Scintille da star.

di cozallineed
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Frenesia.
La parola adatta per descrivere la mia vita.
La gente che lavorava per me correva di qua e di la, quasi in preda al panico.
Il mio nome era scritto ovunque. Davanti all’entrata, sulla porta del mio camerino, sulle magliette del mio staff. La gente fuori gridava il mio nome. Noah. Noah. Noah.
"Noah, mancano due minuti.", mi disse Kate, la mia manager.
Mi alzai dalla sedia. Diedi un’occhiata fuori e mi mancò il respiro.
C’erano così tante luci. Di tanti colori. Mi piacevano i colori. Erano così vivaci. Tutte le cose buone erano colorate. Perfino il cibo.
Il mio stomaco brontolò. Mi venne da ridere.
"UN MINUTO!", sbraitò ancora Kate.
La gioia mi pervase l’animo.
Indossai la giacca. Il cuore cominciò ad accelerare come era solito fare. L’euforia stava cominciando a farsi sentire. Avevo voglia di saltare e ballare come un bambino. Un sorriso  mi si stampò in faccia. Corsi e feci la mia entrata, che fu seguita da milioni di urla assordanti.
Sì, la mia vita era frenesia. E solo in quei momenti riuscivo a trovare la pace e la spensieratezza che desideravo nella mia vita. Solo in quei momenti non esisteva più la cattiveria e l’ostilità che mi circondava.
La mia salvezza era tutta quella gente che urlava il mio nome e cantava le mie canzoni. La mia salvezza erano quei cartelloni che i miei fan alzavano più in alto possibile.
La mia salvezza era il palcoscenico. 




SALVE A TUTTI!  
Bene bene, mi chiamo Sabrina, piacere :3 Scusatemi se il prologo è un pochino corto, ma spero comunque che vi piaccia! I prossimi capitoli saranno più lunghetti, ve lo prometto. Spero che le vostre recensioni (se ne scriverete) siano positive! 
Baci :3

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Suonò la sveglia. Erano le sei del mattino. Mi alzai dal letto, con la mente ancora annebbiata dal sonno. Dopo qualche minuto mi resi conto. Era arrivato il grande giorno. Cavoli, cavoli, cavoli. Quel giorno, per la primissima volta, avrei ascoltato la sua voce dal vivo. Sarebbe stato fantastico.
Andai a lavarmi e mi vestii in fretta e furia. Presi uno zainetto e ci misi dentro due panini e una bottiglietta d’acqua. Ero pronta.
Salutai i miei genitori, che erano ancora a letto, con un bacio e mi diressi verso il luogo del concerto. Durante il tragitto notai che per le strade c’erano affissi diversi poster con la sua faccia stampata. Quel concerto aveva fatto sold out. Ero così orgogliosa di lui.
Era incredibile che per fare un suo concerto avesse scelto proprio la mia città. Chissà quante persone erano venute fin qui per ascoltarlo.
L’idea che lui con la sua musica e la sua voce meravigliosa facesse provare a milioni di persone le stesse cose che provavo io mi faceva venire i brividi. Sicuramente al concerto avrei conosciuto molte persone che condividevano la stessa passione che nutrivo io per lui. Subito mi venne in mente Iris, una ragazza che avevo conosciuto via internet e che avrei incontrato per la prima volta quel giorno. Anche lei era una sua fan.
Ecco, quella giornata era un mucchio di prime volte. Ero davvero emozionatissima.
Arrivai davanti il luogo del concerto. C’erano già una ventina di persone appostate davanti all’entrata. Cercai Iris tra le persone che erano davanti a me, ma di lei nessuna traccia. Dov’era finita? Ieri mi aveva detto di essere arrivata al suo hotel e che l’indomani ci saremmo viste davanti a quell’entrata. In quel momento il mio cellulare squillò. Era lei.
“Iris?”, le dissi.
“Cassandra! Dove sei? Io sono qui davanti l’entrata del concerto!” , esclamò lei tutta agitata.
“Anche io sono qui!”, esclamai e mi girai per guardarmi in giro. Iris era esattamente dietro di me. Corsi ad abbracciarla.
“Siamo proprio due cretine!”, esclamò lei. Risi.
La guardai bene. Era così strano averla lì davanti a me, dopo mesi e mesi di chat online. Era uguale alle foto: capelli corti castani, occhi castani, bassina, magra e con un sorriso mozzafiato. Era una delle persone migliori che avessi mai conosciuto. Era l’allegria fatta persona. Era Iris.
Ci prendemmo per mano e ci mettemmo in fila, pronte a correre quando i cancelli sarebbero stati aperti. Vicino all’entrata c’erano degli agenti di sicurezza. Ne feci avvicinare uno. Era un ragazzo sui vent’anni circa.
“Mi scusi, quand’è che aprirete i cancelli?”, gli chiesi io sfoderando i miei occhi dolci, la mia arma micidiale.
“Eh, signorina, non lo so”, mi disse quello. Non lo credetti.
“Fra dieci minuti?”, azzardai io, decisa ad avere una risposta.
“…forse.”, mi rispose il ragazzo con fare misterioso. Stronzo.
Per far passare il tempo, io e Iris ci raccontammo un po’ quello che ci era successo negli ultimi giorni.
Ad un tratto, senza preavviso, i cancelli vennero aperti e tutti cominciarono a correre. Lasciai la mano di Iris e cominciai a correre anch’ io a più non posso. Stavo correndo per conquistare il mio posto. Mi sentii una valorosa combattente. Risi a quei pensieri.
Stavo per arrivare. Quando toccai la transenna, emisi un gridolino di gioia. Per fortuna Iris era dietro di me e riuscì a prendere il posto vicino a me. Avevamo entrambe il fiatone.
“Certo che è stata una bella corsa!”, esclamò lei guardandosi indietro. 
“Già”, le dissi io ridendo.
Ci sedemmo a terra e cominciammo a scherzare un po’. Man mano che passavano le ore, il caldo si faceva più asfissiante e la gente era sempre più numerosa.
Osservai un po’ la gente che stava dietro di me. Tutti litigavano per avere il posto migliore ed erano sgarbati tra di loro.
Dov’erano finiti i valori che ci trasmetteva LUI con la sua musica?
Mi alzai e mi girai verso il palco, dove c’erano diversi tecnici che stavano preparando gli strumenti e la sceneggiatura. Chissà quanto lavoro c'era dietro ad ogni suo performance.
Improvvisamente sentii Iris che parlava con una ragazza che era riuscita a prendere posto dietro di noi.
“Ciao mi chiamo Iris! Tu come ti chiami?” , chiese lei.
“Ciao, mi chiamo Ellie!”, rispose l’altra ragazza.
“Che bello essere qui tutte insieme!” , esclamò Iris. “Da quanto sei una sua fan? Qual è la tua canzone preferita?”, cominciò a domandare la mia pazza amica a Ellie.
“Oh, ma io non lo seguo per la sua musica.”, rispose Ellie con un sorriso.
Io e Iris ci guardammo stupite, poi tornammo a guardare Ellie.
“E allora perché lo segui?”, intervenni io.
“Perché è bello.” , rispose semplicemente quella, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
“Ah.” , rispondemmo io e Iris all’unisono. Ero a dir poco sconvolta. Quella ragazza non era una sua fan. Se aveva voglia di seguire qualcuno per la bellezza, che andasse dietro a qualche modello. Non ad un cantante.
Mi sedetti e mi cacciai gli auricolari alle orecchie. Ne avevo abbastanza di tutte quelle stupidaggini.
La mattinata passò e anche l’ora di pranzo, ed io non avevo toccato cibo.
Dopo l’episodio di Ellie non ci eravamo più azzardate a tentare di fare amicizia con altre ragazze. Piuttosto passammo le ore a cercare di conoscerci meglio e a farci tante foto insieme alla nostra amata transenna. Chissà quando ci saremmo riviste dopo quella giornata.
Le ore passavano in totale allegria e spensieratezza.
Mancava mezz’ora.
Ormai era buio, io avevo la schiena a pezzi e le gambe doloranti.
La sua band entrò e cominciò a sistemarsi con i vari strumenti. La tensione era palpabile. Mancava solo lui.
Il cuore batteva fortissimo.
All’improvviso la band cominciò a suonare e lui entrò correndo e sorridendo. Cominciò a ballare come un bambino iperattivo, poi si fermò, e cantò.
La sua voce. Dio, dal vivo era dieci volte più bella. Le emozioni che provavo a casa ascoltandolo non erano niente in confronto a quello che provavo in quel momento.
E chi se ne fregava della gente che litigava per il posto. Chi se ne fregava della gente come Ellie. Chi se ne fregava della mia schiena e delle mie gambe doloranti. Chi se ne fregava se l’indomani mi sarei svegliata senza voce.
L’importante in quel momento era essere con lui. Noah.
Esistevamo solo io, lui, e la sua musica.
Mi sentii bene.



Salve a tutti! :3 Scusatemi, dovevo pubblicare il capitolo ieri, ma non riuscivo a esprimere bene quello che volevo dire! Spero di non aver fatto disastri con questo capitolo. Il prossimo sarà un po' più intrigante :3 Un bacio a tutte!

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


La luce che entrava dalla finestra mi dava un fastidio enorme, ma non avevo la forza di alzarmi per chiudere le tendine.  Mi rigirai nel letto e misi la testa sotto le coperte.  Feci una smorfia di dolore. Mi facevano malissimo le gambe. Però era stato tutto bellissimo. Quando alla fine del concerto Noah se ne era andato, io e Iris ci eravamo guardate e ci eravamo date un lungo abbraccio. Vivere quell’esperienza con lei era stato bellissimo. Iris poi mi aveva detto che sarebbe partita la sera dopo, quindi avrei avuto ancora occasione di vederla. Se solo avessi saputo in che hotel alloggiava.
Guardai l’ora. Erano le nove e mezza. Mi costrinsi ad alzarmi nonostante i dolori. Mi lavai, mi vestii e scesi in cucina per fare colazione. Cercavo in tutti i modi di camminare normalmente, ma non mi riusciva molto bene. Mia madre se ne accorse e scoppiò a ridere, dicendomi che sembravo davvero molto buffa. Pazienza.
Mi sedetti davanti alla mia colazione e chiamai Iris.
“Pronto?”, mi rispose lei, con la voce ancora impastata dal sonno. Sorrisi istintivamente.
“Buongiorno dormigliona!”, le gridai io.
“Ssssshhhh piano! Non urlareee mi sono svegliata adesso! Che vuoi?”, mi domandò con il suo solito fare scherzoso.
“Visto che partirai stasera, che ne dici se ci vediamo e passiamo questa giornata insieme?”, le domandai.
“Si okay, vieni al mio hotel fra circa mezz’ora.”, mi rispose.
“Si ma prima dovresti dirmi qual è il tuo hotel!”, esclamai io.
“Ah ah! Non te lo dico! Così impari a svegliare la gente in questo modo!”, disse lei. Sbarrai gli occhi. Era completamente pazza.
“Iris, tu ti rendi conto che in questa citta ci sono una cinquantina di hotel, vero?”, le domandai con un tono di rimprovero.
“Eh va bene, ti do un piccolo indizio! Il nome dell’hotel comincia con la lettera C!”, esclamò lei. “Adesso però vado a lavarmi, buona ricerca, a dopo!”, continuò Iris ridendo. Detto questo staccò la chiamata.
“Ma fai sul serio?!”, le gridai io, anche se ovviamente non poteva più sentirmi.
Mi venne da ridere per il suo comportamento infantile. Che stronza.
Anche se di malavoglia, cominciai a fare un elenco di tutti gli hotel della città che cominciavano con la lettera C. Ce n’erano almeno una quindicina in tutto.
Feci un sospiro, salutai mia madre e uscii di casa.
Decisi di visitare gli hotel per ordine alfabetico. Mentre camminavo per le strade alzai gli occhi al cielo pensando a cosa mi stava facendo fare Iris. Non aveva pietà delle mie povere gambe?
Girai un paio di hotel, ma di lei nessuna traccia.
Me ne rimanevano tre. Andai all’hotel Cesina, diedi un’occhiata all’entrata, ma non c’era nessuno. Ormai mezz’ora era passata, quindi Iris avrebbe dovuto aspettarmi all’entrata del suo hotel.
Continuai la mia ricerca con il mio fogliettino in mano. Segnai una x vicino al nome dell’hotel che avevo appena visitato.
Mentre mi dirigevo all’ennesimo hotel da visitare, mi distrassi guardando il cielo. Quel giorno la giornata era davvero bella: soleggiata, ma fresca. L’ideale per una bella passeggiata tra amiche. Già.
Vidi in lontananza l’hotel che cercavo, l’hotel Colorado. Non ci ero mai entrata, ma si vedeva da fuori che era un hotel molto lussuoso. Lo scartai già con la mente.
Entrai tanto per assicurarmi che Iris non fosse lì dentro.
Iris non c’era.
Ma c’era qualcun altro.
Se le gambe prima facevano fatica a reggermi, adesso erano proprio crollate.
Un ragazzo era appoggiato al bancone della reception.
Lui.
Noah.
Rimasi davanti alla porta a guardarlo. Noah ad un tratto si girò, e mi vide.  Si raddrizzò e mi sorrise.
Timidamente gli sorrisi anche io.
Lui allora mi venne incontro. Io ero paralizzata.
Era così incredibile che lui fosse lì davanti a me.
Era diverso dal giorno prima. Al concerto aveva dei pantaloni neri e una camicia bianca, quel giorno invece indossava un paio di jeans e una maglietta bianca a righe colorate. Al concerto i capelli erano stati perfettamente pettinati all’indietro. Quel giorno invece aveva i ricci tutti spettinati. Che carino.
“C..ciao.”, gli dissi io, con la voce che tremava.
“Ciao!”, esclamò lui, facendomi l’ennesimo sorriso. La sua voce era così calda e armoniosa. La adoravo. Si avvicinò a me e mi stampò due baci sulle guance.
In quel momento avrei dovuto dirgli così tante cose, avrei dovuto dirgli che la sua musica mi salvava dalla tristezza, che la sua voce mi faceva venire i brividi, che lo seguivo da anni e che ieri ero stata per la prima volta ad un suo concerto e lui era stato magnifico. Ma non riuscii a dire nessuna di queste cose.
Noah si accorse che avevo un foglietto con una penna. Mi sfilò il foglietto dalle mani e scoppiò a ridere quando vide tutta la sfilza di hotel con le relative crocette accanto. Sicuramente stava pensando che lo avevo fatto per lui.
Aprii la bocca per parlare e spiegargli che non stavo cercando lui, ma non riuscii a parlare.
La sua espressione era cambiata. Aveva stampato in faccia un sorriso da furbetto e mi osservava divertito.
“Come ti chiami?”, mi chiese lui, girando il foglio dall’altra parte e prendendo la penna dalle mie mani.
La voce finalmente riuscì ad uscire fuori. “Cassandra.”, risposi.
Noah mi osservò per alcuni secondi. Aveva degli occhi davvero belli.
“Cassie allora.”, disse lui, scrivendo il nomignolo che mi aveva dato sul foglio e firmando sotto di esso.
“No,”, mi impuntai, “mi chiamo Cassandra. Significa ‘colei che eccelle’”, continuai, con il mio solito fare orgoglioso e testardo.
Noah scoppiò in una fragorosa risata.
“Ah si? E in cosa eccelli? Fammi vedere in camera da letto!”, esclamò lui, continuando a ridere.
Diventai viola dall’imbarazzo.
Con mia e sua grande sorpresa, gli tirai uno schiaffo in faccia.
L’espressione di Noah tornò seria.
Gli strappai davanti l’autografo che mi aveva fatto, lo buttai per terra e mi girai per andarmene.
“Aspetta!”, mi gridò lui dietro.
Ma io corsi via.
Non mi seguì.
Ero arrabbiatissima e imbarazzatissima. E anche confusa.
Dov’era finito il Noah che conoscevo io tramite le sue canzoni e le interviste?
Non volevo pensarci.
Mi incamminai verso l’ultimo hotel che mi era rimasto, l’hotel Cous-Cous. Iris si trovava lì. Mi corse incontro ridendo come una pazza.
“Tah dah! Mi hai trovata!”, esclamò lei abbracciandomi. Poi mi guardò in faccia e tornò seria. “Cosa ti è successo? Hai la faccia sconvolta!”, mi disse preoccupata.
Sfoderai uno dei miei sorrisi migliori.
“Ma no scema, sono solo stanca! Hai idea di quanto io abbia camminato per stare al tuo gioco?! Vergognati!”, le gridai dandole una piccola spintarella. Lei scoppiò a ridere e mi abbracciò nuovamente.
Passammo insieme una giornata bellissima. Non le dissi dell’incontro con Noah, non volevo far cadere l’immagine che si era fatta di lui, come era successo a me. Continuavo a pensare ai testi delle sue canzoni, così profondi, belli e apparentemente sinceri. Il giorno prima lo avevo visto così preso da quello che diceva mentre cantava. Magari mi sbagliavo. Magari era tutto una finzione ciò che faceva lui.
Quando arrivò il momento di salutare Iris, piansi. Non sapevamo quando e se ci saremmo riviste. Ci abbracciammo più volte e a lungo. Poi la madre di Iris ci costrinse a separarci e la portò via.
Tornai a casa. Durante il tragitto ero tristissima. Iris se n’era andata e il mio cantante preferito era uno stronzo pervertito.
“Sono tornata!”, gridai non appena entrata a casa.
Raggiunsi mia madre in cucina e gli stampai un bacio in guancia. Mi accorsi che teneva un foglio tra le mani.
“Cassandra, un uomo è venuto qui a consegnare questo foglio. Ha detto che è per te.” , mi disse lei seria. “Cosa hai combinato?”, mi domandò con fare duro.
“Mamma non ho fatto niente”, le risposi io. Ero davvero stupita. Un foglio per me? E da parte di chi?
“Voglio crederti.”, mi disse mia madre consegnandomi un foglio. Parlava con talmente tanta solennità che mi venne da ridere. Rise anche lei.  
“Grazie mamma, ora però vado a letto, buona notte!”, esclamai io. Non vedevo l’ora di chiudermi nella mia stanza per sapere chi mi aveva scritto. Magari Iris? Da lei ci si sarebbe potuto aspettare di tutto.
“Buona notte, tesoro”, mi rispose mia madre sorridendo.
Mi catapultai nella mia stanza, chiusi la porta e mi sedetti sul letto.
Il biglietto diceva:
“Mi dispiace. Rimedierò. Domani sera alle otto. Mettiti qualcosa di carino, Cassie.  N.”




Ciao a tutti! :3 Come state? In questo capitolo mi sono impegnata un po' di più, scusate se vi ho fatto aspettare! Spero vi piaccia! Un bacione e alla prossima! :D 

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Ero a letto, in pigiama, con le cuffie alle orecchie e un bel libro. Mi stavo rilassando. Avevo già terminato con le interrogazioni, quindi per me la scuola era praticamente finita. Era così bello godersi un po’ di relax, libera da ogni stress. Ero al quarto liceo linguistico. Avevo studiato un sacco durante l’anno, e non osavo pensare al fatto che il prossimo anno avrei dovuto affrontare gli esami di maturità. Rabbrividii. Mi sistemai meglio sul mio letto e ripresi a leggere. Ma un altro pensiero mi distrasse.
Guardai l’orologio. Erano le sei. Chissà cosa sarebbe successo alle otto. Massì, sicuramente mi avrebbe fatto portare un mazzo di rose da uno dei suoi dipendenti, tanto per togliersi il senso di colpa. La rabbia cominciò a risalire al pensiero di ciò che era successo il giorno prima, così decisi di tornare al mio libro e di non pensarci più.
Il libro che stavo leggendo trattava delle tematiche molto toccanti e interessanti. Parlava di bambini maltrattai, di guerra e di tolleranza mancata.
Le ore passarono ed io ero talmente assorta a leggere e ad ascoltare musica che non sentii mia madre entrare nella mia camera. Mi tolse bruscamente gli auricolari dalle orecchie con una faccia piuttosto arrabbiata.
“Si può sapere in che mondo vivi? E’ da un’ora che ti chiamo!” esclamò.
“Scusami”, le dissi, sinceramente dispiaciuta. “Che volevi dirmi?”, le chiesi.
“Be’, non pensavo che nella mia vita avrei mai detto una cosa del genere, ma il tuo cantante preferito è davanti la porta di casa e chiede di te.”, disse lei, sorpresa e curiosa di vedere la mia reazione.
Io rimasi di sasso. Durante la giornata su Twitter girava voce che fosse andato via. Evidentemente era una balla.
Non lo volevo vedere.
“Digli che non ci sono.”, affermai io dura, distogliendo lo sguardo.
“Ehm, veramente non posso, gli ho appena detto che sei a casa!”, esclamò lei.
“Allora digli che non lo voglio vedere.”, dissi.
Mia madre sgranò gli occhi. Sicuramente mi credeva una pazza.
Si avviò lentamente alla porta. La sentii scendere le scale.
Lui era lì. Davanti casa mia.
Ma qualunque cosa avesse avuto in mente, io non ci sarei cascata.
Mia madre salì le scale ed entrò in camera mia.
“Ha detto che non se ne va da qui se tu non accetti di scendere e uscire con lui.”, affermò mia madre, sempre più confusa. Lei non sapeva della mattina prima.
“Ma che storia è questa? Il tuo cantante preferito è sotto casa tua e tu fai di tutto per non vederlo!”, disse sbalordita.
“Mamma...magari poi ti spiego.”, le dissi io, guardandola in modo rassicurante.
“Si, va bene, ma ora va’ da lui e vedi cosa vuole.”, mi rispose lei con decisione.
Mi alzai svogliatamente dal letto. Indossavo un pigiama che mi stava larghissimo e i capelli giacevano in una coda disordinata. Sorrisi a me stessa e decisi di scendere in quelle condizioni, magari vedendomi così mi avrebbe lasciata in pace!
Aprii la porta e me lo trovai davanti.
Aveva una mano poggiata allo stipite della porta e aveva lo sguardo rivolto verso il basso. Indossava una camicia con una fantasia a fiori che era sistemata dentro i jeans. I capelli giacevano ricci ed eternamente disordinati sulla sua testa. Era bellissimo.
Quando alzò gli occhi e si accorse di come ero vestita, non riuscì a trattenere una risatina.
“Ciao! Sono pronta, andiamo!”, esclamai io, indispettita. Avrei voluto che si fosse arrabbiato.
“Ciao Cassie!”, esclamò lui. Cassie. Ancora quel nomignolo. “Stai benissimo! Sei perfetta per andare al ristorante! Vieni ti accompagno in macchina!”, continuò lui non riuscendo a smettere di sorridere divertito.
Sgranai gli occhi. “A…al ristorante? Ma sono in pigiama! E non ho intenzione di uscire con te!”, gli gridai io in preda all’isteria.
Lui tornò serio. “Senti, adesso tu ti cambi ed esci con me. Resterò tutta la notte sotto casa tua se è necessario. So di essere stato stronzo, ma dammi almeno la possibilità di spiegare.”, mi disse lui tutto d’un fiato.
Non sapevo proprio cosa fare. Lui era lì per me, per convincermi ad uscire con lui, con gli occhi da cucciolo e la faccia da cane bastonato. Se me lo avesse chiesto due giorni fa non ci avrei pensato due volte ad accettare. Gli sbattei la porta in faccia.
Erano le nove e mezza. Aprii nuovamente la porta e trovai Noah seduto sugli scalini di casa mia. Quando mi vide, si alzò e mi venne incontro.
“Adesso sì che sei perfetta!”, esclamò sorridendo.
Avevo indossato un paio di jeans lunghi a sigaretta, una maglietta blu e avevo cercato di sistemare al meglio i miei capelli liscissimi. Avevo deciso di ascoltare cosa aveva da dirmi, in fondo mi era sembrato sinceramente dispiaciuto e desideroso di darmi delle spiegazioni.
Noah si passò una mano tra i ricci e mi fece strada verso la sua macchina.
Notai che non c’era nessuno alla guida.
“Oggi gli ho dato la serata libera.”, mi rispose Noah, come se mi avesse letto nel pensiero. Annuii sorridendo debolmente.
Ero ancora molto arrabbiata con lui. Non lo avrei di certo perdonato perché mi aveva fatto due moine e due sorrisi.
Con fare da gentiluomo Noah mi aprì lo sportello della macchina.
“Entra.”, mi incoraggiò lui sorridendo.
Non potei fare a meno di sorridere per quel gesto. “Grazie.”, gli dissi entrando in macchina. Quando entrò anche lui in macchina mi venne in mente una cosa.
“Ma siamo in ritardo, non troveremo più posto al ristorante!”, esclamai.
Lui mi scrutò attentamente con i suoi grandi occhi.
“A dire il vero, non ho prenotato nessun ristorante.”, disse lui facendo una piccola smorfia. “Sapevo che ci sarebbe voluto del tempo per convincerti a uscire con me, e che probabilmente non ci sarei riuscito.”, continuò lui, guardandomi serio.
Forse aveva paura di una mia reazione. Ma poco importava se mi aveva mentito per costringermi a uscire, ormai avevo deciso di ascoltare le sue scuse, e lo avrei fatto.
“E…quindi adesso dove andiamo?”,  gli chiesi io.
“Io ho già un’idea!”, esclamò lui, mettendo in moto la macchina.
Si creò un silenzio davvero imbarazzante tra di noi. Per me era surreale trovarmi in macchina con il ragazzo che con la sua voce mi faceva venire i brividi. Continuavo a pizzicarmi le braccia, convinta che fosse tutto un sogno.
Si vedeva che lui era in imbarazzo. Era lui il ragazzo audace del giorno prima? E il ragazzo che ballava spensierato in un palcoscenico davanti a milioni di persone? Cominciai a sghignazzare a questi pensieri.
Noah si accorse che stavo ridendo e il suo viso, che prima era serio e nervoso, tornò a rilassarsi. Stranamente non mi chiese perché stavo ridendo. Meno male.
In quel momento Noah parcheggiò e scese dalla macchina.
“Aspettami un attimo.”, disse lui lasciandomi sola e dirigendosi verso una pizzeria.
Io mi guardai intorno. La macchina profumava di buono. Notai che sopra il cruscotto c’era un foglio. Lo presi per leggere quello che c’era scritto e rimasi sbalordita.
“Ecco qua le pizze!”, esclamò Noah entrando in macchina. “Ma cosa stai leggendo? Dà qua!”, gridò lui allarmato, strappandomi il foglio dalle mani e conservandolo al sicuro. “Lo hai letto tutto?”, mi domandò poi preoccupato.
Annuii ancora, stupita. “Due volte.”, risposi, accennando un sorrisino di scuse.
“E’ il nuovo singolo, vero?”, gli chiesi io stavolta.
“No…cioè, si…io…non lo so.”, mi rispose lui, improvvisamente serio e con lo sguardo perso chissà dove. Dopo qualche secondo tornò a guardarmi negli occhi e mi prese la mano. “A…a te piace?”, mi chiese speranzoso.
Il mio cuore perse un battito. Spostai bruscamente la mia mano dalla sua.
Noah sgranò gli occhi. “Scusami.”, sussurrò, rimettendo in moto la macchina.
Tornai a guardare verso il finestrino. Chissà dove eravamo diretti.
Dopo qualche minuto Noah parcheggiò di nuovo. Mi aveva portata in un posto bellissimo. Era una spiaggia piena di panchine, quasi desolata. Il cielo era privo di nuvole. Le stelle e la luna splendevano come non mai quella notte. Noah scese dall’ auto e mi aprì lo sportello prima ancora che io potessi togliermi la cintura.
“Ti piace?”, mi chiese lui, sorridendo allegro.
“E’ bellissimo.”, risposi io, ancora incantata da così tanta bellezza.
Andammo a sederci su una panchina e mangiammo le nostre pizze.
“Ti ho preso una margherita, spero che vada bene.”, disse lui mentre addentava la sua pizza con fare goloso.
“Va benissimo.”, risposi io.
Quando finimmo di mangiare Noah cominciò a prendere la sabbia con le mani come un bambino curioso di 5 anni, e di tanto in tanto me la tirava addosso.
“Basta!”, gli gridai io ridendo.
Noah si fermò un attimo a scrutarmi. Dopodichè mi tirò per la mano e mi fece cadere sulla sabbia insieme a lui. Io continuai a ridere divertita. I nostri visi erano vicinissimi e i suoi occhi erano piantati dentro i miei. “Sei bellissima quando ridi.”, mi disse con un sorrisino malizioso. 
Mi alzai e tornai seria. “Smettila di cercare di infilarti nelle mie mutandine ogni due minuti.”, affermai dura.
Noah non riuscì a trattenere una risata.
“Non posso neanche farti un complimento?”, mi domandò, avvicinandosi pericolosamente a me.
Lo guardai negli occhi, in segno di sfida, pur sapendo che non sarei riuscita a sostenere il suo sguardo a lungo. I suoi occhi erano profondi e allo stesso tempo impenetrabili. Chiunque guardasse una meraviglia del genere rischiava di rimanere intrappolato per sempre dentro quel turbine di mistero e bellezza.
Rimasi incantata a guardare quegli occhi tremendamente belli, fino a quando mi accorsi che tra le sue labbra si faceva strada un sorrisino sempre più impertinente.
Distolsi immediatamente lo sguardo imbarazzata.
Lui lo sapeva. Sapeva ciò che era in grado di provocare con i suoi occhi, il suo sorriso, i suoi modi di fare, i suoi modi di sfiorare. E sfruttava questa capacità a suo piacimento. E tutti ci cascavano. Ma io no, non ci sarei cascata. Mai. Lo promisi a me stessa.
O forse lo avevo già fatto?
 “Perché mi hai portata qui?”, gli domandai io, arrabbiata.
Noah tornò serio. “Volevo spiegarti perché mi sono comportato da stronzo ieri. Non volevo che ti facessi un’idea sbagliata del tuo cantante preferito, perché quello di ieri non era il vero me.”, mi spiegò lui imbarazzato.
“Come fai a sapere che sei il mio cantante preferito? Non ti ho mai detto una cosa del genere.”, affermai, decisa a far crollare quella sua certezza. Non volevo farmi influenzare dal suo finto imbarazzo.
“B..be’, ho..ho visto quel foglio con la lista degli hotel e ho pensato…”
“Hai pensato che stessi cercando te?”
“Si, ho pensato che tu fossi una di quelle stronzette che mi raggiungono fino all’hotel per farsi portare a letto dal loro idolo.”, disse lui infastidito. “Certo, non tutte vengono a cercarmi fino all’hotel per quel motivo…avrei dovuto immaginare che tu non eri tra quelle…volevo solo allontanarti con quello che ti ho detto…”, continuò passandosi nervosamente la mano tra i capelli, facendo cadere la sabbia che si era incastrata tra i riccioli. “Quando mi hai dato quello schiaffo sono rimasto molto sbalordito, nessuna mia fan mi aveva mai trattato nel modo in cui avevi fatto tu…anche stasera…sembra quasi che io non ti interessi..”, disse avanzando verso di me.
Mi sentii sollevata. Noah era davvero chi diceva di essere nelle sue canzoni. Un po’ stronzo lo era, ma ricordai che anche questo aspetto del suo carattere era venuto fuori da ciò che raccontava nelle sue interviste. Tutta l’ammirazione che provavo per lui prima di conoscerlo ricomparve.
“Tu…be’…non stavi cercando me?”, mi chiese lui sempre più a disagio.
“No.”, gli risposi sorridendo. “Ma sì, tu sei il mio cantante preferito.”, continuai.
“Allora mi perdoni?”, disse lui, facendomi un faccino da cucciolo.
“Si!”, esclamai io ridendo.
Noah saltò contento e corse ad abbracciarmi, io continuai a ridere e ricambiai l’abbraccio. Lui si staccò dall’abbraccio, ma rimase comunque vicinissimo a me.
“Perché indossi un profumo maschile?”, mi chiese lui confuso.
Come aveva fatto ad accorgersene?
“Io..be’…mi piacciono i profumi maschili.”, gli risposi io imbarazzata.
“Tu sei pazza!”, esclamò lui ridendo.
Eccolo. Era lui il vero Noah. Quello saltellante e scherzoso.
Sorrisi mentre Noah mi accompagnava alla macchina.
Quando arrivammo a casa mia, era ormai mezzanotte. Noah aveva preso le strade più lunghe per arrivare a casa mia, sicuramente perché non conosceva bene il posto.
“AH! Ma posso sapere come hai fatto a sapere dove abito?”, gli chiesi io con sguardo indagatorio.
Noah allargò le braccia. “Di che ti stupisci? Io sono Noah!”, esclamò lui sorridendo. Io risi.
“Allora, buona notte Cassandra.”, mi disse lui, guardandomi sereno. Rimasi sorpresa. Non mi aveva chiamata Cassie.  
“Buona notte, Noah.”, gli risposi scendendo dall’auto.
Stavo per incamminarmi verso casa, ma improvvisamente mi girai e bussai al finestrino. Noah lo abbassò con un’espressione confusa. Io gli sorrisi.
“Il testo della canzone è meraviglioso.”




Tah dah! Sono tornata! Scusate l'enorme ritardo, ma ho avuto un mini blocco xD ho visto che le recensioni sono aumentate un pochino, e non potete immaginare quanto io sia felice! Spero tanto che il capitolo vi piaccia! Il prossimo capitolo sarà scritto sotto il punto di vista del nostro caro Noah! Curiose? Ahahahahahah xDFatemi sapere cosa ne pensate del capitolo, mi raccomando! 
Un bacio :3

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Indossavo un paio di occhiali e un cappello che mi nascondeva i ricci, per evitare di essere riconosciuto e assalito dalle fan. Mi piaceva andare di tanto in tanto a fare una passeggiata nei luoghi pubblici.
Ero dentro ad un supermercato, dove la gente normale passeggiava tranquillamente per le corsie con il proprio carrello e io fingevo di leggere con estremo interesse il prezzo degli stuzzicadenti.
Osservai un attimo tutta quelle persone.
Chissà se erano soddisfatti delle loro vite, così normali. Chissà se erano contenti delle loro facce, così comuni.
A volte immaginavo di essere uno di loro, di essere una persona normale, con un lavoro normale e una vita normale. Tutto normale. Bah, che noia!
Eppure la loro era una vita molto più tranquilla della mia. Tranquillità. La cosa che più mi mancava.
Loro erano trattati come si meritavano se facevano gli stronzi, non come me che la passavo sempre liscia. Una persona che non me l’aveva fatta passare liscia però c’era stata.
Mi diressi verso la cassa.
Cassa.
Cassandra.
“Il testo della canzone è meraviglioso.”
Quella frase mi girava per la testa da giorni.
Chissà cosa mi era saltato in mente quel giorno. Avevo spostato tutti gli impegni che avevo quella sera, solo per passare del tempo con quella lì. Ero rimasto fuori ad aspettarla per più di un’ora. E l’avevo portata in quel posto, dove non avevo mai permesso a nessuno di venire. Quando i nostri visi si erano avvicinati ero stato molto tentato di baciarla, ma se lo avessi fatto Cassie mi avrebbe picchiato!
Risi a quel pensiero. Mai nessuno, a parte mia madre, mi aveva mai dato uno schiaffo, nemmeno chi mi odiava. Figuriamoci una fan!
Adoravo il modo in cui corrugava la sua fronte quando si arrabbiava, il modo in cui si mostrava indispettita e pronta a vendicarsi come una bambina un po’ cresciuta, e il modo in cui cercava di nascondere l’imbarazzo e l’arrossamento delle sue guance con il suo modo di fare da dura.
Quella sera mi era piaciuto così tanto stare con lei. Quando al ritorno l’avevo portata a casa avevo scelto apposta le strade più lunghe per arrivarci. Volevo guardare i suoi bellissimi occhi verdi il più a lungo possibile. Quelle labbra poi...così piene e a forma di cuore...credevo di impazzire ogni volta che lei le mordeva distrattamente. Avrei voluto essere io a morderle...
Scossi la testa cercando di mandare via quei pensieri.   

Ero arrivato a casa. La mia casa era un caos. C’erano spartiti e fogli ovunque, insieme ai vestiti dei concerti ammucchiati in un angolino, in attesa di essere lavati.
Già. I concerti.

Da quando avevo conosciuto lei non avevo più cercato di portarmi a letto le fan. Mi ero reso conto che non era una cosa giusta approfittarsi di loro.
E poi come avrei potuto anche tentare di provarci con qualcuna, se ogni volta che le fan mi trovavano in albergo la pensavo?
Chissà se era venuta al mio concerto il giorno prima del nostro incontro…
Mi diedi un pizzicotto in guancia.
Pensavo Cassandra un minuto si e l’altro pure. Dovevo smetterla! Era solo una stupida fan dal carattere tosto!
Ma aveva un sorriso così bello…
Il suo profumo poi…quell’odore maschile che si mischiava al suo bagnoschiuma che profumava di pesche…
Chiusi gli occhi e inspirai a fondo per provare a risentire quel profumo. Ma li riaprii subito. Stavo diventando pazzo!
Non potevo continuare a pensare a lei, al suo profumo, ai suoi occhioni verdi e a tutto il resto.
Quella ragazza doveva andare via dalla mia mente. Dovevo concentrarmi per scrivere i testi del nuovo album. E non potevo di certo pensare a lei.
O forse potevo?
Improvvisamente l’ispirazione si impossessò di me.
Presi velocemente dalla tasca il taccuino con la matita e mi sedetti sul divano.
Cominciai a scrivere per un tempo che mi sembrò infinito.
Quando finii avevo annotato sul taccuino il testo di un’intera canzone. E la musica? Di solito quando avevo ispirazione riuscivo a scrivere sia testo che musica. Ma stavolta no. Mi sforzai di focalizzare una melodia nella mia mente. Nulla. L'ispirazione se ne era andata di colpo, nello stesso modo in cui era venuta. 
“Cavoli!”, urlai.
Mi sforzai di pensare a lei e al suo profumo. Ma niente.
Guardai l’ora. Era già mezzanotte.
Il giorno dopo avrei dovuto presentare il testo e la melodia del nuovo singolo al mio manager. L’ansia mi pervase subito l’anima.
A Cassie era piaciuto. E se era piaciuto a lei che era una mia fan, allora sarebbe piaciuto a tutti, no? Cercai di tranquillizzarmi.
Mi sedetti davanti al pianoforte e cominciai a provare il nuovo singolo. Se sarebbe piaciuto al manager avrei dovuto cominciare a registrare il nuovo singolo il giorno stesso. E nei giorni successivi avrei dovuto sia registrare il singolo, sia fare concerti.
E non avrei avuto tempo libero per restare tranquillo.
Ma forse era meglio così. Almeno non avrei avuto tempo di pensarla.
Decisi che era ora di andare a letto. Il giorno dopo sarebbe stato faticoso.
Mi svegliai di soprassalto. Guardai l’ora. Cavolo! Erano già le nove! Avevo appuntamento con il manager alle nove e mezza!
Mi alzai, mi lavai e mi vestii in fretta e furia. Persi un sacco di tempo a cercare di rendere presentabili i miei capelli, ma non ci riuscii.
Vivevo da solo in casa, quindi non avevo nessuno che mi preparasse la colazione. Ma era tardi per mettersi ai fornelli. Presi le chiavi e gli spartiti e uscii.
Arrivai allo studio del mio manager in perfetto orario.
“Buon giorno Paul.”, dissi io sorridendogli.
“Buon giorno mio caro Noah. Allora, fammi un po’ vedere cosa è uscito dalla tua testolina. Vai al pianoforte, su.”, mi incoraggiò lui, con un cenno della mano.
Erano anni che presentavo i miei lavori a Paul, ma ogni volta mi sentivo come se fossi ancora quel ragazzino di 5 anni fa insicuro e anonimo che mostrava una parte di sé ad uno sconosciuto.
Mi sedetti al piano e mi feci coraggio. Cominciai a suonare e a cantare. Paul mi guardava serio, anche se in alcune parti rideva. Il pezzo gli stava piacendo. Quando finii Paul scoppiò in una fragorosa risata.
“Mio caro Noah, non mi deludi mai!”, esclamò lui, dandomi una calorosa pacca sulla spalla. Io sorrisi timidamente.
“Allora incideremo il singolo?”, gli chiesi io.
“E me lo chiedi pure? Ci vediamo stasera alle otto allo studio di registrazione!”, mi gridò Paul contento. Risi.
Tornai a casa pieno di gioia e allegria. Speravo che anche ai miei fan sarebbe piaciuto.
Avevo tanta voglia di scrivere testi e di suonare. Ma a un tratto mi tornò in mente il testo che avevo scritto il giorno prima. Dovevo prima completare quella canzone.
La volevo nel mio nuovo album.
Entrai in casa e mi sedetti al pianoforte. Abbozzai un po’ di melodie, ma nessuna di esse rendeva onore al testo.
Chiusi gli occhi e provai a pensare a lei, a come l’avevo incontrata e al mondo in cui mi era entrata in testa decisa a rimanerci. Mi sforzai di risentire quel profumo.
Passai l’intera giornata davanti a quel dannato pianoforte. Ma niente.
Dovevo andare allo studio di registrazione. Probabilmente ci avrei passato l’intera notte. Chiusi la porta di casa dietro le mie spalle.
Dovevo risentire quel profumo.


Salve ragazzuoli del mio cuore! Scusatemi tantissimo per l'enorme ritardo, il capitolo era già pronto, ma non ho avuto il tempo di pubblicarlo...Scusate ancora! Questo capitolo è un po' di passaggio ^-^ Che ne pensate? Noah è proprio cotto ahahahahah! Secondo voi che succederà nel prossimo capitolo? Che farà il nostro pazzo cantante? Fatemi sapere cosa ne pensate! Ciao ragazzi, vi amo tutti, anche solo chi legge e non recensisce! <3

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Sono lieto di presentarvi il mio nuovo singolo ‘Rainbow’ disponibile già da ora su ITunes!”.
Quella frase aveva scatenato il delirio su Twitter.
Io quando avevo letto la notizia ero corsa a comprare il singolo.
Il testo lo avevo già letto per colpa della mia curiosità. Ero curiosa di ascoltare la melodia e il testo cantato.
E Noah come sempre non mi aveva deluso.
La melodia era delicata e allegra e la sua voce aveva una nota di giocosità particolare.
Quella canzone aveva le ali.
Già la adoravo.
Ero al mare, seduta sulla sabbia a giocare con alcuni bambini che avevo conosciuto sul posto. Chi avrebbe mai detto, guardandomi, che avevo quasi 18 anni?
Le ragazze della mia età di solito si stendevano sul loro telo a prendere il sole, ma io odiavo stare ferma per ore ad annoiarmi. Giocare era più divertente!
I miei genitori ormai non cercavano più di dirmi che ero un po’ cresciuta per costruire i castelli di sabbia, così mi lasciavano fare.
In quei giorni di mare avevo cercato di ritrovare la spiaggia in cui mi aveva portato Noah, ma non ero riuscita a trovarla.
Era passato un mese da allora.
Lui non era più venuto, e io non aspettavo di certo un suo ritorno. Era una cantante di fama internazionale, lui.
Avevo provato a chiedere alla gente nei dintorni, ma quando avevano sentito di spiaggia con le panchine, mi avevano riso in faccia.
Che c’era da ridere?
“Cassandra Cassandra! Dobbiamo fare l’entrata del castello! Facciamolo insieme!”, mi gridò Marta, una bellissima bambina con i capelli rossi e ricci e gli occhi verdi.
Le sorrisi e cominciai a scavare insieme a lei.
Ecco, il nostro capolavoro era finito. Avevamo costruito un castello coi fiocchi!
“Ragazzi…che ne dite se adesso...lo distruggiamo?”, chiesi io con un sorrisetto da delinquente.
I bambini erano eccitatissimi.
“Siiii!”, gridarono tutti in coro.
“Bene, allora al mio tre, ci sediamo tutti sopra il castello! Uno, due e...TRE!”, gridai, correndo. Io e i bambini eravamo completamente ricoperti di sabbia e ridevamo come matti.
Avevamo distrutto quello che avevamo costruito con tanta fatica, ma ci stavamo divertendo, e l’importante era questo!
Da grande avrei potuto fare questo. Occuparmi dei bambini. Farli divertire. Sarebbe stato fantastico!
Purtroppo io dovevo andare via, quindi salutai i miei amichetti con la promessa che un giorno sicuramente ci saremmo rivisti, e me ne andai.
Quando arrivammo a casa aspettai che i miei genitori si lavassero. Mi sedetti in cucina. Erano già le cinque del pomeriggio.
Presi le cuffie dallo zainetto e me le misi alle orecchie.
Ascoltai Rainbow. Che canzone profonda. Era incredibile il modo in cui Noah riuscisse a parlare di problemi come la depressione, la paura di non essere accettati e persino il suicidio con allegria e spensieratezza.
Quella canzone conteneva un paragone molto interessante. Come dopo la più violenta tempesta la gente si sofferma più su quella piccola esplosione di colori chiamata arcobaleno che sui tuoni e i lampi di poco prima, così la nonostante tutti gli orribili problemi che ogni giorno si devono affrontare, si può trovare conforto guardando alle cose belle, anche se piccole e brevi.
E una di quelle cose belle, poteva benissimo essere la sua musica.
Decisi di mettere quella canzone come suoneria del cellulare.
Improvvisamente suonò il campanello. Corrugai la fronte confusa. Non aspettavo nessuno a quell’ora. Chi poteva essere?
Mi avviai verso la porta e la aprii.
Sbarrai gli occhi.
Noah?
“Che ci fai qui?”, gli chiesi stupita.
Lui, dopo avermi scrutata, sorrise. Quegli occhi color nocciola al sole assumevano delle sfumature verdi. Non avevo mai visto niente di più bello.  
“Ciao anche a te! Dai su, vieni qui e abbracciami!”, esclamò lui ridendo e abbracciandomi. Io non ricambiai subito. Ero troppo stupita di rivederlo. Mi ero già rassegnata al fatto che non lo avrei rivisto, e mi ero maledetta perché non mi ero neanche fatta fare uno stupido autografo per conservare il ricordo di averci passato del tempo insieme.
Dopo essersi staccato da me, mi chiese allegramente come stavo e io gli dissi che stavo bene. Poi gli domandai di lui e lui mi rispose che andava tutto bene. Un silenzio imbarazzante si impossessò della situazione, silenzio che io decisi di rompere.
“Perchè sei venuto qui?”, gli chiesi io, col mio solito essere schietta.
Lui parve intimidito da quella domanda. Apriva di continuo la bocca, ma poi ci ripensava e la chiudeva.
“Io…be’…perché…”
“Cassandra! Vieni su a lavarti!”, mi gridò mia madre, interrompendo il povero Noah.
“Ehm…scusami ma io…sono stata al mare e adesso dovrei andare a…lavarmi ecco…”, gli dissi io, sperando che non si offendesse. Ero proprio un disastro. Aveva avuto la fortuna di rivederlo una seconda volta se si escludeva il nostro non molto piacevole incontro, e io che facevo? Mandavo la fortuna a quel paese per andarmi a fare una stupida doccia. Ero tentata di rimangiarmi quello che avevo detto e di invitarlo ad entrare, ma lui parlò prima di me.
“Oh..io ti aspetto qui allora, devo…devo parlarti di una cosa…”, mi rispose lui in difficoltà.
Quando aprii nuovamente la porta di casa, lo trovai nella stessa posizione della sera di un mese fa, seduto sugli scalini di casa mia ad aspettare pazientemente.
Stavolta però era sicuro che sarei tornata.
 Non si alzò come aveva fatto l’ultima volta, anzi, mi invitò a sedermi vicino a lui.
Tutta questa situazione mi suonava alquanto strana. Che cosa doveva dirmi di così importante?
“Senti…io lo so che ti sembrerà strano e anormale, e che probabilmente mi picchierai pensando che io sia un inguaribile pervertito…ma ti giuro che la mia richiesta non ha assolutamente secondi fini…”, cominciò lui.
Questa storia mi preoccupava sempre di più. Che cavolo voleva questo da me?
“Vai dritto al punto.”, gli dissi io, decisa.
“Si…scusami…”, mi rispose lui, facendo una breve risatina.
“Ho bisogno che tu venga a vivere a Londra con me.”, mi disse lui tutto d’un fiato.
A giudicare dalla sua faccia non dovevo avere una bella espressione.
Ero semplicemente…spiazzata.
“Ma non sarà per molto lo giuro, al massimo un mese, e poi la mia casa è grande, avrai una stanza e un bagno tutto per te, e prometto che non cercherò di fare il cretino come la prima volta che ci siamo visti, e poi..”
Lo interruppi mettendo un dito sulle sue labbra e avvicinandomi a lui di scatto. Lui chiuse un attimo gli occhi, probabilmente per la paura che lo prendessi a sberle.
“Ssshhhh.”, gli ordinai io.
Mi allontanai da lui e guardai il cielo.
“Perché?”, gli chiesi semplicemente io.
Lui ci pensò su qualche secondo.
“Per farmi compagnia. Sono sempre da solo, e tu fino ad ora sei l’unica persona che mi ha trattato come un suo pari. Voglio che tu sia mia amica.”, rispose facendomi un leggero sorriso.
“Cosa dirò ai miei?”
“Che ti ho offerto un lavoro. In fondo, è la verità. Farmi compagnia non è facile!”, scherzò lui. Risi.
Dopo averci pensato un altro po’, accettai. A lui brillavano gli occhi dalla felicità e mi diede un lungo abbraccio e io gli dissi che era completamente fuori di testa, ma ridevo. 
E un po’ lo pensavo davvero.
I miei genitori per fortuna furono entusiasti del fatto che avessi trovato un lavoro estivo, per di più col cantante di cui avevano sentito parlare per anni, e mi lasciarono andare volentieri.
Avrei preso l’aereo il giorno dopo. Dovevo preparare la valigia e mille pensieri mi frullavano per la testa.
Che cosa avrei fatto in quel mese? Mi sarei divertita? Era mai possibile che il mio cantante mi avesse chiesto di andare a vivere da lui? E se lo avessi deluso? Se non fossi stata come si aspettava? E se mi avesse deluso lui?
Che strana situazione.
Decisi di chiamare Iris, a cui avevo già raccontato l’accaduto del mese prima.
“Tu hai il culo grande quanto l’Europaaa!!”, esclamò Iris, in preda alla felicità e all’invidia. “Ma ti rendi conto? Il tuo cantante preferito vuole che tu gli sia amica! Me lo devi presentare assolutamente, mi hai capita piccola peste?”, mi gridò ancora lei al telefono.
“Va bene va bene!”, esclamai io in preda alle risate. Poi tornai seria. “Senti Iris, io ho paura di non essere all’altezza…e se gli faccio schifo come persona e mi manda a casa a calci in culo e non mi paga neanche l’aereo per il ritorno?”, gli chiedo io in preda alla tristezza.
“Ma piccola mia, non gli potrai mai fare schifo! E sai perché? Perché tu sei una persona fantastica! Ti adorerà capito?”, mi incoraggiò lei. “E adesso vai a preparare quella valigia, divertiti e fammi sapere quando arrivi e cosa succede!”, continuò lei allegra.
Mi sentii rincuorata da quelle parole. “Grazie mille Iris, ti voglio tanto bene.”
“Anche io!”
Riattaccai e cominciai a preparare la valigia.
Il giorno dopo mi ero alzata, preparata, avevo salutato i miei e avevo preso un taxi per arrivare all’aereoporto.
Il viaggio era stato lunghissimo, sembrava quasi interminabile. E all’uscita dell’aereoporto di Londra non c’era lui ad aspettarmi, ma un suo body-guard.
Cominciavamo bene. Ero sicura che da quel momento in poi avrei dovuto passare la maggior parte del tempo con Mister Sonotuttomuscoliepotenza e Noah sarebbe stato sempre assente, e io avrei finito per scappare via qualche notte per la noia con alle calcagna quell’omone che alla fine mi avrebbe preso e rinchiuso in cantina della casa per il resto della mia vita!
Mi avviai verso quella specie di armadio a quattro ante e finsi un sorriso.
“Ciao Cassandra! Sei tu Cassandra vero?”, mi chiese lui con fare amichevole.
“Si…sono io!”, esclamai io.
“Cos’è quella faccia? Ti sembro il solito omone che ringhia a tutti come un cane affetto da rabbia? Dai su fatti abbracciare!”, esclamò abbracciandomi goffamente e sollevandomi da terra. Chissà come sembravamo buffi. Risi di gusto e ricambiai caldamente l’abbraccio.
Forse non era come pensavo. Magari mi avrebbe aiutata lui a scappare via se mi fossi annoiata, e al posto mio avremmo rinchiuso una bambola di gomma in cantina! Alla faccia tua Noah!
Dio, che sciocchezze mi faceva pensare il fuso orario…
“Come ti chiami?”, gli chiesi io finalmente a mio agio.
“Mi chiamo Marco! Anche io sono italiano!”, esclamò, invitandomi a seguirlo fino alla macchina.
Fuori pioveva. Che bell’estate che mi aspettava lì…
Passammo tutto il tempo del viaggio a parlare dell’Italia, della carriera di Marco e di come si era ritrovato a lavorare per Noah. Poi mi chiese come avevo fatto io a conoscere il cantante, e lui scoppiò in una fragorosa risata.
“Era ora che qualcuno desse una lezione a quel birbante! Brava sorella! Batti il cinque!”, mi disse togliendo una mano dal volante e battendo la mano contro la mia. Risi un sacco per tutto il tempo del viaggio.
Già adoravo Marco.
Nel frattempo aveva smesso di piovere, e il sole aveva fatto capolino.
Ci fermammo davanti ad un appartamento che sembrava enorme già da fuori.
Marco scese dalla macchina e mi aprì la portiera, come aveva fatto Noah quando eravamo andati in quella spiaggia.
“Casa dolce casa!”, disse Marco avviandosi verso la porta e bussando.
“Senti Marco, ma questa casa ha una cantina?”
“Si perché?”
Aiuto…
La porta si aprì.



Salve ragazzi. Io non so davvero se questo capitolo vi piacerà, non so se la storia vi piaccia, non so niente xD Spero tanto di sì però! Avete visto che ha fatto il nostro Noah? aww che carino ^-^ Secondo voi adesso che succederà? Ho tante belle cose in serbo per voi! Spero di aggiornare presto, ciao a tutte <3 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Quello che vidi quando la porta si aprì mi lasciò stupita.
Primo, perché ad aprirmi la porta non c’era solo Noah. Insieme a lui c’era una donna in tailleur a dir poco bellissima: alta, magra, sensuale, bionda e con gli occhi di un azzurro elettrico.
Secondo, perché era quasi sera e Noah sembrava essersi svegliato al momento, visto che aveva tutti i capelli arruffati e indossava solo le mutande, lasciando in bella vista il suo corpo. E che corpo. Cercai di non soffermarmici a lungo.
Non era difficile immaginare cosa avessero fatto quei due in casa da soli.
Noah quando si accorse di me diventò rosso dall’imbarazzo, poi mi rivolse un sorriso timido.
“Allora Kate, ci..ci vediamo domani per stabilire meglio il tutto.”, disse lui, prima di salutarla con due baci in guancia. Kate si limitò ad annuire, mi rivolse un’occhiata storta e se ne andò.
Nel frattempo Marco aveva sghignazzato tutto il tempo.
“Be’, io vado a portare le valigie della signorina in cameraa sua.”, disse il mio omone preferito, prendendomi una valigia dalle mani e salendo al piano di sopra.
“Benvenuta Cassandra.”, mi disse Noah, venendo verso di me e abbracciandomi. Stavolta ricambiai l’abbraccio, ma me ne pentii subito quando le mie mani vennero a contatto con la pelle calda e liscia della sua schiena.
“Scusami se mi sono fatto trovare così, io…be’…stavo…dormendo!”, continuò lui.
“Ah si? Con Kate scommetto!”, esclamai io, sghignazzando.
Lui sbarrò impercettibilmente gli occhi.
“Kate è la mia manager.”, mi disse lui con noncuranza.
“E Paul?”, gli chiesi io, confusa.
“Lo è anche. Kate mi organizza i concerti e i vari eventi dove mi devo esibire, mentre Paul si occupa del lancio dei miei dischi.”, mi rispose lui. “Ho diviso loro i compiti perché Kate è una mia cara amica ed era disoccupata, quindi…”
“Ah be’, a quanto ho visto Kate è una tua cariiiiiissima amica…”, gli dissi ricominciando a ridere.
Noah sbuffò.
“Certo che non ti si può nascondere mai niente eh?”, mi chiese iniziando anche lui a ridere.
“Ti ci dovrai abituare.”, dissi io alzando le spalle.
Noah mi mise un braccio sulle spalle. “Dai vieni qui, ti faccio vedere la casa.”
Quella era senza dubbio la mia casa dei miei sogni. Sembrava appena comprata. E la mia stanza era bellissima.
“Il letto è a due piazze, in caso volessi compagnia…Ahia! Scherzavo!”, esclamò Noah mentre riceveva un pugnetto sulla spalla. Ma girandomi per dargli il pugno mi ricordai che lui era lì, che mi abbracciava, mezzo nudo, nella mia nuova stanza. Non che mi facesse effetto.  
“Per piacere potresti andarti a mettere qualcosa addosso?”, gli chiesi distogliendo lo sguardo imbarazzata. “E datti anche una sistemata ai capelli.”, continuai facendo una risatina.
Lui non rise.
“Perché? Non vado bene così?”, mi rispose, abbracciandomi da dietro così che il suo petto fosse appiccicato alla mia schiena.
“N..Noah, smettila. O me ne vado adesso. Hai promesso.”, minacciai, con la voce un po’ tremante, prendendo le sue mani e togliendole dalla mia pancia.
Tornai a guardarlo. La mia minaccia non lo aveva spaventato. In fondo sapevo anche io che non lo avrei fatto. Ci tenevo quanto lui a stare lì, volevo conoscerlo, perché ero sicura che non fosse come si mostrava. I suoi occhi si piantarono dentro i miei e io non potei fare a meno di rimanerne ipnotizzata ancora una volta. Quel giorno parevano quasi grigi.
Feci uno sforzo immane per chiudere i miei occhi. Odiavo quando tentava di mettermi in difficoltà e riusciva nell’intento.
“I..io…sono molto stanca…devo andare in bagno!”, esclamai, scappando via e lasciandolo solo nella mia stanza.
Dopo quella volta Noah non aveva più provato a mettermi le mani addosso, un po’ perché non aveva tempo e un po’ perché ogni volta che ci provava, andavo a rinchiudermi nella mia stanza e per un’ora non gli rivolgevo la parola. E finalmente lui sembrava aver colto il messaggio.
Era ovvio che Noah quando mi aveva proposto di vivere da lui, non aveva considerato il fatto che quel periodo sarebbe stato parecchio impegnativo per lui per via del disco. Ogni sera andava via per lavoro, e tornava alle tre o alle quattro del mattino. Non potevo andare con lui, perché “se no mi sarei rovinata la sorpresa e non sarebbe riuscito a concentrarsi con me là”. Me lo ripeteva sempre.
Per non parlare dei concerti. Uno sarebbe stato la settimana prossima.
Noah era abituato a vivere da solo, quindi non aveva un orario per pranzare o per fare colazione, non bussava alla porta prima di entrare e lasciava la biancheria sporca ovunque.
Ma in fondo a me andava bene così, l’importante era che mi avrebbe pagata, no?
Uscii di prima mattina come ero solita fare, e feci una passeggiata nei dintorni. Noah dormiva profondamente. Quella notte era tornato talmente tardi dallo studio che non lo avevo sentito arrivare.
 Andai a fare colazione nel mio ormai bar preferito, e mentre bevevo con estrema calma il mio cappuccino, un ragazzo si avvicinò a me.
“E’ libero quel posto?”, mi domandò indicando la sedia accanto alla mia e sorridendomi.
Lo guardai. Era un ragazzo alto, con i capelli rossi e gli occhi verdi come i miei. Solo che i suoi erano più belli.
“Si, e sono liberi anche tutti i tavoli qui intorno.”, gli risposi io divertita, indicandoli con la mano.
“Che posso farci se hai scelto il tavolo migliore?”, mi chiese sedendosi e addentando con noncuranza il suo cornetto.
Risi di gusto e contagiai anche lui.
“Mi chiamo Nicholas! E tu?”, mi disse, porgendomi la mano.
“Cassandra!”, esclamai.
“Tu non sei inglese, o sbaglio? Il tuo accento ti tradisce!”, mi chiese curioso.
“No infatti, sono arrivata una settimana fa qui a Londra. Sono italiana!”, risposi entusiasta di poter fare conversazione con qualcuno che non sia uno scorbutico e assonnato cantante pervertito.
“Oh davvero? E perché una bella ragazza come te è venuta in un paese grande come questo tutta sola?”, mi chiese lui.
“Per lavoro! Per cos’altro se no?”, esclamai sorridendo. Questo ragazzo già mi piaceva.
“Oh! Va bè avrai sicuramente fatto un giretto qui in città prima di lavorare no?”, chiese. “No? Come no?”, chiese ancora, vedendo la mia espressione.
“Il tuo capo è davvero perfido eh!”, esclamò poi.
Eh si, mi fa sgobbare un sacco sai………
Mi limitai ad alzare le spalle sorridendo.
“Dobbiamo rimediare! Sei libera domani? Domani mattina?”, mi disse, con una luce di speranza negli occhi. Come potevo dire no a quel bel faccino? Tanto Noah la mattina dormiva..
“Si! Vuoi farmi visitare Londra?”
“Voglio farti divertire!”
Risi. E rise anche lui.
“Ti vengo a prendere a cas…”, iniziò lui.
“Mi vieni a prendere qui! Alle dieci!”, affermai io decisa. Non volevo dargli l’indirizzo di Noah, era pur sempre un cantante famosissimo, che peraltro ci teneva che non venisse assillato in casa sua dalle fan. E aveva ragione. Casa era l’unico posto in cui riusciva a trovare un po’ di tranquillità e di pace mentale. E non volevo rovinare tutto dando l’indirizzo a questo ragazzo che, anche se simpatico, era pur sempre uno sconosciuto.
Io e Nicholas finimmo di accordarci per vederci il giorno dopo, dopodiché cominciai ad avviarmi verso casa con la colazione per Noah. Era la prima volta che gliela portavo. Non volevo che passasse l’intera mattinata senza mangiare, solo perché si svegliava tardi e non sapeva cucinare.
La cucina era praticamente nuova. Noah mi aveva raccontato che era stata usata solo una volta da sua madre che gli aveva preparato il pranzo. E in questa settimana non mi aveva dato la possibilità di usarla (forse avendo paura che bruciassi la casa).
Arrivai a casa e trovai Noah che scendeva le scale con i capelli tutti bagnati e un asciugamano attaccato alla vita.
Ma feci finta di niente, scene così stavano diventando quotidiane ormai.
Guardiamo il lato positivo Cassandra, magari prima girava nudo per casa, ora almeno si degna di coprire il minimo indispensabile……
Che convivenza faticosa.
Quando Noah mi vide mi fece un sorriso così bello che fece istintivamente sorridere anche me. Mi gridò buongiorno e venne a darmi un bacino in guancia. Mi scostai leggermente, ma lui sembrò non accorgersene.
“Ti ho portato la colazione!”, esclamai, poggiando il sacchetto di carta su un ripiano della cucina.
Noah si precipitò sul sacchetto e in pochi minuti finì tutto quello che gli avevo portato. E meno male che la mattina diceva di non avere mai fame.
Mi ringraziò con la bocca ancora piena e con la faccia tutta sporca di zucchero a velo. Era buffissimo. Presi un fazzoletto e gli pulii la faccia ridendo. Lui si lasciò pulire e mi fissò tutto il tempo. Non ci badai molto.
“Mi sento la tua mammina.”, gli dissi divertita.
“Tu sei la mia mammina.”, affermò lui ridacchiando e scompigliandomi e capelli.
Gli sorrisi. Adoravo il Noah in versione gentile, pucciosa e senza secondi fini.
“Sai ho conosciuto uno. Domani usciamo insieme.”, buttai lì.
Lui fece una smorfia.
“Come si chiama?”
“Nicholas”
“Dove lo hai conosciuto?”
“In un bar.”
“Dove ti porta?”
“A vedere  Londra.”
“Non mi piace questo.”
Alzai gli occhi al cielo.
“Ma non lo conosci nemmeno”
“Non mi piace lo stesso.”
“Mi dispiace per te. Non ti sto chiedendo il permesso di uscirci. Ti sto solo avvisando che domattina non ci sarò.”
“Ma io sono il tuo capo e sono maggiorenne, tu sei minorenne. Non posso permettere che uno sconosciuto ti porti in giro per Londra. Non se ne parla.”
“Oh andiamo Noah, sappiamo entrambi chi dei due è più maturo, al di là dell’età.”
“Non mi conosci ancora Cassie.”
“Nemmeno tu.”
“Te lo leverò dalla paga di questo mese.”
“Ah si? E mi leverai anche tutte le serate in cui mi hai lasciata da sola per andare in studio?”
“E’ stato per questioni di lavoro.”, rispose lui rabbuiandosi.
“Avresti potuto portarmi.”, dissi io dura.
“Ma se ti portassi ti rovinerei la sorpresa e…”. Oh rieccola, la solita frase.
“…e non riusciresti a concentrarti con me là! Lo so, lo so!”, continuai io, indispettita, girandomi per dirigermi nella mia stanza.
Ma lui mi venne dietro e mi prese per un braccio, costringendomi a girarmi.
“Esci con me stasera.”
Questa frase mi lasciò spiazzata. Quel ragazzo era impossibile.
“No.”
“Perché n…?”, inziò lui ma io lo interruppi.
“Ssshhh.”, dissi, avviandomi verso la porta. Avevo sentito il pianto di un cucciolino. Ecco. Lo avevo sentito di nuovo. Noah sembrava aver capito e anche lui ascoltava attentamente quanto me.
Aprii la porta e sulle scale c’era un gattino, che suppergiù poteva avere due mesi, che piangeva e miagolava insieme.
Povero piccolo. Chissà quanta fame aveva. Lo presi in braccio e quello prese a leccarmi le mani, facendomi il solletico.
Mi voltai verso Noah.
“Possiamo tenerlo?”, gli chiesi, continuando ad accarezzare quel batuffolo di pelo bianco.
“Esci con me stasera.”
“No.”
“Allora niente gatto.”
“Sei proprio uno stronzo approfittatore.”
“Così va la vita. Allora?”
“Non azzardarti a portarmi in ristorantini romantici e cose simili, se no scappo via. Intesi?”
“Non ti assicuro niente. Ah, se il gatto fa danni, vi chiudo entrambi in cantina.”
Ancora con questa storia della cantina?





Salve ragazze ^-^ scusate il ritardo enorme, ma ci sono stati i miei parenti ospiti a casa mia, quindi non ho mai trovato tempo e tranquillità per poter scrivere! Be' spero tanto che il capitolo vi sia piaciuto, Noah è un po' gelosetto eh? Il prossimo capitolo vedremo un po' quali sono i pensieri di Noah e che cosa combineranno questi due :3 Che cosa ne pensate di Nicholas? A me sta molto simpatico :3 Fatemi sapere che ne dite! Un bacione a tutti e grazie a chi mi recensisce, o a chi mette la mia storia tra le preferite e tra le seguite! Mi fate felice! <3

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Il gatto era stato battezzato col nome di Whiskey, perché essendo ancora piccolino barcollava un po’ quando camminava, come se fosse ubriaco.
Cassandra lo aveva coccolato e accudito per tutto il giorno, lo aveva lavato, cibato e portato dal veterinario per un controllo. Per fortuna stava bene.
Com’era bella quando si occupava premurosamente di qualcuno.
In quel momento stava seduta sul divano a fare le coccole al piccolo Whiskey. Mi sedetti accanto a lei, che subito mi fulminò con lo sguardo.
Era ancora arrabbiata con me.
Feci finta di niente.
“Posso toccarlo per almeno cinque minuti? Fino ad ora me lo hai solo fatto guardare da lontano.”, dissi rivolgendole un sorriso mentre indicavo il batuffolino.
Lei dopo qualche istante me lo diede senza guardarmi.
“Ciao piccolo! Mamma Cassandra ha fatto proprio un ottimo lavoro con te, vero? Adesso sei tutto pulito e profumato! Sei bellissimo!”, cominciai a dire accarezzandolo con dolcezza.
Cassie sentendo quelle parole si addolcì e sorrise un pochino, sorriso che fece scomparire nel giro di attimi.
Sospirai.
“Sei ancora arrabbiata con me?”
“Si.”
“Ma io…”, cominciai a dire, ma lei mi interruppe.
“Perché vuoi impedirmi di uscire con Nicholas se tanto la mattina dormi come un ghiro?”, mi chiese rivolgendomi uno sguardo indispettito.
Mi sentivo il padre che proibiva alla figlia di andare alla festa del ragazzo che le piaceva.
Whiskey nel frattempo giocherellava con le mie mani, così grandi in confronto al suo piccolo faccino.
“Perché…perché qui non siamo in un piccolo paesino italiano come il tuo. Qui siamo a Londra, dove il tasso di criminalità è molto più elevato. Questo ragazzo con cui vuoi uscire è uno sconosciuto, non puoi essere sicura che non sia una persona malintenzionata.”, ed era vero che non volevo che andasse per quel motivo. Ma il motivo principale era che la gelosia mi stava mangiando vivo.
Che stupido. Volevo che Cassandra fosse  tutta mia?
Si, volevo esattamente quello.
“Io…ero solo preoccupato per te, per la tua incolumità, va bene?”, continuai, arrossendo leggermente. Era la prima volta che confessavo a qualcuno che non fosse un mio familiare che mi preoccupavo per lui.
Ero proprio cotto. 
Cassandra restò ad ascoltarmi, meravigliata.
Improvvisamente mi tolse il gattino dalle mani e se lo mise sulle gambe, dopodiché appoggiò la testa al mio petto e chiuse gli occhi.
Io rimasi immobile, credendo di star sognando. Non sapevo dove mettere le mani e da leggermente colorate le mie guance erano diventate infuocate.
Pregavo in cinese che Cassandra non si accorgesse dei battiti del mio cuore accelerati.
Dio, sembravo un ragazzino alle prese con la sua prima cotta…
“Perché hai..?”, cominciai io.
“Ora so che mi vuoi bene davvero e che non vuoi proibirmi questa cosa per presunzione. Questo è il mio modo di fare pace.”
Be’, buono a sapersi…da quel momento in poi ci avrei litigato più spesso, se significava averla addosso.
La circondai con un braccio e inspirai a fondo il suo profumo.
Stemmo in quella posizione per non so quanto tempo.
Per fortuna il mio stupido cuore dopo un poco si decise a calmarsi e mi ricordai come si respirava.
Nella stanza regnava il silenzio, interrotto ogni tanto dai miagolii di Whiskey.
E io non potei fare a meno di fissare Cassandra per tutto il tempo.
Ogni giorno, cercavo di convincermi che ero al controllo della situazione, che girando mezzo nudo per casa o abbracciandola e dandole baci prima o poi avrebbe provato un qualche tipo di sentimento verso di me. Ma niente! Non si imbarazzava, non arrossiva. Non era neanche gelosa di Kate. Zero. Come se non esistessi.
E più passavano i giorni più capivo che ero io quello in balìa di lei. Pendevo dalle sue labbra. Anzi, dal suo profumo.
E non sapevo come uscirne.
Perché non cadeva ai miei piedi come le altre?   
Dopo tutto quel silenzio mi decisi a parlare.
“Cassie, ma allora con quel Nicholas..?”
“Noah..”, mi rispose lei con un leggero tono di rimprovero.
“Okay, va bene.”, dissi, alzando gli occhi al cielo. “Non mi intrometto!”.
Che aveva quel Nicholas che io non avevo?
“Ora vatti a preparare per stasera su.”, le dissi facendo uno sforzo immane per allontanarla da me e aiutarla ad alzarsi.
Lei mi sorrise, ma mentre si avviava per andare in camera sua le squillò il cellulare. Quando vide il nome sul display le si illuminarono gli occhi e io mi sentii male.
Che fosse Nicholas?
La gelosia mi salì alle stelle.
“Iris!”, disse lei rispondendo al cellulare.
Stupido. Stupido. Stupido.
“Oh si qui da Noah va tutto bene! E’ qui con me! Vuoi che te lo passi? Oh dai su non fare la timida!”, continuò lei ridendo.
EH? Perché io? Chi era questa Iris?
“Noah!”, mi sentii chiamare.
“Siii?”, risposi.
“C’è qui al telefono una mia carissima amica, che non vedo da tanto per sfortuna, e che è una tua grandissima fan! Eravamo insieme al concerto che hai fatto nella città in cui vivevo!”.
Ah, allora al concerto c’era venuta…
“Potresti venire qui a salutarla?”, mi chiese lei guardandomi con i suoi occhioni.
Come potevo dirle di no?
Mi alzai e le presi il telefono dalle mani.
“Ciao Iris.”, le dissi io gentilmente.
Nessuno mi rispose.
Mi scappò una risatina. “Guarda che non ti mangio mica…”, affermai continuando a ridere.
“Lo so…cioè…è che non mi sembra vero di stare qua al telefono con te…cioè…chi lo avrebbe mai detto…io volevo solo dirti grazie per la musica che fai e per la voce stupenda che hai…solo questo…”, mi rispose Iris. Si sentiva che stava per piangere dall’emozione. Sorrisi istintivamente.
A volte dimenticavo di essere una star internazionale e che oltre a quelle che mi seguivano solo per farsi portare a letto, c’erano anche delle vere fan come lei. Mi venne voglia di abbracciarla.
“Senti, Cassie mi ha detto che non vi vedete da molto…che ne pensi di passare un fine settimana qui da noi? Una fan meravigliosa come te merita di abbracciare il suo cantante preferito!”, esclamai facendo una risatina.
“DAVVERO?”, gridò felice Iris. Io risi.
“Cioè…voglio dire…davvero posso venire?”, mi chiese ricomponendosi.
“Certo Iris, ti va bene un volo per questo fine settimana?”, le chiesi io.
“Se mi va bene? Ovvio!”, esclamò lei.
“Bene, allora in questi giorni Cassandra ti farà sapere la data precisa e l’ora della partenza, va bene?”
In tutto quel tempo non avevo osato guardare Cassandra. Speravo di averla colpita. O almeno di averla fatta felice.
Quando chiusi la conversazione con Iris mi girai verso Cassandra, ma prima che potessi dire qualcosa lei si fiondò tra le mie braccia, mi urlò un grazie e mi schioccò un bacio in guancia. Poi se ne andò canticchiando e saltellando in camera sua.
Io rimasi di pietra. Ero arrossito di nuovo.
Cercai di darmi un contegno, e dopo un po’ alzai gli occhi al cielo ridendo. Quando faceva così sembrava proprio una bambina.
Mi avviai in camera mia e mi preparai per la serata che le avevo riservato.
La stavo aspettando in salotto insieme a Whiskey, che si era rivelato un gattino molto tranquillo e desideroso di coccole.
“Sono pronta!”, esclamò Cassandra, scendendo le scale.
Mi voltai per guardarla e il mio cuore perse un battito. Mi alzai dal divano lasciando Whiskey da solo, mi diressi verso di lei e le presi le mani.
“Sei…bellissima.”, dissi, guardandola intensamente negli occhi.
E, per la prima volta, lei arrossì.
“Grazie.”, mi rispose imbarazzata sorridendo.
Le guardai le labbra, ma fu un grande sbaglio. Ne rimasi come ipnotizzato, e lei se ne accorse. La tentazione di baciarla era troppa, più della paura di essere respinto.
Mi avvicinai a lei fino a sfiorarle il naso. Lei sbarrò gli occhi, ma non si mosse.
La presi per i fianchi, continuando a guardarla negli occhi per cercare la sua approvazione. Ma lei si limitava a fissarmi, con le guance in fiamme.
“Andiamo?”, disse lei all’improvviso allontanandosi da me.
Stupido. Stupido. Stupido che sono.
Perché non l’avevo baciata subito?
“Si. Andiamo.”, le risposi facendole un sorrisino mentre mi grattavo la testa imbarazzato.
Uscimmo di casa e mi incamminai verso la strada.
“Andiamo a piedi?”, mi chiese Cassandra.
“Si, non è molto lontano da qui.”, gli risposi io.
“Bene, allora andiamo!”, esclamò prendendomi a braccetto.
Rimasi colpito dalla naturalezza di quel gesto. Voglio dire, un attimo prima avevo tentato di baciarla e lei mi aveva chiaramente fatto capire che non voleva, e ora si comportava come se non fosse successo nulla?
Questa ragazza era strana.
Però fui anche sollevato da quel gesto. Almeno non era di nuovo arrabbiata con me.
“Come mai oggi non vai agli studi di registrazione?”, mi chiese ad un tratto.
“Il giovedì lo studio è chiuso. Non ricordi che la settimana scorsa mi hai trovato in casa?”, le risposi guardandomi i piedi.
Lei annuì e rise, ripensando in che situazione mi aveva trovato. Peccato che non sapesse che con Kate non ci avevo fatto proprio nulla.
Scegliere di andare a piedi fu un grande sbaglio, dato che i paparazzi ci avvistarono e tentarono di fare una foto “alla star con la nuova fiamma”.
Presi per mano Cassandra e cominciai a correre insieme a lei, seguiti da quegli impiccioni. Io ero abbastanza infastidito, ma a quanto pareva Cassandra no, perché mentre correva rideva come una matta. Alla fine la sua risata contagiò anche me.
La trascinai con me in un vicolo, e per fortuna riuscimmo a seminare quei quattro.
“Forse non è stata una buona idea andare a piedi.”, le dissi io con il fiatone.
“Ma dai! E’ stato fantastico! Dobbiamo rifarlo!”, esclamò lei, continuando a ridere divertita.
Feci una smorfia. “Magari un’altra volta. Per oggi chiamiamo Marco.”
Nel giro di due minuti Marco era davanti a noi, più sorridente che mai.
“Eccola la mia piccolina! E’ da un secolo che non ci vediamo! Come stai?”, disse scendendo dalla macchina e abbracciando Cassandra.
Di lui almeno non ero geloso.
“Marco! Sto benissimo! Io e Noah eravamo usciti a fare un giro ma poi sono usciti fuori i paparazzi e abbiamo cominciato a correre come matti! Ci mancava solo che uscissero fuori dai cespugli! Come nei film!”, prese a raccontare lei, entrando in macchina.
Marco e Cassandra avevano davvero una bella intesa. Bah, sarà perché erano entrambi italiani.
“Marco, portaci in quel posto.”, dissi io.
Marco rimase stranito.
“In quel posto con…Cassandra?”
“Si”
“C’è qualcosa da mangiare in questo misterioso posto di cui parlate? Ho una fame!”, esclamò all’improvviso Cassandra, osservandoci.
Andammo prima a prendere due pizze da portare via e le mangiammo in macchina mentre Marco ci portava nel mio posto.
Quando scesi dalla macchina mi avvicinai al finestrino di Marco.
“Grazie mille Marco, puoi andare, noi torneremo a piedi. Ci vediamo domani.”, gli dissi, stringendogli la mano.
Nel frattempo Cassandra si guardava attorno incuriosita, sicuramente si stava chiedendo dove diavolo l’avevo portata.
“Vieni con me.”, le dissi prendendola per mano.
Aprii la porta di quello che sembrava un ufficio normalissimo da fuori. La feci entrare.
Come mi aspettavo, era stupita e meravigliata allo stesso tempo.
Sapevo che le sarebbe piaciuto.
La stanza, le cui mura erano grigie, era completamente vuota, tranne che per un pianoforte bianco a coda al centro. Il tetto era fatto di vetro, e in una serata come quella, il panorama era fantastico. Le stelle erano infinite ed emanavano una luce particolare, quasi danzante, mentre la luna maestosa si ergeva su tutto il cielo.
Sul pianoforte giacevano numerosi fogli, tra cui quello su cui c’era scritta la sua canzone, ancora priva di melodia. 
Quello era il mio posto. Nessuno lo aveva mai visto, a parte Marco.
Mostrare a Cassandra quel posto era come mostrare una parte intima e fragile di me. La parte sensibile, creativa, romantica e riflessiva.
E volevo mostrare quella parte di me a Cassandra per farle capire che non ero lo stronzo, lo spaccone e il presuntuoso Noah. Quello di ogni giorno non era il vero me.
E lei aveva capito.
“Che cosa mi suoni?”, mi chiese lei indicando il piano, con gli occhi che le brillavano.
“Tu cosa vuoi che ti suoni?”, le chiesi io di rimando.
“’Nothing’”, mi rispose lei decisa.
Che strano. Aveva scelto la mia preferita.
Mi sedetti al piano e cominciai a suonare e cantare con trasporto.
Cassandra si sedette sullo sgabello vicino a me e appoggiò la testa sulla mia spalla.
Che bella sensazione era averla vicina mentre facevo quello che amavo di più al mondo.
Finii la canzone e la guardai negli occhi. Quanto erano belli. Forse più delle stelle.
“Suona ancora.”, mi ordinò lei, ancora appoggiata alla mia spalla.
Così cominciai a suonare e a cantare diverse canzoni, solo per lei.
Non mi sentivo affatto a disagio con lei nel mio posto, come di solito mi sentivo quando ci entrava Marco.
Sapevo che lei capiva la mia musica. Me lo sentivo.
Sentivo che era passata un’infinità di tempo dal momento in cui eravamo arrivati, così quando finii di suonare l’ennesima canzone, guardai l’orologio.
“Cassie, dobbiamo andare…è tardi..”, le dissi voltandomi verso di lei.
“Rovini sempre le atmosfere tu, con quel nomignolo.”, mi rispose lei, aprendo gli occhi e sbuffando.
Feci una piccola risata e mi alzai dallo sgabello.
Per tutto il tragitto del viaggio non parlammo molto.
Eravamo arrivati davanti casa.
“Allora, ti è piaciuto il mio posto?”, le domandai.
“Si, tanto. Mi ero scordata di quanto fossi innamorata…”
Aiuto.
“…della tua voce.”, continuò, con gli occhi che le brillavano.
“A volte dimentico che sei quel Noah, il cantante, quello con una voce stupenda, quello che balla come un pazzo ai suoi concerti.”, disse poi, sorridendomi.
“Grazie, Cassandra, anche tu sei stupenda.”
Lei arrossì.
“Non ti ho detto che sei stupendo, ho detto che la tua voce è stupenda. E’ una cosa diversa.”
“E’ la stessa cosa.”
“Va be’, sei sempre il solito.”, disse alzando gli occhi al cielo ridendo. “Buonanotte!”, esclamò, facendo qualche passo verso camera sua.
Ma io la bloccai per un braccio, facendola voltare. Prima che potessi pentirmene, mi avvicinai a lei, e le diedi un bacio, piccolissimo, all’angolo delle labbra.
“Buonanotte.”, le dissi, scappando verso la mia camera per paura che mi prendesse a bastonate.
Mi chiusi la porta alle spalle, con il cuore che batteva a mille per le sensazioni che mi aveva scatenato un innocentissimo bacio come quello. 



Ciao ragazze! Spero tanto che il capitolo vi sia piaciuto! Purtroppo questa settimana avrò il matrimonio di mia cugina e vari impegni, quindi non potrò pubblicare presto :/ Spero di riuscire a pubblicare entro una settimana! Ciao belli, vi amo! :3

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Mi svegliai nel mio bel lettino dopo ben due ore di sonno. Il massimo riposo che ero riuscita ad ottenere.
Tutto per quel bacio-non bacio che mi aveva dato Noah.
Lo ringraziai mentalmente sarcastica, mentre mi rigiravo tra le lenzuola.
Il giorno prima si era mostrato dapprima dispettoso durante il litigio, poi premuroso verso il primo pomeriggio e poi…dolce e incredibilmente passionale la sera.
Senza saperlo, aveva realizzato uno dei miei sogni più grandi: sentirlo cantare da vicino, guardare le sue mani mentre si muovevano sul piano, ascoltare la sua musica trasformarsi in sentimenti.
Certo, al concerto lo avevo sentito cantare, ma con quarantamila persone intorno. Era diverso.
Quel momento era stato così dolce, così intimo, così…nostro. E di nessun altro.
E poi c’era stato quel bacio.
Dovevo ammettere almeno a me stessa che mi aveva fatto provare qualcosa.
Il Noah gentile, carino, dolce e premuroso era la mia trappola. Una trappola da cui mi era impossibile scappare. Una trappola che mi attirava piacevolmente a lui.
Per questo mi ero appoggiata sul suo petto quando eravamo sul divano a coccolare Whiskey, per questo ero arrossita al suo complimento e sicuramente per questo mi ero fatta quasi-baciare..
Oh Noah, perché non sei soltanto uno stupido stronzo insensibile che si fa scrivere le canzoni da un topo? Perché, oltre che bello e dannatamente sexy, devi anche essere dolce, simpatico, divertente, protettivo e tenero?
E la cosa più strana era che fra mezz’ora avrei dovuto vedermi con Nicholas e non stavo minimamente pensando a lui.
No, Cassandra, non puoi prenderti una cotta per il tuo cantante preferito, cioè…è un cantante…è abituato a sedurre le donne, in qualsiasi modo, con qualsiasi atteggiamento.
Eppure sentivo di sbagliare quando facevo pensieri del genere. Sentivo davvero che quel Noah era quello vero. O forse lo speravo soltanto?
Mi alzai e andai a farmi una doccia gelata.
In tutta quella notte non avevo smesso un attimo di farmi domande.
E se mi avesse davvero baciata? Chissà come sarebbe stato… E se lo avessi respinto? Se invece non lo avessi fatto? Ma quanto erano belli i suoi occhi quella sera?
Improvvisamente non riuscivo più a ricordare il colore degli occhi di Nicholas..
‘E se gli dessi buca?’ pensai tra me e me mentre uscivo dalla doccia e mi vestivo. Mi diedi un pizzicotto. Ma che pensavo? Che c’entrava il povero Nicholas sui miei complessi interiori? Era stato molto gentile, e poi mi avrebbe fatto bene uscire con un amico. E poi, anche se fossi rimasta a casa, che avrei concluso? Volevo rimandare il momento in cui ci saremmo visti e sicuramente imbarazzati al più tardi possibile.
Mi asciugai i capelli, cercando di dar loro un po’ di volume, ma loro, dispettosi più che mai, cadevano sulle mie spalle rigorosamente lisci.
Non volevo far colpo su Nicholas, quindi avevo indossato semplicemente un paio di jeans a sigaretta e una magliettina bianca con qualche fiore disegnato qua e là.
Prima di andare via, passai da camera di Noah. La porta era socchiusa. La aprii di poco.
Noah dormiva profondamente, con tutti quei ricci indomabili che gli ricadevano sulla fronte leggermente sudata. In faccia aveva un’espressione serena, quasi angelica. Dalla luce che penetrava dalla finestra riuscivo a vedere diversi quadretti con foto o premi per i suoi dischi e l’armadio, che una volta avrebbe dovuto essere bianco come il mio, era pieno di disegni colorati, che parevano rendere la stanza più viva e giovane.
Sorrisi chiudendo piano la porta e uscendo da casa.
Nicholas era già davanti al bar ad aspettarmi e, quando mi vide, mi venne incontro, stampandomi due grossi baci in guancia. Risi.
Soltanto la sua presenza mi metteva allegria.
Ci dirigemmo dentro al bar e facemmo colazione.
Ultimamente le giornate si erano un po’ scaldate e ne ero contenta, visto che quando ero arrivata pioveva.
“Allora, sei pronta per oggi? Cammineremo un sacco!”, esclamò ridendo.
“Ehi, io adoro camminare!”, risposi.
Lui mi sorrise gentilmente e bevve il suo cappuccino e, come era prevedibile, si sporcò tutto il labbro superiore di schiuma. Io ridendo presi dalla mia borsa un fazzoletto e…glielo porsi soltanto. Lui non era Noah.
Nicholas accettò il fazzoletto intuendo di essersi sporcato e si pulì.
Passare la mattinata con Nicholas si mostrò davvero un’ottima idea.
Mi fece visitare molti bei posti di Londra e mi costrinse a farmi delle foto in ogni luogo che visitavamo, così “avrei avuto un ricordo di quella giornata”.
Lo “sconosciuto” si era rivelato un ragazzo molto ironico, divertente e vivace. E non ci aveva provato con me neanche per un secondo.
“Cassandra, è quasi mezzogiorno, ti riaccompagno al bar?”, mi chiese lui.
“Si, grazie mille Nico!”, risposi guardandolo con gratitudine e prendendolo scherzosamente a braccetto.
Quando arrivammo al bar ci salutammo come se fossimo vecchi amici, con un caloroso abbraccio, e ci scambiammo il numero di telefono con la promessa di sentirci presto.
Mi incamminai verso casa. Sicuramente Noah era già sveglio.
Come mi sarei dovuta comportare? E lui come si sarebbe comportato?
Passai da un supermercato e comprai un po’ di roba.
Quando varcai la porta di casa lo trovai in cucina. Era completamente vestito. Che strano. La mattina lui girava sempre mezzo nudo per casa. Dovevo considerarlo un segno negativo?
“Buongiorno.”, dissi, avvicinandomi a lui, che mi dava la schiena. Si girò per scrutarmi. E lì il tempo si fermò. La luce del sole che penetrava dalla finestra gli illuminava il viso come quella mattina, solo che ora i suoi occhi erano aperti e con quella luce parevano ancora più meravigliosi. Mamma mia che caldo.
Si vedeva che era leggermente nervoso. Che fosse per la sera prima?
Che stupida che ero. Sicuramente lui aveva fatto quel gesto involontariamente e quando se ne era reso conto era scappato via per paura che io avessi frainteso, come in effetti avevo fatto, ma non nel senso negativo che intendeva lui.
“Non mi hai portato la colazione.”, disse, facendo una smorfia.
“Si, ma ti ho portato il pranzo. Basta mangiare schifezze.”, dissi, mostrandogli il sacchetto e poggiandolo sul tavolo.
Lui sorrise. “Le schifezze sono buone.”, affermò deciso.
“Ma fanno male. Se continui così diventerai obeso.”, gli risposi facendogli la linguaccia.
Lui si guardò la pancia. “Finora non è successo, non credi?”, mi chiese divertito.
Feci una smorfia. “Un giorno scoprirò qual è il tuo segreto!”, esclamai.
Ero decisamente sollevata che la conversazione avesse preso una piega scherzosa ed ero sollevata che evidentemente per Noah quel bacio-non bacio non era significato nulla. Almeno avrei potuto mettermi l’anima in pace e continuare ad essergli amica.
“Allora, mammina, che cosa mi cucini oggi?”, mi chiese ridendo.
Finsi di pensarci su. “Mmmmmh…non ti è dato saperlo. E tanto non lo capiresti lo stesso perché a cucinare sei una schiappa!”, esclamai ridendo.
Lui si finse offeso. “Che cosa hai detto? Prova a ripeterlo, piccola peste!”, esclamò.
“A. Cucinare. Sei. Una. Schiappa!”, scandii cercando di non ridere.
“Stronza! Adesso ti faccio vedere io!”, disse, prendendo un mestolo di legno e cominciando a rincorrermi per la casa.
Io correvo ridendo come una matta e lui non era da meno.
Presi al volo Whiskey che sonnecchiava tranquillo sul divano, mi fermai e me lo parai davanti.
“Fermati, sono armata!”, esclamai, mostrandogli Whiskey.
Lui rise e velocemente mi prese Whiskey dalle mani, rimettendolo al suo posto, e mi circondò inaspettatamente la schiena con un braccio attirandomi a sé.
“Adesso ti dò una bella lezione, signorina, così impari a offendere i più grandi.”
Ma io ormai non lo ascoltavo più. I miei pensieri andavano dal suo respiro affannato come il mio per la corsa che profumava di menta, alla sua mano che mi accarezzava piano la schiena e ai suoi occhi che continuavano a sbirciare le mie labbra.
E io sbirciavo le sue. Erano così belle, piene e delicate.
Lui mi strinse di più a sé, costringendomi ad appoggiare le mani sul suo petto per evitare di perdere l’equilibrio. Ringraziai il cielo che non fosse a petto nudo.
“B-be’?”, balbettai. “Non vuoi più farmela pagare?”, gli domandai, tenendo lo sguardo sulle mie mani.
Lui con la mano libera mi alzò il mento con il mestolo per costringermi a guardarlo negli occhi.
“Sto pensando al modo più sgradevole in cui posso farlo.”, mi rispose ridacchiando.
Be’, caro Noah, non definirei questa posizione proprio ‘sgradevole’, sai…
 Lui si avvicinò ancora di più al mio viso, piantando più a fondo gli occhi nei miei e…mi diede un leggero colpetto al sedere col mestolo.
Dopodiché si allontanò andando verso la cucina gridando: “Per stavolta ti risparmio!”
Lo inseguii arrabbiata per la cucina, sicura che stesse gongolando per il fatto che avevo balbettato per via della sua vicinanza e che sicuramente avevo di nuovo frainteso la situazione.
“Sei proprio…”, cominciai a dire, senza sapere bene come proseguire.
“Dillo.”, mi ordinò con tono di sfida.
Sei proprio bellissimo.
Ma non glielo avrei detto neanche sotto tortura.
“…uno stronzo.”, dissi invece.
Lui aprì la bocca per ribattere, ma ad un tratto suonò il campanello.
Andai ad aprire seguito da Noah.
“Salve a tutti! Ho interrotto qualcosa? Ho una fame!”





Salve ragazze! Scusate se il capitolo vi sembra corto, ma come vi ho detto sono molto impegnata per via del matrimonio di mia cugina, e non mi andava di lasciarvi senza capitolo per più di una settimana quindi....tah dah! Allora? Cosa ne pensate del capitolo? Finalmente Cassandra comincia a provare qualcosa in più di un'innocente amicizia, siete contente? E che ne pensate di Nicholas? E della misteriosa persona che ha bussato alla porta? Chi sarà? XD
Volevo ringraziare ancora chi mi recensisce e chi segue la mia storia o la mette tra le preferite! Siete sempre di più! Vi adoro *-*
Alla prossima!

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Continuai a guardare impietrita la ragazza con quei pantaloncini tremendamente corti e quel fisico da urlo, anche dopo che Noah l’abbracciò.
“Kate!”, esclamò Noah con fin troppa enfasi. “Come stai? Entra pure! Ah, ti presento Cassie!”, continuò.
Grrr.
“Mi chiamo CASSANDRA, piacere.”, le dissi gentilmente, sottolineando il mio nome completo e dando di nascosto un pizzicotto alla schiena a Noah. Lui fece una piccola smorfia di dolore, ma non disse nulla.
“Oh! Piacere mio, mi chiamo, Kate!”, esclamò lei, facendomi un sorriso.
Dio, quanto era bella.
“Noah, dobbiamo assolutamente andare nel tuo studio, per parlare del concerto di questa settimana! Ah, hai qualcosa da mangiare?”, chiese lei guardando verso la cucina con occhi curiosi.
“Stavo per cucinare io, se vuoi posso preparare qualcosa anche per te”, intervenni, sforzandomi di essere gentile. Non avevo dimenticato l’occhiata storta che mi aveva lanciato la prima volta che ci eravamo viste.
“Oh si, grazie Cassandra!”, esclamò lei, prendendo Noah per mano e portandoselo via. Lui per tutta risposta le circondò la vita con il braccio, lanciandomi un’occhiata divertita.
Mi diressi verso la cucina e mi impegnai per fare tutto per bene, avevo deciso di fare semplicemente della pasta col sugo, visto che era già tardi per fare qualcosa di più elaborato.
Il risultato mi soddisfò molto. Mi diressi verso lo studio di Noah e prima di entrare mi schiarii rumorosamente la voce, per evitare di trovarli in circostanze…scomode.
Quando aprii la porta Noah era seduto alla scrivania mentre Kate stava davanti alla scrivania con le mani appoggiate alla superficie. La maglietta le stava stretta, tanto che faceva uscire fuori un po’ del suo seno prosperoso. Il suo trucco forte esaltava l’azzurro incredibile dei suoi occhi. Tutto il contrario di me, con un seno non invisibile ma nemmeno prosperoso, che si vergognava delle scollature e che non era brava a usare un trucco che esaltasse il colore degli occhi.
“Scu..scusate, volevo dirvi che se avete fame il pranzo è pronto.”, annunciai.
Entrambi si precipitarono al piano di sotto, si vedeva che stavano proprio morendo di fame.
“Mamma mia Cassandra! Questa pasta è buonissima!, esclamò Kate. “Vero Noah?”, chiese poi.
Noah, mi guardò, chiaramente indispettito ma divertito al tempo stesso.
“Non fa schifo.”, disse, cercando di non ridermi in faccia.
“Ma, Noah..!”, cercò di dire Kate.
“Non ti preoccupare Kate, è solo seccato perché prima gli ho detto che lui a cucinare è una schiappa, e ora non vuole darmi la soddisfazione!”
Lei guardò Noah. “Ma è vero che non sai cucinare.”, disse confusa.
Io scoppiai a ridere, seguita da Kate. Noah, dopo essersi finto offeso per la nostra coalizione contro di lui, rise a sua volta.
Kate era gentilissima e mi aiutò a sparecchiare. Noah invece si offrì di asciugare i piatti mentre io li lavavo. Accettai.
Il lavandino non era molto spazioso, perciò la distanza tra i nostri corpi era molto poca.
Perché Noah era incredibilmente attraente anche quando asciugava le padelle?
Kate se ne stava seduta sopra la mensola della cucina col cellulare in mano.
“Siete proprio belli insieme.”, affermò Kate ad un tratto.
Noah arrossì e non mi lanciò neanche un’occhiata divertita. Io cercai di coprire il mio imbarazzo facendomi nascondere dai miei capelli. Nessuno parlò.
Eravamo davvero belli insieme? Ma tipo belli come amici? Belli come? Belli bellissimi o belli guardabili? E perché Noah era arrossito? 
“Io vado di sopra in studio. Ti aspetto Noah.”, disse Kate, interrompendo il flusso dei miei pensieri da maniaca.
Noah finì di asciugare i piatti mentre io pulivo la cucina.
“Io..be’…vado di sopra”, disse lui alle mie spalle.
“Mh-mh”
“Ci…vediamo dopo”
“Mh-mh”  
Poi silenzio.
Quando finii di pulire mi sedetti sul divano con Whiskey in braccio.
Uffa. Che avrei fatto tutto il pomeriggio? Avrei potuto esplorare la casa, ma lo avevo già fatto.
Improvvisamente mi venne un’idea: la famigerata cantina! Era l’unico posto che Noah non mi aveva fatto vedere quando mi aveva fatto visitare la casa. Chissà perché…
Mi diressi verso la porticina che conduceva alla cantina, insieme a Whiskey.
Avevo sempre immaginato quella cantina come un luogo buio ed estremamente disordinato, per questo quando entrai rimasi sbalordita.
La stanza era molto luminosa per via della luce che entrava da una grande finestra che dava sul retro della casa. Vicino alla finestra c’era un sostegno con sopra un quadro completo a metà che rappresentava il panorama che si vedeva dalla finestra: un’enorme distesa di fiori, margherite per la precisione. Era un panorama bellissimo.
Mi guardai un po’ in giro. Ai lati della stanza c’erano numerosi scaffali che contenevano i più svariati oggetti: numerosi album da disegno accatastati uno sopra l’altro, piccole sculture, vasi dipinti, scatole portaoggetti colorate. Persino le mura erano state dipinte. Ricordavo che anche l’armadio della sua stanza era molto colorato.  
Insomma, a Noah piaceva disegnare. Non sapevo di questa sua passione.
Lasciai Whiskey libero di vagare per la stanza e presi dallo scaffale uno dei tanti album da disegno. Notai che su ogni copertina c’era scritto il mese e l’anno in cui i disegni erano stati fatti. Io avevo preso quello più recente.
Cominciai a sfogliare il primo album, poi il secondo e poi il terzo, sempre più affascinata. Noah disegnava qualunque cosa attirasse la sua attenzione: un edificio, un fiore, un microfono, un palcoscenico, una mano, una farfalla. E disegnava benissimo. Riusciva a trasmettere emozioni anche tramite le immagini: la freschezza di un fiore appena sbocciato, la gioia di un bambino che gioca a palla, la tristezza di un anziano cieco che chiede l’elemosina. Chissà come sarebbe stato guardarlo mentre disegnava. Sarei sicuramente rimasta a guardarlo incantata, come quando suonava.
Guardare quei disegni mi era piaciuto così tanto che non mi ero accorta che fossero già le cinque del pomeriggio: erano passate due ore!
Riordinai gli album con estrema precisione e uscii da quel posto incantevole, prendendo delicatamente Whiskey in braccio, che nel frattempo si era addormentato vicino ad una piccola scultura a forma di…gatto.
Magari avrei potuto fare una passeggiata mentre aspettavo che Noah e Kate finissero di organizzare il concerto.
Salii le scale per andare in bagno a darmi una rinfescata al viso, ma quando arrivai davanti alla porta mi bloccai di colpo. Mi sembrava di aver sentito un rumore. Mi avvicinai di più alla porta e sentii dei…gemiti.
Avvampai.
Oddio, non nel mio bagno però!
Scesi le scale, più infuriata che mai, voglio dire, non potevano andare nel suo di bagno? O magari nella sua camera, come di solito fa la gente normale?
Ogni secondo che passava diventavo sempre più rossa in viso.
Aprii la porta per uscire di casa, ma per poco non mi scontrai con Noah.
…..Noah?
Gridai e gli mollai uno schiaffo.
“Ahia!”, esclamò lui massaggiandosi la guancia.”E questo per cos’era?”
“Per…tu dovresti essere di sopra con Kate!”, esclamai in preda all’isteria, trascinandolo fuori di casa.
L’espressione di Noah era sempre più confusa. “Che cosa?”, mi chiese, cercando di capire e di farmi calmare.
“Ho sentito Kate e qualcun altro…cioè…io pensavo fossi tu! Nel mio bagno!”, esclamai ancora, dandogli una leggera spintarella.
“OOOOOOOH….Adesso capisco!”, esclamò lui di rimando, cominciando a ridere.
“Davvero credevi che fossi io? Con Kate? Per questo sei così arrabbiata? Sei gelosaaaa!”, cominciò a canzonarmi.
Diventai, se possibile, ancora più rossa.
“Io gelosa? Ma che cosa dici? Certo credevo che fossi tu! Eravate solo voi due in casa e quando sono arrivata vi ho trovati mezzi nudi!”, esclamai puntandogli un dito contro mentre lui tornava serio.
“Prima di tutto hai trovato me mezzo nudo. Non lei. E poi io e Kate non abbiamo mai…cioè, lei sta con Marco! Poco fa è venuto perché voleva vedere come stavi, ma non ti abbiamo vista in giro, perciò ho pensato che sicuramente eri andata a fare una passeggiata senza avvisare, come al solito. Io sono uscito e loro sono rimasti in casa. Non si vedono molto spesso, quindi penso che abbiano colto l’occasione per…farsi un po’ di coccole.”, disse ridacchiando.
“E perché tu allora mi hai fatto credere…?”, cominciai, ma lui mi interruppe.
“Tu hai insistito, e anche se ti avessi detto altre cento volte che tra me e lei non c’era niente, non mi avresti creduto.”, spiegò semplicemente.
Be’ in effetti, aveva ragione, non lo avrei creduto.
“Non è lei la ragazza che mi interessa.”, disse guardandomi intensamente.
Allora una ragazza che gli interessava c’era…una ragazza che non ero io.
Lo guardai cercando di non far trasparire nessuno dei sentimenti che mi frullavano dentro.
“Ah si? E chi è la ragazza che ti interessa allora?”, chiesi cercando di reggere il suo sguardo.
Lui rise, guardandomi di sottecchi. “Be’, tecnicamente non potrei dirtelo.”
“Noah! Eccoti qui! Ah, vedo che hai trovato la nostra Cassandra!”, esclamò Kate, piombando sul pianerottolo di casa insieme a Marco.
Marco mi sorrise e venne ad abbracciarmi. Sorrisi anche io. Tutto sommato, ero contenta per loro due.
“Cassandra, posso parlarti un attimo?”, mi chiese Kate, esitante.
“Certo.”, dissi, dirigendomi verso di lei confusa.
“Be’ ragazzi, io vado! Alla prossima!”, disse Marco dirigendosi verso la porta e salutando tutti con la mano.
Che strano. Marco e Kate sembravano normalissimi colleghi in presenza di altre persone. Come faceva allora Noah a sapere che stavano insieme? Forse glielo aveva detto Marco, o come me li aveva colti in flagrante e se ne era andato sghignazzando.
“Cass, ti aspetto dentro.”, mi disse Noah dirigendosi verso casa.
Io e Kate rimanemmo da sole.
“Dimmi tutto.”, le dissi rivolgendole un sorriso.
“Io…be’…volevo chiederti scusa per la settimana scorsa…non ti ho nemmeno salutata e non mi sono presentata….è che non era stata una bella giornata per me…lo so che non è una giustificazione per trattare male le persone però…be’, scusami tanto.”, mi disse, col suo faccino angelico dispiaciuto.
“Ma non ti preoccupare! Adesso è tutto apposto! Siamo amiche!”, le dissi, accarezzandole un braccio.
Lei mi sorrise e mi diede un abbraccio stritolante. Io risi.
“Sì, siamo amiche!”, esultò contenta. “Ci vediamo al concerto di Noah, ho preso un biglietto anche per te! Siete troppo belli insieme, e lui ha proprio bisogno di una ragazza che come te sa tenergli testa!”.
E, detto questo, mi diede un grosso bacio in guancia e se ne andò sculettando.
Mamma mia, quella ragazza era proprio fuori come un balcone.
Rientrai a casa un po’ stordita.
“Vi ho guardate dalla finestra per assicurarmi che andasse tutto bene.”, mi disse Noah. “Dio, ci mancava poco che ti violentasse!”, esclamò ridendo. Si avvicinò a me e mi invitò ad andare a sederci sul divano.
Una volta seduti, Whiskey salì sul divano e si accoccolò in mezzo a noi.
“Allora, dov’eri andata a finire oggi pomeriggo?”, mi chiese, evidentemente curioso.
“Non sono sicura di potertelo dire senza che tu ti arrabbi.”, dissi, facendo una smorfia.
Lui ci pensò un attimo su. “Proviamo. Dai, parla.”, affermò.
“Sono stata in cantina.”
“Dove?!”
“In cantina.”
“Nella mia cantina?”
“No, in quella della zia Betty, la vicina di casa! Certo che sono stata nella tua di cantina, cretino!”, esclamai, alzando gli occhi al cielo.
“Perché lo hai fatto?”
“Mi stavo annoiando.”
“Non dovevi farlo. Mi hai spezzato il cuore! Non ti parlerò per una settimana!”, esclamò ridendo e prendendomi in giro. “Dai, perché dovrei arrabbiarmi? Perché hai conosciuto un’altra parte di me? Be’, certo, proverei un po’ di imbarazzo se tu avessi guardato l’album di aprile 2010…a proposito, l’hai guardato?”.
“Non ci sono arrivata.”
“Grazie al cielo!”, esclamò ridendo.
“Quindi…non sei arrabbiato?”
“Scherzi? Non sono per niente arrabbiato! A me…fa piacere che tu sappia chi sono per davvero.”, mi disse, guardandomi con occhi luminosi.
Gli sorrisi e poggiai la mia mano sulla sua per ringraziarlo. Lui prontamente strinse la mia mano dentro la sua e con l’altro braccio mi circondò le spalle.
Volevo cercare di riprendere la conversazione su chi era la ragazza che gli interessava, ma non sapevo come fare. Almeno se avessi saputo che sognava segretamente di sposarsi con Katy Perry mi sarei messa il cuore in pace e mi sarei definitivamente convinta che una storia tra star e fan non può esistere.
Ma nel frattempo lui mi stava abbracciando e riuscivo chiaramente a sentire il suo profumo squisito, che odorava di primavera e di gioia.
Il mio cellulare cominciò a squillare dalla cucina e mi alzai prontamente per andarlo a prendere. La sua vicinanza mi dava alla testa.
Oddio ero cotta del mio cantante preferito!
“Pronto?”, dissi.
“Cassandra! Ciao!”, esclamò Nicholas dall’altra parte del telefono.
Andai verso il salotto.
“Oh, ciao Nicholas! Dimmi tutto!”
“Senti, avevo pensato di andare in qualche posto domani a mangiare qualcosa, visto che mi hai detto che di solito passi sempre la sera da sola. Che ne dici? Almeno ti faccio un po’ di compagnia!”
“Domani sera? Uhm…a che ora?”, chiesi lanciando un’occhiatina a Noah, che era stranamente serio.
“Alle dieci ti va bene?”
“Alle dieci va benissimo! Ci vediamo al solito posto?”
“Certo! A domani bellezza!”
Risi. “A domani bellezza!”, ripetei di rimando.
“Quindi domani uscite insieme? Di nuovo?”, mi chiese Noah, guardandosi i piedi.
“Mmmmh si.”, dissi incerta.
“Non puoi uscire domani.”
“Perché?”, gli chiesi, di nuovo indispettita. Di nuovo la stessa storia?
“Domani pomeriggio arriva Iris.”
“E che problema c’è? La porterò con me!”.
 
 
 



Salve ragazzi! Mi scuso tantissimo per il mio ENORME ritardo. Davvero, mi dispiace! Ora è iniziata la scuola e non so quanto spesso potrò aggiornare...Giuro che farò del mio meglio! Colgo l'occasione sempre per ringraziare chi mi recensisce e per gioire della crescita delle persone che seguono e preferiscono questa storia! Vi adoro tutti e spero che il nuovo capitolo vi sia piaciuto! Alla prossima!

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Il letto quella mattina era più comodo del solito, e la voglia di alzarmi era pari a zero, specialmente se ripensavo a quello che era successo la sera prima con Noah, che dopo la chiamata aveva cercato di estorcermi delle informazioni su dove mi aveva portata Nicholas, cosa avevamo fatto, se mi ero divertita o cose così. Ma io gli avevo semplicemente risposto che mi aveva portata in giro per Londra. Insomma, cose che già sapeva. Ne’ più ne’ meno. Alla fine se n’era andato in studio, indispettito e arrabbiato.
Be’, di certo non era colpa mia se lui aveva la smania di volermi controllare e di decidere cosa potevo fare e cosa no! Non ero mica sua!
Mi rigirai nel letto e inspirai profondamente, con la faccia contro il cuscino. Mi piacevano un sacco le lenzuola che erano state messe nel mio letto. Erano tutte piene di disegnini a forma di fiori e di cuori. Chissà se Noah li aveva comprati apposta per me o se li aveva già..
Guardai la sveglia. Erano le otto e mezza. Decisi di alzarmi e di cominciare a prepararmi, saremmo dovuti partire alle dieci per andare a prendere Iris all’aereoporto e svegliare Noah sarebbe stata un’impresa.
Un pizzico di gioia mista a eccitazione mi pervase l’animo. Iris mi era mancata un sacco e non vedevo l’ora di riabbracciarla e di contribuire a realizzare il suo sogno, quello di poter abbracciare il suo cantante preferito.
Mi alzai e presi i vestiti che avrei dovuto indossare quel giorno e mi diressi verso il bagno. Ma mi bloccai davanti alla porta. Il solo pensiero di quello che era successo il giorno prima in quel bagno mi faceva venire i brividi. Non riuscivo a togliermi dalla testa i suoni che avevo sentito da fuori la porta. No. Non potevo lavarmi in quel bagno. Sarei andata in quello di Noah. Tanto lui sicuramente non si sarebbe svegliato fino a quando non sarei andata io a buttarlo giù dal letto.
Mi diressi nel bagno di Noah, che era identico al mio, e cominciai a farmi la doccia. Ma quando stavo per finire sentii la porta aprirsi. Gridai spaventata.
“Cassie? Che ci fai nel mio bagno?”, mi domandò.
Mi maledissi mentalmente per non aver chiuso a chiave. Ma chi poteva immaginare ch Noah si sarebbe svegliato così presto?
Io ero diventata di mille colori, nonostante lui non potesse vedermi. Affacciai la testa spostando leggermente la tendina.
“Potresti passarmi per favore l’accappatoio?”, gli chiesi rivolgendogli un sorriso nonostante il rossore evidente sulle mie guance.
“Sei carina quando arrossisci.”, mi disse, guardandomi. Diventavo sempre più rossa ogni secondo che passava, soprattutto se pensavo che lui era solo in boxer mentre io invece ero coperta solo da una stupida tendina. Dio, che situazione.
“Noah..l’accappatoio.”
Lui si decise a prendermelo e me lo porse. Io lo indossai velocemente e uscii fuori.
Solo allora mi resi conto che non era il mio accappatoio, ma il suo.
“Non è il mio accappatoio questo.”, dissi confusa. “E’ il tuo.”
“Ah, be’, mi sarò confuso. Ti sta bene però. Che ci fai nel mio bagno?”, mi chiese nuovamente.
Il suo accappatoio profumava di lui…
“Non ho avuto il coraggio di andare a lavarmi nel mio.”
Lui scoppiò a ridere.
“Posso comprenderti!”, esclamò continuando a ridere. Gli rivolsi un sorriso lieve e tornai seria.
“Ora, cortesemente, potresti uscire dal tuo bagno? Dovrei vestirmi.”
Lui ci pensò un po’ su. “Mmmmh non lo so…ieri sei stata molto cattiva con me..”, mi rispose divertito.
Gli rivolsi uno sguardo omicida. “Almeno fai uscire me.”, supplicai.
Lui scosse la testa. “No no, signorina, io non mi muovo di qui se non mi racconti cosa avete fatto tu e Nicholas ieri mattina.”, disse appoggiandosi alla porta per impedire la mia fuga.
“Non puoi costringermi a raccontartelo.”
Lui si avvicinò pericolosamente a me, tanto da far sfiorare i nostri nasi.
“Ti ha baciata?”
Feci un passetto indietro. “Non…non ti riguarda.”
“Quindi vuol dire che ti ha baciata..”
“Non ho detto questo.”
“Allora non ti ha baciata!”, esclamò, sempre più divertito.
“No, va bene? Non mi ha baciata. Mi ha solo portato a fare un giro, abbiamo scherzato e fatto delle foto e ci siamo salutati con un abbraccio del tutto amichevole! Contento adesso? Puoi uscire?”, dissi, spazientita.
Lui sorrise e mi diede un bacio sulla guancia. “Voglio vederle quelle foto.”
E se ne andò. Mi toccai la guancia che mi aveva appena baciato. Era bollente.
Quando chiuse la porta, io la chiusi prontamente a chiave.
Ma quanto era dispettoso?
Mi vestii e mi preparai con tutta calma, nonostante la voce di Noah che mi pregava di sbrigarmi perché doveva fare pipì. Era il mio turno di fare la dispettosa.
“Cassie…ti pregooo!”, mi supplicò Noah per la quindicesima volta. “Sto per farla qui!”
Risi e mi appoggiai alla porta. “Mmmmmmh….non lo so….è che tu sei stato molto cattivo con me poco fa…”, dissi facendogli il verso e tentando di non ridere.
“Cassie…ti prego…non è il momento per fare la spiritosa…”
“Oh, mio caro Noah, io non esco di qui se tu non mi prometti che smetterai di avere la smania di controllare come, quando e con chi esco.”, dissi, canzonandolo un pochino.
Noah rimase in silenzio per qualche secondo.
“Mai.”, disse, sicuramente col suo solito sorrisino dispettoso.
“Ah be’, allora penso che mi metterò lo smalto sulle unghia…mi ci vorrà un bel po’ prima di uscire…”, dissi in tono sconsolato.
“No, ti prego!”, mi gridò lui.
“Promettimi quello che ti ho chiesto.”
“E….e va bene, te lo prometto!”, esclamò rassegnato.
A quel punto allora aprii la porta e lui si fiondò dentro il bagno, quasi disperatamente.
“Ti aspetto in salotto.”, gli dissi ridendo.
Almeno adesso non avremmo più litigato per Nicholas o per chiunque altro con cui sarei uscita.
Mentre lo aspettavo decisi di preparare velocemente la colazione con le cose che avevo comprato il giorno prima. Pancarrè con la nutella e due bicchieroni di succo di frutta alla pesca. Apparecchiai la tavola e andai a sedermi in salotto a guardare un po’ di tv. Erano le nove e mezza. Presi il cellulare che il giorno prima avevo lasciato sopra il tavolo del salotto e controllai i messaggi. Ne avevo ricevuti tre.
Il primo era di mamma.

Piccola mia! Come stai? Spero che vada tutto bene e che ti stia divertendo con Noah. Non so perché ma mi ispira tanta fiducia. E sai che il mio sesto senso non sbaglia mai! Fammi sapere come te la passi, sono curiosa di sapere com’è la vita londinese! Un bacio da mamma e papà.

Sorrisi e scrissi velocemente un messaggio di risposta.

Mamma! Sto benissimo, e tu? Si va tutto bene, faccio compagnia a Noah finchè posso e poi lui va in studio per il nuovo album. Ho insistito per accompagnarlo ma lui proprio non ne vuole sapere, perché non vuole rovinarmi la sopresa! Si, Noah è un bravo ragazzo, ha addirittura invitato Iris a passare il fine settimana qui da noi, infatti proprio ora stiamo andando a prenderla! Non vedo l’ora di chiamarti così posso raccontarti meglio. Dai un bacio a papà da parte mia. Vi voglio bene.

Il secondo messaggio era di Nicholas.

Cassandra! Stasera ti porto in un locale molto carino! Spero che tu non sia astemia! Ci vediamo più tardi!

Mi faceva ridere il suo modo di parlare e di scrivere, sembrava sempre così allegro e pieno di energie. Gli risposi.

Nico! Non ti preoccupare, non sono astemia! Non vedo l’ora che sia stasera! Ah, porterò un’amica con me, spero che non ti dispiaccia!

Il terzo messaggio, invece, era di Iris.

Stronza della mia vita! Sono tutta un masso d’eccitazione! Non vedo l’ora di vedere te e il fusto! Mamma mia che agitazione. Ah, l’aereo ha un piccolo ritardo, arriverò per le undici, va bene? Ti amo!

“Sono pronto!”, esclamò Noah all’improvviso.
“Ehi, senti, ho preparato la colazione, hai fame?”, gli chiesi.
“E me lo chiedi?”, mi rispose ridendo.
Ci dirigemmo in cucina  e cominciammo a mangiare.
“L’aereo di Iris ritarda.”, dissi.
“Ah. Quindi quando arriverà?”, mi chiese lui.
“Verso le undici.”
Silenzio.
“Sicuramente arriveremo tardi a casa e io non pretendo certo che tu cucini visto che ci sarà Iris, perciò propongo di andare a mangiare fuori tutti insieme!”, esclamò dopo un po’, contento.
“Per me va benissimo, tanto paghi tu.”, dissi sghignazzando.
“Spiritosa!”, esclamò mettendosi a ridere.
Quant’era bello quando rideva. Il suo sorriso era così bello e cristallino che sembrava illuminargli tutto il viso e fargli brillare gli occhi.  Ma, d’altronde, sfidavo chiunque a trovare qualcosa che non andasse nel suo corpo.
Trovare le chiavi della macchina fu un’impresa. A detta di Noah, Marco non lasciava mai le chiavi allo stesso posto.
Quando le ritrovammo erano già le dieci e mezza.
Dopo aver chiuso la porta ed essere saliti in macchina, ci dirigemmo verso l’aereoporto.
Non mi piaceva molto parlare durante un viaggio in macchina, e credevo che nemmeno a Noah piacesse. Perciò rimanemmo in silenzio.
La giornata prometteva bene: il sole splendeva allegro e nessuna nuvola cattiva si aggirava nei paraggi.
Arrivammo all’aereoporto alle dieci e cinquanta minuti e a quel punto mi feci prendere dall’emozione. Mancavano dieci minuti e avrei rivisto una delle amiche migliori che avessi mai avuto nella mia vita. Non vedevo l’ora di risentire la sua risata. E di abbracciarla. E di rivedere le sue facce buffe.
Noah si accorse della mia agitazione mentre aspettavamo davanti alla porta degli arrivi e mi cinse il fianco con la sua mano, sorridendomi dolcemente.
“Capisco cosa stai provando.”, mi disse all’improvviso. “Anche io provo la stessa cosa, ogni volta che aspetto che i miei parenti entrino da quella dannata porta.”
Che carino che era a volermi stare vicino ogni volta che mi vedeva in difficoltà. Gli rivolsi un sorriso di riconoscenza e tornai a guardare la porta.
Ogni volta che si apriva, il cuore accellerava, ma alla fine non era lei e ci rimanevo inevitabilmente male.
Ma quando stavo per stufarmi del mio stato d’ansia, vidi spuntare dalla porta un ragazza minuta e magra, con i capelli corti, che si guardava in giro confusa. Quando i nostri sguardi si incontrarono la nostra gioia raggiunse la stelle. Senza che me ne accorgessi stavo già correndo verso di lei. Mi sembravano secoli che non la vedevo. Essere nuovamente tra le sue braccia fu rigenerante, benefico per il mio stato d’animo. Mamma mia, quanto mi ero mancata. Ero felice.
Noah ci raggiunse e quando ci vide attaccate come due cozze fece una piccola risatina.
Sentii subito che Iris si irrigidì, e io sciolsi l’abbraccio sghignazzando. Per lei Noah era ancora Il Cantante Di Fama Internazionale.
“C…ciao..”, disse Iris, cercando di non imbarazzarsi e di non sclerare davanti al suo idolo.
Noah la guardava divertito. “Che cosa aspetti ad abbracciarmi?”, disse ad un tratto lui, allargando le braccia e stringendola a sé. Iris rise, evidentemente meno nervosa ma ugualmente emozionatissima.
“Sai, la tua amica Cassie…”, cominciò a dire Noah.
“Cassandra.”, lo interruppi io.
“La tua amica CASSANDRA….contenta?”, mi disse lui, alzando gli occhi al cielo.
“Si.”, dissi facendogli la linguaccia. Iris rise.
“Dicevo…sai, la tua amica Casandra non mi abbraccia mai e non si emoziona mai di fronte a me! Comincio a dubitare che lei sia una mia fan accanita!”, esclamò lui, guardandomi di sottecchi.
“Eh…lei è così. Non è nel suo stile sclerare o imbarazzarsi davanti a qualcuno. Il suo orgoglio glielo impedisce!”, disse Iris, ridendo.
“Ma a me piace quando le mie fan mi gridano che sono bellissimo!”, esclamò Noah ridendo.
Allora io alzai gli occhi al cielo, ma risi insieme a lui e a Iris.
Mentre ci incamminavamo verso l’auto io e Iris ci guardammo negli occhi e capimmo al volo che stavamo pensando di fare la stessa, identica cosa.
“Grazie per avermi fatto portare tutte le valigie, eh!”, esclamò Noah entrando in macchina.
“Noah…”, gli sussurai io avvicinandomi a lui innocentemente.
Fu Iris a fare il primo grido.
“AAAAAAAAAH OMMIODDIO NOAH SEI BELLISSIMO AAAAAAAAH!!!!”, cominciammo a gridare io e Iris, cominciando a tirargli la maglietta.
Dopo un attimo di terrore, Noah si mise a ridere.
“Siete due stronze!”, esclamò.
Io e Iris non riuscimmo più a smettere di ridere.
“Iris, hai visto la sua faccia?”, dissi io tra le risa.
“Oddio, si, aiuto!”, esclamò lei con le lacrime agli occhi.
Continuammo a prenderlo in giro per un po’ e lui si finse offeso, anche se si vedeva che era felice che aleggiasse tutta quella gioia nell’aria.
Andammo a mangiare in un ristorante molto carino e raffinato. Insomma, un ristorante alla Noah.
Anche il pranzo fu ricco di scherzi e di gioia e Iris, dopo la prima mezz’ora di imbarazzo, si era già abituata alla presenza di Noah e lo tempestava di domande sui suoi pezzi, domande a cui naturalmente partecipavo anche io.
“Ragazze, io vi voglio taaanto bene, ma adesso basta domande vi prego!”, esclamò a un certo punto Noah, ridendo e alzandosi per andare a pagare il conto.
“Sai, Iris, stasera ti porto fuori con un amico!”, esclamai sorridendo, una volta rimaste sole.
“Che bello! Dove andiamo? Chi è questo amico? Verrà anche Noah?”, mi chiese lei tutta eccitata.
“Non so dove andremo, il mio amico, Nicholas, ci porterà in un locale. No, Noah non verrà, sicuramente oggi va in studio a registrare.”, le spiegai.
“Ah, si, mi avevi parlato del tuo amico! Che bello!”, esclamò abbracciandomi. Ricambiai prontamente l’abbraccio, sorridendo.
In quel momento Noah arrivò. “Ma è possibile che ogni volta che mi allontano per due secondi vi trovo attaccate come le cozze?”, ci domandò, facendoci scoppiare a ridere.
Prima di tornare a casa, Noah ci fece fare un giro per la città. Londra era bellissima.
Iris non c’era mai stata e stava incollata al finestrino con gli occhi sgranati, cercando di cogliere più dettagli possibile.
Quando arrivammo a casa Noah si stese sul divano con Whiskey mentre io facevo da guida turistica a Iris che sembrava una bambina iperattiva e curiosa. Le feci vedere camera mia e ci intrufolammo di nascosto nella stanza di Noah, che era così piena di colori rispetto al resto della casa. C’erano un sacco di foto attacate alle pareti: alcune erano foto della sua famiglia, altre erano foto dei suoi concerti, altre ancora erano foto di lui con i suoi amici.
“Chi lo avrebbe mai detto che saremmo finite a ficcanasare in casa del nostro idolo?”, mi chiese Iris sarcastica mentre uscivamo dalla stanza e andavamo verso il salotto.
Noah si era addormentato sul divano con Whiskey accoccolato sul suo collo. Quanto erano belli.  
“Ma guardalo, è tenerissimo quando dorme.”, disse Iris, notando che stavo fissando Noah. Io mi risvegliai dalla mia trance, cercando di non far notare che ero già arrossita e mi limitai ad annuire distrattamente.
“Cassandra…lo conosco quello sguardo. Ti sei innamorata di lui, non è vero?”, mi chiese schietta. Io le tappai velocemente la bocca, e la portai in camera mia.
“Perché hai detto quella cosa in salotto? E se Noah ti ha sentito?”, chiesi io in preda al panico.
“Pazienza, tanto si vede lontano un metro che lui è cotto di te.”, disse lei alzando le spalle, sghignazzando.
“Non…non mi sono innamorata!”, esclamai io.
“Si si, certo.”, mi disse ridendo e abbracciandomi.
Io rimasi senza parole.
“Allora, che ci mettiamo stasera?”, mi chiese lei ad un tratto. Ringraziai il cielo che avesse cambiato argomento e che non si fosse impuntata in quella cosa come faceva di solito con tutte le altre cose.
Aprimmo le sue valigie (ne aveva portate due per un solo fine settimana, era sempre la solita!) e cominciammo a cercare un vestito adatto per l’occasione. Alla fine per lei trovammo un paio di jeans chiari molto aderenti e una maglietta nera con su disegnata una birra.
Per me invece trovammo un paio di pantaloni di pelle nera e una maglietta bianca esageratamente scollata con su stampata un’ancora.
Sistemammo i vestiti sopra il letto e Iris andò a fare la doccia. Io nel frattempo andai in salotto, e trovai Noah ancora addormentato sul divano.
Sorrisi e mi avvicinai a lui per svegliarlo.
“Noah?”, dissi, scompigliandogli leggermente i capelli. Lui mugugnò qualcosa e poi aprì gli occhi.
Si alzò svogliatamente dal divano, si stiracchiò e poi tornò a guardarmi. Io nel frattempo cercavo di non fissarlo troppo. Lui mi sorrise.
“Che fai, non vai a prepararti per la grande serata col tuo adorato Nicholas?”, mi chiese sarcasticamente.
Ma quanto era acido?
“Oh si, sto aspettando che Iris esca dal bagno così vado a farmi una doccia.”, dissi freddamente, cercando di non dare a vedere il mio fastidio.
“Ah be’, sbrigatevi, devo prepararmi anch’io per uscire”, mi rispose.
Rimasi scioccata. “Esci anche tu? Non devi andare in studio stasera?”, gli chiesi sbalordita.
“No”.
“E dove andrai?”.
“Hai presente quando stamattina mi hai detto che non devo intromettermi su dove, come, e con chi esci? Be’, lo stesso vale per te.”, mi disse, andandosene in cucina.
Non sapevo se essere più stupita che arrabbiata. Salii furiosamente le scale, andando a sbattere contro Iris, andai in camera a prendere le mie cose e poi in bagno a lavarmi. Quando uscii dal bagno chiusi a chiave la porta e mi portai dietro la chiave.
Sapevo che era un dispetto da bambina, ma chi se ne fregava.
Finii di prepararmi in camera insieme ad Iris e per fortuna la sua risata e il suo continuo chiacchierare mi aiutarono a non chiedermi in continuazione dove sarebbe andato Noah e con chi sarebbe uscito.
Quando fummo pronte e scesimo in salotto, trovammo Noah che cercava disperatamente le chiavi della macchina. Quando ci vide si fermò ad osservarci.
Era bellissimo. Aveva un paio di pantaloni neri e una camicia blu molto casual. I suoi capelli sembravano appena lavati ed erano più ricci del solito.
Magari non si era nemmeno accorto che la porta del bagno era chiusa a chiave. In fondo, si era lavato quella mattina e sicuramente non aveva la mia stessa mania di lavarsi in continuazione.
“Siete pronte? Divertitevi!”, esclamò, fissandomi fino a farmi arrossire.
Improvvisamente mi venne voglia di abbracciarlo forte. Ma che stavo dicendo? Io avrei dovuto essere arrabbiata con lui!
“Grazie.”, risposi io seccamente trascinandomi Iris verso la porta. Ma Iris si fermò e corse verso la cucina a prendere il suo bracciale e mi lasciò da sola con Noah in salotto.
Lui prontamente mi abbracciò da dietro, come il primo giorno che ero arrivata in casa.
“Piccola lezione per la prossima volta: le serrature di casa sono tutte uguali.”, mi sussurrò all’orecchio. Mi vennero i brividi.
Allora si era accorto che gli avevo fatto un dispetto, anche se era stato un dispetto mal riuscito. Ed era arrabbiato.
“Divertiti bellezza.”, mi sussurrò ancora, dandomi un bacio sulla nuca e uscendo di casa. Che stronzo.
“Che paura! Credevo di averlo perso!”, esclamò Iris, riferendosi al suo amato bracciale.
Io le feci un sorriso. “Andiamo?”, le chiesi.
“Andiamo!”, disse lei prendendomi a braccetto e trascinandomi fuori di casa.
Sorrisi. Quella sera mi sarei divertita anche senza Noah.





Salve ragazze, sono tornata! Scusatemi tanto, ma con la scuola non ho moltissimo tempo per aggiornare T.T Allora, vi è piaciuto questo capitolo? Noah e Cassandra si fanno tanti dispetti.. :3 Nel prossimo capitolo ne vedremo delle belle! Alla prossima!

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


“Noah, ma dov’eri finito, tesoro! Torna a ballare!”, mi incitò Daria tirandomi per la camicia. Le feci cenno di no e andai a sedermi al bancone del bar. Daria si imbronciò leggermente, ma poi tornò in mezzo alla folla.
Quel locale cubano, in stile “Dirty Dancing”, era davvero figo. La gente ballava con i bacini praticamente incollati, muovendosi in modo eccessivamente provocante. Io avevo ballato con Daria fino a qualche minuto prima. Lei ne aveva approfittato per strusciarsi contro di me e per starmi incollata, e io l’avevo assecondata, sguinzagliando il lato stronzo e con instinti prettamente animali del mio essere. In fondo quel ballo doveva essere ballato con passione e sensualità.
Era da molto tempo che non frequentavo quel locale. Ballare in quel modo riusciva a togliermi dalla testa tutti i pensieri e le preoccupazioni che avevo, riuscivo a divertirmi, anche se in maniera sbagliata. Ma quella sera non volevo certo rimanere a casa a pensare a Cassandra con quello là.
Ero stanchissimo, avevo ballato per tutta la sera senza mai fermarmi. Per fortuna le persone non mi avevano riconosciuto, sbronze com’erano.
Guardai Daria, che fortunatamente si era trovata un altro compagno di ballo. Era davvero una bella ragazza: alta, capelli ricci e castani, occhi neri e profondi e un fisico da urlo. Peccato che quando stavamo insieme mi aveva fatto soffrire come un cane. L’avevo chiamata perché era l’unica ragazza che mi era venuta in mente disposta ad uscire con me senza nessuna pretesa.O quasi.
Erano quasi le una di notte e il locale era pienissimo.
Spostai lo sguardo da lei e cominciai ad osservare la gente che ballava: erano tutti per la maggior parte innamorati, lo si vedeva dai loro sguardi mentre si toccavano ballando. Probabilmente ancora non sapevano che avrebbero sofferto come dei poveri disgraziati a causa dell’amore.
Pff, ma per favore. Io avevo sofferto già una volta e non volevo più ricaderci, anche se Cassandra metteva in seria discussione questa mia determinazione col suo essere maledettamente diversa da tutte le persone con cui avevo avuto a che fare nel corso della mia vita. Lei era dolce, testarda, determinata, terribilmente bella e, soprattutto, era sincera.
Cercai di smettere di pensare così tanto visto che ero in un locale e chiesi al barista di darmi qualcosa da bere e lui provvide subito. Ma, mentre bevevo, rischiai di soffocarmi alla vista di Cassandra che ballava da sola, in mezzo alla folla, ridendo. Posai immediatamente il bicchiere di vodka sul bancone e mi diressi velocemente verso di lei. Che ci faceva in quel locale?
Mentre mi dirigevo verso di lei, un ragazzo le si era già avvicinato per ballare con lei e la mia gelosia era già salita alle stelle. Tutta la stanchezza che provavo prima per aver ballato troppo era improvvisamente svanita.
“Ehi amico, stai alla larga.”, intimai a quell’idiota. Sentendomi Cassie si voltò e appena mi vide mi fece un gran sorriso.
Che colpo al cuore.
“Noah!”, esclamò lei abbracciandomi. Io rimasi di pietra. All’uscita di casa avevamo tipo litigato. Perché in quel momento faceva finta di niente?
Be’, in compenso l’idiota si era dileguato.
“C…che ci fai qui?”, le domandai.
“Come che ci faccio? Sono venuta qui per ballare! Dai balla con me!”, esclamò lei, cominciando a ballare avvicinandosi a me.
Non ebbi nemmeno il tempo di replicare che già eravamo praticamente appicciati, il suo corpo aderiva perfettamente al mio, come se i nostri corpi fossero due pezzi di un puzzle che combaciano alla perfezione. Lei era bellissima e io ero completamente in palla. Non riuscivo a muovere un muscolo e l’unica cosa che riuscivo a pensare era che eravamo veramente troppo, troppo vicini. Lei mi guardava innocentemente, come se non sapesse che mi stava provocando mille istinti che non potevo certo soddisfare in mezzo a una folla.
Cavoli, perché doveva farmi quell’effetto? Perché?
Daria poco prima non mi aveva fatto provare neanche la metà di quello che mi stava provocando quella maledetta ragazzina.
“C…Cas..Cassandra…”, balbettai confuso, in mezzo a quel delirio di gente e musica.
Lei, giusto per farmi impazzire un altro pochino, cominciò a muovere i fianchi contro i miei molto più lentamente di prima e mi mise prima le mani al collo e poi tra i capelli.
Io non riuscivo a reagire e lei se ne accorse, tanto che fece una risatina.
E fu lì che mi accorsi che era ubriaca marcia.
Le tolsi le mani dai miei capelli. “Cassie, ma tu hai bevuto?”, gli chiesi cauto, cercando di riacquistare lucidità.
“Giusto un pochino.”, mi confermò trattenendo un singhiozzo e ridendo istericamente.
Le circondai la vita con un braccio. “Adesso torniamo a casa.”
“No! Io voglio rimanere qua!”, gridò imbronciandosi.
“Cassandra..ho detto che andiamo a casa. Non costringermi a prenderti con la forza.”, affermai duramente nonostante la sua estrema vicinanza rischiava di farmi perdere la testa.
Ma prima che lei potesse replicare, arrivò Marco col respiro affannato.
“Noah! Meno male che l’hai trovata! Ha aperto la portiera mentre la macchina era in moto ed è scappata via! Sono riuscito solo adesso a trovare un posto dove parcheggiare!”, esclamò.
“Ma, scusami, posso sapere che cavolo ci fa lei con te?”, gli chiesi, cercando di non fare caso a Cassandra che mi abbracciava ridendo e accarezzandomi la schiena. Ogni volta che mi sfiorava mi provocava mille brividi, e l’unica cosa che mi tratteneva dal ricambiare le sue carezze, e fare molto di più, era il fatto che lei fosse ubriaca.
“Mi ha chiamato perché voleva andarsene a casa, ma quando sono andata a prenderla era già completamente ubriaca e non me la sentivo di lasciarla da sola e ho pensato di farle compagnia fin quando non saresti arrivato tu, ma lei mi ha fatto una testa così perché voleva venire da te, e allora io l’ho portata.”, mi spiegò, cercando di essere più sbrigativo possibile.
“Capisco. Be’, io direi di andare a casa. La macchina è lontana da qui?”, gli chiesi.
“Non molto, ma Cassandra sicuramente non ce la farà a tenersi in piedi per tutto il viaggio.”, mi disse lui, guardandola pensieroso.
“Sono la paladina dell’alcool!”, esclamò Cassandra nel frattempo, ridendo come una matta. Io non potei fare a meno di ridere con lei, ma mi ripresi subito.
“Va bene, vuol dire che la porterò in braccio.”, risposi poi a Marco.
Così le presi delicatamente le gambe con un braccio e la tirai su. Lei prontamente si aggrappò a me.
Durante il tragitto Cassandra parve riprendere un po’ di lucidità, non rideva più istericamente e mi fissava, seria. Quando arrivammo alla macchina, Marco si allontanò per fare una telefonata e io feci scendere Cass dalle mie braccia. Lei non ce la fece a stare in piedi e si aggrappò subito a me. Fece un risolino.
“Grazie.”, mi disse abbracciandomi forte.
“Per cosa?”, le chiesi confuso, ricambiando l’abbraccio.
“Per esserci sempre quando ho bisogno di te.”
Sorrisi e le baciai la testa. “Dai, entra in macchina.”
Il viaggio in macchina fu straziante. Cassandra mi stava addosso, con la testa appoggiata al mio petto, disegnando cerchi immaginari con le dita sul mio addome e sbirciando la mia reazione. La mia pelle bruciava sotto il tocco delle sue dita e rischiavo di perdere definitivamente il controllo.
Cercavo di starle lontano e di non pensare a cosa le avrei fatto io se non fosse stata ubriaca.
Cercavo di sembrare insensibile al suo tocco e di pensare a una delle mie frasi stronze per farla allontanare da me.
Ma non me ne venne in mente nessuna.
“Sta mettendo alla prova il tuo autocontrollo, eh amico?”, mi chiese ad un tratto Marco, sghignazzando. Lui godeva nel vedere che finalmente una ragazza mi stesse facendo nuovamente quell’effetto dopo tanto tempo.
“Esattamente come Kate mette alla prova il tuo. Sai, Cassie ieri vi ha sentiti nel suo bagno.”, gli risposi, rimettendolo al posto suo. Lui infatti non rispose, imbarazzato com’era.
Quando arrivammo a casa, erano quasi le due e pioveva.
Aiutai Cassie a scendere dalla macchina. Marco mi salutò con un cenno della mano e ripartì. Mi avviai verso la porta di casa prendendola per mano, ma lei si fermò di colpo.
“Guarda Noah, una pioggia d’estate!”, esclamò, come se si fosse accorta solo in quel momento della pioggia che cadeva copiosamente.
“Si, Cass, piove, quindi sbrighiamoci ad entrare se no ci ammaliamo”, le risposi, continuando a tirarla per la mano, ma lei me la lasciò e cominciò a roteare su sé stessa ridendo.
Alzai gli occhi al cielo. Era proprio andata. La caricai come se fosse un sacco e la portai dentro casa, nonostante le sue proteste.
“Okay, adesso non muoverti di qui.”, le ordinai correndo su per le scale a prendere degli asciugamano per asciugarci. Ma quando tornai la trovai a volteggiare per la casa con Whiskey in mano.
“Cassandra ma che fai! Povero cucciolo.”, la rimproverai mentre liberavo quel povero gattino dalle sue mani. Presi un asciugamano e glielo porsi, dicendole di asciugarsi.
Ma lei prese i lembi della sua maglietta scollatissima e fece per sfilarsela. Io mi girai immediatamente imbarazzato.
“Vado a prenderti il pigiama!”, esclamai correndo via.
Non potevo continuare così.
Mi cambiai e andai a prenderle il pigiama dentro camera sua.
“Cass…?”, la chiamai mentre tornavo in salotto.
Ma non ricevetti nessuna risposta. Scesi in salotto ma lei non c’era.
Mi prese il panico. E se fosse uscita fuori? Se fosse scappata via?
Alla fine però, fortunatamente, la trovai in cucina, nascosta sotto il tavolo.
“Mi hai trovata!”, esclamò ridacchiando.
“Cassandra, non lo fare mai più, mi hai fatto prendere un colpo! Adesso mettiti il pigiama, io ti aspetto in salotto. Guarda che se ti nascondi di nuovo ti faccio il solletico fino allo sfinimento!”, la minacciai.
Lei ubbidiente prese il pigiama dalle mie mani e andò a cambiarsi.
Andai a sedermi sul divano, sfinito.
Mi sembrava di dover badare a una bambina!
Poco dopo, Cass tornò. Era bellissima anche in pigiama. Le feci segno di sedersi accanto a me. Lei, per tutta risposta, si sdraiò sul divano, appoggiando la testa sulle mie gambe.
“Perché hai bevuto così tanto, Cass?”, le chiesi io dopo un attimo di silenzio.
Lei ci pensò su. “Non ricordo. Ballavano tutti.”, sussurò.
“Non capisco come Iris possa averti permesso di bere così tanto. Per non parlare del tuo caro amico Nicholas! Se ci fossi stato io…ma lasciamo perdere. Non farlo mai più. Domani passerai sicuramente una giornata di merda. Vuoi un po’ di caffè? Magari ti aiuterà ad acquistare lucidità…”, dissi, ma lei stava già dormendo come un angioletto. Tirai un sospiro di sollievo. Almeno sarebbe stata tranquilla per un po’.
Ne approfittai per riposare un po’ anche io. Appoggiai la testa allo schienale e chiusi gli occhi.
Chissà perché Cassandra si era comportata in quel modo quella sera. Era ubriaca, ma perché venire proprio da me? Perché non restare con Iris e Nicholas? E perché tutte quelle carezze e provocazioni? Che si fosse accorta che provavo qualcosa per lei?
Meno male che non aveva provato a baciarmi, non credevo che avrei avuto la forza per respingerla. Lo desideravo troppo.
Ad un tratto sentii aprirsi la porta.
“CASSANDRA!”, gridò Iris, correndo verso di me, seguita da un ragazzo. Doveva essere Nicholas quello lì.
Le feci segno di fare silenzio.
“Che ci fa lei qui con te?”, mi domandò Iris sussurrando.
“Si è fatta portare da me e quando mi ha trovato era già completamente ubriaca.”, dissi a bassa voce. “Posso sapere cosa è successo?”, chiesi poi, guandando entrambi duramente. Iris guardò Nicholas.
“Ecco ehm…noi non lo sappiamo.”, rispose Iris tutto d’un fiato.
“Come, non lo sapete?!”, domandai ancora, leggermente alterato.
“Quando siamo entrati abbiamo bevuto qualcosa tutti insieme. Poi io e Iris siamo andati a ballare, abbiamo invitato anche Cassandra ma lei non ha voluto, neanche dopo averla pregata. Ha detto che preferiva restare seduta e ha promesso che non si sarebbe mossa di lì. Quando siamo tornati al bar non l’abbiamo più trovata, l’abbiamo cercata ovunque, dentro e fuori il locale, abbiamo chiesto a tutti di lei, ma nessuno pareva averla vista, così siamo venuti qui e per fortuna l’abbiamo trovata. Abbiamo preso un bello spavento.”, intervenne Nicholas.
Io annuii e guardai Cassandra che dormiva profondamente.
Quando eravamo al locale cubano però la voglia di ballare le era venuta….
“Cassandra è bellissima anche quando dorme, vero Nico?”, disse Iris, guardandola con fare dolce.
“Già.”, disse Nicholas, guardandola anche lui.
“Già.”, dissi io freddamente, stringendo il pigiama di lei con fare possessivo.
“Be’ io direi che è ora per tutti di andare a nanna, non vi pare?”, continuai a dire freddamente, guardando Nicholas.
“E’ vero. E’ stato un piacere passare questa serata insieme, buona notte.”, disse lui rivolgendosi a Iris e facendole un occhiolino.
Lei arrossì violentemente, sussurrò un buonanotte e chiuse la porta di casa.
Sorrisi. A Iris piaceva Nicholas. Meglio così, almeno si sarebbe levato di torno.
Iris venne a sedersi vicino a me. “Hai passato una bella serata?”, mi chiese.
“Insomma, poteva andare meglio. Tu?”, risposi.
“Idem.”, mi disse.
Silenzio.
Tornai a guardare Cassandra, a immaginare di percorrere con le dita quei lineamenti così perfetti, a immaginare che fosse mia. La mia Cassandra.
“Ti sei innamorato di lei, non è così?”, mi chiese Iris all’improvviso.
Sbarrai leggermente gli occhi. Non potevo dirle la verità, perché sarebbe corsa a svelare tutto a Cass l’indomani, ma non mi andava neanche di dire una bugia. Se lei lo aveva notato in metà giornata sicuramente era già troppo evidente.
“Si.”, risposi alla fine.
“E allora perché non ci provi con lei?”, mi chiese ancora.
“Perché mi picchierebbe.”, dissi ridendo. Rise anche lei.
“No dai, seriamente. Perché?”
“Tanto mi rifiuterebbe e io non voglio soffrire ancora per amore.”, risposi alla fine, sinceramente.  
“Non saprai mai che ti rifiuterà se prima non ci provi.”, affermò lei facendomi l’occhiolino.
Rimasi spiazzato.
Dopo un po’ di silenzio, mi alzai facendo attenzione a non svegliare Cassandra e la presi delicatamente in braccio.
“Porto Cass in camera sua. Buonanotte, Iris.” 





Salve a tutti! Sono tornata! Spero vi faccia piacere xD scusatemi tanto se non ho aggiornato prima, ma con la scuola non ho proprio avuto tempo di scrivere! Spero tanto che vi piaccia il capitolo e ringrazio ancora tanto chi mette la mia storia tra le preferite, seguite e ricordate, chi recensisce e chi legge soltanto! Vi adoro! Spero che il capitolo vi piaccia :3 Alla prossima!

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