordine dalla velocità della moto e suonai il campanello dal suono al quanto complesso e la porta si aprì. Ero di fronte a Bobby Collins, il padre di Elizabeth, era leggermente più alto di me e per essere anziano aveva ancora una certa muscolatura da tener conto, anche se dopo quasi cinque anni passati senza vederci anche io avevo messo su un certo fisico, sufficiente a tenergli testa. Il suo carattere, però da come me lo ricordavo, era sempre allegro e felice e sicuramente lo sarebbe stato altrettanto nel vedermi, così aprii un grande sorriso di denti splendenti e con ancora il caso per Elizabeth sotto il basso feci felicemente -Ciao, sono Boris Cooper, io ed Elizabeth giocavamo insieme da piccoli e...- fui interrotto dalla sua voce bassa e roca, simile a quella di un orso -Si, so chi sei. A quelle parole ero rimasto allibito, come poteva un'uomo sempre gentile diventare un orso? Perché le sue parole erano fredde come la pietra E taglienti come la lama di un coltello? Avevo forse fatto qualcosa che non andava? Il silenzio fra noi cominciava ad essere imbarazzante, così provai a rompere nuovamente il ghiaccio che però ora era duro come l'acciaio -Sono venuto a prendere Elizabeth, lei le ha detto, vero, che andremo in spiaggia con altri miei amici? -Si.- fu l'unica risposta, poi dall'alto senti la sua voce melodiosa dire “Boris, sei tu?” e dopo pochi secondi “Arrivo” Scese le scale con la stessa grazia di una creatura divina, stupenda come al solito, aveva l'eyeliner agli occhi, facendo diventare le sue ciglia una splendida cornice nera per quegli occhi da schianto, indossava anche lei una canottiera, ma bianca e con la pancia fuori, sia davanti che dietro si poteva vedere il numero -96- scritto con un motivo che pareva riprendere l'universo, simile allo sfondo del mio computer, sopra una felpa azzurrina, aperta e sul lato a contatto con la sua pelle ricoperta di caldo pelo; alle gambe un paio di jeans chiari a pantaloncino e delle infradito, come me aveva una borsa da spiaggia solo più piccola e appena mi vide arrossì, solo allora mi ricordai che avevo una canottiera semi trasparente che permetteva di vedere il mio fisico perfetto, io un po' mi sentivo in imbarazzo, non pensavo di creare questo effetto a tutte le donne, o meglio a tutte le donne che non hanno avuto l'ardua impresa di provare ad insegnarmi qualcosa, o che non mi avessero cambiato il pannolino alla nascita. Arrivammo per primi in spiaggia, mi ero appena reso conto che eravamo in anticipo di più o meno dieci minuti per via della mia guida velocissima per via dei miei riflessi ecco... sovrannaturali, quando notai con piacere e dispiacere che lei, Elizabeth non era dispiaciuta; piacere perché allora a lei piaceva passare del tempo con me da soli, che evidentemente non l'annoiavo, dispiacere perché sapevo che ero inadeguato a lei, come un elefante con un topo, inoltre lei non poteva innamorarsi di una bestia e me lo stavo ripetendo, di nuovo e ancora e ancora così tante volte che stava perdendo di significato. Lei mi guardava, i suoi occhi erano così verdi e belli, e li fissavo con aria stupida e sognante e più li fissavo più il mondo intorno a me cominciava a scomparire finché non restammo solo io e lei, sembrava che tutto fosse avvolto da una nube, una folta nebbia color viola, tutto tranne il suo volto perfetto e i suoi occhi penetranti. I miei pensieri furono interrotti da il rombare di una vecchia auto, quel rombo leggero e sostenuto dell'auto di Luke, il quale ci stava guardando, sapevo che lui sapeva che io l'amavo e il tutto era al quanto imbarazzante. Lui era vestito con solo il costume, era già a torso nudo, anche la temperatura lì a Moonlight era piuttosto proibitiva tutto l'anno noi due licantropi non pativamo granché il freddo. Gli altri, come Elizabeth indossavano le felpe, Michael aveva la sua felpa della scuola, e un paio di pantaloncini troppo pesanti per essere da bagno, ed era evidente ciò visto la loro tramatura in tessuto e non in tela, Lindzay e Leah, come Elizabeth portavano dei pantaloncini sopra il costume da bagno e con mio piacere e spiacere c'era anche la piccola Renee; piacere perché voleva dire che comunque l'avrei rivista di nuovo, spiacere perché voleva dire che probabilmente sarei stato tutto il tempo con lei, scendeva dall'auto in velocità, come una giovane lepre, portava un bikini rosa, con sopra una maglietta con un unicorno fuxia, i suoi capelli ricci erano legati in una coda di cavallo ma loro esuberanza gli rendeva statici e indomabili. Procedeva a grandi balzi in mia direzione gridando “Boris!, Boris!” io la presi in braccio fra le mie braccia forti, facendole fare come un girotondo nell'aria e poi la lasciai a terra. -Tu devi essere Elizabeth- fece Leah rivolta a lei -Si, piacere di conoscerti come ti chiami?- -Okay- feci io -Così ci metteremo ore Elizabeth loro sono Leah che hai appena conosciuto, Luke che hai conosciuto ieri a scuola; poi Josh- feci indicandolo-Che è il ragazzo di Leah, Lindzay e Michael che sono fidanzati e questa- feci prendendo a braccetto la piccola Renee che era palese che non vedesse l'ora di montare sopra le mie spalle anche se non glielo concessi -Questa è la piccola Renee, la sorella di Lindazy- tutto questo lo dissi in velocità e avrei capito pienamente se Elizabeth non avesse memorizzato i nomi beh di tutti -Okay- fece lei -Spero di ricordarmi i vostri nomi- come a confermare ciò che avevo appena pensato -comunque io sono Elizabeth- fece diventando un po' rossa Io vedendola in un simile imbarazzo mi sentii in obbligo di toglierglielo di dosso così dissi in modo al quanto brusco e preoccupante visto da una certa lente -Allora, che ne dite se ci togliamo i vestiti e ci facciamo un bagno? -Non fa un po' freddo?- chiese Elizabeth, Dio a volte mi dimenticavo di essere un licantropo e che le altre persone, le vere persone non sono come me, loro sono fredde, non sopportano le temperature rigide e sopratutto non sono beste. -Allora- proposi -Una partitina a volley?- -Volentieri- era Michael -Si, si può fare- Luke questo Le ragazze annuirono -Maschi contro femmine?- propose Josh che ancora non aveva parlato ci disponemmo tracciando una rudimentale linea in mezzo a noi, Leah si tolse gli occhiali rivelando le sue lunghe ciglia, le ragazze si disposero nella parte che dava alla riva, mentre noi nella parte più lontana da essa, giocammo per molto, molto tempo tutto era bello, tutto era bello. Le ragazze ci stracciarono, divertite ci schernivano e prendendoci in giro ridevano. Anche se la loro vittoria era evidente Michael, con il pieno appoggio di Luke, continuava ad inventarsi scuse tra le più strane ed improvvisate come il fatto che fossimo in controluce, cosa con un fondo di verità o che le avevamo lasciate vincere, cioè cosa senza alcun fondo di verità. Io non gli appoggiavo però; le ragazze avevano avuto una vittoria onesta ed era bene che festeggiassero. Era così che era passato il primo pomeriggio, Elizabeth ora dormiva, usando la mia borsa come un cuscino e con le cuffie del telefono alle orecchie, chissà quale melodia ascoltasse il suo bel visino così rilassato sembrava sognasse; giaceva a terra in fianco, con le mani sotto la testa che si piegò dolcemente, era una creatura bellissima. Io aiutai Renee nella costruzione di un castello di sabbia, stranamente quel giorno era tranquilla, troppo per la sua età; e quella sensazione, quella stramaledetta sensazione che di essere osservato era ritornata, ma ora a differenza della mattina ne ero sicuro ed ero sicuro che la cosa che ci stesse osservando non fosse altro che Jack. -Ragazzi- feci, Leah e Michael si erano assentati, mentre Lindazy e Luke stavano prendendo il sole, come Elizabeth solo che questi due non dormivano, allo stesso tempo Renee e Josh giocavano beati a pallone; in quel momento una calma surreale invadeva la zona, non era solo la piccola Renee a trasmettermela, ma tutti e a complicare le cose avevo una pessima sensazione, la sensazione che stava per succedere un casino -Io mi assento un'attimo feci- Sperai che non si dilungassero troppo nel chiedermi il perché -Serve aiuto?- era Luke, del resto un paio di mani non avrebbero avversato -Okay- risposi. Ci allontanammo di poco più che venti metri quando interruppi velocemente -Corri- -In che senso?- domandò confuso -Nel senso corri come un lupo- lui recepì il messaggio e corremmo, vedevo gli alberi sfrecciare a grande velocità come sagome scure su sfondo verde, insieme a fiori e rampicanti apparentemente invisibili, come la fauna della quale solo poche chiazze di colore in quella tela in movimento che appariva ai miei occhi si vedevano, continuavamo a correre senza sforzo, il mio udito inumano captava la sua presenza, si allontanava veloce quanto noi ma non abbastanza veloce da poterci stracciare, ora la foresta si stava interrompendo, lasciando posto a pozze d'acqua salmastra, come scogli grigi d'un lago, con acque cristalline al loro interno; da piccolo ero solito ad andarci a pesca, per via dell'abbondanza di pesce, infatti durante l'alta marea queste si uniscono al mare e i pesci ci entrano per la rande quantità di nutrimento ma quando la marea s'abbassa queste diventano celle acquatiche e proprio su quella più distante da noi, al limitar del nuovo inizio della foresta, vicino al bordo ma non abbastanza per caderci e rivolto verso di noi c'era Jack Ibis.

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Capitolo 4
*** interazione ***


JACK IBIS mi guardava dall'alto in basso come fossi una preda, mettendomi un filo d'angoscia sulle spalle, la sua pelle cadaverica sembrava neve caduta di recente, portava una camicia bianca che poteva mimetizzarsi col suo colorito e un paio di jeans con delle Clark, i suoi capelli biondi sembravano morti e statici, tutto in lui lo sembrava. Io per la sorpresa di non trovare un ragazzo, ma bensì una marmorea statua mi lasciò un'attimo allibito ma dopo di che provai a trovare la forza e le parole per agire, per quanto avessi voluto dirgli subito di andarsene, dalla mia bocca uscì ben altro, con un goccio di rammarico però era già uscito e lui non sembrava ascoltare, dovevo ripeterlo, più forte -Che ci fai qui?- chiesi quasi urlando con un tono di voce imperativo e autoritario -Potrei farti la stessa domanda- fece con tale calma da mettere i brividi -Si? Beh io potrei ammazzarti- feci sperando di spaventarlo -Non ne saresti capace- replicò con la stessa calma di poco prima -Tu non sei altro che una sudicia bestia, potresti uccidere, certo, ma non lo farai finche io non ti darò risposte e sappi mio caro che esse non giungeranno mai da te- Ora però la calma sembrava svanita come non esserci mai stata, prese il suo posto un tono vocale arrogante e di scherno, avevo capito, lui sapeva che io ero un lupo ma sapeva anche che io cominciavo a capire che lui era una creatura dell'ombra come me, ma di gran lunga qualcos'altro, sapevo però il perché era qui, lui ci stava spiando; come prima in foresta e forse non aveva smesso da stamattina -Ci stavi spiando ancora non è così? Proprio come stamattina nel bosco, che cazzo vuoi da me?- ero sul punto di trasformarmi, sentivo i muscoli tesi e la rabbia che esplodeva come un vulcano in eruzione -Proprio un atteggiamento da licantropo, esplodere di rabbia e uccidere, stupida bestia- mi stava provocando, lo sapevo, Luke mi guardava era terrorizzato, sapeva benissimo che io sarei potuto esplodere e trasformarmi io però non potevo trattenermi, sentivo i muscoli gonfiarsi i vestiti a principio giusti diventarmi strettini -Boris no- era Luke, la preoccupazione era leggibile nel suo volto ma ora mai io avevo perso il lume della ragione, ora era l'istinto a comandarmi -Non cambiare discorso pezzo di merda- ero veramente sul punto del non ritorno, ancora una goccia e il vaso sarebbe trasbordato -Vuoi risposte? Tu non sei in grado di comprendere la realtà, sei troppo stupido per comprenderla- -Dimmela!- urlai, forse così forte che i ragazzi alla spiaggia avrebbero potuto udire l'urlo -Io la amo più di te!- urlo con tono più dispregiativo che mai nei miei confronti, era la goccia o meglio, il fiume che travolse il vaso già pieno; ero in trasformazione. Sentivo i vestiti stapparsi e il pelo crescermi, le mie ossa si stavano deformando e i muscoli adattarsi ad esse, crescendo di volume e facendomi soffrire, sentivo la colonna vertebrale allungarsi, il coccige snodarsi ed aprirsi come il bacino, stavo morendo dal dolore, lanciai un grido acuto, Luke stava correndo in mio soccorso ma ormai l'istinto dominava la mia mente e lo lanciai lontano da me con una zampata, dotata di artigli che gli ferirono il torso. Ormai la trasformazione era completa; ero un grosso lupo di colore grigio ma con alcune sfumature tendenti al giallo sulla pancia e sul collo, come i lupi normali, ma a differenza di loro io nelle zampe avevo cinque dita invece che quattro e la coda meno lunga; i miei occhi scuri a differenza dei lupi veri ora erano molto più forti di prima, come se avessi mille diottrie, riuscivo a vedere le gocce di sudore scendere piano dal capo di Luke, sapevo che era spaventato poiché non c'eravamo mai trasformati o mai dopo il morso maledetto; percepivo l'erba crescere e Jack a poca distanza da me, grazie alle mie potenti orecchie da lupo lo sentivo respirare, sapevo che ero più potente di lui e partii all'attacco. Con facilità allarmante riuscì a saltare la pozza d'acqua salmastra di più o meno dieci o quindici metri di larghezza che ci divideva, allo stesso tempo vedevo Jack sempre più vicino ora lo sentivo, lo vedevo sempre più grande mancava così poco e ora dov'era? Era fuggito nella foresta dietro lui, avevo acquistato comunque un vantaggio anche se lui era distante, lui non sapeva dove stava andando, io quei boschi gli conoscevo come le mie tasche. Atterrai dove meno di un secondo prima c'era Jack, rotolai un'attimo e ripartii più veloce, dietro di me sentivo i vestiti di Luke strapparsi e poco dopo era vicino a me, lui era un lupo di dimensioni minori rispetto a me, ma ugualmente forte, il suo pelo era un grigio più chiaro rispetto al mio, senza sfumature gialle ma il suo petto era color neve e i suoi occhi ghiaccio; con un'impercettibile segno che feci col muso ci separammo, lui a destra e io a sinistra, Jack era a poca distanza da me e Luke ora, più o meno dieci metri che però continuavano a diminuire, ora emisi un basso ringhio e io e Luke ci riavvicinammo saltandogli addosso, lui ci vide e accelerò salendo su di un'alta conifera, io però riuscii a mordergli l'avambraccio destro e rimasi un'attimo scioccato dal vedere che non stava perdendo sangue, ora ero sicuro, sicuro al cento per cento: era un vampiro; Luke però aveva saltato per prendere il succhia sangue qualche attimo dopo me, così ora che era atterrato mi ferì la schiena, nella zona della spalla sinistra, non mi fece male però; fortunatamente non era grave. Eravamo andati molto lontani da Moonlight, era certo questo, quei boschi non mi erano familiari, troppo verdi, scuri e freddi non mi sarei sorpreso di sapere che eravamo giunti in Canada, io e Luke sentivamo l'energia del lupo svanire e tornammo umani. Eravamo completamente nudi, vedevo il terrore negli occhi di Luke, io non vedevo un tale problema, del resto eravamo comunque licantropi e trovare la strada di casa non sarebbe stato difficile, da lì ci saremo messi degli abiti e raccontato agli altri che per via di un imprevisto saremo tornati a casa pensavo -Buona idea- fece Luke, era la prima volta che succedeva, sembrava che avesse letto i miei pensieri -Come?- domandai -Io non ho parlato- aggiunsi -Come?- rispose -Io ti ho sentito chiaramente dire che ritrovare la strada di casa con sarebbe stato difficile e quella cosa dei vestiti- -Ma io l'avevo solo pensato- intervenni -Ma com'è possibile?- -Pensa- gli ordinai -Scusa?- -Pensa- ripetei Non ci volle il minimo sforzo per sentire i suoi pensieri prendere forma, lo sentivo chiaramente ed era evidente che stava pesando a cibi “Pizza, spaghetti, rigatoni, maccheroni” pensava “Vuoi anche una coca-cola col resto?” gli pensai -No- disse a voce normale -Non può essere- -Ormai non mi meraviglio più di nulla, un vampiro arrapato, una vecchia conoscenza che è tornata da New York e suo padre diventato stranamente burbero, e poi... Noi- Lui non rispose, neppure domande o risposte nei suoi pensieri, il silenzio iniziava a farsi sentire, percepivo la presenza di scoiattoli rossi che amabilmente e voracemente mangiavano delle ghiande cadute da alte querce, a qualche centinai di metri un gufo mattiniero borbottava ma di Jack nulla, ne rumore, ne odore ora quel silenzio cominciava ad essere un disagio così intervenni -Va bene, torniamo a Moonlight- “Come vuoi tu, capo” pensò Luke “Continua così e ti licenzio” pensai, accennando ad un sorriso, la corsa sembrava più lunga rispetto all'andata, vedevo gli alberi sfrecciare a grande velocità diventare solo lievi linee in movimento e sfuocate mentre il verde prendeva il sopravvento, continuavo a scrutare l'aria con l'olfatto, sperando in una traccia di casa e poco dopo trovai la traccia di Moonlight “E' a qualche miglio di distanza verso sud” pensai sperando che Luke avesse sentito, la sua risposta giunse poco dopo con un veloce pensiero “Si”, ora i boschi iniziavano a tornare alla norma, le alte conifere che emettevano una sottile nebbiolina color ghiaccio a bassa quota, appena giù delle ginocchia e passando a simile velocità si alzava ai alti, dove appoggiavamo i piedi, come le barche con l'acqua, ora ero sicuro il nostro non era uno stato normale di vita, non poteva durare ancora per molto la falsa che noi eravamo umani, dovevano pur cominciare a sospettare di noi le persone a noi vicine e comunque dopo i diciassette anni non saremo più invecchiati quindi comunque saremo dovuti fuggire, ora ne avevo la certezza, quel giorno era arrivata, avremo dovuto fingere un'incidente mortale o un rapimento e avremo dovuto per sempre rompere con i nostri amici e con Elizabeth, pensai, ora tutto ciò era messo in un'altra prospettiva, la prospettiva dell'amore ora soffrivo al pensiero di perderla ma non potevo trasformarla, il solo pensiero che lei possa diventare un mostro mi dava la nausea, mi faceva schifo pensare a lei come una creatura che ogni qualvolta si arrabbiava lei si trasformava in un mostro mosso solo dal proprio istinto omicida, era inaccettabile. Qualcosa aveva interrotto i miei pensieri, era Luke “Cosa?” pensai io a lui “Ho detto che sei in un mare di guai amico” all'inizio quelle parole mi suonavano strane, poi capii “Ehi non hai il permesso di scrutare i miei pensieri così!” pensai con tono scherzoso “Hahaha” pensò di rimando lui “Comunque stiamo per raggiungere Moonlight” pensò, ma com'era possibile, eravamo appena partiti possibile che avessi pensato per tutto il tragitto senza mai aprire bocca o meglio, pensiero; ora eravamo alla periferia di Moonlight e per non dare nell'occhio avevamo deciso di andare a prendere degli abiti a casa di Luke, anche se più lontana infatti era più isolata rispetto alla mia, si arrivava ad essa per mezzo di una strada discostata e tortuosa che saliva su per il monte dove Moonlight giaceva, la strada era in mezzo ai boschi e ancora una volta si poteva vedere quella nebbia bassa di un'azzurro irreale su di essa sporgevano feroci felci e impavidi fiori per lo più viola, blu e verdi, la strada era addorniata di numerosi tornanti che noi superavamo tagliandoli con facilità impressionante e comunque con riflessi sufficienti per non prendere in faccia un'albero, correvamo più veloci che potevamo ora, tanto per non dare nell'occhio e farci scoprire nudi come mamma c'aveva fatti, ormai mancavano poche curve e in ben che non si dica eravamo arrivati. La casa di Luke era in puro stile coloniale, con un tocco di europeo, tutta bianca con il tetto di ardesia, l'ingresso era addorniato da bianche colonne marmoree, ma il clima freddo e umido di quel posto non gli dava di certo per bene, infatti in più angoli il rivestimento di legno cadeva a pezzi e in altri punti si notava chiara come la luce del sole la presenza di muffa di più colori; non entrammo dalla porta principale, ma passammo per il retro dove come ogni giorno la madre di Luke è solita a fare il bucato e stendere i panni ora non era lì pre fortuna, così potemmo rivestirci in velocità, io presi degli abiti di Luke, un paio di jeans strappati alle ginocchia che si rendevano come dei pantaloncini bermuda che a me stavano ovviamente strettissimi e una canottiera verde militare dalle scapole scoperte che per quanto stretta non mi stava niente male, Luke invece aveva una maglietta nera molto larga e dei jeans neri stretti che non mi sarebbero mai andati bene, solo dopo mi accorsi di non avere le scarpe, non ne avrei di certo fatto un problema, ma Luke? Lui si -Non hai le scarpe- constatò -Lo so ma non importa- feci io facendo spallucce -Invece si- disse lui -E' un problema, la gente non può vederti girare in città a piedi nudi, si faranno strane impressioni su di te- -Come se non se le fossero già fatte- ribattei accennando ad un sorriso -Senti, facciamo così: Io ti presto un paio di scarpe di mio padre, un paio di quelle che non si mette più da anni, oppure di mie e domani a scuola me le restituisci, non se ne accorgerà nessuno- sembrava sicuro del suo piano e acconsentii, mi invitò a salire in casa, in quel momento vuota e mi ritrovai subito nel suo ambiente famigliare. La casa di Luke da fuori può sembrare vecchia e abbandonata a se stessa ma dentro l'ambiente proposto era tutt'altro che vecchio e decadente, noi eravamo entrati dal retro per mezzo di una porta che da accesso diretto alla cucina di grande dimensioni a penisola in legno scuro e acciaio con un grande frigo con il dispencer d'acqua e un grande piano cottura elettrico, in fianco alla cucina la penisola era dotati di tre sgabelli anch'essi di legno e acciaio e di una postazione per il bar, a destra della maestosa cucina c'era un'altrettanto maestosa tavola da pranzo in legno scuro e vetro, per terra dominava un delizioso parquet di legno di castano, da un arco al muro opposto rispetto a quello della porta si arrivava al soggiorno dominato da colori chiari, un televisore a muro dominava un muro chiaro, vicino ad esso si trovavano tre lunghi divani di pelle bianca e dietro di essi si trovava l'unico elemento scuro oltre alla TV in quella stanza: un grande pianoforte a coda evidentemente antico, dai tasti d'avorio e a cassa in legno d'ebano; sicuramente i genitori di Luke non erano dei morti di fame. Per mezzo di una scala di vetro che si curvava leggermente a chiocciola si arrivava al piano superiore, dove si trovava la camera di Luke d tutt'altro aspetto rispetto alle altre stanze, di dimensioni ridotte e dai colori scuri, i muri erano grigi e marroni e per terra c'era una mouchette rosso bordeaux, l'intera stanza era disordinata con biancheria intima e vestiti usati buttati per terra e sopra la sedia della scrivania dove si trovava un iMac ultimo modello, il letto dalle lenzuola di raso era ancora sfatto e in tutta la stanza regnava un'aria pesante da chiuso e l'unica luce proveniva da una lampada sopra la scrivania e dalla TV piccola ancora accesa che teneva in un'anglo insieme ai videogiochi. -Che numero hai?- mi chiese Luke cercando nel suo armadio un paio di scarpe che potessero andarmi bene -Quarantacinque e mezzo- gli risposi disinvolto -Bel piede- fece sarcastico -Io ho il quarantaquattro, non ti andranno mai bene le mie scarpe ma quelle di mio padre sono quarantacinque, forse vanno meglio- continuò -Vado a prenderle aggiunse già sull'uscio della porta di camera sua, io lo seguii e giungemmo nell'ultima stanza che mi mancasse di vedere: Quella dei genitori di Luke. Era una stanza molto luminosa, con il letto da tre piazze collocato al centro dell'ambiente, dietro la testiera c'era un cassettone bianco e all'angolo destro una toilette con molti campioncini e bottigliette varie di trucchi e profumi, probabilmente apparteneva a Maura Irwin, la madre di Luke. Dal lato opposto della stanza si trovava la scarpiera a muro dall'aspetto fin troppo moderno, dentro ad essa, nel cassetto più alto Luke trovò un paio di stivaletti beije tutti sporchi e dall'aspetto vecchi -Provali- disse Luke fiero della sua scoperta, incredibilmente mi calzavano a pennello -Ok- fece Luke -Andiamo- proseguì, lo seguii giù per le scale e fuori dalla porta, potevamo tornare alla spiaggia velocemente e raccattare su tutte le cose, Luke guardò l'orologio e scoprimmo che eravamo stati via davvero tanto, erano le cinque e mezzo del pomeriggio, così con la nostra velocità inumana decidemmo di tornare alla spiaggia. Alla spiaggia i ragazzi stavano tornando a casa, ci guardavano con un po' di rancore negli occhi, Elizabeth compresa e forse quella più in collera, avevano già tutte le loro cose messe via in numerose borse che portavano in groppa, Renee si avvicinava a me con sguardo in collera ma Lindzay la tenne per una mano -E' meglio se lasciamo che Luke e Boris spiegano- fece lei -Beh- iniziò Luke -Abbiamo avuto delle complicazioni a casa- mi inventai interrompendo Luke -Di che tipo?- era Leah -Si erano rotte le tubature- fece Luke -Davvero?- continuò Leah -Quindi se chiamo tua zia lei confermerà ciò che hai detto?- -Beh ora sta dormendo e non ti consiglio di svegliarla, ma comunque si- feci, almeno mentire mi riusciva bene; lei mi guardò bene, speravo con tutto me stesso che non notasse il filo di nervosismo che c'era negli occhi di Luke, poi però riaprì bocca -Un'ultima domanda- fece, io annuii in segno di consenso -Com'è che avete cambiato vestiti?- -Si erano sporcati risposi io troppo in fretta e con troppa poca pausa dalla domanda di Leah per sembrare credibile, lei mi guardò dall'alto in basso e chiese di nuovo -Anche le scarpe?- -Sopratutto quelle- ribattei sorridendo -A tutti e due?- domandò voltandosi verso Luke -Si- risposi -Quei tubi sporcano davvero tanto- lei non aveva più niente da aggiungere, si voltò e se ne andò assieme a Josh, Michael e Lindzay che si trascinò via la piccola Renee, rimanemmo solo io, Luke ed Elizabeth, visivamente arrabbiata -Avresti almeno potuto chiamare- fece secca -Lo so e mi dispiace- dissi -Ma vedi, dovevo mettere le mani su quei tubi e sai, una cosa tira l'altra quindi...- mi interruppe -Sai- cominciò con la voce che iniziava a tremare -Io ti pensavo diverso, ti ricordavo diverso- ora alcune lacrime iniziavano a scendergli dal viso, lo scenario intorno a noi era irreale, il sole stava affondando fra i monti dietro di noi, la sua luce debole e sul letto di morte illuminava il cielo di arancione e un fievole soffio di vento da sud muoveva i capelli chiari di lei in una danza ipnotica con la quale qualsiasi essere vivente sarebbe potuto sciogliersi, mi guardava con un goccio di make-up che gli correva lungo il volto, l'effetto che aveva su di me era come l'effetto che aveva la luna sulle maree, trascinarmi via nel suo turbine d'emozioni ora un peso mi si era calato sul petto, la sua tristezza era diventata la mia e capii: ero stato uno stronzo, niente di meno. -Ti credevo diverso- ripete con fermezza d'animo, la sua voce tremava e le lacrime invadevano il suo volto bellissimo e perfetto. -Ti credevo diverso- disse un'ultima volta, io non sapevo che dire, avrei voluto spiegarle che non era così, che ero un mostro nato per far soffrire che un pazzo vampiro voleva strapparla a me che tutto stava andando così fottutamente veloce, ma sapevo che non poteva essere, sapevo che se avrei accennato a ciò lei sarebbe scappata via e probabilmente non l'avrei più rivista di nuovo, preferivo che pensasse a me come uno stronzo che ad un mostro, lo preferivo di gran lunga -Addio Boris- fece e si allontanò da me -Elizabeth aspetta- urlai ma lei era già andata -Leah puoi darmi un passaggio?- chiese -Con piacere.- fece lei e partirono, restammo solo io e Luke in quel luogo tanto amato e ora odiato, il sole ormai non c'era più e non c'era più neppure sulla mia vita. Luke mi scrutò, poi disse -Stai bene?- -S-si- feci balbettando, sentivo una lacrima scendermi da una guancia, poi sentii il braccio caldo di Luke sulle mia spalle e ci sedemmo sulla sabbia, io piangevo in silenzio troppo per ciò che stava succedendo -Stai bene?- ridomandò -No- riuscii a dire ancora piangendo ormai le lacrime avevano preso il sopravvento del mio volto e la mia voce usciva disturbata, balbuziente e disperata -Sono uno stronzo- dissi -No, non è vero- ribatté lui -Si invece- ora mi ero un po' calmato ma non ancora a sufficienza, sedemmo su quella morbida sabbia per tempo lunghissimo, ora le stelle avevano preso il dominio dei cieli e il rumore del mare impetuoso per via del vento che si era alzato dava pace alla mia mente che non si sentiva più, ora mi ero calmato -L'amavo- dissi a Luke che era ancora seduto accanto a me -Lo so- rispose guardandomi in modo intenso -Lo so-.

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Capitolo 5
*** Il Tempo ***


SEDEMMO lì ancora per qualche minuto, poi ci rialzammo, la notte aveva preso vita nei cieli, quella notte era limpida, le stelle risplendevano tanto da far vedere la via lattea e io e Luke ci ricordammo che avevamo ancora le nostre cose, io raccolsi su la palla con cui avevamo giocato a volley poco prima e il resto delle mie cose mettendole accuratamente dentro una borsa che misi dentro il porta oggetti della moto, stessa cosa fece Luke che però la mise dentro il bagagliaio della sua spaziosa auto; ci guardammo un'attimo, mi sentivo come... non lo so come mi sentivo. Forse soltanto come se non fosse vero, ma lo era fin troppo, come se mi trovassi dentro la versione dark di una sit-com scadente ma invece che impersonare lo sfigato di turno che invita la bella cheerleader al ballo, ero lo stronzo licantropo che aveva rovinato una vita perfetta per colpa di un'idiota iperprotettivo e ladro. Niente male.

-Non essere così duro con te stesso- fece Luke serioso, io sorrisi

-Tu non hai il diritto di intrufolarti nei miei pensieri-

-Potrei fare lo psicologo con questo talento- ribatté Luke con un grande sorriso che gli si apriva in volto, io però ero tornato serio, la felicità in quel periodo non poteva venirmi, sembrava avesse preso un volo per la Hawaii e fare una pausa meditativa da me.

-Andiamo dai- feci

-Agli ordini capo- fece un po' triste, io montai sulla mia moto e la accesi con un rombo, non salutai nemmeno Luke, corsi a casa nella rara speranza di dimenticare, di dimenticare quelle piccole cose che era la mia vita.

A casa le cose non migliorarono, appena arrivato mia zia cominciò l'interrogatorio d'umore normale

-Com'è andata?- chiese cortese dalla cucina

-E' andata bene.- dissi io avviandomi su per le scale, non avevo nessuna intenzione nel scendere nella verità e nei suoi dettagli troppo dolorosi. Avevo ancora il viso rosso, probabilmente e i vestiti di Luke, da non dimenticare, tutto quello era stare da solo ma ovviamente l'interrogatorio non era finito. Ora avevo chiuso la porta di camera mia e mi stavo spogliando, piegavo con cura i vestiti che mi aveva prestato Luke e me ne stavo mettendo dei miei, presi a caso dalla cesta degli abiti sporchi, mia zia bussò alla mia porta

-Posso?- chiese seria

-Un secondo- feci, presi un bel respiro e mi guardai allo specchio, ero rosso e avevo ancora gli occhi da pianto, proprio un bell'aspetto per mentire alla zia e dire che è andata tutto bene, provai a calmarmi, bevvi un goccio d'acqua, mi sedetti sul letto, di lato rispetto alla porta, mi preparai come meglio potevo e la porta di legno si aprì.

-Qualcos'altro oltre a com'è andata?-

-Ci siamo divertiti- feci secco ancora girato

-Boris.- fece seria, era il suo modo per dire: “girati e dimmi la verità”, mi voltai verso di lei, sapevo che lei poteva vedere la mia faccia e che essa al novantanove virgola nove per cento era ancora rossa e i miei occhi anche, tutto ciò era semplicemente imbarazzante e sopratutto lo era parlarne

-Che è successo?- chiese

-Niente- mentii

-Mi piacerebbe che almeno in questa casa si tenesse un filo di verità- fece seria

-Sono un'idiota.- conclusi

-Che è successo chiese sedendosi accanto a me, un po' scocciata ora

-Che sono un'idiota- ripetei velocemente

-Boris ascolta- disse comprensiva -Qualsiasi cosa sia successa ti sentirai meglio a parlarne, credimi-

-C'è stato un'incidente.-

-Stradale?- fece lei allarmata

-No no!- risposi per tranquillizzarla, presi un respiro ancora più profondo, era sempre un problema parlare di queste cose ma del resto lei era pronta a ciò, del resto era la donna che mi aveva legato al letto tutte le lune piene fino ai dieci anni, quando finalmente imparai a controllare la trasformazione per via di questo problema.

-Mi sono trasformato- feci veloce

-Come?- fece lei -ma davanti a tutti?-

-No.- puntualizzai -io e Luke da soli, per via di una questione e questa questione ci aveva tenuti occupati fino alle cinque e mezzo quindi ora ci odiano un po' tutti perché gli abbiamo lasciati soli.- continuai

-Ah piccolo- fece mia zia -Non preoccuparti, se sono tutti tuoi amici ti perdoneranno- mi abbracciò e io provai a non piangere ma non ci sarei mai riuscito.

 

 

 

 

 

OTTOBRE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOVEMBRE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DICEMBRE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

GENNEAIO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

FEBBRAIO

 

 

 

 

 

E' SEMPRE così, le cose piccole ed

insignificanti sono sempre le prime a sistemarsi, uno o due giorni al massimo e poi tutto torna come prima, ma per le cose più complesse ci vuole più tempo, mesi, anni anche e a volte non tornano più come erano prima.

 

 

 

 

TUTTO ormai stava tornando alla normalità, io e Luke avevamo di nuovo i nostri amici, ma non più Elizabeth, oramai ci incontravamo di rado in classe e nei corridoi, e per quanto io la guardassi lei non ricambiava più, lei non voleva più vedermi, l'avevo provata a chiamare ma non mi aveva più risposto, avrei voluto provare a dirle scusa un'alta volta ma oramai quella nave era salpata e non avrebbe mai più attraccato al vecchio porto Boris, mai più.

Quello stupido 11 febbraio ero seduto in mensa con Luke, Michael, Lindazy, Josh e Leah, nel nostro vecchio tavolo vicino alla finestra da dove si poteva vedere la neve cadere a grandi fiocchi sui sempre verdi che circondavano la scuola. I ragazzi ci avevano completamente perdonato ma non Elizabeth che non mi rivolgeva la parola da settembre ormai.

-Allora ragazzi- era Michael -Che facciamo dopo?-

-Organizziamo una battaglia di palle di neve- disse Luke con tono folle

-La più grande battaglia di tutto Washington-puntualizzò Josh con lo stesso tono di Luke, io stavo sorridendo, difficile a dirsi ma stavo sorridendo, mentre le ragazze si guardavano a vicenda con aria frastornata e sconvolta nello scoprire i loro fidanzati ancora bambini in quei cinque mesi eravamo cambiati molto, io e Luke ci eravamo alzati ancora e adesso ero alto quasi uno e novanta e avevamo messo su molti muscoli, io e lui, strano ma vero, per paura di dimenticare un giorno di dicembre ci eravamo tatuati l'anno della nostra nascita sotto la clavicola sinistra in numeri romani quini appariva un incomprensibile ma bello a vedersi “MCMXCVII” nero in caratteri normali, ovviamente i nostri non ne erano al corrente, sennò altro che immortalità quelli ci avrebbero ucciso o resi paraplegici a vita. Gli altri invece non erano cambiati di molto, sempre uguali eccetto Michael che a ottobre si era ferito l'avambraccio destro durante un'arrampicata e la ferita sarebbe stata visibile per sempre, lunga tutta la sua lunghezza e chiara.

A Moonlight le temperature sono rigide tutto l'anno ma d'inverno erano proprio incredibilmente fredde, avevamo solo otto ore di luce al giorno e una media di meno cinque quando il sole c'era e meno venti la notte, proprio un bel posticino.

Quel giorno indossavo una maglietta di lana rigorosamente nera e una giacca di pelle con una morbida foderatura di finta pelliccia all'interno, un paio di jeans scuri e degli stivaletti pesanti ai piedi; Luke invece indossava un maglione molto grande e largo beije con delle righe orizzontali nere, dei jeans così attillati che potevano benissimo essere dei leggins e delle Timberland, probabilmente eravamo quelli più svestiti della scuola, gli altri avevano spessi cappotti imbottiti con cappucci, berretti e sciarpe e poi c'era Elizabeth, era vestita con colori panna, aveva un maglione di lana grossa con un collo veramente alto che riusciva a portare solo che girato due o più volte con sopra una giacca un po' più scura con il cappuccio molto largo con del pelo grigio, una mini gonna e sotto dei leggins, il tutto adornato da degli stiva al ginocchio di morbida pelle di pecora, era molto truccata come sempre e i suoi capelli mossi si muovevano in modo ipnotico, insomma era stupenda, sedeva sempre lontano da me e fuori dalla mia portata di vista e di ascolto, non riuscivo a distinguere la sua voce fra il chiasso della mensa.

Quel giorno servivano un polpettone rancido del quale mangiai un boccone e lasciai lì il resto, io e i ragazzi parlammo ancora un po', poi portammo il vassoio al bidone e andammo via.

Finito di mangiare la promessa di Michael non era stata affatto rimandata, infatti mi arrivò una morbida ma potente palla di neve alla base del capo e la battaglia cominciò nel parcheggio davanti alla scuola, ci stavamo proprio divertendo e niente avrebbe potuto distoglierci da esso, per sbaglio colpii un ragazzino del primo anno di cui non avevo imparato il suo nome, facendogli cadere i libri

-Scusa- gli dissi tra una risata e l'altra, lui sul momento sembrava indignato ma poi mi tirò anche lui una palla di neve addosso e ora la battaglia poteva essere una guerra, ci stava partecipando praticamente mezza scuola tranne che Elizabeth, ovviamente non mi aveva neanche ora perdonato e di certo non si sarebbe mai abbassata al mio livello; mi dispiaceva molto questo ma chi ero io per determinare la sua felicità? Nessuno, ecco la risposta ormai cominciavo ad abituarmi a questo e non potevo farci niente, la vedevo così distante non potevo sapere niente più di lei, le avevo scritto ovunque possibile ma lei non mi rispondeva, mi bloccava, stavo quasi assumendo un tipico atteggiamento da stalker, un altra cosa che mi faceva odiare in quel periodo, dovevo smettere di essere così, smettere, lasciarla andare alla sua vita e capire che io non ero più suo. Con quei pensieri ancora in testa decisi poco dopo di tornare a casa, così mi avvicinai al mio vecchio Signor pick-up, d'inverno non usavo la moto, anche se non soffrivo il freddo, agli altri sarebbe parso strano che io, sempre non molto vestito, girassi a grande velocità in moto; dovevo tornare a casa presto per un motivo in particolare: Ero in punizione per i pessimi voti con cui ero uscito, non era di certo colpa mia se ero stupido oltretutto, pensai.

Non salutai nessuno, neppure Luke, la cosa più vicina ad un fratello che io avevo, aprii lo portello e sulla neve fresca ed innocente cadde una seconda neve di ruggine rossastra, lo richiusi e partii a grande velocità, troppa per quella stagione e per lo strato di neve e ghiaccio che c'era sull'asfalto scuro e neutro. Casa mia era completamente diversa rispetto all'autunno, era ora tutta, completamente bianca e stalagmiti di ghiaccio pendevano dal bordo del tetto, parcheggiai al lato del marciapiede che precedeva il cortile anteriore, ormai bianco come se una mano di zucchero a velo ci fosse caduta sopra, aprendo la portiera cadde un'altra mano di roso dal mio pick-up, stavo nuovamente giungendo a casa, sentivo i miei passi amplificarsi con l'indescrivibile suono della neve appena caduta sotto i piedi ed entrai.

Si viveva una bella atmosfera in casa Cooper, si sentiva l'odore di biscotti al cioccolato appena sfornati da mia zia, la quale era solita a sfornare durate l'inverno

-Giorno- feci appoggiando lo zaino a terra e togliendomi le scarpe sfilandole dal tallone con i piedi

-Eilà- fece mio zio che stava in poltrona a leggere il giornale

-Com'è andata?- mi chiese

-Bene- dissi mentre mi stavo togliendo la giacca, restando solo in maglietta mentre mi spettinavo i capelli con le mani per asciugarli

-Ciao caro- fece zia Virginia con la sua voce squillante -Com'è andata?-

-Bene- ripetei

-Ho fatto i biscotti- fece fiera

-Ne ho sentito l'odore- ammisi dirigendomi in cucina, lei vedendomi mi diede un bacio sulla guancia e io presi un biscotto mordendolo, lei guardandomi sembrava un po' basita, aveva gli occhi bene aperti e un'espressione indecifrabile

-Com'è che sei tutto bagnato?- chiese

-Mi hanno tirato una palla di neve- feci sorridendo

-Una eh- fece sarcastica -Perché non vai di sopra a cambiarti?- fece

-Ok- feci, lei sorrise e io salii di sopra, mi cambiai in camera mia mettendomi una maglietta verde militare e dei jeans larghi, comodi, i vestiti bagnati gli lanciai dentro il portabiancheria e mi sedetti a usare il mio regalo di natale: un MacBook di cui non avevo per niente bisogno che però i miei avevano insistito a regalarmi visto che in quel periodo ero nel mezzo della depressione post rottura anche se eravamo solo amici, io ed Elizabeth.

Una volta acceso il portatile metallico girovagai per il web in cerca di distrazioni senza però trovarne, quindi provai a leggere un libro, cosa al quanto bizzarra per me che non leggevo spesso ma le pareva che Elizabeth risuonava ovunque, la protagonista del libro infatti si chiamava proprio come lei, così ne aprii un'altro ma questa volta era Eliza, troppo simile, ma non esistono proprio altri nomi da dare alle persone?

Alla fine, però, riuscii a trovare una piccola distrazione su YouTube, guardando un canale comico gestito da due ragazzi di cui non conoscevo l'esistenza, i video erano piuttosto divertenti ma mi era difficile ridere e dimenticare, anche per me, guardai più e più video di quei ragazzi che combinavano di tutto a casa imitando famosi videogiochi e con mio immenso stupore scoprii che si erano fatte le cinque passate e ricevetti una chiamata da un numero sconosciuto, chi era? Perché mi chiamava? Cosa voleva? Erano tutte domande che mi sarei dovuto porre, invece non lo feci e risposi semplicemente, prima ancora di dire “Pronto?” e subito una voce sibilante e tagliente invase il dispositivo

-Vattene- ordinò in tono imperativo, quel tono che non ammetteva repliche

-Chi è scusa?- chiesi con disinvoltura

-Vattene ho detto- ripeté

-Senti piccolo- iniziai io -So che ora ti sembra una cosa divertente ma mi stai rompendo, quindi ora riattacco- mi ero tolto il telefono dall'orecchio e stavo per premere il pulsante rosso quando

-Fermo- ordinò -Smettila di pensar a lei-

Quelle parole mi colpirono come un treno in corsa, in effetti stavo pensando a Elizabeth ma come faceva a saperlo -Smettila di pensare ad Elizabeth- si corresse scandendo bene le parole e le sillabe, una per una, come se avesse nuovamente letto i miei pensieri

-Chi parla scusa?- chiesi io sta volta interessato ma era troppo tardi il “pu-pu-pu” che indicava la fine della chiamata era già arrivato e quasi senza pensarci cominciai a mettere a fuoco che chiunque fosse stato a chiamare mi stava spiando e probabilmente era ancora lì in zona, senza pensarci di nuovo scesi le scale dirigendomi verso l'uscita ma ovviamente prima dovevo subire l'interrogatorio prima di uscire da mia zia

-Dove credi di andare?- fece

-Sta in casa- feci io fingendo che tutto ciò ruotasse intorno alla sicurezza sua e non alla mia curiosità -Siamo spiati- feci serio

-E io dovrei bermela?- domandò lei

-E' la verità, qualcuno mi ha chiamato dicendo esattamente ciò che stavo facendo- ero più convincente di quanto credessi, strano ma vero

-Tu non uscirai- sintetizzò mia zia

-Ma devo- replicai

-No- ribatté

-Senti- azzardai io -Dopo farò tutti gli esercizi di recupero che vuoi, promesso, ma ora fammi uscire ti prego- feci, lei all'iniziò sembrava irremovibile dalla sua scelta ma poi fece -Dieci minuti, non uno in più-

Io allora scattai veloce e felice -Grazie- feci già avviandomi alla porta

-Tesoro- fece, io mi voltai guardandola

-La giacca- disse

-Si- feci prendendo la prima giacca che mi era capitata a tiro, una grossa giacca impermeabile verde come la maglia e lunga fino a sopra le ginocchia, ero orribile ma non era questa la cosa a cui badare, annusai l'aria in cerca di chiunque mi avesse chiamato ma non lo trovai, a suo posto però c'erano delle strisce sulla neve caduta da poco, cosa avrebbe mai potuto tracciare ciò?Non lo sapevo ma corsi nella direzione che segnavano, il bosco.

Correvo da ormai più di due minuti ma alla velocità di un umano sarebbero state due o tre ore verso nord ovest, sul pendio di una montagna, ancora quelle traccie ma ora erano decisamente più fresche, gli alberi intorno a me sembravano storti, inclinati da violente forze nascoste e misteriose, solo dopo mi accorsi che dalla velocità e dal tempo in cui stavo salendo il crinale della montagna gli alberi parevano inclinati ma, in realtà, ero solo molto, troppo veloce su una base inclinata. Poi capii, la neve, la forma degli strisci, tutto. Io avevo sbagliato direzione, non sarei dovuto andare per la montagna, era la direzione da cui proveniva l'oggetto trascinato da colui che mi aveva chiamato al telefono, corsi nuovamente a casa constatando che ormai era perso ma avevo ancora una chanse: Luke, se aveva chiamato me avrebbe anche potuto chiamare lui, così, una volta tornato lo chiamai

-Pronto- fece accentuando la “R”

-Ehi Luke- feci

-Ehi come stai?- domando

-Potrebbe andare meglio- -Senti- feci -Hai ricevuto chiamate strane?-

-In che senso?-

-Si come chiamate scherzo ma che dicono esattamente cosa stai facendo e cosa devi fare o cose del genere?

-No perché?- domandò lui

-Perché ne ho ricevuto una- feci

-In che senso?-

-Nel senso che qualcuno mi ha chiamato dicendo ciò che stavo facendo- conclusi, dall'altro capo del telefono Luke rimase zitto per una manciata di secondi, manciata che pareva non finire mai ma poi disse -Inquietante...-

-Non è il peggio, sapeva ciò che pensavo-

-In che senso scusa?-

-Nel senso che stavo pensando ad E...- mi interruppi, a gennaio avevo detto a Luke che io con lei avevo chiuso, non sarebbe stato bello ignorare quella promessa e dirlo a colui a cui l'avevi giurata -A Ed, mio zio- mi inventai -E quella voce aveva detto di smettere di pensare a lui e di andarmene-

-E tu?-

-E io sono uscito in giardino e ho seguito delle tracce che però non portavano a niente-

-E quindi hai pensato di sentire se anche a me era arrivata una chiamata simile giusto?

-Si- feci

-E ora cos'hai intenzione di fare?

-Non lo so-

-Vuoi un consiglio?

-Dimmi

-Fregatene, sicuramente è qualcuno che voleva prenderti in giro

-Già, forse hai ragione

-Ma va- fece lui scherzoso

-Ok ti lascio- feci

-Ok ciao

-Ciao- conclusi e misi giù certo ma non tutti riescono a leggere la mente pensai, che fosse davvero stato uno scherzo di pessimo gusto da parte di qualcuno che mi osservava e che mi conosceva bene, fin troppo? Non lo sapevo, “Non importa” mi dissi e tornai alla speranza anche se molto, troppo, vaga di distrarmi.

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Capitolo 6
*** Reincontro ***


QUEL giorno a scuola avevo le prime ore di trigonometria, il professor Brennan ci stava facendo vedere alcune formule per calcolare... non so cosa, intanto spiegava palesemente e noiosamente la lezione usando parole che si sarebbero benissimo potute trovare su Wikipedia e muovendo il gesso bianco sulla lavagna come fosse una bacchetta indicando quelle strane forme e equazioni, insomma la miscela perfetta per la noia assicurata.

Il professor Brennan era un uomo sui cinquanta o sessant'anni, era beh in carne, con una panciona grande abbastanza da avere gravità propria, i suoi capelli erano ricci e grigi per l'età, le orecchie enormi e sproporzionate al resto della faccia come gli occhi chiari e minuscoli, vestiva sempre con un gilet terrificante raffigurante spesso losanghe. Come carattere era un'uomo facilmente irascibile che perdeva la pazienza ogni qualvolta sentisse un minimo di rumore ed era beh inevitabile che noi lo facessimo dal punto che trovavamo divertentissimo vederlo impazzire.

Ero seduto vicino ad una ragazza di nome Coraline, anche se io e lei non chiacchieravamo molto spesso stavamo comunque parlando pur di passare la lezione in velocità e in modo indolore, lei era un po' bassa per la sua età e anche in un leggero sovrappeso, dai capelli castani come gli occhi e dal carattere estroverso

-Sai- iniziò lei -Conosci gli One Direction?-

-Solo di nome- ammisi io un po' imbarazzato da quella conversazione

-Beh, sappi che sono troppo grandi, allora- fece rovistando nel suo astuccio -Ah, ecco- esclamo tirando fuori un foglio da esso, lo aprì e notai una foto raffigurante cinque ragazzi con sotto la scritta “1D” -Allora- continuò lei -Ecco questi sono loro, in ordine Harry, Louis, Liam, Zayn e Niall allora chi diventerà il tuo prossimo idolo?

-Non lo so... lui?- Ovviamente i loro nomi non si erano fissati neanche nell'anticamera del cervello cosi indicai il secondo ragazzo, dai capelli castani corti col ciuffo in parte e la giacca di jeans che stava sorridendo

-Louis? Perché?- sembrava contrariata

-Boh non lo so guarda come sembra felice in foto- feci sorridendo, lei sbuffò

-Che ne dici di lui?- fece indicando il ragazzo biondo platino dai denti storti in foto,

-Mi sembra bruttino- ammisi

-Come ti permetti?!- Disse lei quasi urlando

-Boris!- esclamò il professor Brennan

-Si?- chiesi sobbalzando a causa di ambedue le conversazioni

-Era attento?- ringhiò lui

-Certo- feci io serio

-Allora mi direbbe il risultato dell'operazione che stavo svolgendo?- fece indicando un'enigmatico insieme di lettere, numeri e simboli sulla lavagna

-Non lo so...- feci tra me e me ma comunque ad alta voce nella rara speranza di essere suggerito -Sei?- chiesi perplesso

-La nota la vuoi nel libretto o nel registro? Almeno questo lo saprai, presumo-

-Azzz- dissi fra me e me

-Temo il registro- concluse lui prendendo la penna e scarabocchiando sopra il grande quadernone.

Il resto della giornata passò lento ma continuo tra una lezione e l'altra e le continue scuse da parte di Coraline sulla nota che, anche se io l'avevo già perdonata- anzi non ero mai stato in collera- lei continuava a farmi.

Almeno a pranzo avevo trovato un angolo di pace, infatti Coraline era seduta in tavolo con dei suoi amici, tipi strani, una era bassina, bionda e con gli occhi verdi, rideva spesso, l'altro un tipo un po' più solitario, dai capelli castano scuro, alto ma un po' grasso e aggobbito per la sua età, inoltre il fatto che si mettesse sempre camice con gilet e cravatta- camicie con papillon- camicie con gilet e ferma camicie lo facevano sembrare proprio una persona adulta e forse anche qualcosa in più.

In primo pomeriggio tornai a casa dove feci i compiti - Se per fare s'intende mettere risposte a caso alle domande a crocette, numeri a caso nei compiti di matematica e parole a caso (alcune anche inventate) in quelli di spagnolo- L'intera faccenda dei compiti mi impiegò circa dieci minuti e poi convinsi mia zia ad andare a fare un giro in città, cosa non troppo insolita visto che quello stesso giorno avevo lamentato un fusibile rotto dal freddo sul mio Signor pick-up, nulla che non avessi potuto riparare da solo e così presi la moto, anche se con quel freddo sarebbe parso strano ad un qualsiasi essere umano, ma io non ero un qualsiasi essere umano, anzi non ero affatto un'essere umano.

-Caro?- fece mia zia

-Si?- dissi

-Non dimentichi qualcosa?-

-No non mi pare proprio, perché?-

-Guardati- fece lei con tono ovvio, solo allora capii che stavo uscendo solo con una maglietta nera e i jeans scuri, così in casa presi la mia giacca di pelle che mi misi istantaneamente, la sensazione morbida di quel pelo m'invase tutto il corpo bollente agli occhi degli umani, pazzesco.

Il viaggio da casa mia alla città in condizioni normali non mi avrebbe richiesto più di dieci minuti, ma con quelle basse temperature e ghiaccio e neve sulla strada scura mi fecero allungare il tempo di molto, fino a quasi mezz'ora. La città di Moonlight era tutta bianca di neve, le strade non erano state spazzate e quindi cumuli di neve grigia si creavano ai margini delle strade, io parcheggiai la moto di fronte al fast food di Clara Brown, era una donna di sessant'anni di colore dai capelli grigio scuro come l'ardesia, non era molto grassa ma non era neppure uno stuzzicadenti secco, aveva una corporatura perfetta, portava sempre il rossetto chiaro e un profumo molto intenso e piccante, come carattere era molto calorosa, esuberante e gentile ma era una vera ficcanaso e spifferona, lei sapeva i pettegolezzi di tutto e di tutti in città

-Ciao Boris!- esclamo ridacchiando, io ricambiai il saluto ed entrai

-Che ti porta da queste parti?- fece con la stessa intonazione di prima

-Avevo intenzione di andare dal Bart che mi si è rotto un fusibile della macchina- feci

-Ah quel Bart- fece Clara con un sospiro -Bravo ragazzo ma è un po' sfortunato-

-Già- feci io condiscendente

-Bada che non te lo faccia pagare troppo quel... aspetta cos'era?

-Fusibile- suggerii

-Quel fusibile- continuò lei -Altrimenti lo vengo a prendere a calci quello- fece lei con enfasi, era bello vedere che una donna anziana come lei avesse ancora tante energie, mi piaceva proprio lei -Che ti offro amore?- chiese

-Niente grazie- feci, lei sembrò dispiaciuta e poi stizzita

-Nessuno esce di qui prima che gli abbia offerto qualcosa- fece seria

-Allora un caffè e sono apposto- feci con un sorriso smagliante

-Agli ordini caro- fece lei mettendolo su, lì il caffè era di qualità sublime, forse il migliore di tutta la penisola Olimpica, il caffè era ben diluito con l'acqua e buono da impazzire, caldo e dissetante lo bevvi tutto e mezzo litro in un sol sorso

-Quant'è?- chiesi

-E me lo chiedi anche?- fece lei sarcastica -Offre la casa! Fece tutta contenta

-Oh Clara feci io con voce seria e triste -Sei la migliore!- esclamai

-E' un piacere, ora vai mi sembra che stia venendo su un gran brutto temporale- fece guardando il cielo attraverso la grande finestra a vetri di fronte al bancone in puro stile anni '50 come tutto li dentro, del resto, anche la forma e la disposizione dei mobili era di quel decennio, anche se in molti aspetti ricordava un impersonale fast food d'autostrada.

Quando uscii notai il cielo minaccioso, le nubi grige arenaria erano fitte fitte e non erano le più minacciose, infatti quando queste si aprivano come una ferita spuntavano da sotto nubi violacee ancor più minacciose, iniziava a sentirsi la pressione dell'atmosfera, la quiete prima della tempesta, e sapevo che sarebbe stata una tempesta forte e potente, così mi affrettai per andare da Bart a prendere quel fusibile di ricambio.

L'officina di Bart era a circa mezzo miglio di distanza a sud dal bar di Clara, una piccola carrozzeria in periferia con spazio sufficiente appena per una macchia e forse una moto, oltre che la carrozzeria Bart Newton gestiva anche un distributore di benzina collocato davanti all'officina.

-Ciao Bart- feci una volta arrivato

-Ciao Boris- fece lui distrattamente, Bart era un uomo di quarant'anni in perfetta forma fisica, dai capelli castani e gli occhi di una particolare sfumatura di celeste, portava un paio di grossi e folti baffoni ma per via del suo fumare aveva molte più rughe di quelle che ci si sarebbe potuti aspettare da un uomo di quell'età e inoltre il suo bere gli rendeva l'alito fetido. Come carattere era un tipo okay, un po sfortunato e goffo ma pur sempre okay, anche se di poche parole e impacciato

-Hai bisogno di qualcosa?- mi chiese distrattamente

-Si un fusibile di ricambio ce l'hai?- chiesi

-Certamente aspetta un'attimo disse cercando dentro una scatola degli attrezzi -Ma dov'è- lo sentii dire tra se e se mentre cercava dentro un'altra scatola gialla -Ah ecco- esclamò -Tieni- fece lanciandomi il pezzo io lo presi al volo e chiesi -quant'è?-

-Beh- cominciò lui -E' un pezzo usato e che non mi serve molto diciamo che cinque dollari sono un prezzo ragionevole- io gli lanciai la banconota appallottolata e lui la prese al volo, la rimise dritta e la stirò con le mani soddisfatto -Ok- fece -Hai bisogno d'altro?-

-No- feci -Ci vediamo- lui mi saluto con la mano, io sorrisi e me ne andai.

Per la strada stava iniziano a tuoneggiare, io avevo solo un pensiero fisso come un chiodo nella mia mente: Elizabeth, mi sembrava che lei andandosene mi aveva aperto un varco in mezzo al petto, un varco che io avevo cercato di chiudere o di murarlo evitando di pensarci ma sempre si riapriva, sempre il muro crollava e il dolore tornava e io dovevo mettermi di impegno e ricostruirlo ma sempre con risultati più deludenti e sempre si riapriva come se un treno la varcasse distruggendola era sempre cosi.

Poi la vidi.

Elizabeth stava camminando in direzione contraria alla mia sul mio stesso marciapiede, lei non mi aveva ancora visto o forse non mi aveva ancora riconosciuto ma nell'esatto momento in cui la guardai un lampo distrusse il cielo e cominciò a piovere.

Io ero fermo, immobile sotto la poggia scrosciante, era fredda e sulla mia pelle calda creava un forte contrasto e tintinnava al mio contatto, i capelli si erano appiccicati al volto, i miei vestiti erano zuppi e sembrava che stessi piangendo al vedere la mia faccia bagnata, mi specchiai nella vetrina su di un negozio a mio fianco e constatai che, anche se bagnato completamente comunque ero riuscito a mantenere un bell'aspetto, mi voltai di nuovo verso di lei. Evidentemente la pioggia aveva colto di sorpresa anche lei, aveva tirato su il cappuccio che aveva attaccato allo spesso cappotto beije che portava, sotto ad esso si poteva vedere un maglione a collo alto bianco, moto lungo e un paio di leggins marrone chiaro con degli stivali da pioggia ai piedi, era semplicemente stupenda, come un raggio di sole a mezzogiorno che spuntava da un banco di fredde e scure nubi; il solo vederla mi riaprì la ferita al posto del cuore il muro crollò e questa volta definitivamente, solo allora mi sentii mancare le forze, ero sicuro che stessi per svenire e lei si accorse di me.

Mi guardava, io guardavo lei nella strada ormai deserta, dove passava un'auto ogni tanto ed eravamo fermi come statue, era un momento magico, i nostri occhi erano intrecciati da un filo invisibile il silenzio era assoluto, solo la pioggia e i lampi lo rompevano; poi decisi che anche io dovevo romperlo, mi avvicinai a lei con coraggio, lei restava immobile come pietrificata alla mia vista, ora ero a solo un palmo dal suo naso, la pressione mi stava uccidendo era giunta l'ora.

-Ciao- dissi tutto d'un fiato, lei mi guardò ancora, sbatté due volte le palpebre, perplessa, poi sembrò arrabbiarsi

-Con quale coraggio?- chiese lei in collera

-Devo parlarti- feci io serio

-Sul serio?- fece lei

-Si, vieni- avevo capito, l'unico modo per farle capire il solo motivo del perché l'avevo abbandonata era mostrarle di persona cos'ero, cosa voleva dire lei per me e tutto il resto, la presi per mano e la avvicinai ad un vicolo lì vicino, lei parve arrabbiata e scocciata allo stesso tempo, un'altro tuono esplose in cielo

-No, Boris!- esclamò lei

-Perché no?!- feci io arrabbiato

-Perché sono in ritardo- concluse lei

-In ritardo per cosa?!- ero sul punto di scoppiare di rabbia e sapevo che se succedeva mi sarei trasformato, sentivo le mani vibrare e il corpo scaldarsi tanto da parere un fuoco

-Perché devo trovarmi con Jack Ibis!- urlò lei, fu come una doccia fredda sul poco entusiasmo che mi restava, ero sul punto di esplodere, tirai un pugno alla parete tanto forte da creparla

-ma che hai- fece Elizabeth

-Io non te lo permetto- dissi tra uno spasmo di rabbia e l'altro

-Come?!- fece lei, io mi avvicinai a le tanto da poterla baciare

-Non è nemmeno una creatura viva- feci sibilando per non esplodere anche se ormai era una sequenza iniziata

-Ma cosa vai a dire?!- urlò lei

-Quella sanguisuga?!- feci io, lei sembrò contraria, un espressione indecifrabile

-Devo andarmene- dissi io ancora tra spasmi sempre più frequenti mentre la pioggia evaporava dal mio corpo

-Aspetta- fece Elizabeth prendendomi per un polso ma tolse subito la mano scottata -Ahi!- esclamò, io stavo già correndo la foresta più veloce che potevo ora ero immerso nel verde degli alberi, mi tolsi giacca e la maglietta per evitare di distruggerle e urlai, un urlo che si trasformo in un ululato e da lupo corsi a nord.

Era la prima volta che mi trasformavo di rabbia.

 

Ero rimasta allibita, sanguisuga aveva definito Boris jack ma perché, provai a correre nella direzione da dove lui era fuggito, ricordo che era caldo come il sole e la mano da dove l'avevo tenuto aveva una brutta ustione, quando raggiunsi il confine con la foresta notai a terra la sua giacca e la maglietta, più avanti nel bosco c'era una cosa bianca attaccata al ramo di un arbusto, i resti di una sua scarpa da ginnastica, mi guardai in giro, c'erano altri brandelli di vestiti, i pantaloni ormai in-indossabili e ciò che restava delle sue mutande, che era successo? Tutto ciò era così strano, a terra trovai il suo cellulare e un piccolo oggetto metallico di cui ignoravo la provenienza, mi concentrai sul suo telefono, lo sbloccai e vidi una cosa che non avrei voluto vedere, lo sfondo.

Era una vecchia foto, ne avevo una copia a casa mia, incastrata alla cornice dello specchio della toiletta di fronte al mio letto, era la foto di noi due da piccoli a DisneyWorld, ricordo ancora il viaggio interminabile e la grande felicità che provavamo insiemi, era incredibile che non se ne fosse scordato. Era arrivato un messaggio da sua zia, non avrei mai detto di essere tanto sfacciata da leggerlo, diceva “Preso il fusibile” Dunque era quello ciò che era quel piccolo pezzo metallico, mi sentivo in colpa per il guaio in cui avrei potuto cacciarlo cosi risposi a sua madre “Ciao sono Elizabeth Collins, ho trovato il cellulare di Boris per terra assieme ai resti dei suoi vestiti, poco fa avevamo parlato e si era arrabbiato scappando, spero di non averlo cacciato nei guai, lascio tutto qui nel vicolo verso la foresta a Moon drive dentro un sacchetto spero di non averlo messo nei guai scusi l'inconveniente” lo rilessi velocemente e premetti invio, dopo raccolsi tutto e lo misi in un sacchetto e sopra la sua giacca e andai da Jack.

Lui mi stava aspettando circa due miglia più a nord, il tempo era ancora pessimo e sperai che non notasse la mia ustione, lo amavo da impazzire, Jack, o meglio credevo di amarlo da impazzire; il solo contatto con Boris mi fece provare belle sensazioni, eccetto l'ustione, certo e potevo avere buoni motivi per amarlo, era come un fratello, caldo e passionale, romantico avevamo molto in comune con lui e amarlo sarebbe stato facile, era sempre di buon umore e non si arrabbiava facilmente, ma era stato crudele con me e poi non mi aveva più parlato da mesi e ora vuole spiegare? No, Jack mi aveva accolto a braccia aperte e mi amava come la cosa più grande della sua vita e anche io lo amavo, era li appoggiato a un muro con un ombrello e gli corsi in contro

-Ciao- feci

-Tesoro guardati ti stai congelando, su vieni andiamo a casa

-Ti amo- dissi baciandolo su una guancia

-E' reciproco- fece lui ricambiano con un'abbraccio.

Prima di entrare in macchina mi voltai e vidi Luke correre verso il luogo dove Boris era scomparso, c'era qualcosa sotto e io lo sapevo bene.

 

-Boris- urlò Luke -Boris dove sei?- io non volevo rispondergli, ero troppo arrabbiato con il mondo, nessuno poteva capire come stavo, poi sentii il galoppante rumore delle zampe di Luke sul terreno, io mi ero fermato alla spiaggia, a ululare al mare nella speranza di morire presto, sapevo che ciò era impossibile, sapevo che tutto il mio dolore era causato da quel mostro freddo e succhia-sangue di Jack, Dio quanto lo odiavo. Poco dopo sentii Luke vicino a me

-Lo so- disse, avvicinò il suo muso al mio collo in una specie di coccola tra lupi, mi sentivo completamente abbandonato a me stesso

-Ti rendi conto di quanto l'amavo, e poi lei è andata a fare la troia a tradimento da quel cazzo di mostro- feci tra un'ululato e l'altro

-Boris- fece -Tu la riconquisterai, questo è più che certo, non so come ma siete destinati a stare insieme e questo non cambierà mai-

-Grazie- feci -Mi sei molto d'aiuto in questo momento- feci, ormai ero quasi calmo, a sufficienza da tornare umano, poco dopo fece la stessa cosa Luke

-Torniamo a casa- fece

-Non abbiamo i vestiti- constatai

-Gli ho portati io fece indicando una borsa piena -Ne tengo sempre un paio extra in macchina per noi- continuò sorridendo

-Grazie- feci avvicinandomi ad essa ci rivestiemmo in fretta e furia e tornammo indietro alle nostre case correndo mentre la pioggia continua ci bagnava e i lampi squarciavano il cielo tenebroso

-Sai Boris- fece Luke

-Cosa?- chiesi

-Non capisco perché continui a credere che Elizabeth possa ancora amarti, l'hai sentita no? Ormai ha Jack

-No. Lei non lo ama.- puntualizzai

-Come puoi saperlo con certezza?-

-Lo so e basta, okay? Io la riconquisterò dovessi metterci tutta la sua vita-

-Se questa è la cosa giusta da fare- fece lui tra se e se. Per il resto la nostra corsa fino alla mia moto, ancora abbandonata davanti al bar di Clara era stata silenziosa, e lenta. Quello sopratutto.

Feci accomodare Luke nel posto dietro a me e partii con un rombo attutito dall'acqua, scrotai Luke fino a casa sua e poi tornai a casa mia, dove mia zia mi aspettava

-Ti sono saltati i nervi vedo.- fece

-Luke ti ha fatto un breve resoconto, vedo- feci

-In verità non è stato Luke, era Elizabeth.-

a quelle parole restai di sasso

-Era preoccupata per te sai, perché non ci fai pace?- ipotizzò

-Perché lei non ha più bisogno di me- conclusi

-Sai bene che non è così, vero?- io rimai zitto non sapendo cosa dire mi limitai solo ad

-Se mi cerchi mi trovi in camera mia-.

 

 

L'AUTORE

E cosi siamo giunti al sesto capitolo. Bello?

Vi svelo un segreto, l'inizio di questo capitolo ha un che di autobiografico, infatti la compagna di banco di Boris Clara esiste realmente, solo le ho cambiato nome e mi sono anche fatto un'autoritratto, infatti sono l'amico di Clara, non vi preoccupate non succederà più, promesso :), la seconda parte del capitolo ci fa capire come Elizabeth provi ancora qualcosa per Boris e il suo desiderio di riprenderla.

Nel prossimo capitolo troveremo una spiacevole sorpresa per Boris ma che sarà essenziale per buona parte della storia e non voglio dirvi altro quindi se vi è piaciuta commentate/recensite e ci vediamo al più presto per il prossimo capitolo.

 

CIAUUUUU!

Il vostro Gioconiglio :)

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Capitolo 7
*** La Verità ***


ERA venerdì, a scuola era andata stranamente bene, e mi stavo preparando per il Week-end dove avrei rivelato la mia natura a Elizabeth, entrai in casa e buttai lo zaino vicino alle scale, mi tolsi le scarpe sfilandomele coi piedi dai talloni e stanco andai in cucina per salutare mia zia, lei strano ma vero non era in lì a lavorare la cena

-Ehi sono tornato- dissi

-Ciao Boris sono in soggiorno, vieni- quando arrivai nel piccolo salotto le cose di quella bella, anzi magnifica giornata peggiorarono sensibilmente, mia zia era seduta in soggiorno a sorseggiare tea con un ospite non molto gradito, di fronte a me si trovava Coraline VonCappellet che mi sorrideva in modo malizioso

-Ciao caro- fece mia zia con disinvoltura

-Ciao- feci io dopo,

-Voi del tea- domandò mia zia sorridendomi

-No, sono a posto- dissi fissando loro due che stavano dando tutto troppo per scontato, poi vedendo che nessuno mi dava risposte logicamente dovetti domandare da me

-Scusa ma cosa ci fa Coraline a casa nostra?-

-Oh che sbadata-fece mia zia, alzando un sopracciglio -Non te lo avevo detto? Ho chiamato Coraline per farti dare ripetizione di matematica- fece sorridendo, dopo qualche secondo poggiò il tea sul tavolino vicino al divano e disse alzandosi -Bene ragazzi. Io devo andare, torno alle cinque del pomeriggio, divertitevi e Boris studia mi raccomando

-Aspetta- la interruppi

-Si caro?-

-Ma io non ho bisogno di una baby-sitter- mi lamentai

-Infatti non è la tua baby-sitter, ti serve per le ripetizioni- mi diede un bacio sulla guancia

-vedrai che ti divertirai- mi sussurrò all'orecchio

-allora io vado, ciao ragazzi-

-Un mondo mi divertirò- dissi fra me e me

-Arrivederci signora Cooper- fece cortese Clara, che attese che mia zia chiudesse la porta e che salisse in macchina, quando sentì il motore avviarsi mi fece entusiasta

-Allora, cominciamo- si chinò sulla sua borsa tirando fuori svariati fogli che credevo fossero gli appunti persi a lezione, ma poi gli aprì, riconoscerei ovunque i cinque volti che mi fissavano sorridendo, erano i cantanti che mi aveva fatto conoscere qualche giorno prima

-Perché hai portato dei poster qui?- chiesi

-facile- rispose con voce ovvia -Mi servono per studiare-

-Ah, questo spiega tutto- feci sarcastico

-Vero?- rispose al mio commento come se non fosse stato un mio tentativo di sarcasmo, mentre apriva altri poster di dimensioni altro che demenziali.

-Quanti devi tirarne fuori ancora?- chiesi dopo qualche secondo

-Hum... l'essenziale- fece pensierosa

-Saranno più di dieci poster non ti sembrano sufficienti?-

Lei sbuffò -E va bene, solo dieci poster- fece con una leggera ombra di tristezza, erano tutti molto grandi e, oltre ai cinque in gruppo, mostravano sempre la stessa persona, il ragazzo biondo con il mento a culetto di cui lei era perduta, in alcuni sorrideva mostrando la sua dentatura storta, in altri era serio, con la testa appoggiata agli avambracci che poggiavano su di una superficie bianca, altri ancora raffiguranti lui a torso nudo (vedendo il suo fisico non era una cosa magnifica), in Jeans lunghi e stivali da cow-boy con una spessa cintura dalla grossa fibbia stile Western, con le mani alla sua altezza e i pollici dentro i pantaloni come per calarseli, era appoggiato ad un trattore sporco di fango e in sfondo si vedevano dei campi, mi veniva il vomito solo a guardarlo.

-Allora- feci io -Vado a prendere i libri, poi iniziamo, i quaderni gli presi in velocità, onde evitare che Clara riprendesse a parlare e subito capii di aver fatto un'ottima mossa, infatti stava già per riaprire la sua bocca.

Finito di studiare però la mia tortura ricominciò e, per quanto io le avessi chiesto se le andava di studiare ancora un po' o se le erano rimasti compiti indietro lei iniziò a parlare in continuazione dei suoi amati One Direction, finché non andò al bagno e io tirai un sospiro di sollievo.

 

Non potevo crederci, mi trovavo a casa di Boris Cooper, il mio amore eterno, e ora stavo andando al bagno di Boris Cooper a sedermi dove appoggiava le chiappe Boris Cooper, mi aveva detto che il bagno era al piano superiore a destra, aprii la prima porta, avevo sbagliato e che fantastico errore quella era la stanza di Boris Cooper, non avrei dovuto ma entrai.

La sua camera era modesta, visto che era ridosso al tetto il soffitto era inclinato e in alcuni punti proprio basso, problema da non poco visto il suo metro e ottanta e oltre. Il letto di legno a destra, a sinistra la scrivania con un portatile Apple sopra e vicino una macchina da scrivere. Era proprio accogliente escludendo il gran disordine, notai un cesto della biancheria sporca e tirai fuori una maglietta, annusai a fondo quell'odore, sapeva di sudore e basta nelle prime, ma poi annusando meglio si sentivano migliaia di odori, sentivo il sole, il mare, il , sale, la pioggia estiva e autunnale, le foglie, il muschio e la resina; da foresta odorava lui, poi ancora odorando si sentiva la schiuma delle onde e la terra, il suo odore era inebriante e fui colta da un'onda di immenso piacere, poi notai una cosa, dentro lì c'erano degli abiti ridotti a brandelli, una maglietta nera dove la parte che copriva la schiena era inesistente come le maniche, io ero una grande fan di cucito e gli strappi provenivano da dentro, come quando una bomba esplode e il suo involucro resta a brandelli, il che era ciò che era successo evidentemente, guardando meglio trovai anche dei pantaloni in uno stato simile, come un paio di mutande e di altre magliette, cosa stava succedendo? Guardai in giro alla stanza, trovai un foglio con annotate le lettere M,C, M, X, C, V, I, e I, cosa voleva dire? Era un numero romano? In quel caso sarebbe stato 1997 ma perché? Perché proprio il 1997? Perché l'anno della sua nascita?

-Clara?- fece Boris -Ci metti tanto?- capii che mi chiamava perché ero stata troppo tempo “in bagno”, così ci andai, urinai, tirai l'acqua e tornai giù

-Eccomi- feci sorridendo -allora dov'eravamo rimasti? A si- feci inizialmente pensierosa, stavo per raccontargli l'aneddoto del perché Niall Horan, la mia seconda scelta, odia i piccioni, lui non sembrava per nulla interessato, infatti pochi minuti dopo guardò l'orologio e mi disse

-Sono le quattro e quaranta, è meglio che ti prepari-

-Davvero sono le quattro e quaranta?- chiesi dubbiosa

-Eh già, vola il tempo quando ci si diverte vero?- fece sarcastico

-aspetta Boris- feci, volevo chiedergli se potevo restare a cena, gli afferrai un polso e rimasi stupita, lo lasciai subito emettendo un leggero gemito

-Boris scotti da morire, non scherzo sei bollente, almeno a quaranta gradi. Sicuro di stare bene?

-Si, sto benissimo- fece nervoso -E' meglio se te ne vai ora- propose molto serio, troppo per lui

-S-si- feci io, presi la mia roba e me ne andai, sicura nel voler trovare la verità, gli ridiedi un'occhiata e sudava, sudava e mi veniva voglia di farmelo mio, sudava e... fumava? Il suo corpo rilasciava piccole nuvolette bianche di vapore, dovevo trovare la verità.

Quella stessa sera accesi il portatile cercai su Internet con le parole chiave “Forte calore corporeo”, “Rabbia” e “Crescita muscolare elevata” l'avevo visto passare dai sedici anni all'aspetto di un ventenne in pochi mesi, premetti il tasto invio.

I primi erano tutti da escludere, come sempre erano solo siti porno, ma scendendo trovai un sito con il nome “Angolo Oscuro”, lo cliccai e il titolo era “Storie e Folclore della penisola Olimpica Americana”, il titolo mi invitava parecchio e scendendo in cerca di leggende ne trovai una degna di nota, si intitolava “Il Mito dei guerrieri Lupo e i Bianchi Cannibali”, parlava di alcune persone di una tribù dette Guerrieri che, nate in particolari momenti dell'anno, solo durante una eclissi di luna pena di estate possono trasformarsi in Lupi, e combattere così gli uomini bianchi cannibali, erano uomini europei estremamente bianchi se non che albini dalla forza e velocità sovra-umana, il corpo freddo come il ghiaccio e per vivere erano costretti a consumare sangue umano almeno una volta l'anno, attirando le vittime con l'inganno.

I cosiddetti “guerrieri” invece erano ragazzi maschi da forza e velocità pari a quelle dei “cannibali”, ma caldi, caldi come il fuoco, facilmente perdevano la calma durante i primi cinquanta anni di vita e esplodeva il guerriero che era in loro trasformandoli istantaneamente in grossi lupi, grazie a ciò i guerrieri riuscirono ad uccidere i cannibali, ma di loro non è rimasto più nessuno da centinaia di anni, anche se è sempre possibile che un feto erediti questi geni dalla madre o dal padre e possa tramandarli al figlio e così via per generazioni, ma solo i figli primogeniti maschi possono trasformarsi e solo se, come già detto nati durante una eclissi di luna piena d'estate, secondo sempre la leggenda, restano immortali, fermi con l'aspetto di un ragazzo di tarda adolescenza, a differenza dei cannibali che restano fermi all'età in cui sono stati trasformati da uno di loro.

C'era un'altra possibilità di diventare un guerriero, essere trasformati in esso prima dell'adolescenza da un guerriero della stessa età e dal forte potere.

Io restai allibita, la leggenda parlava da se, solo se fosse nato in un'eclissi di luna piena d'estate, aprii un altra pagina sul portatile e digitai “eclissi di una piena 1997” premendo invio e aprendo uno dei primi siti trovai la risposta, una risposta macabra ma ce mi sarei aspettata, ci avrei anche scommesso tutto il mio amore per lui, ce n'era stata solo una: il 17 luglio, la sua data di nascita.

Un licantropo, pensai, tu Boris Cooper sei un licantropo, ma allora... chi è il vampiro?.

 

Era un bellissimo sabato mattina, il sole splendeva su Moonlight, facendo brillare la neve rimasta e illuminando gli alberi, il cielo era di un'intenso azzurro e molto, molto terso, bellissimo si sentivano gli uccelli cinguettare e, anche se era pieno inverno era bello sapere che la vita c'era ancora li. Quello stesso giorno ero intenzionato ad andare da Elizabeth e rivelarle tutto, avevo già fatto colazione con una fetta di pane con la marmellata e un bicchiere di spremuta, mi lavai i denti perfettamente bianchi e il viso, mi vestii con una maglia marrone, una camicia blu molto scuro non completamente chiusa, pantaloni cachi con le Timberland e la mia vecchia giacca di pelle, presi su il telefono come scusa per parlare ad Elizabeth e ringraziarla per averlo protetto, persi il pick-up quel giorno, ci avevo messo tutta la sera precedente per cambiare il fusibile e ora era arrivato il momento di collaudarlo, lo misi in moto con un rombo e partii per la strada scura e senza neve.

Giunsi a casa di Elizabeth poco dopo, ebbi la grandissima fortuna di trovarla subito fuori dalla casa che salutava suo padre, spensi il motore e aspettai che si allontanasse a sufficienza per una strada opposta alla mia e, quando fui sicuro che non potesse udirmi mi avvicinai ad Elizabeth

-Ciao- feci

-Ciao fece indifferente

-Volevo ringraziarti- dissi

-E per cosa?- chiese scocciata e fredda

-Per avermi protetto il telefono e i vestiti quando ero... beh assente- lei mi guardò in modo strano con un'espressione indecifrabile sul volto

-E per scusarmi- aggiunsi -per la mano- feci indicandola -Fa molto male?- era tutta fasciata, era evidente che era andata in ospedale

-Non molto- disse -Senti c'è altro che volevi dirmi? Perché sono piuttosto impegnata ora- aggiunse

-No, ma vorrei mostrarti una cosa- dissi sorridendo -seguimi- aggiunsi

-No, Boris!- esclamò stizzita -Non voglio-

-Ti prego, lasciami almeno spiegare perché tutto questo è successo- feci implorante

-Un minuto- disse lei

-Allora vieni- feci andando verso la foresta sorridente, quando fummo abbastanza all'interno, un una piccola radura con degli affioramenti rocciosi mi fermai e mi girai verso di lei, lei mi guardò, i suoi occhi bellissimi incrociarono i miei, mi tolsi la giacca

-Boris?- fece lei, io non le badai, mi tolsi la camicia e la maglietta in un colpo solo sfilandomele dalla testa, mostrando tutti i miei muscoli, lei rimase spiazzata per due cose di cui me ne fece notare solo una

-E' un tatuaggio quello?-

-Si- feci senza fermarmi,

-Boris, rivestiti ti prego, facciamo finta che non sia successo niente okay?, ma rivestiti ti prego- fece a disagio Io non la ascoltai, mi sfilai le scarpe e i pantaloni restando solo in mutande e mi trasformai.

L'espressione sul viso di Elizabeth da imbarazzata divenne terrorizzata, soffocò un grido con la mano fasciata mentre con quella buona si teneva a terra, era caduta all'indietro dallo spavento, io per rassicurarla mi avvicinai dandole dei bacetti e sottomettendomi, lei in un primo momento sembro non capire, poi mi diede una carezza sul muso, io indietreggiai trascinando i pantaloni dietro un'albero, mi ritrasformai e me gli misi, riuscii allo scoperto con solo quelli addosso.

Lei mi guardava allibita, capivo che lei potesse essere spaventata, e lo era; io per sdrammatizzare la cosa provai ad essere indifferente e con un'espressione felice e soddisfatta

-Allora, che ne pensi?- chiesi provando a sorridere, cosa che mi riusciva benissimo, malgrado le conseguenze mi ero liberato di un peso. Mi sedetti vicino a lei

-Cosa vuoi che pensi, un ragazzo che conosco da quando è nato si è appena trasformato in un grosso lupo, non so cosa pensare. Perché mi hai fatto questo?- stava iniziando a piangere, io la strinsi in un'abbraccio il più forte che potevo, la mia pelle era calda come sempre a discapito delle temperature, lei invece fredda e solo allora capii il perché, era vestita da casa, con una tuta da ginnastica leggera. Evidentemente quel giorno non aveva voglia di fare niente e io le stavo privando quella bella sensazione, quella voglia di sedersi in divano, accendere la TV, magari con degli snack e non fare nulla.

-Stai congelando- dissi

-L-lo so- balbettò lei per due diversi tipi, il primo: Aveva freddo, lì fuori c'era la neve e l'aria fredda dell'inverno e lei indossava solo una tuta da casa, come andare in spiaggia ad Agosto con un giaccone imbottito; il secondo: Era terrorizzata, e chi non poteva esserlo? Aveva appena assistito alla metamorfosi di un ragazzo che conosceva da sempre da uomo a lupo, e che lupo, grande come un'orso, forte come un Bulldozer e bello come una divinità, anzi come solo io potevo essere, l'eternità mi calzava a pennello. E anche a lei se solo ci fosse stato il modo per trasformarla in un'essere eterno, ma non un mostro l'avrei fatto e anche molto volentieri.

-Boris- fece

-Dimmi- dissi ancora stringendola nel mio abbraccio caldo

-Tu cosa sei?- chiese abbassando lo sguardo

-Un mostro- sintetizzai

-Si ma perché?- domandò -Perché me lo vieni a dire ora?-

-Elizabeth possiamo continuare la conversazione dentro casa? Stai gelando-

-Va bene, ma tu devi spiegarmi tutto-

-Tutto ciò che ti servirà sapere- feci abbozzando un sorriso

-No, mi dirai tutto, okay?-

-Okay.- feci, presi su le mie scarpe, la maglietta e la giacca e entrai nella sua elegante casa.

Gli interni erano bianchi, ma non moderni, antichi e vintage, per lo più in legno e sotto il sottile strato di vernice bianca si potevano vedere le venature, tutto lì era bianco, ma bellissimo.si entrava in un piccolo androne dove una scala di vetro portava al piano superiore, al centro di quella stanza c'era un vaso bianco come tutto ciò che lo circondava e dall'apparenza molto antico, dentro di esso si trovava un bouchette di rose rosse come il sangue, l'unico elemento non bianco in quella casa

-Un regalo di Jack?- chiesi, lei annuì e sentii un ringhio partire dallo stomaco per raggiungere la gola che ricacciai giù istantaneamente, non era il momento di essere cattivi; girammo a destra attraverso un'arco stile vittoriano e giungemmo in soggiorno, un vasto spazio bianco, con alte finestre e mobili panna prendeva vita, l'unico elemento di colore erano dei quadri appesi e la TV in pausa dove sul monitor si vedeva una scena di “Sex And The City”, la mia supposizione sul suo sabato mattina era esatta.

Ci sedemmo sul divano modernissimo, l'uno distante dall'altro, ci stavamo guardando, il silenzio nella stanza durò qualche secondo-molti secondi- poi parlai

-Dimmi tutto ciò che hai intenzione di sapere, so che vorrai farmi delle domande-

-Perché mi hai tenuto all'oscuro di questo per tutti questi anni?- chiese senza guardarmi

-perché non volevo che ti facessi un'idea sbagliata sul mio conto- feci fissandola

-Noi due eravamo amici- quelle quattro parole mi spiazzarono, noi due eravamo amici, solo? Ero sicuro che ci fosse ben altro che amicizia tra di noi, forse amore ma era evidente che lo era per me, lei non ricambiava i miei sentimenti e non lo avrebbe mai fatto. E poi perché il verbo al passato? Credevo di aver sistemato tutto ma forse non era così, forse lei non sarebbe mai riuscita a perdonarmi ed era ora di capirlo.

-Lo so- era stata la mia risposta alla sua affermazione -Ma temevo che dicendotelo tu mi avessi scambiato per un mostro e non mi avresti più parlato, o peggio l'avresti rivelato a tutti-

-Quindi non me lo hai detto perché non ti fidavi di me?- era evidentemente scocciata

-No, cioè si eravamo bambini lo sai come sono no?- feci -Ok- continuai -Senti ti spiegherò tutto bene, tutto quello che vuoi-

-Io non voglio questo- fece

-Ho dovuto andarmene quel giorno in spiaggia!- esclamai, stavo di nuovo perdendo la pazienza, mi misi le mani a pugni sulle tempie nel tentativo di calmarmi

-Scusami- fece lei sarcastica -Sei sparito per delle ore intere con Luke, lasciandomi tutta sola con i tuoi amici idioti e sono due le cose: O tu sei gay con Luke e vi stavate scopando nel bosco come nuova esperienza o non so che pensare!- le sue parole, quelle parole erano taglienti come la lama di un coltello, la rabbia mi stava salendo

-Jack ci stava seguendo!- urlai al colmo della rabbia -Il “Tuo” Jack Ibis ci stava pedinando, per questo mi sono arrabbiato quando mi hai detto di essere fidanzata con lui, lui parlava di te come un'oggetto da possedere a tutti i costi anche a quello di uccidere tutti- feci con un po' più di calma in corpo

-Jack mi desiderava così tanto?- fece, capii all'istante che invece che allontanarla da lui la stavo facendo avvicinare sempre di più

-No, non in quel senso- feci -Hai mai notato che non odora di niente?-

-In che senso?- fece lei

-Nel senso che non sa profumo, o puzza o qualsiasi odore, come un cadavere durante la veglia funebre?-

-Si e allora?-

-Oppure che è freddo come il ghiaccio?

-Si

-Beh ho motivo di credere che lui sia...- persi la voce

-Sia?- mi incito lei, io presi un respiro profondo e dissi -Un Vampiro-

Lei sembrò allibita, i suoi occhi si spalancarono e restò senza fiato

-Un... vampiro?-

-Si- feci, sapevo che dopo quello che le avevo mostrato lei avrebbe potuto credermi

-Come lo sai?- chiese giustamente

-Io sono un... beh un Lupo in un certo senso e i lupi sai che hanno un'olfatto molto sviluppato?-

-Si-

-Ecco, come loro anche il mio è cosi e... beh sento gli odori di tutti, ognuno ce l'ha diverso e Jack, lui non ne ha nessuno, inoltre sento la gente respirare a grande distanza ma lui, beh non respira affatto, capisci- lei annuì

-Ho un'altra domanda- fece -Luke, lui lo sa?-

mi ci volle un'attimo per rispondere ma poi feci

-Si, lo sa perché ho condiviso la “maledizione” con lui-

-Perché?- fece lei

-Tu eri appena andata via e non volevo che anche lui sparisse quindi... l'ho morso-

Lei non parlò, allora io le dissi un'ultima cosa

-Senti io ti ho detto questo per un'ultimo motivo, lui- lei mi guardò male -Jack- mi sforzai a pronunciare quel nome senza tremare di rabbia -Penso sia immortale, anche io lo sono- Lei spalancò gli occhi -Non voglio venirti a dire con chi devi stare ma rimarrà con l'aspetto per sempre, tu no, per questo voglio che lo lasci per una persona vera, io voglio che tu abbi una vita piena, un marito amorevole, dei bambini, una casa tutta tua- mi colò una lacrima dagli occhi -Tu non potrai mai avere tutto questo da lui, ti prego, se non vuoi farlo per te stessa fallo per me allora, ti prego, non sprecare la tua vita cosi, non con lui dopo puoi odiarmi, potrai non volermi più ma ti prego- mi misi in ginocchi davanti a lei, con le mani intrecciare l'una all'altra mentre dai miei occhi scorrevano alcune lacrime -Non sprecare la tua vita così- ripetei -Fallo per me almeno-

Lei sembrò commuoversi, i suoi occhi erano lucidi e scendevano alcune lacrime, la sua espressione era molto triste, io le asciugai le lacrime con il pollice, non sopportavo di vederla piangere -Non piangere, ti prego- feci

-Non sto piangendo per questo, sto piangendo perché sono stupida e lo amo ancora, dopo quello che mi hai detto, perché so che è tutto vero, l'ho sempre saputo credo, ma non ne avevo ancora avuto la conferma- era affranta e provò ad abbracciarmi ma la respinsi, odiavo quando il mostro che era in me si dibatteva per uscire e sempre, o quasi usciva

-Tu non puoi amarlo- feci, o meglio fece

-Ma io non ci riesco- piangeva ancora

-Non è neanche vivo!- urlai

-Ascolta- feci un po' più dolcemente, mi accorsi solo allora che ero ancora a torso nudo e solo con i pantaloni addosso, persi una sua mano e l'appoggiai al mio petto, sentivo un lieve disagio in lei nel toccarmi i pettorali scolpiti e perfetti

-Lo senti?- domandai -Il cuore che batte, un corpo caldo, lui non ha questo tu non puoi, non devi amarlo- ora era di nuovo l'animale che parlava, lei continuava a piangere per lo stesso motivo

-Quel succhia-sangue!- urlai -Lui ti ucciderà, non è altro che un parassita!- urlai

-No B-Boris- singhiozzò-

-Devo andarmene- sibilai correndo fuori, il pick-up era ancora fermo dov'era, gli tirai un calcio facendolo muovere di qualche metro e poi un pugno sulla portiera ammaccandola, entrai e cominciai a piangere come un bambino, singhiozzavo e urlavo e grazie al mio udito sentivo Elizabeth a moti metri che faceva la stessa cosa, restai così per molto tempo, poi qualcuno mi chiamò al cellulare, presi fiato sufficiente per calmarmi e guardai chi era, Coraline, a proposito di parassiti; risposi

-So cosa sei- era molto seria e lo disse appena premetti il tasto verde -Devo parlarti, domani alle dieci sotto casa mia, sii puntuale- disse e poi riattaccò

So cosa sei, quelle parole rimasero statiche nella mia mente, che intendeva? Come faceva a saperlo, come faceva a sapere che ero un licantropo? Non poteva essere vero, forse credeva che io fossi gay come Elizabeth poco fa, la sentivo ancora piangere così decisi di andare a casa, probabilmente era meglio se oggi non mi fossi più avvicinato a lei, misi in moto il motore e andai a casa alla massima velocità senza riprendere neanche gli indumenti lasciati da lei.

Fortunatamente casa mia era vuota così nessuno poté vedermi mezzo nudo e farmi il classico interrogatorio, andai di sopra mi misi una maglietta e controllai se avevo ancora un paio di scarpe, fui fortunato mi erano rimaste giusto un paio di scarpe di pelle marrone, tagliate a mo di stivaletti che portavo un bel po' aperte e lasche, ero fortunato, almeno le scarpe c'erano.

 

 

L'AUTORE

Eccoci giunti al capitolo 7, abbiamo compreso cosa prova Elizabeth e il colpo di scena di Coraline.

Nel prossimo capitolo le tessere del puzzle cominciano a combaciare e prendere forma, e vedremo il ritorno di Luke che era da tanto che non c'era.

Se il capitolo vi e piaciuto, recensitelo e noi ci vedremo il prima possibile.

 

CIAUUUUUUU!!!

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Capitolo 8
*** Rivelazioni ***


 

 

 

 

 

-Ciao- fece Luke di felice

-Ciao- feci io, felice del suo buon umore

-Come stai?-

-Bene, devo parlarti- feci in tensione -Troviamoci domani di fronte a casa mia, alle otto e sii puntuale- continuali

-Come?- chiese lui

-Fa come ti dico- feci ancora più un tensione

-Certo- fece -E' grave?-

-Si. È grave- feci

-Non possiamo parlarne adesso?-

-Okay, raggiungimi alla spiaggia- dissi

-Perché lì?

-Perché e un luogo lontano da orecchie indiscrete-

-Okay- fece lui -Ora?- continuò

-Si, presto- conclusi -Non preoccuparti, porto io qualcosa da mangiare- riattaccai.

Presi una borsa dall'armadio e ci misi dentro un cambio per me e uno per Luke, non si sapeva mai, e scesi già in cucina, a mia fortuna i miei non erano ancora tornati ed ebbi il tempo di preparare con calma l'occorrente, feci alcuni panini al prosciutto, tre a testa, presi dal frigo un'intera scatola di pizzette e una di mini-muffin alle gocce di cioccolato. Portai via anche due bottiglie d'acqua, mi misi le ultime scarpe che mi restavano, caricai tutto sul retro aperto del furgone e partii.

La spiaggia di inverno era moto carina il mare si era un tantino congelato bei pressi della riva, la neve occupava un po' tutto il lungomare, gli alberi a confine tra la foresta e l'oceano erano congelati, sempreverdi bianchi da neve e ghiaccio, con lunghe stalattiti diagonali che seguivano la direzione del vento, era uno scenario irreale.

Subito notai la macchina di Luke già parcheggiata, logicamente era arrivato prima di me e non tardai a raggiungerlo. Era seduto su uno scoglio a torso nudo che guardava l'oceano, io lo raggiunsi correndo con la borsa sulla spalla sinistra

-Ehi- feci sorridendo

-Ciao- disse lui sfoderando un sorriso a trentadue denti

-Non fa freddo per aver dimenticato la maglietta a casa?- feci sarcastico, lui rise

-Non sono a casa i tuoi, vero?- chiesi indicando il tatuaggio

-Negativo- fece sempre mantenendo il buon umore, poi guardò la borsa che tenevo sotto il braccio

-Mangiamo?- chiese

-Si- risposi dandogli al volo un panino, mangiammo seduti sulla sabbia gelata mentre parlavamo del più e del meno, alla fine finimmo tutto ciò che avevo portato e, visto che avevamo finito gli argomenti di conversazione arrivai dritto al dunque

-Senti- dissi

-Ho scoperto una cosa non molto rassicurante- iniziai

-Dimmela- mi incitò lui, io presi un respiro profondo e gli dissi la più pura e semplice verità o ciò che credevo fosse la verità

-Coraline VonCappellet, la mia compagna di matematica sa tutto di noi-

-In che senso?-

-Nel senso che mi hai chiamato e mi ha detto di sapere tutto, di sapere ciò che sono in realtà, che siamo, meglio- feci

-E allora che facciamo?- chiese

-Domani alle dieci mi ha detto di andare da lei, vuole delle spiegazioni-

-Ovviamente non ci andremo-

-Potrebbe rivelarlo- sibilai -Andiamo lì, gli diciamo la verità le chiediamo di mantenere il segreto, e quando avremo compiuto diciassette anni ce ne andiamo come stabilito, okay?-

-E con Elizabeth?- fece lui a condiscendente

Io non sapevo che dire, la amavo. Questo era tutto ciò che sapevo, la amavo a non l'avrei mai trasformata in uno di noi, la preferirei morta piuttosto che come noi, o peggio, come lui, presi un bel respiro, la cosa mi faceva male male, come un coltello piantato nel mezzo del mio petto, ma a differenza delle ferite vere, quella non sarebbe mai guarita.

-La dimenticherò- feci, lui mi guardò, non sembrava convinto proprio per niente

-Certo- fece lui sarcastico

-Proverò a dimenticarla- mi corressi un po' scocciato, lui mi guardò mettendomi una mano sulla spalla, restammo qualche attimo a guardare il mare

-Non ti mancherà questo?- feci, lui restò zitto qualche secondo, poi dissetante

-Si, Dio sa quanto- toccavo quella sabbia tanto bella, chiara quanto grossa, la sabbia della nostra infanzia.

Restammo lì fino a sera, Luke aveva portato il pallone da calcio, così facemmo qualche partita, lo stracciai, era bello passare del tempo con Luke infatti era sempre simpatico e di buon umore, gli piaceva parlare e con lui non ci si annoiava mai. Senza accorgercene si era fatta sera, restammo li a guardare il crepuscolo, il sole rosso fuoco che stava velocemente tramontando sotto il confine del mare, lasciando il cielo rosso, arancio, rosa, verde grigio e infine blu scuro, nell'irrealtà del momento presi una piccola bottiglia portata dal mare, grande come una fialetta di medicinali, trasparente di vetro, senza riflettere molto la presi, era asciutta

-Che fai?- Chiese Luke

-Hai detto che questo luogo ti- -Ci- mi corressi -Ci sarebbe mancato terribilmente, ecco- feci prendendo un pugnetto di sabbia chiara e grossa e inserendola dentro la fialetta di vetro e chiudendola con il suo piccolo tappo di sughero -ora avremo sempre con noi un piccolo goccio di Moonlight sempre con noi.- lanciai la piccola bottiglia a Luke che la prese al volo e se la mise in tasca sorridendo.

Il giorno dopo mi svegliai di soprassalto, l'incubo che avevo fatto era ancora nell'aria ma non riuscivo a ricordarmelo, mi voltai più e più volte sul letto, cercando invano di riaddormentarmi. Poco dopo mi girai e presi in mano la sveglia, la girai nelle mie grandi mani e infine lessi l'ora, cinque e mezzo. Troppo presto per la colazione ma troppo tardi per tornare a dormire, optai per una doccia fredda, mi rilassava farmi la doccia, sopratutto quella fredda e l'acqua delle nostre tubature in inverno è fredda come quella di un lago ghiacciato in Alaska, mi lavai bene, corpo e capelli più volte, l'acqua fredda abbassava per breve tempo la mia temperatura corporea, facendola sembrare quasi come quella di un'umano normale, finché non finisce e finisce.

Finita la doccia mi asciugo e mi metto dei vestiti puliti, dei pantaloni cachi, una camicia stretta di uno scuro blu di Prussia, quasi nero con gli ultimi tre bottoni aperti e le maniche tirate su in modo da scoprire entrambi gli avambracci, sopra una giacca di pelle, ai piedi i miei ultimi stivaletti rimasti, ma colazione mangiai due tazze di cereali, avevo proprio una fame da lupi, in tutti i sensi; guardai l'ora dall'orologio appeso in cucina, le sette e cinquanta, Luke sarebbe spuntato dalla strada da un momento all'altro, così mi avviai in camera a recuperare il cellulare e in garage per la moto, lui mi raggiunse poco dopo.

Era in macchina, mi sorrideva come il suo solito era di ottimo umore, mi guardò, prima me poi la moto e disse

-Vai in moto?-

-Non credevo che venissi in macchina- ammisi riportandola in garage e salendo sulla sua bellissima automobile, guidava lui, mi voltai nei sedili di dietro dove regnava il caos. Aveva portato dei vestiti di ricambio e gliene fui grato, già mi aspettavo che lei, quella piccola rompi scatole, chiedesse una dimostrazione, oltre ai vestiti c'erano degli alimenti come patatine, barrette e lattine di coca-cola, oltre ad una valanga di cartacce.

-Allora, prossima fermata Coraline- fece lui, il suo sorriso era scomparso

-Ci tocca- feci io con il medesimo umore

-Dopo di che?- chiese

-Chiuderò con Elizabeth, me ne frego se ha ancora dei miei vestiti a casa o se si mette con un succhia-sangue- feci un po' triste

-Perché così presto?- domandò -Cioè abbiamo ancora qualche mese prima che compiamo gli anni- fece

-Si ma è meglio fare un taglio netto-

-Vuoi andartene prima?-

-In che senso?- feci

-Nel senso preferisci che ce ne andiamo tipo fra un mese?- io mi scaldai

-No Luke, abbiamo solo sedici anni, io ne faccio diciassette a luglio e tu il ventuno agosto

-Sono solo pochi mesi, posso sopravvivere

-Non sto mettendo in dubbio questo- puntualizzai -Ricordi ieri, che dicevamo quanto ci sarebbe mancato tutto questo- feci, solo ora mi accorsi della piccola bottiglia adagiata sul porta lattine, ci aveva incollato un pezzo di carta sopra, come l'etichetta di una bottiglia di vino, con su scritto “Sabbia di Moonlight”, mi venne una stretta al cuore a vederla, a vedere l'enorme sacrifico a cui lo stavo ponendo -Beh- ripersi -Voglio che viviamo al meglio i nostri ultimi giorni qui, chissà poi quando ci ritorneremo e quanto sarà cambiata come città, come atmosfera-

-Magari diventerà una grande città, tipo Los Angeles- fece Luke serioso

-Magari non esisterà più- dissi io -Magari l'abbandoneranno tutti per trasferirsi a Seattle, o in qualche grande città nella East Coast o in California-

-Già- era stato il suo unico commento.

La casa di Coraline era da tutta l'altra parte della città, lontana da tutto e da tutti, arrancata sul pendio del Monte Olimpo, due ore erano a malapena sufficienti per raggiungerla, era una casetta ad un piano di legno dipinto molto tempo fa di giallo, ma ormai la vernice era venuta via quasi completamente, parcheggiata vicino c'era la sua auto, una macchina vecchiotta, grigia da un'aspetto comune, quella dei suoi non c'era, per fortuna dovevano essere andati via.

Parcheggiammo vicino alla sua macchina e suonammo il campanello.

Ad aprirci era Coraline, prima guardò bene me, poi sposò lo sguardo su Luke, sembrava molto seria e infastidita, non l'avevo mai vista così

-Che ci fa lui qui?- domandò arrabbiata indicando Luke

-Riguarda anche lui- feci, lei ora sembrava triste, come quando mentre si legge una saga di libri e si arriva alla fine di tutta non si sa se essere felici perché era molto bella e ti resterà sempre nel cuore o tristi perché il cerchio si è finalmente chiuso e non resta più niente da scoprire, quella sensazione dolce-amara era visibile nei suoi occhi

-Allora non era come temevo- fece

-Cosa non temevi?- chiese Luke con impertinenza

-Siete gay vero?- chiese seria, io guardai Luke e Luke guardò me e scoppiammo a ridere, una risata fragorosa nel silenzio irreale di quel posto, ci riguardammo e riscoppiammo a ridere, lei ci guardava seria, e un filino arrabbiata

-Mi spiegate che c'è da ridere?!- sbottò

-Non siamo gay- fece Luke tra una risata e l'altra, dopodiché un po' alla volta ci placammo e lei ricominciò a parlare

-Tu- era rivolta solo a me in quel momento ma si corresse -Voi, siete delle teste calde, perdete il controllo quasi subito- Ora mi sarei aspettato una battuta da parte di Luke ma non la fece, sapevamo entrambi dove stava andando a parare, una goccia di sudore mi scese dalla testa

-Siete caldi, troppo per delle persone normali, mi sono quasi scottata toccandoti Boris- io ripensai alla mano fasciata di Elizabeth, dell'altro sudore mi colò addosso e stava succedendo uguale a Luke

-Siete così muscolosi, troppo muscolosi per questa età e vi sono cresciuti in un'attimo- ne eravamo sicuri, quell'incontro non avrebbe dovuto esistere, Luke stava tremando, sapevo che poteva trasformarsi da un momento all'altro, gli tenne un braccio guardandolo, sembrò avere capito e si calmò un po'

-So cosa siete- concluse lei

-Dillo- la minacciai, lei esitò

-Dillo- ripeté Luke con il mio stesso tono di voce -Coraggio- lei mosse appena le labbra, dicendo muta quella parola ma alle nostre orecchie giunse ben chiara:

Licantropi.

Noi non sapevamo che fare, quelle parole avevano colto nel segno, anche se sapevamo che lei lo sapeva, fino all'ultimo avevamo sperato che si sbagliasse ma non era così.

-Come l'hai capito?- domandò Luke

-Una ricerca su internet- fece lei -Ho trovato un sito che parlava delle leggende di questa zona e ho trovato la vostra- continuò tremante per la notizia, Luke stava per sire qualcosa ma lo interruppi

-Che altro hai letto?- chiesi

-Niente altro, di come sono arrivati gli europei e voi stupidamente gli aveva scambiati per... beh ecco... vampiri- quello era stato un'altro treno che mi arrivava addosso, mi sentivo vuoto me allo stesso tempo fin troppo pieno, non avevo idea di che pensare

-Parlamene- mi uscì dalla bocca senza neppure pensarci, era stato il lupo dentro di me a dirlo, Luke si girò con un'espressione tradita in volto

-Avevi detto che ci rinunciavi- fece, io gli feci cenno di tacere e lei cominciò a raccontare

-In pratica la leggenda dice che voi- fece indicandoci -Difendevate la tribù da questi vampiri che uccidevano le vostre donne seducendole e...-

-Luke, Elizabeth- feci interrompendo Coraline

-Elizabeth cosa?- fece lei con impertinenza -E poi perché devo dirvi io le leggende del vostro popolo, non dovreste tramandarvele di generazione?-

Non la badammo, Luke aveva capito a cosa mi riferivo e corremmo in macchina, io prima di aprire la porta mi riavvicinai a Coraline

-Grazie, ci sei stata molto utile- gli sussurrai all'orecchio -Non dire a nessuno ciò che siamo, metteresti a rischio il mondo-

-Okay- fece un tantino sconvolta per l'ultima cosa che gli avevo detto, poi corsi in macchina; il motore era già acceso, rombava impaziente mentre Luke lo faceva andare su di giri, la mia portiera era già aperta e appena montai nel veicolo il mio compagno di branco partì all'impazzata.

Il viaggio sarebbe stato molto lungo, se da casa mia a quella di Coraline ci si impiegavano due ore, per arrivare a quella di Elizabeth potevano allungarsi fino a tre, per fortuna io e Luke non temevamo la velocità e stavamo spingendo la macchina al massimo su quelle stradine ripide dove un umano avrebbe già perduto il controllo

-Non hai esagerato?- chiese lui ad un certo punto

-Su che cosa?- domandai

-Se rivelerai qualcosa di noi il mondo finisce, fiumi di lava si abbatteranno sul globo e i suoi poster si smaterializzeranno- fece prendendomi un po' in giro

-Beh se gli avesi detto questo allora si, ma ciò che gli ho detto io era...- si un'esagerazione -Diciamo...- -Un'incentivo- conclusi

-Un'incentivo?- chiese, voltò la testa a destra e a manca e scoppiammo a ridere, una risata che non si voleva proprio fermare, poi feci

-Almeno così sappiamo che non dirà niente a nessuno-

-Speriamo- fece lui ora serio, si voltò guardando fuori dal finestrino.

Non parlammo di molto altro mentre ci affrettavamo a raggiungere la bellissima casa di Elizabeth, io avevo trafficato un po' con la radio ma niente di più. Ma poi finalmente la vidi sbucare fuori dal verde, mi affrettai a bussare, bussavo con tutta l'intensità che avevo mentre Luke mi raggiungeva, poi la porta si aprì.

Non era Elizabeth, cosa brutta, ma neppure Jack il Succhia-Sangue, cosa bella, era Bobby Collins il padre di Elizabeth, cosa molto brutta; io non badai a convenevoli, arrivai dritto al punto

-Dov'è Elizabeth?- domandai secco

-Non ti sembra di aver già combinato abbastanza casini?- fece lui ancora più secco

-No- feci -Dov'è, è importante-

-Lei non è qui- concluse quasi sbattendomi la porta in faccia, io misi un piede sull'anta bloccandola

-Dov'è?- chiesi ora scocciato

-Non. È. Qui.- fece lui -E non te lo dirò, non mi piacciono quelli della tua razza- quelle parole equivoche mi avevano fracassato la testa, Bobby da padre amabile era diventato una creatura insopportabile, dal nostro ultimo incontro ero diventato più alto, più forte, riuscivo tranquillamente a tenergli testa ora

-I miei antenati sono nati in queste terre, io ho più diritto di stare qui di quanto ne abbia tu- dissi a denti stretti avvicinandomi a lui fino a un palmo dal naso, tremavo e mi stavo riscaldando tantissimo, le mie origini non erano un'argomento da sottovalutare, lui sbuffo divertito e seccato

-Non venirmi a rinfacciare la storia dell'indiano d'America, non intendevo questo e lo sai benissimo- ora capii, quelle parole non erano equivoche, lui non andava d'accordo con quelli della mia razza

-So benissimo cosa sei, tu e il tuo amichetto- disse indicando Luke -Tuo padre mi aveva detto tutto anni fa, credevi che avessimo lasciato Moonlight così per fare?- continuò ora arrabbiato, ora ero fuori di me

-Ma lasci passare che tua figlia frequenti uno schifoso succh...-

“Boris” Luke era dentro ai miei pensieri, provava a calmarmi “Non dirlo” continuò, io stavo per esplodere, raccolsi quel po' di dignità umana che mi restava

-Andiamo Luke- feci voltandomi -Stiamo perdendo tempo- poi mi rivolsi a Bobby

-Moonlight è piccola, non sarà difficile trovarla- aggiunsi molto arrabbiato, salii in macchina e Luke fece lo stesso, partimmo.

-Che stronzo- feci io a denti stretti

-Non badarci- fece Luke -Che facciamo adesso?-

-La cerchiamo- risposi ancora un po in collera

-E dove stiamo andando?- fece, solo allora mi accorsi che ero io al volante, un po mi sentivo in colpa; era la macchina di Luke, non era saggio usarla senza il suo permesso

-Scusami- feci

-Di cosa?- domandò

-Ti ho preso la macchina- glielo feci notare, lui sbuffò

-Eh dai! Siamo praticamente fratelli- fece sorridente, questo commento mi fece sorridere anche a me, era proprio vero; eravamo fratelli, fratelli di branco. Provai a chiamarla, primo “Bip” Logico, pensai, secondo “Bip” Ora starà cercando il telefono, terzo “Bip” Okay, quarto, proprio non lo trova eh, poi arrivarono il quinto, il sesto, il settimo, l'ottavo e il nono, al decimo sentii la sua voce

-Ehi ciao-

-Ciao- feci felice

-Questa è la mia segreteria telefonica, ora non posso rispondere, lasciate un messaggio.- mi venne da accartocciare il telefono, sentii il bip e riattaccai

-Segreteria?- chiese Luke

-Segreteria- feci

-Dove andiamo?- chiese di nuovo

-In centro, se è fuori è li- feci, il centro di Moonlight era praticamente quasi tutto affacciato alla strada principale, ad eccezione di pochi negozi interessanti, percorremmo tutta la strada in auto sperando di vederla su un marcia piede, la cosa non funzionò, lasciammo l'auto in un parcheggio alla fine della via ed entrammo in tutti i negozi, in nessuno la trovammo, poi venne il turno del bar di Clara

-Ehi ragazzi!- fece felice

-Ehi Clara!- fece Luke felice

-Come state?- bene tu?-

-Bene che vi offro?-

-Niente siamo solo di passaggio- feci io

-Eh dai un solo caffè non farà mai male- fece già preparandolo, io sorrisi

-E va bene, però ti dobbiamo fare una domanda-, lei aveva già fatto i caffè che ce gli servì belli caldi, io ne bevvi un sorso e domandai

-Conosci Elizabeth Collins?-

-Certamente, la bella ragazza che è tornata a vivere qui da dove? New York vero?

-Si, beh non è che l'hai vista oggi?- domandai

-Certo, ha ordinato un caffè insieme ad uno, un tipo molto tenebroso; mi hanno lasciato la mancia-

-E poi?- -Ti hanno detto dove andavano?-

-No, lui era di fretta però- il mondo mi cadde addosso, era così allora; era troppo tardi, l'aveva già uccisa, il mio caffè lo finii in un sorso inumano in tutta fretta, Luke l'aveva già finito e aveva capito ciò che pensavo, infatti stava già uscendo

-Grazie di tutto ci vediamo- feci affrettandomi all'uscita, sul bancone lasciai un biglietto da venti.

-Che facciamo adesso?- chiese Luke preoccupato

-Andiamo a salvarla- feci obbiettivo

-E come?- -Non sappiamo dove vive Jack, non abbiamo nessuna chanse, sarà già morta per quanto ne sappiamo-

-Sta zitto!- esclamai -Prendi gli abiti di ricambio in macchina, ci serviranno-

Lui fece ciò che gli avevo detto, la borsa di carta marrone era nella sua mano, procedemmo di corsa per alcuni isolati finche non arrivammo in uno stretto vicolo tra due alti edifici di mattoni, alcuni bidoni dei rifiuti quasi lo ostruivano, davanti a noi si apriva il sotto bosco; li mi tolsi scarpe, maglie e pantaloni mettendogli in borsa, restai solo in mutande e correndo giunsi in foresta, senza accorgermene erao già a quattro zampe, ora tutti i suoni, tutti i rumori sembravano amplificarsi, grazie ai miei occhi vedevo tutto, gli alberi da cui grondava linfa, le felci, il muschio sotto le nostre possenti zampe, tutto. Poi fiutai l'aria, sentivo gli odori di molte persone, di molti animali, gufi, cervi, alci orsi, altri lupi anche e poi sentii una traccia familiare, dolce e piccante, un po' come una fragola, un po' come il pepe; Elizabeth

“Di qua” pensai e iniziai a correre come un lampo, mentre Luke mi era dietro con la macchina.

“Sicuro di quello che fai?” pensò Luke

“Mai stato più sicuro”pensai entusiasta, se sentivo ancora il suo odore voleva dire che era ancora viva, ma non necessariamente al sicuro, cosa che non mi metteva a mio agio.

Con le mi zampe stavo correndo come un pazzo, di quando in quando ululavo, in modo che Luke potesse seguirmi in macchina svoltai a nord, poi ad est su per il pendio del monte Olimpo, mi accorsi che, per fortuna Luke era ancora a poche centinai di metri da me, in una stradina alla massima velocità, avevala borsa con i vestiti con se, stavo continuando a salire, la neve che a bassa quota quasi non c'era più qui era sempre più alta, il ghiaccio si sentiva freddo sulle mie zampe, non dava fastidio, tutto li sembrava fermo, statico, poi giunsi in fronte ad una vecchia casa, Luke arrivò poco dopo. La Signora Reed era stata l'ultima proprietaria, era morta tre anni fa, quasi mi ero scordato di lei, sempre così gentile, dava a me e Luke un sacco di caramelle tutte le volte che ci vedeva, era proprio una signora con un cuore d'oro.

La casetta aveva le pareti di legno, ora in decadenza, tutti le finestre erano rotte e la porta d'ingresso scardinata, io mi trasformai in umano rivestendomi di fretta, Luke diventò lupo per sicurezza; mi avvicinai alla porta ed entrai.

Dentro la casa era ancora più decadente di quanto potesse sembrare all'esterno, la carta da parati gialla era tutta staccata dalle pareti, ricadeva su un pavimento di legno sporco e rotto, in tutta la struttura regnava un odore di morte, decomposizione ed abbandono. Era buio li dentro, niente faceva passare luce, l'aria era viziata e fetida, tanto che gli occhi mi lacrimavano; poi sentii piangere.

Mi affrettai alla fine del corridoio, dove un arco per metà crollato dava accesso ad un salone completamente vuoto, come nelle altre sale la carta da parati era venuta via quasi tutta dalle pareti e giacevano sul pavimento, di fronte a me si trovavano due grandi finestre dai vetri infranti, gli scuri erano schiusi da tempo e alcuni si erano staccati dal muro esterno e restavano in piedi solo grazie al loro scuro fratello che gli teneva su, mi voltai guardando la parete a destra rispetto a dove mi trovavo, la parete era quasi completamente distrutta, si vedeva la stanza dietro, la cucina, vedevo un frigorifero arrugginito, al centro di quella parete c'era un caminetto bianco di legno marcio, la colonna in mattoni era ancora in piedi e su di essa era legata Elizabeth, le braccia in alto legate con una corda ad un chiodo molto grande piantato sulla struttura rossa, i piedi legati al caminetto in decomposizione, indossava un vestito bianco, i piedi erano nudi, le scarpe giacevano dall'altro lato della strada, neppure il vestito era suo, i suoi erano vicini alle scarpe, stavo esplodendo di rabbia al solo pensiero di cosa gli aveva fatto quel verme, stuprata e violentata forse, non lo sapevo e non volevo saperlo per l'incolumità di chiunque mi stesse vicino; era completamente sconvolta, piangeva e credevo non avesse la minima idea di ciò che stava succedendo, mi guardava con occhi privi di qualsiasi espressione, non sembrava lei, sembrava una pazza, niente altro che una pazza, io mi avvicinai a lei velocemente ma il più silenziosamente possibile, non sapevo dove potesse essere Jack, forse era fuggito sentendoci arrivare o forse si era nascosto, in un'altra sala, in quel momento non m'importava, m'importava solo di salvare la mia Elizabeth.

-Elizabeth! Elizabeth!- esclamai, lei non rispose, continuava a piangere

-Resisti, ti porto via di qui!- feci slegandole i piedi'

-Dietro- fece con un filo di voce

-Cosa?- feci io

-Dietro di te-

Non avevo avuto il tempo di reagire a quelle parole, fui preso per la coppa e lanciato in dietro, sfondando una parete e battendo la testa sul gabinetto lercio dall'acqua marrone, dal soggiorno ero arrivato al bagno, non ero svenuto ma avevo un forte dolore alla testa e al braccio destro, guardai in terra e capii che stavo sanguinando, il mio braccio era completamente tagliato, molti tagli di piccole dimensioni sul braccio e due più grandi e profondi sull'avambraccio, inoltre ero certo che stavo sanguinando alla testa, Jack si stava avvicinando a grandi passi verso di me, ero completamente disorientato non capivo niente, mi sentivo niente e lui mi riprese a se, sentivo la sua mano sul mio collo e la testa che sbatteva sul pavimento crepandolo, sentivo il naso rompersi, poi reagì.

Mi girai verso di lui, gli sferrai un destro, poi un sinistro, lui finì per terra e chiamai Luke con tutto il fiato che avevo in gola, arrivò Luke sfondando l'entrata e il corridoio, un'enorme lupo non poteva stare dentro quei luoghi angusti, si occupò lui di Jack, lo sentivo gridare e Luke ululare, io mi occupai di Elizabeth, gli slegai i piedi, poi le mani e la tenni in braccio, lei aveva ancora l'aria disorientata, usata, stuprata magari, mi veniva molta voglia di tornare in dietro e ucciderlo con le mie mani quella bestia, ma non lo feci, per Elizabeth; la portai fuori dall'edificio pericolante, mettendola in macchina, la stavo abbracciando.

Lei non capì subito cosa stesse succedendo, ma quando i suoi occhi si posarono su di e pianse, pianse in modo forte, fragoroso, mentre io aprivo le mie braccia e la facevo accomodare al loro interno, in quel caldo abbraccio, sapevo che la potevo amare anche più di così, che potevo prenderla, baciarla in modo non molto innocente, per dirle tutto il mio amore, tutta la passione che avevo per lei.

Ma non lo feci.

Lei era ancora stretta a me a piangere, quando arrivò Luke che prese di nascosto un paio di pantaloni, non volevo che lei lo vedesse nudo, gli coprivo il volto con le mie grandi spalle, solo quando Luke se gli misi gli parlai

-E' morto, vero?- feci impaziente, lui fece di no col capo

-Quel bastardo è scappato prima che lo finissi, che verme!- fece tirando un pugno alla portiera che si ammaccò, entrò e partimmo per la città, feci a Luke di andare per l'ospedale. Elizabeth riprese conoscenza poco dopo, mi guardava, ero tutto insanguinato, il braccio sopratutto, e Luke aveva una ferita alla testa, lei stava per rimettersi a piangere, ero seduto nel sedile posteriore, lei sdraiata con la testa appoggiata a me

-Come stai?- chiesi accarezzandole i capelli

-Bene- mentì -Che ti è successo?-

-Lunga storia, non voglio raccontartela ora, ci pensiamo dopo okay?-

Lei si guardò intorno, poi mi riguardò

-Perché perdi sangue? Ti hanno ferito? Dove stiamo andando?-

io risposi solo all'ultima domanda

-In ospedale-

-Per te?-

-No, per te- dissi accarezzandola, lei si tirò in piedi a sedere sul sedile del passeggero

-Ti ha...- non sapevo come dirla restando sul vago -Che ti ha fatto?- feci, lei sembrava stesse per ricominciare a piangere

-Mi voleva mostrare la sua casa, io quando l'avevo vista sbucare tra gli alberi mi sono spaventata, era abbandonata, allora gli dissi perché fossimo lì e lui mi colpì alla testa, non ero pienamente cosciente e...- scoppiò a piangere -E mi ha spogliata, poi rivestita con quel vecchio abito e legata- I singhiozzi aumentarono -Mi ha picchiata finché non persi conoscenza, poi mi sono svegliata e tu mi stavi slegando e lui è tornato, poi ricordo che mi stavi portando fuori- io la accarezzai, poi le baciai la fronte

-Come mi hai trovata?- chiese ora che si era un po' calmata

-Ho seguito il tuo odore- lei si accorse di aver sbagliato domanda

-Perché mi hai cercata?-

Io esitai, dovevo dirglielo o meno? Il mio cuore mi diceva di tirare fuori il coraggio, il mio cervello mi diceva di fermarmi lì, lo stomaco era già impazzito, contagiò il cuore, poi il cervello, sapevo che era quello il momento, sentivo le guance arrossire, mi voltai a guardare fuori dal finestrino, tornai a posare gli occhi su di lei e la feci accomodare tra le mie braccia, con due dita le tirai su il mento in modo che mi guardasse, era arrossita

-Perché ti amo- feci e la baciai sulle labbra.

 

 

__________________________________

 

L'AUTORE

ciauuuuu!!! piaciuto il capitolo? Vorrei ringraziare tutti i lettori silenziosi che non recensiscono, in particolar modo la mia amica Francesca che ogni capitolo mi chiama per dirmi che ne pensa.

Ora non posso rivelarvi nulla di cosa succederà, ma vi dico che ho uno schema mentale per la trama generale.

Mi raccomando se vi è piaciuto lasciate una recensione (anche negativa) e noi ci risentiamo in un prossimo capitolo.

CIAUUUUUUUU!!!!!!

il vostro gioconiglio XOXO

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Capitolo 9
*** difendere ***


QUEL bacio, quel bacio che avevo tanto desiderato ora l'avevo dato. La lasciai, mi staccai dalle sue carnose e morbide labbra, fu lei ad avvicinarsi a me ora, me ne diede uno lei, le nostre lebbra si schiusero un bacio passionale, ora eravamo solo no due, lei ed io nel niente, sospesi dal niente come se fossimo nello spazio infinito, era bianco, sapevo che tutto questo sarebbe presto finito, speravo però che continuasse comunque. Ora sentivo che lei era pronta, le nostre lingue entrarono in contatto, io accarezzavo la sua e lei la mia; era una passionale e continua danza tra desiderio e malizia, come un'eclissi di sole a mezzogiorno; era impossibile, eravamo nostri, io ero suo e lei mia. Poi iniziò tutto a finire, le nostre bocche si richiusero e si staccarono, poi si ricongiunsero di nuovo e infine si allontanarono

-Ti amo- ripetei dolce

-Anche io ti amo, ti amo più di chiunque altro a questo mondo e lo sai, l'hai sempre saputo- fece tenendomi una mano su di una guancia, aveva una lacrima agli occhi, lei mi amava e non potevo essere più felice di così, finalmente era mia.

-Fa male?- chiese tenendomi il braccio ferito

-No- feci -Non molto ma con te vicina il dolore è sopportabile, tutto è sopportabile-

Eravamo arrivati all'ospedale, a Moonlight non ce n'erano, così Luke ci aveva condotti fino a SkyLand, una città molto più grande della nostra, e più a nord, la sua baia e il suo porto attiravano molti turisti, c'erano cinema, bar, alberghi e ristoranti nella zona turistica, ma noi eravamo capitati in una zona d'uffici in periferia, dove l'ospedale generale era la struttura più grande.

Io ed Elizabeth eravamo ancora abbracciati che ci dicevamo i nostri amori reciproci, le nostre passioni e desideri, Luke era rimasto in silenzio per tutto il viaggio, cosa che non era da lui, evidentemente era disturbato dal nostro comportamento, oppure la sua testa doveva dolere moltissimo a causa della ferita, che aveva ormai inondato la sua testa di sangue, come il mio braccio che era rosso scuro quanto ne aveva perso, Elizabeth invece tremava ancora un po', era lei quella in condizioni più gravi visto cosa le era capitato.

-Cosa diremo quando entreremo?- chiese lei a me

-Quello che è successo- feci, facendo un segno d'intesa a Luke che ricambiò

-Come?- fece lei a occhi aperti, un'attimo stupita -Non dovreste restare nell'ombra, nascosti agli umani?-

-Infatti- risposi

-Diremo che qualcuno ti ha messo le mani addosso e noi ti abbiamo difesa, quello che è successo- spiegò Luke, lei a quella risposta si strinse di più a me, gli riscese una lacrima dagli occhi ormai circondati da un'alone nero che era il suo make-up; Luke mise l'auto nel parcheggio d'emergenza, scese e aprì la portiera a me ed Elizabeth io la presi in braccio, era ancora scalza e con addosso quel vecchio vestito bianco, segno della perversione di quel maniaco succhia-sangue. Subito entrati Luke urlò

-Ci serve un medico-

E di nuovo subito eravamo stati assaliti da un'onda di medici ed infermieri con delle tute verdi di plastica, delle mascherine alla bocca e guanti alle mani che ci divisero mettendoci -o meglio- mettendo me e Luke in dei lettini bianchi dotati di rotelle, io protestavo

-No! Devo stare con Elizabeth- lei non era stata messa su una delle nostre brandine ma l'avevano seduta in una sedia e le stavano facendo domande dopo domande, lei tremava ma quegli idioti non sembravano accorgersene

-E' lei quella in condizioni più gravi! Lasciatemi, portate lei!- ma era inutile, mi sdraiarono e portarono in barella dentro una serie di corridoi, non sapevo che fine avessero fatto Luke e lei ma sentivo i mdici discutere

-E' ferito!- disse uno

-La sua temperatura supera i quaranta due gradi!- fece un'altra in panico

-Sto bene- feci io in tono normale, ma loro sembravano non notarlo, continuavano con i loro discorsi

-Il battito cardiaco è accelerato!- urlò una

-Serve del sedativo!- fece un'altra con la siringa in mano

-No! No!- urlai, quella era la mia temperatura normale, quello era il mio battito normale, andare lì era stata una pessima cosa, come potevano dei normali medici curare uno come me? Mi sentivo uno stupido, ero terrorizzato all'idea che mi avrebbero sedato, e se non mi fossi più svegliato? E se non avesse fatto effetto? E se mi trasformassi? L'infermiera stava prendendomi il braccio ancora buono, e mi infilò l'ago in vena.

Sentii un'enorme dolore penetrarmi nelle ossa, nei tessuti, ovunque, poi iniziai a perdere i sensi; vedevo il corridoio sdoppiarsi, per poi tornare tutto insieme, sentivo delle voci, parevano distanti ma sapevo che erano vicine, parlavano o meglio, vomitavano parole che non comprendevo, nella visione sempre monotona di quei lunghi corridoi verdi, a volte vedevo anche delle persone sedute su delle sedie vicine a delle porte pesanti a capo chino, con le mani incrociate e gli occhi sventrati, provai ad alzare la testa ma una mano mi bloccò. Attraversammo una porta di metallo scura, poi un'altro corridoio e sentii gli occhi pesanti, un'altro e non sentivo più, un'altro e non c'ero più.

Ero da solo adesso, ancora in quel lettino, di fronte a me nero, sotto di me nero, ovunque mi girassi nero, poi apparvero delle persone, prima Coraline, mi parlava ma facevo fatica a sentirla

-Lui la sedurrà, poi la ucciderà devi salvarla- disse mentre si allontanava

-E come?- feci io con un filo di voce, sapevo che non mi aveva sentito -Lui è immortale e più forte di me- era come un mio pensiero ad alta voce, ma lei lo udì; in un battito di ciglia era sopra di me

-Lei morirà!- urlava, la sua voce sembrava essere prodotta da un'immenso coro, i suoi occhi erano neri

-Se non fai qualcosa lei morirà!- dalla sua bocca uscirono insetti che divorarono, scomparve.

Ora ero in un bosco, fiori, gli alberi pieni di muschio, la riconoscevo, era la foresta attorno a Moonlight. Vedevo Elizabeth, correre veloce, io ero il lupo e la seguivo ma lei era più veloce di me, dietro a noi c'era Jack che ci inseguiva, io correvo con tutte le mie forze ma lei era più veloce e mi stava davanti, lui era più veloce e mi superò e la prese con se ed esplose in una pioggia di sangue ed organi che m'inondarono.

Poi eravamo io e Luke, sulla spiaggia ad osservare il mare che si frastagliava sulla costa, producendo scintille di luce riflessa di un sole rosso a tramonto, sentivo l'aria sulla faccia e sembrava tutto bellissimo, Luke mi parlava

-Che diremo?- chiese

-Che è inciampata ed è caduta da un precipizio- feci io, la mia coscienza non comandava quelle parole, niente comandava quelle parole, non ero io o meglio, non il vero me, Luke alzò una lattina e il non-me vece lo stesso, tintinnarono mentre le bevevamo; poi lei uscì dall'acqua, era una vampira , trasformata da Jack forse, non lo sapevo, prese Luke e lo uccise, poi si accanì su di me che mi alzai e mi spostai, ma allo stesso tempo restavo dov'ero, come se il mio corpo si muovesse ma io restassi sempre fermo immobile, il mio corpo cadde a terra morto non so come e lei si uccise.

Ripresi i sensi piano piano, avevo capito che si trattava della realtà perché la pinza che toglieva le schegge di vetro era vera e faceva male, ora potevo sentire le persone intorno a me parlare, il vetro insanguinato che veniva messo in un piatto di metallo che tintinnava, l'odore di sangue; il medico mi guardò

-Tu sei Boris Cooper?- chiese senza segno d'importanza, io non ero ancora completamente lucido

-Si- risposi un secondo in ritardo

-Stai bene?- continuò con lo stesso interesse di prima

-Si- questa volta ero credibile, solo ora mi accorsi che mi avevano tolto giacca e camicia per curarmi -Dove sono i miei amici?- chiesi

-Intendi il signor Johnson e la signorina Collins?- io rimasi un'attimo interdetto, come quando un'amico ti domanda come si chiama tua madre e tu stai per rispondere “mamma” da quante volte l'hai chiamata cosi

-Si- risposi

-Bene- fece sempre più disinteressato -Il ragazzo è a posto, è una ferita da niente- fece, io feci segno di continuare ma lui non mi badò, così glielo domandai

-Ed Elizabeth?-, lui sembrò interdetto nel rispondermi o meno, poi però lo fece

-Senta- iniziò -La signorina Collins sta parlando con uno psicologo, era sconvolta e in uno stato confusionale, ci servirà una dichiarazione per lasciarti andare, se vuole faccio entrare un'agente subito- fece abbassando la pinza e prendendo ago e filo da sutura, io annuii e lui lo chiamò.

Entrò in stanza un omone grande e grosso, l'uniforme blu era in netto contrasto con la pelle scura e due grandi baffoni aleggiavano sul suo volto, alla cintura portava delle manette, una torcia e un'arma, cosa che mi fece rabbrividire, si avvicinò a me.

-Sono il tenente Brown di SkyLand, tu sei?- chiese tirando fuori un taqquino e una penna, con i quali prendeva appunti

-Sono Boris Cooper- ripetei -Di Moonlight- aggiunsi

-Okay Boris, che è successo?- chiese annotando nome, cognome e città da dove provenivo; mentire stava diventando facile, gli raccontai tutto nel modo da non includere vampiri e licantropi nel racconto

-Allora, io e Luke, il mio amico, stavamo facendo un giro, quando abbiamo sentito qualcuno piangere, allora abbiamo seguito quel suono fino a trovare Elizabeth, un verme la stava molestando, credo, o comunque non le stava facendo delle coccole, non l'ho visto in faccia, fatto sta che lui mi ha colpito, io ho reagito insieme a Luke per difesa e prima ha colpito Luke con qualcosa, facendolo finire a terra, poi mi ha lanciato contro la sua auto, si era rotto il parabrezza, o un finestrino non so, fatto sta che poi è fuggito con la macchina lasciandoci soli- L'agente mi guardava strano, in cuor mio sapevo che non se l'era bevuta, ma poi mi disse

-Okay, va bene, ho già interrogato Luke e mi ha detto uguale, vado a sentire Elizabeth- fece, poi uscì.

Io restai solo con il medico in quella camera angusta, le pareti erano verdi acqua, per terra c'era del Linoleum, la stanza era dominata dalla brandina e la postazione del medico, dove si trovavano molti strumenti e il piatto metallico dove si trovavano le schegge di vetro che poco prima mi aveva tolto dal braccio, i punti che mi stava mettendo, mi guardava in modo distratto, mentre continuava a fare dentro fuori nella mia pelle

-Fuma?- mi chiese

-No- risposi -Perché?-

-Volevo sapere, quanti anni hai?-

-Dic...- mi interruppi, ma certo, aveva visto il mio tatuaggio e mi scambiava per un ragazzaccio, che stupido a non capirlo subito, pensai

-Ventuno compiuti- feci

-Ha la carta d'identità qui?-

-No-

-Patente?-

-No, non guido io- mentii

-Okay, qui ho finito, può andare- fece

-Grazie, dov'è la mia camicia e la giacca?-

-Appese al muro- mi girai e le vidi, la camicia me l'avevano lavata ed asciugata, anche se restava strappata, indossai sia la camicia sia la giacca di pelle che non presentava fori, ringraziai il medico e mi affrettai ad uscire, prima gli chiesi se sapessi dov'era Elizabeth

-Stanza 281- fece sempre distratto e privo d'interesse

-Grazie- feci e me ne andai.

Solo quando uscii mi accorsi che erano la cinque e tre quarti, mi aspettava una bella sgridata al mio ritorno, ma ora non mi importava, raggiunsi la camera di Elizabeth con l'ascensore, Luke era fuori seduto su una sedia, lo salutai abbracciandolo e restammo in silenzio ad aspettare Elizabeth, non volevo parlare, troppo stanco, comunicavamo con il pensiero

“Come va il braccio?”

“Bene, la tua testa”

“Ho perso parte del cervello” io lo guardai

“Scherzo”, sorrise

“Sei un idiota” e risi, alcune persone mi guardarono, decisi che era meglio tornare serio per non passare per uno squilibrato, del resto eravamo sempre in reparto psichiatria

“Hai notizie di Elizabeth?” pensai in domanda

“No, gli stanno chiedendo che è successo, credo”. Dopo di che non parlammo d'altro, lei uscì pochi minuti dopo, era felice nel vedermi, le avevano lavato il braccio che si era sporcato del mio sangue, ma il vestito era rimasto macchiato di rosso, io la salutai dandole un succoso bacio schiuso sulle labbra che lei ricambiò con piacere

-Com'è andata? Che ti hanno detto?-

-Che mi riprenderò, mi hanno consigliato di vedere una psicologa- mi disse porgendomi un biglietto, io non lo lessi

-Che hai intenzione di fare?- domandai

-Non voglio andarci, preferisco non pensarci e mi riuscirà di sicuro se avrò te vicino- fece dandomi un bacio sulla guancia, poi si rivolse a Luke

-Grazie per avermi aiutata, in tutto- lo abbracciò, lui le diede una pacca sulla spalla, era la prima volta che eravamo così da molti, troppi anni.

-Che facciamo?- domandò Luke

-Mangiamo insieme- propose Elizabeth, con entusiasmo

-Tesoro- feci -Il tuo vestito è...- non trovavo un modo per non ferire -Sporco, e non hai le scarpe- feci

-Ci fermiamo un secondo, ho dei soldi- fece sorridendo, credo di contare sul tuo senso estetico Boris- fece

-Va bene- conclusi -Hai il telefono per avvisare tuo padre?-

-Si, doveri averlo lasciato in macchina- disse a settimo cielo

-Bene, andiamo allora- era Luke.

Uscimmo senza pagare le cure, mi sentivo un po' un verme a non farlo, ma non avevamo soldi sufficienti per le cure, raggiungemmo il parcheggio in fretta e furia e salimmo in auto.

Quando finalmente uscimmo dal parcheggio interrato dell'ospedale notai che il sole era già calato e la luna e le stelle avevano preso il suo posto in un cielo stranamente sereno, nel tempo che eravamo anche usciti dall'enigmatico parcheggio all'aperto ero riuscito ad inviare un messaggio a mia mamma

“Io e Luke abbiamo avuto un'imprevisto bello però, ci tratteniamo per cena torno verso le dieci” lo inviai.

-Hai avvisato tuo papà?- feci ad Elizabeth che se ne stava accoccolata sul mio torso

-No- fece -Adesso lo avviso-

-Digli che sei uscita con delle amiche- proposi

-Perché?-

-Diciamo che non ci sopporta- feci io sorridendo e dando una pacca sulla schiena a Luke che guidava.

-Perché?- ripeté lei, ma stavolta il senso della domanda era un'altro, io presi un bel respiro

-Sa che cosa siamo- feci

-In che senso?-

-Sa che siamo dei... beh dei Lupi-, lei parve contrariata

-Perché? Non me ne ha mai parlato?- domandò più a se che a me

-Voleva proteggerti, non essere in collera con lui- feci abbracciandola stretta

-Mi ha privato di voi due- fece lei

-Lo so, ma immagina se io avessi perso la calma o comunque se la perdessi ancora adesso, cosa accadrebbe?- -Verresti ferita o ti ucciderei e se...- mi interruppe

-Amore, amore questo non può succedere-

-E come lo sai?-

-Perché continuerei a ricordarti quanto tu sei speciale- fece accarezzandomi le guance dov'era cresciuta un filo di peluria dai giorni in cui non me la facevo, ci baciammo di nuovo. Un bacio meno forte o passionale del primo, ma comunque bello

-Invia un messaggio a tuo padre, sarà in pensiero- feci, lei obbedì.

Avevamo guidato per appena qualche chilometro e già la città si stava animando e il primo negozio di vestiti ci siamo fermati, Elizabeth era stata fortunata, infatti era si una marca da pochi soldi ma anche carina, molte mie compagne di classe erano solite a comprare abiti lì.

-Okay, che taglia ti prendo?- domandai

-Una “M” dovrebbe andare- fece

-Di scarpe?-

-direi che il 37 e mezzo dovrebbe andare- fece baciandomi la guancia

-Tu Luke hai bisogno di qualcosa?- domandai

-No, sono a posto- fece, io uscii dalla macchina ed entrai in negozio.

Entrando notai che c'era solo una commessa, una ragazza di circa sedici anni, dai capelli corti, con alcuni ciuffi tinti di viola, aveva un pearcing al naso e uno all'orecchio, non era molto carina e quel suo aspetto dark era in netto contrasto con la divisa arancione del negozio, non sembrava interessata al suo lavoro ma più che altro a me, era evidente che il mio aspetto l'aveva colpita, infatti mi stava sempre attorno, più che con gli altri pochi clienti che c'erano in quel momento e mi attorniava con dei “Vuoi una mano”, “Se hai bisogno di qualsiasi cosa, chiamami” o ancora “Che cerchi di bello?” tutti i messaggi ovviamente avevano un secondo fine, più intimo e sconcio del primo, proponendomeli anche con voce calda e bassa.

Trovai dei bei vestiti per lei, un vestito rosa acceso senza maniche, avendo paura però che soffrisse il freddo le comprai anche una giacchetta nera e un paio di scarpe dalla suola alta anch'esse nere, trovavo che insieme non stessero affatto male, poi pensai al comprarmi una caicia nuova che fortunatamente trovai dello stesso colore e modello della mia. Pagai le sue cose e la mia camicia con metà soldi suoi e metà miei, non volevo spendesse troppo per quanto quei prezzi fossero bassi e tornai in macchina.

-Ecco i vestiti!- feci sorridendo, lei sembrava felice ed entrai, Luke si girò in rispetto di lei e l'aiutai col togliersi il lungo e pesante vestito da nonna bianco e mettersi quello rosa, quella fu la prima volta che la vidi in biancheria intima, i suoi seni erano valorizzati con un reggiseno bianco senza spalline che le facevano avere una taglia in più, le sue mutandine erano bianche anch'esse, parevano fatte di niente e non potevo non dire che non mi ero in parte eccitato a quella vista

-Posso aprire?- chiese Luke, lei sorrise

-Certo cucciolotto- fece con voce molto materna, come parlasse ad un vero cane, lui sembrò prendersela per finta per quel commento, mentre lei si metteva la giacca e le scarpe io mi tolsi il giubbotto di pelle e la camicia, restando a torso nudo, ora vidi io un fremito di piacere attraversare il suo corpo, sapevo che le piaceva il mio fisico e mi toccò gli addominali, io le presi la mano e me la portai alla bocca, le baciai i polpastrelli, poi le carezzai la guancia. Mi misi la camicia nuova e la vecchia la buttai

-Possiamo andare?- domandò Luke

-Certo- feci io guardando Elizabeth però, lui mise in moto la macchina e ci avviammo a cercare un ristorante, SkyLand non ne aveva moltissimi, ma comunque molti di più rispetto alla mia piccola Moonlight. Pochi minuti dopo eravamo arrivati alla zona più turistica, molte persone erano nei marciapiedi ai lati della strada, alcune tornavano a casa dopo una giornata di lavoro, altre erano come noi alla ricerca di un buon ristorante dove passare in felicità la serata, nella strada c'era un po' di coda, ma nulla di grave e alla fine ci trovammo di fronte ad un ristorante italiano, dentro era animato da molte persone, una canzone lirica usciva dalle sue mura e un forte odore di pizza invase le nostre narici anche se eravamo ancora in macchina.

-Che ne dite?- chiese Luke indicando il ristorante con il pollice

-Dico che è okay- fece Elizabeth sorridendo, io annuii

-Perfetto- concluse Luke svoltando in un vicolo e parcheggiando la vettura nel parcheggio del ristorante nel retro.

Appena entrati ci accolse molto calorosamente una donna anziana di origini italiane, era più bassa di noi, dai capelli scuri non ancora grigi anche se nel viso delle rughe erano visibili, era in tendente sovrappeso e agli occhi portava degli occhiali viola, indossava un vestito non elegante, con legato davanti un grembiule bianco, sembrava molto esuberante nei suoi modi

-Salve- fece Luke alzando una mano in segno di saluto

-Bona Sira!- esclamò lei parlando in un dialetto italiano

-Siamo in tre- continuò sorridendo

-Un tavolo per o'scarrafone, a su'fidanzata e l'ammichetto- fece con un misto di parole tra inglese e siciliano ad un'oste

-No, no ,no- fece Luke sorridendogli -Lei non è la mia fidanzata- io ed Elizabeth ci stavamo guardando a vicenda provando a non ridere ma allo stesso tempo eravamo stupiti che Luke ci capisse qualcosa di quel minestrone linguistico

-Oh Oh Oh!- stava ridendo? Non capivo -E' l'Ammichetta?- fece dandogli pacche sulla spalla -Si nu bravu guaglione-, poi parlò a noi tre

-Amunì!- fece facendo un cenno con la mano, noi decidemmo di seguirla. La vecchia pazza ci portò in una saletta a parte nel ristorante pieno, era molto carina e calda, le pareti erano rosse, di finto stucco dove c'erano affrescate alle pareti finte finestre che davano su colli scoscesi dove erano vaste le coltivazioni di vino, ci fece accomodare in un tavolo al centro della sala tutto tondo, poi tirò fuori dalla tasca centrale del suo grembiule un blocchetto e una penna evidentemente serviva per le ordinazioni, sul tavolo erano disposti quattro menu, lei ne prese uno e se lo mise sotto il braccio, noi leggemmo in silenzio.

-Chi voli?- chiese, io non avevo capito ciò che stava dicendo, guardai Elizabeth che sembrava più incerta di me e ci voltammo verso Luke che però stava guardando noi con la medesima espressione, ci stava insultando o voleva prendere le ordinazioni, io provai a parlare

-Okay, io prendo degli spaghetti e della coca cola- feci incerto

-Io una pizza e del te freddo- era Elizabeth incerta anche lei

-Io...- Luke era indeciso -Quello che ha preso lui- fece indicandomi, lei annotava tutto sul block, dall'altro lato del ristorante un uomo urlò qualcosa che non capii

-Zìttuti!- urlò lei a lui andandosene, prima che la sua voce fosse mascherata dalle tante voci nel piccolo edificio capii la frase “Che do cojoni”, poi più niente.

-Allora- era Luke -Che si fa?-

-In che senso?- domandò Elizabeth

-Ti portiamo a casa, ci daremo dei turni di notte e di giorno per proteggerti, Jack non ti farà del male.- Luke annuì, lei scosse la testa

-Dovrete pur dormire, non potete stare svegli ventiquattrore su ventiquattro per me, è fuori discussione- esclamò, io l'abbracciai

-Tesoro, per te questo e altro e poi anche Luke è d'accordo, noi possiamo saltare un giorno o due eh- la baciai su una guancia rosea, lei non sembrava d'accordo sul piano ma arrivarono le ordinazioni e la conversazione cadde nel nulla.

Non mangiai bene, era la prima volta che mangiavo spaghetti e non mi piacevano, erano viscidi e lunghi, come enormi vermi al denti che annegavano in una salsa di pomodoro in scatola, mangiai a malincuore mezza porzione, il resto la lasciai lì quanto mi disgustavano; più o meno la stessa reazione fece Luke allo stesso piatto che però lo finì dalla fame, la scelta migliore era quella di Elizabeth, la sua pizza sembrava proprio deliziosa, dalla pasta morbida e il pomodoro fresco, quando mi domandò se ne volessi un pezzo non me lo feci ripetere due volte e assaporai felice la pizza

-Bravo fido- fece lei come se stesse parlando ad un cane

-I cani sono stupidi- feci mandando giù -Sono migliori i lupi- poi risi e rise e rise anche Luke; tutto era perfetto, tutto era come doveva essere tranne per una, no due cose: Primo: Jack, quel bastardo succhia-sangue meritava una morte lenta e dolorosa dir poco, come essere calpestato da tori o lapidato o meglio mutilato pezzo per pezzo finché non ne resta nulla, prima le unghie poi le dita, le mani, poi i piedi e gli arti a ruota e seguono i genitali e infine tutto finche non gli resta solo il cuore e la testa che lo guarda essere estratto dal suo petto morto e morto una seconda volta e poi più niente.

Secondo: Luke, io sapevo che era felice anche se gli ho praticamente rovinato la vita, sapevo che saremmo stati sempre insiemi, Elizabeth un giorno morirà; è matematico, lei non è immortale e so che quando quel giorno verrà sarà come avere il cuore trafitto da migliaia di lame, come perdere una parte di me -una parte molto, troppo grande di me- quella parte che ti fa vivere; forse non mi ucciderò non voglio privare Luke di quel poco che gli resta e anche se ora sembrava felice in verità non lo era, era triste dentro il cuore, non c'era nessuno per lui oltre a me, nessuno con cui passare la vita, dov'era il suo per sempre felici e contenti?

Non avrei avuto pace finche quei due punti non fossero finiti, forse il secondo di più ma ora dovevo concentrarmi su Elizabeth.

Il nostro piano continuava a non convincere Elizabeth, l'idea che noi faticassimo la metteva a disagio e non avventuriamoci nei rischi, aveva paura di perderci, era comprensibile lei ci amava, a due modi diversi certo ma ci amava e questo giustificava tutto.

-Come facciamo allora?- domandai ad Elizabeth -Dobbiamo proteggerti, lo capisci che quel pazzo è libero e verrà a cercarti, Dio se verrà a cercarti, io non posso far succedere questo, devo impedirglielo, devo proteggerti e se il nostro piano non ti piace allora dicci tu cosa fare perché io non lo so e questo mi sta spaventando e ogni secondo che passa lui è sempre più vicino e tu ucciderà, poi ucciderà anche me e Luke, dicci tu cosa fare e noi la faremo, ti prego.- la stavo veramente pregando, la pregavo che fosse attenta alla sua decisione, non volevo che nessuno di noi si facesse male e speravo che il suo piano fosse leggermente migliore rispetto al mio

-Ci sono- fece -andiamo in Florida-

-E come?- fece Luke sarcastico interrompendola -È impossibile, che diremo ai nostri? E agli altri, a Michael per esempio e agli insegnanti, è troppo stupido- lei sembrò contraria

-I vampiri muoiono alla luce- fece secca, io l'abbracciai e le stampai un bacio sulla fronte

-La versione Hollywoodiana non rende giustizia al mito, loro non muoiono al sole, e come potrebbero, sono già morti- lei si accoccolò fra le mie calde braccia

-Non so che fare- era molto preoccupata

-Qualche idea Luke?- feci guardandolo, alzai un sopracciglio e per la prima volta mi si videro alcune rughe d'espressione, lui rimase zitto per un paio di secondi, poi disse

-Facciamo così; tu Elizabeth stai a casa e fa come se noi non esistessimo, Boris farà il primo turno di notte domani andrai a scuola e ti staremo sempre incollati dopodiché starò io con te e Boris si riposerà, continueremo fino a quando non verrà fuori e poi lo uccideremo- a quelle parole lei si strinse a me ma entrami sapevamo che era la cosa giusta da fare.

 

 

 

 

L'AUTORE

siamo al capitolo 9 e i tasselli si stanno mettendo a posto, vorrei dirvi che mi dispiace molto se questo capitolo è uscito così tardi ma ci sono state un casino di cose questo mese, i primi dieci giorni di settembre sono stato in inghilterra e quindi non ho potuto scrivere nulla, poi tornato a casa ho scoperto che il computer si era rotto, infatti anche ora la batteria non funziona, ed ero al mare dove non avevo hard disk per fare un backup, sono tornato a casa il tredici mi pare e ho fatto i backup, poi è iniziata la scuola e quest'anno sono in prima liceo quindi una bella mazzata tutti i giorni e finalmente oggi che non stavo bene e mi sono preso la giornata per me sono riuscito a terminare il capitolo e a postralo.

Comunque se vi è piaciuto per favore fate una recensione (anche negativa [ma speriamo di no :3]), vorrei ringraziare anche tutti quelli che stanno leggendo la mia storia ma non recensiscono e noi ci risentiamo al prossimo capitolo (non vi anticipo nulla- muhahahahaha)

CIAUUU!!

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Capitolo 10
*** La Notte ***


IL RITORNO a casa fu silenzioso, avevamo speso un po' troppo del dovuto all'italiano e mi stavo preparando alla nottata di guardia, avevo scritto ai miei che avrei dormito da un'amico, non avevano risposto forse era un si, chissà.

La foresta era semi illuminata da alcune luci fievole che provenivano da vecchi lampioni divenuti verdi dal muschio e rossi dalla ruggine, dagli alberi neri con appena qualche ramo illuminato di giallo spuntavano a volte piccoli animali, gufi, barbagianni o piccole lucertole; quella sera, o meglio, notte si gelava, il termometro della macchina di Luke indicava due gradi sotto lo zero e Elizabeth, a nostra differenza, gli percepiva; era avvinghiata al mio braccio per riscaldarsi mentre io la cingevo in un abbraccio caldo e sensuale, tremava e io lo sentivo il silenzio era interrotto solo dalla radio da dove proveniva una vecchia canzone d'amore

-Come ci si sente?- domandai io ad Elizabeth

-In che senso?- domandò lei guardandomi dritto negli occhi

-Com'è avere freddo?- specificai, lei provò a rispondere la prima volta ma si trattenne per elaborare meglio il discorso

-E' strano, non ti senti bene, gli arti fanno un po' male e perdono la sensibilità non ti senti a tuo agio, non so descriverlo bene ma non è bello- si strinse più a me

-No invece- replicai io -Dev'essere bello, provare qualcosa intendo, io il freddo non l'ho ma provato e credo che mai riuscirò a provarlo-

-E il caldo?- chiese

-Quello si, è forte e onnipresente, anche nei momenti dove dovrei battere i denti- sorrisi e solo allora lei si accorse – e anche io – che stavo sudando

-Ehi- fece Luke -Siamo arrivati-

La casa di Elizabeth era semi illuminata, una luce era accesa anche se a quell'ora tutti dovrebbero dormire, lei smontò subito e io la seguii ma prima presi dalla macchina una maglietta e un paio di pantaloni, non si sapeva mai, mi stavo allontanando quando Luke mi chiamò

-Ehi Boris- io lo raggiunsi

-Che c'è?- chiesi, lui mi diede una cosa in mano senza mostrarmela e chiudendomela, aprii la mano

-E' sempre meglio averne prima che sia troppo tardi- rise

-Sei un'idiota!- feci ridendo -A che mi serve un preservativo?- me lo misi in tasca senza pensarci e salutai Luke ridendo ancora.

Aveva parcheggiato abbastanza distante dalla casa di Elizabeth così da non dare nell'occhio, io accompagnai fuori Elizabeth

-Allora, tu ora va a casa, io ti raggiungo dal retro, ti terrò sempre a vista okay?

-Okay- fece lei e ci avviammo mentre la tanto conosciuta macchina di Luke se ne andò in silenzio.

 

“Okay” feci io a Boris prima che lui, con una borsa di vestiti in mano, iniziasse a correre lontano dalla strada, verso i boschi, sapevo che mi stava tenendo d'occhio così raggiunsi la mia casa con maggiore fiducia di quanta ne avessi potuta avere in un simile momento, aprii la porta con le mie chiavi che portavo sempre in tasca, scricchiolava nel suo aprirsi

-Ciao?- feci, nessuna risposta, l'intero edificio era silenzioso come non era mai stato

-C'è nessuno?- ancora nessuna risposta, allora andai in cucina e il mio disagio svanì all'istante, un foglio bianco era sopra il tavolo moderno, lo presi in mano.

“Elizabeth sono andato a pesca, ho sentito che è la notte buona; torno domani pomeriggio, spero che ti sia divertita con le amiche.

Un bacio papà.” il foglio recitava parole giuste, mio padre era solito ad andare a pesca da sempre, la calligrafia era senz'altro la sua, avrei riconosciuto quella scrittura inelegante e disordinata ovunque ed era logico che non era stato costretto a scriverlo dal verme, senno una scrittura tanto rilassata sarebbe stato impossibile mantenerla. Così diedi il biglietto per buono e accesi la tivù, davano un programma sui matrimoni fin troppo melenso anche per me, così optai per un film, il primo che trovai trattava un amore impossibile dove il ragazzo di lei moriva, decisi che non era il caso e misi un horror, la protagonista sempre bellissima e vestita solo in biancheria intima veniva uccisa da un vampiro “No” pensai, girai l'ultima volta e di nuovo il film trattava di vampiri e lupi mannari ma cosa aveva il mondo oggi contro me, decisi allora di prepararmi alla nottata di sonno anche se sapevo che non avrei mai dormito al pensiero di Boris in pericolo, salii le scale fino al bagno più vicino a camera mia e mi lavai i denti, mi guardai allo specchio, l'immagine riflessa era davvero brutta, avevo gli occhi stanchi e i capelli da pazza e decisi che per il momento una pettinata ai capelli sarebbe stata più che sufficiente, dopodiché presi solo il cellulare e me lo portai in stanza da letto, lo collegai al ricaricatore e lo abbandonai sopra il comodino vicino al letto, solo allora provai a prendere il sonno, cosa che in poco tempo divenne ufficialmente impossibile e mi ritrovai a smanettare sul telefono nel tentativo di inviare un messaggio a Boris.

 

I miei vestiti giacevano vicino a quelli puliti ancora ben piegati nella borsa, vicino ad essi c'era solo il mio telefono mentre io sorvegliavo scrupoloso la casa di Elizabeth pronto a tutto, sentivo e vedevo bene come il giorno tutto, alcune gocce d'umidità cadevano placide da sempreverdi scuri e alberi spogli con i primi tenui e chiari germogli che spuntavano qua e la tra i lunghi rami che sembrava volessero toccare il cielo con i loro sottili rametti. Poco più in la dei gufi e dei barbagianni cantavano noiosi una qualche melodia tramandata da intere generazioni, tutt'intorno sentivo numerosi grilli ed insetti cantare rumorosi i suoni dei boschi, più in la sentivo il mare, quello scuro oceano di segreti che viveva sotto la superficie chiara e trasparente e che si infrangeva sulla dura parete di roccia grigia e nuda emettendo boati e strascichi, molto lontano a nord un lupo ululò seguito da altri, avrei tanto voluto ululare una risposta ma mi trattenni, pochi secondi dopo sentii il mio cellulare vibrare, mi avvicinai ad esso lentamente, con un filo di curiosità, riuscii a leggere il messaggio senza toccare il cellulare con le mie zampone da lupo, era di Elizabeth “Ehi amore, mio papà è andato via qui vicino a me mi sentirò decisamente più al sicuro, ti preeeeego” Non capivo perché volesse che io venissi a casa sua, a quale scopo? Cantarle la ninna nanna? Tutto ciò non aveva senso e io decisi di restare attinente al piano a aspettare l'inevitabile fuori, magari sarei anche riuscito ad ammazzare lo stronzo, sicuramente anzi ma d'altro canto se non lo vedessi? E se venisse dalla porta principale? Sicuramente Elizabeth sarebbe riuscita ad avvisarmi in tempo e io sarei corso subito da lei, era certo ma se tutto ciò non avvenisse? Se lui riuscisse comunque ad arrivare a lei, magari mentre è già addormentata? Era un rischio immane, ma io come contro colpo ci sentivo bene, anzi sentivo egregiamente tutto ciò che stava succedendo intorno a me, cosa doveva fare un povero lupo come me in una simile circostanza? Entrare da lei e sperare che niente e nessuno si avvicinasse a noi o non entrare e sperare che tutto vada bene? Entrare o non entrare, entrare o non entrare? Entrare. Mi dissi. Mi ritasformai velocemente e mi rivestii con i vestiti del giorno prima, raccolsi le mie cose e mi avvicinai al retro di casa sua, inviai prima un messaggio a Luke con scritto di darmi il cambio, non attesi risposta.

La sua finestra era aperta e con facilita riuscii a salire fino al primo piano dell'edificio con solo quattro balzi, ora ero dentro alla sua camera bellissima, dopo anni ero di nuovo in camera sua, lei era ancora sveglia, sdraiata a letto, ma non mi aveva visto.

-Lasciare le finestra aperta con un pazzo maniaco che vuole ucciderti non mi sembra una cosa molto saggia- dissi avvicinandomi a lei sorridendo, lei sussultò

-Mi hai spaventato- fece dandomi un pugnetto sulla spalla mentre io ero vicino a lei e mi sdraiavo sul sul letto.

La sua camera era stupenda, il bianco come nelle altre stanze dominava sovrano, un letto a baldacchino dalle lunghe tende semi trasparenti e ricamate con motivi floreari era collocato nel mezzo, lei era sotto delle coperte ricamate finemente di pizzi, sopra c'era la pelle di pecora bianca, di fronte al letto si trovava un vecchio comodino d'epoca circondato da altre bellezze bianche, un armadio a parete con alcuni specchi collocati sulle ante, tutto in camera sua era perfetto, come se il momento magico che era allora avesse modificato tutto ciò che ci circondava, la perfezione regnava sovrana.

-Come stai?- le domandai ora sdraiato a letto, io fuori dalle coperte e lei sotto, mi guardava con sguardo pieno d'amore e passione, gli occhi erano lucidi ma non da pianto e la sua faccia senza trucco era comunque perfetta

-Ti amo, Dio quanto ti amo- fece e congiungemmo le nostre labbra in un bacio lento e che lentamente si schiuse come un fiore in primavera, le nostre lingue entrarono a contatto formando complicate forme e nodi mentre io la stringevo a me tra le braccia e lei teneva il mio volto dove ora stava crescendo un po di barba incolta tra le mani morbide, com'erano morbide, io senza staccarla da me mi tolsi le scarpe dai talloni con i piedi, lei mi amava e io ricambiavo con tutto l'amore possibile; la notte era magica e frizzante, mille stelle brillavano in cielo, tutto era perfetto e c'era elettricità nell'aria, la baciai di nuovo con più forza e convinzione, ora mi stavo infilando sotto le sue coperte, così belle, così perfette. Le mie mani si spostarono sui suoi seni deliziosi, lei si tolse la maglietta che aveva per dormire restando solo in reggiseno che dopo poco venne via grazie alle mie mani abili, mi tolsi poco dopo la mia maglietta restando a torso nudo, i nostri corpi stavano lentamente aderendo, mi ricordai delle protezioni che portavo con me appena in tempo, appena prima che fosse troppo tardi, la persi e me la misi sul mio membro eretto, la danza sensuale proseguì, ora mi tolsi i pantaloni e le mutande, cosa che lei fece in contemporanea mentre le nostre labbra continuavano da sole con morsi e succhi, ora i nostri corpi aderivano alla perfezione, lei allora iniziò ad emettere piccoli guaiti di piacere mentre io le davo soddisfazione, poco dopo la mia bocca si staccò dalla sua per attaccarsi ai suoi sensi sensuali, le succhiavo i capezzoli come fa un bimbo con la madre alla ricerca di latte, ma i miei intenti erano senz'altro diversi, lei ora mi stava succhiando una spalla, aprì le gambe per accontentarmi, la mia erezione era a contatto con la sua parte, iniziai a sentire piacere ed entrai in lei, la mia piccola ebbe uno spasmo per la comparsa inaspettata dentro, una scossa elettrica la percosse dalla testa ai piedi, iniziò a guaire in modo sensuale, le piaceva ed io iniziai a entrare ed uscire sempre più velocemente

-Ah, Boris si, continua ti prego, non ti fermare- diceva eccitata, io ubbidii senza obbiezioni e poco dopo estrassi il mio membra da lei, portandolo alle sue lebbra succose, lei iniziò automaticamente a succhiare portandomi in un vortice i estasi, io ora me la stavo prendendo brutta, portai un mano nel suo davanti e misi dentro due dita, lei esultò ed io iniziai a muoverle delicatamente e dolcemente, questa danza peccaminosa continuò ancora per molto, lei mi stava leccando tutto, la mia pelle liscia e dura risplendeva di lucido, anche la sua del resto, con una mano le spostai indietro una ciocca di capelli sudati mentre ripresi a baciarla, mentre entravo dentro di lei di nuovo, ora mancava poco, un paio di mosse ben assestate e lei perse completamente il controllo mentre provava piacere urlò il mio nome, poco dopo venni io quando finalmente ci iniziammo a calmare, ora era diventato poco più di un bacio per poi tornare al nulla, restammo esausti sdraiati sul letto, tutti sudati e nudi, così prendemmo il sonno senza più una parte di noi, la verginità.

Il mattino seguente ero ancora sdraiato nella stessa posizione in cui mi ero addormentato la notte prima, quella magica notte ricca di scintille, lei non era nel letto ma sentendo l'odore dolce che c'era nell'aria capii che si trovava in cucina, cosi dopo essermi messo i pantaloni e la maglietta la raggiunsi, era a cucinare con la stessa grazia di un angelo, le sue mani sfioravano delicatamente la pentola con una spatola, vestiva ancora il pigiama ma era già pettinata e bella; io mi avvicinai a lei cingendola ai fianchi, lei sussultò e la baciai

-Buongiorno- sussurrai

-Sto facendo le frittelle- disse

-Io amo le frittelle- commentai

-Ami tutto- fece sorridendo

-Amo te- dissi e la baciai, lei ricambiò e mi sentii felice

-Tuo padre deve ancora arrivare?

-Si, verrà in pomeriggio, siediti intanto-

io obbedii e poco dopo fui ricompensato da alcune frittelle con tanto sciroppo d'acero che mi piacevano molto e che divorai.

-Affamato vedo- fece ammiccando, io sorrisi e mangiai un boccone; era buono, una delle migliori colazioni fatte da tanto tempo e lo sciroppo era cosi buono, andava giù in gola piano piano, poco dopo lei si sedette, era così bella e mise una goccia di sciroppo d'acero sulle sue frittelle, troppo poco, per me. Io mi allungai e la baciai di nuovo, stavolta su una guancia

-Dai!- esclamò lei -Mi sporchi tutta- e ci mettemmo a ridere, un'attimo dopo entrò Luke senza neanche bussare.

Era a petto nudo ma coi pantaloni e una maglietta bianca alla mano, il petto si gonfiava e abbassava velocemente e ritmicamente come un tamburo, il viso era rosso dalla fatica e capii che qualcosa non andava

-Che è successo?- domandai alzandomi

-Lui è stato qui- rispose con un filo di voce interrotta dal fiatone; la stanza cadde nel silenzio.

 

 

L'AUTORE

C***o con questo mi uccidete tutti, non scrivo per mesi e poi mi faccio vivo con un capitolo porn* Hem Hem * tossisce *

Perché non ho scritto per mesi? Risposta: è iniziato anche per me il periodo più stressante della vita, le superiori e proprio non ho un secondo per scrivere (confido nelle vacanze di Natale, incrociamo le dita va!) comunque sia ho iniziato un secondo libro molto carino più stile giallo ma non so quando pubblicarlo, intanto è meglio se finisco questo libro haha. Spero che il pornaccio, volevo dire capitolo vi piaccia e vi mando un super bacio!

CIAUUUUUUUUU!!!!!!!!!!!!!!!!!

Ps.: So che quello che sto per dirvi non vi piacerà ma ho deciso che per motivi di paura di fare diventare la mia storia troppo ripetitiva ho deciso di tagliare una parte che sarebbe dovuta durare tre giorni circa, comprendeva solo l'aspettare Jack e basta, quindi ho deciso di saltarla e di arrivare prima alla fine, mi duole dirlo ma manca anche poco, contando questo altri due o tre capitoli.

Sorry e Ciauuuuuuuuu!!!!!!!!

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