Loving can mend your soul.

di disconnected
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Heartkiller. ***
Capitolo 2: *** Paper Hearts. ***
Capitolo 3: *** Social Casualty. ***
Capitolo 4: *** The Struggle. ***
Capitolo 5: *** Glad You Came. ***
Capitolo 6: *** Flatline. ***
Capitolo 7: *** We Were Born For This ***
Capitolo 8: *** Photograph. ***
Capitolo 9: *** Echo. ***
Capitolo 10: *** Autumn Leaves. ***
Capitolo 11: *** Never Wanna Let You Go. ***
Capitolo 12: *** Shadow. ***
Capitolo 13: *** Is There Somewhere. ***



Capitolo 1
*** Heartkiller. ***


“Should’ve known better,
if you go get her
you’ll end up in flames.”

- Kat Graham, Heartkiller. 

Il professore di storia parlava, ma tutto quello che Kora sentiva era un susseguirsi di bla, bla, bla. Era più concentrata sul foglio che aveva davanti. Ci aveva scribacchiato sopra delle frasi e poi le aveva cancellate con l’inchiostro nero della sua penna, facendo attenzione a non lasciare intravedere nulla di quello che aveva scritto.
Non volevo essere così.
Sono solo una stronza dal cuore di ghiaccio.
Nessuno mi può spezzare.
Sbaglio, sbaglio sempre.
Io ferisco le persone,è meglio che mi stiano lontano.
 
«Signorina Gray?» la voce del professore la riportò alla realtà. Tutti i presenti la fissavano. Avrebbe voluto dire una parolaccia, me preferì trattenersi. Non voleva dare altro su cui parlare ai pettegoli che si aggiravano nella scuola.
«Sì?» alzò lo sguardo verso l’uomo pelato che si trovava davanti. Lo vide indicare il suo foglio scarabocchiato.
«È questo che fa mentre io spiego?» Kora non capiva cosa volesse da lei. Tre quarti della classe non gli prestava mai attenzione, usava il cellulare, parlava, ascoltava musica e lui andava a infastidire lei, che se ne stava buona buona in silenzio.
«A quanto pare.» sarebbe dovuta stare zitta, lo sapeva, ma lei diceva tutto quello che pensava, quasi tutto.
«Non mi risponda con questo tono.» era visibilmente alterato, lo si vedeva dalla vena sul suo collo.
«Quale tono?»
«Esca dalla classe. La presidenza è la terza porta sulla destra.»
«Faccia come se avessi bisogno di indicazioni.» disse con il tono più sarcastico che riuscì a trovare dentro di sé mentre si dirigeva verso la porta. Tutta la classe era interessata a quel teatrino, ma Kora odiava essere guardata in quel modo, come un fenomeno da baraccone, come un alieno, come qualcosa di stupido e irrilevante. Lei voleva rispetto. Ammise, però, di essersi messa da sola in quella situazione. La colpa, quindi, era soltanto sua.
Entrò nella presidenza, dove una donna tutta ossa e rughe, ma incredibilmente curata, l’aspettava seduta alla scrivania. C’erano poche cose che davano i brividi a Kora, ma la preside Jenkins, con i suoi occhi infossati e quelle dita lunghe e ossute, le dava i brividi. Si strinse nella sua giacca di pelle e si sedette di fronte alla donna.
«Di nuovo qui, signorina Gray? Ci siamo viste la settimana scorsa. Che ha fatto questa volta?»
«Nulla.»
«Sosteneva la stessa cosa la scorsa volta, e poi sono venuta a sapere che ha minacciato di rigare la macchina del suo professore di chimica.»
«Non volevo farlo, mi creda. Sono ancora dispiaciuta per quell’episodio, ma questa volta glielo giuro che non meritavo di essere mandata qui.»
Forse me lo meritavo pensò Kora ma di certo non glielo dirò così apertamente.
«Allora cosa ha fatto?» la preside non la guardava in faccia mentre parlava, teneva gli occhi fissi sul libro che aveva davanti, sembrava quasi infastidita da quella visita inaspettata.
«Credo che il professor Smith, il mio insegnante di storia, si sia arrabbiato per il tono che ho usato con lui.»
«Lo vede che non è qui per niente?»
«Sì, okay, ma…»
Ma il professor Smith avrebbe anche potuto evitare avrebbe dovuto dire, ma venne interrotta dalle parole della preside.
«Sei in punizione. Oggi ti fermerai un’ora in più degli altri. E ritieniti fortunata. Ora puoi andare.»
Fantastico.
Kora si congedò e, non volendo rientrare in classe, restò un po’ nei corridoi deserti nelle vicinanze della sua classe.
 
«Senti Ash, ti do un consiglio da amico, stalle lontano. Potresti bruciarti, se giochi con il fuoco.» disse Isaac, il compagno di banco di Ashton, non che il suo migliore amico.
Potresti bruciarti, se giochi con il fuoco
Quelle parole gli rigiravano in testa e non trovavano pace. Ricominciò a guardare fuori dalla finestra e si perse ad osservare le persone che camminavano tranquille lungo la strada, ignare di quello che stava succedendo dentro di lui.
«È solo che… l’hai vista anche tu, no?»
«Sì, è uno schianto ma…»
Ashton scosse la testa infastidito.
«No, non mi riferivo a quello. Cioè, sì, è bellissima, ma io parlavo del suo carattere e di quegli occhi. Mi è sembrato di sentirli parlare.» Isaac roteò gli occhi, divertito.
«Oh Dio, no! Non cominciare con queste cose da sentimentale. – fece una piccola pausa – Ma ti piace davvero?»
«Davvero.»
Lo disse con quella sicurezza che poche volte aveva, e Isaac se ne accorse subito, infatti gli diede una gomitata.
«Allora va’ a prendertela.» Ashton sorrise.
«Volete andare a fare compagnia alla Gray?»
Sì, certo avrebbe voluto rispondere il ragazzo, invece rimase zitto.
«Se per lei non è un problema.» rispose Isaac al suo posto.
«Ci caccerai nei guai.» gli sussurrò l’altro, divertito.
«Come se non fossi mai andato a fare una visita alla Jenkins!» entrambi i ragazzi risero.
«Smettetela di parlare come se io non fossi presente!» tuonò il professore.
Era strano per i suoi alunni vederlo così infuriato, solitamente era un uomo pacifico, comprensivo, e passava sopra a tutto pur di non creare fastidi. Ashton lo guardò negli occhi e vide una scintilla di tristezza e frustrazione. D’un tratto pensò che, se quel giorno era particolarmente irritabile, era per via di qualcosa che era successo nella sua vita privata.
Era facile per lui capire cosa provassero le persone guardandole negli occhi, era una sua dote. Era anche vero che negli anni si era allenato sempre più in questo suo talento per renderlo quasi perfetto. Gli piaceva poter capire gli altri e, se necessario, dare una mano, lui era così: altruista, perspicace e comprensivo. Oltre a questo, però, non aveva altri speciali talenti: non era mai andato bene a scuola, se l’era sempre cavata per pochissimo, anche se aveva perso un anno e ora si trovava all’ultimo anno quando sarebbe dovuto essere fuori.  
Il classico ragazzo intelligente ma che non si applica; preferiva ascoltare musica e leggere.
«Vi risparmio la preside, ma adesso uscite dalla classe.»
I due ragazzi uscirono, Isaac ancora ridacchiando e Ashton pensando. Pensava un sacco, lui, ma non veniva mai a capo di niente. Si riteneva un disastro, una mina vagante.
Poi la vide, alla fine del corridoio, seduta a terra, con le cuffie nelle orecchie e gli occhi chiusi che si batteva una mano sul ginocchio a ritmo.
«Amico, vai, che aspetti?» Isaac lo spinse.
Ashton guardò i suoi occhi azzurri: divertimento, orgoglio, determinazione. Poi pensò a quando lui ascoltava la musica e non voleva essere disturbato da nessuno. Gli sembrava che anche per lei fosse così, allora decise di non importunarla. Le avrebbe parlato un'altra volta, di sicuro.
«No, senti, un’altra volta.»
«Che c’è? Che ti ferma?»
Ashton non rispose e cominciò a camminare dalla parte opposta rispetto a Kora.
 
Isaac non lo seguì, sapeva che, quando faceva così, voleva essere lasciato solo. Lo conosceva bene, e Ashton conosceva lui. Si conoscevano da quando avevano sei anni, vivevano vicini e ognuno conosceva l’altro a memoria. Bastava un gesto, uno sguardo e loro si capivano. Lui sapeva della dote di Ashton, sapeva di non potergli mentire e sapeva che non ce n’era bisogno.
Non potendo andare né verso Kora, né verso Ashton, si sedette a terra vicino alla porta della classe.
«Ehi, tutto bene?» una voce femminile lo risvegliò dai suoi pensieri.
Isaac alzò lo sguardo e vide una ragazza dai lunghi capelli mossi color biondo fragola che lo osservava. Indossava dei vestiti colorati e sulle labbra un rossetto rosso.
«Non ti preoccupare, uhm, come ti chiami?»
«Hayley.»
«Bene, Hayley, ti va di annoiarti con me?»
«Nemmeno nei tuoi sogni.» e così, silenziosa com’era arrivata, la ragazza se ne andò. Come prova della sua presenza lì vicino si sentivano solo i suoi tacchi fare rumore contro il pavimento di marmo della scuola. Suono che poi sparì nel nulla.
Lei voleva solo controllare che lui stesse bene, ma vedere che era vivo, vegeto e pronto ad aggiungere una ragazza alla lista delle ‘cose da fare’ la fece andar via.
Isaac si maledisse di essere sempre così precipitoso, ma solitamente le ragazze non lo rifiutavano. Sapevano, comunque, di non essere importanti per lui, ma solo un passatempo.
Si era innamorato solo una volta e gli era bastato.
“Niente più cuori spezzati” era il suo motto.

 

Innanzi tutto grazie per aver letto il primo capitolo di questa ff.
Volevo ringraziare Gloria (@kidrauhlspiano) perché senza di lei questa ff non sarebbe iniziata.
Inoltre volevo fare una piccola presentazione dei personaggi.


































Kora Gray (Crystal Reed)



Ashton Irwin (Ashton Irwin)



Isaac Lewis (Daniel Sharman)



Hayley Blake (Holland Roden)
 

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Capitolo 2
*** Paper Hearts. ***


“Everything is grey under this sky,
wet mascara,
hiding every cloud under a smile.”

- Tori Kelly, Paper Hearts. 

Quando Ashton tornò indietro trovò Isaac seduto a terra ad aspettarlo. Sentendolo arrivare, quest’ultimo, alzò lo sguardo verso di lui: odio, tristezza, rassegnazione.
«Che ti è successo?» gli chiese sedendosi accanto a lui.
«Non ne voglio parlare. Niente di importate, comunque.»
Ashton sapeva che c’era di più, ma forzarlo a parlare non sarebbe servito a nulla: se gliene avesse voluto parlare, lo avrebbe fatto.
Guardò verso la fine del corridoio e vide che Kora non c’era più.
Poggiò la schiena alla parete fredda e rimase in silenzio finché Isaac non parlò.
«Dici che dobbiamo rientrare?»
Ci pensò un po’ su. L’ora era quasi finita e il professor Smith ormai doveva aver sbollito la rabbia; inoltre non c’era più nemmeno Kora, quindi stare lì fuori seduti in silenzio o sedersi in classe era sostanzialmente la stessa cosa.
«Sì, dai.»
 
Hayley picchiettava con la penna sul suo banco, producendo un rumore fastidioso che non passò inosservato agli altri presenti. Ma lei non sembrava accorgersene; stava ancora pensando al ragazzo dagli occhi azzurri che aveva incontrato nel corridoio e alla sua faccia tosta. Si disse che, se lo avesse incontrato di nuovo e avesse provato a rimorchiarla ancora una volta, gli avrebbe dato un ceffone abbastanza forte da lasciargli lo stampo delle cinque dita sulla guancia.
«Signorina Blake, saprebbe ripetermi che cosa ho appena detto?»
«Stava dicendo che un poligono è semplicemente una lista ordinata di punti, e quindi di vettori, essendo ogni punto un vertice del poligono. Tutte le trasformazioni per il movimento dei poligoni vengono calcolate sui vettori dei suoi vertici.» rispose Hayley senza alzare lo sguardo. Citò il professore con lo stesso tono con cui avrebbe potuto dire “Mamma, è finita la maionese”. Era una ragazza davvero intelligente, e davvero bella. Non era come tutte le ochette senza cervello che si trovavano in quella scuola. La sua straordinaria intelligenza, però, l’aveva isolata un po’. Non che non avesse amici o non avesse mai avuto un ragazzo, ma sospettava che tutti la sfruttassero per la sua bravura a scuola, nel caso degli amici, e per la bellezza nel caso dei ragazzi.
Il professore scosse la testa e ritornò alla sua lezione facendo finta di non sentire il picchiettio della penna di Hayley.
 
Ashton e Isaac camminavano verso casa.
Il primo osservava il paesaggio.
La scuola distava circa due chilometri dalle loro case, ma il paese era piccolo e tranquillo. A destra si vedevano le montagne con gli alberi di quel colore rosso/arancione tipico di novembre, mentre a sinistra, anche se non si vedeva, c’era il Bear Lake. Sulle cime più alte cominciava a esserci la neve. La piccola cittadina di Garden City, che aveva poco più di 500 abitanti, si trovava ai piedi di quelle montagne e non era raro trovare qualche cervo o cerbiatto attraversare le strade. Ashton e Isaac amavano quel paesino sperduto nel cuore dell’Utah, anche se avevano spesso pensato di partire verso qualche grande città, insieme. Se la sarebbero cavata sicuramente, ma qualcosa li teneva attratti a quel posto. Infondo quei due amavano la tranquillità di Garden City, la libertà che provavano nei boschi circostanti e la pace che si provava in generale. Non era un posto perfetto, ma si stava bene ed era uno di quei posti dove puoi dire di conoscere quasi tutti.
Il secondo lo seguiva guardando a malapena dove metteva i piedi.
Non che fosse un problema; aveva fatto quella strada migliaia di volte: sarebbe potuto arrivare a casa a occhi chiusi. Continuava a pensare a Hayley e a come l’aveva trattata. Nessuna l’aveva mai rifiutato, ma quando lei l’aveva respinto si era reso conto di come aveva trattato le ragazze in quell’ultimo periodo. La realtà lo colpì come quando, da bambino, in pieno inverno, si era gettato nell’acqua ghiacciata del Bear Lake. Si rese conto di quanto il suo comportamento fosse cambiato, di quanto stronzo fosse diventato. Non era la persona che sperava di diventare.
«Ashton?» l’altro si girò verso di lui e lo guardò: paura, indecisione. Non erano emozioni che si vedevano spesso in Isaac e la cosa preoccupò leggermente il ragazzo.
«Sì?»
«Credi che io sia una cattiva persona?»
 
Stare a scuola oltre l’orario era una cosa estremamente frustrante per Kora, che, seduta in una delle aule, aspettava la fine dell’ora di punizione. Quando finalmente poté uscire, si diresse veloce verso casa. Fuori dalla porta trovò sua madre che, probabilmente, la stava aspettando.
«Sei stata in punizione?»
«Sì.»
«Cosa devo fare per farti capire che la scuola è importante e non devi comportarti così?» ora cominciava ad urlare. Lo faceva spesso, da quando suo padre era mancato, due anni prima. Forse lo faceva per compensare la mancanza di una figura maschile e autoritaria.
Kora non rispose e se ne andò dritta in camera. Odiava litigare con sua madre, ma ormai c’era abituata. Cominciava a sentire gli occhi bruciare, ma sapeva che non era niente di più, solo un fastidioso bruciore. Lei non piangeva mai.
Il pc, rimasto acceso dalla sera prima, emise un suono e la ragazza capì che qualcuno la stava chiamando via Skype.
«Ciao Hayley.»
«Ciao Kora, tutto bene? Sembra quasi che tu stia per scoppiare a piangere.»
Kora sorrise automaticamente.
«No, va tutto bene.»
 
Dopo aver chiuso la chiamata, Hayley, decise di andare a fare una passeggiata sulle rive del lago.
«Ehi, Hayley! Hayley, aspetta.»
La ragazza si fermò e si girò per vedere chi l’avesse chiamata. In lontananza un ragazzo stava correndo verso di lei. Quando le fu un po’ più vicino lo riconobbe: era il ragazzo che aveva incontrato quella mattina a scuola. Si girò e ricominciò a camminare. Quando il ragazzo le fu accanto lei, per non guardarlo, continuava a camminare guardando il lago.
«Hayley, fermati, ti devo parlare.» per farsi ascoltare le afferrò il braccio e la fece voltare.
«Non toccarmi.» lui alzò le mani in segno di resa.
«Okay, scusami. Io.. volevo scusarmi per come mi sono comportato ‘sta mattina. Sono stato uno stronzo, lo so.»
«Mi stavi seguendo?»
«Seguendo? Dio, no. Non pensare che io sia uno stalker!»
«Pensi di dirmi il tuo nome, prima o poi?»
«Sì, io sono Isaac. Comunque, davvero, scusami. Puoi dimenticare tutto? Fare come se non ci fossimo mai conosciuti?»
«Non so tu, ma io ho un’ottima memoria.»
Hayley ricominciò a camminare spedita senza una meta. Non serviva averne una, finiva comunque sempre nello stesso posto: un capanno di alcuni cacciatori che si trovava sulla sponda del lago all’inizio di una passerella in legno. Le piaceva sedersi all’estremità di quest’ultima e sfiorare l’acqua con la punta dei piedi.
 
Isaac preferì non seguirla, quindi si diresse verso casa a testa bassa, calciano qualche sassolino lungo la strada. Prese il telefono e scrisse un sms a Ashton.
 
“Ti sei sbagliato questa volta. Non sono una bella persona.”

Grazie per aver letto questo capitolo e spero che vi sia piaciuto. Seri felice se mi lasciaste qualche parere, in modo che io possa migliorare.
Sì, so che faccio schifo nelle formule di chiusura e nei ringraziamenti, ma comunque sia, spero abbiate capito che vi sono davvero grata se utilizzate il vostro tempo per leggere quello che scrivo.
Baci :)

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Capitolo 3
*** Social Casualty. ***


“Save me
from who I’m supposed to be.”

- 5 Seconds of Summer, Social Casualty. 


«Quindi questo tipo..»
«Isaac» la corresse prontamente Hayley.
«Sì, Isaac, insomma, lui ti ha seguito al lago solo per chiederti scusa?»
«No – la corresse di nuovo – lui ha detto che non mi stava seguendo.»
Hayley era passata a prendere l’amica per andare a fare un giro nella città vicina, che era decisamente più grande di Garden City. Guidava sulla Bear Lake Boulevard ad una velocità decisamente superiore al limite, ma non le importava. Lasciava che il vento scorresse sulla sua decapottabile rossa fiammante che però, data la stagione, aveva la capote chiusa. Kora, seduta sul sedile del passeggero la guardava con quello sguardo divertito tipico di chi pensa “Questa si è presa una cotta stratosferica”.
Kora non capisce, io non mi sono presa una cotta per Isaac, credo pensò Hayley.
«Io l’ho visto quel ragazzo, eravamo seduti nello stesso corridoio. Poi io me ne sono andata, ma lui era carino.»
«Senti, la tua Missione Cupido finisce qui!»
Entrambe si misero a ridere.
La Bear Lake Boulevard correva affianco al Bear Lake, come suggeriva il nome. Le due ragazze facevano quella strada praticamente ogni settimana alla ricerca di qualche svago che fosse diverso dalla tranquillità di Garden City. Arrivate a destinazione, Hayley parcheggiò l’auto davanti a un negozio di vestiti che le ragazze adoravano per i bassi prezzi.
«Aspetta, torno subito. Tu intanto entra, io ti raggiungo.»
«Ma dove vai?» le chiese Kora, riluttante a lasciarla andare così.
«Non lontano, torno subito.» e così dicendo, l’altra si mise la chiavi della macchina nella borsa, attraversò la strada e cominciò a camminare a passo spedito.
 
Ashton era disteso sul letto che osservava il soffitto e ascoltava musica. Era preoccupato. Non sentiva né vedeva Isaac da quando gli aveva scritto che lui era una cattiva persona e che lui si era sbagliato, quattro giorni prima. Sapeva per esperienza che quando era triste o nervoso tendeva a fare cose stupide; come quella volta che, dopo la rottura con Iris, era sparito per una settimana e Ashton l’aveva trovato nel bosco tremante, sporco e affamato. Era un ragazzo strano, quando si trattava di emozioni da affrontare, ma da un certo punto di vista i boschi avevano sempre avuto un “potere curativo” per entrambi i ragazzi. Spesso si rifugiavano lì, quando ne sentivano il bisogno. Entrambi sapevano dove sarebbe potuto essere l’altro, ma se erano andati lì era per il bisogno che avevano di stare soli, quindi non si cercavano mai.
Aveva pensato di andare a cercarlo, ma, se Isaac fosse stato là, di certo non voleva essere trovato, quindi decise di lasciare perdere, almeno per un altro paio di giorni o finché non si fosse fatto vivo.
 
Hayley ne era sicura: aveva visto Isaac che le guardava dalla parte opposta della strada e poi era sparito dietro a un edificio. Del perché ora lo stesse cercando non era sicura; forse voleva delle spiegazioni sul perché le stesse seguendo, forse voleva semplicemente vederlo, ma nel momento in cui pensò alla seconda ipotesi si disse Cazzo, no. Io voglio sapere perché ci stava seguendo.
Dopo dieci minuti di inutili ricerche decise di tornare indietro. Ripassò attraverso un vicolo stretto che l’avrebbe riportata direttamente alla strada dove aveva parcheggiato.
«Adesso sei tu che mi segui.»
La ragazza si voltò facendo svolazzare la massa biondo fragola di capelli e lo vide, a pochi metri da lei, con le mani nella tasca dei jeans. Era visibilmente stanco: aveva delle mezzelune scure sotto agli occhi, gli zigomi più sporgenti di quando l’aveva visto l’ultima volta, quattro giorni prima. Si chiese se avesse mangiato qualcosa in quei giorni. La maglietta grigia a maniche corte che indossava, che di certo non lo proteggeva dal freddo invernale che cominciava a farsi sentire, era sporca qua e là d’erba o terra; lo stesso valeva per i jeans e le scarpe.
«Tu mi stavi fissando, io volevo solo sapere perché.»
«Sapevo che mi avresti cercato, non mi sbagliavo.»
«Cosa vuoi?»
«Io non credo che tu abbia preso sul serio le mie scuse, l’altro giorno. Inoltre volevo chiederti una cosa, una cosa a cui so che risponderai sinceramente.»
Isaac non si muoveva, non si avvicinava, a malapena stava in piedi. Hayley si chiese se fosse andato a piedi fino in città o se fosse in macchina. E, se era così, se era nelle condizioni di guidare senza mettersi in pericolo.
«Sì che le ho prese sul serio, solo che ho trovato un po’ inquietante il fatto che tu mi abbia trovato lungo la riva del lago. E, ad essere sincera, ero ancora un po’ incazzata per come ti eri comportato.»
«Quindi, mi hai perdonato?»
«Ma sì. Dio, alla fin fine non hai fatto niente di grave, non hai mica ucciso qualcuno. Comunque, quale sarebbe la domanda?»
«Trovi che io sia una cattiva persona?»
Hayley rimase spiazzata per un attimo. Come poteva dire se fosse o meno una cattiva persona quando non lo conosceva nemmeno?
«Come faccio a dirlo? Io non ti conosco. E poi, perché me lo chiedi?»
«Mi sono reso conto di aver fatto male a parecchie persone, ultimamente. Io, merda, io non volevo essere così, capisci? – i suoi occhi erano velati, era sul punto di piangere, gli tremavano le labbra; Hayley poteva vedere che era sincero – E io non so nemmeno perché ti sto rendendo partecipe di tutto questo, io davvero non lo so. Tu sei stata quella che mi ha fatto realizzare quanto stronzo sono diventato, mi hai fatto capire che una volta ero una persona migliore. Non so nemmeno come hai fatto, voglio dire, io non lo so.»
Isaac improvvisamente tirò un pugno al muro, gemette dal dolore e alcune lacrime cominciarono a scendere. Si morse il labbro. Le nocche della mano destra erano ricoperte di sangue.
Hayley gli si avvicinò lentamente e lo abbracciò. Sentì le braccia forti di lui stringerla talmente forte che per un attimo pensò di soffocare, ma poi sentì che il leggero dolore era quasi piacevole.
«Perché lo stai facendo?»
La ragazza si allontanò quel poco che bastava per poterlo guardare in faccia e gli carezzò una guancia.
«Perché ne hai bisogno.»
Poi lui la strinse di nuovo a sé.
«Comunque no, non sei una cattiva persona.»
 
Venti minuti. Erano venti minuti che Kora stava aspettando Hayley fuori dal negozio, e ancora non si vedeva da nessuna parte. Era di un umore che era un misto tra incazzata e preoccupata. Aveva le braccia incrociate al petto e batteva a terra con il piede. Le brontolò la pancia e pensò adesso vado a mangiarmi qualcosa dato che questa non torna. Camminò fino al bar più vicino ed entrò, si sedette al bancone e ordinò un panino e una Coca-Cola. A metà panino le vibrò il cellulare: un nuovo sms da Hayley.
 
‘Ma dove sei?’
 
Rispose:
 
‘No, dove sei stata tu tutto questo tempo! Non tornavi allora sono andata a mangiare un panino da Joe’s.’
 
Il cellulare vibrò di nuovo.
 
‘Arrivo, poi ti spiego tutto.’
 
Kora si rimise il telefono in tasca e finì il panino. Quando sentì il tintinnio della porta d’entrata si voltò per sapere se fosse Hayley, e lo era, ma era insieme a Isaac.

 
Quindi, ecco il terzo capitolo, spero vi piaccia. Lo so che è più corto rispetto agli altri, ma davvero, ho trovato parecchio difficile scrivere questo capitolo. Sareste davvero gentili se mi lasciaste una piccola recensione con il vostro parere.
Baci. :)

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Capitolo 4
*** The Struggle. ***


“The struggle you are up against
makes you what you are.”

- Graizfolk, The Struggle. 


‘Senti, lo so che non mi sono fatto sentire ultimamente, ma ti devo chiedere un favore. Mi verresti a prendere in città? Sono da Joe’s, c’è anche Kora.’
 
Ashton ricevette il messaggio proprio mentre saliva in macchina per andare a fare la spesa in città.
 
‘Certo, sono di strada.’
 
Non sapeva che ci facesse lì né come ci fosse arrivato, dato che non aveva una macchina, e nemmeno che ci facesse con Kora. Spinse il piede sull’acceleratore della sua vecchia Jeep nera mentre percorreva la Bear Lake Boulevard in cerca di risposte che avrebbe avuto soltanto quando sarebbe arrivato. Il pensiero di Kora gli faceva stringere la presa attorno al volante. Non capiva come una ragazza che non lo aveva mai guardato negli occhi, mai considerato, mai conosciuto veramente potesse agitarlo in quel modo. E il fatto che l’avrebbe incontrata in meno di dieci minuti o rendeva ancora più nervoso.
Si chiese che impressione gli avrebbe fatto, che cosa avrebbe pensato di lui.
 
Kora ascoltò attentamente tutta la spiegazione che Hayley le diede. Era ancora arrabbiata, ma il racconto l’aveva addolcita e calmata. Nel frattempo Isaac aveva mangiato qualcosa, come fece anche Hayley.
«Vuoi che ti diamo un passaggio fino a casa?» chiese improvvisamente la ragazza dagli occhi color nocciola concentrati su quelli azzurri del ragazzo.
«No, un mio amico dovrebbe passare di qui tra poco, vado con lui, ma grazie comunque.» 
Entrambi sorrisero, per un motivo a Kora sconosciuto, che quindi decise di uscire a fumare una sigaretta e lasciarli soli. Pensò che fossero carini, ma che una cosa del genere non sarebbe mai capitata a lei. La cosa la rendeva allo stesso tempo triste e sollevata. Infondo, se non avesse vissuto un’esperienza come la loro il rischio di ritrovarsi con un cuore in frantumi tra le mani a cui mancavano anche dei pezzi per poter essere ricomposto si sarebbe ridotto del 99%. Ma Kora non si preoccupava di quell’1%: si era fidata di tre persone in tutta la sua vita, e una di quelle era suo padre, che l’aveva delusa quando l’aveva abbandonata. Razionalmente sapeva che morire in quell’incidente stradale non era stata una sua scelta, ma era più facile credere che fosse così, piuttosto che come la pensava davvero Kora sull’incidente. Le altre due erano sua madre, che però ultimamente sembrava sempre più assente e Hayley.
La ragazza realizzò quanta poca fiducia avesse nelle persone, ma era giusto così. Ogni volta che aveva provato a fidarsi di qualcuno era rimasta ferita ed era come se potesse vedere ogni singola cicatrice, quella più grossa lasciata da suo padre, ancora fresca.
Chiuse gli occhi.
 
8 giugno 2012
Il telefonò squillò proprio mentre Kora e sua madre stavano andando a dormire. La ragazza continuò per la sua strada e la madre rispose al telefono.
«Cosa?» la voce di sua madre era rotta dalle lacrime. Un tonfo: il telefono era a terra.
Kora scese correndo le scale che la riportarono al salotto, dove trovò sua madre seduta a terra con la testa tra le mani. Le fu vicino in un attimo.
«Papà ha avuto un incidente – si fermò come se stesse cercando le parole giuste – non sono riusciti a fare niente per lui.»
E all’improvviso la sedicenne realizzò, anche se avrebbe preferito non farlo. Le lacrime scendevano mentre stava abbracciata a sua madre sul pavimento freddo. Quando Bridget, la madre di Kora, ritrovò un po’ di forza si convinse a prendere la macchina e andare all’ospedale dove la stavano aspettando per identificare il corpo e dare alla vedova gli effetti personali del marito.
«Resta a casa.»
«Io voglio venire, mamma, non voglio restare sola.»
Non lo voleva davvero, ma il pensiero di lasciare sua madre sola ad affrontare tutto quello che era successo non la confortava, e nemmeno stare da sola in una casa che aveva troppi ricordi felici in un momento troppo triste.
«Vai da Hayley, per favore. Lo so che vuoi venire, ma non voglio farti assistere a una cosa del genere.»
Annuì mentre la madre usciva, prese il telefono e contattò l’amica che poco dopo comparse dalla porta di casa.
Inutile dirlo, fu una notte insonne. Hayley rimase sveglia con lei abbracciandola e confortandola. Non che ci fosse molto che potesse fare per farla sentire meglio.
C’era un pensiero che continuava a rigirare nella sua testa ‘È colpa mia’, ma non lo disse a nessuno.
Credeva fosse colpa sua perché aveva chiesto al padre di non fermarsi a fare gli straordinari, ma di tornare a casa prima, lui le aveva risposto ‘Non posso’, ma sicuramente era riuscito a liberarsi e a partire prima. Se non glielo avesse chiesto, se solo fosse stata meno egoista, suo padre sarebbe stato ancora vivo.
Credette alla sua ‘versione’ per mesi, fino a che non trovò, insieme alle cose di suo padre che sua madre aveva riportato a casa, un biglietto.
 
‘Amore, lo so che preferisci gli sms, ma io sono un inguaribile romantico, lo sai. Volevo dirti che, quando ti sveglierai e troverai questo biglietto sul comodino, io me ne sarò andato, ma tornerò. Ti amo, Jennifer. Il tuo Dean.’
 
Le ci vollero un paio di minuti per realizzare quello che aveva appena letto, per realizzare che sua madre non si chiamava Jennifer, che suo padre la stava tradendo. Che era morto perché stava andando dalla sua amante. Improvvisamente Kora sentì una forma d’odio verso suo padre che mai avrebbe pensato di provare. Quest’odio venne scaricato tutto contro la madre, che non le aveva detto la verità, facendole credere, per mesi, che la colpa fosse stata sua.
Andò dalla madre con il biglietto tra le mani e le lacrime sulle guance.
«Tu lo sapevi! Tu lo sapevi e non mi hai detto niente!»
«Kora, non è il momento, che – si interruppe quando vide il biglietto – oh.»
«Beh, invece credo proprio che sia il momento. Perché non me l’hai detto?»
La ragazza parlava digrignando i denti come un lupo.
«Io.. volevo solo proteggerti.»
«Da cosa? Dal fatto che mio padre fosse uno stronzo? Dal fatto che tu te lo sia fatto scappare di mano così? Dal fatto che tu non ti sia accorta che aveva un’amante? Per mesi ho creduto che fosse stata colpa mia!»
«Dalla verità. Cosa avrei dovuto dirti? Avresti preferito ricordare tuo padre come uno stronzo o come un uomo che ti ha reso felice?»
La ragazza appallottolò il biglietto e lo lanciò alla madre mentre correndo uscì dalla stanza sbattendo la porta.
Non ne parlarono più.
 
Kora odiava come i ricordi le tornassero alla mente nei momenti più inopportuni. Si sentiva malissimo, di nuovo, sempre per lo stesso motivo. Aveva finito la prima sigaretta, ne prese un’altra. E di nuovo la paura di fidarsi di qualcuno tornò a galla.
Non mi fiderò mai più di qualcuno che non sia Hayley o mia madre, non serve aver paura, io non ho paura di niente si disse.
 
Ashton parcheggiò la Jeep vicino al bar e, assicuratosi che fosse chiusa, si diresse verso l’entrata. Kora era lì, vicino all’entrata, con una sigaretta in mano. Le passò affianco, ma non ebbe il coraggio di salutarla, e lei non lo degnò di uno sguardo, probabilmente era immersa nei suoi pensieri. Sembrava una di quelle ragazze dure, con la giacca in pelle e il trucco nero.
Entrato trovò Isaac e Hayley che chiacchieravano sorridendosi. Non lo vedeva così interessato da una ragazza da tanto tempo. Si rese conto che era passato quasi un anno e mezzo da quando aveva rotto con Iris e non era stato più lo stesso. Quasi gli dispiaceva interromperli.
«Isaac, eccoti qui.»
«Ehi, Ashton, lei è Hayley.»
La ragazza sorrise e gli porse la mano.
«E lei è Kora.» gli disse facendogli l’occhiolino di nascosto e indicando qualcuno alle sue spalle. Si voltò e vide Kora di fronte a lui.
«Io sono Ashton.» disse sorridendo.
La ragazza gli sorrise guardandolo negli occhi, ma non poteva sapere che il ragazzo capiva che quel sorriso non fosse di felicità. Nei suoi occhi vide odio, tristezza e paura.
Kora distolse lo sguardo dagli occhi di Ashton, sentendo che c’era qualcosa di diverso.
Il ragazzo se ne accorse.
«Isaac, andiamo? Devo passare dal supermercato prima di tornare a casa.»
«Va bene. Ciao Hayley, – la salutò con un sorriso e un gesto della mano – ciao Kora.»
«Ciao Isaac.» dissero entrambe.
I ragazzi si avviarono verso l’uscita.
«Ciao Ashton.» sussurrò Kora.
Forse credeva non l’avesse sentita, ma l’aveva sentita, eccome. Si voltò e le sorrise.

 
Ed ecco il quarto capitolo, questo è un po' più lungo ed è più incentrato su Kora e sulla sua storia. Spero vi piaccia.
Baci :)

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Capitolo 5
*** Glad You Came. ***


“The sun goes down, the stars come out
and all that counts is here and now.
My universe will never be the same.
I'm glad you came.”
- The Wanted, Glad You Came.

 
 
«Okay, cos’era quello?» le chiese ridacchiando Hayley.
«Niente, io l’ho solo salutato. Ma che mi dici di Isaac?» la ragazza roteò gli occhi.
«Sì, tu l’hai solo salutato e io sono solo Beyoncè. Non puoi scappare per sempre dalle emozioni, Kora.»
«Stavamo parlando di te.»
Hayley strinse la presa sul volante.
«No, io – indicò sé stessa continuando a fissare la strada – stavo parlando di te, prima del tuo patetico tentativo di cambiare discorso.»
Kora rimase in silenzio nemmeno nei tuoi sogni, Hayley, io non mi innamorerò.
Eppure quando l’aveva guardata aveva sentito una sensazione strana, come se le stesse scavando dentro. Non sapeva se trovare la cosa interessante o spaventosa.
«Sai cosa, Kora? Fai pure quello che vuoi, continua così, ma privarti delle emozioni e della fiducia verso le persone non farà sparire il dolore e la delusione che hai provato quando tuo padre è morto e non ti impedirà di soffrire ancora. – Kora la guardò sbalordita – Cosa? Credevi che non l’avessi capito che tutto questo tuo atteggiamento da dura era a causa di tuo padre?»
La ragazza continuava a non rispondere e a guardare fuori dal finestrino. Erano quasi arrivate, mancavano poco meno di cinque minuti.
«Fammi scendere.»
«Cosa?»
«Ferma questa cazzo di macchina!» Kora sentiva la propria voce alzarsi di tono, era come ascoltarsi da fuori. Voleva scendere, camminare da sola sulla strada, arrivare a casa sua, non entrare e proseguire fino al bosco, dove si sarebbe seduta su una roccia e avrebbe inciso una linea. Lo faceva sempre: ogni linea simboleggiava qualcuno che riusciva a superare la sua corazza. Oggi doveva aggiungere due linee, suo malgrado.
 
«Allora, cos’hanno visto i tuoi occhi magici?» gli occhi azzurri di Isaac lo scrutavano attentamente.
«Niente che verrò a dire a te. Però, a proposito di occhi, Hayley ti piace, non è così?»
«So di non poterti mentire, quindi.. sì, mi piace, ma io..»
Guardò l’amico, sperando che i suoi occhi leggessero quello che aveva paura di dire.
«Hai paura, Isaac. È normale, ma se credi che Hayley sia davvero una ragazza che valga davvero la pena di conoscere meglio e che potrebbe curare le tue ferite, beh, devi tentare.»
«Parli come uno psicologo. – entrambi risero – Ma hai ragione. Lei non è come tutte le altre, è intelligente, perspicace, sensibile.»
Parli come un innamorato avrebbe voluto dirgli Ashton, ma si limitò a sorridere, sapendo che la parola ‘innamorato’ riapriva vecchie ferite.
«Siamo arrivati.» annunciò Ashton indicando la casa di Isaac.
«Fantastico. Comunque grazie per prima, davvero.»
«Di niente, ci vediamo.»
Ashton parcheggiò la macchina fuori casa e portò la spesa in casa, poi uscì, dirigendosi nel bosco. Aveva voglia di stare solo, e non sapeva il perché. Sperava solo di chiarirsi le idee.
 
Hayley continuò a guidare, non fermandosi davanti a casa, ma proseguendo sulla Bear Lake Boulevard. Guidare la rilassava, in qualche modo. Accese la radio, sperando di trovare una canzone che la distraesse dalla frustrazione che provava, ma nessuna stazione prendeva in quel punto, se non quelle noiosissime stazioni di notizie. Fermò la macchina. Si rese conto di non essere molto distante da casa, e molto vicina al capanno dei cacciatori sul lago. Scese, percorse un breve sentiero nel bosco ed arrivò sulla passerella. Si tolse le scarpe e la percorse a piedi nudi fino alla fine. Quella sera era particolarmente calda, nonostante fosse novembre. Si sedette e guardò il sole tramontare sul lago, giocando con l’acqua con la punta dei piedi.
Lo schermo del suo telefono si illuminò ed emise un suono. Guardò il suo sfondo: il mare azzurro oscurato dalla scritta ‘Nuovo messaggio da Kora’. Involontariamente pensò agli occhi di Isaac. Ignorò il messaggio, mise la vibrazione e si distese sulla passerella di legno. Guardava il cielo oscurarsi lentamente e vedeva le prime stelle comparire insieme alla luna.
Sentì il telefono vibrare varie volte, ma stava così bene lì, al buio, da sola, che non voleva per niente al mondo rovinare quella pace. Stare lì l’aiutava a pensare. In qualche modo, si ritrovò a rivivere nella sua testa la scena di lei e Isaac che parlavano al bar dopo che Kora era uscita.
 
«Parlami un po’ di te.» gli chiese Hayley con quegli occhi color nocciola che brillavano ogni volta che sorrideva.
«Non c’è molto da dire, sono solo un diciottenne di Garden City che va a scuola e ha una vita normale.»
«Beh, lo stesso vale per me, a parte il fatto che io sono una ragazza.» entrambi risero.
«Il tuo ragazzo diventerebbe geloso se ci vedesse ora.» disse smettendo di ridere.
«Uh, io non ho un ragazzo.»
Il ragazzo abbassò la testa per nascondere il sorriso che era comparso sulle sue labbra.
«E tu?» i suoi occhi ritornarono sulla ragazza che stava seduta accanto a lui.
«Io cosa?»
«Tu hai una ragazza?»
Gli occhi di Isaac si rabbuiarono, come quando in una giornata serena arrivano delle nuvole inaspettate. Hayley non se ne accorse perché aveva abbassato lo sguardo.
«Uhm, no.» il nuovo tono della voce Isaac le fece alzare lo sguardo sui suoi occhi color del cielo e se ne accorse. Vide nel suo sguardo più dolore di quanto avesse immaginato dal tono della voce. Si sentì stupida e in colpa per avergli posto quella domanda.
«Scusami, io…»
«Non ti preoccupare, è passato tanto tempo.»
«Il tempo a volte non rimargina le ferite.»
 
Kora era ancora seduta sulla roccia, in mezzo al bosco, quando le prime stelle cominciavano a fare capolino; cominciava a fare buio. Se l’avesse vista sua madre le avrebbe detto che il bosco di notte era pericoloso, ma lei non aveva paura. Aveva scritto un messaggio di scuse a Hayley, sentendosi in colpa per come l’aveva trattata. Aveva pensato a quel ragazzo dagli occhi color verde/nocciola e a come si era sentita quando i loro occhi si erano incrociati. Non riusciva a scacciare il pensiero che, in qualche modo, fosse riuscito a vedere oltre il suo scudo di indifferenza e durezza. Poi pensò al sorriso che le aveva rivolto uscendo dal bar, quando lei l’aveva salutato sottovoce pensando che non l’avrebbe sentita. E invece lo aveva fatto.
Il rumore di rametti e foglie spezzati sotto il peso di qualcuno o qualcosa la risvegliò dai suoi pensieri. I suoi sensi erano all’erta, in attesa di qualche rumore. Quando sentì il rumore di altri passi si alzò dal masso e appoggiò la schiena contro il tronco di un albero. Trattenne il fiato fino a quando non vide una sagoma umana accanto a sé.
In un attimo lo immobilizzò contro un tronco tenendogli l’avambraccio sul collo.
Ma poi lo riconobbe e mollò la presa.
«Scusami, Ashton.»
«Wow, sei brava, Kora. – rise – Comunque scusami tu, non volevo spaventarti.»
«Non dovresti andare nel bosco di notte.»
«Potrei dirti la stessa cosa.»
«Io so difendermi.»
«Lo vedo. Di certo se fossi stato un assassino me la sarei vista brutta.»
Sorrise mentre lentamente si andò a sedere sul grande masso di fronte a loro. Kora lo guardava curiosa, diffidente e sorpresa.
«Comunque non ti stavo seguendo, stavo tornando a casa, poi ti ho vista e allora ho pensato di venire a salutarti.»
Sono felice che tu l’abbia fatto avrebbe voluto rispondergli.
«Oh, beh, grazie, ma io stavo andando a casa.» disse invece.
 
«Ti va di fermarti ancora un po’? – Ashton la guardò negli occhi resi scuri dalla poca luce – Voglio dire, se vuoi. Potremmo conoscerci un po’ meglio.»
«Oh, va bene.»
Sorpresa, diffidenza, sollievo.
Pensò che quella ragazza era una contraddizione vivente, ma sapeva che c’era di più, molto di più, sotto a quell’ammasso di emozioni represse e finta indifferenza.

 
Okay, mi dispiace di averci messo tanto ad aggiornare, ma questo capitolo mi ha fatto veramente penare. E' stato uno di quei capitoli che scrivi e poi cancelli interamente mille volte. Tutt'ora non sono molto felice del risultato finale, ma davvero è il meglio che ho potuto fare per questo capitolo.
Detto questo, spero vi piaccia.
Baci.

 

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Capitolo 6
*** Flatline. ***


“It’s like my heart’s bleeding
knowing that you don’t need me.”
- Justin Bieber, Flatline.
 
Isaac era seduto a terra sul terrazzo che dava sulla sua camera. Erano le tre di notte, l’aria fredda gli penetrava sotto la maglietta a maniche corte e lo faceva tremare; il muro su cui aveva appoggiato la schiena era altrettanto freddo, ma non gli importava del freddo, dei brividi, del tremore o del rumore dei suoi denti che battevano. Doveva respirare e, inoltre, era stanco di fissare il soffitto bianco della sua stanza.
Il cellulare vibrò, facendolo trasalire.
‘Un nuovo messaggio da Iris’.
Gli mancò il fiato e il cuore cominciò a battere più forte. Non sapeva se aprire il messaggio o meno. Si era reso conto che stava guarendo dalle ferite che gli aveva provocato solo grazie a persone come Ashton e.. Hayely, e ora lei ricompariva, come se lui non potesse permettersi di stare bene.
Lo aprì, anche se ogni fibra del suo corpo gli diceva di non farlo.
 
‘Ciao Isaac. Come stai? Appena leggi questo messaggio, potresti chiamarmi?’
 
No si disse il ragazzo, ma oramai aveva già composto il numero.
 
«Pronto?»
«Iris.» per lui era dura parlarle, sentire il suono della sua voce.
La ragazza rise nervosamente, e lui si ricordò di come aveva amato la sua risata, di come le faceva il solletico ogni volta per sentirla ridere.
«Come stai?»
Come vuoi che stia? Appena provo a dimenticarti tu torni e non mi permetti di essere felice. Ora dimmi, come dovrei stare?
«Bene.» evitò di chiederle come stesse lei, non voleva sentirsi dire quanto New York fosse bella, quanto stesse bene con il suo nuovo ragazzo o quanto belli fossero i suoi voti al college.
«Ti ho chiamato perché.. perché sono tornata a Garden City, sono venuta a trovare i miei e.. te, se lo vuoi. Resterò quattro giorni. Ci possiamo vedere?»
No
«Quando?»
«Puoi uscire ora? Io sono al parco.»
No
«Arrivo.»
Chiuse la telefonata, prese il giubbotto in pelle e uscì di casa cercando di non svegliare i suoi genitori. Non sapeva perché stava andando da Iris, non voleva andarci, non voleva vederla, non voleva ricominciare a stare male come il giorno in cui l’aveva lasciato, un anno e mezzo prima. O no?
 
Iris stava sorridendo, ma c’era qualcosa di diverso, quel giorno, nel suo sorriso, e Isaac lo notò.
«Ti va di dirmi cosa c’è che non va?»
Il suo sorriso si spense e guardò il ragazzo negli occhi. Entrambi, ora, avevano gli occhi lucidi.
«Isaac, io..»
«Non dirlo..»
«Domani parto per il college, per New York.»
Iris aveva due anni più di lui e aveva deciso di andare al college mentre Isaac avrebbe dovuto cominciare il penultimo anno
«È okay, possiamo affrontare questa cosa.»
«Io non ci vado da sola, Isaac.»
«Che vuoi dire? Ci vai con le tue amiche, certo, non c’è problema.»
«Non con amiche, Isaac, ci vado con un ragazzo, con..»
«Non voglio sapere il suo nome – la interruppe bruscamente, alzandosi in piedi con gli occhi pieni di lacrime – se mi devi lasciare, fallo adesso e senza tanti giri di parole.»
«Mi dispiace.» disse Iris quasi sussurrando, sbattendo le palpebre e facendo scendere delle lacrime da quegli occhi azzurri tanto simili a quelli di Isaac. Abbassò la testa e lasciò che una cascata di capelli mossi e castani le ricoprisse il viso. Non alzò la testa nemmeno quando sentì la porta sbattere, segno che Isaac se n’era andato.
 
La vide, poco prima di arrivarle davanti, seduta su una panchina. Era esattamente come se la ricordava, esattamente come l’ultima volta che l’aveva vista: con la testa china e una cascata di capelli castani a coprirle il volto.
«Iris.»
Alzò la testa e i loro occhi s’incrociarono. Da quanto tempo non si guardavano negli occhi? Da quanto tempo Isaac non guardava una sua foto?
«Isaac, ciao.» accennò un sorriso.
«Volevi vedermi per..?»
«Parlarti, e.. vederti. È tanto che, si, insomma.. mi mancavi.»
Isaac strinse le labbra fra i denti.
Non hai idea di quanto male la tua assenza mi abbia fatto, non hai idea di cosa sono diventato.
«Dimmi tutto.» cercava di mantenere un tono freddo e distante, ma non sapeva se ci stava riuscendo.
«Volevo chiederti scusa, volevo dirti che non ti ho mai dimenticato, che, anche se sono partita per New York con un altro, io non ho mai smesso di amarti.»
Ecco, quello che aveva paura di sentire, quello per cui non aveva una risposta. La sua più grande speranza e insieme la sua più grande paura. I suoi occhi cominciarono a bruciare.
«Tu pensi di tornare qui, dirmi che mi ami ancora e che ti manco per sistemare le cose? Credi che questo basti?»
La ragazza si alzò e gli poggiò una mano sul petto, sentiva il cuore di lui battere furiosamente. Lui fece un passo indietro.
«Perché non mi permetti di essere felice? Proprio quando io cominciavo a stare meglio tu ricompari e nell’arco di dieci minuti butti giù tutto quello che ho costruito in un anno.»
Ora le lacrime scendevano sul suo volto, anche Iris cominciò a piangere. Gli si avvicinò e lo abbracciò. Le braccia forti di lui si richiusero sulla ragazza.
Gli era mancata, da morire.
Gli era mancato il profumo di pesca del suo shampoo preferito, la morbidezza dei suoi capelli, il tocco delle sue mani, gli era mancata, ma tutto quello che stava succedendo era profondamente sbagliato, lo sentiva lui e lo sentiva lei; Isaac riusciva infatti a percepire la rigidità del suo corpo.
Provava ancora qualcosa per Iris, era evidente, ma provava qualcosa di nuovo e diverso anche per Hayley, e non voleva ferirla.
E ora erano le tre di notte e lui era abbracciato a quello che aveva ritenuto l’amore più grande della sua vita pensando a una ragazza che aveva conosciuto pochi giorni prima.
Non c’erano cosa giuste da fare, o feriva Iris, o feriva Hayley.
In entrambi i casi, era come ferire sé stesso.
La ragazza si allontanò da Isaac quanto bastava per guardarlo in faccia.
«Tornerai mai da me?»
 
Hayley si svegliò più presto del solito quella mattina e, nonostante fosse lunedì e in un paio d’ore avrebbe dovuto essere a scuola, era di buon umore. Decise di fare le cose con calma, di scendere e fare colazione con i suoi genitori, cosa che di solito non faceva mai, perché loro partivano per il lavoro poco prima che lei si svegliasse.
Con un sorriso a 32 denti si sedette al tavolo con la tazza di caffè tra le mani.
«Buongiorno.» salutò i suoi genitori, che ricambiarono con un sorriso e un cenno del capo.
Finita la colazione, si andò a vestire. Quel giorno era felice, e aveva deciso di farlo vedere anche da come era vestita. Optò per un vestito lungo fino al ginocchio con un motivo colorato e floreale, stretto in vita da una cintura di pelle marrone chiaro e a i piedi mise delle scarpe con tacco dello stesso colore.
Quel giorno non avrebbe permesso a nessuno di toglierle il sorriso.
Guidò fino al parcheggio della scuola e decise di aspettare Kora all’entrata. Quando la vide, fu sorpresa di vedere che non era sola, ma stava chiacchierando con Ashton, ed entrambi erano diretti verso l’ingresso. Quando furono lì, Hayley non fece commenti, ma si limitò a salutare l’amica con un abbraccio e il ragazzo con un sorriso.
«Ciao Ashton, sai dov’è Isaac?»
«No, mi dispiace. Se non lo vedi in un paio di minuti allora probabilmente non verrà.»
«Okay, grazie.»
«Io entro, a dopo.» il ragazzo sorrise a Kora e a Hayley, ricevendo a sua volta dei sorrisi come risposta.
 
«Da quando siete amici?» domandò la ragazza dagli occhi color nocciola all’amica.
«Ieri sera.»
«Cosa? Ieri sera? Vi siete visti e non mi hai detto niente?» Kora roteò gli occhi infastidita e divertita. Nel farlo notò Isaac che si avvicinava.
«Ti racconterò tutto oggi pomeriggio. Ora ti lascio sola con Isaac. A dopo.» disse sorridendo.
 
Il ragazzo camminava lentamente, sotto agli occhi delle mezzelune scure. Non accennò un sorriso quando vide Hayley. Si limitò a un ‘ciao’ detto con tono spento. Che ci fosse qualcosa che non andava era evidente.
«Ciao Isaac. Che succede?»
«Sto bene, non ti preoccupare. Ora devo andare in classe.»
«Oh, certo. Ci vediamo dopo?»
Non ebbe una risposta, e nemmeno un vero e proprio saluto. Il ragazzo continuava a camminare svogliatamente lungo il corridoio, fermandosi ogni volta che qualcuno intralciava il suo cammino.
Il sorriso che aveva stampato in faccia da quella mattina scomparve e cominciò a preoccuparsi per il ragazzo. All’improvviso si rese conto di quanto gli si fosse affezionata in così poco tempo. Certo, lei era una ragazza solare che faceva amicizia con tutti, ma aveva sempre avuto l’impressione che tutti i suoi ‘amici’ (tranne Kora, ovviamente) se la tenessero stretta per la sua intelligenza e bravura a scuola. Con Isaac era diverso. Credeva che lui ci tenesse veramente a lei, o meglio, lo credeva fino a pochi minuti prima.
Rimase ancora qualche istante a fissare il parcheggio della scuola che si svuotava piano, poi decise di entrare.
Si stampò un sorriso sul volto e tornò la ragazza solare di poco prima.

 
Ed ecco il capitolo (anche questo con un po' di ritardo, scusatemi). Questo era incentrato un po di più su Isaac e il suo passato con Iris, e solo in parte sulla nuova amicizia Kora-Ashton.
Spero vi sia piaciuto.


Iris Morgan (Danielle Campbell)


 

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Capitolo 7
*** We Were Born For This ***


“So can we go?
No left or right,
you’ll go your way and I’ll go mine.”

- Justin Bieber, We Were Born For This. 


I quattro ragazzi si incontrarono all’uscita da scuola. Gli studenti si avviavano veloci verso casa e in pochi minuti rimasero gli unici lì fuori.
Ashton osservava i suoi amici.
Hayley, sorridente e con lo sguardo perso verso il vuoto, con addosso una preoccupazione di cui non fece parola nemmeno quando Kora le chiese cosa ci fosse che non andava.
Kora, che da quando l’aveva conosciuta aveva sempre avuto quella diffidenza addosso verso qualsiasi persona che non fosse la sua amica.
E poi c’era Isaac, visibilmente preoccupato, triste, indeciso e turbato. Sembrava non dormisse da giorni. Per un attimo pensò di chiedergli cosa fosse successo, ma ci ripensò. Non voleva certamente parlarne davanti a Hayley.
Poi cercò di osservare sé stesso, cercare di capire che cosa gli stesse succedendo. Voleva guardarsi da fuori, come in un film. Cosa vedevano gli altri, quando vedevano lui? Era così facile capire cosa gli passasse per la testa o i suoi occhi erano indecifrabili per chiunque?
Chiuse gli occhi e vide un ragazzo normale, con i vestiti un po’ trasandati, sempre lo stesso stile, sempre la stessa persona; i capelli scompigliati, il sorriso sul volto nonostante tutto.
Si concentrò di più e fu come guardarsi allo specchio. Si vide mentre apriva gli occhi e vi guardò dentro.
Quante emozioni aveva nascosto perfino a sé stesso?
«Ashton, tutto okay?» la voce di Kora gli arrivò come una secchiata d’acqua fredda e aprì gli occhi, per davvero questa volta. I tre ragazzi lo osservavano, ma Isaac e Hayley erano assenti, solo Kora sembrava accorgersi di quello che succedeva realmente.
«Sì, credo che.. credo di stare bene. Ci vediamo ragazzi, io vado. – Ashton scese i gradini dell’entrata della scuola e arrivò al parcheggio per poi voltarsi verso gli altri tre – Isaac, vieni con me?»
Il ragazzo, che fino a quel momento aveva assistito alla scena senza muovere un muscolo, sembrò risvegliarsi.
«No, oggi vado da Takis.»
Dopo quelle parole si girò e cominciò a camminare verso il retro della scuola senza salutare nessuno. Ashton sapeva che mentiva, ma avrebbe potuto cercare una scusa migliore; dopotutto Takis era dalla parte opposta rispetto a quella in cui era andato.
«Ci vediamo, Isaac.» gli disse Hayley.
«Forse no.» fu la risposta del ragazzo, che non smise di camminare per un attimo e ormai si stava allontanando.
«Ragazze, vi va se sta sera andiamo a una festa in città? Parlo io con Isaac.»
«D’accordo.» rispose Kora quasi immediatamente, ma Hayley sembrava titubante.
«Digli che non ci sarò, verrà sicuramente.»
Cominciò a camminare spedita verso la macchina, ma Ashton le afferrò il polso e la fece voltare verso di sé.
«Qualsiasi cosa gli prenda, non è colpa tua. Tu gli hai fatto solo bene.»
«Il tuo amico ha uno strano modo di dimostrarlo.»
Con gli occhi lucidi ricominciò a camminare verso l’auto non appena sentì che la stretta al polso non c’era più.
Con una sgommata partì, e Kora e Ashton rimasero soli.
«Beh, allora io vado. A dopo, Kora.»
Le fece un cenno con la mano e un sorriso mentre si allontanava da lei, camminando attraverso il parcheggio vuoto.
«Aspetta, aspetta.»
Quando si voltò vide Kora che correva verso di lui. Si fermò a pochi metri da lui, sorridendo.
«Ti va di accompagnarmi fino a casa?»
 
 «Ti amo.» le disse abbracciandola.
Affondò il viso nei suoi capelli profumati mentre lei poggiava la testa nell’incavo del suo collo.
«Ti amo anche io.»
La prese in braccio e cominciò a ricoprirla di baci; sul collo, sulle guance, sulla bocca, sulle spalle. La fece distendere sul letto mentre risaliva il suo corpo perfetto lasciando dei leggeri baci ovunque i vestiti lo permettessero.
«Promettimi che non mi lascerai mai.» le sussurrò mentre la baciava.
«Mai.»
 
Si risvegliò sudato e tremante nel mezzo del bosco. Doveva essere svenuto, anche se, in realtà, non si ricordava come ci fosse arrivato fino a lì. L’ultima cosa che si ricordava era che aveva lasciato i suoi amici a scuola e si era avviato verso casa di Iris, nonostante avesse detto che andava da Takis. Si ricordò di come avesse trattato male Hayley e sentì un dolore al petto. Odiava ferire le persone, figuriamoci quelle a cui teneva.
È per il suo bene, allontanala e non soffrirà.
Poi si ricordò di quello che aveva sognato mentre era svenuto. Quella giornata non se la sarebbe mai dimenticata, nemmeno se avesse voluto. Se gli avessero fatto dimenticare tutto quello sarebbe stato l’unico ricordo che avrebbe voluto conservare. Si rese conto però che un altro ricordo avrebbe combattuto per essere ricordato. Non altrettanto intimo ma intenso, il ricordo del primo giorno in cui vide Hayley si fece strada nella sua mente, e poi quello del giorno in cui si erano incontrati in città.
“Il tempo a volte non rimargina le ferite.” aveva detto Hayley.
Ma a volte ci sono persone che ti fanno dimenticare di averle pensò.
Prese il telefono e compose il numero di Iris.
«Isaac?»
«Iris, devo parlarti.»
«Hai preso una decisione?»
«Sì.»
 
«Grazie per avermi accompagnata.» accennò un piccolo sorriso mentre salutava Ashton.
«Di niente, non abito molto lontano, comunque.»
«Beh, Garden City è piccola. Ci vediamo sta sera, quindi.»
«Senti, se per caso né Hayley né Isaac venissero, ti andrebbe di venirci comunque? Con me?»
La sua espressione di sorpresa non riuscì a nascondere quello che Ashton poteva vedere nei suoi occhi: diffidenza, felicità e paura. La diffidenza era sempre presente nelle sue emozioni, lo già aveva notato, Ashton, ma questa volta era più accentuata, come se dalla sua risposta dipendesse la sua ‘salvezza’.
«D’accordo. – prese il telefono dalla tasca – Dammi il tuo numero, così posso dirti se Hayley viene o no.»
Ashton abbassò la testa per nascondere il sorriso che si era creato sul suo volto e le dettò il suo numero, poco dopo sentì il suo cellulare squillare una sola volta.
«Così adesso anche tu hai il mio numero.»
Guardò Kora e la vide sorridere e arrossire leggermente. Pensò che non c’era una ragazza più bella di lei. Sentì il cuore battere più forte del normale e la voglia di baciarla crebbe dentro di lui, ma non poteva farlo, lo sapeva. Se solo ci avesse provato lei si sarebbe chiusa e allontanata: l’avrebbe persa. Si limitò a guardarla arrossire e sorridere, gli bastava vedere che comunque era felice.
«Sai, Ashton, mi dispiace non averti mai parlato a scuola, né a te né a Isaac.»
«Sono felice che tu lo abbia fatto adesso.»
 
«No, Kora, non ci verrò.» quello era il suo tono non-ammetto-repliche, Kora lo sapeva, così non insistette ulteriormente.
«Non preoccuparti per Isaac, avrà avuto soltanto una giornata storta.»
«Sì, hai ragione, ma..»
«Ma?»
«I suoi occhi. Erano.. Dio, non te lo so spiegare, ma sento come se fosse molto di più di una giornata storta, Kora, e non riesco a togliermi questa sensazione di dosso.»
Hayley non la guardava negli occhi mentre parlava, continuava a giocherellare con le punte dei suoi perfetti capelli colore biondo fragola.
«Bene, allora vieni alla festa e parli con Isaac, perché io così non posso vederti. Non m’interessa se non ne hai voglia. – detto questo si alzò e si diresse verso la porta – Ci vediamo sta sera.»
«Kora!»
Non ebbe una risposta: era già uscita.
Sì lasciò cadere sul divano e cominciò a pensare a cosa avrebbe potuto dire a Isaac.
 
Gli suonò il cellulare proprio quando stava per bussare alla porta di casa di Iris: era Ashton.
«Dimmi.»
«Sta sera vieni alla festa al Wolfbane?»
«In città?»
«Sì, vengono anche Kora e.. Hayley, forse. Sai, dopo che l’hai trattata così mi ha detto di dirti che lei non sarebbe venuta così tu saresti andato. Non so cosa ti stia succedendo, Isaac, ma non mandare tutto a puttane con Hayley, ci tiene veramente tanto a te.»
Isaac fece una pausa. Non sapeva bene cosa rispondere, non sapeva nemmeno cosa pensare; il solo pensiero di Hayley lo agitava. Sapeva di essere stato uno stronzo, lo sapeva bene. Odiava ferire le persone.
«Ci vediamo là alle dieci.»
Non aspettò un saluto o altro, si limitò a chiudere la telefonata. Rimise il cellulare in tasca e bussò alla porta. Aspettò finché non sentì dei passi all’interno che si avvicinavano; la porta si aprì e si trovò Iris davanti, la quale non perse tempo in saluti e si lanciò su di lui in un abbraccio stritolante.
«Ho preso la mia decisione, Iris.»
Lei sorrise e, scioltasi dall’abbraccio gli carezzò una guancia.
«Lo so.»

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Capitolo 8
*** Photograph. ***


“And if you hurt me,
well, that's ok baby, only words bleed.
Inside these pages you just hold me
and I won't ever let you go.”

- Ed Sheeran, Photograph.

La musica ad alto volume che fuoriusciva dalle casse del Wolfbane faceva tremare tutte le ossa di Kora, che non riusciva a concentrarsi su Hayley e Isaac che parlavano in un angolo del locale. Poi rinunciò e cercò Ashton con lo sguardo. Non riuscendo a trovarlo si gettò tra la mischia nella pista da ballo. La cosa affascinante di quel locale (in cui lei non era mai stata) era che all’entrata ti veniva dato un braccialetto che cambiava colore in base allo stato d’animo (come quelle collane che da piccola trovava nelle riviste che comprava solo per quel motivo), e poi le  pareti del locale si coloravano del colore che rappresentava l’emozione della maggior parte dei presenti.
All’entrata c’era una legenda, ma Kora credeva che la maggior parte dei presenti non ci facesse nemmeno caso; troppo ubriachi o fatti perfino per pensare.
 
Verde: felicità.
Blu: tristezza.
Fucsia: euforia.
Viola: eccitazione.
Giallo: paura.
Rosso: rabbia.
Arancione: confusione.
 
Inutile dirlo, le pareti del locale erano quasi sempre fucsia o viola. Il braccialetto di Kora era diventato verde: era felice. Certo non era certa di quanto fosse precisa quella cosa ma si impose di non pensarci troppo e divertirsi. Eppure una piccola parte del suo cervello le imponeva di trovare Ashton.
Poco dopo era all’esterno del locale a cercare il ragazzo, che poteva essere uscito per prendere una boccata d’aria. Dopo aver fatto il giro del locale lo trovò seduto sul marciapiede freddo del retro del locale. Il suo braccialetto era coperto dalla manica della sua giacca, quindi Kora non poté capire subito cosa avesse, ma notare la giacca le fece ricordare del freddo che le stava pungendo la pelle nuda delle gambe e delle braccia, lasciate scoperte dal tubino nero che aveva deciso di mettersi. Prima di uscire dal locale non aveva pensato di prendere la giacca, dato che aveva pensato di trovare il ragazzo letteralmente fuori dalla soglia.
«Non sembra che tu ti stia divertendo molto.» gli disse sedendosi accanto a lui. Il contatto con il cemento la fece rabbrividire, ma non lo diede a vedere.
«Sono uscito solo per prendere una boccata d’aria, tu che ci fai qui?»
Ti stavo cercando.
«Aria, avevo bisogno di aria.»
 
Con Isaac, alla fine, non aveva risolto granché. Quando avevano parlato e lei gli aveva chiesto cosa ci fosse che non andava lui aveva risposto che “non era un bel periodo”, liquidando la cosa con cinque parole. Poi si era scusato per il suo comportamento, per averla ferita.
Poi lui le aveva chiesto di ballare, così si erano immersi in quel mare di gente, tenendosi per mano. Era stato lui a prenderle la mano, ma lei non aveva protestato, anzi, era una sensazione piacevole.
Hayley continuò a ballare, pensando alla conversazione che avevano avuto.
 
«Hayley,sono un ragazzo strano, lo so. Scusami, per tutto. So che non ti ho trattato come avrei dovuto, so di aver commesso degli errori con te, mentre tu, con me, non ne hai fatti. Dio, sei così perfetta, e bella, e io non merito una persona come te.»
Lei aveva sorriso ed era arrossita.
«Vuoi dirmi che ti succede?»
«Un brutto periodo, tutto qui.»
«Sappi che quando ne vorrai parlare, io ci sarò.»
«Lo so, tu ci sei sempre, spero solo di non deluderti.»
 
Il suo braccialetto era arancione, quello di Isaac blu.
Continuarono a ballare per un po’, poi Isaac andò a prenderle qualcosa da bere.
«Io prendo una birra, tu vuoi qualcosa?»
«Io un Martini, grazie.»
 
Ashton si girò leggermente verso di lei per poterla guardare negli occhi, ma lei non poteva sapere che lui poteva capire quando qualcuno mentiva. Lo aveva notato negli anni, infatti, che c’era un mix di emozioni che erano presenti negli occhi di chi mentiva. Capì che non era perché aveva bisogno di aria che era uscita.
«Hai freddo?»
«No.»
Si tolse la giacca e gliela appoggiò delicatamente sulle spalle.
Gli sembrò di averla vista arrossire, ma non ne era sicuro, era buio e l’unica luce era quella che proveniva dalla strada principale e quella della luna.
«Non devi per forza fingere, con me.»
Kora si voltò sorpresa verso di lui.
«Okay, magari avevo un po’ di freddo ma..»
Alcuni fiocchi bianchi cominciarono a scendere leggeri dal cielo, come piccoli pezzi di nuvole pensò Ashton.
«Non intendevo questo.»
«Che vuoi dire?» aveva parlato così piano che Ashton aveva fatto fatica a sentirla, nonostante fossero a meno di un metro di distanza.
«Quello che ho detto. – non ottenendo nessuna risposta, continuò a parlare, pur sapendo che ogni parola andava misurata perché altrimenti rischiava di perderla – Kora, voglio dire che io lo vedo quando nascondi le tue paure e le tue insicurezze, le tue delusioni e le tue emozioni. Lo vedo ogni volta che mi guardi, io vedo la vera te ogni volta che mi guardi, e mi piace. Non devi fingere, puoi fidarti di me, io sono tuo amico. E non so cosa ti abbia portato a essere così diffidente vero chiunque dimostri interesse verso di te, ma qualunque cosa sia, io ti prometto che non ti abbandonerò. La tua fiducia non andrà sprecata.»
Kora fece una lunga pausa in cui appoggiò la testa sulla spalla di Ashton che non sapeva se avvolgerla con il suo braccio o meno. Quando sentii la maglietta inumidirsi capii che stava piangendo, allora non disse niente e l’abbracciò. Lei singhiozzò più forte, e per un paio di minuti rimasero così, poi disse: «Ti ferirò, Ashton.»
«Io resterò comunque.»
Nessuno dei due parlò per una decina di minuti, Ashton guardava i fiocchi cadere, pensando a quello che era appena successo, a Kora, e al fatto che avrebbe mantenuto la sua promessa: non l’avrebbe abbandonata mai.
Kora invece guardava Ashton, appoggiata alla sua spalla lo osservava mentre lui osservava la neve. Lo trovò bellissimo. Le lacrime le si erano seccate sul viso, e lei si ritrovò a pensare come ha fatto a capire tutto?
Si disse anche che glielo avrebbe chiesto, un giorno. Quel momento era così bello che per niente al mondo lo avrebbe rovinato con una domanda del genere.
Certo, del fatto che Ashton fosse una persona speciale se n’era accorta il primo giorno in cui si erano visti da Joe’s, ma non pensava che lo fosse così tanto.
Lei lo considerava “il primo giorno in cui si erano visti” perché a scuola non l’aveva mai nemmeno guardato negli occhi, e se n’era pentita.
Sapeva di aver trovato un buon amico, una bella persona, e non voleva ferirlo in nessun modo, ma sapeva per esperienza che sarebbe successo, un giorno. Sapeva che un giorno lo avrebbe ferito, e il solo pensiero la fece star male. Era come se fosse nel suo modo di essere, ferire le persone.
Pensieri negativi si fecero strada nella sua testa, ricordi confusi di un padre fantastico che si era rivelato uno stronzo, e senza volerlo si ritrovò in un flashback.
 
«Più in alto, papà!» urlava Kora dondolando sull’altalena del parco giochi vicino a casa. Sentiva le mani forti del padre sulla schiena che la spingevano a ritmo regolare.
«Fino alle stelle, piccolina!» urlava in risposta il padre.
La risata della bambina e quella del padre si mischiavano creando un suono che riempiva di felicità la madre che, seduta su una panchina, li guardava.
 
Una lacrima scese dal volto della ragazza, bagnando la maglia di Ashton che, essendosene accorto si girò allarmato verso di lei.
Non chiese se andava tutto bene, perché era ovvio che non andava bene, non chiese se c’era qualcosa che potesse fare, non chiese perché stesse piangendo (e questo piacque molto a Kora), ma si limitò a stringerla a sé, con un braccio attorno alle spalle e una mano che le carezzava delicatamente i capelli e spingeva piano la sua testa contro il suo petto.
 
Isaac andò al bar e ordinò da bere. Stava per prendere i bicchieri e andarsene quando sentì una voce familiare sussurrargli all’orecchio.
«Da quando ti piace il Martini?»
«Non è per me, Iris.»
«Oh, no, è vero. Sei in dolce compagnia. Quella ragazza è davvero molto bella, li vorrei io i suoi capelli.»
La sua voce melensa infastidiva Isaac che era intento a mantenere la calma. Si girò verso di lei e lei lo abbracciò senza preavviso. Cominciò a strusciarsi su di lui a ritmo di musica.
«Non ti manco?»
«Vattene, Iris.»
«Questo è un luogo pubblico, posso starci quanto voglio.»
«Okay allora, stai qui, balla, fai quel cazzo che vuoi, ma non venire a infastidire né me né Hayley.»
Detto questo prese i drink e tornò da Hayley.
 
Dopo aver bevuto Hayley decise di tornare in pista, insieme, ovviamente, ad Isaac. Dopo un po’, però, cominciò a sentirsi male: le girava la testa e le faceva male, anche lo stomaco aveva cominciato a contorcersi. Stava a malapena in piedi.
«Sto male, per favore, usciamo un attimo.»
«Certo.»
Uscirono insieme e Isaac le evitò di cadere prendendola al volo. Lei si piegò e vomitò a terra. Lui le raccolse i capelli in una coda. Vomitò di nuovo.
«Dio, scusami.»
«Chiamo Ashton e Kora e andiamo a casa, okay?»
Un dolore lancinante le penetrò le budella e urlò; si piegò sulle ginocchia e si bagnò a contatto con l’asfalto bagnato.
«Forse è meglio se ti porto da un dottore.»
«No, io..» lasciò la frase incompiuta perché si piegò di nuovo su sé stessa per vomitare e urlare dal dolore.
«Che cosa le hai fatto?» sentì la voce di Kora ancora prima di vederla.
«Niente, abbiamo bevuto, poi ballato e poi si è sentita male e allora l’ho portata fuori e..»
La ragazza era accanto all’amica, e Isaac veniva raggiunto da Ashton.
«Che è successo?»
Kora non gli diede il tempo di rispondere.
«È evidente che il tuo amico ha drogato Hayley.»
«Non l’ho drogata!»
«Chiamate una cazzo di ambulanza.» Ashton prese il telefono e si allontanò per parlare con l’ospedale.
«Ragazzi, sto bene, devo solo dormire un po’, sono molto stanca.» la sua voce era debole.
«No, non addormentarti, adesso ti portiamo in ospedale, starai meglio.»

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Capitolo 9
*** Echo. ***


“Sometimes when I close my eyes
I pretend I’m alright,
but it’s never enough.”

- Jason Walker, Echo.
 

Kora odiava gli ospedali; riusciva a sentire l’odore della paura, della tristezza, della morte, in quei posti, nonostante le tonnellate di disinfettante che usavano ogni giorno. Odiava le pareti bianche e il pavimento grigio. Tutto così spoglio, tutto troppo vero. Era come se la sofferenza delle persone si materializzasse e andasse a creare uno stato d’angoscia in tutti quelli che ci entravano, o almeno era così che si sentiva Kora. Grazie a Dio, lei non aveva mai avuto una salute cagionevole o incidenti, quindi non era mai entrata come paziente, ma ci era entrata come visitatore, e vedere una persona a cui tieni stare così male da dover andare all’ospedale era probabilmente una delle peggiori sensazioni che una persona potesse provare.
Hayley era stata portata in terapia intensiva: questo significava niente visite, a meno che non fossi un familiare, cosa che Kora, ovviamente non era. Amber e Thomas, i genitori di Hayley, erano già all’interno con la loro figlia, che non aveva ancora ripreso conoscenza.
Kora era seduta su una di quelle scomodissime sedie in plastica dura nella sala d’attesa. I medici le avevano detto che non poteva andare oltre. Isaac era seduto a terra con le mani tra i capelli; i genitori di Hayley non sapevano nulla, e la stessa Kora aveva cominciato a dubitare del fatto che fosse stato lui a drogarla.
Ashton si era seduto vicino a lei e le carezzava la schiena mentre lei si stringeva nella sua giacca.
Si sentiva male anche per Isaac. Vederlo così era dura, perfino per lei.
«Ashton, portalo a casa. Vi chiamo io quando ho notizie. Voi andate, non gli fa bene stare qui.» gli sussurrò in modo da non farsi sentire dal diretto interessato.
«Certo, forse è meglio, magari lo porto a casa e poi torno qui a farti compagnia.»
«No, ascolta, è meglio se vai. Non è che non ti voglia qui, è solo che..»
«Tranquilla, ho capito. Scrivimi quando sai qualcosa.»
«Certo e, Ashton, mi faresti un piccolo favore? Ho dimenticato la giacca al Wolfbane, non è che l’andresti a prendere, tieni la tua..» cominciò a sfilarsi la giacca di Ashton, riluttante. Avrebbe voluto tenerla ancora.
«Tienila, me la torni domani, e io ti porto la tua, okay?»
«Okay.»
Il ragazzo le sorrise e si diresse verso Isaac.
«Andiamo, Isaac.»
«Io voglio restare, voglio.. è tutta colpa mia.»
«Ma che dici? Non è colpa tua. Andiamo, Kora ci chiamerà appena avrà notizie.»
Kora vide Ashton tendere una mano verso l’amico, che l’afferrò. Quando fu in piedi poté osservarlo meglio: aveva il volto arrossato, come i suoi occhi del resto, gli tremavano le mani e aveva i capelli arruffati. Stava visibilmente male per Hayley, se fosse stato lui a drogarla di certo non starebbe così.
Poi Isaac sussurrò qualcosa, un nome, che Kora non riuscì ad afferrare, i ragazzi si abbracciarono e poi uscirono.
 
«Iris? Quella Iris?»
Ashton si chiuse la portiera alle spalle e fissò l’amico.
«Sì, quella.»
«Era per questo che stavi così, non è vero? Per lei.»
«Sì, ma.. È colpa mia, Ashton, quello che è successo a Hayley è colpa mia, e non mi perdonerò mai.»
«Vuoi dire che tu l’hai drogata?»
«No, ma è una storia lunga.»
«Ti sembra il momento? Non mi interessa se la storia è lunga o corta o imbarazzante o stupida, dimmi cosa è successo.»
«Okay, la farò più breve possibile.»
Ashton avviò il motore della sua Jeep e cominciò a guidare verso il locale. Guardò l’ora: 2:34 am.
Isaac cominciò a raccontare.
«Due giorni fa Iris mi ha contattato per dirmi che era tornata, che si fermava quattro giorni, che aveva delle cose da dirmi e che mi voleva vedere, così sono andato al parco nel momento stesso in cui mi ha detto dov’era mi ero già avviato. L’ho incontrata e mi ha detto che non aveva mai smesso di amarmi e che gli ero mancato e mi ha abbracciato e.. – Ashton sentiva il dolore nella sua voce, ma non lo interruppe – e mi ha chiesto: “Tornerai mai da me?”. Io le ho detto che avevo bisogno di pensarci. Ieri a scuola ho trattato male Hayley perché stavo pensando seriamente di tornare da Iris, volevo allontanarla da me prima che le cose diventassero troppo serie tra noi due. Non m’importava se io stavo male, m’importava di lei. Dopo scuola, quando ho detto che andavo da Taki’s ero diretto, invece, da Iris. Poi non lo so, ho avuto un flashback, devo essere svenuto, e mi sono risvegliato nel bosco. Poi ho capito che stavo facendo la scelta sbagliata. Sono andato da Iris e le ho detto che non volevo tornare con lei, che non l’avevo scelta. E poi..»
Si bloccò, quasi non volesse continuare. Ashton continuava a guidare pensando a quale potesse essere il seguito di quella strana storia in cui si trovavano. Fissava la luce pallida che i lampioni emettevano sulla strada. Sotto quella luce i fiocchi di neve sembravano molto più numerosi. Improvvisamente pensò a Kora, al modo in cui i fiocchi di neve cadevano sui suoi capelli e tra le sue ciglia.
«E poi?» lo incoraggiò. Per quanto male gli facesse, e per quanto male facesse ad Ashton vederlo così, voleva, doveva, sapere perché lui si incolpasse di quello che era successo.
«Poi siamo andati al Wolfbane, io e Hayley abbiamo parlato e ballato, poi sono andato a prenderle da bere e Iris si è avvicinata a me, mi ha fatto delle domande su quello che bevevo, ha accennato a Hayley, ha cominciato a strusciarsi su di me, chiedendomi se mi mancava, mi ha abbracciato e..»
«E? Diamine, Isaac, finisci la frase!»
«E credo che quello sia stato il momento in cui ha drogato il drink.»
«Sei sicuro di quello che stai dicendo? È tentato omicidio, è grave e..»
Il ragazzo non rispose, e rimasero in silenzio fino a che Ashton non scese a prendere il giubbotto di Kora. Quando tornò di Isaac non c’era traccia. O meglio, solo una scia di impronte sui pochi centimetri di neve che erano caduti quella sera. Li seguii. Questa volta, per quanto male stesse, e, ovviamente, stava molto male, non poteva permettergli di mettersi in pericolo, fare cose come passare giorni nel bosco d’inverno o girovagare in mezzo alle strade.
Era una specie di contratto non scritto, quello tra loro: erano come fratelli e avrebbero fatto qualsiasi cosa per l’altro. L’uno doveva proteggere l’altro quando questo non era in grado di farlo da solo.
Quello era uno di quei momenti.
 
Kora aveva deciso di evitare le scomodissime sedie e si era seduta a terra, aspettando notizie confortanti. Hayley era la persona più importante della sua vita, dopo sua madre, e l’idea di perderla non era contemplata.
Si toccò il collo e si ricordò della collanina che stava indossando. Gliel’aveva regalata proprio la sua amica. Era un filo d’argento con un ciondolo molto particolare. Era una ‘gabbia rotonda’ fatta d’argento che racchiudeva una piccola pallina verde. Quando veniva scossa produceva un rumore simile a dei campanellini. Si chiamava “Chiama Angeli”, le aveva detto Hayley. La storia diceva che, ogni volta che scuotevi il ciondolo il tuo angelo custode veniva ad aiutarti, se ce n’era bisogno.
Prese il ciondolo con due dita e lo scosse leggermente. In quel momento c’era veramente bisogno di un angelo.
 
Kora aveva cinque anni quando andò per la prima volta nel bosco da sola. Non aveva paura, non ne aveva mai. Era scappata di casa mentre il padre era al lavoro e la madre impegnata a preparare la cena. Probabilmente i suoi genitori si sarebbero infuriati se l’avessero scoperto. Seguì per un centinaio di metri un sentiero che poi, però, non era più distinguibile dal resto della vegetazione. Lei continuò a camminare, fiduciosa nel suo senso dell’orientamento e affascinata da quello che aveva davanti, dietro, sopra e sotto.
Il terreno ricoperto di aghi di pino e abete aveva quel colore marrone tipico di quel periodo. In alto le chiome degli alberi lasciavano intravedere il cielo che cominciava a scurirsi. Davanti e dietro di lei una distesa d’alberi. Già da piccola era affascinata dalle foreste, totalmente rapita da quello che vedeva e da quello che sentiva. Riusciva a sentire il vento che muoveva i rami più alti degli alberi, lo scricchiolio dei rametti spezzati sotto al peso di qualche scoiattolo, sentiva il battere d’ali degli uccelli che volavano sopra al bosco.
Cercò per un po’ di tempo la strada di casa, troppo sicura del suo senso dell’orientamento per ammettere di essersi persa. Aveva bisogno di sicurezze, in quel momento, e l’unica sicurezza che aveva era la sua famiglia, che non sapeva nemmeno dov’era. Cominciò a piangere ma poi sentì una voce familiare, quella di suo padre, che chiamava il suo nome. Poi, dopo averla trovata ed abbracciata, le sussurrò poche parole.
«Sapevo che saresti stata qui.»
Tornando verso casa, Kora scoprì di non essersi allontanata di molto dal sentiero, soltanto una ventina di metri.
 
Dopo un’ora e mezza di attesa (in cui più di un’infermiera passò a chiederle se stesse bene) i genitori di Hayley uscirono dalla stanza dov’erano entrati. Erano insieme a un medico. Kora si alzò di scatto, cosa che le provocò un giramento di testa non indifferente, e si diresse lentamente, e una volta passate le vertigini più velocemente, verso di loro.
«Amber, Thomas, come sta Hayley?»
Amber l’abbracciò. Entrambi erano visibilmente sconvolti, più pallidi di quanto ricordasse, ma forse era solo la luce al neon dell’ospedale. Abbracciò anche Thomas, che era stato come un padre per lei, da quando il suo se n’era andato. Poi fissò il dottore, che cominciò a dire una serie di termini tecnici che Kora non comprese.
«In parole povere cosa vorrebbe dire, dottor Smith?»
Sapeva il suo nome perché lo aveva letto sul cartellino che aveva sul camice. Si chiama come il mio professore di storia, pensò.
«Oh, scusami. In pratica ho detto che la tua amica è stabile, anche se quella droga ha provocato dei danni al suo cervello. Non gravi, ma comunque danni. Non sappiamo quando si risveglierà.»
«Ma si risveglierà, non è vero? – il dottore non rispondeva, continuava a rileggere la cartella clinica di qualcuno, probabilmente di Hayley, senza dare risposte – Non è vero?»
A quel punto il dottor Smith alzò lo sguardo su di lei, evitando quello dei genitori che probabilmente sapevano già cosa stava per dire. Thomas e Amber avevano entrambi una mano sulle spalle di Kora, che cominciò a scuotere la testa.
«La prego, mi dica che..»
«Non lo sappiamo, per ora le probabilità che si risvegli sono circa del 45%, ma dovrebbero alzarsi con il passare di alcuni giorni. Se però passa troppo tempo…»
Non aveva bisogno di finire la frase, quindi la lasciò in sospeso, scusandosi con lo sguardo per la notizia che aveva appena dato. Era come un masso di trecento chili, e Kora li aveva ricevuti addosso tutti insieme, e senza preavviso. All’improvviso si sentì di nuovo come quella bambina di cinque anni bisognosa di sicurezze e cominciò a piangere. L’ipotesi peggiore cominciò farsi strada nella sua testa.
E se non si svegliasse più?

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Capitolo 10
*** Autumn Leaves. ***


“And hush now,
close your eyes before the sleep.
And you're miles away
and yesterday you were here with me.”

- Ed Sheeran, Autumn Leaves. 


Alla fine Ashton trovò Isaac. Lo trovò seduto a terra sulla neve fresca, con la schiena schiacciata al muro di un edificio.
«Va’ via, Ashton.»
Un telefono squillò, segno che era arrivato un messaggio.
«È Kora.»
Isaac alzò gli occhi verso l’amico.
«È stabile, ma ancora incosciente. Ha il 45% di possibilità di svegliarsi nei prossimi giorni, ma se passa troppo tempo potrebbe..»
«La mia Hayley…» sussurrò Isaac prima di chinarsi sulle sue ginocchia e lasciare che le lacrime rigassero il suo volto.
Era la prima volta dopo Iris che si riferiva a una ragazza dicendo ‘la mia’.
Ashton si sedette accanto a lui, cercando di confortarlo il più possibile, lasciando anche lui che qualche lacrima scappasse dai suoi occhi.
«Andiamo a casa.»
 
Kora restò tutta la notte in ospedale, nonostante Amber e Thomas le avessero ripetuto più volte che poteva andare a casa. Verso le nove andò a prendersi un caffè al bar; evitò le brioches perché si sentiva ancora lo stomaco chiuso. Tornando indietro passò davanti a uno specchio e si guardò: aveva trucco sbavato, occhiaie, occhi gonfi e i capelli erano ovunque tranne che al loro posto. Non che tutto questo avesse una qualche importanza.
Trovò il dottor Smith nel corridoio e si fiondò da lui.
«Dottore, crede che possa entrare da Hayley?»
Il dottore rimase un attimo in silenzio, probabilmente pensando a chi fosse Hayley, dato il numero di pazienti che aveva non lo si poteva biasimare se non si ricordasse i nomi di tutti. Poi i suoi occhi fecero un guizzo.
«Oh, la ragazza con i capelli arancioni di ieri sera?»
Sono biondo fragola, non arancioni avrebbe voluto correggerlo, perché sapeva che la sua amica odiava quando si faceva confusione tra le due tonalità e ci teneva a specificarlo, ma non disse nulla, si limitò ad annuire.
«Mi dispiace, ma non può ricevere visite se non dai familiari.»
Ma noi siamo come sorelle.
«Oh, d’accordo.»
Kora si girò e cominciò a camminare verso le sedie su cui aveva dormito quella notte.
«Signorina, aspetti – Kora si voltò di nuovo verso il dottore – forse tra un paio di giorni o domani posso fare in modo che lei e magari qualche altro amico intimo della ragazza possa entrare per cinque minuti.»
«Davvero?»
Il dottore annuì e Kora sorrise. Poi ognuno per la sua strada.
Bevve il caffè e cercò Thomas e Amber. Li trovò fuori dalla porta di Hayley, Amber addormentata sul grembo del marito che le carezzava dolcemente i capelli. Appena la vide le sorrise, ma era un sorriso triste.
«Io vado un attimo a casa a farmi una doccia e a cambiarmi, poi torno. Potresti prestarmi le chiavi dell’auto?» sussurrò per non svegliare la donna che probabilmente si era appena addormentata. Lui annuì e le porse le chiavi.
«Stai a casa e riposati, poi mi riporterai le chiavi quando starai bene e sarai riposata.»
Kora annuì, ma sapeva che sarebbe tornata il prima possibile. Uscendo incontrò Ashton.
«Ehi, ciao.» le disse.
«Ciao» gli rispose e lo abbracciò.
 
Il ragazzo, richiudendo le braccia su di lei e stringendola, si accorse che indossava ancora la sua giacca. Kora era più bassa di lui, quindi riusciva a nascondere la testa sul suo petto. Sentiva le mani di lei stringere la sua felpa, come si fa quando bisogna aggrapparsi a qualcosa. Il suo respiro era irregolare ed era ovvio che si stava sforzando di non piangere.
«Come sta?»
«Stabile.»
«E tu come stai?»
«Normale. Isaac?»
«Si incolpa di quello che è successo, ma non l’ha drogata lui.»
Ashton aveva portato Isaac a casa sua ed era rimasto con lui fino a quando non si era addormentato, un’ora prima.
«Lo so. E tu, come stai?»
«Normale. Stavi andando a casa?»
Lei annuì debolmente e mostrò le chiavi della BMW dei genitori di Hayley.
«Vuoi che ti accompagno? Voglio dire, sarai stanca, non puoi guidare così, e poi devo darti la giacca.»
Non le disse che nemmeno lui aveva chiuso occhio, non le disse che aveva così tanti pensieri in testa che dormire era l’ultimo della lista. Non le disse nulla perché lei stava male e non aveva bisogno di altri motivi per dover trattenere le lacrime.
«Va bene.»
Mentre guidava Ashton ripensò all’abbraccio che gli aveva dato quando si erano visti, al modo in cui si era aggrappata a lui quasi come se potesse salvarla, in qualche modo. Era sicuro di aver fatto una crepa nella sua armatura, e ne era felice. Era felice di poter parlare con lei, di poterla abbracciare, confortare, di poterla vedere mentre ride, mentre parla, di poter essere suo amico. Certo, non poteva negare che i sentimenti che provava per lei non erano svaniti, anzi si erano intensificati, ma non poteva dirle quello che provava, altrimenti lei sistemerebbe la sua armatura e lo lascerebbe fuori. La perderebbe e non potrebbe sopportarlo.
Per ora va bene così, posso essere suo amico pensò.
E poteva esserlo davvero, se era questo che lei voleva. Poteva esserlo per lei, poteva essere tutto per lei.
«Siamo arrivati.» annunciò il ragazzo senza troppo entusiasmo.
«Vuoi entrare? Non ci metterò molto.»
«Oh, se non è un problema.»
Kora uscì dall’auto, così non vide il sorriso che si era creato sul suo volto del ragazzo, nemmeno lui però s’accorse che lei stava sorridendo. Uscì anche lui e insieme entrarono in casa. Non c’era nessuno tranne loro due.
«I tuoi genitori lavorano?»
«Oh, mia madre si, adesso dovrebbe essere al supermarket, lavora lì. Mio padre è morto due anni fa.» il suo tono si era indurito e evitava il suo sguardo.
«Scusami, io non lo sapevo.»
La guardò e nei suoi occhi vide così tanto dolore che si sentì mancare il fiato.
Uno dei problemi della sua abilità di leggere le emozioni delle persone (o forse era un problema unicamente suo) era che se vedeva del dolore nelle persona lo faceva suo in qualche modo e ci stava male anche lui.
Era empatico, era questo il problema.
«Non ti preoccupare, è successo tempo fa.»
«Scusami, non avrei dovuto chiedere niente.»
«Non è colpa tua, come potevi saperlo?»
Lei gli sorrise come a dire ‘va tutto bene’.
Lui sorrise in risposta come a dire‘lo so che non va bene’.
 
Riusciva a sentire tutto intorno a lei ma non riusciva a muovere in muscolo, non riusciva ad aprire gli occhi, non riusciva a parlare. Sentiva quando sua madre le stringeva la mano, quando suo padre le baciava la fronte. Li sentiva parlare, dire che era una ragazza forte e che si sarebbe svegliata, ma lei era già sveglia, solo che non c’era un modo per farglielo capire. Semplicemente non si poteva muovere. Era come se stesse dormendo ma potesse comunque sapere che cosa succedeva intorno a lei. Avrebbe così tante domande da fare, tante cose che vorrebbe sapere. Ad esempio da quanto sta così, se Kora e Ashton sono lì fuori, se c’è Isaac.
Ma non le era permesso chiedere, non le era permesso muoversi.
 
«Voglio vedere Hayley Blake.»
«Non può. Deve avere l’autorizzazione del medico che la segue, il dottor Smith.» l’infermiera usava un tono seccato con lui, quasi fosse suo il problema.
«Mi faccia parlare con lui allora.»
«D’accordo.»
Un uomo si avvicinò a loro dopo pochi minuti. Isaac fece di tutto per convincerlo a farlo entrare solo per tre minuti. Lui non voleva cedere, ma dopo un po’ si ammorbidì.
«Ti do due minuti.» gli sorrise e lo lasciò entrare.
Il corpo di Hayley, coperto di tubi e da un lenzuolo bianco giaceva su un letto al centro della stanza scura.
Non era sicuro di cosa stava facendo, ma si sedette sul bordo del letto e le strinse una mano.
«Ciao, Hayley, sono io, Isaac. Non so se puoi sentirmi, ma io voglio parlarti. Senti, mi dispiace tantissimo per quello che ti è successo, è solo colpa mia, e io non dovrei nemmeno essere qui e se mi scoprono.. Dio, sono una mina vagante, creo solo problemi. Io voglio dirti tutto quello che sento di dover dirti perché è meglio per te se io… – sospirò – me ne devo andare. Non faccio bene a te né ad Ashton né a nessuno. Tutti quelli che mi vogliono bene restano feriti e io non ho mai voluto tutto questo. Ti prego, combatti per svegliarti, poi torna a scuola e dimostra a tutti che non sei solo una bella ragazza, ma sei anche più intelligente di tutti loro messi insieme. – gli sfuggì una risata triste – Dio, sei così bella anche quando stai male. È strano pensare che fino a ieri eri qui con me, e potevo guardarti ridere e oggi è come se fossi a miglia di distanza.
Fece una lunga pausa in cui le carezzò la mano e si asciugò le lacrime.
«Non so se mi senti ma.. io credo di amarti, Hayley, e proprio per questo non posso permettermi di ferirti.»
Le carezzò il viso, le scostò i capelli e le lasciò un dolce bacio sulla fronte.
 
Sì, Isaac, sì ti posso sentire. Ti posso sentire, ti amo, ti amo anche io, ma ti prego, non andare via.
Fece del suo meglio, ma le labbra non si muovevano.
«Devi uscire, ragazzo.»
Quella era la voce del medico.
La presa di Isaac si fece più debole, fino a che non la sentì più.
No, ti prego, resta.

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Capitolo 11
*** Never Wanna Let You Go. ***


“Why won't you give me a chance
to show you every side of me
and how we're meant to be?
'Cause you're too scared to let me in.
Let this love begin.”

- Megan Nicole, Never Wanna Let You Go.
 
 
«Ashton, devi venire subito all’ospedale, sembra che Hayley si stia svegliando. Chiama Isaac.»
«Dieci minuti e siamo lì.»
Kora si rimise il telefono in tasca, aspettò l’arrivo di Ashton e notizie da Amber e Thomas. Entrambi, infatti, erano usciti a dirle che la sua amica si stava svegliando e poi erano rientrati, sottintendendo che, finché non sarebbe stata abbastanza stabile, sarebbe stato meglio non entrare.
Venti minuti più tardi non c’era ancora traccia di Ashton.
Quando, un’ora più tardi, fece il suo ingresso nella sala d’attesa dell’ospedale, Kora rimase sorpresa da due cose. La prima era che Isaac non c’era e la seconda era che Ashton non aveva un bell’aspetto: aveva gli occhi arrossati ed era evidentemente turbato.
«Scusa il ritardo.»
«Nessun problema. Amber e Thomas non sono ancora usciti, quindi noi non possiamo entrare.»
«Okay.»
Si sedette accanto a lei, tormentandosi le dita delle mani.
«Cosa c’è che non va? E perché Isaac non c’è?»
Ashton evitò il suo sguardo, nonostante sentisse gli occhi di lei puntati su di lui. Inspirò lentamente.
«Isaac.. Beh, ecco, lui.. Se n’è andato.»
«Cosa?»
«Sì, lui..» fece una pausa e poi cominciò a raccontarle tutto quello che era successo quella sera, dopo che l’aveva riaccompagnata all’ospedale.
«Dopo che ti ho riaccompagnata sono tornato a casa e ho trovato una lettera sul tavolo – tirò fuori dalla tasca dei jeans un foglio ripiegato su sé stesso varie volte – leggi.»
Kora lo prese in mano delicatamente, quasi spaventata che il solo contatto con la sua pelle l’avrebbe ridotto in polvere; cosa che, ovviamente, non era possibile. Dopo che lo ebbe aperto notò che c’erano alcuni punti in cui l’inchiostro era sbavato in una forma circolare. Come quando ci  cadono sopra gocce di pioggia, o lacrime.
Cominciò a leggere.
 
“Ehi Ashton,
probabilmente questo sarà l’ultimo bigliettino che ti lascerò in casa per un po’. Il che potrebbe renderti felice dato che non dovrò più infiltrarmi in casa tua di nascosto. Comunque, ora torno serio. Mi dispiace per tutto quello che è successo. Non alludo soltanto ad Hayley, parlo anche di te. Voglio dire, non sono stato un buon amico ultimamente, ho causato un sacco di problemi e… la faccio corta, okay? Me ne vado. Me ne vado perché sono stanco che tutti soffrano per colpa mia, sono stanco che le persone che amo siano costantemente impantanate nei problemi che creo.
Sei stato un amico fantastico, Ashton, un fratello. Spero che tu lo sappia. Hai fatto così tanto per me che dirti soltanto grazie non basta. Mi hai tirato fuori da un sacco di guai e sei sempre stato lì per me, sempre. Non c’è stato un giorno in 12 anni in cui tu non sia stato presente.
Sei sempre stato gentile e non mi hai (quasi) mai fatto alcun torto, per questo me ne vado. Spero che tu capisca. Non sai quanto mi costa scrivere queste parole e pensare che da ora non ti vedrò più.
Non pensavo che sarebbe stata così dura, ma lo dovevo fare. Ti ho lasciato una lettera perché non avrei mai sopportato il fatto di doverti dire addio a voce (e poi non mi avresti permesso di partire, non è vero?), ma fai finta che io sia lì e che ti stia abbracciando.
Come farò senza di te? Chi mi tirerà fuori dai guai? Ma, credimi, è meglio così.
Quando si sveglierà, chiedi a Hayley se ricorda quello che le ho detto: se se ne ricorda capirà a cosa alludo.
Oh, e un’altra cosa: quando ti deciderai a fare una mossa con Kora? (Okay, la smetto e mi faccio gli affari miei)
Credo di essermi dilungato abbastanza, non credi?
Io credo di sì, perché se continuo così può anche capitare che mi trovi qui a scrivere quando torni.
Comunque sia, l’unica cosa che ti auguro è di essere felice (veramente era più un ordine che un augurio, ma, sì, insomma, non si può imporre una cosa del genere).
Voglio chiudere questa lettera perché proprio non ce la faccio più.
Ricordati che tu sarai sempre il fratello che non ho avuto, sempre, non importa se non sono lì, se non ci vediamo tutti i giorni: tu sei mio fratello.
Non so se sarà una cosa definitiva, ma, nell’eventualità..
Addio, Ashton.”
 
Tutto quello che Kora riuscì a dire dopo aver letto fu ‘oh’. Si sentiva gli occhi lucidi, quindi guardò in alto per evitare di far cadere le lacrime. Ashton le prese il foglio dalle mani e se lo rimise in tasca.
Oh, e un’altra cosa: quando ti deciderai a fare una mossa con Kora?
«Ho fatto tardi perché sono andato a cercarlo. Ho provato ovunque e non l’ho trovato. Io.. Lui si mette facilmente in pericolo quando sta male e..» affondò la testa tra le mani e cominciò a singhiozzare.
«Prova a non pensarci» gli disse Kora avvolgendolo in un abbraccio, ma si sentì stupida non appena ebbe finito la frase.
«È mio fratello, non posso semplicemente non pensarci.»
«Lo so, scusa.»
«Ragazzi, ora potete entrare, ma mi raccomando, non stancatela troppo. Oh, entrate uno alla volta per favore» la voce felice di Amber si intromise tra loro, e ancor prima di aver pensato di alzarsi era già sulla porta della stanza di Hayley, seguita da Ashton.
Kora lo guardò.
«Dai, vai»
Gli sorrise e sparì dietro a una porta bianca.
 
Mentre Kora parlava con Hayley, Ashton rimase nel corridoio, camminando avanti e indietro, pensando a Isaac.
Era andato a cercarlo nel bosco e in città. Quando era andato a casa sua i suoi genitori gli avevano che era partito per la nuova scuola, nel West Virginia, e che era strano che lui non lo sapesse dato che lo stava programmando già da alcuni mesi ormai. Saputo della scuola provò allora a contattare la Spring Mills High School, ma la risposta fu ‘non ci sono nuovi studenti con quel nome’.
Non disse niente ai genitori di Isaac, perché prevedeva di ritrovarlo prima della fine dei nove mesi scolastici, anche se non sapeva come.
Il mondo gli crollò addosso quando si accorse che quella volta non era solo una semplice ‘sfuriata’ di una settimana e mezza, ma una decisione quasi definitiva.
Come faccio senza di lui?
Decise che sarebbe andato a cercarlo in qualunque posto fosse legato a lui, qualunque, che si trovasse nell’Utah o a New York o in qualsiasi altro luogo.
«Sì, ora ti chiamo Ashton.»
Sentì la voce di Kora uscire dalla porta aperta, le andò vicino e la oltrepassò, chiudendosi la porta alle spalle.
 
«Ashton!»
Hayley sorrideva, ma i suoi occhi tradivano una certa preoccupazione. Il ragazzo si avvicinò al letto e l’abbracciò.
«Ehi, Hayley, come stai?»
«Tutto bene, e tu?»
«Non c’è male.»
«Uhm, devo dirti una cosa riguardo a Isaac. – Ashton le fece segno di continuare – Prima di svegliarmi io riuscivo a sentire tutto intorno a me, soltanto che non riuscivo a muovere nemmeno un muscolo. Isaac è venuto a trovarmi e.. ha detto che per il nostro bene se ne sarebbe andato. Ashton, dimmi che non l’ha fatto davvero.»
Non gli disse che si erano scambiati un ‘ti amo’, che Isaac nemmeno aveva potuto sentire. Non gli disse delle loro dita intrecciate, non gli disse che probabilmente il motivo per cui era riuscita a svegliarsi non era l’amore che provava per i suoi genitori, e nemmeno quello che provava per Kora, ma quello che prova per Isaac. Non gli disse quelle cose perché erano sue, e le sembrava che dirle ad alta voce potesse rovinarle.
«Ecco cosa intendeva con “chiedi a Hayley se ricorda quello che le ho detto”.»
«Che cosa?»
Ashton le raccontò della lettera e di tutto quello che era successo nelle ultime ore. Lei rimase ad ascoltare, quasi pietrificata.
Quando il ragazzo ebbe finito disse: «Devo trovarlo»
Ma in realtà, quello che realmente pensava era: Oh, Isaac. Avevi troppa paura di lasciare che io ti amassi, paura di ferirmi, di ferirti. Ti troverò e ci daremo una possibilità, mostreremo l’uno le ferite dell’altra, ci guariremo e lasceremo che questo amore cominci.

 
Scusate L'ENORME ritardo, ma avevo perso, come dire, l'ispirazione.
Volevo scrivere qualcosa di decente e non mi riusciva. Non sono totalmente felice di questo capitolo, ma trovo che sia venuto abbastanza bene. Spero di fare meglio la prossima volta.

Comunque, grazie per aver letto e grazie per le eventuali recensioni.
Baci,
Giulia.

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Capitolo 12
*** Shadow. ***


Can I just fix you, girl?
Show you a different world?”

- Austin Mahone, Shadow.
 

 

Passò più di un mese, e poi arrivarono le vacanze di Natale.
Ancora nessuna notizia di Isaac.
Hayley era tornata a scuola una settimana dopo il suo risveglio, ed era riuscita a recuperare tutte le materie, migliorando anche la sua media, per quanto possibile.
C'era comunque una parte di lei che continuava a pensare a Isaac, a quel ragazzo dagli occhi di ghiaccio che era riuscito a entrarle dentro come nessuno era riuscito a fare.
Kora aveva continuato ad uscire con Hayley e Ashton, ma stava cominciando a guardare Ashton sotto ad una luce diversa. Si ritrovava ad osservarlo sorridere, parlare.
Fissava le sue labbra e i suoi occhi verdi, gli scompigliava i capelli e il numero di abbracci tra loro due era decisamente aumentato. Il tutto non era sfuggito a Hayley, che
non aveva risparmiato alcuni commenti divertenti.

Ashton aveva continuato a cercare l'amico sperando in una riapparizione o in un messaggio inutilmente. Si era accorto di un cambiamento in Kora, ma non riusciva a dare
un nome all'emozione che leggeva nei suoi occhi.

L'ultima campanella di dicembre suonò, facendo riecheggiare un urlo di gioia tra i corridoi della scuola. Tutti gli studenti si riversarono fuori dall'istituto, mentre Ashton,
Kora e Hayley restarono fermi sulla soglia a guardare. Era diventata un'abitudine, ormai.

«Ragazzi, devo dirvi una cosa - esordì Hayley - durante queste settimane di vacanza vorrei andare a cercare Isaac. Volevo sapere se sareste disposti a venire con me.»
«Certo» Ashton non esitò a rispondere e poco dopo arrivò anche la conferma di Kora.
«Adesso devo andare, ma per i dettagli ci mettiamo d'accordo domani, okay?»
Hayley salutò gli amici con un gesto della mano e un sorriso e si diresse a passo spedito verso la sua auto.

«Ti da fastidio se ti accompagno fino a casa?»
«Certo che no.»
Ashton la guardò mentre camminava due passi avanti a lui; a volte si voltava, gli sorrideva e canticchiava, ma in quegli occhi riusciva a leggere emozioni molto più forti e contrastanti.
Leggeva felicità e tristezza, paura ed euforia.
E la trovava bellissima, con le sue contraddizioni e i demoni di cui non voleva parlargli.
Arrivarono fuori casa sua , troppo presto per i suoi gusti e anche per quelli di Kora, anche se non voleva ammetterlo.

Kora guardò l'entrata del vialetto di casa sua, poi si girò di nuovo verso l'amico, che la guardava.
«Uhm, vuoi entrare? Mia madre non c'è e, se vuoi, possiamo mangiare qualcosa insieme. A meno che non ti abbiano già preparato da mangiare a casa, allora in quel caso..»
Stava straparlando, e se n'era accorta. Era nervosa e sentiva una strana sensazione che non riusciva a spiegarsi all'altezza dello stomaco.
Ashton sorrise e le rispose: «D'accordo, se per te non è un problema.»
Avevano continuato a scambiarsi frasi come 'se vuoi' e 'se per te non è un problema', come se la presenza dell'uno potesse infastidire l'altra. Non si erano accorti che era esattamente l'opposto e che avevano cominciato a costruire un rapporto di fiducia di cui Kora aveva paura, un rapporto in cui avevano l'uno bisogno dell'altra.

Entrarono in casa e Kora si diresse verso la cucina.
«Fai pure come se fossi a casa tua.»
«Ti serve una mano?»
Kora appoggiò le mani sul bancone della cucina dopo essersi tolta la giacca e guardò sopra di sé, tra le mensole e i mobili, poi si mise in punta di piedi.
«Oh, dovresti solo prendermi quella pentola lassù.»
Puntò a un punto appena sopra al suo indice, facendo spostare lo sguardo di Ashton dal sorriso di Kora alla pentola che stava indicando. Sorrise a sua volta e, senza alcuna
difficoltà, prese la pentola.

Abbassò di nuovo lo sguardo su di lei e gliela porse, improvvisamente consapevole del pochi centimetri tra loro due.
«Sei sicura che non ti serve una mano per il resto?»
«Credi che non sappia cucinare? – rise – Ma no, davvero, ma la posso cavare. Se vuoi puoi andare là in salotto e accendere la TV o lo stereo, come preferisci.»
«Preferisco lo stereo, dove sono i CD?»
«Nell'armadio sotto allo stereo.»
Ashton si diresse in salotto e cominciò a guardare tra i CD mentre Kora cominciò a cucinare.

Kora sentì l'inizio di una canzone che conosceva molto bene e sorrise. Anche Ashton la conosceva, ed era tra le sue preferite; si era stupito del fatto che piacesse anche a lei. Alzò il volume e poi tornò in cucina.
«Non sapevo ti piacesse questa canzone.»
«È una delle mie preferite.»
La canzone era “Waiting for Superman” dei Daughtry.

She's dancing with strangers, she's falling apart
Waiting for Superman to pick her up
In his arms yeah, oh in his arms yeah
She's waiting for Superman

To lift her up and take her anywhere
Show her love and climbing through the air
Save her now before it's too late tonight

Entrambi ascoltarono con attenzione il testo, forse fu la prima volta in cui lo sentirono davvero.
Ho bisogno di essere salvata? si chiese Kora.
Devo salvarla si disse Ashton.

Il silenzio sarebbe stato imbarazzante se non ci fosse stato il ragazzo a sorridere e ad allentare la pressione. La canzone successiva partì, ma questa non era tanto significativa quanto l'altra.
«Uhm, dovrebbe essere pronti tra dieci minuti.»
«Okay.»
Lo sguardo di Ashton cadde sulla foto di una bambina appesa al muro accanto a lui.
«Sei tu questa?»
«Sì.»
Nella foto Kora indossava un vestitino bianco con dei fiorellini sopra, quasi troppo femminile per lei pensò prima di notare che era sporco all'altezza delle ginocchia. Dietro a lei il bosco e una grossa pietra che Ashton riconobbe.
Quello era il posto in cui l'aveva incontrata e lei lo aveva immobilizzato contro un albero. Quella notte parlarono per ore.
«Eri veramente carina. – disse sorridendo – Non che ora tu non lo sia.»
Kora si sentii arrossire e si voltò di spalle, facendo finta di controllare la cottura della pasta, quando invece voleva solo evitare di far notare il rossore sulle sue guance.

Mangiarono e Ashton la riempì di complimenti sul cibo, mentre Kora continuava a ripetere che in realtà non se li meritava e che la pasta alla fine non era così buona.
Dopo un po' il ragazzo si diresse verso la porta.
«Già vai?»
«Probabilmente hai altro da fare»
«A dire la verità no. Ti va di restare ancora un po'? Magari guardiamo un film.»
«Okay.» rispose con un sorriso.

Si sedettero insieme sul divano e cercarono un film. Nel frattempo Ashton notò che c'erano un sacco di foto di Kora da bambina e di Kora con una donna (probabilmente la madre) nella stanza, ma in nessuna di esse c'era anche il padre.
Ovviamente non le chiese nulla; non voleva farla arrabbiare o diventare triste.
Era una bella giornata e sarebbe dovuta rimanere tale.
C'era comunque una vocina nella testa del ragazzo che continuava a dirgli che forse la morte del padre e la diffidenza di Kora erano collegate.
«Stuck In Love o Abduction
«Stuck In Love.»

 

Hayley cercò di elencare ogni luogo in cui Isaac avrebbe potuto trovarsi, ma si rese conto di non conoscerlo abbastanza. Scrisse soltanto West Virginia e New York, e li scrisse soltanto perché Ashton gliene aveva parlato quando si era risvegliata all'ospedale.
Provò di nuovo a chiamare Isaac sul cellulare, ma non rispose, come sempre.
Lasciò un messaggio nella segreteria telefonica, l'ennesimo, e si chiese se li ascoltasse o se non lo facesse per paura di cambiare idea e tornare indietro.
Hayley sperava lo facesse, sperava cambiasse idea e tornasse indietro, da lei.

 


Eccomi, ho finalemente aggiornato.
Spero vi piaccia, anche se so che non è uno dei capitoli migliori, ma è una sorta di "passaggio" a quello che penso di far accadere dopo.
Grazie a tutti quelli che hanno recensito i capitoli precedenti, hanno messo la storia nelle preferite o nelle ricordate.
Baci,
Giulia.

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Capitolo 13
*** Is There Somewhere. ***


"I'm trying not to let it show, that I don't want to let this go.
Is there somewhere you can meet me?
'Cause I clutched your arms like stairway railings.

And you clutched my brain and eased my ailing."
- Halsey, Is There Somewhere.

 

Erano più o meno le sei di sera quando Kora sentì il cellulare suonare. Era con Ashton da quasi cinque ore ed era sicura di non aver mai passato una giornata così tranquilla e allo stesso tempo divertente. La faceva stare bene, in ogni modo possibile. Quando era con lui non aveva voglia di prendere in mano il cellulare o di cambiare attività: sarebbe stata ad ascoltarlo per ore, o anche solo guardare quegli occhioni verdi e quel bellissimo sorriso, se non avesse voluto parlare.

Si alzò dal divano, dove erano stati accoccolati tutto il pomeriggio, lei con la testa sulla sua spalla e lui con il braccio attorno alle sue spalle, e raggiunse il suo telefono, che era rimasto nella giacca.
Era sua madre.
«Ciao mamma, dimmi.»
«Dio, perché non mi hai risposto prima? Avrò chiamato cinque volte. Pensavo ti fosse successo qualcosa!» la voce di sua madre era sollevata, ma allo stesso tempo Kora sentiva che doveva dirle qualcosa.
«Scusa, ma avevo il silenzioso e non l'ho sentito. Che devi dirmi?»
«Sta sera non riesco a tornare a casa, abbiamo deciso che è meglio per tutti i dipendenti se restano nell'edificio.»
«Perché? Che succede?» Kora era scossa e la sua voce si era alzata di qualche tono. Che cosa poteva essere successo?
Ashton spuntò dalla porta del soggiorno, con un'espressione interrogativa in volto. Lei gli fece un segno con la mano che voleva dire “dopo”.
«Ma che hai fatto oggi pomeriggio? Dormito? Non hai notato che da tre ore c'è una tempesta di neve e a terra ci sono già più di trenta centimetri?»
La ragazza si affacciò alla finestra che dava sul vialetto d'ingresso e sulla strada principale e rimase a bocca aperta. Ormai qualsiasi cosa al di sotto dei trenta centimetri era indistinguibile.
Come aveva fatto a non accorgersi di nulla? Ashton se n'era accorto?
«Kora, ci sei ancora?»
«Sì, sì, ci sono. Quindi torni domani?»
«Spero di sì. Lo sai che il nostro è un piccolo paese e che vanno pulite dalla neve prima le grandi città e le grandi strade. Comunque ci sentiamo domani, stai attenta tesoro.»
«Sì, a domani.»
Avrebbe voluto dirle che le voleva bene e che era un bene che restasse là, perché mettersi alla guida era quasi impossibile e comunque molto pericoloso. Sentì una fitta all'altezza dello stomaco quando si accorse di quello che stava pensando: non posso perderti, ho già perso papà.
Appoggiò il cellulare sul bancone della cucina e guardò Ashton, che la guardò negli occhi e poi fuori dalla finestra.
«Che succede? - le chiese preoccupato – Qualcosa di grave?»
«No, ma mia madre non riesce a tornare sta sera, forse domattina sarà qui. Io non mi ero accorta di nulla, ma lei mi ha detto che sono quasi tre ore che fuori c'è la tempesta.»
«Nemmeno io mi ero accorto di nulla, forse è ora che io vada a casa, altrimenti rischio di non trovarla più.» fece una risata che smorzò un po' la tensione e posò di nuovo i suoi occhi su di lei.
Quando Ashton la guardava, Kora non riusciva né a reggere il suo sguardo né a scacciare quella sensazione che, in qualche modo, fosse in grado di leggerle dentro.
Non posso perdere nessuno, non posso perdere Ashton.
Le parole che uscirono dalla sua bocca negli istanti che seguirono la sorpresero di nuovo, e certamente più della tempesta.
«Vuoi restare?»

Quando Hayley uscì dalla doccia si accorse che la musica che sarebbe dovuta fuoriuscire dal suo telefono in realtà non c'era. Pensò che la batteria fosse morta, quindi, con calma, si avvolse un asciugamano attorno al corpo e si diresse verso il cellulare.
Chiamata da Isaac
Era così scioccata che per poco non lasciò squillare il telefono senza rispondere.
Quando rispose non sapeva cosa aspettarsi, e non sapeva se sarebbe stata in grado di trattenere le lacrime.
«Isaac» la voce uscì molto più flebile di quello che avrebbe voluto.
«Hayley» la sua voce, invece, era tesa.
«Dove.. dove sei? Mi manchi.»
«Ti ho chiamata per dirti che... che ho sentito tutti i messaggi che mi hai lasciato in segreteria, per dirti che quello che provo per te... Io... Non sai quanto mi manchi.»
«Allora torna, ti prego, torna. Torna o fatti trovare, perché io davvero non ce la faccio.»
«Non posso, mi dispiace»
Hayley sentì scendere una lacrima.
«Ti rendi conto di quello che stai dicendo? - ora stava quasi urlando dalla frustrazione – Dimmi un buon motivo per cui non dovresti tornare o dirmi dove sei.»
Sentì Isaac sospirare all'altro capo del telefono.
«Iris... lei...» Un rumore metallico, una parola urlata che la ragazza non riuscì a capire, altri rumori e poi nulla, soltanto un bip-bip vuoto. Riprovò a chiamare, ma il cellulare risultava spento o non raggiungibile. Che cosa poteva essere successo? Dov'era? Che cosa c'entrava Iris e che cos'erano quegli urli?
Hayley si appoggiò alla fredda parete del bagno e scivolò giù fino a terra.
Avrebbe voluto parlare con Kora o Ashton, ma anche se glielo avesse detto, per quella sera almeno, non si sarebbe potuto fare nulla: la neve impediva qualsiasi movimento e forse era meglio se la notte la passassero tranquilli, almeno loro.
«Tesoro, tutto bene lì dentro?» la voce di sua madre la risvegliò dai suoi pensieri. Si alzò velocemente da terra, si sistemò l'asciugamano e si asciugò le lacrime.
«Si, tutto okay.»
«Sicura? Pensavo di averti sentita urlare»
Hayley si affacciò alla porta e rivolse un sorriso alla madre.
«No, era soltanto la musica»
«Oh, okay» alzò le spalle e se ne andò.

Ashton rimase completamente sconvolto da quella domanda.
Negli occhi della ragazza leggeva insicurezza, paura e qualcosa che non riusciva a decifrare, un'emozione che nei suoi occhi non aveva mai visto.
«Non puoi uscire con questo tempo, non...» non voglio che tu te ne vada avrebbe voluto dire, ma preferì lasciare la frase in sospeso.
Gli occhi di Kora erano quasi imploranti.
«Okay, fammi solo avvisare i miei.»
Ashton si allontanò per parlare al telefono e Kora si accorse che stava tremando.
Dopo un paio di minuti il ragazzo tornò in cucina e acconsentì a guardare un altro film dato che, a detta di Kora, “Era meglio guardare film fino a che la corrente c'era ancora”. Prima però decisero di mangiare qualcosa. Optarono per una bistecca, anche perché in casa non c'era molto altro e chiaramente il ragazzo della pizza non poteva passare.
Quindi scelsero un film, spensero le luci e si sedettero sul divano. Fuori continuava a nevicare ed era già buio. Dopo un'ora Kora era accoccolata accanto ad Ashton. Aveva la testa sulla sua spalla, le lunghe gambe sopra le sue e lui le stringeva un braccio intorno alle spalle. Kora si rese conto della posizione in cui era soltanto dopo un po', ma non volle spostarsi. Con lui stava bene, si sentiva a suo agio e le veniva tutto naturale. Il ragazzo era pienamente consapevole del contatto tra i loro corpi, ma non si mosse. Stava bene e non poteva negarlo.
Pensò alla prima volta in cui aveva notato Kora davvero, quel giorno in classe. Da quel giorno aveva provato una sorta di ammirazione per la sua forza e la sua mancanza di paura, poi, conoscendola meglio, si rese conto che anche lei aveva le sue debolezze e imperfezioni. Le imperfezioni più belle che avesse mai visto.
Non poteva negare a se stesso quello che provava per quella ragazza.

Passò un'altra ora e Ashton guardò Kora per un attimo. Indossava dei leggings e un maglioncino grigio che si era leggermente alzato e le lasciava scoperto un angolo di pelle sul fianco sinistro. Gli venne voglia di sfiorarle la pelle. Allungò un mano e la sfiorò soltanto per abbassarle il maglione. In nessun modo l'avrebbe mai toccata se lei non avesse voluto. Sentii i brividi sulla pelle di Kora. Allontanò subito la mano, ma lei gliela prese e la posò di nuovo sul suo fianco, facendo salire di nuovo il maglione. Ashton la guardò molto intensamente, sorpreso da quella reazione. Lei ricambiò lo sguardo.
Paura e felicità.
Le dita del ragazzo erano a contatto con la pelle calda e morbida di lei. Percepiva sotto le dita la pelle d'oca.
Le iridi color cioccolato di Kora erano quasi indistinguibili dalle pupille a causa del buio della stanza. L'unica fonte di luce era la TV, a cui nessuno stava badando più.
«Kora...»

Lei non lo fece terminare la frase, allungò il collo fino ad arrivare alla sua altezza e gli diede un delicato bacio sulle labbra.
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Eccomi, finalmente. Sono tornata.
Vi chiedo di perdonarmi per la lunga assenza, lo so che non ho scusanti, ma non mi sentivo veramente in vena di scrivere e non volevo postare niente di cui non fossi convinta.
Passando al capitolo, vorrei che mi deste delle opinioni su cosa ne pensate (e mi scuso se questo non è tra i migliori che ho scritto, ne sono consapevole).
Detto questo, spero davvero di poter scrivere di più e più spesso, dato che l'estate è alle porte.
Grazie per essere arrivati fino a qui.
Baci,
Giulia.

 

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