About our lives.

di Walking_Disaster
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue - Arrive ***
Capitolo 2: *** Chapter 1 - A beautiful guy dirty of sadness ***



Capitolo 1
*** Prologue - Arrive ***


Disclaimer: Robert Downey Jr, Jude Law ed ogni altro personaggio pubblico qui citato non mi appartengono in nessun modo, la storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro e non vuole dare rappresentazione veritiera del carattere, della sessualità o di ogni altra particolarità qui affrontata delle persone utilizzate per questa storia.










About our lives.








Prologue – Arrive



Mollai la valigia a terra, che emise un tonfo. La porta della mia camera mi si era già chiusa alle spalle, mentre la signorina bionda di cui non ricordavo il nome e che mi aveva accompagnato lì tornava al suo ufficio con un bel sorriso rassicurante. Io mi ero girato di spalle, seguendola mentre l'ultimo spiraglio della porta le si chiudeva sul viso e scompariva dalla mia vista.
Ero rimasto fermo qualche istante e poi ero tornato a guardare davanti a me. Ero solo, e quella era la mia nuova camera. C'erano due letti da una piazza ciascuno, due armadi ed una scrivania. La stanza era luminosa, probabilmente complici i muri bianchi e la grande porta finestra che dava su una piscina. Una cazzo di piscina e della fottute sdraio intorno. Sembrava più un albergo di un centro di disintossicazione, in realtà. Unica nota stonata: la mancanza di una televisione, ma immaginavo che non l'avessero messa in camera di proposito per permetterci di guardarla in stanze apposite tutti insieme. E probabilmente per propinarci quelle puttanate sulla socialità e balle varie.
"No, signor Downey, questo non è l'atteggiamento adatto!"
Ops, vero. Non dovevo sottovalutare quel che avveniva lì, dovevo crederci e dovevo volere il cambiamento, doveva arrivare da me... e sapevo che era vero, lo sapevo, ma se non avessi preso quella vacanza con un po' di filosofia non avevo davvero idea di come ne sarei uscito vivo.
Mi misi la mano sinistra sul fianco e poi la destra tra i capelli: erano un disastro sotto le mie dita, lo sentivo, ma sinceramente non me ne fregava troppo.
Andrew sarebbe tornato a casa il giorno successivo, mentre io sarei rimasto in quello schifo di Georgia per altro tempo ancora. Chissà quanto.
Era anche vero però che Andrew, il mio migliore amico, era sano, io no.
Andrew non tirava su di coca, io sì.
Lui non ballava il valzer della morte ogni giorno senza possibilità di scelta. E io sì.
E quindi, per farla breve, lui si meritava di tornare a casa, mentre io dovevo fare qualcosa per lui e per me.
Se non fosse stato per lui e per Jami – soprattutto per lei - non sarei stato in quel posto, a guardarmi intorno senza capire cosa fare a quel punto. Ed arrivato lì, solo come un cane, non avevo davvero idea se essere loro grato o meno.
Mi spettinai ancora di più i capelli passandoci velocemente la mano sopra, per decidermi poi di mettermi in moto: raccolsi la valigia da terra e la poggiai su uno dei due letti, prima di aprire la zip e iniziare a sistemare i vestiti nell'armadio più vicino al letto che avevo occupato. In mancanza di direttive quella era la cosa più logica da fare, anche per tenere la mente impegnata ed evitare di pensare a tutto ciò che avrei dovuto passare in quel cazzo di posto.


***

Una vena sulla tempia mi pulsava, la sentivo distrattamente. Ma non mi fermavo, continuavo a correre come un dannato in mezzo a quell'enorme parco intorno alla struttura. Il sudore colava e faceva sì che i miei occhi bruciassero, i capelli mi si appiccicavano alla fronte.
Correvo, correvo come mai prima di allora, o come forse avevo sempre fatto: era quello il mio modo per sfogarmi, prima della coca. Ma dovevo togliermela di dosso, non potevo più, ed ora correre era l'unica cosa che mi era concesso fare.
Porca puttana, era normale! Quei cazzo di dottori me lo dicevano, che era normale avere scatti d'ira, perché ero in astinenza. Ma rifilare un pugno sul naso ad uno degli infermieri non era stata una mossa intelligente in ogni caso, sospettavo. E dovevo sfogarmi in qualche modo, ed i polmoni bruciavano e la milza bucava. Ed era tutto quel che cercavo.
Non avrei mai corso abbastanza, ma il parco era finito, non c'era più spazio. Un senso di oppressione mi premeva sul petto, non respiravo, affogavo, mi trascinavano giù. E cominciai a piangere come un bambino, a lottare contro il muro di quello schifo di posto. A prenderlo a pugni finché il dolore ad una mano non fu troppo forte.
«CAZZO! Cazzo, cazzo, cazzo...» Era un mantra sconclusionato, con annesse lacrime ed il labbro inferiore stretto tra i denti, stretto a sangue. Me lo sentivo bruciare, mentre continuavo a tirare calci e pugni al muro, e mi faceva male tutto, ma non c'era della cazzo di droga da mettere nel corpo per farmi passare qualunque cosa mi fosse preso. Avrei voluto sbranare qualcuno o piangere fino a non avere più fiato, sentire i miei polmoni accartocciarsi e poi rimanere un solo involucro vuoto in quella vita che forse non era fatta per me, che non mi meritavo. Una vita troppo grande, troppo impegnativa. Ero solo un ragazzino, non ce la potevo fare.
Chiedevo scusa ai miei genitori ogni giorno per ciò che mi stavo facendo, ma in momenti come quelli li avrei ammazzati se mi si fossero parati davanti. Faceva male da morire, faceva male pensarlo, faceva male al cuore. La pelle bruciava, mentre cadevo a terra e mi rannicchiavo con le ginocchia strette al petto, gli occhi serrati su mondo, per non vedere, non vedere, Jude. Non vedere ciò che devi fare.
E dondolavo in quel mio angolo d'erba che mi ero ritagliato, avanti e indietro, come un bambino impaurito dal buio. Io ero un bambino, ma era pieno giorno. Eppure era buio e non avevo neanche un fottuto fiammifero.
«E' l'astinenza... è l'astinenza, Jude...» E faceva schifo, ma era ciò che mi ripetevo tra i denti, tentando di concentrarmi stavolta sul dolore alla mano. Non riuscivo più a muovere le dita della destra, ma quando socchiusi gli occhi, cautamente, vidi che le mie nocche erano sbucciate e sanguinavo. Bene, mi avrebbero distratto, forse.
Avevo visto gente prenderne a pugni altra per una sniffata che lì non sarebbe mai arrivata. Mi ero detto che io non sarei mai arrivato a tanto, che era colpa e merito mio se ero a quel punto, eppure lo avevo fatto e la mia guancia interna era stata morsa così forte che ormai il sapore del sangue mi inondava la bocca. Ed il petto, quel petto che era stato costretto fino a quel punto in una morsa, si alzava e si abbassava come un mantice, il cuore stava per uscirmi dal petto; lo sentivo nelle orecchie, sul collo, nelle tempie. Il mio cuore era ovunque, quel cuore che prima o poi avrebbe smesso di battere e che avevo tentato di salvare entrando in quel luogo che prometteva di salvarmi. Ma era stancante, era avvilente. Un colpo di pistola in bocca in certi momenti sembrava qualcosa di molto più semplice.
«Calmati, Jude... andrà bene...» Me lo sussurravo mentre smettevo gradualmente di frignare come una ragazzina e mi abbracciavo, mi stringevo le braccia attorno al corpo, impedendomi di scivolare ancor più giù. Non c'era un'ancora abbastanza forte a tenermi a galla. Non per me.
Qui avevamo assistenza medica e psicologica, ma chi ci pensava al cuore? All'anima? O questa mancanza, questa freddezza, era dovuta all'astinenza? Come tutto, d'altro canto. Tutto era l'astinenza. Anche se non capivo come avremmo potuto allontanarci dalla droga se poi ogni cosa, in un modo o nell'altro, era sempre riportato a quella polvere bianca. Come avrebbe fatto la mia vita a smettere di ruotare intorno alla coca se poi ogni cosa che facevo veniva motivata con la sua assenza?
Poi però i pensieri si interruppero. Staccata la spina, il dolore alle mani tornò, acutizzato. Il sudore mi si era ghiacciato fastidiosamente addosso ed un brivido mi scosse. Ok, era chiaro: dovevo smettere di fare il cazzone e fare invece qualcosa per le ferite alle mani. Le attività pratiche facevano sì che il cervello non collassasse su se stesso. Lo teneva impegnato.
Ed infatti mi alzai di nuovo in piedi, non senza qualche difficoltà, approfittando del magnanimo momento in cui non mi veniva mozzato il respiro in gola. Tremavano, sentivo le gambe molli e cedere sotto il mio peso.
Calmo, Jude. Prendi un bel respiro.
E feci come mi stavo dicendo, immagazzinando un po' d'aria nei polmoni. Alla fine riuscii a fare il tragitto inverso, evitando chiunque mi stesse cercando: non era il momento, non lo era davvero.
Perdevo sangue, avevo un mal di testa assurdo e mi sentivo sporco, come se avessi nuotato nel fango fino a quel momento. Ed intanto non pensavo a niente: solo alla mano che urlava in silenzio. Un po' come me.
Abbassai la maniglia della porta ed entrai in stanza.


***

Mani sui fianchi e sorriso soddisfatto stampato in faccia: non stavo troppo risentendo dalla lontananza della cocaina, per il momento. Probabilmente erano le vitamine che il dottore mi aveva affibbiato appena arrivato al centro. Non avevo idea di quanto sarebbe durato l'effetto, ma per il momento andava quasi tutto bene.
Sistemati i vestiti nell'armadio, però, non mi restava molto da fare, per cui decisi di girare i tacchi per scendere nella hall del centro a chiedere qualche informazione e domandare, magari, se avessi potuto chiamare Andrew. Mi sembrava un buon modo per ringraziarlo di... be', praticamente tutto, a conti fatti.
Mentre meditavo in solitaria, la mano avanzò verso la maniglia, che però si abbassò da sola per permettere alla porta di aprirsi: a quanto pareva avevo visite. Mi trovai di fronte ad un tipo magro, più alto di me ma probabilmente di un paio d'anni più piccolo, ad una prima occhiata. Capelli biondi, occhi azzurri – o forse verdi?-, viso da ragazzino che però era squadrato. Viso di un bel ragazzo, aggiunsi poi mentalmente. Bagnato sulla fronte: sudore; Bagnato sulle guance: lacrime.
Mi accigliai, squadrandolo dal basso. Nella mia testa era strano vedere un così bel viso sporco di dolore.
«Ehy, amico... tutto bene?» Domandai cautamente, esibendomi in uno dei miei sorrisi migliori. Lo sconosciuto rimase interdetto qualche istante, osservandomi con chiara confusione. Poi però parve illuminarsi.
«Robert Downey?» Tentò, squadrandomi a sua volta.
Io non potei fare niente se non annuire, stringendo le labbra con una punta di irritazione: lui sapeva il mio nome ed io non avevo idea di chi diamine fosse.
A quel punto parve rilassarsi, mentre abbassava il capo e stirava le labbra pallide in un lieve sorriso: «Io sono Jude Law, il tuo compagno di stanza.»








Walking_Disaster's corner:

Ed eccoci giunti qui, in un viaggio che non so dove mi porterà e se mi porterà.
L'idea di questa storia è nata dopo aver visto Al di là di tutti i limiti, dove abbiamo un bellissimo Rob agli esordi impegnato ad affrontare una guerra che ha davvero combattuto. Mi ha lasciato qualcosa addosso quel film, ed infatti l'Andrew citato da Robert non è altro se non Andrew McCarthy, Clay nel film. E se ci fosse Jude, con Rob? Se fossero entrambi un completo casino, in modi diversi, e poi tentassero di mettere insieme i pezzi della loro vita? Ecco da cos'è nata questa long. Ho pezzi in mente, ho penato per decidere se scrivere in prima o terza persona, ho il dubbio che scrivere in prima mi penalizzi in ogni modo possibile immaginabile. Ho tanti dubbi su questa storia, ma ho anche l'intenzione di portare a termine questo viaggio. E be', non so che altro dire se non "vediamo come andrà".
Passiamo ora però a questo prologo: il pezzo che mi dà più soddisfazioni è senza dubbio quello di Jude, anche perché volevo dare un'idea ai lettori di cosa si prova ad essere in astinenza. Mi sono documentata prima di scrivere, ho un sito intero a mia disposizione, quindi posso dire che (per il momento) so quello che scrivo. Per quanto riguarda l'immaginazione, dovete prendere il Robert di Al di là di tutti i limiti (ma va?) e un Jude random del '92 (Il talento di Mr Ripley, tanto per intendersi). Quindi... ecco a voi i nostri bambini: Jude: http://www.thegroundmag.com/wp-content/uploads/Jude-Law1.jpg e Rob: http://img33.imageshack.us/img33/4319/screen3jh.png
...bruttini, eh? *Sarcasm* Poi non dite che vi tratto male!

Lasciate una recensione e mi farete una donna felice.
Love u all and see u soon,
WD

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Capitolo 2
*** Chapter 1 - A beautiful guy dirty of sadness ***


Chapter 1 – A beautiful guy dirty of sadness


«Io sono Jude Law, il tuo compagno di stanza.»

Ah, ecco. Il mio compagno di stanza. Be', fantastico. Ma da quand'era che avevo un compagno di stanza? Nessun poveraccio si era fatto un appunto mentale per il sottoscritto, tanto per informarlo che in effetti avrebbe avuto compagnia. Ottima organizzazione, niente da dire.
Mi portai una mano tra i capelli (quando pensavo era un mio riflesso involontario), osservandolo interdetto. Avevo anche sorvolato sul fatto che non mi avesse offerto la mano, e per un istante avevo cancellato quelle scie umide che gli avevano baciato gli zigomi arrossati.
Passò qualche istante prima che lui distogliesse lo sguardo da me e passasse il suo peso da una gamba all'altra, puntando le iridi liquide verso un punto oltre la mia spalla.
Scossi un attimo il capo, come a volermi riprendere, prima di scostarmi dalla soglia su cui ero rimasto impalato come un coglione: «I-io... perdonami, ma per me sei una novità. Cioè, non che non ti creda, eh! No, no, ti credo, sei il mio compagno di stanza e ok, wow, ma...» Il mio fiume di parole sfumò quando vidi che quel tipo – Jude – mi lanciava un'occhiata di traverso, le labbra strette.
«Che c'è?» Chiesi a quel punto con tono interrogativo, corrugando le sopracciglia e chiudendomi la porta alle spalle: avevo appena deciso che la hall avrebbe potuto aspettare. Eppure quello sguardo in tralice mi aveva lasciato ciondolante sulla porta. Mh, come prima impressione mi sa che non era stata delle migliori.
«Niente, trovo solo che le tue parole in questo momento siano un po' sconclusionate.» Abbassò nuovamente lo sguardo e si mise seduto ai piedi del letto che non era occupato dalla mia borsa vuota. Seguii il tragitto dei suoi occhi che puntavano stavolta alle sue mani, su cui mi soffermai. Ma che cazzo-!?
«Ehy! Che diamine hai fatto alle mani?» Saltare di palo in frasca sembrava l'unica cosa che fossi in grado di fare al momento, ma le sue nocche davvero non avevano un bell'aspetto e fui rapido ad inginocchiarmi davanti a quel ragazzo che subito si mosse, a disagio, aprendo e chiudendo la bocca un paio di volte – e stavolta mi guardò negli occhi mentre trovava finalmente il coraggio di parlare: «L'astinenza. Sai, prima o poi ci passerai anche tu. Più prima che poi, suppongo.» Sfoggiò un sorriso che di gentile non aveva niente, né di cortese. Era più un ghigno da demone che voleva mascherarsi da angelo, e con quei capelli biondi e la faccia da bambino ci sarebbe potuto anche riuscire bene.
Io sospirai pesantemente, umettandomi le labbra prima di rispondergli: «Senti... per me puoi anche essere andato nella foresta tropicale a mani nude, non mi interessa di cosa si tratta. Direi che per il momento sono abbastanza lucido, quelle cagate di vitamine che mi hanno affibbiato i dottorini non fanno poi tanto schifo, ma resto del parere che quelle ferite – e gli indicai le nocche quasi tutte sbucciate – debbano essere quanto meno lavate.» Mi strinsi nelle spalle dopo aver finito di parlare, osservandolo con le labbra arricciate.
Ero un tipo curioso, quello sì, ma non entrante. O perlomeno, così mi avevano sempre descritto. Se Jude era lì, significava che aveva dei problemi. Mi avevano detto cosa avrei provato raggiunta l'astinenza, e non sarebbero passati più di un giorno o due prima di toccarla. Mi restava poco tempo prima di oltrepassare la soglia, ed ero un drogato sì, ma non uno stronzo. E quelle sbucciature erano messe proprio male, si vedeva, ed io volevo aiutarlo. Parlavo per esperienza personale quando dicevo che le infezioni erano davvero una palla al piede.
Jude mi fece attendere qualche momento prima di una risposta, e nel frattempo non aveva distolto gli occhi per un istante da quelle ferite. Scosse poi la testa, stiracchiando le labbra in un sorriso ben poco convincente: «Ti ringrazio, ma ci penserò da solo.»
Io non mi trattenni e sollevai gli occhi al cielo in un gesto scocciato. Proprio uno di quei coglioncelli introversi dovevo beccarmi come compagno di stanza? Uno di quegli idioti che per parlare avevano bisogno di qualcuno che tirasse loro le parole a forza dalla bocca? Capivo che ci eravamo appena conosciuti, ma che diamine, avremmo dormito per chissà quanto tempo nella stessa stanza, l'avrei sentito russare la notte (anche se mi restava un po' complicato figurarmi Jude che russava... dovevo averlo iconizzato, in un subconscio molto idiota e poco di più a causa del suo aspetto) e avremmo condiviso il gabinetto!
Non capivo proprio se ero io il problema, se ero io ad essere troppo
troppo, oppure se erano gli altri, che rimanevano sempre e comunque sulla difensiva ed erano diffidenti.
Mi ero ritrovato i tratti stropicciati in un broncio concentrato quando mi riscossi da quei pensieri, e lo feci solamente per sentire la porta del bagno (non c'erano molte opzioni disponibili su che stanza ci fosse dall'altro lato di quella porta in fondo alla camera) chiudersi a chiave.
Jude ci si era chiuso dentro, ed io non lo avevo sentito neanche alzarsi dal letto. Era silenzioso come un ratto, quel ragazzo!
Anzi no, non come un ratto... che schifo.
Come un gatto. Come un elegante gatto bianco con gli occhi cangianti.


***

La chiave girò nella toppa, così da rinchiudere Robert. In realtà ed in senso puramente pratico, ero io ad essere quello rinchiuso da qualche parte, ma l'importante era che riuscissi a prendere tempo. Solo un po'. Non era il momento giusto. Scusa, Rob.
Il bagno era un buco, due persone insieme non sarebbero mai riuscite ad entrarci. Ma be', andava bene. Anche perché doveva andar bene, non era che avessimo troppe scelte. Mi voltai un istante verso lo specchio a muro che stava sopra al lavandino, osservando la mia immagine riflessa: quel "tutto bene?" che mi aveva rivolto il mio nuovo compagno di stanza non appena mi aveva posato gli occhi addosso era più che giustificato, a vedermi.
Scossi il capo, passandomi una mano tra i capelli e trasalendo per il dolore, dato che mi ero dimenticato che in effetti le nocche erano più sangue che pelle integra. Ed inoltre, nonostante i miei sforzi, l'anulare e il mignolo della mano destra non volevano saperne di muoversi.
Una doccia. Dovevo fare una doccia e togliermi di dosso tutto quel senso di oppressione che per un solo istante – incontrando il viso di Robert – mi aveva dato tregua. Ma ora dovevo liberarmene, in qualche modo, a costo di strapparmi la pelle di dosso e affogarmi in quella fottuta piscina che il direttore, il magnanimo e retto Val Kilmer, ostentava con un gran sorriso degno di uno di quelle pubblicità dei dentifrici. E mi pareva di sentirli, quei dottori che dicevano ma che alla fine non avevano mai provato sulla propria pelle. Parlavano. Dio, quanto parlavano, e ci imbottivano della stessa solfa ogni volta: "E' prassi, Jude. L'astinenza..."
L'astinenza un cazzo. Mi aveva già consumato i coglioni, l'astinenza.
Allungai la mano sinistra, quello che riuscivo a muovere correttamente, per aprire solo il pomello dell'acqua calda. Intanto cominciai a spogliarmi con lentezza, slacciandomi i pantaloni.
Avevo deciso di dover fare mente locale su Robert, perché sicuramente lui aveva già elaborato la mia conoscenza, ed io invece era già tanto se ricordavo il suo viso. E sì, sì, astinenza. Abbiamo capito. Ed appunto per questa mia condizione, concentrarmi su un qualcosa di neutro come lui mi avrebbe distratto.
Riflettevo, mentre mi infilavo sotto la doccia e lasciavo i vestiti abbandonati a terra. L'acqua bollente mi scottò la pelle, costringendomi così a schiacciarmi contro le piastrelle alle mie spalle con un sibilo e aprendo immediatamente anche la cannella della fredda, tentando di regolarizzare la temperatura.
Ma comunque, Robert. Doveva avere la mia età, circa, ed anche se era più basso di me, i suoi tratti erano molto più adulti dei miei. E sì, dovevo ammetterlo: anche più mascolini, nonostante fosse più che chiara la sua giovane età. Aveva dei bei capelli, però erano un disastro. Sospettavo comunque che al tatto fossero morbidi. Quel pensiero mi fece sorridere tra me, mentre chiudevo gli occhi e sollevavo il viso verso il telefono della doccia.
Sembrava un tipo dalla facile confidenza, di quelli che considerano tutti quanti amici. E poi era bello, molto. E sexy. Insomma, ero pur sempre un ventenne dichiaratamente bisessuale, e se ciò che vedevo era apprezzabile ed era munito di cazzo, tanto per essere schietti, non capivo perché non potessi ammettermelo.
Già, ragionamenti di tutti i giorni, mentre mi insaponavo con cura e con la mano sana, mentre, allo stesso tempo, cercavo di pulirmi le ferite che mi ero procurato facendoci scorrere l'acqua sopra. Ora che posavo gli occhi sulle dita che non riuscivo a muovere, però, mi rendevo conto che non avevano un gran bell'aspetto. Aggrottai le sopracciglia, avvicinando la parte incriminata ai miei occhi e piegando i lati delle labbra verso il basso: le due nocche erano gonfie, la parte stava diventando... viola? E se dovevamo dirla tutta, il mignolo era anche lievemente piegato verso l'interno. Il problema era che mi ero già rotto un polso, una volta, ed il dolore e l'aspetto erano difficilmente fraintendibili.
«Merda.» Imprecai a denti stretti, sbuffando pesantemente.
Chiusi gli occhi e feci un paio di bei respiri profondi, abbandonando nuovamente le braccia lungo i fianchi. Ok, sarei sceso al piano inferiore e avrei fatto esaminare la parte lesa. E poi avrei anche chiesto scusa a Jared, l'infermiere che avevo colpito col famoso pugno. Era un peccato l'averlo preso in faccia, tra l'altro, perché era davvero bello.
Avvertivo le spalle rilassarsi sotto il getto della doccia, mentre piegavo il capo e lasciavo che dei rivoli tiepidi mi scendessero lungo il collo, giù per la spina dorsale. Era strano come l'acqua riuscisse a calmarmi, in effetti.
Tirai su col naso, umettandomi le labbra subito dopo e chiudendo poi il getto sotto al quale ero rimasto per almeno quindici minuti. Era arrivato il momento di uscire ed andarmi a far curare le ferite. Anche perché, se guardavo le mie mani, avevano anche cominciato a tremare.
«E' normale, Jude...» Mi sussurrai, mentre mi avvolgevo in un asciugavamo e mi posizionavo davanti allo specchio, scrutando le mie labbra socchiuse e gli occhi. Erano terrorizzati, tanto che mi vidi aggrottare le sopracciglia e serrare di scatto la mascella. Erano quelli i momenti in cui mi accorgevo di aver bisogno d'aiuto. Vederti allo specchio e capire che non sei tu, tu non eri così pochi anni prima. Poi un giorno tenti. Perché è così che si fa, tra amici. Tenti e cadi. E non ti rialzi più.
Mi sentivo costretto a terra, prono sul cemento e assicurato a terra con mille catene. Troppe per essere spezzate. L'uscita. Dov'era l'uscita? Affondai gli incisivi nel labbro inferiore, distogliendo il volto dallo specchio e schiacciando la schiena contro al muro, respirando affannosamente. Il volere la coca e la consapevolezza di starmi uccidendo con il mio stesso vizio nato per gioco mi annientava. Sapere di non potere, in nessun caso, per un milione di obblighi ed una sola promessa.
Mi portai la mano al petto, stringendo l'asciugamano che lo copriva e chiudendo gli occhi, trattenendo in gola un singhiozzo.
Basta, Jude.
Basta, sì.


***

Fischiettavo mentre scendevo gli scalini a due a due, guadagnandomi occhiate in tralice dai ragazzi che passavano – alcuni evidentemente drogati, con occhiaie che arrivano fin sotto ai piedi.
Mi dispiaceva per Jude, davvero... ma se lui non voleva essere aiutato, io non potevo certo forzarlo. E poi eravamo in un centro di recupero per cocainomani: dovevo abituarmi al fatto che avrei assistito a scene ben peggiori di un bellissimo ragazzo piangente, forse triste, e non potevo dare una mano a tutti. Non solo perché non tutti avrebbero voluto, ma soprattutto perché non sarebbe passato molto tempo prima che tutto il mio aiuto fosse rivolto ad una sola persona: me stesso. Anche perché se non mi fossi preso cura io di me, Andrew non avrebbe potuto farlo.
Ne avevamo parlato, prima che lui mi lasciasse qui. Mi aveva detto: "Robbie, non fare il coglione. Non ci sono io a pararti il culo, lì dentro, e non potrò più parartelo finché non ti toglierai da dosso quello schifo con cui hai cominciato ad ammazzarti. Pensa a te."
Non era una cosa così complicata, a conti fatti. Sapevo essere egoista, ed inoltre in quel luogo dovevo esserlo per necessità. Già. Avrei pensato a me.
Svoltai l'angolo e mi trovai nella hall: luminosa, accogliente, addirittura. Un bel luogo riempito di cotone e insonorizzato da ostentata bambagia per permetterci di non ammazzarci e falso come le tette della segretaria, che mi guardava con un sorriso amorevole e sbatteva gli occhioni azzurri. Noi ospiti – come Kilmer mi aveva definito – non eravamo lì per leggere riviste di gossip mentre accavallavamo le gambe su poltrone imbottite. Non eravamo lì per prenderci cura delle piante in vaso presenti ad ogni angolo, né eravamo lì per bearci delle enormi vetrate che davano sul parco. Ma comunque, non ero stupido, lo sapevo che lo facevano per renderci il soggiorno più accogliente, ma non rispecchiava neanche lontanamente il degrado che avevamo dentro. Il grigiume, le crepe e l'intonaco sciupato era ciò che era dentro. Lì, invece, era tutto perfetto. Mi venne distrattamente in mente il film Trainspotting, con quel ragazzo che diceva che doveva scegliere la vita, o qualche stronzata del genere. Stronzate vere, tuttavia, e chi meglio di me poteva riconoscerlo? Fatto sta che se dentro noi drogati del cazzo non c'era vita, certo non c'era neanche su quei pavimenti tirati a lucido e quell'odore di deodorante per ambienti onnipresente.
Feci schioccare le labbra insieme mentre mi avvicinavo alla biondissima e giovane donna che mi guardava con un sorrisone. In effetti non aveva un'aria troppo intelligente.
Mi appoggiai al bancone con il gomito, posando la guancia sul pugno chiuso e rivolgendole un sorrisetto: «Sienna, giusto? L'ho letto sulla targhetta.» Le indicai con l'indice il nome scritto su un rettangolo di plastica, applicato ad una taschina sul seno destro della donna – Ehy, no! Non per quel motivo! Semplicemente, osservavo le persone. E poi a me piacevano le tette naturali.
Lei, comunque, non si accorse dei miei pensieri – ovviamente – ma mi rivolse un sorriso che probabilmente voleva essere civettuolo, mentre accavallava le gambe sulla sedia girevole e piegava il viso di lato.
«Tu invece sei quel ragazzo nuovo, giusto? Norman?»
Domandò con voce strascicata, mentre corrucciavo le labbra con disappunto e la correggevo con un sospiro: «Robert. Ma comunque, pensavo che mi avreste detto che avrei avuto un compagno di stanza. Lui lo sapeva.» Buttai lì. No, in effetti non ero lì per parlare di Jude (al cui riferimento Sienna si illuminò, facendomi corrugare anche le sopracciglia, oltre che le labbra), ma non mi era andato giù il mancato avvertimento. Non che fosse un problema, ma non era un granché trovarsi impalato come un rincoglionito sulla porta mentre l'altro sapeva anche il mio nome.
«Oh, Jude Law! Be', mi dispiace Rupert, c'è stato un disguido, perché di solito informiamo i nostri i ospiti... Se dovessero esserci problemi, comunque, posso sempre chiamare Kilmer.»
Io attesi qualche istante, mentre lei aveva già fatto correre la mano al telefono.
A due motivi principalmente, era dovuto il mio silenzio: mi chiamavo Robert e lei non era non intelligente – era proprio stupida ed insipida. La classica biondina sciocchina tutta risolini e cinguettii. Da mandare al rogo, in pochissime parole.
Alla fine, recuperando tutto l'autocontrollo che possedevo – ricorda Rob: non si picchiano le donne -, stiracchiai un sorriso affettato, scuotendo con lentezza la testa: «A parte la trascurabile piccolezza del fatto che il mio nome è Robert, non è assolutamente un problema l'avere Jude in stanza. Semplicemente, avrei voluto che mi aveste avvertito prima. Ma comunque, come funzionano qui dentro le telefonate? Vorrei chiamare il mio migliore amico.» Tentai, mentre lei ritirava la mano e mi guardava poco convinta. Non sapevo se per il nome, se per la menzione di Jude o per chissà cos'altro, ma a quel punto dubitavo davvero che lei potesse aiutarmi, di quel passo. Neanche sembrava sapere dove si trovava in quel momento, figurarsi darmi un'informazione... lei fece per aprire la bocca, quando un ragazzo completamente vestito di blu e con uno zigomo livido entrò nella mia visuale ignorandomi completamente. Quel tipo era un infermiere, era chiaro, ed io lo osservavo mentre si chinava verso l'orecchio di Sienna per riferirle qualcosa che ovviamente non mi era dato sapere.
Feci un bel respiro profondo, aprendo e chiudendo un pugno: sì, mi stavo irritando. Volevo una sola, fottutissima informazione e chi doveva darmela era una cazzo di cretina che veniva interrotta da un tipo spuntato dal nulla.
Vidi quella svampita annuire, lo sguardo si era improvvisamente fatto serio – incredibile ma vero, mentre l'infermiere se ne andava a passo svelto, passandomi a fianco. Sienna digitava con velocità un numero di telefono, l'apparecchio già premuto contro l'orecchio e le labbra serrate in una linea dritta. Io invece fui costretto a sollevare gli occhi al cielo ed a voltarmi, dandole le spalle: non era proprio giornata per chiamare Andrew, a quanto pareva. Lasciai lo sguardo vagare pigramente per grande stanza, finché i miei occhi non vennero attratti verso un punto preciso. Un punto celeste limpido, che mi fissava a sua volta.
La voce di Sienna proveniente dalle mie spalle mi spiegò perché Jude si teneva una mano stretta al petto: «Dottor Freeman? Sì, mi scusi, ma qui abbiamo bisogno di lei. Sì. Jude Law, il ragazzo biondino... ecco lui, sì. Leto dice che è probabile che si sia rotto due dita.»


***

Jared aveva uno zigomo gonfio, con un bel livido che, piano piano, stava colorando la sua pelle. Gli avevo chiesto scusa, mentre mi sedevo sul lettino della stanza dell'infermeria e lui si prendeva cura di ogni singola nocca. Disinfettante, cotone, cerotto. Aveva sorriso e poi aveva scrollato le spalle, prima di tirare su il viso e rivolgermi un occhiolino confidenziale: «Sono i rischi del mestiere.»
Io ero rimasto in silenzio, a quel punto, finché non era arrivato alle due dita incriminate. Facevano schifo da com'erano gonfie. Sembravano salsicciotti.
Jared mi aveva preso il polso, sollevandomi la mano davanti al suo viso per scrutare le lesioni con occhio critico, le labbra arricciate: «Mmh... Jude, non hanno per niente un bell'aspetto, queste dita.»
Io avevo sospirato e poi avevo forzato una risatina, mentre mi passavo la mano sana tra i capelli, tirando su col naso subito dopo: «Ma non mi dire...» Scherzai, tirando un sorrisino e sollevando lo sguardo sul viso del ragazzo, che adesso stava avvicinando le dita al mio mignolo storto. Lo prese con delicatezza, ma bastò questo per farmi sputare un "cazzo!" tra i denti, facendo sì che lui si accorgesse che la situazione era più che ovvia e che mi miei timori venissero brutalmente confermati.
«Be'... - aveva esordito così, lasciandomi andare le dita e portandosi una mano a grattarsi la nuca con aria pensosa – credo proprio ci sia il bisogno di chiamare il dottor Freeman.»
Io non potei far altro che annuire mestamente, le spalle incurvate verso il basso.
«Non bastava l'astinenza...» Sibilai tra i denti, e Jared, sentendomi, mi rivolse un sorriso sghembo, tirando verso l'alto solamente un lato delle labbra. Non era un sorriso allegro... forse un po' triste. Immaginavo non fossi né il primo né l'ultimo.
Mi fece cenno poi di scendere dal lettino, ed io ubbidii.
«Ok, adesso andiamo da Sienna e faccio chiamare il dottore. Tu prenditi il polso e tieniti la mano contro al petto, così evitiamo che possa essere urtata per sbaglio.» Mi diede queste direttive mentre mi faceva uscire, ed io assunsi subito la posizione che mi aveva raccomandato. Aggrottai le sopracciglia intanto che aspettavo che mi precedesse per raggiungere così la hall e quella gattamorta di Sienna – che tra l'altro mi aveva messo gli occhi addosso da quando ero arrivato lì. Si ricordava persino il mio nome, mentre degli altri ragazzi se lo dimenticava praticamente subito. Se non fosse stata così noiosamente e stupidamente palese, forse avrei potuto prendere in considerazione l'ipotesi che in realtà non si scordava come mi chiamavo solamente perché si trattava di un nome particolare, che non si sentiva tutti i giorni. E poi era così terribilmente inglese... ed invece era ovvia, troppo. E sciocca. No, non proprio il mio tipo.
E fu durante le mie elucubrazioni che raggiungemmo la hall del centro, lasciando poi che lo sguardo scivolasse proprio alla donna a cui avevo rivolto i miei pensieri non proprio carini fino a quel momento. Jared si era chinato a sussurrarle ciò che doveva, quando i miei occhi furono catturati da folti ciuffi castani del tutto senza un senso accettabile. Poi il mio sguardo scese verso il viso del proprietario di quei capelli, che mi fissava a sua volta e mi riconosceva.
Il proprietario di quella chioma era Robert, e non sembrava molto tranquillo. Con tutta probabilità, aveva appena finito di parlare con Sienna, e non potevo biasimarlo se parlandoci mi fossi accorto che era irritato. Persino una gallina si sarebbe suicidata dopo aver chiacchierato con la biondina.
Volendo essere solidale, gli rivolsi un sorriso storto e lui probabilmente prese quella mia nuova espressione come un invito, perché si staccò dal bancone mentre quell'idiota della donna parlava ancora al telefono. Quando il mio compagno di stanza mi raggiunse con una flemma invidiabile e le mani affondate nelle tasche dei jeans, subito passò ad osservarmi con insistenza la mano stretta al petto. Vidi chiaramente le sue labbra arricciarsi e quasi potei sentire la sua voce in testa che mi canzonava con un irritante "te l'avevo detto". E come prevedibile, mi rivolse un sorrisetto che era tutto un programma: «Te l'avevo detto che andavano curate.»
Per l'appunto.
Non potei fare a meno di sorridere a mia volta, mentre Jared ci raggiungeva ed alternava sguardi dall'uno all'altro, che Robert ricambiava con un sopracciglio sollevato. Alla fine l'infermiere decise di scoccargli un sorriso prima di voltarsi completamente verso di me: «Sienna sta chiamando il dottore. Tu stai fermo qui e aspetta Freeman, io devo andare a preparare le vitamine. – poi spostò lo sguardo sul nostro ascoltatore, mentre io annuivo, arreso all'evidenza del danno che mi ero procurato – tu chi sei?»
Domandò Jared al mio compagno di stanza, che si umettò le labbra e rivolgeva un'occhiata poco convinta al suo interlocutore, estraendo poi una mano dalla tasca e porgendogliela: «Robert. Sono arrivato oggi e sono il compagno di stanza di Jude.»
Io guardavo Robert mentre venivano fatte quelle presentazioni, le strette di mano, i sorrisi di rito, perché era strano come si fosse annunciato a me un paio d'ore prima e come, invece, con l'infermiere fosse tanto sicuro. Forse perché io l'avevo colto di sorpresa? O perché avevo un'aria così tanto schifosa da farlo balbettare perfino il suo nome? Non mi era concesso di saperlo e, a dirla tutta, non rientrava esattamente nelle mie priorità. Però, in quel momento, potevo vederlo davvero con lucidità anche grazie al dolore della mano, e mi sorpresi a pensare che era molto carino. Be', in realtà avevo già stabilito che fosse davvero sexy, ma... era affascinante. Ecco. Un peccato che non l'avessi studiato meglio non appena incontrato.
In mezzo a quei pensieri, Jared mi riservò una pacca affettuosa sulla spalla, mentre mi informava che a quanto pareva avevano deciso che Robert sarebbe rimasto con me a farmi compagnia. Non potevo dire che mi dispiacesse, in realtà.


***

Ed eccoci qui, seduti su due poltrone al bancone della hall, uno accanto all'altro, con Sienna che occhieggia verso di noi e riserva a Jude dei sorrisi che di elegante e femminile avevano ben poco. Le avrei volentieri spaccato quel faccino, in realtà. E non perché fossi geloso delle attenzione che riservava al biondo, per carità, ma perché la trovavo a dir poco irritante.
Jude parve intercettare i miei pensieri, ed infatti seguì lo sguardo in cagnesco che stavo rivolgendo alla schiena della segretaria, prima di portare di nuovo gli occhi sui miei con un malcelato sorriso: «Anche se mi sembra impossibile una cosa simile e prima avevo seriamente pensato che stessi per ammazzarla... Ti piace?» Chiese a bruciapelo, e io non potei fare a meno di assumere un'espressione a dir poco stupita – che mi premurai di condire con una punta di schifo – per poi scuotere la testa con energia: «Ma stai scherzando? Se parlassi con una capra mi risponderebbe in maniera più esaustiva.» Arricciai il naso e schioccai la lingua contro al palato, guadagnandomi una risata sotto i baffi di Jude, che ricambiai con un mio sorriso ampio. Mi piaceva far ridere la gente. Soprattutto se erano ragazzi molto belli che avevo visto sporcati di tristezza.
«Sai... - ripresi, facendomi serio – mi dispiace per la figura che ho fatto oggi. Probabilmente sono stato al pari con le capacità di discorrere di Sienna, ma è perché non sapevo che avrei avuto un compagno di stanza, mi hai colto di sorpresa. Giuro che di solito riesco perfino a farmi capire, quando parlo.» Tornai scherzoso immediatamente dopo, rivolgendogli un occhiolino e stendendomi sulla poltrona con le gambe dritte davanti a me.
Vidi Jude scuotere il capo, facendo svolazzare in aria la mano sana: «Tranquillo. Io piuttosto non volevo presentarmi in quelle condizioni, ma...»
Lo vidi distogliere lo sguardo, arricciando le labbra, a disagio.
«L'astinenza.» Completai io per lui, scoccandogli un nuovo sorriso, stavolta comprensivo.
«Non devi preoccupartene. Siamo tutti più o meno sulla stessa barca qui dentro... quando toccherà a me, potresti vedermi prendere a testate la parete, altro che lacrime. Mi dispiace solo che tu sia costretto a passarci.» Conclusi con sincerità, scrollando le spalle. Lui mi guardava con un'espressione che non ero in grado di decifrare e pensai una nuova volta che forse avevo oltrepassato un limite che io non riuscivo a vedere. Non era facile per me fare amicizie vere, perché i miei muri erano molto più avanti di quelli altrui, e tante persone trovavano la mia confidenza immediata inopportuna. Persino Andrew all'inizio mi aveva guardato storto.
«Perché?» Mi chiese dopo qualche istante, e mi accorsi che si era girato completamente verso di me. Tuttavia, continuavo a non riuscire a comprendere la sua espressione. Sembrava scolpita nella pietra. Era immobile e... non diceva niente.
«Perché cosa?» Domandai di rimando e stupidamente, aggrottando le sopracciglia: mi aveva nuovamente colto di sorpresa. Stavolta in maniera diversa dalla precedente, però.
«Perché ti dispiace? Non mi conosci neanche.» Fu la sua semplice risposta, mentre si stringeva nelle spalle e aggrottava le sopracciglia, fissandomi con più insistenza.
Perché mi dispiaceva? Be', perché... perché sì. Perché l'avevo visto piangere.
Io mi presi qualche momento, inciampando nelle sua domanda. Poi però mi limitai a rivolgergli un sorriso: «Perché è giusto così.» E replicai a quel modo, con altrettanta facilità, mentre lui rimaneva imbambolato qualche istante e poi ricambiava il mio sorriso. Ricambiava con un sorriso bello, vero, pieno, stavolta. E mentre il dottor Martin Freeman ci salutava frettolosamente e cominciava ad occuparsi del suo paziente, io pensai che era un sorriso che Jude doveva fare più spesso e che non doveva perdere tempo a piangere.
Mi feci un appunto mentale di dirglielo, non appena fossimo rimasti soli.









Walking_Disaster's corner:
Bonsoir! Eccomi qui con il primo capitolo della long.
Che dire? Siamo ancora nella fase "conosciamoci e studiamoci". Hanno bisogno di un amico, di qualcuno che possa aiutarli, e Rob, anche se non se ne è ancora accorto pienamente, è incuriosito ed è rimasto colpito da Jude. Per lui è il bel ragazzo sporco di tristezza, per ora, ma come ha detto, deve pensare a sé. Gliel'ha detto anche Andrew!
Per quanto riguarda Jude, invece, è distratto. Deve superare il momento dell'astinenza, ma ha una paura enorme. Però stare con Rob lo distrae.

Passiamo ora ai personaggi citati. Jared è, ovviamente, Jared Leto ;-; <3 Sì... Jared Leto infermiere. Bloccate i vostri ormoni, pls. Sienna è Sienna Miller (mi sta troppo sui così detti, scusate, ma sarà la scema della storia e bon), il dottor Freeman e Martin Freeman (amore <3 ), anche detto "l'altro John".
E poi ho voluto citare Val Kilmer perché nel 90% delle FF ha un ruolo ingrato, ma siccome a me piace e mi sta tanto simpatico, ho voluto metterlo a fare il direttore.
Guests star del prossimo capitolo? Uno di loro si chiama Nikolaj. Dico solo questo.
Non dico altro, sennò poi mi sgamo troppo(?)
Non sono per niente convinta di questo capitolo... sarà che mi sono accorta che questa ff mi sta venendo facilissima da scrivere e mi sembra che abbia la profondità di una pozzanghera, data la velocità con cui riesco ad andare avanti – velocissima per i miei standard. Non so, penso ci sia qualcosa che non funzioni, ed il cambio terza-prima mi continua a scombussolare un po'. Vorrei dire tante cose da brava narratrice che predilige la terza onniscente, ma essendo in prima mi trovo le mani legate. Boh, insomma, non so. Quindi, ditemi che ne pensate, s'il vous pla
ît t.t Biscotto a chi lo fa ed un sexy Jude. No, scherzo, quello è mio.
Passando ai ringraziamenti-- il primo va, ovviamente, a
LelaAndHerLonelyShadows (ciao cara <3 ) perché è lei e perché ha recensito e perché ha messo tra i preferiti. Perché troppe cose.
Grazie a
Eleonor_Jisbon123 per aver recensito e per aver preferito <3
A
Bynie, Nanna12345 e Swan74 perché hanno seguito <3
Grazie a chi legge, a chi clikka sulla storia o chi solo le dà un'occhiata di sfuggita,

See u soon,
WD

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