Il Ritorno dei Tripodi

di GRACE_WHITE
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Jena
 
Apro gli occhi e alzo lentamente la testa dal cuscino. Strizzo le palpebre per mettere a fuoco la mia stanza. Sento il russare della mia compagna di stanza dall’altra parte della camera, Becki, del dormitorio femminile della mia università. Non scendo dal letto, rimango immobile. Aspetto di sentire ancora il suono che mi ha svegliato, ma regna un insolito silenzio, intorno a me.
Strano.
Non ci sono le solite luci dei cartelloni appesi ai palazzi newyorkesi che irrompono dalle finestre. Butto giù i piedi e li appoggio nel pavimento freddo e mi dirigo verso la finestra, sopra la scrivania. Scosto la tenda e noto che ogni luce della città che ospita la mia scuola, la New York University, si è spenta.
Strano.
Trattengo il fiato per ascoltare meglio tutto ciò che il mio padiglione auricolare potrebbe captare. Un verso di un animale. Parlottii di persone in strada. Ma tutto quello che riesco a sentire è il gorgoglio che emette Becki quando respira. Mi scosto una ciocca di capelli bionda dietro l’orecchio. L’aria della stanza è consumata, quindi decido di aprire la finestra, anche se fuori è autunno. La tensione si allevia quando sento i ticchettii della pioggia infrangersi contro il davanzale davanti al vetro.
Mi avvicino alla lampada da lettura che ho sopra il comodino, accanto al mio letto, e alzo il suo interruttore. Non si accende, tolgo la lampadina, l’avvito di nuovo e ci riprovo, ma niente, resta spenta.
Black out? Probabile. Ma le luci di New York si riaccendono pochi secondi dopo, compresa quella della mia abat-jour. Stringo le labbra e faccio finta di niente, rientro nel letto e chiudo gli occhi, tentando di dormire.
Sento il suono.
Mi alzo di scatto, sono sicura che quella specie di suono di una tromba amplificata sia reale, non l’ho sognato. Becki non si sveglia, ma ha smesso di russare, deve aver avvertito il suono anche lei, anche se probabilmente in modo lieve. Mi affaccio dalla finestra sopra al mio letto e vedo una luce di una camera del dormitorio maschile accesa, un ragazzo vi si affaccia e guarda verso la mia direzione. Mi sporgo in avanti e lascio che le gocce di pioggia mi annacquino un po’ i capelli, alzò una mano verso di lui e la muovo da destra a sinistra. Lui mi imita e credo stia stringendo il pugno lasciando tesi il pollice e il mignolo, appoggia un orecchio nell’incavatura tra le due dita e scuote la mano. Io annuisco.
Prendo il cellulare dal comodino, vibra non appena lo prendo in mano. Sollevo lo sportelletto e leggo la scritta: “Theo”. Mio fratello.
Lui non mi saluta, si limita solo a chiedere:- Hai sentito anche tu?-
-Si.- sussurro, coprendomi la bocca con la mano per non svegliare Becki- C’è stato anche un black out poco fa, non so quanto sia durato, sono sveglia da qualche minuto.- mi avvicino alla finestra, è ancora li e scruta la città.
-Non sembra esserci un black out.- mormora lui, muovendo la testa in più direzioni, per osservare meglio New York.
-Per questo ho usato il passato.- ribatto a bassa voce- Devo chiamare la mamma?-
-No.- si affretta lui- Sono sicuro che ha da fare. Non mettiamola in ansia, ancora di più. E poi non ci sono stati i lampi, giusto?-
-Giusto.- farfuglio. Ma non sono sicura di quello che è successo. Sono sicura sul fatto che ho paura. Nostra madre ci raccontava storie della sua infanzia prima di addormentarci, per questo avevo ogni notte gli incubi. Suoni simile a quello che ho udito mi stordivano nel sonno e quelle creature, che mamma diceva che erano morte da tempo, mi venivano a torturare o uccidere nel letto. Ho ancora il ricordo dell’incubo più nitido: quegli esseri mi infilzano per bere il mio sangue e spargerlo per il pianeta, lasciandomi accasciata a terra, come un palloncino afflosciato e sgonfio.
Il terzo suono mi riporta alla realtà.
-Theo! Ti prego, vieni qui.- lo imploro, in preda ad un attacco di panico. Mi infilo sotto al letto, abbraccio le ginocchia e vi ci nascondo la testa.
-Calmati! Va tutto bene, Jena!- sentire il mio nome mi riporta alla realtà, e riprendo il telefono che ho lasciato cadere a terra
Deglutisco a fatica- Si. Si, okey.- la mano mi trema senza il mio premesso. Qualunque cosa sto per dire non riesco a sputarla fuori. Il segnale di pericolo della New York University rimbomba nella scuola e nei dormitori. Esco fuori dal letto, trovo Becki seduta sul suo, con aria confusa e con i capelli in scompigliati e in disordine.
Chiudo la chiamata e mi precipito fuori dalla mia stanza, il corridoio è affollato dalle altre ragazze del mio piano, mi faccio largo con spintoni tra le mie coetanee, come un pesce contro corrente. Raggiungo il dormitorio maschile e intravedo mio fratello in mezzo ai suoi compagni, anche lui sta tentando di venire nella mia direzione. Mi afferra per un braccio e mi trascina per le scale insieme agli altri, fino a trovare l’uscita d’emergenza più vicina. Non appena mettiamo piede fuori ci ritroviamo inzuppati dalla testa ai piedi in qualche secondo. La pioggia picchia forte, quasi a farmi male alla testa e alle braccia nude. Indossavo solamente una T-shirt e un paio di pantaloni larghi: il mio pigiama.
-Lo sapevo! Sono tornati, lo sapevo!- sono quasi sull’orlo dell’isteria. Il mio battito cardiaco e il mio respiro si fanno veloci, non è un buon segno. Theo mi afferra le spalle e mi scuote per farmi riprendere il controllo.
-Jena, stai più tranquilla se adesso chiamo la mamma?- ci scansiamo per far passare altri studenti e studentesse. Io annuisco e gli presto il mio telefono perché lo ha dimenticato nella sua camera. Aspettiamo quasi un minuto prima che nostra madre risponda, lo capisco dalla reazione di Theo: spalanca gli occhi e trasale- Mamma, sono Theo!- mi avvicino al telefono per ascoltare meglio.
-Tesoro! Cos’è successo? Perché mi chiami a quest’ora?- la sua voce è preoccupata, era più stanca del solito.
Strappo il mio telefono dalle mani di mio fratello- Sono loro mamma! Sono tornati! Abbiamo sentito il loro suono e c’è stato un black out!- sento mia madre parlarmi ma la ignoro, penso solo a quello che potrebbero farmi quegli esseri- Ci uccideranno, mamma, vieni a prendici!-
-Jena, ascolta la mia voce.- dice, ma le sue parole arrivano alle mie orecchie come se fossero piene di ovatta- Mando un elicottero, okey? Dovete restare dentro l’università, restate ! Non muovetevi.- ordina, poi chiude il telefono.
Guardo Theo per uno, forse due minuti. Poi i nostri sguardi si capiscono e corriamo verso la New York University, percorriamo le rampe delle scale e ci nascondiamo in camera mia, a guardare fuori dalla finestra l’orizzonte della città, temendo di poter avvistare quegli alieni.
-Secondo te sono tornati, giusto?- mi chiede Theo, stringendomi le spalle con un braccio.
-Si. Ne sono sicura.- rispondo. Ne sono certa, mia madre mi ha raccontato ogni dettaglio, lei c’è stata in quell’inferno. Lei è la più giovane che è sopravvissuta alla guerra dei mondi di quarant’anni fa, Rachel Ferrier.

-I Tripodi?- bisbiglia lui.

-I Tripodi.-
 
NOTA D’AUTRICE:  Ecco un altro mio racconto. Questa idea mi è venuta in mente ieri mattina, quando stavo guardando La Guerra dei Mondi :-) Spero vi sia piaciuto, però forse non riuscirò ad aggiornare ogni giorno o due, ma ogni tre massimo quattro perché ho anche da pubblicare i capitoli dei miei altri due racconti: Disney vs DreamWorks e Questa è sfortuna…?. Se volete fateci un salto! :)
GRACE_WHITE  <3

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Theo
 
Sono dovuto uscire dalla stanza per permettere a Jena di togliersi i vestiti zuppi d’acqua e mettersene di puliti. Il problema è che sto morendo dalla paura qui, nel corridoio fuori dalla sua camera. Quanto ci metterà nostra madre a far atterrare l’elicottero degli Stati Uniti sul tetto della scuola?

Sento la voce di Jena chiamarmi, quasi un grido, mi copro con la mano gli occhi e entro velocemente in camera- Che c’è? Che è successo?- allungo il braccio verso il centro della stanza, ma inciampo su qualcosa, probabilmente uno zaino- Sei vestita, posso togliere la mano?- non aspetto una risposta e riesco di nuovo a vedere.

Jena è inginocchiata davanti alla finestra e fissa l’alto. Le vado accanto e appoggio le mani sopra le sue spalle, avvicino una tempia alla sua per vedere l’oggetto della sua attenzione: il mezzo di trasporto che mamma ha mandato è li. Prendo per mano Jena e l’aiuto ad alzarsi, afferra lo zainetto dove sono inciampato e se lo mette in spalla, corriamo verso la scala antincendio e apriamo la porta. Una volta sul tetto mi sporgo dalla grondaia, gli studenti non ci sono più, forse li hanno fatti evacuare e sono tornati nelle loro case, ma è soltanto un ipotesi. Il vento non c’è, la pioggia ha cessato di cadere, è un’orribile sensazione quella che sto provando. Jena sale sull’elicottero e mi sbrigo a montare su anche io. Quando si solleva non mi sento più sicuro, per chi soffre le vertigini di certo non è il mezzo più appropriato del mondo, ma cerco di ingoiare quella palla di cera incastrata nella gola che mi impedisce di respirare. Ci sono due piloti e un militare e davanti ai sedili dove siamo allacciati, è una donna muscolosa e alta, ha due spalle enormi ed ha una carnagione olivastra. Il berretto verde chiaro e scuro con la visiera giace composto sulla sua testa e ha i capelli neri scalati ma che non le vanno più giù del lobo dell’orecchio. In spalla, appoggiato sulla pancia, ha un mitra ma non so dire di che calibro è. Ci guarda con occhi vigili e severi, sembra una vera e propria Marines, la tipica soldatessa che ti prende in giro per il tuo fisico da mammoletta. La fa sembrare ancora più dura il tatuaggio che ha nel braccio destro: dei teschi insanguinati, attorcigliati da un filo spinato. Noto, però, sul polso, dove finisce il tatuaggio, una spina trasformata in rosa. Non avrà più di ventitré, ventiquattro anni; come si fa ad avere il coraggio di arruolarsi a quell’età?!

-Che hai da guardare?- mi chiede, grugnendo- Hai paura, eh?- fa uno scatto avanti con il piede e io sobbalzo. Lei ridacchia e guarda fuori dal portellone del velivolo, aggrappandosi ad una maniglia lo apre e si affaccia di sotto. Vengo quasi scaraventato via dal vento che picchia a forte velocità contro l’elicottero. Lo richiude e fa un ghigno nella mia direzione, apre la porta della cabina dei piloti ed entra, sbattendosela alle spalle.
Jena ha lo sguardo spento, fissa il vuoto e sembra quasi traumatizzata. Le sue mani sono intrecciate attorno le ginocchia. Vedo i muscoli della faccia tesi, ha la mascella serrata.
-Stai bene?- chiedo allacciandomi le scarpe slacciate che mi sono messo prima di uscire al segnale d’allarme. Non mi sono accorto che, oltre ai jeans che mi sono ricordato di indossare prima delle scarpe, addosso ho la maglia a maniche corte del pigiama, e con quella non credo di avere l’aspetto di un duro visto che c’è il disegno di un cagnolino che dorme su un amaca assieme ad un gattino.

Jena ormai è da un po’ che non parla e credo abbia deciso di prolungare il silenzio, come del resto per tutta la durata del viaggia. Sbatte le ciglia un paio di volte quando sente la voce della soldatessa- Stiamo per arrivare a Washington, atterreremo fra quattro minuti e mezzo.- addirittura il tempo preciso, mancano solo i millesimi ora.
Jena si slacciale cinture e si alza in piedi, appoggiandosi al telaio di ferro attaccato ai sedili. Arriviamo e mia sorella salta qualche centimetro prima che l’elicottero possa atterrare definitivamente, guarda stringendo lo zainetto la Casa Bianca che  troneggia davanti a noi. Nel petto della soldatessa c’è una targhetta con scritto il suo nome: Scarlett Kelly, non suona proprio come un nome da dura. Scendo insieme a lei e accompagna me e mia sorella fino all’entrata della dimora più importante del mondo.

Mamma è diventata vice presidente degli Stati Uniti lo scorso anno, io e Jena non abbiamo avuto mai l’occasione di entrarci visto che da quando lo è diventata siamo sempre stati alla New York University. Io la frequento da due anni, Jena ha iniziato questo settembre anche se ha ancora diciotto anni, ha fatto la primina perché secondo la mamma era molto intelligente.
-Dov’è nostra madre?- chiede Jena. Scarlett le rifila un’occhiataccia e solleva il labbro superiore.
-Vi ci sto portando.- si limita a dire. Appena vede un altro soldato si blocca e fissa il dito sopra la fronte e di scatto lo toglie e dice:- Colonnello.- e prosegue.  L’ho inquadrata. Non le importa di nessuno, vuole solo salvare se stessa, è egoista e superficiale. Ne conosco di tipi così.

Dentro, la Casa Bianca è pattugliata da altri come Scarlett, soldati con armi senza sicura, pronti a sparare al minimo sospetto. Non sono spara sedativi o teaser elettrici, di questo ne sono certo. Abbiamo avuto molte armi come quelle a casa, erano di papà, quando faceva spedizioni in Vietnam. Dall’ultima spedizione, quando io avevo solo sei anni e Jena tre, lui non è più tornato.
Svoltiamo dei corridoi e finalmente la soldatessa apre una porta e ci fa entrare. Lo Studio Ovale. E’ esattamente come me lo aspettavo, l’aquila americana dentro al suo cerchio dorato ed è ricamata nel tappeto bluastro in moquette. Ci sono delle poltrone e due divani. Il presidente Andrew Civilian è seduto dietro la sua scrivania e nostra madre è in piedi davanti a lui, tiene in mano uno di quei raccoglitori per appunti o per fogli. Appena ci vede si gira.

-Scusate l’interruzione presidente.- Scarlett fa un passo avanti e divarica appena le gambe, con le mani dietro la schiena una congiunta all’altra. Vedendo Andrew Civilian annuire si volta verso Rachel- Vice presidente Ferrier, come richiesto i vostri figli sono qui. Posso proseguire con gli ordini?-
-Riposo soldato Kelly,- dice nostra madre e Scarlett rilassa i muscoli del corpo- fra un secondo momento potrai procedere.-
La soldatessa annuisce- Presidente Civilian. Vice presidente Ferrier.- poi esce.

Jena corre verso nostra madre, cerco di fermarla, siamo davanti al presidente degli Stati Uniti e lei l’abbraccia? Tipico. Rachel sembra irrigidirsi ma risponde all’abbraccio, forse si sente costretta visto che è la figlia. Io mi avvicino a loro due ma non manifesto nessun gesto di affetto, mamma si avvicina e mi bacia sulla fronte, ha capito che ho compreso che questa è una situazione importante vedendo davanti a chi siamo, ma a Jena non importa più di tanto. Ormai mamma ha quasi cinquanta anni, ma ancora nei capelli qualche ciocca bionda e chiara. I suoi occhi non sono mai stati così celesti. Mia sorella è molto simile a lei.
-Andrew,  questi sono i miei due figli. Lui è Theo, il più grande e lei è Jena.- ci presenta Rachel. Chiama per nome il presidente? Vorrei farlo anche io.

Lui si alza con un sorriso che gli mette in risalto le rughe, ha i denti di un fumatore, grigi. I capelli sembrano tinti e perfezionati in un riporto verso destra, sono di color marrone. A me stringe la mano e anche a mia sorella. Ha qualche anno più di mamma- Piacere di conoscervi.- ci invita a sederci in un divano- Allora, Rachel mi ha detto che pensate che i Tripodi siano tornati, giusto?-
-Si.- risponde Jena, senza darmi il tempo di spiegare. Forse lei la sta facendo più grande di quella che è, evidentemente  l’infanzia di mamma l’ha traumatizza. So che è assurdo ma secondo me non sono tornati, però abbiamo fatto bene a venire qui.

-Bene, grazie per averci contattato.- il presidente arriccia le labbra e ci fa alzare, conducendoci con delicatezza fuori dallo Studio Ovale- Scarlett, porta i nostri giovani al QG e fai quello che ti è stato chiesto di fare.-
Non capisco. Che cose’è il QG? Cosa deve fare? Cosa centriamo noi?
Rachel non si muove- Fate quello che vi viene chiesto.- ci dice solo.

La porta si chiude alle nostre spalle e ci ritroviamo di fronte a Scarlett- Forza, seguitemi.- ci conduce ad una jeep con lo stemma dell’aquila americana sul cofano e ci fa salire.
-Cosa intendete farci?- chiede con un filo di isteria nella voce mia sorella.
-Un interrogatorio.- risponde secca la soldatessa- Vi faremo delle domande a cui dovrete rispondere separatamente, per verificare se quello che avete riferito a vostra madre è vero.-
-Che cosa?- ribatte Jena- Non ci credete?-
-Evidentmente il presidente Civilian e il vice Ferrier no, perché sono stati loro a darmi questo ordine.-



NOTA D'AUTRICE: Che ne pensate? Devo scusarmi ma d'ora in poi le note d'autrice non ci saranno, o ci le metterò ma più corte (tipo questa), sorry :'( 
Forse vi stresserò un pò, ma se volete andate anche a visitare gli altri miei racconti :)
QUESTO E' UN ANNUNCIO PER TUTTI I FAN DI PERCY JACKSON: siete contenti se vi dico che sto per sfornare un racconto ambientato nel suo "mondo"? Lo spero ^_^
GRACE_WHITE <3 <3 <3

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Jena
 
Un uomo e una donna con un camice bianco, guanti di plastica e mascherina preparano una siringa che contiene un liquido verde. Sono seduta su una sedia di metallo, mi hanno bloccato le mani ai braccioli con due manette, i piedi me li hanno lasciati liberi: forse mi hanno affidato il 9 % della loro fiducia.

Sono in una stanza grigia, seduta davanti a un tavolo, e nella sedia davanti a me c’è unasignora abbastanza in carne e con i capelli biondi, ha la mandibola serrata e gli occhi vigili. Dietro di lei, incavato nella parete, c’è uno specchio; immagino che dall’altra parte ci siano altre persone che stanno aspettando l’inizio dell’interrogatorio, come nei film. Penso che sono passate due ore da quando mi hanno separato da mio fratello, mi chiedo se lo stanno già interrogando o se gli hanno fatto altro.
La donna appoggia la siringa sopra una vena, ho paura di morire, ho sentito dire che se c’è dell’aria nell’ago potrebbe creare una bolla dove passa il sangue e bloccarmi la circolazione, per questo di solito tutti i medici spruzzano fuori un po’ del liquido. Fortunatamente anche lei lo fa.

-Chiudi gli occhi.- dice.
-Che cosa mi state iniettando?- chiedo.
-Un siero,- risponde in modo pratico, mi inietta il liquido ignorando il la mia reazione- dobbiamo assicurarci che tu risponda sinceramente alle nostre domande, signorina Ferrier. Ora chiudi gli occhi.-
Faccio come dice- Posso sapere perché devo chiuderli?-
-Aiuterà a concentrarti, così risponderai chiaramente quando ci dirai tutto quello che ti avremo chiesto.- spiega, ma questa volta è la voce dell’uomo- Iniziamo.- annuncia.
-Allora, cominciamo.- dice una nuova voce, probabilmente appartiene alla signora grassoccia- Io mi chiamo Rose Kowalski, e il tuo nome è Jena Ferrier, giusto?-

-Si, mia madre da quando è diventata vedova ha deciso di ritornare al cognome da nubile e cambiar anche i nostri, se mio padre fosse ancora vivo il mio nome sarebbe Jena Michael.- faccio un respiro profondo, ero piccola quando papà è morto e non mi ricordo bene, ma mi vengono in mente le sue foto e ogni volta che le guardo sento un peso nello stomaco, un’incudine nella memoria.

-Allora Jena,- continua Rose Kowalski- tu hai detto che i Tripodi sono tornati, ne sei certa?-
-Si.-
-E come fai ad esserne sicura?-
-Ho sentito il loro suono.- spiego- Da piccola ho visto le riprese dell’attacco dei Tripodi del 2005, è lo stesso rumore che hanno diffuso quarant’anni fa, identico.-
-Ma li hai visti, Jena?- incalza Rose.
-No.- rispondo- E non sono neanche tornati.-

Immagino che la signora Kowalski stia spalancando gli occhi, evidentemente non ha capito dove voglio farla arrivare- Ma tu ci hai detto che sono tornati, hai mentito?-
-No, mi sono sbagliata.-
-Tu hai avvertito la vice presidente, e questo vale a dire mettere in guardia gli interi eserciti degli Stati Uniti D’America, solo perché tu ti sei sbagliata, Jena?- il suo tono di voce non è per niente calmo.

-Il punto è che, non c’è stata la tempesta di fulmini, questo vuol dire che i Tripodi non sono tornati…- la sento sbuffare, perciò decido di proseguire con la mia spiegazione prima che qualcuno mi arresti per aver effettuato uno scherzo al governo americano- … loro non se ne sono mai andati.- apro gli occhi e guardo Rose Kowalski.

-Che intendi dire?- chiede cercando di raccogliere più informazioni possibili, come un orso fa con il cibo prima di andare in letargo- Li abbiamo uccisi definitivamente con le armi nucleari, quando stavano morendo.-
-Si, li avete uccisi… ma avete fatto esattamente quello che volevano loro.- punto il dito contro di lei.
-Le cose che stai dicendo non hanno senso, Jena. Non è una teoria questa, è solo un parere, un opinione, noi ci basiamo su dei fatti! Abbiamo bisogno di una spiegazione logica, qui c’è in gioco la sicurezza nazionale!-

-Voi li avete uccisi, è vero, ma secondo me non tutti. E sono sicura che se voi andiate a controllare nella zona dell’università di New York e inizierete a cercare ci scommetto che li troverete li, seguite il mio consiglio.- Rose appoggia i suoi occhiali nel tavolo, scuote la testa e si massaggia le tempie. Mi giro verso lo specchio e fisso il vetro, spero davvero che dall’altra parte ci sia un pubblico governativo a guardare, altrimenti sembrerei pazza a parlare in quella direzione- Fate come pensate che sia giusto per la popolazione, fate come avete fatto voi del governo. Se volete vivere e vedere l’alba ancora una volta fate come vi dico, ma non siete obbligati.-

Mi accorgo che le fascette che tengono le mie mani bloccate sono molto lente, mi basta girare i polsi due o tre volte per liberarmene. Mi alzo e mi dirigo verso la porta, sento lo stridio delle gambe della sedia strisciare contro il pavimento, Rose Kowalski è in piedi- Aspetta, noi non abbiamo finito!-
-Ma io si!- ribatto, esco dalla porta e trovo mio fratello seduto con un soldato e Scarlett ai suoi fianchi, entrambi con un’arma in spalla.

Lui si alza non appena solleva la testa e mi vede, appoggia una mano sopra la mia spalla- Che ti hanno fatto?- sbircia nella stanza dove mi hanno interrogato ma fa appena in tempo a intravedere Rose che la richiudono subito.
-Mi hanno fatto delle domande le quali risposte non sembrano essere piaciute.- spiego- Mi hanno iniettato una specie di siero della verità o roba del genere e me la sono un po’ presa con il pubblico dietro lo specchio.-
Scarlett trasale- Come facevi a saperlo?- mi chiede.

-Nei film di solito è così e, non ne ero certa ma, la conferma me l’hai data tu adesso, soldato Kelly.- rido e mi scanso di lato.
Lei sembra stizzita ma annuisce arricciando le labbra- Brava, sei intelligente.- commenta, ma senza ironia. Prende per un braccio Theo e lo accompagna dentro- Dobbiamo entrare, ora devi fare tu l’interrogatorio.-

-Non ce n’è bisogno.- s’intromette Rose Kowalski, sollevando una mano a mezz’aria, la riabbassa- Jena Ferrier è stata esauriente,- mi guarda con occhi penetranti e assonnati, sembra sia stata obbligata a dire quella cosa- grazie per le tue informazioni, procederemo con il controllo del perimetro della scuola e di New York. Potete andare.- esce dalla stanza e se ne va con una postura dritta e importante.

-Bene, il vostro lavoro è finito qui.- ci comunica Scarlett mentre camminiamo verso l’uscita dell’enorme Quartier Generale. Da fuori sembra un enorme super mercato abbandonato, dentro invece è un architettura ultra moderna che non ha niente a che vedere con l’aspetto che mostra da fuori. Forse lo hanno costruito lì dentro, il QG, per non dare nell’occhio- Devo riportarvi dal vice presidente Ferrier.-

Saliamo nella jeep con l’aquila americana e partiamo- Credi davvero nel ritorno dei Tripodi, Jena?- mi chiede, è seduta nel sedile davanti a fianco del soldato guidatore, si gira verso di me. Per la prima volta la vedo insicura, anche se stringe la sua arma tra le braccia.

-Come ho già detto a Rose Kowalski,- guardo fuori nel punto in cui ci sarebbe dovuto essere un finestrino attaccato allo sportello, ma non c’è, per questo l’aria mi scompiglia i capelli, anche se sono legati in una coda da cavallo- loro non sono tornati, sono sempre stati qui.-

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Theo
 
Ci hanno fatti rientrare alla Casa Bianca, molti guardano mia sorella impegnata a mangiucchiarsi una ciocca di capelli, è molto imbarazzante averla accanto quando è … se stessa. So di essere cattivo pensando questo, ma è la verità.
Veniamo scortati in una camera dove saremo rinchiusi per il resto della notte, ci sono due letti, uno per me e l’altro per Jena. Un bagno e un tavolo con tre sedie. Niente di più, il minimo indispensabile. Le finestre non ci sono, la stanza è tre metri sotto terra, nelle viscere della Casa Bianca. Non c’è un’atmosfera piacevole qui.

Mia sorella svuota sul letto lo zaino che aveva preparato prima di prendere l’elicottero, non ci sono ne vestiti ne scarpe. Mi avvicino a lei e osservo tutto quello che si è portata: un agenda ingiallita e vecchia; un cappello da baseball sfilacciato; una fotografia di papà con noi due e la mamma, che ha appoggiato sul tavolo; e infine il suo paio di occhiali da vista.

-I vestiti ti sarebbero stati più utili.- commento, indico la mano contro le cianfrusaglie- A che ti servono tutte queste cose?-
Solleva lo sguardo e mi guarda- A ricordare.- dice. Nasconde l’agenda sotto al cuscino del letto insieme al cappello, per ultima cosa indossa gli occhiali. Le danno un’aria intelligente più di quanto sembri, e la cosa mi da fastidio, sembra molto più  matura di me nonostante gli anni di differenza- E i vestiti ce li daranno domani mattina, me lo ha detto Scarlett.- si alza dal letto, mi fissa e esce dalla stanza.

-Dove credi di andare, Jena?- non può fare sempre come le pare, è completamente rinchiusa in un mondo tutto suo dal quale si rifiuta di uscire.
-Voglio dare un’occhiata in giro, sono curiosa.- risponde, senza pensare alle conseguenza, non può andarsene a fare una passeggiata per cono suo nella casa del presidente degli Stati Uniti.
-Torna qui, andrai a dare un’occhiata domani mattina.- aspetto che rientri e chiudo la porta. Lei va in bagno un po’ stizzita, mi appoggio alla porta della toilette- Non puoi fare come ti pare qui, Jena! Devi comportarti diversamente da come sei abituata.-
-Non permetterò ad un semplice governo di riuscire a farmi sottomettere alle sue regole, io resto così.- decide quando torna dal bagno, si sotto le coperte del letto, spegne l’interruttore della luce sopra di lei- Vai a dormire, Theo. Notte.-
Solo la lampadina sopra il mio letto è accesa, decido anche io di imitarla e chiudo gli occhi- Notte, Jena.- sospiro e poco dopo mi addormento.
 

Un urlo.

Un nome.

Il mio nome.

Jena è stesa a terra e sta annaspando nel suo sangue. Sono in un campo di grano che è stato ricoperto da un familiare e nauseabondo liquido rosso, cado in ginocchio davanti a mia sorella. Non so da dove provenga la sua emorragia che non le permette di respirare bene, mi accascio sopra di lei e cerco di aiutarla in qualche modo, anche se sono disperato. Le sostengo il collo e la schiena per permetterle di respirare ma lei continua solo ad avere degli spasmi del corpo e a tossire sputando sangue. Lei non respira più, appoggio l’orecchio sul suo petto e non sento nulla.

E’ morta.

-Jena!- grido con le lacrime agli occhi. La stringo tra le braccia e la cullo, il sangue che le ricopriva la pelle della faccia macchia la mia maglia. La lascio sulla terra e urlo colpendo l’aria.

Un fulmine. Due fulmini. Dieci fulmini colpiscono la terra. Sono seguiti da altri.

-Il tuono…- sussurro con le guance rigate dalle lacrime-… non arriva il tuono.- la terra trema, il vento si alza.
Mentre guardo il cielo sento qualcosa stringermi e scrollarmi una spalla, abbasso lo sguardo e rabbrividisco non appena vedo la mano di Jena appigliata con le unghie alla mia felpa. Mi avvicino al suo viso.
Apre gli occhi insanguinati e ringhia:- Theo!-
 

Alzo la testa di scatto e sferro un calcio alle coperte, il mio respiro esce dalla bocca come un ansimo, ho la fronte madida di sudore- Theo?- Jena è in piedi davanti a me e con la mano sopra il mio braccio, mi sposto di scatto e sbatto contro il ferro del letto, stringendo la stoffa del lenzuolo- Calmo, sono io.- scruta il mio volto- Ma hai pianto?-
Mi strofino le dita contro gli occhi e li sento umidi, non volendo ho iniziato a piangere anche mentre dormivo, traggo un sospiro di sollievo. Grazie al cielo non era vero- No, non ti preoccupare.- mi rinfilo sotto le coperte e appoggio la testa sul cuscino, ma poi mi ricordo che mia sorella è venuta da me- Oh, perché ti sei alzata?-

-Sentivo che farfugliavi qualcosa nel sonno così sono venuta a controllare se stavi bene.- io annuisco ma lei resta in piedi davanti a me- Ho fatto un incubo.-
Sospiro e faccio un po’ di posto nel letto, allargo le braccia e lei si rannicchia accanto a me. La abbraccio e sento sprofondare la sua faccia tra l’incavatura della mia spalla e il cuscino, le do un bacio sulla fronte e le accarezzo i capelli- Che incubo ha fatto?- le chiedo.

-I Tripodi.- inizia a tremare- L’immagine era sfocata, come tenere gli occhi aperti sott’acqua, ma vedevo chiaramente che gli alieni stavano uccidendo te e la mamma. E poi ne sono arrivati altri attraverso i fulmini. Poi sono morta anche io.-
La stringo più forte, solo al pensiero di vederla morta mi fa salire le lacrime agli occhi, sento il respiro che emette dal naso farmi solletico al collo. Strofino una guancia sulla sua fronte- Ora dormi.-

-Credo che sarà difficile.-
-Non è vero. Basta che sogni qualcosa che desideri veramente, qualcosa che si può avverare.- le copro le spalle con la coperta.
-Va bene, Theo.-

Traggo un sospiro di sollievo per averla convinta a dormire, ma lei scuote appena la testa.

-Ma anche gli incubi sono sogni.- dice con l’angoscia che la sta divorando, poi si addormenta.

NOTA D'AUTRICE: Scusatemi tanto per l'attesa, è che questi giorni non sto molto bene, mi dispiace tantooo!!! :'( Spero tanto che questo capitolo sia stato di vostro gradimento ^_^
Una GRACE_WHITE malaticcia <3 <3 <3

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Jena
 
Scarlett mi ha consegnato degli abiti nuovi, non so di chi siano e non mi importa saperlo, so solo che non sono di mio gradimento. Sono costretta ad indossare una camicia a maniche lunghe rosa e una gonna a tubino. I capelli li ho dovuti raccogliere in uno chignon un po’ troppo elegante secondo i miei gusti, quindi decido di lasciare qualche ciocca davanti alle orecchie. Mi guardo allo specchio e vedo mia madre, ecco di chi è stata l’idea di farmi indossare quegli scomodi abiti. Avevano l’odore di sapone alla lavanda, il solito profumo che mi dava conforto da piccola.
Mi infilo le ballerine grigie ai piedi e metto la piccola borsa bianca in spalla. Sto per uscire, ma mi ricordo di prendere l’agenda di mamma che ho trovato nella soffitta della nostra vecchia casa quando avevo nove anni. Ci scriveva molte cose, le sue giornate più belle, i suoi incubi e i suoi ricordi.

La apro nella pagina che ho ormai consumato a forza di sfiorarla, inizio a far scorrere per l’ennesima volta gli occhi sulla penna blu con cui scriveva.

E’ incredibile quanto una sedia a dondolo in legno possa calmare una persona adulta e far addormentare una bambina irrequieta di tre anni. Sono quasi otto mesi che mio marito è partito per il Vietnam, non per guerreggiare contro altri soldati, ma, conoscendo il mio passato, quando gli anno detto che potevano esserci movimenti non terrestri sottoterra si è subito offerto di combattere.
“Lo faccio per te, tesoro.” ha detto prima di partire e non farmi ricevere sue notizie. La sua spedizione deve restare segreta perciò, sapendo di che rischio potrebbe trovare là, l’unica notizia che mi giungerà da lui sarà per la sua probabile morte. So che non devo pensare a queste cose, ma da quando mi hanno detto che i Tripodi potrebbero muoversi ancora sotto di noi riesco a pensare solo alla nostra probabile morte.
Per questo devo proteggere i miei figli, solo loro riescono a confortarmi quando li tengo tra le braccia, proprio come Jena riesce a rassicurarmi in questo momento. Theodor invece sembra molto più distaccato da me, sembra già un piccolo ometto anche avendo solo sei anni.
Li proteggerò, perché so che i Tripodi sono ancora tra di noi.

 
Volto pagina, l’ultima che ha scritto mamma qualche giorno dopo.

E’ morto.
Mi è arrivata la lettera questa mattina, quella che sto stringendo in mano ora, c’è scritto che è deceduto per mano di un Tripodo sottoterra, c’è anche il suo testamento. E’ confermato, sono ancora tra noi.

Questa cosa, mi hanno detto, deve restare segreta, sono una delle poche persone che lo sa. Ancora lo devo dire a Jena e Theo.
Non so come farò a proteggerli da sola, ma ci riuscirò.


E’ per queste parole che ho detto che quei mostri non se ne sono mai andati da qui, loro vogliono delle teorie? Io gliele ho date. Ho fatto quello che mi anno chiesto, e hanno fatto bene a seguire quello che ho detto a Rose Kowalski.
Esco dalla porta della camera e mi dirigo verso la sala da pranzo della Casa Bianca, con l’agenda dentro la borsa. Quando arrivo vedo a entrambi i capi del tavolo il presidente e la First Lady, Summer, vicino a lei è seduta mia madre. Davanti a lei c’è mio fratello e al suo fianco c’è una ragazzo di circa venticinque anni, il figlio di Summer e Andrew Civilian. Discretamente occupo il posto accanto al presidente e davanti a suo figlio. Theo ha i capelli bruni laccati all’indietro e indossa una camicia bianca con un paio di pantaloni formali, è molto ridicolo secondo me.
-Sei in ritardo.- commenta alla mia sinistra mia madre, a voce bassa. Io la guardo con la coda dell’occhio senza rispondere, dopo tutto mi ha costretto a partecipare lei. Annuisco solamente.

-Jena,- la voce del presidente mi fa alzare gli occhi su i suoi, tende un braccio verso sua moglie- non conosci Summer, vero?- scuoto la testa. La First Lady si china nella mia direzione e allunga la mano, la stringo e sorrido. Andrew guarda suo figlio- E questo è il mio campione, Alex!-
Ci guardiamo un attimo e poi stringo anche a lui la mano. Ha i capelli neri e gli occhi azzurri, l’abbigliamento è simile a quello del padre. Iniziamo a mangiare finché il silenzio non viene interrotto di nuovo dal presidente- Allora, Jena, ho saputo che oggi hai fatto l’interrogatorio al QG. E’ andata bene?-
Me lo ha chiesto davvero?! Vieni trascinata in una stanza dove vieni ammanettata e ti viene iniettato un siero che ti fa dire tutte le cose che vogliono, come può mai essere andata? Cretino.- Si,- rispondo cercando di mantenere la calma- è andata come avevate chiesto. Ho risposto a tutte le domande e loro ne hanno tratta una conclusione.-

-Si, mi hanno informato di questo.- mangia a bocca chiusa un pezzo di carne arrosto- Come hai fatto a dire che i Tripodi siano sotto di noi?- rabbrividisco guardando il piatto del presidente. “Povero animale,” penso, stringendo le labbra per il disgusto “come fanno a mangiare degli esseri viventi!” Questa è la reazione dei vegetariani come me.
Vedo mia madre trasalire, ma solo io me ne accorgo, forse nessuno le ha detto delle mie risposte- Intuito.- mormoro, masticando qualche foglie di insalata. Il presidente sembra essere stato zittito dalla mia ultima parola, forse con la noncuranza con cui l’ho pronunciata davanti a lui.
Lancio occhiate veloci da tutte le parti della stanza, ci sono quattro camerieri ai fianchi della First Lady e del presidente. C’è una guardia in ognuna delle cinque entrate della sala da pranzo. Ho finito il mio piatto e sto per prendere il calice che contiene il vino rosso, che di solito non bevo, quando vedo che al suo interno si formano dei cerchi concentrici che si rimpiccoliscono a intervalli di tempo. Come se qualcuno avesse sfiorato la superficie del liquido.

Questa volta sento tremare la sedia, mi alzo di scatto e anche Alex, forse anche la sua si è scossa. Gli altri seduti al tavolo ci guardano incuriositi, ma anche loro capiscono appena il pavimento trema come tutte le cose all’interno della stanza. Il presidente ordina a me, a mio fratello e al resto delle persone di nascondersi sotto il tavolo, noi obbediamo. La sala da pranzo diventa polverosa che impedisce di aprire gli occhi, inizio a tossire, cerco la mano di mio fratello, la trovo e la stringo. L’ho riconosciuta per via del braccialetto nero con una pallina da basket attaccata che nostro zio Robbie, il fratello di mamma, gli ha regalato. Sento un grido di una donna provenire pochi metri a mia distanza, gli sopraggiunge quello del presidente, che non si trova più accanto a me sotto il tavolo.
-Summer!- chiama, con la voce spezzata. Sento dei singhiozzi.

La terra trema di nuovo, nella casa bianca si diffuse il suono di decine di allarmi assordanti- Uscite! Uscite, presto!- gridò mia madre.
Mio fratello mi trascina fuori dalla stanza, dopo di noi esce Alex che a mala pena riesce a tenersi in piedi. Io e Theo lo aiutiamo, i corridoi e le stanze sono affollati da soldati e gente che lavora per il presidente. Dei calcinacci crollano ai nostri fianchi, ma con un salto usciamo in tempo dal portone della casa prima che crolli tutto.
Di fuori è tutto buio, molti elicotteri volano sopra di noi e delle macchine della polizia e jeep circondano tutto l’edificio. Tossisco e sputo sangue che macchia l’erba impolverata, Theo è disteso per terra e sta riprendendo fiato, sembra che non si sia fatto male. Al contrario di me invece, mi tocco la fronte con le dita e sento un taglio profondo che mi provoca dolori forti. Ma quando mi sono fatta male? Non me lo ricordo, forse in quella confusione un pezzo di cemento del soffitto mi ha colpito e per via di tutto quel caos non c’ho fatto caso.

Alex è in ginocchio, inarca la schiena e sembra stia per vomitare. Mi alzo e lo aiuto proprio mentre ha un conato, gli tengo una mano stretta nella pancia per alleviare il dolore degli sforzi. Quando ha finito cerca di rimettersi in piedi e fa dei respiri profondi, lui mi guarda e annuisce, come per ringraziarmi.
Non dico niente. Sono impegnata a guardare le macerie della casa bianca- Mamma!- grido, appoggiando le mani sulle cosce per sostenermi.
Sto per chiamarla di nuovo ma il suono dei Tripodi mi costringe ad accasciarmi a terra, le mani sono premute contro le orecchie per non sentirlo, ho gli occhi stretti. Theo cerca la mia mano, ma non gliela porgo, così lui mi stringe un braccio per assicurarsi che sono ancora qui.
Un bagliore troppo luminoso si accende davanti a noi, e mi costringe ad aprire gli occhi, vengo scaraventata via e batto la testa su un masso. La casa bianca è esplosa… con mia madre all’interno.

Un Tripodo sbuca dal fuoco e dal fiume ed emette il suo suono di trionfo, inizia ad avanzare verso di noi; io, Theo e Alex ci lanciamo verso destra per non essere calpestati, il Tripodo continua indifferente la sua marcia ignorando le persone sotto di se.
Un urlo riesce a fuggire dalla mia gola, non è possibile che sia successo, mi rifiuto di crederci. Inizio a piangere disperata, tenendomi le braccia strette in grembo, appoggio la testa sull’erba bruciata. Sento una voce femminile familiare, Scarlett ci ordina di seguirla, il suo volto è calmo e sicuro. Theo e Alex mi tirano su di peso e mi portano verso la jeep della soldatessa. La maggior parte degli altri soldati prende il proprio veicolo governativo e segue il nostro.
-Dobbiamo… dobbiamo aiutarli.- balbetto, indicando i soldati intenti a spegnere le fiamme e tentando di soccorrere le persone rimaste sotto le macerie.

-Sono morti comunque.- si affretta Scarlett, tenendo gli occhi sulla strada che stiamo percorrendo. Cerco gli occhi di Theo, seduto nel sedile davanti, lo supplico con lo sguardo di fare qualcosa ma lui scuote soltanto la testa.

-Mi dispiace, Jena.- dice mio fratello, fissando il vetro del finestrino- Non possiamo fare niente.-

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Theo
 
Mi ritrovo ad indossare una divisa da militare, gli scarponi neri che mi hanno dato sono scomodi e mi fanno sudare i piedi. Il nome del posto dove ci hanno portato non me lo vogliono dire, forse perché i soldati sono costretti o perché non lo sanno nemmeno loro.
Jena non parla da quando siamo arrivati qui, tre giorni fa. Ci fanno dormire in stanze separate con un letto e basta, e le nostre sono attaccate, infatti la sento piangere di notte. Anche io vorrei essere così emotivamente instabile come lei, soffrire per la morte di nostra madre, per il dolore che sta provando Jena e per il ritorno di quei mostri. Ma sono del tutto impassabile, la prima donna che amo di più al mondo, dopo mia sorella, è esplosa davanti a me e non ho fatto altro che scappare.
Sento bussare forte alla porta della mia stanza- Sono le tredici, devi andare alla mensa, ora.- è la voce ovattata di Scarlett, in tutta la sua grazia.

Mi alzo dal letto ed esco dalla mia cella… voglio dire dalla mia camera- Non parlarmi come se fossi uno dei tuoi tanti soldati.- nella mia voce c’è un’insolita calma. Do un ultimo sguardo agli occhi di quella che si crede una mia superiore e me ne vado a pranzo.
Mi siedo accanto a mia sorella, che, con occhi strabuzzanti, fissa il suo piatto come se potesse comunicare con quella coscia di pollo stecchita- Ma tu non eri vegetariana?- le chiede Alex, azzannando i resti di quello che sembra un hamburger. E’ molto simile a me, sembra che neanche lui sia rimasto così devastato dalla morte di suo padre e sua madre, ma la prima notte l’ho sentito piangere, come Jena. Forse ha esaurito tutte le lacrime mentre cercavo di dormire.
-Si.- sussurra con disgusto. Indossa una canottiera attillata e dei pantaloni larghi dello stesso colore della mia divisa, i suoi capelli sono legati in una coda alta e lunga. Anche Alex ha dei vestiti molto simili ai miei.
Sgrano gli occhi- Hai parlato!- esclamo con la bocca piena di cibo, appoggio la forchetta e alzo le mani verso l’alto- Finalmente!- esulto.

-Sai, io credevo che i vegetariani mangiassero… roba vegetariana, poi non so.- commenta gettando a canestro il tovagliolo, unto di salsa ketchup, nel cestino. Torna a guardare mia sorella, si passa la lingua davanti ai denti con la bocca chiusa e dice:- Certo che sei strana.-
Jena gli lancia un occhiataccia e poi sbuffa- Sono quegli imbecilli che mia hanno dato questo pollo morto!- allontana il piatto e si strofina le mani sugli occhi- Oddio, pensa se questo gallo se ne stava tornando a casa dalla sua famiglia e poi… Poof! Si ritrova le parti del corpo sparse per la mensa, in attesa di essere mangiate!- ora sta parlando ad alta voce- Magari i suoi pulcini e la sua gallina lo stanno ancora aspettando a casa!-
Alex la fissa con la bocca aperta, un sopracciglio alzato e un’espressione disgustata in volto. Guarda il suo secondo hamburger appoggiato come se fosse la cosa più orribile che avesse mai visto, con un dito sposta il suo piatto verso di me- Mi hai fatto passare la fame, contenta?-

-Ci farai l’abitudine.- commento divertito- Sono dieci anni che fa questa storia a cena e a pranzo, è insopportabile.-
Jena mi da una leggera gomitata sul braccio- Sempre simpatico tu, eh?-  sorrido e annuisco.
Non possiamo uscire da questa struttura, ovunque essa sia e qualunque nome abbia, perciò, visto che non abbiamo niente da fare, come abbiamo fatto negli ultimi giorni, andiamo a vedere i soldati e le soldatesse che si allenano. Dopo pranzo raggiungiamo un’enorme bunker nel piano più basso della palazzina, forse siamo sotto terra, ma non posso saperlo visto che in nessun piano ci sono delle finestre.

Ci sono dei bersagli circolari da una parte e delle persone, compresa Scarlett, che sparano e cercano di fare il punteggio più alto, che viene segnato su un cartellone elettronico appeso alla parete. Ci sono delle sacche che usano i pugili per allenarsi, delle corde che scendono dal soffitto dove ci si dovrebbero arrampicare. E ovviamente non possono mancare gli attrezzi per farsi i muscoli, tipo una panca con dei pesi che arrivano addirittura a trentacinque chili.
Dopo un po’ che siamo appoggiati al muro, vicino all’entrata, Alex sbuffa e si dirige verso la sparatoria contro i bersagli. Io e Jena, che fino ad un secondo fa eravamo seduti per terra con la schiena alla parete, ci alziamo- Dove credi di andare?- gli chiedo, alzando la voce per superare il fracasso che provocano i proiettili.

-Mi annoio,- risponde lui, con noncuranza- vado a fare fuori qualche bersaglio anche io.-
-Non credo che tu possa farlo.- dice Jena, sobbalza appena sente un proiettile conficcarsi nel muro, dietro i cerchi colorati. Tutti guardano un soldato con gli occhiali, basso e magro. Arrossisce e sembra voler nascondersi dietro un uomo con la pelle scura dallo sguardo minaccioso.
-Sono loro che mi hanno portato qui, e faccio quello che mi pare!- decide, guardando mia sorella con rabbia.
-Che caratterino.- commenta a bassa voce Jena.

Alex tocca la spalla di Scarlett e lei si gira, iniziano a parlare e dopo averla convinta, lui prende con due mani il fucile che stava usando la soldatessa. Il ragazzo si porta il mirino davanti all’occhio e dopo pochi secondi preme il grilletto. Io e mia sorella, e da quello che vedo anche Scarlett, rimaniamo scioccati dal punteggio: 9 su 10.
La soldatessa da una pacca sulla spalla ad Alex, vado verso di loro a passo spedito, con Jena al mio fianco- Non sapevo che sapessi sparare così bene.- si congratula Scarlett, sorridendo.
Alex si carica l’arma in spalla e fa un sorriso, come per vantarsi- Si, bhè, ho esperienza.-
-Esperienza?- ripete Jena con un sopracciglio alzato- E che vorresti dire? Che sei una specie di rapinatore o roba del genere?- trattiene una risata.

Lui mette un braccio sopra le spalle di mia sorella e uno sopra le mie e ci fa allontanare da Scarlett, poi ci fa uscire dal bunker- Diciamo di si, ma essere il figlio del presidente degli Stati Uniti ha qualche vantaggio.-
Jena incrocia le braccia stizzita- Ad esempio?-
-Diciamo che rende la tua fedina penale immacolata.- Alex sogghigna, poi il suo sorriso sinistro scompare- Non è che sono stato un bravo ragazzo in passato, per fortuna mio padre una volta salito al “trono”- agita su e giù l’indice e il medio, per fare le virgolette- ha fatto cancellare tutte le mie trasgressioni.-
-Ah, bravo.- commento appoggiando la schiena al muro metallico- Hai sfruttato il titolo di tuo padre.-
Alex sembra pensarci su un po’ e poi annuisce- Esattamente, ma non è che m’importasse più di tanto quello che faceva mio padre, poteva anche lasciarmi in prigione, stavo meglio li.-
-Perché ti avevano arrestato?- chiede Jena.

-Furto d’auto, cellulari rubati, portafogli scomparsi.- inizia ad elencare tenendo il conto con le dita- La lista è lunga, ditemi quanto tempo avete.-
-E pensare che mi sembravi tanto un bravo ragazzo!- commento con sarcasmo- Qual è stata la volta che sei stato di più in carcere?-
-Fino a due anni fa, con una condanna a tre anni, e li il caro papà non ha potuto fare un cavolo.- lo dice come se fosse colpa del padre per tutte le volta che è andato in prigione, è quasi odioso.
-E perché?- insiste Jena.
-Ho spifferato in giro una roba governativa che pareva importante e quindi i militari statunitensi mi hanno sbattuto dentro per tradimento… Idioti.- sbuffa e guarda verso l’alto, non sono sicuro che siano loro gli idioti.
-Oh, quindi è vero?- Scarlett è appoggiata su un fianco al cornicione della porta di metallo del bunker- Eri tu il ragazzino che ha quasi rivelato a tutto il pianeta di questo posto. Di certo non sei l’orgoglio del papà.- commenta lei, facendo la strafottente.
Lui sembra essersi offeso e per un attimo non ha più quell’atteggiamento da bulletto che aveva prima. Ma poi il suo viso si illumina- Allora è questa la Base Kennedy? Ah! Quindi dovremmo essere più o meno nell’entroterra del Gran Canyon, giusto? In Arizona. L’avete fatta dopo la morte del presidente Kennedy.-

Scarlett sgrana gli occhi e stringe i pugni- E’ un’informazione segreta.-
-Oh, ti prego! Non vorrai dire che è una finzione come l’Area 51? Perché so cose che tu neanche immagini su quella base militare.- la stuzzica Alex.
-Voglio andarmene da qui!- sbotto all’improvviso- Non fate altro che tenerci rinchiusi qui dentro, non potete. Fateci fare qualcosa fuori dalla Base Kennedy!- vedo Scarlett che sta per fare un passo per ribattere sulle  mie ultime parole ma la zittisco- Non dire che non lo è perché ormai si è capito, Scarlett!-
-Non posso fare niente io.- risponde la soldatessa.
-Voglio aiutarvi a combattere i Tripodi.- dice mia sorella. Io sgrano gli occhi, come può una ragazzina andare a fare la guerra contro degli alieni abnormi e altamente distruttivi?- Hanno ucciso mia madre, quei bastardi, e voglio contraccambiare il favore.-
-Tu? Wow.- Scarlett trattiene una risata- E cosa vorresti fare quando avremo i Tripodi davanti? Tirargli una trousse di trucchi? Oh, aspetta, ho un’idea! Perché non gli metti lo smalto, così quei mostri saranno davvero chic quando si faranno un selfie mentre ci uccideranno!!!- commenta a volume alto.

-Ho delle informazioni che potrebbero esservi utili. E sono tutte opera di Rachel Ferrier.- quelle parole catturarono l’attenzione di Scarlett, tanto da farla smettere di ridere- Ora non fai più la strafottente, vero soldato Kelly?- Jena sogghigna divertita.

Lei si guarda attorno e si aggiusta il cappello da militare, storce la bocca e annuisce- Seguitemi. Dobbiamo parlare.-

 
NOTA D’AUTRICE: Scusatemi se non sono stata molto presente, sto avendo dei problemi con internet :(
Non so quando pubblicherò il prossimo capitolo, e mi scuso anche se non ho ancora pubblicato un altro capitolo di Disney VS DreamWorks, sono riuscita a mettere solo questo per ora
Scusate ancora, Grace <3

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