Back to Life di Karmilla (/viewuser.php?uid=28965)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The King is back ***
Capitolo 2: *** Close Again ***
Capitolo 3: *** In your arms, at last ***
Capitolo 1 *** The King is back ***
The King is back
Nostra madre ha
lasciato un messaggio per te, che sei l'altro
nostro padre: “A te che amo faccio dono del mondo che vidi
all'epoca in cui ero un essere umano.”
“Nostra madre...altro padre...a te che amo....Ma cosa vuol dire
tutto questo?”
Era questo il pensiero che Kaname Kuran si ripeteva incessantemente
mentre, in un silenzio che faceva rimbombare in maniera assordante il
suono dei suoi passi sul selciato e il battito del suo cuore, seguiva
quei due ragazzi che di tanto in tanto si voltavano a guardarlo, un
po' increduli.
Tra i due, indubbiamente sono fratelli, sembrava il ragazzo
quello più sospettoso. Guardava Kaname con uno sguardo tagliente,
severo, decisamente infastidito.
La ragazza invece, aveva uno sguardo più luminoso, emozionato,
sincero e felice.
Kaname, dal canto suo, si sentiva talmente frastornato che l'unica
cosa che riuscì a fare fu abbozzare un lieve sorriso alla ragazza
che, arrossendo, si voltò.
“Eccoci”, disse lei non appena scorsero in lontananza un'antica e
maestosa dimora.
“Questa è casa nostra...tua...” continuò imbarazzata, non
sapendo bene come comportarsi.
Appena varcata la soglia, Kaname trovò di fronte a sé due uomini,
più o meno della sua età, che non appena lo videro spalancarono gli
occhi e fecero per andargli incontro.
“No!”, gridò la ragazza.
I due si voltarono a guardarla.
“No”, ripeté lei più dolcemente, scuotendo la testa con un
sorriso dolce. “Non così, lo spaventate...”
I due uomini capirono subito e abbassarono lo sguardo. Uno di loro,
Kaname se ne accorse, cercava di ricacciare indietro delle lacrime.
“Bentornato a casa, Kaname.” disse il primo, un uomo con i
capelli biondi, gli occhi di un verde brillante e un sorriso
contagioso, tendendogli la mano. “Io sono Takuma Ichijou”.
“Grazie” riuscì solo a rispondere il vampiro sangue puro mentre
continuava a fissare l'altro uomo che invece lo guardava senza aprire
bocca.
“Lui è Hanabusa Aidoh ”, intervenne Takuma “ e credo che sia
troppo scosso per riuscire a dirti anche solo una piccola e banale
parola”.
Kaname si accorse del profondo turbamento che si era impadronito di
quell'uomo, i cui occhi azzurri come il giaccio tradivano un fuoco
ardente che non aspettava altro di potersi sprigionare lasciando
libero sfogo a quella forte emozione che aveva dentro, ma l'unica
cosa che riuscì a fare fu quella di sorridergli e appoggiargli una
mano sulla spalla.
Non sapeva perché, ma sentiva di essere profondamente legato ad
entrambi, specialmente all'ultimo.
Aidoh sorrise e si voltò verso la ragazza, chiedendo di potersi
congedare.
“Ma certo, Hanabusa. Credo che adesso sia meglio lasciare le cose
come stanno...ci sarà tempo per tutti e per tutto”.
Hanabusa annuì e corse via, evitando di incrociare le iridi amaranto
di Kaname.
“Kaname, se vuoi seguirmi ti mostro la tua stanza”, disse Takuma
cominciando a salire le scale, senza aspettare una risposta.
Kaname lo seguì, voltandosi ancora una volta verso quella ragazza
che lo guardava adorante, con le guance lievemente arrossate.
Sorrise anche lui, e il suo sguardo si addolcì.
“E' davvero strano ed incredibile riaverti qui tra noi”, disse
Takuma mentre apriva una delle camere del piano superiore.
“A vederti, sembra che questi mille anni non siano mai passati, e
invece...”
“Mille...anni?”, ripeté Kaname.
“Sì, mille anni.”, disse Takuma molto seriamente, guardando
Kaname direttamente negli occhi. “Non ho intenzione di indorarti la
pillola e trattarti come un malato in convalescenza, Kaname. Tu sei
il mio più caro amico, siamo cresciuti insieme come fratelli e sono
successe così tante cose che non ho nessuna intenzione di fingere né
di non conoscerti, né di non sapere chi sei per il nostro mondo.
Potrai anche aver perso la memoria, ma ti giuro che farò in modo di
raccontarti ogni singolo, piccolo, minuscolo dettaglio di chi eri, di
cosa hai fatto, di chi siamo tutti noi e del perché sei qui adesso.
Tu sei Kaname Kuran. Lo sei sempre stato e non potrai mai essere che
questo.”
Kaname lo ascoltava in silenzio, colpito dalla fermezza di quel
discorso.
“E chi è Kaname Kuran?” chiese, usando per la prima volta un
tono di voce più fermo. Forse la sicurezza di Takuma stava
cominciando a fare effetto anche su di lui.
“Tu sei il Vampiro tra i Vampiri, il Sanguepuro più illustre ed
importante. Sei nato più di undicimila anni fa, sei l'unico
capostipite ancora in vita e adesso sei...un umano...”
Kaname sgranò gli occhi, quella storia sembrava davvero assurda e
per un attimo provò il desiderio di scoppiare a ridere in faccia a
Takuma.
“Non ti sto raccontando bugie e se vuoi ascoltarmi, ti racconterò
tutta la storia, sin dall'inizio.”
Kaname annuì e seguì Takuma all'interno della stanza dove rimase
per parecchie ore, ascoltando con attenzione un racconto surreale,
doloroso, feroce, crudele, estremamente triste ma anche ricco di
amore, amicizia, sacrificio e speranza.
Takuma non tralasciò niente e nessuno: Shizuka, il Venerabile, Rido,
Haruka, Juri, l'Ancestress, Kaien, Ruka, Rima, Shiki e tutta la Night
Class, Sara. Nessuno rimase escluso dal suo racconto, ogni dettaglio,
peccato, errore, piano, macchinazione fu raccontato nei minimi
dettagli.
E ovviamente Zero e Yuuki. La storia di Zero e Yuuki fu quella che
Takuma raccontò per ultima dato che era l'anello di congiunzione tra
il passato di Kaname e il presente che si trovava a vivere.
“Se conosco bene Yuuki, ha fatto in modo di non cancellarti
completamente la memoria”, disse Takuma al termine del suo
racconto.
“Tu dici?”
“Certo. Yuuki voleva solo liberarti dalla sete e dalla tristezza,
ma non dalla tua natura.”, continuò il biondo.
“Ma da quello che mi hai raccontato, la mia natura è sempre stata
un tutt'uno con la mia sete e la mia tristezza. Come potrò essere
felice se questa vita adesso l'ho avuta solo grazie al suo
sacrificio?”
Il tono con cui Kaname parlava era lo stesso che Takuma aveva
imparato a conoscere così bene nel corso di quella loro lunga
conoscenza. Quella vena di malinconia e solitudine e quel senso di
inadeguatezza verso tutto e tutti che Kaname aveva sempre provato erano
di nuovo lì, pronti a manifestarsi nel tono di voce, nello sguardo
basso e cupo, nella schiena voltata al suo interlocutore.
Erano passati mille anni, certo, ma Kaname era sempre lo stesso e
quell'immensa fragilità che lo aveva sempre contraddistinto era lì,
pronta a riemergere alla prima occasione.
Takuma sorrise intenerito alla vista di quell'uomo che, adesso come
allora, non aveva nessun timore a rivelare la sua vera natura. O
almeno, la rivelava solo ad alcune persone, ma Kaname questo non lo
ricordava.
“Kaname, io credo che sia troppo presto per affrontare un simile
pensiero. Chiederti come potrai essere felice se Yuuki è morta per
farti tornare in vita non solo non ti aiuterà, ma rischierà di
farti impazzire dal dolore, specialmente quando ricorderai da solo
tutto ciò che c'è stato con lei e quanto amore vi ha legato.”
Kaname ascoltava con attenzione, senza però voltarsi. Il guardino di
quell'antica e sconosciuta dimora sembrava aver assorbito
totalmente i suoi pensieri.
“Lei non ti ha lasciato da solo. Ti ha trasformato in un umano, è
vero, ma ha fatto in modo che vicino a te ci fossero delle persone, e
non persone qualunque....Ha lasciato me, Hanabusa e quei due
ragazzi....Ma dico, Kaname, li hai visti? Hai capito chi sono?”
Kaname si voltò e annuì.
“Certo che ho capito, sono i figli di Yuuki”
“Sì...ma la cosa che non credo tu sappia è che quei ragazzi
hanno due padri diversi...”
Kaname sgranò gli occhi e il cuore cominciò ad accelerare i
battiti.
...te, che sei l'altro nostro padre...
E se quell'aggettivo, quell' “altro” non fosse stato solo in
senso metaforico?
“Takuma, cosa vuoi dire...?”
“L'hai già capito da solo, Kaname”, disse Takuma sorridendo.
“Ichiru è figlio di Zero, ed è il fratello minore, ma lei, la
ragazza, Himeka, è tua figlia...”
Kaname chiuse gli occhi e sorrise. Chissà perché, quella notizia
non lo sorprendeva poi più di tanto.
Avrebbe dovuto sentirsi sconcertato, spaventato o magari anche
incredulo e invece ciò che provava era serenità e gioia, una gioia
strana, pacata ma indefinita. Non sapeva darsi una spiegazione
logica, ma dentro di sé sentiva di averlo saputo da sempre.
“Non sei sorpreso...” constatò Takuma.
“No. Sei libero di non crederci, ma sento di conoscere quella
ragazza da tempo. La sua voce...l'ho sentita tante volte, è una voce
famigliare...”
Era assurdo, Kaname lo sapeva bene, si aspettava che Takuma ridesse
di questa sua sensazione, tuttavia quest'ultimo non solo non lo fece,
ma al contrario gli si avvicinò e, posandogli una mano sulla spalla,
gli disse:
“Ne ero certo, Yuuki non ti avrebbe mai portato via i ricordi di
vostra figlia!”
Kaname si allontanò da lui e si mise in piedi accanto alla finestra.
Quel ricordo era vero, quei mille anni non erano stati solo buio ed
oblio. Ma come erano trascorsi per lui quei mille anni? Era davvero
possibile che avesse conservato dei ricordi, che quelle sensazioni
fossero vere? Perché se era così, allora probabilmente erano vere
anche quelle altre voci che ricordava, e quello strano senso di
responsabilità che sentiva di aver provato.
“Ci sono delle persone che devo proteggere”
Aveva davvero protetto qualcuno, o era solo un brutto scherzo giocato
dalla tensione e dal senso di colpa per tutto ciò che aveva fatto?
Bisognava assolutamente rimettere in ordine tutte le emozioni e le
sconcertanti verità che Takuma aveva raccontato. No, non era vero,
non era solo questo; aveva una vita da rimettere in ordine, mille
anni di vuoto che adesso esigevano delle risposte e delle svolte.
Takuma, come sempre, intuì i pensieri di Kaname e lo lasciò solo,
augurandosi di poter rivedere presto in quell'uomo che si affacciava
per la prima volta al mondo degli umani il Vampiro che aveva sempre
ammirato e del quale sentiva un'enorme mancanza.
Era consapevole di avergli dato delle notizie difficili da sopportare
a livello emotivo, ma era altrettanto consapevole del fatto che il
vero Kaname era lì da qualche parte, pronto a tornare.
Mentre stava varcando la soglia della stanza, Kaname lo chiamò:
“Takuma, ho un'ultima domanda.”
Nessuna esitazione, nessuna richiesta, nessuna increspatura nella
voce. Per un attimo Takuma sentì un brivido corrergli lungo la
schiena, certo che se si fosse voltato avrebbe trovato Kaname semi
disteso sulla sua chaise-longue, con la mano distrattamente
appoggiata sotto il mento e con l'altra che faceva ondeggiare un
bicchiere nel quale erano state appena sciolte delle compresse
ematiche.
Si voltò e attese.
“Mi hai detto che è possibile trasformare un vampiro in umano, che
esiste una sorta di procedura.”
Takuma annuì.
“L'hai usata anche su di te?”
Il biondo vampiro era sinceramente stupito di quella domanda, non
credeva possibile che in un momento del genere Kaname potesse
arrivare a soffermarsi su quella possibilità. Sorrise, sia perché
una tale domanda voleva dire che Kaname Kuran stava tornando,
e sia perché si stupì del fatto che Yuuki avesse previsto una tale
domanda e avesse già lasciato delle risposte, o meglio, delle
indicazioni sul da farsi.
“A questo non posso rispondere, non ora. Saprai tutto al momento
debito, ora pensa solo a riprenderti”.
Non era forse la risposta che si aspettava, ma Kaname capì, e
sorrise.
Yuuki...hai pensato anche a questo...
Rimasto da solo, Kaname si stese sul letto e a poco a poco rielaborò
tutto quello che era successo quel giorno, attimo per attimo,
emozione per emozione.
Una nuova vita, ecco cosa stava succedendo.
Il primo giorno della sua nuova vita, ecco cos'era stata quella
giornata.
Ma cosa sarebbe accaduto l'indomani, e il giorno dopo, e il giorno
dopo ancora?
Un po' alla volta tutti avrebbero saputo che Kaname Kuran era
tornato, ma chi era poi davvero questo Kaname Kuran?
La sua storia era ormai leggenda; ammirato e temuto al tempo stesso,
simbolo di dolore e crudeltà ma anche di profondo amore e di
capacità di sacrificio senza pari.
Kaname, dal canto suo, aveva deciso, sapeva esattamente chi voleva
essere.
E a partire dal giorno seguente, l'avrebbe dimostrato.
Angolo dell'autrice:
Dopo mesi di assenza da questo sito,
rieccomi qui, con una nuova storia su Vampire Knight. Mi sono
interrogata spesso su un possibile "seguito" al risveglio di Kaname e
questa è la mia personale interpretazione. Non credo che questa
storia sarà lunga, l'idea e di svilupparla in soli tre capitoli
e capirete poi perché.
Come sempre, ogni commento, positivo e
negativo è sempre ben accetto e ringrazio già da adesso
chi leggerà e/o commenterà.
Dedico questa storia a tutti quelli
che hanno amato e continuano ad amare Vampire Knight, e soprattutto a
tutti quelli che hanno sempre desiderato per il Nobile Kaname una vita
finalmente felice.
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Capitolo 2 *** Close Again ***
backtolife2
Adattarsi
alla nuova vita non era affatto facile, soprattutto se circondato da
vampiri.
Ormai
Kaname era sicuro di condividere la casa con dei vampiri, anche se
questi non lo avevano mai detto apertamente. Non era stato difficile
capirlo, di certo a Kaname non erano sfuggiti gli strani ritmi di
sonno veglia, le compresse ematiche che spesso trovava in giro per
casa e quella strana sfumatura di rosso che di tanto in tanto vedeva
nelle iridi dei suoi coinquilini.
In
quelle di Himeka, soprattutto.
Takuma
si era rivelato non solo un amico formidabile, ma anche una guida
insostituibile, perché aveva continuato ad aiutare Kaname ad
integrarsi nel nuovo mondo, giorno dopo giorno, instancabilmente.
Aveva
studiato con lui, visitato quell'enorme casa, il giardino,
l'Accademia Cross ma anche quello che rimaneva della vecchia
Associazione Hunter. Tutto quello che aveva avuto un ruolo importante
nella vecchia vita di Kaname era stato accuratamente analizzato,
nulla era stato tralasciato.
In
realtà anche Himeka ed Ichiru si stavano dando un gran da fare per
aiutare Kaname, ma il loro aiuto era più famigliare, domestico.
Erano due adolescenti e per tanto cercavano di fare in modo che
Kaname si sentisse a proprio agio nella vita quotidiana insieme a
loro, perché non si sentisse perso o fuori luogo nel momento in cui
Takuma ed Hanabusa avessero deciso di lasciare Villa Kuran.
Non
era certo facile relazionarsi a due adolescenti, specialmente se uno
dei due continuava a sfuggire, perché se da una parte Ichiru ormai
si era abituato alla presenza di Kaname e non mostrava più alcun
segno di disagio, lo stesso non poteva dirsi per sua sorella che,
invece, non riusciva ad avvicinarsi al padre, nonostante lo
desiderasse così tanto.
E
Kaname, dal canto suo, aveva intenzione di rispettare il più
possibile questo silenzio imposto da sua figlia perché capiva quali
sentimenti si agitassero nel cuore della ragazza.
Cosa
si può mai dire ad un padre che non hai mai conosciuto?
E cosa
si può mai dire ad una figlia che non sapevi neanche di avere?
La
paura di Himeka era la stessa di Kaname, nessuno dei due aveva idea
di come compiere il primo passo verso l'altro, benché entrambi
sentissero il bisogno di conoscersi, di parlarsi, di ritrovarsi.
Solo i
loro sguardi tradivano questo bisogno, perché i loro occhi erano un
misto di gioia, emozione e sofferenza ogni volta che si incrociavano.
E troppo spesso gli occhi di Himeka si tingevano di una sfumatura di
rosso acceso, un colore che spaventava lei, ma che affascinava ed
inchiodava Kaname.
Tempo,
ci serve solo tempo, continuava
a ripetersi Kaname, cercando un modo per avvicinarsi a sua figlia.
E d'altro canto sembrava servisse tanto tempo anche per avvicinarsi
ad Hanabusa, che troppe volte eludeva non solo lo sguardo di Kaname,
ma anche la sua presenza adducendo come scusa delle ricerche da
terminare e chiudendosi in laboratorio.
Finché
un giorno Kaname decise che la porta di quel laboratorio non si
sarebbe più chiusa dietro alle spalle di Hanabusa.
“Non credi che adesso sia il caso di parlare, Hanabusa?”, disse
il sangue puro con una nota severa nella voce della quale si pentì
subito perché non era certo sua intenzione apparire così
autoritario, Non poteva negare, però, che questo atteggiamento di
Hanabusa lo irritava e non poco.
Perché aveva bisogno di lui, perché voleva parlare con lui e
ritrovarlo, così come era successo con Takuma.
“Hanabusa, ti prego, usciamo in giardino e parliamo un po'. Credo
che sia necessario ad entrambi”, continuò, ammorbidendo la voce e
sorridendo, alleggerendo così anche lo sguardo.
Hanabusa riconobbe quello sguardo, e cedette.
Annuendo seguì Kaname in giardino, non proferendo parola durante
tutto il tragitto.
Kaname si sedette all'ombra di una grande quercia e Barbusa lo imitò,
restando però chiuso nel suo silenzio.
“Grazie”, disse semplicemente Kaname.
Aidoh si voltò spalancando i suoi grandi occhi azzurri, certo di non
aver capito bene.
“Cosa?”, gli chiese.
“Ti ho detto grazie, Hanabusa”, ripeté Kaname guardando l'uomo
seduto accanto a sé che abbassava lo sguardo.
“Se non fosse stato per te, io adesso non sarei qui. So cos'hai
fatto per me. So che la bara di ghiaccio è stata opera tua e per
questo ti ringrazierò per sempre”.
Hanabusa era commosso e visibilmente a disagio.
Tutto quello che voleva fare era scoppiare a piangere, abbracciare
Kaname e dimostrargli quanto fosse contento di averlo ritrovato, ma
era certo che lui non avrebbe mai apprezzato queste esternazioni.
Non le aveva mai apprezzate, in passato.
“Sai, Hanabusa, Takuma mi ha parlato molto di te. Mi ha raccontato
la tua straordinaria abilità in Chimica, le tue geniali doti di
ricercatore e la tua magistrale padronanza del ghiaccio. Sei un
genio, questo mi ha detto”.
“Beh...Takuma ha un po' esagerato, Kaname...”
Kaname sorrise, era la prima volta che Aidoh rispondeva.
“E mi ha anche detto che hai un cuore enorme, che hai vegliato su
Yuuki e sui bambini per tutto questo tempo, e anche su di me.”
“Abbiamo vegliato tutti su di te, Kaname, nessuno escluso...”
Hanabusa cercava di interrompere il discordo di Kaname, si sentiva
estremamente in imbarazzo e non voleva sentire oltre.
“Sì, ma io ti ho fatto credere di aver ucciso tuo padre.”
Un gelo improvviso scese fra i due. Ecco, finalmente era giunto il
momento di parlarsi chiaramente, di chiudere i conti con il passato
per poi ricominciare.
“Ti ho odiato, in quel periodo, Kaname...ho passato mesi a
chiedermi perché tu avessi compiuto un gesto così crudele davanti a
me e a Yuuki e non riuscivo a darmi una risposta, non riuscivo a
capire quale potesse mai essere stata la colpa che aveva condannato
mio padre a quella fine orribile”.
Kaname ascoltava con attenzione. Sapeva cosa era successo tra loro,
Takuma gli aveva raccontato anche quello, pertanto non aveva nessuna
intenzione di interrompere il flusso di parole di Aidoh.
“Ho continuato a stare vicino a Yuuki perché te lo avevo promesso,
perché nonostante tutto non riuscivo ad odiare i Kuran, o almeno non
lei, che era così ingenua e sprovveduta. E poi avevo la sicurezza
che se fossi rimasto accanto a Yuuki, prima o poi ti avrei rivisto,
perché ero certo che un giorno o l'altro vi sareste trovati faccia a
faccia, l'uno contro l'altra.”
“Già, hai ragione. Ho continuato a scappare da Yuuki ben sapendo
che lei mi dava la caccia, ma sapevo anche io che sarebbe giunto il
momento in cui mi sarei fermato e mi sarei lasciato catturare.”
“Non avrei immaginato che saresti arrivato a tanto...Kaname!”
La voce di Hanabusa adesso tremava e il suo sguardo era duro, severo.
Tutta l'emozione trattenuta a forza stava uscendo, insieme a tutte
quelle parole sepolte nel suo cuore da mille anni.
“Perché noi...perché quella decisione orribile?”
“Perché volevo andarmene senza che nessuno di voi provasse mai
rimpianto per me. Se tutti voi mi aveste creduto un freddo assassino,
un cinico manipolatore incapace di amare, nessuno avrebbe pianto la
mia morte e io avrei potuto portare a termine il mio piano
serenamente.”
Ormai non aveva più senso mentire, non dopo tutti quegli anni e
tutto quello che era successo.
“Kaname, mi dispiace dirtelo, ma non hai mai capito niente di
noi...”
Kaname sorrise sarcastico. Aidoh aveva ragione.
Come aveva potuto credere che sarebbe bastato quel folle gesto per
far sì che smettessero di credere in lui e di volergli bene?
Non era servito a niente, lo sapeva perfettamente.
“Non lo so, Hanabusa. Forse perché sono sempre stato solo, forse
perché Yuuki non mi ha mai veramente...”
“So che c'erano dei problemi, tra voi. Me ne sono accorto quando ho
visto Yuuki in preda ad una sete non normale per una vampira che
beveva abitualmente il tuo sangue. Ma so anche che quello che provava
Yuuki per te era sincero e forte, lo ha dimostrato sempre, fino
all'ultimo giorno della sua vita.”
“Sì...ma non bastava...e non bastavo neanche io...”
Hanabusa sgranò gli occhi.
Quanto costava ammettere tutto questo?
Hanabusa guardava Kaname con ammirazione e rispetto, perché si
rendeva conto di quanto fosse doloroso per lui rivangare il suo
passato e la sua storia con Yuuki.
Kaname non aveva mai parlato con lui in questo modo. Aveva una grande
fiducia in lui, questo lo sapeva, ma mai e poi mai si era confidato.
Sorrise, chiedendosi se finalmente era giunto il momento in cui
avrebbero finalmente avuto un rapporto di amicizia alla pari.
“Sai, Hanabusa, so anche che hai portato a termine le mie ricerche,
ma che purtroppo non sei riuscito a salvare la donna che amavi”.
Hanabusa guardò un punto lontano, aveva bisogno di distogliere lo
sguardo da Kaname.
“Takuma ti ha proprio raccontato tutto, eh?”, chiese sospirando.
“Non doveva?”, gli fece eco Kaname.
“No...è solo che...ecco...è...doloroso parlarne”.
Kaname decise di non andare oltre e di aspettare che Hanabusa volesse
condividere spontaneamente quei ricordi con lui, sperando che quel
momento arrivasse il prima possibile.
Una domanda, però, doveva fargliela, e subito.
“Hanabusa...com'è essere un padre?”
Hanabusa sorrise.
“Problemi con i ragazzi?”, gli chiese ridendo.
Kaname rise, stendendosi sull'erba ed incrociando le braccia sotto
alla nuca.
“No...sì...beh...non saprei da dove cominciare”, ammise.
“Comincia dall'inizio...”, lo invitò il biondo vampiro.
“Beh, vedi, all'inizio ero sicuro che avrei avuto più problemi con
Ichiru, mi aveva accolto con molta freddezza, e invece con lui sta
nascendo un ottimo rapporto.”
“Ichiru somiglia moltissimo a Zero, Kaname. E' freddo e diffidente
per natura, ma una volta conquistata la sua fiducia è una persona
splendida.”
“E' vero. Mi sta aiutando molto, mi racconta tanti episodi della
sua infanzia insieme a Zero, Yuuki e Himeka, mi sta facendo entrare
nella famiglia un passo alla volta”.
Hanabusa notò con piacere che lo sguardo di Kaname si era addolcito
nel momento stesso in cui aveva iniziato a parlare di Ichiru. Forse
la vicinanza di quei ragazzi era davvero la migliore cura possibile
per quel cuore pieno di disperazione.
“E
poi gli piace molto uscire con me. Mi ha portato in città per fare
alcune spese. Cose da uomini,
ha detto a sua sorella e poi...” Kaname si fermò, scoppiando a
ridere.
“Perché ridi? Cosa ti ha fatto fare?” chiede Aidoh, incuriosito
da quella reazione.
“Niente,
mi ha solo detto che uscire con me gli serviva per
avvicinare alcune ragazze...”
Hanabusa si batté un mano sulla fronte, ridendo.
“E' un adolescente, starà sperimentando le prime cotte...”
sogghignò.
“Lo
credo anche io”, continuò Kaname, “perché mi ha anche detto che
ha notato come mi guardano per strada e quindi è sicuro che
uscendo con me verrà notato anche lui, specialmente da alcune
compagne di scuola che sembra non riesca ad avvicinare, che non ha
esitato un attimo a presentarmi, definendomi il suo famoso
altro padre!”
Una serena e sincera risata mise fine a quel discorso e anche
all'imbarazzo che c'era da troppo tempo tra i due uomini.
“Sto bene con quel ragazzo, è allegro e solare, si vede che i suoi
genitori lo hanno amato molto.”, concluse Kaname.
“Sì, è vero, Ichiru è stato molto amato, ma ti assicuro che gli
è stato insegnato ad amare anche te allo stesso modo. Non ho mai
sentito Yuuki o Zero dire qualcosa di negativo su di te anzi, hanno
cresciuto i due ragazzi rendendoli consapevoli del fatto che anche tu
eri loro padre. Beh...per Ichiru un padre acquisito...ovviamente”
“Lo so...invece, Himeka...”
Lo sguardo di Kaname divenne più triste, velato, ma anche
estremamente emozionato e pieno d'amore.
“Scommetto che è con lei che hai dei problemi, vero?”
Kaname annuì alla domanda di Aidoh.
“Lo immaginavo. Mentre Yori stava dando alla luce il nostro primo
figlio, io tremavo di paura. Ero certo che non sarei stato in grado
di tenerlo in braccio, di parlargli, di educarlo, di giocare con lui,
di crescerlo.”
Kaname si tirò su sui gomiti e rimase ad osservare Hanabusa.
“Ma poi mi bastò guardarlo negli occhi una volta sola, e tutta la
paura e l'inquietudine sono sparite di colpo. Certo ho commesso degli
errori, come tutti, ma mi sono sempre lasciato guidare dall'istinto e
dall'amore per i miei figli”.
Kaname ascoltava Hanabusa con attenzione.
“Devi solo lasciarti andare, Kaname. Affidati all'istinto, al tuo
cuore. Hai paura come ne ha lei, ma se nessuno dei due fa il primo
passo, rimarrete cristallizzati nella vostra paura per sempre, e vi
perderete la cosa più bella della vostra vita. Himeka ti somiglia
tantissimo, Kaname. Ha il tuo stesso carattere, ha paura a fidarsi
della gente ma ha tanto bisogno di amore. Ha sofferto tantissimo per
la tua mancanza e da quando ha scoperto la tua esistenza, tanto tempo
fa, non è passato un solo giorno in cui lei non sia venuta da te,
sedendosi per terra a parlarti per ore.”
Gli occhi di Kaname si velarono di lacrime a questo racconto, perché
ebbe la conferma che quella voce di bambina che sentiva sempre era
esistita davvero, non era frutto della sua immaginazione.
“Sai, Aidoh, io la sentivo...Himeka, voglio dire. La sentivo. In
quella bara di ghiaccio io non ero completamente addormentato, ero
semi cosciente e sentivo quello che capitava intorno a me. Ho sentito
tutti voi, e ho sempre sentito lei. Solo che, una volta svegliato,
credevo fosse solo frutto della mia immaginazione...”
Aidoh si commosse a questo racconto e si rese conto di quanto fossero
stati dolorosi quei mille anni per Kaname, benché tutti credessero
che fosse addormentato.
“A maggior ragione, Kaname, se l'hai sempre sentita sai quanto è
grande il suo bisogno di te. Tu sei suo padre, tocca a te
avvicinarla, lei si aspetta questo.”
“Sì, ma come? Appena faccio un passo verso di lei, sfugge via.”
Hanabusa ci pensò su un attimo, poi decise che era arrivato il
momento di esaudire una richiesta di Yuuki.
“Vieni con me, Kaname”, disse al suo amico ritrovato.
Andarono nella stanza di Hanabusa e qui questi gli diede un
pacchetto.
“Aprilo”, gli disse.
Kaname aprì la scatola e sgranò gli occhi. Avvolto in un panno di
velluto rosso c'era un diario.
“Ma questo...” lo riconobbe, lo aveva regalato lui stesso a Yuuki
quando era tornata a vivere con lui, sperando che la potesse aiutare
a mettere ordine nelle sua emozioni.
“E' il diario di Yuuki. Ha iniziato a scriverlo quando ha scoperto
di aspettare vostra figlia e ha continuato fino all'ultimo giorno. Mi
ha detto di dartelo per aiutarti a conoscere Himeka.”
Poi Hanabusa andò verso la scrivania e prese una lettera da un
cassetto.
“E invece questa l'ha scritta per te.”
La mani di Kaname tremarono mentre si posarono su quella lettera.
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Capitolo 3 *** In your arms, at last ***
backtolife3
Mio
amato Kaname,
scriverti
queste righe è forse la cosa più difficile che abbia mai dovuto
fare.
Ho
lasciato un messaggio per te ai ragazzi, ma c'è qualcos'altro che
devo dirti. Non so se riuscirai mai a capire e ad accettare la mia
decisione di renderti umano, ma ti prego di credere che l'unico
motivo che mi ha spinto a farlo è quello di renderti libero. Sarebbe
meraviglioso se potessimo usare su di te la nuova cura e potessi
diventare umano senza il mio sacrificio, ma sia Hanabusa che Takuma
mi hanno preparato sul fatto che questo sarà quasi sicuramente
impossibile.
Quando
riusciremo a recuperarlo, il tuo cuore sarà così debole e fragile
che è improbabile possa sopportare un farmaco del genere.
E
mi dispiace, ti giuro che mi dispiace.
Non
sai quante volte ho sognato di poterti somministrare quel farmaco e
farti risvegliare.
Non
sai quante volte ho sognato di vederti risvegliare...
Ho
voglia di rivedere i tuoi meravigliosi occhi amaranto e quello
sguardo che riservavi solo a me, anche se so di non meritarlo, di non
avere più il diritto di sentirmi così unica e speciale per te.
Ma
lo so, che se fosse possibile, tu mi guarderesti ancora così perché
lo hai sempre fatto, anche quando sono stata crudele, anche quando la
vita stava scivolando via da te...
Ho
solo una preghiera da rivolgerti.
Non
far mai mancare quello sguardo a nostra figlia. Non hai idea di
quanto lei ti ami e di quanto abbia sofferto la tua mancanza. Per
poterti stare vicino, ha persino rifiutato di sottoporsi alla cura
che l'avrebbe tramutata in umana. Himeka è ancora una vampira Sangue
Puro, Kaname, ha preteso di restare così finché non ti avesse
conosciuto.
Starà
a te farle cambiare idea.
E
con lei, sono rimasti tali anche Hanabusa e Takuma, per proteggerla,
hanno detto.
Credo
che Himeka voglia restare una vampira finché non sarà sicura che
non corri alcun rischio, ma temo che ci sia anche dell'altro, che lei
non mi ha mai voluto confidare.
Ti
somiglia tantissimo, sai?
Ti
rivedo nei suoi silenzi, nei suoi occhi e nella sua fragilità.
Mi
manchi, Kaname.
Yuuki
Non
era stato per niente facile leggere la lettera di Yuuki, né
tanto meno lo era leggere il suo diario.
Un
tuffo nel passato, sì, ma anche un prezioso documento per aiutare
Kaname a riempire quel vuoto di mille anni, ecco cos'era quel diario.
Yuuki
non aveva tralasciato nulla, aveva riportato ogni singolo
avvenimento, emozione , occasione, ricorrenza mettendo nei suoi
racconti molta cura in modo che non mancasse nessun particolare, che
ogni singola pagina raccontasse fedelmente e esattamente ciò che era
successo.
E
c'era davvero tutto. La disperazione dei primi mesi dopo il
sonno in cui era sprofondato Kaname, la scoperta di una nuova
vita dentro di lei, la decisione di vivere quella gravidanza da sola,
lontano da tutti e la nascita della bambina.
Kaname
aveva letto così tante volte la parte in cui Yuuki descriveva la
nascita di Himeka che ormai l'aveva imparata a memoria ed il
rimpianto di non aver condiviso con lei, con loro, quei momenti si
era ormai andato ad aggiungere all'infinito numero di rimpianti che
gravavano sul suo cuore.
Dopo
la nascita di Himeka, il diario proseguiva con la descrizione dei
loro giorni insieme, dei piccoli progressi della bambina, delle cose
più buffe che faceva e che riempivano Yuuki di stupore e di orgoglio
materno, ma c'erano anche tante pagine tristi, cupe, piene di
disperazione, solitudine, senso di smarrimento e un nome ricorrente,
spesso scritto con inchiostro slavato, bagnato di lacrime: Kaname.
Yuuki
non aveva mai smesso di sentire la sua mancanza ed il proposito di
riportarlo in vita era diventato un suo punto fermo, ormai niente e
nessuno sarebbe mai riuscito a farle cambiare idea, era ben chiaro:
Yuuki viveva aspettando il momento in cui avrebbe potuto sacrificarsi
per lui, aspettava solo che Himeka fosse abbastanza grande per
capirlo e per accettare la sua decisione.
A
nulla serviva la presenza dei suoi amici di sempre, di Kaien e
neanche quella di Zero, che non la lasciava mai, che era sempre con
loro, che si occupava della bambina come se fosse sua, crescendola
con infinito amore e venendo ripagato dallo stesso amore.
Zero
diventava sempre più presente e più importante man mano che le
pagine scorrevano, fino ad diventare un vero compagno di vita che
condivideva con lei tutto, i giorni e le notti, e un altro figlio.
Allora
le pagine del diario avevano ricominciato ad essere più serene,
felici, leggere, pur mantenendo quel profondo affetto per il suo
destinatario.
Era
palese che Yuuki fosse certa che prima o poi Kaname avrebbe letto
quel diario, perché il modo in cui gli raccontava tutto era lo
stesso che usava quando parlavano a voce, molto tempo prima. E in
quel suo rivolgersi a lui, c'era sempre una raccomandazione per
Himeka, una preghiera di badare a lei e di non lasciarla mai sola,
perché Himeka gli somigliava tantissimo e portava dentro di sé un
profondo senso di solitudine che Yuuki da sola non riusciva a
colmare.
Sembrava
impossibile, ma più Zero ed il piccolo Ichiru entravano nel diario,
più Himeka ne usciva, perché aveva cominciato a chiudersi, a
diventare silenziosa, cupa. Non era gelosa di Ichiru, non lo era mai
stata, e amava tantissimo Zero, però si capiva che dentro di lei si
stava agitando qualcosa, e questo qualcosa secondo Yuuki era la
mancanza di Kaname.
Himeka
sapeva tutto di suo padre, una volta scoperta la verità non c'era
giorno che non andasse da lui e se da una parte Yuuki era felice di
questo attaccamento, dall'altra capiva benissimo la solitudine che
cresceva nel cuore della loro bambina. Non si tirava mai indietro
quando Himeka le chiedeva di parlarle di Kaname, e non lo faceva mai
nemmeno Zero, tanto che per i due bambini venne naturale crescere con
l'idea che avevano due padri. Ma se per Ichiru questo concetto era
facile da capire, per Himeka non lo era per niente.
Kaname
chiuse il diario e si stese sulla sua chaise-longue, riflettendo
profondamente su quanto aveva appena letto.
Doveva
trovare un modo per avvicinarsi a sua figlia, per parlare un po' con
lei e chiarire la situazione una volta per tutte. Era consapevole del
fatto che sarebbe stato difficile e che avrebbe dovuto fornire molte
spiegazioni scomode, ma lo doveva fare, non c'era altra via di
uscita.
Decise
che quella sera stessa sarebbe andato nella camera di sua figlia e
sarebbe rimasto là fino a quando non avessero parlato, a costo di
restare in piedi davanti a quella porta chiusa in eterno!
Si
mise d'accordo con Hanabusa, e al momento stabilito salì la scale
che conducevano alla camera della ragazza, dove Himeka stava finendo
di studiare, aiutata da Aidoh.
Bussò
e attese con pazienza, ricevendo da sua figlia un sincero sguardo
sbalordito e stupito quando questa spalancò la porta e si trovò di
fronte suo padre.
“Ciao,
ti disturbo?”, le chiese Kaname, sorridendole.
Himeka
arrossì e abbassò lo sguardo, nonostante tutti i suoi sforzi non
riusciva a comportarsi in maniera naturale con lui e se da una parte
non desiderava altro che buttargli le braccia al collo e
abbracciarlo, dall'altra temeva che uno slancio così affettuoso
avrebbe potuto infastidire Kaname, dopotutto non si conoscevano per
niente!
“No...sì...no...in
effetti...”, cominciò a balbettare lei, completamente spiazzata
dal fatto di trovarsi faccia a faccia con suo padre.
Cercò
di ricomporsi e alzò lo sguardo.
“Beh...in
realtà stavo finendo di studiare con Zio Aidoh...”, sussurrò.
Non
voleva allontanarlo e sembrare sgarbata, ma al contempo non voleva
farlo entrare con il rischio di rimanere da sola con lui, perché era
certa che in tal caso il suo argine sarebbe straripato e tutte le
emozioni che teneva richiuse sarebbero esplose.
Ma
Aidoh fu più rapido di lei e con la scusa che poteva tornare in un
altro momento, tanto erano già a buon punto, li lasciò da soli.
Kaname
rimase fermo sull'uscio, in attesa che fosse lei ad invitarlo ad
entrare. Non voleva in nessun modo essere invadente, ma temeva che
quell'invito non sarebbe mai arrivato.
“Ti
spiace se...”, le disse, facendo un cenno con la mano.
“No...no...certo...vieni...”,
rispose Himeka, mettendosi di lato e lasciando che Kaname entrasse
nella sua stanza.
Si
trovarono per un breve momento di spalle, Kaname guardava la camera
di sua figlia e dava le spalle a lei, che chiudendo la porta, vi
appoggiò sopra la fronte.
Probabilmente,
se Kaname si fosse girato, avrebbe visto gli occhi di sua figlia
brillare.
“Mi
piace la tua stanza, è molto accogliente!”
Non
era certo facile rompere il ghiaccio e forse rimanere sul vago poteva
aiutare ad allentare la tensione.
Himeka
non rispose, ma rimase a guardare Kaname che con delicatezza e
movimenti incerti incedeva nella sua stanza, osservando con cura
tutti i particolari.
Uno,
infine, colpì la sua attenzione e nello stesso istante in cui lui
sgranò gli occhi, Himeka sentì i suoi inumidirsi.
Su una
delle mensole faceva bella mostra di sé il coniglio di pezza di
Yuuki.
Kaname
l'aveva riconosciuto, aveva visto una foto di Yuuki da piccola che
stringeva tra le braccia quel coniglio, e in quella foto lui teneva
Yuuki sulle sue ginocchia.
“Era
della mamma”, cominciò la ragazza. “Me lo regalò appena venni
al mondo. E' il primo giocattolo che ho ricevuto, lo ha messo nella
mia culla e non me ne sono mai separata.”
Kaname
la stava ascoltando continuando a guardare quel coniglietto.
“So
che quel coniglio lo hai regalato tu alla mamma quando era bambina.
Non trovi strano il fatto che lei me lo abbia dato appena nata?”
La
domanda di Himeka era retorica e a Kaname questo non sfuggì.
Sorrise
amaramente scuotendo la testa. No, non era strano per niente.
“Himeka...io...non
so neanche da che parte iniziare...”, sussurrò Kaname.
“Potresti
cominciare con il dirmi cosa c'è scritto nella lettera che ti ha
lasciato la mamma”
Kaname
non immaginava che Yuuki le avesse detto della lettera, ma non
rifiutò e raccontò tutto.
“Mi
ha scritto che nessuno di voi ha voluto sottoporsi al trattamento per
diventare umani, che lo farete solo nel momento in cui io non correrò
più rischi. Mi chiede inoltre di badare a te e di starti sempre
accanto”.
Himeka
sorrise al pensiero che sua madre avesse pensato a lei fino alla
fine.
“Tipico
di mia madre, non trovi? Preoccuparsi degli altri anche quando è lei
la prima a commettere sciocchezze...”
“Quello
che posso dirti, con estrema sincerità, è che né io né tua madre
avremmo mai voluto farti tutto questo, credimi...”
“E
allora, perché...”
Himeka
cercò di parlare, di chiedere spiegazioni, ma riuscì solo a
scoppiare in un pianto a dirotto.
“Hai
idea di come ho vissuto? La Principessa Kuran, la Nobilissima
Sangue Puro, Colei in cui scorre il sangue più puro e
potente...Questa ero io, e non
sapevo neanche perché! Io non volevo essere tutto questo, io volevo
solo essere me stessa, con una madre ed un padre, chiunque essi
fossero!!!”
Era piena di rabbia, Himeka, per quel destino che le aveva segnato la
vita sin da piccola.
“Sono vissuta con uno stuolo di gente intorno che non voleva fare
altro che proteggermi: la mamma, Zero, Kaien, Takuma, Hanabusa e
tutti gli altri! Li amo alla follia, non fraintendermi, ma io non
capivo il perché di questa protezione, e ogni volta che chiedevo
spiegazioni alla mamma le si riempivano gli occhi di lacrime e mi
diceva che un giorno me lo avrebbe spiegato, quando sarei stata più
grande...”
Kaname si stupì, credeva che Yuuki le avesse parlato subito di lui.
“No, non subito...non ci riusciva. Io e la mamma siamo sempre state
insieme, da quando sono nata non mi ha mai lasciato un attimo,
condividevamo pure la stessa stanza. I miei primi ricordi di bambina
sono le mie dita che arrotolavano i suoi capelli, mentre le chiedevo
dove fosse mio padre.”
“E lei cosa ti rispondeva?”, le chiese Kaname.
“Nulla, le si inumidivano gli occhi e mi stringeva a sé. Non
capivo perché facesse così, ero troppo piccola, ma so solo che dopo
un po' smisi di chiederlo a lei. Un giorno, approfittando del fatto
che mia madre era andata ad una riunione con Zero, chiesi aiuto a
Takuma e lui, dopo averci pensato un po' su, mi prese per mano e mi
condusse lungo un corridoio dell'Accademia che sapevo essere
proibito.”
Kaname si sedette sul letto di Himeka, seguito subito dopo da lei.
Era bello trovarsi così vicini, finalmente, e parlare liberamente.
“Alla fine di quel corridoio Takuma mi fece entrare in una stanza
dove trovai un'enorme teca di ghiaccio che conteneva un uomo. Tu.”
Himeka si voltò verso Kaname e gli sorrise.
“Quella fu la prima volta che ti vidi. Takuma mi fece avvicinare,
poi mi fece sedere sulle sue ginocchia e mi raccontò tutta la tua
storia. Restammo in quella stanza per ore ed ore, perdemmo così
tanto la cognizione del tempo che non ci venne in mente che mia madre
poteva essere tornata e che magari era in pensiero. Fummo interrotti
da lei, che entrò nella stanza come una furia, piangendo disperata
perché temeva che mi fosse successo qualcosa, ma quando ci vide lì
capì subito, e abbassò lo sguardo. Da quel giorno ha cominciato a
parlarmi di te.”
Kaname ascoltò tutto il racconto e si stupì del fatto che fosse
stato Takuma a rivelarle la sua esistenza.
“E dimmi, Himeka, Yuuki si arrabbiò con te, o con Takuma?”
“No, assolutamente! Credo che invece fosse grata a Takuma, perché
in seguito lei mi ha confessato che non aveva il coraggio di portarmi
da te, temeva che potessi subire uno shock. Da quel giorno, invece,
ha cominciato a parlarmi di te e ha ricominciato a sorridere.”
“Cosa ti raccontava?”
Kaname si sentiva come un prigioniero che per troppo tempo era stato
costretto al digiuno e alle sete e ora non aveva altro desiderio che
dissetarsi e sfamarsi completamente. Ogni singola parola di Himeka
era per lui nutrimento, vita, energia che a poco a poco tornava ad
animare il suo stanchissimo corpo.
“Di tutto! Mi ha raccontato molti aneddoti della sua infanzia, di
quando l'hai salvata, del periodo che avete condiviso all'Accademia e
anche di tutto quello che accadde allora. Non ha mai nascosto niente,
so tutto, sia le cose belle che quelle brutte. Però ti posso
assicurare che non mi ha mai messo contro di te e non ha mai parlato
male di te, anzi...” terminò, arrossendo.
“Cosa c'è?”, chiese Kaname, sorridendo per quella strana
reazione.
“Mi ha sempre detto che ti somigliavo molto, che avevo i tuoi occhi
e che era felice di questo, perché i tuoi occhi erano qualcosa di
meraviglioso ed indescrivibile.”
Himeka abbassò lo sguardo e non fece nulla per trattenere le
lacrime.
“Morivo dalla voglia di vedere i tuoi occhi....Passavo ore e ore
davanti alla tua teca, sperando che tu mi sentissi ed aprissi gli
occhi. Te lo chiedevo, ti supplicavo, ma tu non li hai mai aperti...”
Con un gesto tipicamente infantile, Himeka si asciugò gli occhi con
la manica del vestito, e continuò:
“Venivo a trovarti tutti i giorni, non riuscivo a farne a meno e
stare lì accanto a te mi dava sicurezza, mi trasmetteva serenità,
anche se era solo una mia idea. Pensa che un po' alla volta ho
imparato anche a sentirti.”
Kaname la guardò con aria interrogativa, non riusciva a capirla.
“Man mano che crescevo si affinavano anche le mie facoltà di
vampira, e quindo ho iniziato a percepire la tua presenza. Mi bastava
avvicinarmi al corridoio che portava da te, e subito avvertivo un
calore, un tepore, una strana forza benigna che mi avvolgeva e mi
proteggeva. Eri tu, lo so, adesso ne ho la certezza. E quella forza
la sentivo anche intorno a mia madre, a Zero e a tutti gli altri.”
Non era facile stare a sentire quel discorso senza lasciarsi
travolgere dalle emozioni, e Kaname aveva solo una gran voglia di
stringere a sé quella ragazza, ma temeva di farla spaventare e non
voleva per nulla al mondo vanificare quegli enormi progressi che
stavano facendo.
“Ero finalmente serena, perché anche se non avevo un padre
fisicamente presente, sapevo che eri con me ogni istante della mia
vita e mi sentivo sempre al sicuro. Era bellissimo, perché nella mia
mente di bambina, tu c'eri, e sapevi chi ero, anche se non ci
conoscevamo. Poi...tutto è cambiato...”
“Perché, cosa è successo?”
Ecco, forse, il passaggio che Yuuki non era mai riuscita a spiegarsi.
Era davvero ironico il fatto che Himeka si stesse confidando con lui,
adesso.
“Mia madre e Zero hanno avuto Ichiru, ecco cosa è cambiato...”,
ammise Himeka.
“E ti è dispiaciuto? Non volevi un fratello o non volevi che Yuuki
stesse con Zero?”, chiese Kaname, temendo di compiere, così, un
passo falso.
“No, niente del genere!”, si affrettò a puntualizzare la ragazza
con un tale sguardo sincero che era impossibile dubitare delle sue
parole.
“Ero e sono felicissima di entrambe le cose! Zero è sempre stato
un padre per me, non lo considero in altro modo che questo, e amo mio
fratello alla follia!”
“Scusami, ma allora non ti capisco!”, disse Kaname “Perché
tutto è cambiato quando sono arrivati loro?”
“Ichiru, non loro due...”, puntualizzò lei.
“E' cambiato tutto perché ho iniziato a sentirti
anche intorno
ad Ichiru. Tu non proteggevi solo me e la mamma, e di conseguenza
Zero perché lui proteggeva noi, ma anche mio fratello, e non ne
capivo il perché. Ichiru aveva già un padre, un padre vero, che
bisogno aveva di prendersi anche il mio?”
Himeka singhiozzava, era evidente che quel profondo senso di
solitudine e di incompletezza era esploso nel momento in cui aveva
visto con i suoi occhi un vero legame figliare.
“Ero gelosa, ti volevo tutto per me, non volevo dividerti con lui,
perché lui aveva già Zero. Non sono mai stata messa in secondo
piano da Zero, lui non mi ha mai trattata diversamente dopo la
nascita di Ichiru, però è innegabile che il legame che univa loro
due non era niente di paragonabile a quello che lo univa a me. E'
stato da quel momento che ho iniziato a sentirmi sempre più sola, ad
isolarmi e ad immaginare come sarebbe stata la mia vita con te e la
mamma.”
Kaname era commosso, mai avrebbe immaginato che sua figlia stesse
soffrendo così tanto per causa sua.
“Sai, a volte mi fermavo a guardare la mamma, Zero ed Ichiru mentre
giocavano insieme e mi chiedevo se anche noi avremmo giocato così,
se solo fossi stato con noi. E in quei momenti mi sentivo fuori
posto, così li lasciavo da soli e scappavo da Hanabusa...e mi
confidavo...”
Sapere che Hanabusa era il confidente di Himeka fu forse la sorpresa
più grande che Kaname ricevette in quella serata.
“Sì, ho sempre raccontato tutto ad Hanabusa ed è solo grazie a
lui che sono riuscita a mettere ordine nei mie sentimenti. Mi sentivo
sbagliata, cattiva, invidiosa, ed è merito suo se invece sono
riuscita ad accettare la tua presenza intorno ad Ichiru.”
“Perché?”, chiese Kaname. A questo punto, esigeva di conoscere
la risposta di Aidoh.
“Perché mi ha semplicemente spiegato che tu eri fatto così.
Nonostante i tuoi difetti, il tuo finto distacco dagli altri e le tua
spietatezza, in realtà sei sempre stato un uomo dal cuore gentile e
colmo d'amore che avrebbe sempre fatto di tutto per proteggere le
persone che amava, anche se queste erano legate a qualcun altro. Mi ha
fatto l'esempio della mamma e Zero...hai sempre protetto anche lui,
perché sapevi quanto la mamma gli fosse legata, sin da bambini. E
allora ho capito, vegliavi su mio fratello perché io e la mamma gli
volevamo bene, e sapevi che avremmo sofferto se gli fosse successo
qualcosa.”
Kaname abbassò lo sguardo, imbarazzato. Aveva sempre saputo che
Hanabusa lo conosceva bene, molto meglio di altri, ma non immaginava
fino a questo punto.
“Himeka...io...se solo avessi saputo...o immaginato...forse...”,
non sapeva come spiegare a sua figlia che la sua nascita non era
stata frutto di una pianificazione, non voleva darle l'impressione di
essere uno sbaglio, un errore, come invece era stato lui.
“Quando ho deciso di gettare il mio cuore nella fornace, era
passato troppo poco tempo, la tua presenza non era ancora
percepibile....Di solito i sangue puro sentono la presenza dei loro
pari e quindi, se fosse passato ancora un po' di tempo, avrei
avvertito la tua presenza dentro il ventre di tua madre... e
forse.... Mi dispiace, piccola mia, non avrei mai voluto farti tutto
questo...”
Fu un brevissimo attimo, e nessuno dei due capì chi si mosse per
primo, ma senza neanche avere il tempo di realizzare cosa stava
accadendo si trovarono stretti l'uno all'altra, in quell'abbraccio
che per troppo tempo si erano negati a vicenda.
E per entrambi non ci fu sensazione più bella di sentire il loro
reciproco calore.
Kaname strinse e cullò Himeka finché non la sentì rilassarsi e
smettere di piangere, solo allora la scostò per guardarla negli
occhi e dirle quanto fosse felice ed orgoglioso di lei, ma ciò che
vide lo turbò.
Gli occhi di Himeka erano rossi come il fuoco.
Sete e desiderio, ecco cosa stavano gridando quegli occhi. Per il
breve periodo del loro colloquio, Kaname aveva dimenticato che Himeka
era ancora una vampira, una Sangue puro, per giunta.
Sapeva cosa voleva dire quello sguardo, e sapeva anche cosa sarebbe
successo se Himeka avesse affondato le zanne su di lui.
Ma era sua figlia, e se lei glielo avesse chiesto, lui si sarebbe
lasciato mordere senza battere ciglio.
Himeka, però non parlava. Continuava a fissarlo con quegli occhi
scarlatti e velati di lacrime, combattuta tra la vergogna di farsi
vedere così e l'inevitabilità di quella reazione.
“Cosa vuoi che faccia, Himeka?”, le chiese Kaname, con una calma
incredibile, stupendola non poco.
“Cosa...cosa...vuoi dire? Ti lasceresti mordere? E' così, lo
faresti davvero?!” rispose, praticamente urlando.
“Sei mia figlia, mi getterei anche nel fuoco, per te...”
“Ma non lo sai cosa capiterebbe se io affondassi le zanne su di te?
Sì che lo sai, vero? E non ti viene in mente che se così facessi,
allora il sacrificio di mia madre sarebbe stato vano? Lei è morta
per rendere te umano e io ti ritrasformo in vampiro?!”
Himeka era fuori di sé, sconvolta dalle reazioni del suo stesso
corpo alla vicinanza di Kaname, sconvolta dall'amorevole passività
con cui lui le stava dimostrando che avrebbe subìto qualsiasi cosa
lei gli avesse chiesto.
“Voglio il tuo sangue, papà!”, sussurrò tra le lacrime, senza
rendersi conto del nome che aveva appena pronunciato, mentre il cuore
di Kaname perse un battito per l'emozione.
“Quando
chiedevo alla mamma di descrivermi il sapore del tuo sangue, lei
diceva sempre che non esistevano parole adatte, che il tuo sangue era
qualcosa di meraviglioso e sublime, un nettare dolcissimo che ti
rapiva, ti soggiogava, che ti faceva sprofondare in un profondo oblio
di beatitudine. Ho sempre desiderato sentire il sapore del tuo
sangue, sento che solo così potrei riconoscerti
veramente....Mi sono sempre trattenuta, finora, perché non ti ho mai
avuto così vicino ma prima, mentre ero tra le tue braccia, ho
sentito il tuo profumo, e il sangue correre impazzito nelle tue vene
e io...”
Kaname non ci pensò due volte, afferrò il tagliacarte sulla
scrivania di Himeka e si avvicinò a sua figlia.
“Cosa...hai intenzione di fare...” chiese Himeka giusto un
attimo prima di vedere Kaname procurarsi una profonda incisione sul
palmo della mano, lasciando così fluire il suo sangue.
L'odore del sangue di Kaname fece precipitare Hanabusa di corsa, che
spalancò la porta con un'espressione di puro terrore dipinta sul
viso.
Kaname si voltò e gli fece cenno di non intervenire, per poi
rivolgersi a sua figlia.
“Hai ragione, Himeka, non posso farti affondare le zanne dentro di
me, ma posso farti lo stesso bere il mio sangue.”
Kaname si sedette vicino a lei che, ancora incredula, non riusciva a
prendere la mano di suo padre.
L'aiutò lui, sorridendole e sussurrandole che andava bene così, che
era felice di farlo.
E mentre Himeka sentiva finalmente il sangue di Kaname fluire dentro
di sé, tenendo saldamente
le sue mani attorno a quella di suo padre, Kaname le accarezzava i
lunghi capelli scuri e ne baciava le punte, come era solito fare con
Yuuki, quando lei si nutriva da lui allo stesso modo.
Era solo il primo passo, quello, ma entrambi erano certi che da quel
momento in poi la loro strada sarebbe stata in discesa.
Hanabusa rimase per un istante fermo sulla porta, incapace ad
andarsene ma consapevole di rubare un momento preziosissimo ed unico.
Poi sorridendo si voltò e si allontanò, pensando di non aver mai
assistito ad una scena più dolce ed intima di quella.
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