Quattro battiti mancati

di belikeunicorns
(/viewuser.php?uid=706027)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32 ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Era il mio turno nel digitare al computer alcune frasi per la parte scritta del progetto di scienze che avremmo dovuto consegnare la settimana prossima e a un certo punto notai che Theo, il mio compagno di progetto, mi guardava con una malinconica dolcezza sul volto.
-Che c'è?- chiesi fermando il mio lavoro e guardandolo neglio occhi con poca attenzione. 
-Niente.- rispose sintetico distogliendo lo sguardo dal mio verso lo schermo del computer.
Quello che faceva non mi interessava così tanto, così, senza chiedere altro, tornai a battere le dita sulla tastiera del mio portatile. Dopo qualche secondo notai che Theo mi dava occhiate di sfuggita non so quante volte per non so quanto tempo. Alla fine mi spazientii.
-Ora dimmi cosa c'è che non va.- chiesi, anzi, ordinai.
-Sei tu, mi rendi... Confuso- rispose lasciandosi cadere sullo schienale della sedia.
Aggrottai la fronte, sbattei un paio di volte le ciglia e con un respiro tornai al mio lavoro dicendo:-Dico sul serio, dimmi cosa c'è che non va perché sono sicura che io non sono un tuo problema. Per lo più sei tu che in questo momento mi stai rendendo confusa.-
-Perché no?- chiese.
-Perché non ci conosciamo, non per davvero. Voglio dire, come fa una persona di cui sai solo il nome e qualche informazione in croce, essere un tuo problema?- spiegai.
-Non lo so... Ma tu fai parte comunque dei miei problemi.-
-Mi stai prendendo per il culo vero?- dissi -Senti, io non ho voglia di scherzare Abbiamo un progetto da completare entro cinque giorni, perciò cerca di non farmi innervosire per le prossime ore. Okay? Okay.-
E in quel momento non lo so proprio cosa sia successo, so solo che a un certo punto si è avvicinato a me e mi ha baciata inaspettatamente.
Quando tolse le sue labbra dalle mie l'unica cosa che riuscii a vedere erano i suoi occhi. 
Dio, quanto sono belli i suoi occhi castani.
Le farfalle nello stomaco mi pervadevano. Erano troppe, come se un esercito di loro si fosse annidiato dentro il mio stomaco pronto per attaccarlo e farlo esplodere. Io proprio non lo sapevo perché lo avesse fatto, non lo sapevo prioprio. In tutti questi anni non mi ha mai calcolata se non per i compiti o per chiacchierare- cosa che succedeva raramente- insieme.
Volevo dire qualcosa, ma non una cosa qualsiasi, una cosa importante. Volevo aprirgli il mio cuore e svelargli cosa provavo veramente per lui, ma ovviamente le parole non si decidevano di uscire. Dopo quell'imbarazzante silenzio tornammo senza dire niente al nostro lavoro, come se niente fosse accaduto. Era il 15 Febbraio, un sabato e mi ricordo che il giorno prima era San Valentino, una festa che odio non solo perché non ricevo mai niente di niente dalla bellezza di 15 anni, ma anche perché credo che sia una festa inutile.Una persona dovrebbe dimostrare di amare il suo partner tutti i giorni, nessuna eccezione, e non solamente in una festa del genere che capita solo una volta l'anno.
Finita la parte scritta del progetto, Theo se ne andò senza aggiungere niente e quella sera Sophie, la mia migliore amica, mi chiamò.
-DIO!- urlò dal telefono -Quanto odio Elizabeth!-
-Per prima cosa, se urli di nuovo al telefono, ti riattacco. Secondo, come mai? Che cos'ha fatto stavolta?- chiesi.
-E' che ieri ha costretto Charlie a regalarle delle rose e poi se n'è vantata! Ti rendi conto?! - spiegò cercando di mantenere il più possibile la calme.
-Lo dici perché ti piace Charlie e non ti ha dato nessuna rosa oppure perché trovi spregevole che Elizabeth faccia tutte le volte così?- domandai.
-Entrambe- rispose seria per poi scoppiare a ridere - Il lato positivo è che questo pomeriggio sono uscita con lui ed è stata quasi una cosa fantastica!-
-Ehm... "Quasi"?- Chiesi.
-Purtroppo si...- rispose dispiaciuta. Dopodiché inizò a raccontarmi come era andata e il perche del suo "quasi", mentre io intanto mi immaginavo solamente la scena:
Loro due soli, vicini. Dopo una breve discussione cala il silenzio. L'unica cosa che lo interrompe è il rumore del vento che passa tra gli alberi facendo frusciare le foglie e tra di loro sfiorando delicatamente sulle guance rosee. Sguardi bassi, cuore in gola e la mente impastata da un casino di sentimenti che nessuno di loro due riesce a descrivere a parole. Entrambi sono migliori amici l'uno dell'altra, ma questo complica le cose tra loro in fatto di sentimenti. Alzano lo sguardo e per qualche secondo si guardano negli occhi. Lui esita, lei è indecisa, ma decide comunque di fare quello che voleva fare da tempo. Voleva baciarlo, perché il suo primo bacio voleva daro a lui, un comune ragazzo speciale che le è rimasto a fianco da una giovane età ormai lontana. Sono vicini, sguardi appiccicati e finalmente le loro labbra si toccano. Si baciano. Ma quello che poteva sembrare una realtà era solo un sogno che poteva essere realizzato solo grazie a un coraggio che nessuno dei due sarebbe riuscito mai a vedere.
Quando finì di raccontarmi della sua uscita quasi perfetta, ci rimasi male. Decisi così comunque di raccontarle l'acccaduto con Theo, m cercai di sdrammatizzare il più possibile in modo da non farla star male per me.
Passò la domenica e poi arrivò un altro stramaledetto e infernale Lunedì. A scuola Theo non mi rivolse neanche una parola o uno sguardo e il mio cuore iniziava pian piano a sgretolarsi. Il colpo finale me lo diede lui quello stesso pomeriggio.
Stavo passeggiando da quasi un'ora al parco e a un certo punto lo vidi camminare a testa bassa guardando lo schermo del telefono. Avevo paura di avvicinarmi, mi sentivo intimorita e nervosa allo stesso tempo, ma presi tutto il mio coraggio e decisi di andare da lui.
-Hey...- dissi quasi sussurrando.
-Che c'è?- disse seccato girandosi verso di me riponendo il telefono nella tasca.
-Devo parlarti.- risposi decisa guardandolo negli occhi. 
-E io devo andare, ciao.- rispose freddo e senza aggiungere altro si girò e fece per andarsene, quando lo presi per il braccio e lo rigirai verso di me.
-Sai, io dovrei odiarti. - iniziai decisa mentre lui sembrava sempre di più impaziente -Dovrei odiarti, ma non posso... Sai, fa male che tu mi abbia baciata facendomi sentire amata, felice e poi mi lasci senza spiegazioni cercando di evitarmi in qualsiasi modo e facendo finta di niente.-
-Era solo un bacio.- rispose impassibile - Non significava un bel niente e se anche così fosse per me non avrebbe alcuna minima importanza dato che il soggetto baciato in questione, sei tu.-
-Ma a me importa eccome, ha significato qualcosa...- dissi con voce quasi flebile.
Sentivo un peso sul mio petto che si faceva sempre più pesante, come se volesse perforarmi il torace e, insieme a lui, il mio cuore. 
-Per me no invece. Non ha significato un bel niente.- rispose con voce dura guardandomi dritto negli occhi - Adesso, se non ti dispiace, devo andare. Ciao.- 
E senza aggiungere nient'altro se ne andò lasciandomi col cuore spezzato. Rimasi lì, delusa e con un vuoto infinito nel petto. E in effetti era vero, avrei dovuto proprio odiarlo. Se l'avessi odiato non sarebbe mai riuscito a calpestare il mio cuore.  La cosa però che mi distrusse di più fu la sincerità che aveva mentre mi parlava e quella sua enorme non curanza verso i miei confronti. Alla fine avrei dovuto accettarlo che a lui non importava un bel niente di me. Ma infondo a chi importava veramente?

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


-"Caro Diario, - lesse Jake dal fondo del corridoio cercando di imitare una voce femminile - è stato il Lunedì più brutto della mia vita. Non posso crederci, perché l'ha fatto? Mi sento uno schifo. Vorrei porre fine a tutta questa sofferenza, ma so già che passerà, non so quando, ma prima o poi passerà perché è solo una sciocchezza"- 
Quelle parole... Sono così famigliari... Pensai tra me e me. 
-"Eppure quello che provavo per lui era sincero e gliel'ho pure detto, come ha potuto?"- continuava Jake mentre i ragazzi intorno a lui ridacchiavano.
Pff! Ridere per delle sciocchezze scritte su un diario! Sembra di stare alle elementare e non in seconda superiore.
-Ma questa qui di chi sta parlando?- chiese Theo avvicinandosi alla piccola folla.
-Aspetta... - rispose Jake andando indietro di qualche pagina -Sta parlando di... Huh! Sta parlando di te Theo!- 
A quelle parole mi pietrificai. Corsi dentro l'aula benché fosse proibito durante l'intervallo e cercai freneticamente dentro il mio zaino. Del mio diario non ce n'era nessuna traccia. Quello che stava leggendo Jake a quella banda di uditori ficcanaso, era il mio diario. 
Lentamente uscii dall'aula mezza pietrificata dall'idea che loro possano scoprire che quello che Jake teneva in mano era di mia proprietà.
- Cosa ci trovate di così tanto divertente nel diario di una ragazza col cuore spezzato? - chiese Theo.
Non lasciò neanche Jake rispondere che gli strappò il diario dalle mani. A mio malgrado ne lesse qualche pagina in silenzio e dopo qualche minuto lo chiuse tenendolo stretto con la mano destra.
- Ora se non ti dispiace, lo tengo io. - disse alla fine. 
In quel momento il mondo mi crollò a dosso per il fatto che il ragazzo che mi spezzò il cuore una settimana fa, sarebbe riuscito a leggere tutti i miei segreti, le mie confessioni e tante altre cose che nessuno, soprattutto lui, avrebbe dovuto leggere.
Durante la quinta ora, mentre guardavamo un film con la professoressa di inglese, lui face scivolare il mio diario sul mio banco. E' stato facile per lui dato che, sfortunatamente per me, siamo finiti vicini di banco il giorno prima.
- So che è tuo. - mi bisbigliò.
- Come fai a saperlo? - domandai sotto voce.
- Ho letto delle pagine. - rispose sorridendo quello che temevo di più.
- E che cosa hai letto? - chiesi preoccupata.
- Sapessi... - disse sorridendo lasciando cadere la schiena sullo schienale della sedia - L'importante è che tu lo abbia riavuto e che nessuno sa chi è la vera proprietaria, no?-
- Giusto... - affermai e incrociai le braccia sul banco per poi poggiarci la testa. Pur avendogli dato ragione la mia mente non faceva altro che pensarci. Ero tormentata e non riuscivo neanche a capirne il motivo, perché non c'era affatto niente di male. Lui lo sapeva che a me piaceva e leggere il mio diario era solo una sorta di approfondimento sulla cosa se la pensiamo in modo tecnico. Alla fine non c'era niente di cui preoccuparsi, ma io lo ero comunque. 
-Senti...- gli dissi appena finì l'ora - Capisco di averti dato ragione prima, ma davvero, devo sapere cosa hai letto.-
Lo guardavo con occhi supplicanti mentre lui mi rivolgeva lo sguardo con un sorriso che si alzava da un angolo della bocca.
- Ho letto tante cose scritte. - rispose ridendo. Alzai gli occhi al cielo.
-Okay, va bene! - aggiunse senza togliersi il sorriso di bocca - Ho letto molte cose...-
-Lo so che hai letto molte cose scritte! - Lo interruppi io.
-Non interrompermi Lea! - disse e io gli diedi cenno di poter continuare. - Allora, ho letto molte cose scritte, non voglio rivelarti quali, ma ti dico solo che, sinceramente, sono delle belle cose. - 
- Su di chi? - chiesi socchiudendo gli occhi.
- Ti avevo detto che ti dicevo solo quello. - precisò, e sbuffando mi risedetti composta sulla sedia. Pochi secondi dopo entrò la professoressa di lettere.
Torno a casa, pranzo come al solito da sola con un panino e poi me ne sto in camera annoiata con il portatile sulle gambe e una coca fresca sulla scrivania mentre i miei gatti riposano tranquilli ai piedi del letto. 
All'improvviso sul mio telefono è apparso un messaggio da parte di Sophie, la mia migliore amica. 
Vai sul profilo di Eleonor. Subito.
Strano da lei, di solito mi saluta prima. Ho aperto una nuova finestra sul computer e sono andata sul profilo di Eleonor Sanders, una ragazza snob che io e Sophie non riusciamo proprio a sopportare dato il suo comportamento da Io Sono La Regina Sfigati.
Appena caricata la pagina il primo piano c'era un post in cui diceva "Faresti meglio a togliere le tue zampacce da troia dal mio fidanzato. Senti eh, non provarci neanche che altrimenti te la faccio pagare. L'ho letto il tuo diario pagina a pagina. Se leggi questo sai che sei stata avvertita."
Chiamai in un istante Sophie. Rispose dopo il terzo squillo di telefono.
-Hey...- disse - Tutto okay?-
-Perché non dovrebbe essere tutto okay? - risposi nervosa e poco convinta.
-Perché magri la nostra, anzi, la tua peggiore nemica ha in mano il tuo diario?- accentuò.
-E come mai dovrebbe essere proprio il mio? Voglio dire, non ci sono prove...-
-O forse si... Voglio dire, puoi anche non aver messo nomi, ma ricorda che lei è la fidanzata di Theo. Lui potrebbe dirglielo che è tuo oppure che sei stata tu la persona a cui ha spezzato il cuore...- rispose Sophie dopo qualche secondo.
Rimasimo in silenzio fino a quando Sophie non ha quasi urlato: -CI SONO!-
-Mi hai quasi farso perdere il senso dell'udito dall'orecchio.- precisai.
-Okay scusa... Comunque credo che dovresti chiamare Theo.-
-CHIAMARLO?!- urlai dalla cornetta del telefono.
-Okay Okay, allora non chiamarlo, non parlargli e poi vediamo cosa succede.- rispose - E comunque ora mi hai quasi reso sorda.-
-Siamo pari.- risposi mettendo il broncio che ovviamente, come mi resi conto poco dopo, lei non avrebbe neanche percepito col sesto senso.
- Parlerò domani direttamente con Eleonor e la affronterò come faccio sempre. Non può sopprimerci tutti ogni volta pensando di essere il capo e fare quello che vuole, no?- aggiunsi.
-Certo...- rispose lei poco convinta.
-Comunque... - continuò lei.
-Si?- dissi.
-Lui sta con Eleonor da quanto? Due o tre settimane? - 
-Un mese...- precisai malinconica.
-Ecco, e invece ti ha baciata una settimana fa, no?-
-Devi proprio ricordarmelo?- chiesi abbastanza infastidita. Era passata solamente una settimana esatta da quello che era successo e volevo chiudere per sempre quel capitolo, il capitolo Theo Collins. Non mi interessa se farà il gentile e tutto il resto, io VOGLIO e DEVO dimenticare e togliermi questa fastidosa cotta. Ed è una cosa abbastanza difficile se qualcuno ti ricorda che ti ha fatto del male quando ti è quasi passata.
-No. Bè... Si.. NON LO SO.- rispose - Il punto è che mentre stava insieme a quella odiosa Sanders, ti ha baciata. Non ti sembra strano?-
Silenzio. 
-Devo andare... Ciao.- dissi dopo pochi secondi. Riattaccai subito prima che potesse aggiungere altro.
Era palesemente ovvio che era strana la cosa. A me non disturbava affatto, ma la mia grande voglia di sapere mi ha indotto a mandargli un messaggio.
Dobbiamo parlare.
Dissi diretta. Dopo qualche minuto mi rispose anche lui.
Prima di tutto Ciao. E se vuoi parlare parliamo di persona e non messaggiando.
Alzai gli occhi al cielo.
E' importante dai.
E lui:
Quanto da 1 a 10?
Era una domanda veramente stupida. Se qualcosa è importante è importante, credo che non ci sia un grado di importanza. Risposi  lo stesso alla domanda senza lamentarmi.
Non lo so, credo 8.
E dopo quasi 5 minuti mi rispose:
Allora ne parliamo domani prima di iniziare le lezioni.
Nè obbiettai nè risposi a quel messaggio. Lasciai il telefono sul comodino e tornai al mio amatissimo portatile. 
Il giorno dopo arrivai a scuola abbastanza presto. Era tutto tranquillo, non c'era quasi nessuno e, non solo perchè quella in cui ero era l'entrata meno popolata della scuola, ma anche perché erano le 7:35 e le lezioni sarebbero iniziate solamente alle 8:00.
A un certo punto ricevetti un messaggio da Theo.
Dove sei?
 E io:
Nell'altra entrata della scuola, hai presente?
Rispose dopo qualche secondo con un:
 Si, ho capito. 5 minuti e arrivo.
E, come mi disse, arrivò dopo 5 minuti.
-Puntale, devo dire.- dissi sorridendogli mentre mi raggiungeva in cima ai gradini davanti all'entrata.
-Grazie. - rispose lui sorridendomi a sua volta.
-Allora, - aggiunse - cosa mi dovevi dire di così tanto importante da avere un 8 nella scala dell'importantità?- 
-Davvero quella parola esiste?- chiesi ridendo.
-Certo, altrimenti come farei a usarla in una frase?- rispose scherzando.
-Allora? - chiese sorridendo. -Il tempo di parlare di cose importanti, stringe.-
-Senti, perché mi hai baciata la scorsa settimana?- chiesi diretta senza fare giri di parole.
Il sorriso dal suo volto era scomparso e al suo posto si mise un'espressione infelice che guardava il suolo o altrove tranne che i miei occhi.
-Era solo un bacio non...- tirò fuori dalle sue labbra dopo qualche secondo, ma lo interruppi.
-Lo avevo capito.- dissi guardando quel volto che guardava fisso il suolo.
-Voglio dire, tu mi hai baciato mentre stavi con lei.- aggiunsi delusa. Ero delusa semplicemente dal fatto che lo credevo un bravo ragazzo e sapere che è una sorta di traditore, anche nei confronti di un'odiosa ragazza, distrugge tutto quello in cui credevo su di lui.
-Lei chi?- chiesi dopo una lunga pausa alzando lo sguardo verso di me.
-Eleonor.- risposi secca e infastidita.
-Ma guarda che io e lei ci siamo lasciati da un bel pezzo.-
-Da quando?- chiesi confusa.
-Non lo so.- rispose secco cambiando in meno di pochi secondi il suo stato d'animo da Theo Malinconico a Theo Il Freddo e bla bla bla. - Devo andare, ciao. - concluse. E senza neanche farmi aggiungere altro, scese le scale e uscì dal cancello.
 Tutto questo, tutto, era più strano di quanto avevo pensato. Le cose non tornavano. Ero confusa e, stranamente, avevo il bisogno di parlare con Eleonor.
Aspettai tre ore e, quando arrivò l'intervallo, la presi da parte e le parlai.
-Ahi!- si lamentò.
-Ma se non ti ho neanche stritolato il polso!- risposi.
-Bè, mi hai tirato forte il braccio però, ora fa male.- disse mettendo il broncio. 
-Comunque, - aggiunse. - che vuoi?-
-Parlare con te magari.- risposi.
-Si, questo lo avevo capito.- disse con un sorriso nervoso.
-Per prima cosa, di chi era il diario che hai letto? - 
-Perché lo vuoi sapere? Non sono affari tuoi.- rispose con fare altezzoso.
-Dimmelo o ti stritolo il braccio.- dissi prendendola per il bicipite iniziando a stritolare.
-AHI! Okay, ma smettila! - disse. -E' di Elizabeth il diario.-
-E come fai a saperlo?- chiesi socchiudendo gli occhi.
-Perché forse ha lasciato il suo nome scritto all'inizio.-
-Ah...- 
Meglio per me, un problema in meno da affrontare. Ma qualcosa ancora andava storto. Si comportava in modo meno antipatico de solito e questo non porta mai a niente di buono, soprattutto se la meno antipatica la fa con me.
-Comunque ho parlato con Theo, mi ha detto che vi siete lasciati da un bel pezzo. Come mai tu dici che siete ancora insieme?- chiesi e all'improvviso un sorriso che era tutt'altro che di felicità, le apparve in volto.
-Allora si vede che ti ha mentito a riguardo, perché noi stiamo ancora insieme.- rispose senza togliere quel ghigno dal volto.
-Da quanto?- chiesi più confusa e ferita di prima.
-Da un po'. Vedi, io l'avevo lasciato dopo due settimane, mi stava stufando. Ovviamente però voleva rimettersi con me e così è stato dopo qualche giorno.- 
-E quali sono questi giorni..?- chiesi quasi bisbigliando.
-Tra San Valentino e il Lunedì seguente.-
-Ma lui mi ha...- dissi, ma venni interrotta.
-Ti ha baciata?- chiese facendo sembrare che lei sapessa già la risposta. - Bè, cara mia, sappi che lui ti ha baciata per una scommessa.-
-Da chi..?- chiesi stupita.
-Da me. - rispose fiera e con un sorriso più grande di prima.
-Perché?- domandai guardandola negli occhi.
-Volevo vedere fino a quanto era disperato per riavermi.- 
Le lacrime mi stavano salendo agli occhi, volevo prendere a pugni quella brutta faccia sorridente che Eleonor mi stava rivolgendo, volevo gridare, prendere a pugni il muro, ma me ne andai semplicemente senza aggiungere niente.
Mi coprì gli occhi facendo finta di sbadigliare ed ero intenta ad andare in bagno, ma mi scontrai contro Theo e Jake.
-Hey  Lea, che hai? - mi chiese Jake preoccupato poggiandomi le mani sulle spalle e cercando di guardarmi negli occhi.
-Non ho niente, sto bene.- mentii e me ne andandai in bagno senza aggiungere niente.
BENE. Stavo bene con la B maiuscola , ma solo in un universo parallelo.
Sto Bene. Mi ripetevo chiusa in bagno e seduta con la schiena appoggiata al muro.
E alla fine, come ogni volta in cui c'era di mezzo lui, mi sono messa a piangere.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


La vita va avanti anche se tu stai male, anche se hai perso la casa o una persona cara e anche se il tuo cuore si è spezzato in mille pezzi. E ovviamente sono andata avanti con lei. Sono passati poco più di quattro mesi da quello che successe e quella fu l'ultima volta che piansi per un ragazzo. Ormai non ci facevo più caso. Piangere sul latte versato non aveva assolutamente senso e mi sono accorta che continuare a tirar fuori la storia lagnandomi su tutto, era ed è patetico. Anche se mancavano ancora tre settimane circa alla fine della scuola, i miei "simpaticissimi" professori, iniziavano a darci già una marea di compiti estivi. La parte positiva di tutto ciò era che mancava solo un giorno al mio compleanno.
Il giorno prima del mio, invece, era il compleanno di Jake Walker, un mio popolare compagno di classe. Decise che avrebbe dato una grande festa, data la mancanza dei suoi genitori che erano partiti in tempo per una piccola vacanza alle Hawaii lasciando il figlio irresponsabile e amante delle feste, a sè stesso in una villetta a due piani con piscina.
Invitò tutti quanti, inclusa me e Sophie. La festa iniziava alle 19:30 e come era mio solito, arrivai in ritardo. Mezz'ora dopo sull'orario indicato da lui, ma tanto cosa importava? Sicuramente tante persone sarebbero arrrivate dopo di me. Arrivai davanti a casa sua che faceva già buio. Era una villetta alta due piani con il legno delle finestre bianco e le mattonelle di un color nocciola chiaro. Il giardino molto curato con cespugli di rosa fioriti, qualche alberello qua e là e il vialetto fatto di piccole pietruzze bianche, grige e nere. La musica alta si sentiva anche dalla cassetta della posta. Prima di entrare mi fermai davanti alla porta di ingresso e presi il cellulare per scrivere un messaggio a Sophie.
Io sono davanti casa sua, tu dove sei?
La sua risposta arrivò dopo pochi secondi.
Dio, la festa era oggi? Me lo ero completamente scordata... Scusa, ora mi preparo.
E da quella risposta sapevo già che ci averbbe impiegato non più di un'ora per prepararsi per una festa. Ero sul punto di andarmene a casa per poi ritornare quando Sophie fosse stata pronta, ma la porta si aprì di colpo.
- Sei in ritardo. - disse con fare scherzoso qualcuno.
Mi prese per un braccio e mi portò dentro. La musica mi avvolse di colpo e si sentiva un odore di fumo misto a birra. Iniziai a tossire, così mi misi il dorso della mano davanti al naso.
- E ora... DIVERTIT!- disse quasi urlando l'ultima parola e mettendomi in mano una bottiglia di birra che aveva appena stappato.
Cercai di sorridergli gentilmente trattenendo il respiro.
Appena si voltò mi girai per dare la bottiglia alla prima persona che mi capitò  tiro.
Mi guardai intorno per cercare una finestra o una porta-finestra da cui uscire, ma, per quanto mi sforzassi, non riuscivo a trovare un posto libero dove stare da sola e per riprendere fiato. Decisi allora di salire per le scale. 
Era buio, non c'era quasi nessuno e quel quasi silenzio, mi diete una sensazione di sollievo.
Iniziai a entrare nelle varie stanza e infine trovai quella di Jake. Era in ordine con ogni cosa al suo posto, aveva un'odore di deodorante maschile e soprattutto era l'unica stanza con un balconcino. Camminai lungo la stanza per poi uscire sul piccolo balcone tirando un grande respiro. Mi sedetti sul pavimento di mattonelle grige stringendomi le ginocchia al petto, e intanto guardavo il cielo pensando a quanto sarebbe stato magnifico guardarlo con qualcuno. Dopo questo pensiero iniziai a sentirmi veramente sola. Volevo qualcuno che mi faceva compagnia, eppure stare con quei ragazzi al piano mi faceva sentire a disagio. Volevo solamente una persona al mio fianco a guardare le stelle. Quella persona però stava guardando lo stesso cielo, ma con un'altra persona. Abbassai lo sguardo per guardare il grande giardino dei Walker, e vidi Theo insieme a Eleonor sdraiati sull'erba che si tenevano per mano guardando il cielo stellato. 
Mi mise un po' di malinconia vederli insieme, ma non versai neanche una lacrima.
- Mai più. - sussurai a me stessa.
Rimasi a guardarli per un paio di minuti e la loro felicità faceva in modo che la mia se ne andasse. Mi alzai in silenzio e me ne tornai dentro la stanza. Uscita dalla camera di Jake, qualcuno mi finì addosso. Cerca di rimanere in piedi e appena portai davanti a me il volto di quella persona che sembrava morente, mi salutò.
-Ciao Lea! - disse Jake con un sorriso guardandomi.
-Ciao...- Risposi accennando un sorriso.
-Certo che il tuo entusiasmo si vede da un chilometro di distanza!- disse ironicamente con ancora il sorriso stampato in volto e cercando di tenersi in piedi da solo.
-Okay, scusa...- risposi, e dopo un sospiro, continuai con un pizzico di entusiasmo-Tanti auguri Jake! Sono felice di vederti!-
-Anchio!- rispose con un sorriso più grande di prima per poi cadere un'altra volta su di me.
- Jake, alzati, dai! - dissi cercando inutilmente di portarlo via da me, era troppo pesante.
Ma lui non rispondeva nemmeno se gli urlavo nell'orecchio.
Decisi allora di trascinarlo in camera sua. Dopo qualche minuto riuscii a buttarlo sul letto, ma ci caddi anchio. Era sopra di me, e mi stava soffocando. Riuscii a fatica a spostarlo vicino a me. Ero troppo affaticata per rialzarmi, così rimasi lì vicino a lui, guardandolo mentre dormiva beatamente. Aveva un odore forte di birra e penso che in quel momento si fosse ubriacato.
-Madonna, - gli sussurrai scherzosa - Compi appena 16anni e già ti ubriachi.-
E intanto i minuti passavano mentre io me ne rimanevo lì a guardare il soffitto.
- So che ti sembra strano che io me ne rimanga qui con te, ma non volevo lasciarti da solo...- gli dissi ancora.
- Grazie... - rispose.
Mi girai verso di lui e lo vidi sorridere.
- Non credevo che fossi sveglio.- dissi.
- Si, ma lo ero, volevo vedere se saresti rimasta a farmi compagnia. Mi sentivo solo...- rispose guardando il vuoto.
-Pensa che neanche i miei genitori si sono ricordati del mio compleanno. - contiuò - Sono partiti addirittura scordandosi di me a casa.-
-Come fai a dire questo?- chiesi. 
-Perché è vero. Non sapevo neanche che erano partiti fino a quando non li chiamai dopo due giorni per chiedere dov'erano. Sai, l'unica cosa che rispose mia madre è stato "Ah, ma non eri con noi?"- disse, poi, dopo un sospiro leggero, continuò - E' come se non mi volessero nemmeno.-
-Ah... Mi dispiace...- mi limitai a dire.
-Già, dispiace anche a me.-
-Da quanto va avanti tutto questo..?- chiesi.
-Da un po'.- rispose. -Vedi, quello che tutti credono mio padre, non lo è veramente. E' solo il fidanzatino di mia madre. Il mio vero padre è in prigione.-
-Non lo sapevo...-
-Infatti neanchio. - disse cercando di sorridere per mascherare la tristezza.
- Mi stai confessando tutto questo perché sei ubriaco oppure perché ci tieni davvero a farmelo sapere? - chiesi sul scherzare.
Lui si avvicinò a me e mi abbracciò chiudendo gli occhi.
- Entrambi. - rispose.
-Che stai facendo?- chiesi disorientata. Non mi aveva mai abbracciato prima, non avevamo mai interagito se non in quel momento, e trovavo davvero strana quella situazione.
-Ti sto abbracciando.- rispose - Sai, di una cosa su mille sono veramente certo: tutte le persone a questo mondo hanno sempre bisogno di un abbraccio. E so che tu ne hai bisogno da molto tempo.-
Dopo quella frase, Jake mi strinse più forte a lui, e, veramente, era la sensazione più bella che abbia mai sentito. Era come se a qualcuno a cui sembrava non importare niente di te, importava davvero.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Rimasimo abbracciati tutto il tempo (bè, lui abbracciava me mentre io mi limitavo a stargli il più vicino possibile perché avevo paura che se avessi fatto altro avrei rischiato di rovinare un bel momento), fino a quando qualcuno non aprì bruscamente la porta facendoci alzare le schiene in modo da stare seduti sul letto. 
-Bene, bene, bene...- disse una voce femminile sulla soglia della porta, -Ti stavo cercando Lea.-
Guardai con occhi socchiusi la sagoma in controluce alla porta. Non riuscivo a riconoscere bene la persona perché nella stanza c'era solamente un filo di luminosità e lei stava in contro-luce.
-Allora, devo aspettare molto o cosa?- chiese di nuovo impaziente.
-Si, okay, io ti ho fatto aspettare circa un'ora, ma è perdonabile, no?- aggiunse poi con tono più lieve.
Da quella sua affermazione, capiì che era Sophie e che era palesemente arrivata dopo un'ora. Mi trascinai giù dal letto guardando Jake con un lieve sorriso e mi dirisi verso Sophie.
Prima di andarmene, mi rivoltai verso di lui per salutarlo gentilmente con un'altro sorriso.
Uscimmo chiudendoci la porta alle spalle. Non riusciì neanche ad accennarle un "Ciao", che Sophie già mi tempestava di domande.
Dalla sua bocca partirono dei "Allora, l'hai baciato? E' successo qualcos'altro? Come mai eravate abbracciati?", per poi arrivare a un "Ma quello era Jake! Cos'ha fatto? Ha bevuto?"
-No, no, non lo so nemmeno io e non. so. nemmeno. questo. - risposi sinteticamente.
Su alcune sue domande avevo mentito, ma l'ho fatto semplicemente perché non voglio che me ne faccia altre. 
- In che senso  "non lo sai"? Tu dovresti saperlo.- disse incrociando le braccia.
-Senti, smettila di farmi domande, perché se inizi a farmene troppe di cui non so la risposta, mi fai venire voglia di saperla a tutti i costi e allora il cervello va in vacanza, capito?- dissi per farla smettere.
-Okay.- rispose rassegnata - Ma non finisce qui!-
-Allora aspetta e spera.- dissi ridendo.
-Comunque, che ne deci se adesso andiamo a fare baldoria?- propose con un grande sorriso mentre scendevamo le scale. Arrivammo circa davanti all'entrata e lì, dovetti risponderle.
-Mi dispiace, mia cara compagnia di avventure, ma io preferirei tornare a casa. Sai, l'odore che c'è qui non è gradevole, mi fa tornare in mente brutti ricordi...- dissi cercando di sorridere per poi finire a guardare il pavimento tirando un grande respiro.
-Capisco.- disse abbracciandomi il più stretto possibile.
Quando si staccò da me mi sorrise dolcemente, mi salutò e poi andò nell'ampio salotto.
Cercai di uscire il più silenziosamente possibile in modo che nessuna persona sconosciuta possa ritirarmi dentro e mettermi in mano una bottiglia di birra contro la mia volontà.
Mi guardai intorno. In giardino non c'era anima viva e il rumore della musica non si sentiva molto dal vialetto. Continuai ad ascoltare il magnifico silenzio, ed ero prorpio concentrata nel ascoltare il completo (o quasi), nulla. Ma nulla non era, perché in lontananza sentivo un rumore tranquillo. Andai sul retro della casa, dove sentivo flebile quel rumore, e vidi una grande piscina al centro dell'altrettanto grande giardino. Mi misi sul bordo della piscina, inginocchiata, a guardare l'acqua blu piena di cloro illuminata dalle luci sul fondo.
All'improvviso sentiì una mano dietro la mia schiena, non feci in tempo a girarmi che mi ritrovai nell'acqua gelida.
Appena misi fuori la testa dall'acqua, vidi il colpevole che, inginocchiato sul bordo come lo ero io qualche istante prima, se la rideva per il "divertentissimo" scherzetto che mi ha fatto.
-JAKE!- urlai arrabbiata.
-Oh mio Dio, Lea, sei troppo buffa col trucco che cola!- disse ridendo.
-Ah Ah Ah, divertente.- risposi con un sopracciglio inarcato verso l'alto.
-Piuttosto aiutami ad uscire.- proposi tendendogli la mano.
-Va bene.- rispose ancora ridendo.
Appena mi diede la mano, accumulai tutta la forza che avevo e lo tirai verso di me.
-Aha! Te l'ho fatta anchio!- dissi ridendo.
-Okay, questa me la meritavo.- disse sorridendo.
Quando smisi di ridere, lo guardai. Mi stava osservando con uno sguardo dolcemente malinconico.
-Che c'è?- chiesi -Tutto okay?- Ma non rispose.
Dopo qualche secondo iniziò ad avvicinarsi di più a me per poi tenermi stretta a lui stringendomi le sue braccia alla vita. I nostri volti erano divisi solamente da pochi centimetri di distanza e io continuavo a guardarlo negli occhi. Rimasimo così per qualche secondo, incerti, imbarazzati e forse anche un po' impauriti, fino a quando uno dei due finalmente si decise. 
Non mi sono affatto pentita di avergli dato io un bacio, perché è stato davvero meraviglioso.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Il giorno successivo era il mio compleanno. Soliti auguri, solite tirate di orecchie e, come ovviamente succedeva in ogni giorno scolastico, le solite lezioni. Durante le prime due ore la professoressa di matematica spiegò per tutto il tempo mentre io, seduta all'ultimo banco infondo alla stanza, leggevo il mio libro che per settimane avevo bramato ma che soltanto il giorno prima avevo ottenuto. 
-Lea!- mi sentiì chiamare, ma non ci feci caso fino a quando quella voce non mi chiamò una seconda volta con tono più alto. Alzai lo sguardo dal mio libro e vidi l'insegnate che mi guardava seria con le sopracciglia alzate.
-Allora, sei attenta o cosa?- mi chiese.
Avevo tanta voglia di risponderle 'cosa' e di urlarle in faccia di lasciarmi in pace perché stavo leggendo. Fin da sempre diventavo una furia quando qualcuno mi interrompeva durante le mie letture.
-Sono attentissima.- risposi.
-Bene, allora credo che non ti dispiacerà rispiegarmi quello che stiamo facendo, giusto?- disse con un sorrisetto nervoso.
E infatti non mi dispiaceva. Sapevo tutto l'argomento a memoria perché per errore l'avevo studiato giorni prima. Glielo spiegai pronta, chiara e con tutti i termini giusti. 
Non mi fece più domande per il resto della lezione.
Finiì il libro dieci prima che la lezione finisse, e in quei ultimi minuti mi misi a pensare. 
Mi misi a pensare a uno dei personaggi e a quanto mi sembrasse famigliare. Mi ricordava Colin, un ragazzo che avevo conosciuto durante le vacanze di Pasqua alla festa di compleanno di una mia amica di vecchia data. La protagonista della storia a un certo punto, veniva baciata da Colin, o per lo meno da quel personaggio che mi ricordava lui, e dato che io mi immagino quasi sempre come la protagonista dei racconti che leggo, non facevo altro che pensarci, quasi come se fosse stato reale.
Forza Lea, torna alla realtà, mi diceva il mio cervello. E infatti aveva ragione. Di Colin non sapevo quasi nulla. Sapevo soltanto che sapeva fare trucchi di magia, che frequentava la mia stessa scuola e che compie gli anni due giorni dopo il mio  compleanno. Eravamo due sconosciuti che si conoscono per un non so quale motivo.
La campanella suonò e l'insegnante di matematica lasciò l'aula con un 'arrivederci'.
-Allora,- iniziò Sophie girandosi verso di me -cos'hai fatto per il resto della serata?-
-Eh?- dissi alzando lo sguardo.
-Lea, sembra quasi che sei con la testa da tutt'altra parte!-disse -E non toglierti le pellicine del labbro!-
-Scusa!- dissi alzando gli occhi al cielo.
-Dicevo,- continuò - cos'hai fatto per il resto della serata?-
-Niente.-
-Sicura?-
-Al cento per cento. Tu?-
-Mah... Niente.- rispose con un sorrisetto -Ho solo incontrato dei ragazzi che ci provavano con me.-
-Ah, ma davvero?- dissi non molto sorpresa.
Capitava spesso che alle feste qualche ragazzo ci provasse con Sophie e che lei si dimenticasse del tutto della mia esistenza a causa di una qualche presenza maschile. Questo suo atteggiamento mi dava un po' fastidio, ma col tempo ci si fa l'abitudine. I suoi occhi azzurri cielo, la sua frangetta bionda che le copriva la fronte  e quel sorriso più bianco di una nuvola in una mattinata d'estate, la rendevano una ragazza davvero bella. 
Poteva avere chiunque ai suoi piedi, ma a lei interessava proprio l'unico ragazzo disinteressato a lei, Jake.
-Solo che ieri sera, quando te ne sei andata, non ho visto più Jake nei paraggi...- disse con aria triste.
-Ah, davvero?- risposi mordendomi il labbro inferiore.
-Tu l'hai per caso visto mentre uscivi?- chiese.
-Nope.- dissi diretta.
-Sicura?-
-Yep.- 
-Ora, se non ti dispiace,- aggiunsi -dovrei andare in bagno.-
-Stai bene? Sembri agitata...-
-Pff! Ma che dici! E' tutto okay.- risposi, e camminai velocemente verso la porta per poi uscire dall'aula.
Guardandomi sempre alle spalle, camminavo a passo svelto fino a quando non urtai bruscamente qualcuno e caddi a terra.
-Hey!- urlai caduta a terra.
-Ah... Ehm... Scusa... Tutto okay?- disse una voce.
Tirai un lungo sospiro. -Sì sì, tutto bene...-
Mi voltai verso "l'urtatore" e vidi che era Colin.
-Ah... Ciao Colin.- dissi.
-Su, fatti dare una mano.- rispose, e mi tese la mano per aiutarmi a tornare in piedi.
-Sicura di stare bene?- chiese nuovamente.
-All'incirca...-
-Certo, sembra un deja-vù.- disse ridendo.
-Perché?- chiesi aggrottando a fronte.
-Perché a Pasqua è successa la stessa cosa, solo che prima di cadere a terra mi hai preso il colletto della maglia per cercar di non cadere e invece ti sono caduto io sopra, ricordi?- rispose ridendo.
-Ah... Quella volta... Scusami ancora.- dissi imbarazzzata.
-Ora devo tornare in classa, che rottura di palle.- disse sorridendomi ancora.
-Dovremmo sentirci più spesso, ciao.- disse facendomi l'occhiolino e arrossiì.
-Ciao.- dissi quasi bisbigliando.
Me ne tornai in classe qualche minuto prima che la supplente arrivasse per non fare un bel niente.
-Secondo te,- iniziò Sophie mentre io ero ancora una volta nel bel mezzo dei miei pensieri -almeno un pochino Jake mi trova carina?-
-Non lo so.- risposi con aria assente, -prova a chiederlo direttamente a lui così ti togli il pensiero.-
-Forse dovrei...- disse con tono non molto convinto.
E sinceramente mi sarebbe piaciuto che anche Jake provasse quello che Sophie provava per lui, almeno quella sarebbe stata la grande prova che il bacio della sera prima era tutto un malinteso, un bacio dato così, per scherzare. 
In quel momento non sapevo a cosa pesare, a chi pensare o per lo meno, cosa provare.
Sapevo solo che il mio stomaco fluttuava e che se avessi detto a qualcuno tutto quello che mi stava passando per la testa, mi avrebbe preso per un'idiota, e io detesto essere presa per un'idiota.
-Senti...- disse Sophie poco dopo un breve silenzio.
-Si?- risposi.
-Come mai ieri sera eri abbracciata a Jake..?-
-Non era lucido, non sapeva neanche chi fossi, mi ha abbracciato solamente per scherzare.- risposi decisa e scherzosa dopo pochi secondi.
Sì, per scherzare

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Nel bel mezzo della terza ora si mise a piovere e già da subito sapevo di essere spacciata a causa di un ombrello mancato che ho lasciato stupidamente a casa pur sapendo che sarebbe piovuto. Abitavo a qualche isolato dalla scuola e non ne valeva proprio la pena prendere l'autobus, soprattutto per il fatto che non avevo il biglietto e/o qualche soldo per comprarmene uno. Quindi sarei dovuta correre sotto la pioggia bagnandomi tutta, e sapevo benissimo che nessun 'principe azzurro' o quel che sia sarebbe apparso per condividere un ombrello con me. Ma non c'era problema, mi piace la pioggia.
Mentre il professore di geografia spiegava il continente africano, io guardavo la pioggia con la testa sulle braccia incrociate sul banco, pensando.
E intanto mi ritornò in mente una poesia che tempo fa trovai nello zaino.
"E quando le prime gocce cadranno,
e quando i primi fiocchi di neve toccheranno il tuo viso,
anche quando il sole tornerà potente su di noi
e i fiori riinizieranno a fiorire,
sappi che io ti starò vicino.
Nonostante tutto.
Nonostante tutti."
Mi ritrovai questo foglietto di carta nei primi di Dicembre a scuola, nello zaino, mentre cercavo il libro di latino. Non sapevo bene chi fosse, ma ero certa che quel qualcuno me lo avesse infilato nello zaino durante l'intervallo.
Non ne feci a parola a nessuno, se non a Sophie. E anche dopo cinque mesi, non so ancora chi sia stato.
A interrompere i miei pensieri, questa volta, fu la campanella che annunciava l'intervallo.
Con un sospiro mi alzai e usciì dall'aula per poi andare direttamente al bagno.
Ero troppo stanca, o per lo meno ero rilassata. La pioggia mi dava una sensazione di sollievo e quella sensazione mi portava a una sorta di pigrizia che mi impediva di fare qualsiasi cosa.
Volevo un po' di pace e tranquillità, ma, come uno di solito dovrebbe aspettarsi, il bagno delle ragazze era pieno. Decisi così di uscire e, non curandomi delle altre persone, mi sedetti a terra con la schiena poggiata sul muro. 
Sophie nell'atrio non si vedeva, forse era andata a cercare Jake.
Non c'erano molte persone e quindi io avevo la pace che desideravo. E stavo tutta sola e tranquilla a pensare -cosa che facevo parecchie volte- fino a quando qualcuno si sedette vicino a me.
-Hey!- disse Colin sedendosi.
Accennai un sorriso.
-A che pensavi?- chiese -Sembri così giù.-
-Niente di importante, per ora, mi ero appena seduta.- risposi.
-E come mai tutta sola soletta?- domandò addentando la sua pizza presa dal paninaro giù all'entrata.
-Ah, - aggiunse -E buon compleanno!-
-Davvero sai quando compio gli anni?- chiesi sorridendo.
-Certo, li compi due giorni prima di me.- disse come se fosse la cosa più ovvia.
Posò la sua pizza cercando ti tenerla in equilibrio sulle ginocchia, dopodichè si tolse una collana dal collo. Era una cordicella scura, sottile, con un piccolo ciondolo bianco a forma di tartaruga che si chiudeva con un semplice gancino. 
-Ecco.- disse con tono fiero porgendomi la collanina tra le mani, -Non sarà molto, ma questo è il tuo regalo di compleanno.- aggiunse poi con un sorriso.
Era semplice, e la adoravo in tutta la sua semplicità.
-E' bellissima, grazie.- dissi. 
Azzardai un poco, ma poi decisi di dargli un bacio sulla guancia.
La campanella suonò e Colin tornò nella sua classe, ma io rimasi ancora un po' seduta a terra.
Era come se non volessi alzarmi.
Forza Lea, torna in classe, mi disse il cervello, e mi alzai con malavoglia dal mio posticino tranquillo.
Mentre camminavo per tornare in classe, continuavo a guardare la collanina di Colin che avevo ancora tra le mani. Ma a un certo punto qualcuno mi sbarrò la strada a pochi metri dalla meta. Alzai lo sguardo e vidi Jake che mi guardava serio negli occhi.
-Ciao...- dissi come imbarazzata. E in fatti lo ero. 
-Senti, io dovrei andare in classe...- aggiunsi senza avere risposta.
Feci un passo a destra ed ero sul punto di continuare per la mia strada, ma appena feci un passo in avanti, mi tirò per il braccio sinitro e finiì appiccicata a lui.
Il suo viso e il mio erano un'altra volta a pochi centimetri di distanza. Jake mi teneva stretta a lui e io non riuscivo a muovermi.
Per favore... Non lo fare... Pensavo, e cercai di farglielo capire con lo sguardo, perché il quel momento non riuscivo ad aprire bocca.
Ma, in men che non si dica, le sue labbra erano già sulle mie.
-Lea...- mi sentiì dire alle spalle, e sapevo già di chi era quella voce.
Presi tutte le forze che avevo e mi staccai Jake di dosso per poi girarmi verso Sophie.
-Sophie... Aspetta, io...- 
-TU? TU COSA, LEA?- chiese con voce flebile e allo stesso tempo arrabbiata. Sapevo che a momenti avrebbe pianto e che io non avrei potuto fare niente per essere perdonata. 
Silenzio. Non sapevo come continuare quella frase, perché allo stesso tempo non sapevo cosa fare.
-Bene.- disse con voce dura. Si voltò e se ne andò senza aggiungere niente.
E io rimasi lì, come pietrificata.
-Lea...- disse Jake.
-Sta zitto. Non aggiungere niente.- dissi senza voltarmi.
Non dovevo arrabbiarmi con lui, non era colpa sua. 
Era colpa mia, solo colpa mia.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Un altro giorno, un'altra sera, un'altra festa. Non sapevo di preciso dove fossi e perché fossi lì, ma il pensiero non mi passava per la mente mentre balavo al ritmo di musica in un grande giardino. Chiusi gli occhi per qualche istante in modo da potermi lasciar andare e dimenticare anche solo per un attimo tutto quello che è accaduto.
Pian piano la musica si affievoliva, l'atmosfera diventatva più pesante e l'aria mi mancava, quasi come se non potessi nemmeno fare un respiro. Riaprii gli occhi e l'acqua di una grande piscina mi circondava. Nuotai il più veolce possibile per tornare in superficie e riprendere fiato. Quando riuscì finalmente a respirare, mi guardai intorno cercando con fatica di restare a galla. Mi girai e dietro di me, a qualche metro di distanza, c'era il bordo di una piscina. Cercai di nuotare verso il bordo, ma più cercavo di avvicinarmi, più la mia meta si allontava. Sconfitta non cercai più di arrivare a terra ferma. Dopo qualche istante qualcosa mi prese per le caviglie cercando di portarmi nell'abisso profondo di quella che sembra apparentemente una piscina. L'acqua era diventata una sorta di stagno e non riuscii a vedere chi, o che cosa mi stesse trascinando verso il basso. Agitai le braccia il più veloce possibile, ma nulla poteva fermare c'ho che voleva annegarmi.
Alzai per un attimo lo sguardo e vidi Sophie al bordo della piscina, inginocchiata a un paio di metri da me che mi guardava impassibile.
-SOPHIE! AIUTO!- urlai cercando di nuotare verso di lei. 
Era tutto inutile. Tesi il braccio verso di lei cercando di farle capire che avevo bisogno del suo aiuto, avevo bisogno di lei.
-Ti prego...- sussurrai sul punto di cedere.
-No.- disse con uno sguardo impassibile. Pochi istanti dopo si alzò e senza dire niente se ne andò via lasciandomi alla mia sorte.
-SOPHIE! SOPHIE!- urlai, ma nessuno tornò indietro.
-Sophie...-
Alla fine cedetti, quasi come se non mi importasse più di vivere, e venni risucchiata nell'oscurità.
Poi vuoto.
A un certo punto sentii la sua voce.
-Perché l'hai fatto?-
-Tu eri la mia migliore amica...-
-E lo sono!- pensai. Non riuscivo a parlare, eppure lo volevo con tutta me stessa. Cercai di trovarla nell'oscurità, ma i miei tentativi erano vani. C'era solo il buio immenso.
Le voci si moltiplicarono dicendo frasi che mi pugnalavano al cuore a ogni parola emessa. 
-Perché sei così egoista?-
-Perché mi hai voluto spezzare il cuore?-
Perché, perché, perché.
Non ce la facevo più, ma il vaso ha traboccato all'ultima goccia quando sentii con tono insolente, la frase che mi fece arrabbiare e allo stesso tempo, del male più di tutte.
-Perché devi essere un'amica così pessima?-
Come poteva , lei lasciare che un'amicizia come la nostra potesse essere rovinata da una sola e singola persona? Come poteva lasciare che tutto questo finisse nonostante gli sforzi e tutto quello che io ho fatto per lei? Nemmeno io sapevo darmi una risposta, ma Sophie l'ha fatto comunque.
Le lacrime, che erano un misto di rabbia e grande tristezza, mi solcavano il volto pur essendomi ripromessa di non versare neanche una goccia. Presi tutta la forza che avevo dentro di me e urlai, come se questo sarebbe potuto servire per migliorare la situazione, o almeno per dimenticare.
Mi svegliai nel bel mezzo della mattina urlando. Erano le 6:30 e mi sarei dovuta preparare per andare a scuola come ogni sabato e ogni giorno. Rimasi lì a guardare il soffitto asciugandomi le lacrime che mi erano scese durante il sonno, quando qualche attimo dopo, arrivò mia madre allarmata.
-Dio mio, Lea! Tutto bene?- chiese agitata.
-Emh... Sì, mamma... Tranquilla...- risposi con voce flebile e lo sguardo abbassato sulle sue pantofole rosa.
-Tesoro, nei sei sicura? Hai gli occhi gonfi... Hai avuto un incubo?- mi chiese sedendosi sul mio letto e abbracciandomi dolcemente. 
Profumava di lavanda e la sua felpa di lana, pur dandomi fastidio alle guance, era soffice.
-Una sorta...- risposi tirando su con il naso.
-Dio mio, Lea!- ripetè un'altra volta dopo avermi messo una mano sulla fronte, -Scotti!-
E così dovetti rimanere a casa con a febbre a 38.5 dato che il giorno prima ho camminato per mezz'ora sotto la pioggia fredda senza ombrello e al compleanno di Jake tornai a casa bagnata con il vento freddo primaverile.
-Sei stata una cretina a non portarti l'ombrello dietro!- dissi mia madre ridendo mentre mi cucinava la colazione.
-Sì sì, scusa. Ero in ritardo e andavo di fretta.- risposi avvolta da un piumino.
-Il fine non giustifica i mezzi, Lea. La prossima volta sta più attenta!- disse con un sorriso porgendomi la colazione: Bacon, uova e un muffin semplice avanzato dal suo raduno settimanale del club del libro. Le rivolsi un lieve sorriso in segno di gratitudine.
-Hai impegni oggi?- le chiesi masticando un pezzo di bacon.
-Sì, fra qualche oretta dovrei andare da Vivian per il club del cucito, poi in palestra e questo pomeriggio dovrebbe  venire il figlio di Giusy, deve lavorare oggi e dovrei badare a suo figlio per qualche ora.- rispose.
-Giornata impegnativa allora.- risposi. -Ma Giusy ha davvero figli? Non li ho mai visti quando andavamo da lei quest'estate.-
-Sì, ne ha uno, solo che durante le vacanze suo figlio stava da suo padre. Sai, sono divorziati...-
-Lo so.- dissi  dispiaciuta - Quanti anni ha? 10? 11?- domandai poi.
-Dovrebbe compierne 16 questo mese, se non mi sbaglio.-
-16?- ripetei sorpresa quasi sul ridere -E ha bisogno di una baby-sitter?-
-Bè... Lo scorso giorno in casa loro sono entrati dei ladri e da allora Giusy ha paura di lasciare da solo il figlio a casa.- rispose.
-Comunque, - aggiunse - credo che sia un ragazzo della tua scuola, ma non mi ricordno bene chi...- 
-Ah...- risposi sorpresa e intanto speravo con tutta me stessa che non fosse qualcuno di mia conoscenza.
Finiì in silenzio la mia colazione, dopodichè mi rifugiai in camera mia.
Mi sdraiai sul letto con le cuffie alle orecchie ascoltando i Bring me the Horizon, e dopo qualche minuto mi addormentai.
Sempre lo stesso sogno, o per lo meno, incubo. Io che annegavo e Sophie che mi urlava contro mentre le mie lacrime scendevano dai miei occhi solcando le guance di un viso che scottava.
Venni svegliata ore più tardi dal suono fastidioso del campanello.
Guardai l'orologio, erano le 11:30 , avevo dormito quasi tre ore.
Rimasi sul letto a guardare il soffitto asciugandomi le lacrime che nuovamente mi bagnavano la faccia e sperai che il suono di quel maledetto campanello smettesse.
Mi ritrovai Bianca, la mia gatta, appisolata vicino a me.
Sorrisi e accarezzai il morbido pelo bianco di quella piccola gattina di quattro mesi con gli occhi color cielo che avevamo adottato un mese fa. 
Il suono del campanello svegliò anche lei per un attimo, ma dopo qualche secondo tornò a dormire come se niente fosse. Il campanello smise di suonare per qualche minuto e tirai un sospiro di sollievo. Sicuramente ripasserà più tardi.
Misurai la febbre, ed era nettamente scesa. Mi alzai a malavoglia dal letto e camminai prigramente verso il salotto, poi verso la cucina dove trovai un biglietto da parte di mia mia madre.
Lea, 
Arriverò dopo pranzo. Se vuoi c'è la pizza surgelata da riscaldare al forno, non bruciarla questa volta.
Il ragazzo dovrebbe arrivare verso mezzogiorno o all'una. Per favore, se arriva prima del mio ritorno, non fare la sgrusa e trattalo bene, okay?
Bacioni, Mamma.
Dopo aver letto il bigietto, mi feci una doccia veloce e mi misi dei leggins neri e una larga felpa leggera di colore grigio chiaro. Con i capelli mezzi bagnati andai in cucina e misi la pizza in forno. 
Erano solo le 12:30, ma avevo una fame da lupi. Dopo qualche minuto sentiì risuonare ancora una volta il campanello.
-Che palle...- sussurrai tra me e me andando verso la porta.
-Cosa vo...?- dissi aprendo la porta, ma non riusciì a finire la frase. Rimasi sopresa e quasi pietrificata nel vederlo davanti a me in quel momento davanti alla porta di casa mia.
-Ciao.- mi disse sorridendo -Tua madre è in casa?-
E in quel momento realizzai che Theo era quel ragazzo che sarebbe dovuto stare in casa mia per tutto il pomeriggio.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Lo feci entrare in a casa senza dire niente, la mia mente ancora cercava di elaborare che cosa stava accadendo. Si diresse verso il salotto senza voltarsi, mentre io continuavo a guardargli le spalle confusa.
Si sedette sul lungo divano bianco che stava affianco alla televisione e posò o zaino sul pavimento. Mi sedetti di fianco a lui a una ventina di centimetri di distanza.
Sedeva ricurvo con gli avambracci poggiati sulle cosce e le mani incrociate guardandosi un po' intorno.
-Carina la vostra casa.- disse gentile senza guardarmi.
-Grazie.- risposi quasi sussurrando.
-Tuo padre invece? E' a lavoro? Non sento mai parlare di lui.- chiese guardandomi -Sai, le nostre madri parlano molto insieme e a volte le sentivo da camera mia e...-
-Mio padre è morto...- dissi abbassando lo sguardo.
-Ah... Scusami...- disse distogliendo lo sguardo da me come se si sentisse in colpa.
-Non devi scusarti, non è colpa tua...-
Mio padre morì quando avevo solamente cinque anni. Era un giorno di pioggia, me lo ricordo come se fosse stato ieri. Era uscito di casa ubriaco e arrabbiato con mia madre, mentre lei piangeva ininterrottamente in cucina e io ero in camera mia dopo che mio padre mi urlò che non erano cazzi miei. Li sentivo gridare l'uno contro l'altro e mi ricordo che quasi mi misi a piagere anchio. Se ne andò bisbigliando parole che a stento riesco a ricordare, lasciando un forte odore di birra dopo averne bevuto una decina prima di andarsene, e l'odore  di quella bevanda, mi riporta indietro a quel bruttissimo giorno che volevo solamente dimenticare.
Dopo qualche ora a casa vennero due uomini che ci dissero di aver trovato il corpo di mio padre per strada sanguinante. Dissero di averlo visto mentre veniva investito da una macchina nera e che il guidatore non si degnò neanche di fermarsi per vedere se fosse vivo o meno. Chiamarono un'ambulanza, ma quando arrivarono era troppo tardi.
A un certo punto sentii un odore insolito, quasi sgradevole.
-Lea, lo senti anche tu questo odore di bruciato?- mi chiese Theo.
E un lampo mi passò per la mente ricordandomi che la pizza era in forno da molti più minuti del dovuto.
-Cazzo! La pizza!- urlai e corsi a piedi scalzi verso la cucina.
Spensi il forno e quando lo aprii una vampata di fumo uscì innebbiandomi la faccia.
Tossii cercando di mandare via l'aria con un braccio, presi una presina e tirai fuori la pizza mezza bruciata.
-Madonna! Come hai fatto a bruciarla così tanto?- chiese sorpreso Theo.
-L'ho lasciata in forno per mezz'ora...- risposi imbarazzata.
-Sì, ma non dovrebbe bruciarsi così tanto.-
-Bè... Ho alzato al massimo i gradi per farla cuocere prima...- ammisi.
-Che cogliona!- disse lui ridendo.
-Ah Ah Ah. Sto morendo dalle risate. Intanto adesso non abbiamo più niente da mangiare.- dissi aprendo il frigorifero e poi la dispensa. Dentro la dispensa trovai un altro bigliettino da mia madre.
Se stai rovistando nella dispensa, vuol dire che, nella maggior parte dei casi, hai bruciato un'altra volta la pizza. 
Se non vuoi morire di fame, cucinati della pasta col sugo (riscaldalo prima). Non bruciare pure quello.
Bacioni,
Mamma
-Certo che sei una prevedibile.- disse Theo sorridendo alle mie spalle.
Alzai gli occhi al cielo e presi una pentola per poi riempirla d'acqua.
Mangiammo della pasta al dente e semifredda data la mia scarsa capacità nel cucinare, senza scambiarci nemmeno una parola o rivolgerci lo sguardo.
Finita la pasta che, subito tre bocconi mi riempiva già lo stomaco, sparecchiai.
 -Se vuoi guardare la televisione, il telecomando è sul tavolino, mentre se vuoi leggerti un libro, mia madre ne ha alcuni nella libreria a fianco alla finestra in soggiorno. Se hai bisogno, chiedi.- dissi prima di andare in camera mia.
Mi buttai sul letto a pancia in giù e mi misi a guardare il telefono.
Nessun messaggio da Sophie.
-Cosa aspetto a fare? Tanto non le importa più di me...- dissi tra me e me mentre i capelli ancora mezzi bagnati mi rimanevano appiccicati sulle guance.
Bianca era ancora lì appisolata nonostante fossi piombata sul letto. Dormiva beata, come se non ci fosse nulla di cui preoccuparsi se non di dover dormire. 
Iniziai a accarezzarle dolcemente il pelo morbido che la ricopriva pensando che lei non mi avrebbe lasciato mai. 
-E a chi è che non dovrebbe importare più di te?- chiese Theo sulla soglia di camera mia, -Io per caso?- aggiunse poi in modo scherzoso.
Mi alzai in modo da poter stare seduta sul letto e incrociai le gambe lasciando le mie mani cadere sulle cosce, ma non gli rivolsi lo sguardo.
-No.- risposi seria guardando il vuoto.
-Con te è diverso,- aggiunsi,- a te non è mai importato nulla di me.-
Poi gli rivolsi uno sguardo di quelli che ti dicono "E' vero. Che vuoi farci?"
Poi silenzio. Distolsi lo sguardo da lui e tenni il ciondolo della collana che Colin mi aveva regalato il giorno prima, stretto tra le dita. Rimasi a guardare il vuoto distrattamente, sperando che Theo se ne andasse, ma rimase davanti alla porta guardandomi con aria dispiaciuta. 
In quel momento entrò Nut, il mio gatto poco più grande di Bianca. Lo sentii fare le fusa e, da questo, capii senza neanche distogliere lo sguardo, che Theo si era messo a coccolarlo.
Lo prese delicatamente in braccio mentre faceva ancora le fusa, e si sedette di fronte a me con Nut tra le braccia.
-E chi ti ha detto che non me ne è mai importato?- disse continuando ad accarezzare il pelo grigio di un piccolo gatto grassoccio dagli occhi verdi.
-Forse dal semplice fatto che mi hai baciata per una scommessa ridicola e te ne sei fregato altamente quando mi sono messa a piangere due volte a causa tua.- riposi calma cercando di far sembrare che il tutto non mi importasse, ma nel mio tono si poteva sentire ancora la tristezza che ho provato.
Aspettando una risposta non gli rivolsi neanche uno sguardo, guardavo distratta solamente il pezzettino di coperta che segnava la piccola distanza tra me e lui.
Il silenzio quasi completo ci circondò non appena Nut si addormentò vicino a Theo, che decise di non aggiungere niente a riguardo.
Io invece continuavo a guardare distrattamente lo stesso punto mentre una marea di pensieri entrava nella mia testa.
Non so se fosse il ricordo di Theo o se fosse stato per Sophie, ma in quel momento mi misi a piagere.
Le lacrime iniziavano a scendere dai miei occhi solcando le mie guance per poi cadere sulla soffice coperta. Mi coprii il volto con le mani in modo da sembrare solo annoiata e/o stanca, ma non riuscivo a smettere di singhiozzare. Le lacrime iniziarono a scendere sempre di più, e, appena cercavo di trattenere il respiro per calmarmi, non ci riuscivo. 
Sentii le sue braccia mettersi intorno a me e il suo petto a contatto con la mia guancia e una mia spalla. Lasciai cadere le mie mani sulle cosce dopo essermi calmata per un attimo, ma le lacrime non si erano ancora arrese. Riiniziai a piangere più forte di prima. Affondai il mio viso bagnato sul suo petto mentre lui mi stringeva più forte di prima appongiando una sua guancia sulla mia testa.
-E' tutta colpa mia.- dissi piangendo, -Se non avessi baciato Jake, Sophie sarebbe ancora mia amica.-
-Non è vero.- rispose, -E' tutta colpa mia...-
Appena mi calmai almeno un poco, gli chiesi il perché di questa sua affermazione e, dopo un breve silenzio, disse che Jake gli aveva raccontato tutta la faccenda e che lui gli diede il consiglio di baciarmi un'altra volta in modo da vedere se quello che provava per me non era solamente per l'effetto della sbronza.
-E perché gli hai dato questo consiglio?- dissi con ancora qualche lacrima che mi scendeva dal viso.
-Perché volevo che tu avessi qualcuno migliore di me.- rispose, -Era una sorta di modo per farmi perdonare, per farti dimenticare di me. Io ti ho fatto solo del male, e pensavo che forse con Jake sarebbe andata meglio dato che lo hai baciato.-
-Volevo solamente che tu fossi felice.- aggiunse, -A me importa di te e mi dispiace di averti solamente fatto soffrire...-
E in quel momento la mia pancia mi iniziò a fluttuare, come se avesse fatto un lungo volo e non volesse ancora scendere. Capii che ancora provavo qualcosa per lui e, nonostante la consapevolezza dei rischi, ero felice.
Poi il silenzio ci avvolse. Nessun pensiero, nessuna parola, solo io e lui abbracciattati, solo noi due.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


E poi che successe? Nemmeno io lo so per certo.
Lui continuò a tenermi stretta tra le sue braccia mentre io, dopo essermi calmata pian piano, mi addormentai. 
Non so cosa successe dopo, so solo che, appena mi svegliai, lui non era più vicino a me e la febbre mi era salita un'altra volta.
Con la testa pesante mi alzai dal letto e camminai pigramente verso il salotto.
I capelli si erano asciugati durante il sonno, ma potevo ancora sentire sulle spalle l'umido sulla felpa.
Erano le 16:00 e il sole batteva ancora sopra le case come se non volesse ancora andare in ritirata. Trovai mia madre seduta in cucina che sfogliava una rivista mentre smangiucchiava dei cupcakes aveva sicuramente preso da Giusy.
-Ecco la mia malata preferita!- disse rivolgendomi un grande sorriso a trentadue denti.
Indossava una felpa grigio topo con la zip chiusa, dei leggins neri e aveva una cosa scompigliata, ma il suo viso era raggiante e rilassa come se fosse andata a un centro di bellezza.
-Hai dormito come un ghiro per ore!- disse poi tornando alla sua rivista.
-E il ragazzo che doveva venire?- chiesi come se non l'avessi visto nell'arco della giornata.
-Se ne è andato poco prima che ti svegliassi.- disse, -Ho visto che alla fine hai cucinato la pasta, sono felice che prima di tornare in letargo gliene abbia cucinata un po'.-
-Già.- risposi non sapendo cos'altro dire.
-Lo sapevo che avresti bruciato la pizza.- disse poi quasi ridendo.
Sospirai guardando di sfuggita il soffitto. 
-Comunque è un bravo ragazzo, dovreste sentirvi più spesso.- rispose mia madre.
Senza dir nulla presi su due cupcake dalla glassa rosa e gialla e me ne andai in camera mia.
Le ante della stanza erano ancora chiuse e piccoli fili di luce entravano per illuminare la camera quanto bastava per far in modo che non ci fosse il buio totale. Appoggiai i due cupcake sul comodino vicino al letto, mi sdraiai a pancia in su e controllai le notifiche sul telefono.
Una notifica, ma non da parte di Sophie, da parte di Charlie.
Ciao Lea, ho saputo di Sophie... Me l'ha detto lei. Perciò a lei piace Jake..?
Charlie era uno tra quei tanti ragazzi che sono piaciuti a Sophie, solo che lui non l'ha mai saputo. Mi ricordo ancora qualche mese fa quando Sophie aveva una cotta per lui nonostante fosse il suo migliore amico, mi ricordo ancora quando aveva solo in testa lui e nessun altro. Ma le cose cambiano. Charlie si fidanzò stupidamente Elizabeth, che si mise con lui solamente per non esser sola pur provando qualcosa per Theo. A quel punto Sophie si arrese e si accorse magicamente di quanto figo fosse Jake.
Gli risposi con un semplice Ah, davvero?
E lui mi rispose di sì con una faccina triste. Io lo sapevo il suo segreto.
A lui piaceva Sophie dai tempi della prima media, quando si erano incontrati la prima volta, solo che lei non lo sapeva.
Me lo disse solamente in terza media quando era ufficialmente il suo migliore amico e il mio. Lo istigai svariate volte dicendo che sicuramente lei provava lo stesso, ma era troppo timido per fare un passo avanti. E così rimase nell'ombra dell'amicizia quando in realtà era al primo posto nel piedistallo dorato di Sophie
Non dovrebbe dispiacerti dato che ora tu e Elizabeth state insieme da quasi due mesi.
Aggiunsi.
Ci siamo lasciati da un po'... Ho scoperto che si faceva con un altro.
Rispose.
Ah... Mi dispiace. Ma ancora ti piace Sophie?
Dopo cinque minuti di attesa ricevetti la sua risposta:
Non ha mai smesso di piacermi...
Che cosa stupida, allora perché ti sei messo con Elizabeth? chiesi.
Volevo vedere come reagiva, se provava qualcosa per me. Quella con Elizabeth era una messa in scena che, purtroppo, è durata due mesi data la sua testa dura.
E alla fine, non sapendo cosa rispondere, gli dissi solamente: Che coglione...
Rimasi col telefono in mano in attesa di una risposta che non arrivava, che non voleva arrivare. Lasciai il telefono sul petto e iniziai a guardare distrattamente il soffitto.
Ero avvolta da mille pensieri a cui, purtroppo, non prestavo molta attenzione. 
Chiusi per un attimo gli occhi e riuscivo solamente a sentire il battito regolare del mio cuore, poi un profumo a me famigliare mi pizzicò il naso. Era un odore dolce, ma allo stesso tempo stuzzicante. Era un profumo da uomo, ma non di quelli che ti pizzicano il naso per il troppo fastidio, era uno di quei profumi che, appena li respiri, ti rimangono impregnati nei polmoni, come se volessero stare lì per sempre. 
Misi le mani dentro le larghe maniche di una felpa che non mi apparteneva, e le misi al petto e vicine al viso quanto bastava per riuscire a sentire quel profumo.
Sentivo ancora il calore del suo corpo che ancora abbracciava il mio.
Aprii gli occhi e mi alzai lentamente con la testa che ancora pesava. Andai verso lo specchio e mi guardai nella penombra della stanza. Una felpa a strisce bianco e nere si poggiava sopra la mia felpa grigia preferita. Aveva la zip aperta e mi stava lunga fino alle ginocchia, per non parlare delle maniche.
Mentre tornavo a letto, sorrisi, perché sapevo che quella felpa che avevo addosso, me l'aveva lasciata Theo. 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Mi risvegliai quella domenica con ancora il profumo di Theo che mi circondava.
La febbre era nettamente scesa e i cupcakes dal mio comodino erano spariti.
Erano le otto del mattino e rimasi a guardare il soffitto nella penombra di una camera che non vedeva la vera e propria luce da un giorno intero.
Dopo qualche minuto decisi che era il momento di alzarsi e di fare qualcosa. Mi rifeci una doccia veloce e mi misi dei pantaloncini neri a vita alta e una larga canotta grigia che mi arrivava lall'ombelico, poi una felpa leggera con la zip nera e delle parigine. 
Mi asciugai in fretta i capelli con un phon e, dato che sembrava che avessi un orso morto in testa, mi feci due trecce.
Andai in cucina per fare colazione mentre mia madre stava ancora dormendo, e scrissi una lista di cose da fare.
La lista era composta da tre semplicissime cose:
  • Andare da Theo per ridargli la felpa;
  • Far visita a Charlie per tirargli su il morale;
  • Andare da Sophie.
Sull'ultima mi soffermai tanto prima di trascriverla, perché avevo paura di cosa sarebbe potuto succedere.
Verso le 10 del mattino mi misi i miei stivaletti col tacco e uscii di casa lasciando un biglietto a mia madre dicendo che sarei rimasta fuori a mangiare con Charlie per pranzo.
Prima tappa: Casa Collins.
Non era mio solito suonare ai campanelli, detestavo il loro suono così fastidioso e ripetitivo, così bussai come era mio solito fare.
Alla porta c'era Giusy, che mi accolse a braccia aperte con un grosso sorriso.
-Leina!- esclamò abbracciandomi, -Come mai da queste parti?-
-Cercavo Theo, è in casa?- chiesi abbastanza imbarazzata.
Di solito venivo da lei per dei pasticcini, per parlare come due normali amiche o solamente per far compagnia a mia madre, perciò sembrava strano pure per me andare a trovarla solo per Theo.
-Purtroppo no, come mai?- rispose.
-E' che ieri ha dimenticato la felpa a casa nostra prima di andare.- risposi con un lieve sorriso ripensando al fatto che me l'aveva lasciata apposta.
-Sai dove posso trovarlo?- chiesi poi.
-No... Scusa...- mi rispose con aria dispiaciuta per non essermi stata d'aiuto.
-Fa lo stesso, grazie.- dissi sorridendo, e le lasciai la felpa.
Prima di andare mi diede una scatoletta di cioccolatini che un suo collega le aveva dato lo scorso giorno, ma a lei, come lui purtroppo non sapeva, il cioccolato non era mai piaciuto, così volle darlo a me.
Seconda tappa: Casa Richards.
Erano le 11:30 quando arrivai davanti al palazzo dove abitava Charlie. Dato che il portone d'ingresso era chiuso, mi toccò suonare il campanello.
Salii le due rampe di scale per avrrivare al primo piano e la porta del loro appartamento era già aperta.
-Ciaaaaao!- dissi entrando e chiudendo la porta dietro di me.
Lenny, lo yorkshire di Charlie, mi accolse alla porta facendo tante feste. Lo presi in braccio e girovagai per l'appartamento in cerca del mio amico.
Lo ritrovai in camera sua che guardava il soffitto come facevo io negli ultimi giorni.
-Ciao Lea.- mi disse in tono calmo senza distogliere lo sguardo dal soffitto.
Quella scena era come un de-ja vu. Due persone sole in un grande appartamento, una di loro triste per Sophie sul letto con sguardo distratto e l'altra sulla soglia della porta con in braccio un cucciolo. 
Rimisi giu Lenny che se andò per conto suo in un'altra stanza della casa. 
Camminai lentamente verso di lui e mi sdraiai al suo fianco per guardare il soffitto insieme. Il suo era un letto grande quanto un letto matrimoniale, ed era attaccato alla parete parallela a quella della porta e alla parete laterale destra. Non avevo mai capito perché gli servisse un letto così grande, e ogni volta che glielo chiedevo, mi rispondeva che non lo sapeva nemmeno lui.
Sapevo come si sentiva. Aveva il cuore spezzato, in mille pezzi, per una ragazza che ha amato per anni. So per certo che quella volta al capannone il giorno dopo di San Valentino, l'avrebbe voluta baciare, sentirla sua anche solo per un momento. Sapevo che se gli avessi detto che una volta anche lei ha provato lo stesso, avrebbe fatto salti di gioia, ma non potevo dirglielo. 
E sapevo anche che fino a quel momento non aveva avuto nemmeno un briciolo di coraggio nel provarci, perché sapevo che aveva paura di rovinare una lunga amicizia. E istigarlo ogni santa volta, avrebbe solo aiutato nel mettergli più ansia ogni giorno che passava.
-Sai che ti ci vuole?- dissi a un certo punto alzando la schiena in modo da star seduta sul grande materasso, -Ti ci vuole del cioccolato.-
Così tirai fuori dalla borsa la scatoletta di cioccolatini dato da Giusy e gliela misi sopra la pancia, poi mi alzai e aprii le veneziane in modo da far entrare la luce.
-Forza!- dissi poi cercando di farlo alzare dal letto, ma ero troppo debole.
-Voglio stare a letto e deprimermi.- disse mettendosi un cuscino sulla faccia.
Senza dire niente e decisa a tutti i costi di tirargli su il morale, aprii il suo armadio. Presi dei jeans, una maglietta bianca e nera, una felpa grigia e glieli tirai addosso.
-Su!- esclamai, -Ora usciamo per farti prendere un po' di vitamina D!-
Mugugnando si alzò e andò in bagno a cambiarsi.
Ero sempre stata così. Determinata e cocciuta, mi piace essere così come sono, e in quel momento ero determinata sul tirargli su il morale.
Dopo quasi venti minuti uscimmo di casa e andammo a fare un giro, mangiammo pizza per pranzo e lo portai al parco. Al parco avevo montato il circo per qualche settimana, e quello era l'ultimo giorno, così decisi di portarlo anche se i clown non mi facevano proprio impazzire.
Si divertì molto, e lo so per certo perché continuava a sorridere, e ne ero felice.
Verso le 15:35 lo riportai a casa.
-Grazie Lea.- disse abbracciandomi prima di andare.
-Non ringraziarmi, gli amici servono a questo, no?- risposi con un grosso sorriso.
-Vedrai che con Sophie si aggiusterà tutto, ne sono certo.- aggiunse poi.
-Grazie...- 
E con un sorriso poco convincente, me ne andai.
Terza Tappa: Casa Hayes.
Arrivata davanti al loro appartamento iniziò a piovere.
Non ebbi bisogno di bussare o suonare i campanelli, perché stranamente, entrambi le porte erano aperte. 
Preoccupata, pensai che fosse entrato un ladro, perché di solito nessuno lascia la porta aperta se non aspetta qualcuno. Così, entrando, non dissi niente e cercai di fare più silenzio possibile.
Camminai lentamente, quasi in punta di piedi, in modo che il tacco dello stivale non facesse rumore.
In cucina, non c'era nessuno, in salotto nemmeno e nelle altre stanze, tra cui il bagno, nessuna anima viva. L'unica stanza rimasta era quella di Sophie, che stava in fondo al corridoio vicino a un altro bagno.
La porta era socchiusa e lentamente aprii la porta. 
In quel momento il respiro si fece più pesante e riuscivo a sentire i battiti del mio cuore come se si fosse piazzato dentro la mia testa, e, dentro di me, sentivo qualcosa che pian piano si stava sgretolando.
Davanti a me, in quel preciso momento, c'era Sophie che stava baciando Theo.
Si fermarono sentendo la porta aprirsi e vidi i loro occhi spalancarsi dalla sorpresa nel vedere proprio me sulla soglia di quella camera. 
Senza lasciar dire loro niente, corsi via verso l'uscita del palazzo. Continuai a correre senza voltarmi mentre la pioggia battente di una primavera che stava per terminare, mi bagnava il viso insieme alle lacrime di delusione, tristezza e rabbia, che avevano iniziato a solcarmi il viso dal momento che li vidi insieme in quella camera che, per me, poteva anche essere maledetta.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Cosa potevo fare? Non lo sapevo nemmeno io. 
In quegli ultimi tempi non sapevo quasi nulla, o per lo meno, non sapevo cosa fare precisamente.
Non potevo tornare a casa, se mi avessero cercato avrebbero cercato sicuramente lì. Ma dubitavo che il pensiero di cercarmi gli sarebbe mai passato per la testa. 
Il punto è che non volevo stare a casa, non volevo tornarmene nel mio buco nero, non volevo tornare a guardare il soffitto e non fare niente anche se era l'unica cosa che volevo fare. E volevo anche piangere. 
Volevo solamente piangere tra il caldo delle coperte, ma allo stesso tempo volevo solamente che la pioggia continuasse a battere sul mio volto.
E dentro di me c'era qualcosa che mi diceva di continuare a correre, di non fermarmi e non voltarmi per nessun motivo. E così feci.
Continuai a correre, e corsi, e corsi ancora anche se i piedi mi facevano male.
Riuscii ad arrivare a un chilometro circa di distanza dall'appartamente degli Hayes.
Arrivata a qualche metro dopo il centro, girai a destra verso i pressi del grande parco della mia città. Lì forse sarei riuscita a nascondermi facilmente.
Appena arrivai al cancello dell'entrata mi fermai. Respiravo affannosamente e intanto nella mia mente cercavo di fare mente locale e di pensare a cosa fare.
Sono andata a casa di Theo e lui non c'era. E sua madre, adesso che ci penso, quando mi ha risposto sembrava un po' a disagio. Poi sono andata da Charlie, e alla fine da Sophie per risolvere tutto. La porta era aperta. Theo baciava Sophie, Sophie baciava Theo, e io sono corsa via. E ora sono qui.
Mi voltai e guardai attentamente il mucchio di persone che camminava per le strade. 
Nessuna traccia di loro due.
Corsi all'interno del parco per la larga via ricoperta di pietruzze minuscole e mi dirisi verso il capannone vicino al piccolo lago.
Era un vecchio e grande capannone dove il giardiniere - che si degnava di lavorare ogni morte di papa - lasciava incustodito. La chiave per entrare si trovava sotto il tappetino di plastica spessa e scura che stava all'entrata e credo di essere l'unica a saperlo, dato che secondo me non tutte le persone curiosano da quelle parti.
Era il mio posticino speciale. Ogni volta che mi sentivo giù andavo al parco ed entravo in questa vecchia capanna di legno e mi ci chiudevo per ore. Arrivarci non era molto complicato dato che il parco è a qualche isolato da casa mia, e mi piace molto camminare, a volte aiuta a pensare.
Nessuno, nemmeno Sophie, sapeva che questo era il mio posto segreto. Bè, nessuno oltre al giardiniere, che mi lasciava volentieri sostare. Dentro c'erano gli attrezzi disposti in ordine in su una parte del muro e, attaccata lungo il muro laterale alla porta, un materasso morbido dove Fred, il giardiniere, faceva dei sonnellini. Se stendevo bene le gambe potevo toccare una parete con la testa e poggiare i piedi sull'altra parallela.
Appena arrivai vidi che la porta era aperta, così credetti che Fred era passato e che si fosse addormentato dentro.
-Hey Fred!- dissi entrando, ma il mio sorriso svanì quando vidi che sul letto non era seduto il mio amico giardiniere.
-Hey.- disse lui rivolgendomi un lieve sorriso innocente.
-Che ci fai qui Jake?- chiesi rimanendo sulla soglia della porta.
Non ebbe nemmeno tempo di rispondere, perché sentii delle voci chiamarmi e chiudetti velocemente la porta dietro di me. 
-LEA!- sentii in lontananza, -L'ho vista passare per di qua.-
-Zitto.- ordinai con voce lieve a Jake.
Sapevo che quelle due voci erano di Sophie e di Theo, e mi stupivo di come fossero riusciti a seguirmi nonostante qualche istante fa non li avessi visti in quell'attimo in cui mi voltai dopo aver fatto mente locare.
Presi la chiave poggiata su uno scaffale e chiusi il più lentamente possibile la porta in modo che non si sentisse il rumore della serratura arruginita dal tempo.
Misi un orecchio alla porta e sentii dei passi avvicinarsi velocemente verso la mia direzione.
Poi qualcuno cercò di aprire inutilmente la porta. Feci qualche passo indietro mettendomi una mano davanti alla bocca in modo che il mio respiro affannoso non si potesse sentire e poi feci segno a Jake di non fiatare, e obbedì.
Si fermarono per un attimo e potevo immaginare che Theo o Sophie potessero mettere l'orecchio sulla porta in modo da sentire o almeno percepire la presenza di qualcuno all'interno.
-Non c'è nessuno.- disse Theo lasciando la maniglia ramata, -In più non c'è nemmeno la chiave, dubito che sia riuscita ad entrare prima del nostro arrivo.-
Poi dei passi che, correndo, si allontanavano.
Tirai un sospiro di sollievo e andai a sedermi vicino a Jake.
-Se te lo chiedi non so nemmeno io perché mi seguano, ma non voglio...- dissi, poi ritirai un sospiro, -Non voglio parlare con loro... Non ancora, semmai...-
Non disse nulla. L'unica cosa che fece fu di mettermi la sua felpa intorno alle spalle.
-Sei bagnata fradicia,- disse, -Dovresti coprirti o ti prenderai un malanno.-
-Grazie.- dissi sorridendo.
-Come mai sei qui?- chiesi.
-E' il mio posto speciale, ci vado quando sono giù di morale.- mi rispose con un sorriso rilassato.
 E a quella risposta mi stupii, perché anche quello era il mio posto speciale anche se non era mai accaduto niente di così tanto... Speciale.
-E per che cosa sei giù di morale?- chiesi.
-Per un po' di cose. Un po' di tutto, sai?- disse, -Per mia madre che non tornerà fino al prossimo anno, per mio padre, per te...-
-Me..?-
-Sì, tu.- rispose.
Il silenzio iniziò a circondarci mentre io mi stringevo al petto le maniche della sua grande felpa che mi riscaldava come se mi stesse abbracciando. Lo stesso profumo di Theo, con un odore in più di pioggia, mi circondava e, ancora una volta, quel profumo si insidiava dentro i miei polmoni come se non volesse più uscirne.
-Voglio dire...- aggiunse dopo qualche minuto quasi esitando, -Tu mi piaci davvero, Lea... E quella volta, al mio compleanno, odoravo solamente di birra, ma non ne avevo bevuta neanche una bottiglia. Ho fatto finta di essere sbronzo solo per avvicinarmi a te... So che è una cosa stupida.-
E lo è, pensai, ma non dissi nulla. Mi limitai a pensare a lui, solo al Jake Walker che avevo davanti ai miei occhi e non a quel ragazzo popolare, amato da tutti e senza nemmeno un briciolo di personalità.
Pensai a quanto stupida e dolce fosse stato quel suo comportamento. 
Intanto il mio stomaco fluttuava. Era come se il mio intero corpo fluttuasse, come se stesse volando tra le nuvole di un cielo limpido estivo. 
E nel silenzio di una vecchia capanna di legno su cui batteva forte la pioggia, lo baciai.
E questa volta non fu per la pura curiosità o per vedere cosa sarebbe successo, ma bensì per il semplice fatto che volevo baciarlo e perché in quel preciso momento, volevo sentirlo mio anche solo per un attimo. 
Quello fu il giorno in cui diedi un significato al mio posto speciale.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Il lunedì che seguiva la domenica del capannone, non andai a scuola, e nemmeno il martedì o il mercoledì che si susseguivano. Questo perché la febbre tornò alta non appena tornai a casa quella sera.
Quando il venerdì tornai finalmente a scuola, molti avvenimenti mi stavano aspettando solo per sorprendermi. Per esempio come quando seppi che Theo e Sophie si erano messi insieme. Mi ricordai anche che la domenica della corsa sotto la pioggia era il compleanno di Colin e me ne ero completamente dimenticata. 
Per farmi perdonare presi una pizza dal paninaro della scuola come regalo di compleanno - seppure scarso - e come sorta di omaggio per il suo perdono.
-Scusa... Mi ero dimenticata del tuo compleanno...- dissi imbarazzata tendendogli la pizza.
-Fa lo stesso.- disse sorridendomi, -L'importante è che te ne sia ricordata e che ti sia fatta perdonare in qualche modo.-
Gli sorrisi e in quel momento suonò la campanella.
La professoressa aveva cambiato i posti a sedere e, fortunatamente, non mi sarebbe toccato più sedere vicino a Theo.
Per mia altra fortuna il mio nuovo vicino di banco era Charlie nell'ultima fila, in fondo.
Non mi ci volle molto a capire che era giù di morale anche quel giorno, così lo abbracciai forte prima di rientrare in classe.
-Prima Jake, poi Theo...- disse lasciando cadere all'indietro la testa in modo da guardare il soffitto, -E poi chi? Quel secchione di Benjamin?-
Era proprio a pezzi, e non me ne stupivo. Sophie ha cambiato l'interesse per un ragazzo in meno di tre giorni e trovavo veramente strano che fosse così semplice per lei rivelare i suoi sentimenti a un quasi sconosciuto piuttosto che al suo migliore amico.
-Usciamo oggi?- mi chiese Charli con occhi da cucciolo abbandonato.
-Se servirà a tirarti su il morale, certamente!- dissi facendo il sorriso più grande che potessi fare.
Aveva bisogno di conforto e io sapevo benissimo come si sentiva.
Durante il cambio dell'ora Jake, che era seduto davanti a me, si girò.
-Ti va di uscire oggi?- disse con un sorriso che mi faceva arrossire.
Mi sembrava ancora strano il fatto che baciai per ben tre volte una persona con cui, fino a poco tempo fa, andavo poco daccordo.  
-Mi dispiace, ho un impegno.- dissi dispiaciuta.
Ma per quanto Jake mi piacesse, qualcosa mi diceva che stare con lui era sbagliato.
Arrivò la professoressa di storia che ci volle far vedere un film in modo da approfondire gli argomenti che stavamo studiando. 
Nell'ultima fila in fondo c'eravamo io, Charlie, Elizabeth e  Eleonor. La nostra era un'unica fila di quattro banchi dato che la porta stava vicino all'ultimo banco della fila e non c'era spazio per metterne un'altra.
Il film iniziò e la maggior parte delle persone nelle ultime file, si spostarono in avanti occupando i vari banchi vuoti nelle file davanti. Io e Eleonor rimasimo ai nostri posti.
Non ci feci tanto caso quando lei si andò a sedere per terra appoggiando la schiena al muro con le ginocchia premute sul petto, ma quando la sentii tirare su col naso, mi accorsi che stava quasi per piangere. 
Non so perché, ma mi sedetti al suo fianco. Vicina abbastanza da poter toccare con la spalla la sua. Rimasimo così, in silenzio, per un po' di tempo mentre io guardavo i banchi di fronte a me e ascoltavo distrattamente i dialoghi del film proiettato sulla lim.
A un certo punto delle lacrime iniziarono a scenderle dagli occhi insieme al trucco che iniziava pian piano a colare.
-Non sai cosa dare per avere un suo bacio...- sussurrò senza rivolgermi uno sguardo.
Sapevo che stava parlando di Theo. Sapevo che era una cattiva persona, che ha fatto di tutto per farmi soffrire, eppure c'era qualcosa in lei, in quelle lacrime, che facevano sparire tutto quello che era passato.
-Scusami...- aggiunse, -Scusami per averti mentito quella volta quando ti ho detto che era una scommessa. Lo volevo tutto per me. E so di essere stata egoista e prepotente nei tuoi confronti, ma era perché ti invidio...-
Poi mi rivolse lo sguardo con le lacrime agli occhi che continuavano a solcarle le guance.
-Lo amavo, gli ho dato tutto... Tutto... E dopo mi ha lasciato...- 
Tirò su col naso, e, dopo essersi asciugata il viso, continuò: -So che sono passati mesi, ma non sai quanto fa male... Si è messo con me per un mese o due solo perché non trovava giusto lasciarmi in disparte dopo quello che abbiamo fatto...-
E in quel momento capii di cosa stesse parlando. Gli aveva donato il suo amore quando lui non l'ha mai amata. La abbracciai forte, le diedi un bacio sulla tempia e poggiai la mia testa sulla sua spalla per farle capire che, nonostante tutto, io ci sarei stata.
-Da quant'è che ti senti così?- chiesi con voce lieve.
-Da sempre...-
Capii che lei non era una cattiva persona, era solo una ragazza che aveva solamente bisogno di amore. Mi accorsi poi di quanto la gente fosse cieca e di quanto lo fossi stata anchio.
Nessuno sa mai con certezza cosa prova realmente una persona fino a quando il diretto interessato non lo dice apertamente. 
Rimasimo così per tutto il tempo con i sederi congelati a causa del pavimento di mattonelle fredde nonostante fosse quasi estate. Non dissi nulla per il semplice fatto che non volevo che parlasse dei suoi ricordi, ma non perché non mi interessasse, ma perché ricordare a volte fa male e non volevo farle ricordare per quale motivo si sentisse così.
La campanella suonò e lei, senza dire nemmeno una parola si alzò e camminò verso la porta per andare in bagno. Si fermò alla soglia e si girò per un attimo guardando verso la mia direzione e mi sorrise, come se volesse ringraziarmi.
Mentre aspettavamo la suplente di scienze chiesi a Jake di venire un attimo. Volevo parlargli. Si sedette al posto di Charlie rivolgendomi un lieve sorriso, ma non disse nulla.
-Senti... Forse sembro stronza ma per quanto tu possa piacermi, tra di noi non ci potrà essere nulla se non una semplice amicizia...- dissi.
-Perché dici questo?- rispose quando il suo sorriso svanì, -Credevo di piacerti...-
-Lo so...- risposi, -Ma non posso. Piacevi moltissimo a Sophie e non potrei farle questo...-
-Piacevo.- ripetè, -E a te piaceva Theo, ma non credo che la tua cosiddetta amica si sia fatta scrupoli quando si sono messi insieme.-
Volevo dire qualcosa, ribattere, ma mi limitai a stare in silenzio con lo sguardo basso.
-Non posso...- ripetei.
Non potevo veramente. Era per lui che Sophie ha voluto interrompere i rapporti con me ed era come se, stando con lui, in qualche modo le affliggesse più dolori evidenziando la causa della fine della nostra amicizia ai suoi occhi. E per me era così anche se vedevo che lei stava bene con Theo.
Jake si alzò dalla sedia e, dopo aver detto un "va bene, rispetterò le tue scelte", se ne andò.
E so di essere stata una stupida e che questa mia azione non sarebbe servita a nulla, perché tanto Sophie non lo sarebbe venuto a sapere.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Rimasi in silenzio per il resto delle ore pur avendo un fantastico amico con cui parlare al mio fianco. I miei pensieri invadevano la mia mente come se non se ne volessero andar via e far in modo che siano l'unica cosa di cui mi devo preoccupare. E infatti era così.
Pensare troppo avvolte mi portava quasi alla immensa tristezza. 
Ogni volta, quando mi accorgo di star pensando troppo, cerco qualcosa con cui distrarmi. Magari chiacchierare con qualcuno o solamente farmi dire qualche battuta squallida in modo che la mia mente non pensi ad altro che a ridere.
Solo che quella volta era diverso. Mi misi a pensare tutto il tempo, ininterrottamente senza cercare di smetterla o di distrarmi. Volevo solamente pensare, e quei pensieri non erano stupidi o, come potrebbero dire gli altri, sciocchezze. Pensavo a tutto quello che mi era capitato. 
Pensavo a tutto ciò che era realmente accaduto e che era reale.
Io senza la mia migliore amica e lei con il ragazzo che ho amato per anni.
Nessuno si stava accorgendo di come mi sentissi realmente, perché semplicemente a nessuno importava. Oppure ero solamente io ad essere brava a nascondere la tristezza iniziando a parlare di, come direbbero ancora gi altri, cose stupide ridendo.
Ma dietro a una grande e infinita risata si cela sempre qualcosa che non fa ridere. Questo lo sanno tutti, perché è una di quelle frasi "popolari" che girano per internet.
Sì, lo sanno tutti. Ma la maggior parte di noi è brava a dire di sapere le cose, la parte più difficile è il saper dimostrarlo. E questo tutti non lo sapevano fare.
Siamo tutti troppo occupati nel nostro mondo per cercare di dare importanza a quello degli altri. Ma questo capita a volte.
O la gente si accorge di tutto, ma preferisce non dire nulla. Chi lo sa...
Fatto sta che nessuno si accorgeva di me e di quello che realmente provavo.
Quando le lezioni finirono tornai a casa. Mia madre mi stava aspettando dato che quel giorno aveva la giornata libera. Non ritirò la posta e da questo capii che non era uscita per tutta la mattinata. 
Salendo le scale per arrivare al mio appartamente al primo piano sfogliai tutte le buste e i coupon per la spesa e, insieme a tutte queste, c'era una lettera intestata a me.
Nel retro della busta c'era scitto il mio nome e l'indirizzo con una calligrafia che non avevo mai visto prima. Così, entrando in casa, la tenni in mano lasciando cadere tutte le altre buste vicino al tavolino all'ingresso. Poi filai subito in camera mia dopo aver salutato distrattamente mia madre. 
Mi sedetti sul letto e guardai la lettera tenendola davanti a me per qualche secondo, poi la aprii.
Dentro c'erano all'incirca due fogli di carta bianca piegati in due che avevano la stessa grandezza di un foglio da quaderno strappato a metà con la stessa calligrafia con cui è stato scritto il mio nome e l'indirizzo di casa mia sul retro della busta.
"Cara Lea,
Saranno passati ormai anni dall'ultima volta che ti ho visto. 
Questa è la seconda lettera che ti scrivo in sedici anni, ma non ho mai ricevuto risposta nè da te, nè da tua madre, che penso abbia voluto non parlarti di me. La prima lettera che ti ho scritto è stata quando avevi all'incirca tredici anni ed eri abbastanza grande da sapere chi fossi e perché me ne fossi andato via senza dire nulla, senza lasciare nessuna traccia. Non ricevendo risposta ho rinunciato subito a scriverti, ma eccomi qui che ti sto scrivendo una seconda lettera. 
Spero solo che sia la volta buona.
Avevi solo qualche mese quando me ne andai e giuro, me ne pento con tutto il mio cuore. 
Sarei tornato, ma tua madre mi ha detto di non farmi più vedere, e così è stato.
Ora sicuramente avrai sedici anni e so per certo che sei abbastanza grande da capire.
Pur avendo 25 anni ero troppo giovane per prendermi le mie responsabilità, per avere una figlia da curare. Ero troppo giovane e troppo stupido.
Quando seppi che tua madre era incinta di due mesi non dissi nulla. Cercai di non avere più contatti con lei, cambiai numero, e me ne andai in un'altra città in modo da non vederla e di non avere una così grande responsabilità. All'inizio pensavo che fosse la decisione giusta. Era meglio non esserci affatto piuttosto che esserci e non amarti come avrei dovuto fare all'inizio. 
Pensavo che era solamente una decisione, ma in realtà era paura. Era la paura di non essere un buon padre, di non poterti dare un buon esempio e/o di non essere chi tu avresti dovuto meritare. Ma purtroppo me ne accorsi troppo tardi.
Tornai quando ebbi tre anni. L'indirizzo era lo stesso di sempre.
Bussai alla porta perché non mi piace molto suonare ai campanelli, ma quando tua madre mi aprì, il suo volto non era di gioia. Era arrabbiata, triste, delusa. E non potevo fare altro che capirla.
Io mi ero pentito della decisione che avevo fatto. Volevo tornare, essere tuo padre, provare e sforzarmi con tutto me stesso che avrei potuto amare ed essere amato veramente. Ma tua madre aveva già trovato un altro e io me ne dovetti andare con le sue urla che mi seguivano.
Questo è tutto quello che volevo dirti figlia mia.
Ti prego, non odiarmi.
Papà"
Rilessi più volte quei due piccoli fogli bianchi, ma non riuscivo ben a capire cosa stesse succedendo. Non sapevo se piangere o se essere arrabbiata. Ma alla fine le lacrime precedettero i miei pensieri e iniziarono a solcarmi le guance per poi cadere sulle coperte.
All'improvviso mia madre entrò in camera mia con un sorriso che svanì appena mi vide.
-Che stai leggendo?- chiese preoccupata.
-Una lettera...- risposi, -E' di papà...-
-Non dire sciocchezze, - disse come se fosse a disagio, -Papà è morto...-
-Io intendevo il mio vero padre...- dissi senza rivolgere uno sguardo.
Silenzio.
-Perché non me lo hai mai detto?- chiesi poi con le lacrime che uscivano più velocemente.
-Lea...- rispose avvicinandosi a me e abbracciandomi, -Senti, mi dispiace...-
Poi nessuna delle due disse più nulla.
Piansi in silenzio tra le sue braccia e non erano pianti di gioia nel aver scoperto di avere un padre.
Piansi perché avevo scoperto di avere un padre che mi aveva lasciato solo perché non mi amava veramente.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Non successe altro. Chiesi a mia madre di lasciarmi sola e se ne andò senza dire nulla.
Così rimasi a guardare il soffitto bianco sdraiata sul letto per l'ennesima volta.
Dopo qualche minuto le lacrime smisero di scendermi dagli occhi, ma sentivo ancora le guance umide che non avevo intenzione di asciugare.
Volevo solamente starmene lì, sola come sempre, a pensare.
Dopo una decina di minuti mi alzai dal letto e andai a farmi un bagno caldo.
Immersa nell'acqua calda della vasca pensavo guardando il vuoto del soffitto azzurrino del bagno. I capelli immersi nell'acqua e i contorni del viso che venivano a contatto con le bollicine mi rilassavano, ma niente avrebbe potuto spazzare via la tristezza che provavo.
Mi ricordo quando all'età di 15 anni provai a suicidarmi. Non mi sentivo parte di questo mondo ed era come se buttarmi giu da un ponte potesse risolvere i miei problemi. Troppo strana, troppo stupida, ingenua. Troppo diversa da tutto il resto del mondo.
Per una volta mi sarebbe piaciuto essere normale. Essere come chiunque altro per riuscire a sentirmi accettata, felice. 
Forse era la codardia o la troppa paura di perdermi troppe cose che mi convinse a non buttarmi. 
Ma mio padre dov'era quando successe? Dov'era quando avevo bisogno di un padre? 
Come posso pretendere di sentirmi accettata dal mondo se nemmeno mio padre fin dall'inizio non mi ha mai voluta?
Uscii lo stesso con Charlie quel giorno. Parlammo e per quasi un momento dimenticai tutto quello che mi era capitato. 
Iniziammo a camminare per le strade della città quando arrivammo verso il ponte che portava al centro. Camminammo lentamente, in silenzio, come se nessuno di noi due osasse per qualche arcano motivo di dire qualcosa. Oppure era solo per contemplare il bel paesaggio del fiume e quindi era solo una mia impressione.
Camminavo vicino al muretto del ponte guardando l'acqua del fiume che scorreva tranquilla.
Pensavo a cosa sarebbe potuto succedere se in quel preciso momento mi fossi buttata giù.
Cosa sarebbe successo?
Sarei sopravvissuta o sarei morta? Chi lo sa...
Se fossi morta a chi sarebbe mai importato? A mio padre no di certo e a Sophie, che stava così tanto bene senza di me, nemmeno.
Il mondo sarebbe stato un posto migliore senza di me, perché farlo aspettare?
Mi immaginavo come sarebbe stato morire. Vedere tutto scuro, non esistere più.
Ma per la seconda volta la ragione si fece largo per farmi capire quanto stupido fosse quel mio pensiero. Mi sarei persa un sacco di cose. 
Non avrei più letto, guardato fim, annusato l'aria di primavera. Se mi suicidassi non vedrei più mia madre, Charlie. Non vedrei più un arcobaleno o semplicemente i fiori che sbocciano in Primavera. Non riuscirei mai a sentire cosa si provi nell'amare veramente una persona.
Mi sarei persa veramente tantissime cose. E io volevo veramente questo? No.
Arrivammo alla fine del ponte e dovemmo attraversare la strada per arrivare definitivamente per il centro. Mentre aspettavamo il verde iniziò a piovere e ci misimo i cappucci in modo da non bagnarci. La pioggia ormai era la compagnia che capitava puntualmente in ogni mia giornata grigia. Non mi dispiaceva tanto, mi piaceva la pioggia.
A un certo punto notai che davanti a me c'era Sophie e che non mi aveva vista per fortuna.
Aveva e cuffiette alle orecchie e non sarebbe riuscita a sentirmi se avessi iniziato a parlare con Charlie.
Il semaforo segnava ancora rosso quando, impaziente, si decise ad attraversare la strada, ma a metà strada, un'auto spuntò a tutta velocità da un angolo. 
Si girò verso il veicolo e rimase immobile, quasi pietrificata, nel vederlo avvcinarsi a tutta velocità nella sua direzione.
Non sapevo cosa fare, così presi tutto il coraggio che avevo e corsi verso di lei spingendola via. 
Lei cadde a terra dall'altra parte della strada, salva, ma io nell'intento di spingerla via, non ebbi il tempo di salvare me stessa.
Il mio corpo immobile rimase per la strada guardando il cielo grigio che piangeva gocce che mi puntellavano il viso. 
Riuscivo a sentire solamente il battito del mio cuore che rimbombava nella mia mente e voci soffuse intorno a me.
Davanti a me c'era Sophie con le lacrime agli occhi che scendevano veloci solcando le sue guange rosee. Per un attimo non ricordavo perché stesse piangendo, perché non riuscissi a muovermi. Mi sentivo solamente stanca.
E ricordo che in quel momento desiderai veramente di morire.
L'ultima frase che sentii la disse Sophie: -Andrà tutto bene... Andrà tutto bene...-
Alla fine chiusi gli occhi. Poi vuoto.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Mi svegliai in un letto di ospedale. Ero confusa, non ricordavo quasi niente di quello che successe.
Quanto tempo era passato? 
Quando il mio cervello fece mente locale, mi rilassai. Girai la testa verso sinistra e vidi mia madre fuori dalla stanza che parlava con un dottore e un letto sistemato per bene che non era stato ancora assegnato a nessuno.
Le pareti erano di un arancione chiaro dal mio lato, mentre dall'altro era di un verde chiaro. In mezzo alla parete di fronte ai letti c'era una piccola televisione nera sospesa sopra i tavolini bianchi che erano stati attaccati al muro, intorno alcune sedie di plastica gialle, blu e verdi.
Dai colori vivaci capii che mi avevano portato all'ospedale pediatrico.
C'ero stata due anni prima a causa di mononucleosi e un linfonodo che si era gonfiato.
Girai la testa dall'altra parte dove c'era una parete quasi interamente fatta di finestre e un divano su cui avrebbe dovuto dormire mia madre dato che non avrebbe potuto lasciarmi sola. Lì seduta c'era Sophie con le cuffie alle orecchie che stava al telefono mangiucchiandosi l'unghia del pollice.
-Non dovresti mangiarti le unghie... E' un brutto vizio.- dissi con voce e un sorriso lieve.
Alzò lo sguardo e tirò un sospiro di gioia.
-Per fortuna, stai bene!- disse con un sorrisone.
A quel punto, non so per quale motivo, mi tornò in mente quello che successe. 
Non l'incidente, ma la rottura della nostra amicizia. E il mio lieve sorriso sparì.
-Credevo che non ti importasse più niente di me...- dissi distogliendo lo sguardo dal suo.
A quelle parole distolse il suo sguardo da me e anche il suo sorriso sparì.
-Cos'è successo?- chesi poi per non piombare in un imbarazzante silenzio.
-Mi importa di te...- rispose tornando all'argomento precedente, ma ripetei la mia domanda per non piangere. 
Non volevo ricordare, volevo solamente concentrarmi e sapere cosa mi era successo.
-Ricordo solamente di esser caduta in mezzo alla strada...- dissi.
-Non sei caduta...- rispose con voce flebile, -Sei rimasta lì, in mezzo alla strada, immobile come se non ti volessi muovere per nessuna ragione.-
A quel punto sentivo che le lacrime stavano per scelderle dagli occhi.
-Caduta a terra mi girai e per cinque secondi ti guardai con occhi spalancanti pensando a cosa fare. Te ne stavi lì come se volessi solamente che quell'auto ti investisse, come se volessi veramente morire... Un secondo prima dell'impatto hai chiuso gli occhi e hai sorriso come se aspettassi da tempo tutto questo.-
Non dissi niente. Rimasi in silenzio nonostante volessi dire qualcosa. Ma cosa avrei potuto dire? 
"Ah okay" sarebbe stato troppo poco, ma nemmeno un "Sì, volevo morire. Volevo andarmene da questo schifosissimo mondo che non mi ha mai accettata." sarebbe stato troppo. 
Io non ricordavo niente di tutto ciò. Non ricordavo di esser rimasta lì impalata.
Ricordo solo di averla buttata dall'altra parte della strada e che quell'auto veniva verso di me.
Poi ricordai che quel giorno avevo desiderato veramente di morire.
-Perché lo hai fatto?- chiese Sophie, -Perché mi hai salvata?-
-Sei la mia migliore amica, perché non avrei dovuto?- dissi.
-Volevo salvarti, ma allo stesso tempo...- aggiunsi lentamente guardandola, -Allo stesso tempo volevo solamente morire.-
Vidi il suo viso confuso e allo stesso tempo preoccupato, così decisi di darle delle spiegazioni.
-Sai, non te l'ho mai detto, ma io non mi sono mai sentita parte di questo mondo. Era come se tutto non potesse avere a che fare con una come me. In più ho scoperto di avere un padre che se ne è andato quando sono nata solo per il semplice fatto che una figlia non la voleva. E non sai quanto fa male sapere di non essere accettata persino dal proprio padre.- 
Tirai un sospire e rimasi in silenzio per qualche secondo in modo da non piangere. 
I ricordi come quelli potevi archiviarli e lasciarli nei meandri della mente per un certo periodo di tempo, oppure potevi tirarli fuori tutte le volte e piangerci sopra. Cosa che facevo molto spesso.
-E non lo so. Ero triste, molto triste. E so che tutte queste mie motivazioni sono stupide e insensate, ma avevo bisogno di te e tu non c'eri. Te ne sei andata via senza lasciarmi spiegazioni, senza lasciarmi il tempo di farmi perdonare. Te ne sei andata con il ragazzo che ho amato dalla quinta elementare e non hai avuto la dignità di pensarci su due volte.-
E le lacrime già iniziavano a scendermi dagli occhi nonostante mi fossi ripromessa di non farlo.
-Perché mi hai cercata quella domenica di pioggia? Per rinfacciarmi il fatto che ti sei vendicata? Che hai avuto la rivincita per qualcosa di cui io mi sono pentita e di cui mi pento tutt'ora? Spiegamelo, perché io non lo so.-
Tirai su col naso aspettando una risposta che non voleva uscire dalla sua bocca. 
Rimaneva in silenzio con lo sguardo fisso al pavimento come se si sentisse in colpa per qualcosa.
E capii in quel momento che si sentiva in colpa per Theo. Mi asciugai e lacrime agli occhi e tirai su con il naso.
-Ero arrabbiata con te.- spiegò, -Lo ero davvero tanto, giuro. Quella domenica però Theo venne a casa mia di sua spontanea volontà e pensai che baciarlo sarebbe stata la vendetta perfetta. Ma poi mi chiesi perché farlo, era insensato. Così non feci niente. Mi disse subito che doveva parlarmi così si diresse in camera mia e lo seguii dimenticandomi di chiudere la porta. Non era venuto per nessuna dichiarazione o cose varie, era venuto per te.-
Abbassò lo sguardo dal mio per un attimo e tirò un sospiro, poi continuò.
-Mi disse che quello che stavo facendo, il mio atteggiamento e tutto il resto, erano insensati. Mi disse che mi comportavo come una bambina e che ero veramente stupida a non capire cosa stavi passando. Mi disse che avevi pianto per un'intera ora a causa mia. Trovai il suo gesto molto carino e, non so come, finii per baciarlo...-
-Capisco, tranquilla.- dissi con un lieve sorriso  perché ci ero passsata anchio.
-Quando ci hai scoperti mi sentii davvero in colpa. Ti seguimmo per spiegarti tutto, ma non ti trovammo. Quando sei tornata a scuola non ho osato rivolgerti la parola per il semplice fatto che pensavo che eri arrabbiata con me più di quanto lo fissi stata io... In quei tuoi giorni di assenza passai del tempo con Theo per parlargli e si vede che qualcuno ha frainteso, ma non stiamo insieme, giuro. Scusami...- aggiunse.
Dopo la sua spiegazione aprii le braccia e le sorrisi in modo da farle capire che volevo abbracciarla. Con un sorriso si strinse a me.
E in quel momento tutta la mia felicità ricomparve come un arcobaleno dopo la pioggia.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Erano le 23 di sera. Il letto accanto al mio era ancora vuoto e mia madre stava dormendo sul divanetto blu vicino al mio letto.
Fortunatamente e, come aveva detto mia madre, miracolosamente non mi sono fratturata nulla. L'impatto con l'auto non era stato così forte da rompermi qualche osso, ma sarei dovuta stare a riposo per qualche settimana in modo da potermi riprendere per bene. 
Ciò comportava niente attività fisica per un bel po' e, di conseguenza, interrogazioni sulla teoria di educazione fisica ogni settimana. Il lato positivo era che non sarei dovuta stare a casa per tutta l'estate.
Non riuscivo a chiudere occhio. Sophie se ne era andata poco prima che mi dessero la cena, ovvero alle 18:00 e giù di lì dato che in ospedale si mangiava presto. 
La televisione era spenta, la porta chiusa e l'unico rumore che riuscivo a sentire era il respiro leggero di mia madre e le voci in lontanza dei dottori che quasi non si sentivano.
La luce del bagno era accesa in modo da far abbastanza luce in modo che la stanza non fosse nel buio totale. Non avevo niente da fare.
Non volevo accendere la televisione per non disturbare mia madre, non avevo il portatile e in più nessuno con cui volessi parlare era sveglio, almeno credo. 
Sophie doveva fare un lavoro di scienze e, dato che era tornata a casa tardi a causa mia, ho deciso di lasciarla stare. Charlie, che rimase con me mentre dormivo e preoccupato mentre ero in sala operatoria, a quell'ora stava già dormendo. 
Non volevo disturbare Colin e ero troppo imbarazzata e dispiaciuta per mandare un messaggio a Jake. Pensai a lui, a cosa stesse provando e a come ha reagito dopo. Ci è rimasto male oppure se ne è fregato altamente andando da un'altra ragazza?
E l'ultima opzione mi dava quasi sui nervi. Era come se fossi stata solamente una di quelle ragazze passeggere, una di quelle di cui ti accontenti se non ne trovi altre che ti sbavano dietro. Cercai di scacciare via quel pensiero dalla testa per non pensar male.
Poi c'era Theo. Cosa provavo per lui?
Ci pensai veramente tanto, ma poi mi diedi due colpetti alla fronte pensando che tutto quello che immaginavo era solo un'illusione. Chiunque sarebbe potuto andare da Sophie per me come un semplice amico. Lui era solamente un amico e io non mi sarei dovuta illudere più di tanto.
Era solo un atto di gentilezza dopo avermi visto piangere. 
Un giorno sembra che mi ami, che ricambi i miei stessi sentimenti, ma poi sembra che mi odi, che non mi voglia vedere, che non significhi niente, e poi se ne torna così, come se gliene importasse di me improvvisamente.
Mi misi le cuffiette alle orecchie e finii per pensare a quanto fosse fortunata la ragazza per cui Theo ricambiava i sentimenti. Pensai a quanto fosse bello sentire di appartenersi oltre ogni limite umano e capirlo subito, capirlo in un attimo. 
Ma io non riuscivo a capire niente. 
Iniziai a sentire freddo, così mi alzai e andai agli armadi vicino alla porta in modo da prendere una felpa che mia madre aveva sicuramente preso per ogni evenienza. 
Aprii l'armadio e, appesa, c'era la felpa che giorni prima avevo ridato al proprietario. 
Sorrisi dimenticandomi tutto quello che avevo pensato e a tutta la confusione che avevo nella testa. Era venuto a trovarmi e nemmeno lo sapevo. 
Andai a dormire con un sorriso in volto e con il profumo di Theo che mi circodava come se in quel preciso istante lui mi facesse compagnia. 

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Quel sabato mattina mi ero svegliata con il sole che stava sorgendo. 
Erano le 5 circa del mattino. Le 5 precise quando mi ero sveglita improvvisamente. 
Mia madre stava ancora dormendo e il letto accanto al mio era occupato da qualcuno che non riuscivo bene a vedere. Stava nascosto sotto le coperte col viso coperto.
Respirava profondamente, quasi russando. Forse era un ragazzo, ma inizialmente non sapevo bene chi poteva essere. Forse una ragazza massiccia, che ne sapevo?
Non c'era nessuno con lui. Nessun genitore, nessun tutore - che io sappia -, e nessun dottore accanto a lui. Non ci facevo molto caso quando mi alazai dal letto. 
Mi ero messa seduta con le gambe che penzolavano dal letto e che non riuscivano a toccare terra, per qualche minuto. Rimanevo in silenzio senza dire nulla portando ai miei polmoni il profumo di Theo che ancora mi accompagnava.
Dopo qualche minuto scesi dal letto scalza. I miei piedi toccarono il pavimento di mattonelle colorate di un color pastello che faceva piacere agli occhi. Era freddo, liscio, asciutto. 
Mi misi le pantofole e, legandomi i capelli in una coda scompigliata, uscii dalla stanza silenziosa, quasi come se non respirassi nemmeno. 
I corridoi dell'ospedale erano vuoti, illuminati da qualche luce che si era accesa mentre passavo. Mi dirigevo verso l'uscita, agli ascensori, con qualche monetina che facevo tintinnare nella tasca della felpa tra le dita. 
Uscii dal reparto e voltai a sinistra in una sala d'attesa. Là c'erano gli ascensori e anche tre macchinette diverse: una per le bevande calde, una per le bibite e un'altra per le merendine.
Con mia sorpresa avevo incontrato la signora Collins. Portava un camice e dei pantaloni bianchi. Dal cartellino che aveva sulla camicia, avevo capito che lavorava qui.
-Salve...- dissi con un sorriso e voce lieve, -Che ci fa qui a quest'ora?-
-Dovrei chiedere lo stesso a te Lea.- rispose con un grande sorriso.
-Già...- Ammisi sentendomi sciocca.
-Lavoro qua, da come puoi vedere sul cartellino.- disse, -Faccio il turno.-
Annuii.
-Poi, sai...- disse incupendosi di colpo, -Theo è ricoverato qui...-
E in quel momento era come se il mio cuore si fosse fermato. Il mio respiro si faceva pesante, quasi come se non riuscissi più a respirare. 
-C.. Come è... Successo?- chiesi a malapena balbettando.
-Io non so come sia successo, ma ieri sera era tornato a casa zoppicante, pieno di lividi e ferite...- rispose, -Perdeva molto sangue...-
La testa iniziava a girarmi. Era come se non riuscissi a stare in piedi, come se un dolore mi straziasse il petto. Non riuscivo a repirare. 
Il mio respiro si faceva sempre più pesante fino a quando non svenni a terra.
Mi ero risvegliata nel letto della mia stanza verso le otto del mattino.
Mi a madre era uscita dalla stanza e il ragazzo che dormiva non meno di tre ore fa, stava ancora russando sotto le coperte. 
Avevo trovato sul tavolino vicino al mio letto un bicchierino di plastica con della cioccolata e un bigliettino da parte della signora Collins: 
"Hai avuto un calo di zuccheri, tranquilla. Non so quando ti sveglierai, ma probabilmente sarà già fredda... Comunque bevila. Fredda non fa male ;)
Giusy C."
Non volevo berla, ma apprezzavo comunque il gesto da parte sua. Mi alzai e aprii il cassetto vicino. Avevo conservato alcuni biscotti, così avevo iniziato a mangiarne alcuni con calma mentre facevo un giretto per la stanza.
Prima di allora non avevo avuto occasione di farlo, perché ero veramente stanca e non avevo voglia di alzarmi.
Alla fine ero andata a sedermi sulla poltroncina verde alla destra del letto del mio nuovo compagno di stanza.
Aveva ancora la testa messa sotto le coperte come se non si fosse mosso nemmeno di un millimetro nelle ultime  tre ore. 
E intanto stavo lì, a mangiarmi i biscotti, aspettando. 
Non so perché mi ero messa seduta proprio lì, in quel momento. Non so perché mi ero messa ad aspettare. Ad aspettare cosa poi?
Era come se qualcosa mi dicesse di rimanere lì, in quel preciso punto davanti a quel ragazzo ad aspettare. 
E i minuti passavano lenti, infiniti. E i biscotti erano pure finiti.
Vicino a me c'era un album di fotografie color blu confetto con sopra un cartiglio su cui c'era scritto in grande L'infanzia di T.
Alzandomi avevo fatto cadere il grosso album per terra. Si era aperto circa alla metà. 
In due pagine erano messe in totale otto foto di un bambino di circa 6 anni.
Così piccolo, così giovane, così carino. Che mi faceva desiderare quasi di avere quell'età spensierata che tutti i bambini passavano. Lo presi in mano e, mettendolo sulle cosce spoglie, tornavo a sedere. 
Iniziavo a sfogliarlo dalla prima pagina come se fosse stato l'album di qualcuno che conoscevo e a cui tenevo tanto. 
Non sapevo chi fosse, ma il suo volto così famigliare mi dava quai tristezza, nostalgia dei tempi passati. Pensavo alla madre che, sfogliandolo, aveva avuto i miei stessi pensieri.  
Pensavo a quanto lei poteva essere triste sfogliando quell'album. Pensavo a cosa avesse potuto pensare lei, una madre con un figlio in ospedale che forse avrebbe perso.
Poi, andando avanti con l'album, quel bambino diventava sempre più famigliare. 
Ero arrivata così cinque pagine prima della fine quando avevo notato una foto che mi aveva colpito al primo impatto. Il bambino era in compagnia di un'altra bimba. Avevano all'incirca dieci o undici anni. Erano insieme al parco vicino a una scuola elementare su delle altalene che dondolavano felici come se non avessere più preoccupazioni perché la scuola era appena finita. Lui rideva, lei pure sebbene lui fosse più in alto. Il prato era verde, le margherite erano spuntate più belle che mai, e il sole batteva alto in cielo in quel pomeriggio.
Così piccoli, così giovani,  così carini. Due bambini felici per davvero che sorridevano senza preoccupazioni.
Guardando quella foto mi era scesa una lacrima di tristezza, malinconia, nostalgia.
Quei due bambini eravamo io e Theo.



*Angolo dello scrittore*
E' la prima volta che metto questa sorta di aggiunte sotto un capitolo, perciò perdonatemi.
E non è solo per questo che devo chiedervi perdono. Devo chiedervi perdono per il fatto che è da un mese che non scrivo quando mi ero ripromessa - e avevo promesso pure a voi - che mi sarei impegnata a scrivere e a aggiornare più volte la storia. E questa però è tutta colpa del wi-fi che non c'è stato per tipo un mese...
PERDONATEMI, PLEASE ;-;
Comunque... I'M BACK. Romantica e malinconica in fatto di storie d'amore più che mai.
Se trovate molti errori, vi prego di perdonarmi persino per questo. Sto cercando pian piano di migliorarmi.
Per ora è tutto.
Bacioni :*

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Dopo quel piccolo attimo di nostalgia avevo rimesso al suo posto l'album. A quel punto avevo realizzato che il mio compagno di stanza a me sconosciuto fino a quel momento, era Theo. 
Con cautela e molto silezio avevo preso tra le dita l'orlo della coperta in modo da toglierlo dal suo viso. Ero sul punto di alzarlo, vedere che era veramente lui, ma avevo sentito una voce dietro di me che mi avevo fatto girare di scatto, come se fossi stata colta sul fatto in un atto vandalico.
-Hey...- diceva Jake poggiato sul muro vicino alla porta del bagno a qualche metro da me.
-Ciao...- avevo risposto io.
Iniziavo a sentire abbastanza imbarazzo. E non era solamente perché ero in pantaloncini corti e una maglia con sopra il disegno gigante di un biscotto che sorrideva. Ero imbarazzata anche solo nel vederlo.
-Sei venuto a far visita a Theo?- avevo chiesto.
-Già.- aveva risposto, -E sarei venuto anche da te.-
Silenzio. Con lo sguardo basso al pavimento avevo sorriso. Non so se era per imbarazzo o per il solo gesto dolce che aveva in mente di fare lui.
-Cioè,- si era corretto imbarazzato distoglieno lo sguardo, -Tanto che c'ero venivo a farti visita per vedere come stavi, ma solo perché ero già qua.-
E, mentre continuavo a sorridere, lui arrossiva.
Stavamo così, in silenzio, senza dire parola. Dopo poco ero tornata a sedere e Jake si era messo vicino a me a qualhe centimetro di distanza.
Riuscivo a sentire il suo profumo. Dolce, delicato come lo shampoo che usava mio padre. Quel profumo mi faceva venire in mente lui e di quanto gli avevo voluto bene pur non essendo stato veramente mio padre. Ma avevo cercato di levarmi quel pensiero dalla testa.
Il passato deve rimanere passato, mi diceva mia madre, non fare in modo che rovini il tuo presente.
-Non mi chiedi perchè sono qui?- gli avevo chiesto dopo pochi minuti.
-Voglio dire,- mi ero corretta, -Non è per sembrare una che vuole attenzioni. E' che non so se sapevi il motivo o come è successo. Nel senso, quando mi venivano a visitare, me lo chiedevavno sempre anche se sapevano già il motivo.-
-Lo so il motivo del tuo ricovero qui. E' solo che... Bè, non volevo chiedere.-
-Capito.- avevo risposto.
-Posso farti una domanda?- gli avevo chiesto dopo, -Come mai Theo è ricoverato? Ho incrociato sua madre nella sala d'attesa e mi ha detto che ieri sera era tornato a casa pieno di ferite, perdeva sangue... Tu ne sa..?-
-Non lo so.- mi aveva interrotto incupendosi di colpo.
Muoveva velocemente il piede alzando e abbassando il ginocchio ripetutamente. 
Era come se quella mia domanda lo innervosisse, era come se cercasse di nascondermi qualcosa, come se fosse arrabbiato. Lui sapeva perché Theo era ridotto in quelle condizioni, ma non voleva dirmelo.
-Se ti ho detto qualcosa che ti ha fatto arrabbiare...- avevo detto, -Scusami, non volevo...-
-Ma no...- aveva risposto dispiaciuto, -Non sei tu... E'...-
-Senti,- aveva detto poi, -Non farci caso, tranquilla.-
-No.- avevo risposto aggrottando la fronte, -Ora il motivo me lo dici.-
-Ma perché?!- disse nervoso, -Non è nulla!-
-Non mi interessa, ora lo voglio sapere.-
-No.-
-Sì.-
-No.- ribatteva incrociando le braccia e aggrottando le ciglia a sua volta.
Ci eravamo messi a guardare gli occhi l'uno dell'altra intensamente in tono di sfida, quasi come se ci volessimo bruciare a vicenda per la rabbia, una rabbia quasi infondata.
Ero sempre stata una ragazza ostinata e, quando volevo qualcosa, riuscivo a ottenerla.
E in quel momento volevo la verità, volevo che mi dicesse cosa era successo a Theo e perché si era incupito di colpo, perché ci tenevo ed era come se, in qualche modo, mi sentissi coinvolta in tutto ciò.
-Senti,- avevo detto, -Ora tu mi dici cosa cazzo è successo a Theo, perché so che lo sai.-
-Altrimenti?- aveva ribattuto lui in tono di sfida senza distogliere lo sguardo dai miei occhi.
-Altrimenti mi metto a urlare e a chiamare i dottori dicendo che sei un ladro venuto a derubare dei poveri ricoverati.-
A un certo punto davanti a noi qualcuno stava tossendo per attirare la nostra attenzione.
-Se avete finito con le stranezze,- aveva detto Theo che nel frattempo si era messo a sedere sul letto, -posso dirti il motivo del mio ricovero.-
Imbarazzata mi ero spostata da Jake.
-Penso che andrò a prendermi una merendina.- aveva detto Jake alzandosi.
Lo guardavamo mentre usciva a passo svelto e chiudendo a porta lentamente.
Mi ero messa a sedere meglio incrociando le gambe sul materasso scomodo. Per qualche minuto il silenzio regnava sovrano nella stanza e io guardavo Theo che mi guardava a sua volta. 
Aveva l'occhio sinistro gonfio, dei punti sulla parte destra della fronte e un taglio sul labbro inefriore a sinistra. 
Non riuscivo a vedere le altre parti del corpo se non il braccio destro che era ingessato e aveva delle bende sul bicipite. 
-Ti hanno conciato veramente male...- gli avevo detto, -Chi è stato?-
Era stato in silenzio per un altro po', poi mi rispose.
-Non volevo che lo venissi a sapere...- aveva detto, -Ma dato mi hanno piazzato nella tua stessa stanza, è meglio che ti dica la verità. E so bene che se non lo faccio farai la scassa coglioni, perché non penso che mi crederai se ti dico che sono caduto dalle scale.-
-Già...- avevo detto con una piccola risata.
-E' stato mio padre...- mi aveva risposto abbasando lo sguardo.
-E perché avrebbe dovuto farlo?- 
-Ho iniziato io... Ero incazzato con lui in una maniera inspiegabile e non ero riuscito a trattenere la rabbia...-
-Sei un cretino.- avevo detto, -Perché lo hai fatto?-
-Io c'ero.- mi aveva risposto, -Ti ho visto quando ti hanno investito. Ero a qualche metro dalle strisce pedonali, ma ho visto bene l'auto che ti aveva investita senza poi fermarsi per soccorrerti. Era rossa con una grande ammaccatura sulla porta del guidatore.-
-Il giorno dopo ero andato a cena da mio padre come faccio di solito il Sabato.- iniziava a raccontare, -Quando sono entrato in casa era nervoso, molto nervoso. Camminava avanti e indietro per il salotto mentre si stringeva le mani, così gli ho chiesto il perché di tutto 'sto nervosismo. Mi aveva detto che il giorno prima aveva investito una ragazza sulle strisce pedonali e che se avessero saputo che era stato lui lo avevano arrestato.-
- "Non posso andare in prigione! Non di nuovo!" diceva. A quel punto avevo capito tutto e una rabbia accecante mi possedeva. E alla fine eccomi qua.- aveva aggiunto con una risata amara, -Lui non si è fatto molto. Io sì invece, dato che è molto più grosso di me. Ho detto ai dottori che mi avevano coinvolto in una rissa.-
C'era stato un attimo di silenzio mentre riprendeva fiato.
-Era stato lui a investirti senza fermarsi...- aveva detto.
Era stato veramente stupido. Iniziare a piacchiare suo padre, che era molto più forte di lui, per me... Che cretinata. Eppure era un atto dolce. Ma in quel momento non sapevo nemmeno cosa sentire a riguardo, sapevo solamente che ero felice.
Dopo poco mi ero alzata e, piano piano, ero andata a sedermi vicino a lui per abbracciarlo.
Avvolgevo le mie braccia tra il suo busto ferito e cercavo di abbracciarlo in modo che non si facesse male. 
-Sei un cretino.- avevo detto, -Grazie.-
E, non so come, mi ero addormentata per la seconda volta tra le sue braccia.

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Sentivo accanto a me un uomo che piangeva seduto su una panchino con i gomiti sulle ginocchia e le mani al viso.
Perché stai piangendo? diceva la voce di una bambina di circa tre anni.
Perché ho perso l'occasione di amare veramente qualcuno... Rispondeva l'uomo alzando lo sguardo e rivolgendolo verso la piccola bambina dalle gote rosee e gli occhi castani.
Non credo che tu devi piangere. Rispondeva a sua volta la ragazzina con un sorriso sincero.
E perché non dovrei? L'ho persa, l'ho abbandonata e non mi perdonerà mai per questo... 
Allora prova e riprovaci a scusarti. Vedrai che ti perdonerà, si vede che ci tieni a lei. diceva la bambina mentre faceva dondolare le gambe che penzolavano dalla vecchia panchina di legno.
E intanto li vedevo lì, che parlavano. Ero proprio davanti a loro, eppure nessuno dei due mi rivolgeva uno sguardo. Era come se non mi vedessero nemmeno.
Tu ci tieni a tuo padre vero, Lea? Diceva la bambina rivolgendosi improvvisamente a me. Perché non lo vuoi perdonare? Eh? Ha cercato di farsi perdonare  ed è tornato da te per sistemare tutto. Perché ti ostini ad odiarlo? Perché hai un parere così brutto di lui?
Era giovane, stupido, e allora? E' tornato e tu lo tratti così?
Ascolta le tue parole, quelle che hai detto a lui, tuo padre, ascolta le mie che sono uguali alle tue. Fa la cosa giusta e non perdere questa occasione. Fallo per noi, fallo per te.
Mi ero svegliata di colpo nel mio lettino con le lacrime agli occhi. Era solo un sogno.
Erano le due del pomeriggio passate e il pranzo era già stato portato via.
Mi ero asciugata velocemente le guance e ero rimasta a guardare il soffitto colorato cercando di non pensare a nulla.
-Finalmente hai deciso di svegliarti!- diceva Theo alla mia sinistra.
Mi ero girata verso di lui e, con un sorriso sincero, gli avevo detto:-Sono felice di ritrovarti al mio risveglio.-
-Cioè...- mi correggevo imbarazzata, -Voglio dire... Ehm... E' che la scorsa volta non ci sei stato e sai, poi ti avevo ritrovato con Sophie e...-
-Sono felice che ti faccia piacere.- rispondeva lui con un lieve sorriso.
Sorridevo a mia volta e lui, distogliendo lo sguardo dal mio e sorridendo ancora, mi aveva detto: 
-Sai, sei molto più carina quando sorridi...- 
Distogliendo lo sguardo da lui avevo sorriso a testa china in modo che non potesse vedere che stavo arrossendo.
Era la cosa più carina che mi avessero mai detto in tutta la mia vita.
Il mio cuore mi batteva fortissimo, così velocemente che era come se mi fossero mancati quattro battiti. Ed era come se quel momento non potesse finire, come se quella sua dolcezza sarebbe durata per sempre.
-Posso...- iniziavo a chiedere dopo qualche minuto di silenzio, -Posso chiederti una cosa?-
-Certo.- aveva risposto con un sorriso.
-Se...- iniziavo a dirgli timida, -Se un giorno tu dovessi scoprire di avere un vero padre che ti ha abbandonata... Voglio dire, abbandonato, solo perché era troppo giovane e impaurito per crescere un figlio, e cercasse durante la tua crescita di legare i rapporti...-
-Continua.- chiedeva.
-Sì... Ehm... Anche se hai saputo che ti ha abbandonato perché inizialmente non voleva un figlio, tu lo perdoneresti?-
Mi guardava con la fronte leggermente aggrottata come se si stesse chiedendo se la mia era una domanda tanto per fare conversazione oppure se era veramente quello che mi era successo. 
Dopo qualche secondo di silenzio si era deciso di rispondere.
-Certamente.- diceva convinto, -Si è fatto perdonare svariate volte e ha cercato di riallacciare i legami, perché non perdonarlo?-
Poi aveva aggiunto con un lieve sorriso: -Tutti facciamo errori, Lea, e a volte ci vuole tempo prima di capirli e rimpiangere di averli fatti.-
Poi mia madre mi aveva chiamata sul telefono.
-Ah davvero? Sei sicura?- le dicevo, -Ehm... certo, fallo salire.-
E, dopo qualche minuto, dalla porta era entrata la persona giusta al momento giusto.
Con un sorriso quando lo avevo visto varcare la soglia della porta, avevo detto: -Ciao papà...- .

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Inizialmente ci scambiavamo sguardi di sfuggita imbarazzati sul che cosa chiederci e sul come iniziare un discorso sensato senza fermarsi ogni tre per due.
-Mi dispiace per non averti cercato più spesso...- aveva detto poi dopo qualche minuto.
-Non scusarti.- avevo risposto con un lieve sorriso, -Dico sul serio, non devi.-
-Senti,- chiedeva, -Quando ti dimetteranno, ti va se un giorno andiamo al bar o a mangiare fuori? Ci sono 16 anni della tua vita che mi devi assolutamente raccontare.-
-Forse 12.- rispondevo, -Ti giuro che non ricordo assolutamente nulla dei miei primi quattro anni di vita.-
E intanto sorrideva, felice di non aver più quel enorme peso, quel enorme rimpianto che giaceva sulle sue spalle da ormai molto tempo. 
Intanto Theo se ne era andato dalla stanza con una scusa banale e, con tutti gli argomenti possibili in questo mondo, mio padre aveva deciso di parlare proprio di lui.
-Chi è quell'altro ragazzo che ti fa compagnia qua?- chiedeva facendo un cenno con la testa per indicare il suo lettino.
-E' Theo, un mio compagno di classe.- rispondevo con un sorriso.
-E come è finito qui?-
-Ha fatto a botte con suo padre...- dicevo con voce lieve e con una smorfia, -Perché aveva saputo che era stato lui a investirmi...-
-Bè,- rispondeva sorpreso, -Lo avrei fatto anchio.-
Dopo qualche secondo di silezio, mi aveva chiesto con un sorrisetto:-Scommetto che hai una cotta enorme per lui.-
-CHE?- avevo chiesto,  -Ma ti pare? NO...-
Poi Theo aveva fatto la sua apparsa nella stanza e il telefono di mio padre iniziava a squillare. Sulla schermata appariva il nome "Ufficio".
-Cavoli.- diceva.
-Qualcosa non va?-
-Devo tornare a lavoro. Sono uscito dall'ufficio senza dire nulla, si vede che mi staranno cercando...- rispondeva dispiaciuto, -Devo andare...-
Mi aveva dato un bacio sulla tempia mentre si alzava e mi aveva detto cercando di non farsi sentire:-So che è un bravo ragazzo, e che ti piace. Cerca di non fartelo sfuggire.-
Poi mi aveva fatto l'occhiolino e, dirigendosi verso la porta, mi aveva salutato con la mano.
-Di che stavate parlando?- mi aveva chiesto Theo mentre dava un morso alla sua barretta di Twix.
-Di nulla.- gli avevo risposto sorridendo, -Solo di non dover farmi sfuggire delle occasioni.-
-E lo farai?- chiese ricambiando il sorriso.
-Lo farò.-
E intanto tristemente pensavo "Spero solamente di avercela un'altra occasione...".
Improvvisamente una grande tristezza mi avvolgeva. Anche se volevo con tutta me stessa che con lui, un ragazzo per cui ho avuto una cotta per moltissimi anni, potesse funzionare, un'altra parte di me dubitava su tutto ciò. Per quanto volessi provare a crederci, non ci riuscivo. 
Mi aveva ferito troppe volte, ma ogni volta che lo guardavo qualcosa mi diceva sempre di riprovarci, di provarci ancora e ancora nonostante tutto il male che sarebbe potuto accadere.
In quel momento ero con lui ed ero felice. La sua gentilezza, dolcezza e premura nei miei confronti mi riscaldava il cuore, mi rendeva felice. 
Ma alla fine sapevo che non sarebbe durata a lungo. Avevo paura che finisse. 
Avevo paura che finisse a causa mia, a causa sua o per colpa di qualsiasi altra persona.
-A che stai pensando?- mi aveva chiesto improvvisamente.
-Cosa?- chiedevo distratta.
-Sei diventata improvvisamente pensierosa.-
-E' vietato pensare?- avevo risposto cercando di sorridergli facendo finta di nulla.
-No no... E' che sembravi molto triste...- diceva, -Qualcosa non va?-
-Ma ti pare? Certo che no!- avevo risposto cercando di fare il sorriso più grande che potevo fare. 
-Lo sai che per qualsiasi cosa ci sono, vero?- chiedeva serio, -Se qualcosa non va, puoi parlarmene.-
-Si lo so.- avevo risposto con voce lieve e facendo un sorriso normale, -Sta tranquillo, va tutto bene.-
Poi avevo distolto lo sguardo da lui con un sospiro e con il piccolo sorriso che scompariva pian piano. 
Sapevo di poterne parlare con lui, ma non avevo il coraggio di dire nulla. Non volevo rovinare quei piccoli attimi di felicità a causa della mia inutile tristezza.

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


Verso sera, quando il sole iniziava a tramontare, mi ero messa seduta davanti alla finestra con le gambe incrociate sopra il divanetto per ammirare i bellissimi colori del cielo e il sole che pian piano se ne andava per dar spazio alla Luna per la notte.
Stavo lì a guardare il Sole arancio con tanta allegria, adoro i tramonti.
Mi ricordo di quando qualche anno prima mi ero trasferita nel piccolo appartamento nel centro della città e non avevo più la possibilità di guardare i tramonti.
Mi ricordo di quando, nei primi mesi di trasferimento, guardavo il cielo camminando per le strade e rimpiangendo tutti i tramonti che mi sarei persa. Tutto ciò mi rendeva triste, ma dalla casa nuova riuscivo a vedere bene la Luna quando era piena. Riuscivo a vederla così splendente che illuminava il cielo più che mai con le piccole stelline intorno, e mi metteva allegria.
Quando ero piccola pensavo alle stelle come delle piccole cose che stessero vicino alla Luna per farle compagnia quando faceva buio, ma poi, crescendo, capii che erano solo corpi celesti lontani anni luce, e, guardandole insieme alla Luna, mi davano un senso di nostalgia.
Così lontane, così sole.
-A che stai pensando?- mi aveva chiesto una seconda volta Theo.
-Alle stelle.- avevo risposto senza distogliere lo sguardo dal Sole che ormai si vedeva a malapena.
-Pensavo a come erano belle, e al fatto che sono dei Soli pure loro.- aggiungevo.
-Questo è ovvio.-
-Sì, lo so.- avevo detto voltandomi verso di lui, -Solo che pensavo a come, con il loro calore, potevano migliorare le giornate degli esseri viventi...-
-E..?- mi aveva chiesto come se sapesse che avessi dovuto continuare quel discorso.
-E che siamo anche noi come loro.- avevo risposto tornando a guardare il cielo dalla finestra, -Siamo soli, ma allo stesso tempo diamo un po' più di allegria nelle giornate degli altri anche inconsapevolemente.-
-E' un pensiero carino da parte tua.- aveva risposto.
E riuscivo a percepire un mezzo sorriso alla mie spalle.
-Pensi di rendere più bella la giornata di qualcuno?- mi aveva chiesto poi.
-Non lo so.- avevo risposto sdraiandomi sul materasso del divanetto, -Non ne sono consapevole.-
-Sicuramente non le tue.- avevo risposto dopo qualche minuto di silenzio.
-Voglio dire,- aggiunsi, -Ti sei fatto picchiare a causa mia, e non penso di aver molto a che fare nella tua vita.-
Non sapevo che cosa mi era preso in quel momento, ma dissi ciò per impulso sebbene sapevo che forse sarebbe finita male e non volevo.
-E perché no?- chiedeva.
-E perché sei così gentile, dolce e premuroso nei miei cofronti?- dicevo, -Perché adesso? Perché così all'improvviso?-
Silenzio.
-Sei così strano.- avevo aggiunto, e, cercando di imitare la sua voce profonda e gesticolando con le mani: -"Lea, mi rendi confuso!","Lea, era solo un bacio! Non significava niente!","L'ho fatto perché se stai con me soffri e non voglio!","Mi importa di te, Lea!" e bla bla bla.-
E avevo finito con una sorta di risata amareggiata e un sospiro alla fine.
-Proprio strano, sì sì.- aggiungevo.
Ancora silenzio. Lui non rispondeva, si limitava a guardarmi senza espressione, come se stesse cercando di capire che cosa mi stava passando per la testa in quel preciso momento. Ma se non lo sapevo nemmeno io come stavo, come avrebbe fatto lui a capirlo?
-Forse sono strana io.- avevo detto più calma guardandomi la mano che giravo e rigiravo davanti a me, sopra la mia testa.
-Penso che io non capisca niente.- aggiungevo facendo ricadere la mano sulla mia pancia, -Rovino tutto, rovino dannatamente qualsiasi cosa.-
E poi mi mettevo seduta conle gambe incrociate, la schiena lasciata cadere sullo schienale e lo sguardo rivolto verso di lui.
-Per esempio ora.- dicevo ancora con lui che mi guardava a sua volta, -Prima eravamo all'incirca felici. Andava tutto bene e poi sono arrivata io che, con la mia stupidità, penso di aver rovinato tutto.-
Nessuna risposta.
-Forse è solo colpa mia.- avevo distolto lo sguardo da lui con un mezzo sorriso malinconico, -Forse se non mi fossi innamorata di te, non starei male. Percò sì, forse è veramente colpa mia.-
Poi mi ero alzata e mi ero messa sotto le coperte del lettino ospedaliero rivolgendogli le spalle.
-Mi dispiace, scusa.- concludevo, -Se non vuoi rispondere, fa lo stesso. Dimentica tutto quello che è successo.-
Dopo qualche minuto lo sentivo alzarsi dal lettino e venire da me. Mi aveva messo una mano sulla spalle e, dopo avermi scostato i capelli dal viso, mi aveva dato un dolce bacio sulla tempia.
-Tranquilla,- mi aveva detto dolcemente, -Non è colpa tua, fidati.-

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


Mi ero addormentata con le sue dolci parole che si annidiavano dentro la mia mente.
Verso le 2:00 del mattino però, mi ero svegliata con un enorme peso nel petto.
Era come una sorta di disagio e paura mischiati insieme e messi dentro di me.
Respiravo affannosamente, ma nessuna lacrima solcava il mio viso come mi succedeva ormai da giorni.
Dopo essermi ripresa in parte, avevo notato che la televisione era ancora accesa su un canale che trasmetteva una maratona di film horror. Dava in onda uno dei soliti e popolarissimi film sugli zombie che dominavano il mondo e con una famiglia che doveva salvarsi dalla catastrofe.
Prevedibile che si sarebbero salvati.
Mia madre stava dormendo profondamente senza russare, non lo aveva mai fatto, e Giusy a quella tarda ora, si doveva prepare per dare il cambio di turno.
Mi ero girato verso Theo e avevo notato con mia sorpresa che era sveglio, come se non fosse ancora andato a dormire.
Ero rimasta a guardarlo in silenzio cercando di non farmi notare come al solito, ma dopo qualche minuto si era accorto che lo osservavo.
Mi aveva sorriso dolcemente senza dire nulla, e così avevo fatto pure io.
-Come mai ancora sveglio?- gli avevo chiesto.
-Dovrei chiedere la stessa cosa a te.- rideva.
-Mi sono svegliata, è diverso.-
-Non prendevo sonno. Sai, guardarti non è poi così stancante...- mi aveva risposto ammiccando.
Mi sentivo arrossire.
-Mi hai guardata mentre dormivo?- avevo chiesto imbarazzata.
Il fatto che un ragazzo mi guardi mentre dorma è davvero imbarazzante. E se avessi sbavato? E se russavo?
-Forse.- aveva risposto tornando a guardare lo schermo della televisione.
La famiglia era appena stata salvata da un aereo dopo che degli zombie li avevano attaccati e quasi uccisi.
-Come mai sei diventato così gentile con me?- avevo chiesto guardandolo di punto in bianco dopo qualche minuto.
Lo avevo detto con così spontaneità che quasi mi pentivo di averglielo chiesto.
-Hai presente quando fai star male qualcuno, all'inizio te ne freghi, ma poi capisci di aver fatto davvero male e ci pensi, e pensi...?- mi aveva chiesto.
-Sì.- avevo risposto.
-Bene.- aveva detto senza togliere lo sguardo dalla televisione,-Con gli amici ti scusi e torna tutto okay, perché ci tieni, no?-
-Sì...- avevo ripetuto.
-Solo che era come se con te fosse diverso. Ti volevo chiedere scusa...-
-E lo hai fatto.- lo avevo interrotto.
-Sì, ma prima avevo paura di peggiorare le cose. E dopo tutte quelle volte in cui ti avevo vista piangere, ho capito che... Io ci tenevo molto a te, più di quanto potessi aspettarmi.-.
Poi era tornato a guardarmi con quegli occhi castani in cui potevo perdermici per ore.
-Perché me lo dici ora?- avevo chiesto.
-Nessuno mi aveva chiesto niente prima.- rispondeva con un mezzo sorriso.
Quel sorriso potevo guardarlo per ore con occhi sognanti.
E intanto alzavo gli occhi al cielo, per quella sua risposta. Volevo rispondere, dire che poteva avere una qualche minima iniziativa, ma quello che aveva detto mi era in qualche modo bastato.
-E perciò questa gentilezza si è creata così all'improvviso.- dicevo scherzando per concludere il discorso e mettendomi a guardare il soffitto sistemando la schiena sul materasso.
-Penso di no...- aveva detto con un leggero imbarazzo che non riuscivo a capire.
Avevo rigirato la testa verso di lui per guardarlo con un sorriso, come se mi aspettassi quella sua risposta.
-Penso che...- diceva distogliendo lo sguardo dal mio per poi portarlo al soffitto con quella leggera timidezza che quasi mi addolciva.
-Penso che pian piano io... Ehm... Bè, sì...- diceva imbarazzato balbettando.
Si era rigirato verso di me sistemandosi con lo sguardo distolto dal mio e, borbottando, mi aveva detto:-Penso che pian piano io mi sia innamorato di te...-.
Poi mi aveva guardato con sguardo innocente, quasi impaurito.
Mi ero limitata a sorridergli dolcemente.
Dopo qualche minuto mi ero alzata e, lentamente ero andata da lui.
Gli avevo dato un dolce bacio sulla tempia e, in silenzio, mi ero infilata sotto le sue coperte.
Avevo poggiato la mia fronte sul suo petto e con il suo mento che si poggiava sopra la mia testa, mentre il suo braccio malconcio mi cirondava come una sorta di ala protettrice. 
Nessuno aveva detto nulla, non perché non c'era nulla da dire, ma perché tutto ciò bastava più delle parole stesse. 
Era come un sogno. Era come se ci fossimo solo lui ed io, nessun'altro, e che il brusio della televisione e le poche voci dei medici fuori dalla stanza fossero scomparsi improvvisamente.
Era come se fossimo in un mondo tutto nostro in cui solo io e lui potevamo andare, sospesi dal tempo e dallo spazio in un momento che non sarebbe potuto mai finire.

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


Correvo per le vie di un quartiere che non avevo mai visto nella mia piccola-grande città sotto la pioggia primaverile. 
Non sapevo come ero capitata lì, ma stavo cercando qualcosa, o per lo meno qualcuno. 
Ma chi poteva essere non me lo ricordavo.
Avevo girato a destra pestando una pozzanghera che mi infradiciò le scarpe per metà.
Correvo ancora, e ancora. Svoltavo a sinistra, poi a destra e ancora una volta a sinistra per i negozi chiusi.
Era ancora tarda mattinata e io non avevo l'ombrello per l'ennesima volta.
I piedi mi facevano male, ma continuavo a correre. 
Avevo girato un'ultima volta a destra e mi ero fermata di colpo.
A quel punto mi svegliai.
-Leuccia!- diceva mia madre con un sorrisone e con la faccia a qualche centimetro da me.
Mi ero sapventata non appena avevo aperto gli occhi trovandola così vicino.
-Oh mio Dio, Mamma!- avevo detto alzandomi.
Mi ero sistemata bene sul letto con le gambe incrociate e, dopo essermi strofinata una mano sulla faccia, le ho chiesto con calma che cosa volesse.
-Ti dimettono!- aveva detto felice, -Contenta?-
-Certo!- avevo detto accennando un sorriso.
Theo se ne era andato il giorno prima, perché stava meglio di prima e non era così mal messo dopo qualche giorno.
Lui se ne era andato ventisei ore e quarantatre minuti prima, e non mi aveva nemmeno mandato un messaggio nell'arco di quel tempo.
Il pensiero di lui da quando lo avevano dimesso, non faceva altro che farsi spazio nella mia mente.
Forse ero troppo paranoica e esagerata, ma non riuscivo a fermare quella mia agitazione e quei continui pensieri che affollavano la mia testa.
"Forse non era nulla..." pensavo, "Non era nulla sì. Non c'è nulla tra noi. Siamo solo amici."
E poi "Però ha detto... NO. Non ci devo pensare.", ma finivo per pensarci e ripensarci ogni ora.
Quando andavo alle macchinette, quando leggevo un libro, quando guardavo la televisione, lui era il pensiero su cui mi concentravo soprattutto.
Alla fine mi ero arresa e avevo spento il telefono. 
Non aveva senso struggersi per un messaggio. 
Quel martedì mattina mi ero alzata dal letto, mi ero andata a vestire e, nel giro di un'oretta ero già a casa a farmi la doccia.
Erano solamente le  10:30 del mattino quando avevo finito di fare la doccia e la colazione all'ospedale non mi aveva riempita abbastanza, avevo ancora fame.
Mia madre era andata a lavorare e io sarei tornata a scuola il Giovedi di quella stessa settimana. 
Sophie era a scuola come qualsiasi altro ragazzo della nostra età e mio padre era fuori città per lavoro. 
Verso le 11 ero scesa di casa per dirigermi al bar vicino a casa mia e vicino alla mia scuola.
Appena arrivata avevo ordinato un cappuccino e una brioche al cioccolato, poi mi ero andata a sedere in un tavolino in fondo dando le spalle agli altri tavoli.
Mi piaceva stare lì, da sola a sorseggiare un cappuccino nella piena pace di un bar mezzovuoto. Prima di uscire di casa mi ero messa il cappuccio della felpa e, entrando nel bar, non avevo voglia di toglierlo. 
Di solito era mia abitudine farlo quando uscivo di casa per camminare e, come in quel momento, prendere un caffè.
A un certo punto, a metà colazione, avevo sentito qualcuno sedersi dietro di me. Non ne davo molta importanza così avevo fatto finta di niente.
Mi pareva di sentire il rumore della pioggia che iniziava a cadere, così avevo dato un'occhiata fuori dalla finestra e pioveva veramente.
"Nessun problema," avevo pensato, "Potrei stare qua ore a prendere cappuccini."
-Ma davvero ti piace quella... Come si chiama...- aveva detto una voce dietro di me.
-Si chiama Lea.- aveva risposto un'altra voce.
-Ah, vero.- aveva detto l'altro ridendo.
Quelle due voci non mi erano per niente famigliari, ma avevano attirato la mia attenzione e, pur pensando che non era molto giusto, origliavo la loro conversazione con molto interesse.
-Non piace a me, piace a un mio amico.- aveva detto il primo ragazzo.
-Theo?- diceva il secondo ridendo, -Ma sei serio?-
-Scusate?- avevo ribattuto io girandomi verso di loro con tono abbastanza offeso.
-Che vuoi tu?- aveva detto il secondo ragazzo.
-Che avrebbe Lea di così tanto esilerante, eh?- avevo chiesto sul punto di urlare.
Non so se fosse era perché tenevo il cappuccio o perché non mi aveva quasi mai vista, ma da quella sua domanda avevo capito che non mi aveva riconosciuta.
-Non dovrebbero essere affari tuoi.- aveva ribattuto lui con tono insolente.
-Dimmelo e basta, tanto non finisce il mondo.- avevo detto di fretta per arrivare il punto.
-Bene.- si era deciso incrociando le braccia, -Da dove posso iniziare...-
Intanto avevo notato che il secondo ragazzo sembrava nervoso e guardava con occhi spalancati il suo amico quasi per dirgli "Bada a che dici.".
-E' insopportabile. Troppo bassa, Theo potrebbe poggiarci il mento sopra o usarla come comodino; E' di un'infantilità assurda. E' stupida, non è seria e porta una prima di seno scarsissima.-
-Una seconda.- lo corressi nervosa.
-Quello che è.- aveva detto, poi continuava con la lista, -Ride troppo ed è troppo allegra. Secondo me non riesce nemmeno a tener su un discorso serio.-
I nervi mi erano scoppiati e il mio cervello non reagiva più a nessun pensiero razionale.
Iniziavo a provare dentro una sensazione di odio che nessuno poteva nemmeno immaginare, ed ero sul punto di urlargli in faccia e strozzarlo con le mie piccole mani.
Che diritto aveva lui, un ragazzo che nemmeno mi conosce, di giudicarmi?
-Chi è che lo avrebbe detto scusa?- avevo detto trattenendomi.
-Theo e molte altre persone.- aveva risposto con un sorrisetto.
"ALZATI E VATTENE" urlava il mio cervello disperato e preoccupato che potessi fare qualcosa di avventato.
Mi ero alzata di colpo piazzandomi davanti a loro e, prendendo la sua tazza di caffè gliel'avevo versata addosso senza alcuna esitazione.
-Ma vaffanculo.- gli avevo detto prima di andarmene.
Ero uscita velocemente dal bar mentre quel ragazzo imprecava contro Dio in tutte le maniere possibili. 
Era l'unica cosa che avevo detto. Volevo aggiungere altro, ma la rabbia era al culmine.
Iniziavo a correre sotto la pioggia che batteva e, dopo molto, mi ero addentrata in un quartiere della città che non avevo mai visto.
Era come nel sogno che avevo fatto prima di svegliarmi quella mattina.
Avevo svoltato a sinistra, poi a destra e ancora a sinistra.
Non sapevo cosa stavo cercando, mi limitavo a seguire ciò che ricordavo perché qualcosa mi diceva di seguire gli stessi passi che avevo fatto in sogno.
I piedi mi facevano malissimo, ma continuavo a correre. Poi, avevo girato un'ultima volta a destra fermandomi.
 Quella rabbia che provavo alla fine si trasformò in tristezza. Quella sensazione iniziava a stringermi il petto sempre più forte ripensando alle parole di quel ragazzo impertinente.
La pioggia mi bagnava la testa china mentre quelle parole continuavano a ronzarmi nel cervello.
"E' stato Theo a dirlo, e molte altre persone".
Perciò era davvero così che tutti mi vedevano? Una ragazza troppo allegra e stupida che non puoi prendere nemmeno sul serio?
E' così brutto sembrare e cercare felici?
Le lacrime iniziavano a salire agli occhi e altri pensieri iniziavano a tormentarmi la testa.
Iniziavo a ricordarmi qualcosa che volevo dimenticare a tutti i costi: il periodo delle medie.
"Sei una stupida", dicevano, "E' per questo che non hai nessuno.", "Sei troppo allegra.", "Ma lo sai che ci sono dei problemi gravissimi al mondo? Secondo me non ne sai nemmeno l'esistenza, sei troppo stupida.".
"Cessa. Piatta. Nana. Stupida. Non ti vuole nessuno." mi dicevano, e, all'inizio delle superiori pensavo che sarebbe andato tutto bene, ma quelle voci continuavano a tornare per farmi del male. 
Pensavo che tutto fosse finito, che avessero smesso.
Cercavo di convincermi che fosse tutto finito a tal punto da crederci davvero, ma non era così. Alla fine facevo solo finta. 
Le lacrime iniziavano a solcare le mie guance ancora una volta.
-Perché stai piangendo?- mi chiese una voce.
Non avevo risposto perché non volevo rispondere, ma mi ero limitata a alzare lo sguardo.
Theo mi stava guardando con aria preoccupata.
-Poi, perché sei fuori senza ombrello? Finirai per prenderti un raffreddore.- aveva aggiunto mettendomi sotto il suo ombrello scuro insieme a lui.
Mi ero asciugata le lacrime con una delle maniche bagnate della mia felpa e, guardandolo, gli avevo sorriso col sorriso migliore che potevo fare
-Sto bene, non è niente.- avevo risposto.
Poi mi ero voltata per andarmenevia, ma lui mi aveva preso per un braccio e riportata sotto l'ombrello insieme a lui. 
Eravamo uno di fronte all'altra e, serio, mi aveva detto:-Non essere stupida.-
Non sapevo cosa dire, non sapevo più a cosa pensare. Perché Theo avrebbe detto tutte quelle cattiverie? 
Eppure ce l'avevo di fronte a me, in quel preciso momento, che si stava ancora una volta preoccupando per me.
Sapevo di non dover dar retta a quello che dicevano, ma qualcosa dentro di me non poteva farne a meno.
-Vorrei rimanre sola, se non ti dispiace...- avevo detto.
-Ma...- aveva quasi ribattuto dispiaciuto.
-Vattene.- avevo detto voltandomi.
E iniziavo a sentire, dopo qualche secondo, i suoi passi che si facevano sempre più lontani.
Non riuscivo a capire perché lo avevo detto. Mi sentivo tremendamente in colpa.
Riiniziavo a piangere lì, ferma, sola.
Solo alla fine avevo capito che le mie lacrime non erano perché lo avevo respinto, ma perché se ne era andato così facilmente.
Volevo vedere se, nonostante quello che avevo detto, sarebbe rimasto comunque.
Mentre pensavo a ciò, sentivo dei passi che tornavano veloci verso di me.
Mi ero voltata e, senza accorgermene, mi ero ritrovata tra due braccia  che mi avvolsero in un abbraccio accogliente. 
-Sei così stupida...- aveva detto Theo, -Pensi davvero che ti lasci così facilmente?-
Mi ero limitata a sorridere con quel calore intorno che scacciava via tutta quella freddezza che prima mi cirocndava, e, alla fine ho pensato che, per essere felice, mi sarebbe bastato solo quello.

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


-Ti accompagno fino a casa.- aveva detto con un sorriso e mettendomi un braccio intorno alle spalle.
Non riuscivo a capire se la sua erauna richiesta o era proprio una affermazione, ma fatto sta che, senza che io avessi detto nulla, ci eravamo messi a camminare verso casa mia.
Non sapevo veramente cosa dire, perciò ero rimasta tranquillamente in silenzio.
Così fece anche lui.
Eravamo passati davanti al bar davanti alla scuola, e di quei due ragazzi non c'era  più nessuna traccia. Arrivati davanti al portone del condominio in cui abitavo, mi ero messa di fronte a lui.
-Grazie.- avevo detto con un lieve sorriso che venne ricambiato.
Alzando lo sguardo verso di lui avevo notato che aveva la manica della felpa tutta bagnata.
-Scusami... E' colpa mia...- avevo detto.
-Che?- aveva chiesto lui confuso, ma poi aveva capito che mi riferivo alla sua manica bagnata.
-Tranquilla, non è nulla.- mi aveva rassicurato con un sorriso.
-Se vuoi abbiamo l'asciugatrice.- avevo detto imbarazzata,-Io non so usarla, ma se tu sei capace potresti far asciugare la tua felpa...- 
Era davvero imbarazzante. Persino un bambino di cinque anni sarebbe stato capace nell'usare una lavatrice, ma io, ovviamente, non ne ero capace.
"Metti i vestiti bagnati qua dentro, premi questo pulsante, poi aspetti che si asciugano. Tutto chiaro, Lea?" mi aveva detto mia madre appena l'avevamo comprata.
Io rispondevo sicura con un "Sì" super convinto, ma alla fine finivo per combinare un disastro perché lasciavo i vestiti troppo a lungo e alla fine si restringevano. Ci ho provato due volte, ma dopo la seconda, mi ero arresa definitivamente.
-Se non ti dispiace, per me va bene.- aveva risposto in tono cordiale.
Nut lo aveva accolto calorosamente, mentre Bianca dormiva come al solito sul mio letto.
-L'asciugatrice è in bagno.- avevo detto.
-Intanto io mi camb...- avevo aggiunto, ma lui si era volatilizzato.
Avevo scrollato le spalle dando per scontato che avesse sentito, e mi ero tolta la felpa e la maglia bagnata rimanendo in reggiseno.
-Senti, quale tra i tanti pulsanti dev...- aveva detto Theo entrando nella stanza, ma poi si era arrestato di colpo arrossendo.
-Eh?- avevo chiesto confusa, -Come mai hai la faccia tutta rossa?-
-Eh... Bè...- diceva tranquillo, -Sei mezzanuda.-
Dopo qualche secondo avevo abbassato lo sguardo e in quel momento avevo capito di cosa stava parlando. Mi sentivo avvampare e cercavo di trattenere le urla di vergogna. 
-Potresti almeno girarti e uscire?!- avevo detto con voce strozzata.
-Ah. Ehm, Sì, ora vado.- aveva detto imbarazzato ed era uscito dalla stanza tranquillamente chiudendo la porta alle sue spalle.
Ero pietrificata dall'imbarazzo. Non sapevo se iniziare a urlare dalla troppa vergogna o meno.
Mi ero tolta i pantaloni bagnati, avevo preso una maglia larga a righe nere e bianche verticali che mi arrivava a metà coscia, e avevo aperto la porta cercando di nascondere il più possibile la vergogna.
Theo era in piedi con la schiena al muro vicino alla porta che guardava il soffitto vuoto.
Vedendo che avevo aperto la porta, era silenziosamente entranto in camera mia per poi sedersi sul mio letto e aveva alzato lo sguardo verso di me. Si notava un leggero imbarazzo anche solo nel guardarmi.
-Mi dispiace.- aveva detto con un lieve sorriso sincero.
Mi ero messa vicino a lui rimanendo in piedi e avevo notato solo in quel momento che aveva ancora la felpa e che non l'aveva messa ad asciugare.
-Forza, devi metterla ad asciugare quella felpa.- avevo detto poggiandogli una mano sulla spalla asciutta.
-Okay...- diceva.
Si era alzato senza guardarmi e, come se fosse la cosa più naturale del mondo, si era tolto la maglietta insieme alla felpa porgendomeli gentilmente e rimanendo così a torso nudo.
Mi sentivo avvampare per una seconda volta e non riuscivo quasi a respirare.
-Sei diventata tutta rossa.- aveva detto ridendo.
-E tu sei a torso nudo...- rispondevo abbassando lo sguardo.
Poteva sembrare strana la situazione, perché in piscina o al mare ne vedevi a migliaia di persone mezzenude, ma per me era diverso. E infatti Theo mi aveva detto la medesima cosa.
A quella sua affermazione, però, avevo dato la mia risposta: Vedere tantissime persone insieme non mi crea disturbo, perché non ci faccio caso, ma l'essere solamente in due persone, era molto differente. Io ero l'unica mezzanuda come per me lo era lui e la nostra attenzione non sarebbe potuta andare mica altrove. Il punto è che non mi piace essere al centro delle attenzioni.
-Va bene.- aveva detto alzando gli occhi al cielo con un sorriso.
-Ti metto i vestiti nell'asciugatrice, ma sappi che se ti diventa una extrasmall, io ti avevo avvertito.- avevo detto uscendo dalla camera.
Ci avevo messo tipo dieci minuti perché non mi ricordavo quale pulsante dovevo premere.
Tornata in camera Theo era coricato sul letto appisolato. Cercavo di fare il più piano possibile in modo da non svegliarlo e mi ero coricata vicino a lui.
Gli avevo punzecchiato la guancia un paio di volte, ma nessuna reazione.
Appoggiando la mia guancia sui suoi capelli arruffati, dopo avergli dato un bacio sulla fronte , avevo stretto la sua testa sul mio petto con dolcezza.
-Sei soffice.- aveva detto con voce appisolata e allo stesso tempo allegra stringendosi a me.
-Ehm... Grazie...- avevo risposto non sapendo se tornare a vergognarm o meno, -Ma penso che non è la prima volta che abbracci una ragazza.-
-Però tu sei così piccola e carina...- diceva spensierato, -Mi piacerebbe tenerti stretta, tutta mia, per il resto della vita.-
-Forse penserai "Perché dice così, perché gli piaccio?".- aveva aggiunto senza rivolgermi lo sguardo, -Però te l'ho già detto, e te lo ripeterò infinite volte, se vorrai: Tu, Lea, mi piaci perché per me amore è quando vuoi che quella persona stia sempre bene, quando non la vuoi far soffrire per nessuna ragione al mondo, quando tieni a lei più di te stesso.-
-Io non so se il mio sia veramente amore, ma una cosa la so: Vederti sorridere grazie a me, è la vittoria migliore che abbia mai vinto.- aveva concluso.
Mi aveva allontanato dolcemente sistemandosi in modo che i nostri visi si guadassero in faccia e mi aveva sorriso dolcemente. In quel momento non era uno di quei soliti suoi sorrisi. Quella volta era diverso, era come se fosse felice in tutto e per tutto nell'essersi tolto un peso enorme dallo stomaco.
-Tu cosa provi per me?- mi aveva chiesto per la prima volta.
Gli accarezzavo la guancia dolcemente e, guadandolo negli occhi, avevo detto:-Penso di amarti...-
E, infine, mi aveva dato un bacio, uno di quelli sinceri, dolci, tranquilli.
Era il secondo bacio che mi aveva dato, e mi sentivo davvero felice perché in quel momento, con quel piccolo e semplice bacio, ero certa di piacere veramente a qualcuno.

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


Era un venerdì mattina ed erano passati due giorni da quando Theo mi aveva baciata per la seconda volta. Mi ero svegliata col telefono che mi squillava vicino.
Ancora appisolata avevo preso il telefono in mano e avevo guardato con occhi ancora socchiusi lo schermo del telefono che mostrava il nome con cui avevo soprannominato Sophie, Soffione.
Le avevo dato quel soprannome quando eravamo ancora alle elementari. Ogni primavera, quando ormai spuntavano i fiori e andavamo al parco insieme, lei raccoglieva sempre i soffioni al posto delle margherite. Ne teneva stretti due o tre tra le sue piccole mani e, dopo qualche secondo ad occhi chiusi, ci soffiava sopra.
Esprimeva sempre lo stesso desiderio che non mi aveva mai rivelato.
Tutte le volte, però, mi prometteva che, quando il suo desiderio si sarebbe esaudito, me ne avrebbe parlato.
Faccio per risponderle, ma il campanello della porta aveva iniziato a suonare ininterrottamente. Questa era una delle cose che odiavo: Svegliarmi e avere il mondo attorno che subito mi assilla.
Mentre camminavo verso la porta, mi ero fatta la coda ai capelli e, stropicciandomi la faccia, avevo aperto la porta ancora assonnata.
-Buon giorno! - diceva tutta sorridente Sophie entrando in casa.
- Giorno? - avevo chiesto tirando su col naso, -Che ore sono? -
- Sono le 8 e mezza del mattino precise e noi dobbiamo essere a scuola per le 9.30. Entrata posticipata oggi, ricordi? - mi aveva risposto dirigendosi in cucina.
Aveva tirato fuori dal frigo il cartone del latte, si era seduta su una sedia e se ne era versata in uno dei due bicchieri di vetro che aveva tirato fuori dalla lavastoviglie pulita.
-Su,- mi aveva detto dopo aver fatto qualche sorso, - Preparati! -
-Va bene. - le avevo risposto stropicciandomi una seconda volta la faccia.
In meno di mezz'ora ero già pronta: capelli sciolti, i soliti jeans, una maglietta grigia e mascara.
Tornata in cucina avevo visto Sophie che controllava il suo telefono con aria infastidita, era come se qualcosa la turbasse.
-Hey, tutto okay? - le avevo chiesto, e lei, alzando lo sguardo verso di me, mi aveva sorriso rispondendo che andava tutto bene.
Era come se mi stesse nascondendo qualcosa, ma non sapevo bene cosa.
Si era alzata e, facendo due grossi passi, si era ritrovata davanti a me.
-Telefono. - mi aveva detto sorridente porgendomi la sua mano.
Avevo tirato fuori il telefono dalla tasca e, chiedendo a cosa le servisse, glielo avevo poggiato sulla mano destra senza ricevere risposta.
-Bien! - diceva mettendo il mio telefono nella sua tasca, -Ora va in bagno che se fuori ti scappa, non puoi andarci. -
-Perché? -
-Facciamo colazione fuori, offro io. - rispondeva sorridendo.
-Okay...-
Eravamo andate a fare colazione al bar di fronte alla scuola dove solitamente c'era molta gente, ma quella mattinata non c'era quasi anima viva oltre a noi due.
Avevo preso come al solito un cappuccino con una brioche al cioccolato, mentre Sophie aveva preso un caffè macchiato e due biscotti al cioccolato.
Quella mattinata era molto silenziosa, eppure mi sembrava che volesse dirmi qualcosa, che volesse parlare. La vedevo bere pian piano il suo caffè con una sorta di espressione malinconica.
-Senti...- aveva iniziato Sophie.
-Sì? - avevo chiesto io.
-Ehm... Niente, non era nulla di che...- aveva risposto con un sorriso debole.
-Tutto okay? - chiedevo.
-Alla grande...- rispondeva con un debole sorriso, -Forse è solo questo caffè...-
E in quel momento mi sembrava veramente triste, come se qualcosa o tutto la turbassero.
Ero forse io a turbarla? Le avevo fatto qualcosa?
-Senti, - le avevo detto con la tazza calda ancora tra le mani, -Si vede che qualcosa non va… Che succede? –
-Ma nulla…- rispondeva con un sorriso abbastanza forzato, e subito iniziava a esserci una sorta di clima teso. In quel momento avevo deciso di lasciar stare.
Arrivate a scuole eravamo ancora silenziose e entrambi eravamo andate ognuna al proprio banco.
Avevo notato che nemmeno quella mattina Theo era presente.
I due giorni precedenti ero tornata bella e pimpante a scuola, ma di Theo nessuna traccia, come se fosse sparito. Avrei voluto sentirlo, ma Jake mi diceva che era tutto a posto, che stava bene e che non c’era nulla di cui preoccuparsi.
-Jake. – gli avevo detto.
-Hey Lea! – mi aveva risposto girandosi.
-Ciao. – avevo detto io, -Nemmeno oggi c’è Theo? –
-A quanto pare no. – aveva risposto, -Vedi, ieri sera è tornato a casa tardi, mi ha detto che è stato a una festa e penso che abbia deciso di starsene a casa pure oggi. –
- Perciò lui ogni sera va a fare festa? – avevo chiesto abbastanza confusa.
-In realtà ieri e l’altro ieri aveva deciso di starsene a casa per la pura voglia di non voler venire a scuola. –
-Ah wow…- avevo detto.
-Perciò sta tranquilla, sta bene. – mi aveva detto con un sorriso.
-Grazie. –
Durante l’intervallo avevo deciso di andare da Sophie e parlarne perché ero convintissima che qualcosa non andasse e pensare che lei non si senta libera di parlare con me un po’ mi infastidiva e allo stesso tempo rattristava.
-Allora Sophie. - le avevo detto stando in piedi davanti al suo banco.
-Ora devi dirmi che succede, altrimenti ti assillerò per il resto della vita, pure quando vai in bagno! – le avevo detto con tanta convinzione, ma lei ancora non parlava.
Dopo qualche minuto di silenzio mi aveva ridato il telefono distogliendo lo sguardo dal mio, come se non volesse, anzi, come se non riuscisse nemmeno a guardarmi negli occhi.
-Vai sul profilo di Eleonor…- aveva detto quasi bisbigliando.
-Okay…- avevo detto abbastanza stranita e perplessa.
Ormai Eleonor e io eravamo quasi come amiche e la trovavo abbastanza simpatica.
Prima di questa nostra sorta di amicizia io e lei, come ormai era palese, ci detestavamo e mi pareva davvero strano che potesse in qualche modo ferire Sophie.
Lei non l’ha mai detestata Sophie, anzi, la trovava anche simpatica.
Ma quando avevo aperto il suo profilo avevo capito che non era Sophie quella ferita direttamente. Lei era solamente triste per qualcun’altro, per me, perché proprio in primo piano sul suo profilo compariva una foto scattata da qualcuno a una festa a cui era andata la sera prima con Theo.
Una stretta al cuore mi stringeva quasi fino a soffocarmi nel vedere Theo che sorrideva mentre lei lo baciava tra le sue braccia.
Eppure in quel momento non la detestavo, non la odiavo, non provavo nulla.
E non potevo darne colpa perché lei non lo sapeva, non sapeva nulla né di me, né di Theo. Nulla.
La stretta si faceva sempre più forte ogni secondo che passava e i miei occhi non facevano altro che guardare quella foto che man mano iniziava a sfocarsi.
Avevo poggiato tranquillamente il telefono sul suo banco e, voltandomi in silenzio, avevo cercato i camminare a passo svelto verso l’uscita tenendo lo sguardo basso.
Nell’intento però avevo urtato Jake poco dopo l’uscita e, dopo averlo guardato con occhi lucidi, non ero riuscita a fare a meno di abbracciarlo. A quel punto ero scoppiata a piangere e tra le sue braccia mi aveva portato in un angolino fuori dalla classe in modo che sia tutto un po’ più tranquillo.
-Hai visto la foto, vero? – mi aveva detto con voce dispiaciuta dopo qualche secondo.
-Perché…- mi ero chiesta con il viso affondato sulla sua spalla.
E mentre mi stringeva leggermente più forte di prima, mi ripeteva dolcemente: -Andrà tutto bene…-

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Capitolo 26 ***


-Andrà tutto bene...- mi ripeteva Jake tra un mio singhiozzo e l'altro.
Perché stava accadendo? Perché adesso? Perché a me..? Ovviamente era un pensiero bruttissimo, non volevo che quello che era successo a me potesse accadere a qualcun'altro, eppure non volevo proprio che quel bacio ci fosse stato. Non volevo che quel bacio tra me e Theo fosse successo. Perché doveva baciarmi per poi tornare da lei?
Sapevo cosa provava Elizabeth, lo sapevo benissimo e l'avevo vista addirittura piangere lacrime di dolore a causa di quel ragazzo di cui mi ero innamorata anchio e a causa di cui stavo piangendo altre lacrime. 
Ero distrutta, non avevo più voglia di far niente. Non avevo voglia di vedere nessuno, di parlare con nessuno, nulla. Ma alla fine avevo deciso di far finta di niente, di smettere di piangere. Sapevo cosa provavo, non ero confusa. Ero triste, arrabbiata, avevo solo voglia di piangere, ma non potevo farlo ancora. Dovevo tirare avanti, non aveva senso, o, semmai, non lo aveva più. 
Avevo smesso di piangere anche se sentivo il cuore in gola che mi dava la sensazione di star per saltare fuori. Jake, guardandomi, mi abbracciava e lo guardai con gli occhi lucidi e rossi.
-Andiamo in infermeria.- Aveva detto deciso dopo avermi visto, e senza farmi nemmeno rispondere mi aveva trascinato al piano terra per andare all'infermeria.
L'infermeria era una piccola stanza bella pulita con i muri color crema e le piastrelle del pavimento colorate di un grigio topo opaco. Si entrava da una porta di legno arancione che aveva sopra una targhetta di metallo con su scritto "INFERMERIA" a caratteri maiuscoli, neri, sottili. A  destra c'era una scrivania bianca attaccata al muro parallelo alla porta, alla sua destra un lettino sistemato per bene con le lenzuola sempre bianche che era attaccato per il lungo sulla stessa parete della scrivania, alla sua destra una finestra aperta che affacciava al cortile.
Non c'era nessuno, quindi avevo pensato che Miriam, l'infermiera, avesse fatto una pausa per prendersi un caffè. Una lunga pausa.
Miriam era una donna sui quarant'anni che però non li dimostrava nemmeno, forse perché era piccola di statura o perché semplicemente di rughe sul viso stranamente non ne mostrava molto. Portava sempre i capelli neri sottili e lisci in una cipolla bassa, quindi il suo piccolo e gentile viso rimaneva sempre in mostra senza nemmeno un capello fuori posto. Aveva una bocca piccola, sottile e degli occhi grandi e scuri che andavano verso il basso dando la sensazione che ti sorridessero ancor prima di vedere la sua bocca sorridere.
Era una donna molto simpatica e tutto, ma davvero molto pigra. Una piccola pausa (o nel suo caso, svariate lunghe pause), se le poteva comunque permettere dato che il tasso di mortalità e di ferite varie nella mia scuola, fortunatamente, era davvero basso.
Ero andata a sedermi sul lettino bianco con la schiena poggiata al muro vicino alla finestra, asciugandomi il viso bagnato. Il trucco mi era colato e penso che in quel momento ero davvero inguardabile: occhi rossi, naso che gocciolava e il trucco che mi colava.
A un certo punto Jake, che era con le spalle poggiate al muro vicino alla porta, si era messo a ridere.
-Sei davvero buffa col trucco che cola!- Aveva detto con un sorriso. Avevo sorriso anchio.
-E' un modo per farmi ricordare lo scherzo in piscina e tirarmi su il morale, o ti diverte davvero vedermi il trucco che cola?- Avevo chiesto con un sorriso.
-Entrambi.- Mi aveva risposto con un sorriso e alzando leggermente le spalle.
Per un momento mi ero scordata di quella foto, e il ricordo del compleanno di Jake mi era tornato in mente.
-Forse se ti fossi innamorata di me, le cose sarebbero state diverse.- Aveva detto con tono scherzoso, ma avevo preso seriamente quelle parole. 
-Forse sì...- Avevo risposto tutta seria. Sapevo di aver sbagliato ad averlo rifiutato in quel modo, ma Sophie aveva una cotta per lui, come avrei potuto?
Sapevo che se mi fossi comportata in modo diverso, le cose sarebbero state differenti, ma era sempre per lei, la mia migliore amica, che non volevo continuare tutto ciò.
-Vedi,- avevo iniziato a dirgli, -So che sai benissimo che a Sophie piaci e che perciò io non potrei provare a stare con te, ma anche se tu non le piacessi più, penso che alla fine ti userei come metodo per scordarmi di Theo... Non voglio stare con te solo per scordarmi di lui, voglio stare con te nel momento in cui so che tu non sarai nè un mezzo nè un ripiazzo. Capisci..?-
-Capito.- Aveva detto con un sorriso avvicinandosi a me, -Però sappi che a me tu ancora piaci.-
-Ma...- avevo detto.
-Sì, lo so. Ora non puoi, e lo comprendo benissimo. Quindi facciamo così.- aveva risposto tendendomi la mano, -Quando sarai pronta a iniziare qualcosa, non esitare a dirmelo. Per ora saremo solo semplici amici.-
-Davvero? Non hai nemmeno la certezza che io possa mai essere pronta...- avevo detto abbassando lo sguardo.
-Sì, ma...- aveva risposto con un leggero imbarazzo, -Per quanto possa valerne la pena, io aspetto.-
A quel punto non gli avevo stretto la mano, ma lo avevo abbracciato lentamente e lui aveva fatto lo stesso.
Tra le sue braccia avevo chiuso gli occhi che un poco mi bruciavano, e intanto pensavo a lui, un ragazzo che magari un giorno, col tempo, avrei imparato ad amare per davvero sentendomi amata a mia volta.

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Capitolo 27 ***


-Ti senti meglio?- Mi aveva domandato Jake finito l'abbraccio.
-Sì grazie, mi serviva.- gli avevo detto accennando un sorriso. Solo che in quel momento ero davvero stanca. Avevo solamente voglia di starmene lì, e sapevo benissimo che saltare le lezioni per una cavolata del genere non era molto corretto, ma volevo solo stare in tranquillità in quel momento. 
E così, molto gentilmente, Jake mi aveva lasciato lì da sola sdraiata sul lettino dell'infermeria a guardare il soffitto un poco rovinato. Non era un granchè come vista, ma almeno era diversa dal soffitto di casa mia. 
Avevo chiuso gli occhi perché li sentivo stanchi, e da lì un sacco di pensieri iniziavano a tempestarmi la testa. Sempre le stesse cose, sempre gli stessi momenti, fino a quando il sonno iniziava a sopraffarmi. E intanto tutte quelle cose a cui pensavo iniziavano a svanire, a scivolare via come l'acqua della pioggia non appena tocca un ombrello.
Alla fine mi ero lasciata trasportare dal sonno che si faceva sempre più pesante, e mi addormentai. 
Mi ero svegliata un'ora dopo tranquillamente, come se non avessi dormito nemmeno.
Miriam era seduta alla scrivania vicina ai piedi del letto che sorseggiava il suo quarto caffè tranquillamente. Molto probabilemente tutti quei bicchierini di plastica vicino a lei non erano tutti di caffè, forse erano anche di cioccolata calda o di tè al limone. Non riuscivo bene a capirlo perché gli odori si mischiavano tra loro in un modo confusionario ma allo stesso tempo piacevole. Era come stare a un bar durante le prime ore del mattino quando tutte le persone appisolate hanno bisogno di un momento di tranquillità e soprattutto di una bevanda calda.
In quel momento non so cosa fosse successo, ma di colpo tutto era svanito. Non provavo più nulla per Theo e non ne sapevo nemmeno il motivo. Non sentivo niente, mi sentivo leggera.
Mi ero alzata con calma e, dopo aver salutato Miriam che mi avevo rivolto un sorriso gentile, ero tornata in classe verso la metà della terza ora. Mi ero fermata un attimo sulla soglia della porta a guardare i miei compagni di classe e avevo notato che Theo era arrivato. Mi guardava imbarazzato, come dispiaciuto, eppure non sentivo niente.
Senza dire parola ero tornata al mio banco vicino a Charlie. Il professore non mi aveva chiesto nulla, quindi avevo intuito che Jake gli aveva già detto che mi sentivo poco bene. 
Dall'altra parte della classe Sophie era girata verso di me e mi guardava con aria dispiaciuta. Le avevo rivolto un leggero sorriso, ma quello sguardo mi diceva che c'era ancora qualcosa che non andava. Persino Charlie mi guardava con lo stesso sguardo, così, confusa, gli avevo chiesto che cosa non andasse, ma non mi aveva voluto rispondere, dunque avevo deciso di lasciar perdere.
Appena era suonata la campanella che segnava l'intervallo, avevo visto che Sophie stava venendo da me, ma era stata preceduta da Theo che, piazzandosi sul posto vuoto di Charlie che era uscito, l'aveva preceduta.
-Hey...- aveva fatto lui imbarazzato.
-Ciao.- avevo risposto.
-Tutto bene? So che sei andata in infermeria...- 
-Va tutto bene.- 
Sapevo che cercava di trovare il modo più carino per dirmi della foto, ma non sarei stata io a iniziare quel discorso. Era compito suo, era colpa sua. Silenzio. Mi guardava imbarazzato senza dire niente con quegli occhi da cucciolo bastonato. Se avessi provato qualcosa in quel momento, molto probabilmente sarei stata triste oppure mi sarebbe solo venuta voglia di prenderlo a sberle solo a vedere quella faccia dispiaciuta. 
-Senti.- Mi aveva fatto di colpo dopo un paio di secondi, -So che probabilemente hai visto la foto.-
-Già.- avevo detto impassibile.
-Senti, mi dispiace.- 
-E perché scusa? Non dovresti nemmeno.- avevo risposto mite mentre pensavo che non si sarebbe dovuto nemmeno scusare se non lo avesse fatto di principio.
Ogni volta che diceva qualcosa, ogni volta che mi guardava con quegli occhi marroni, non facevo altro che non sentire nulla. Non mi faceva nessun effetto. Nessuno.
Era come se in quel momento in infermeria la mia mente avesse deciso che non ne poteva più, che voleva finirla lì per davvero. Così è stato e ha deciso in qualche modo di arrestare tutto. Era come se tutti quei momenti felici e melensi fossero scomparsi trasformandosi solamente in un vago ricordo o in qualcosa che ormai mi dava quasi fastidio. Perché nè io nè il mio cervello ne potevamo più di tutte quelle cose dolci che venivano distrutte in un attimo.
Lo sapevo benissimo che una persona non poteva smettere di piacerti così da un momento all'altro. Sapevo che tutto non poteva svanire di colpo, soprattutto per qualcuno per cui ho versato lacrime e per cui avevo sorriso. Ma sapevo anche che, putroppo, tutto quello che provavo già iniziava a dissolversi pian piano ogni volta che il tempo andava avanti, come un graffio, una ferita che si rimuginava e che impiegava tempo per scomparire del tutto.
-Quindi... Non stai male?- aveva detto in un misto di confusione e sorpresa.
-No.- avevo detto con un lieve sorriso, e mi era venuto naturale aggiungere:-Perché dovrei rimanere male a causa di qualcuno di cui non mi importa più nulla?-
-Aspetta... Cosa?- aveva detto Theo più confuso di prima, -Pensavo ti importasse di me.-
-Anchio pensavo che a te importasse qualcosa, a dire il vero.-
-E mi importa!- aveva detto alzandosi e guardandomi quasi arrabbiato. Perché si stava scaldando così tanto? 
-Da quel che ho potuto constatare, no. Se ti importasse, non ti comporteresti così gentilmente e amorevolmente con me per poi andare da un'altra e spezzarmi il cuore completamente.-
In quel momento qualcosa era scattato. Volevo dirgli tutto, dire tutto quello che pensavo e che provavo, perché non ne potevo più di stare in silenzio. 
-Non sono un rimpiazzo momentaneo, qualcosa da trattare come ti pare e piace. Non voglio essere trattata in questo modo, perché sinceramente non me lo merito.- avevo aggiunto alzandomi in piedi con la rabbia che iniziava a circondarmi.
E intanto lo guardavo con determinazione, come per dire "E questa volta non sarò così tanto debole da lasciarmi incantare da te".
-E allora ti prometto che non lo farò più. A te ci tengo.- aveva detto rilassando il suo volto dispiaciuto nel sentire come mi sentissi a riguardo.
-Lo so.- avevo detto, -Perché con te non voglio più avere niente a che fare.-
Dopo quelle parole, senza nemmeno lasciargli il tempo di rispondere, me ne ero andata verso la porta dove avevo incontrato Jake che mi ero trascinata via uscendo. Avrei dovuto dire un sacco di altre cose a Theo, ma non avevo nè la voglia nè la forza. 
A qualche passo dall'uscita però Sophie mi aveva fermato. Aveva ancora quella faccia perplessa, triste.
-Hey... Senti, se pensi che sto male a causa di quella brutta persona, sta tranquilla!- le avevo detto con un sorriso.
-No... E' che... Non è quello...- aveva detto tenendo lo sguardo basso.
-E allora che c'è?- avevo chiesto riprendendomi in fretta dalla rabbia di qualche istante prima, -Hai preso qualche chilo? Charlie si è scordato qualcosa di importante? OOOH! Non mi dire che sei giù perché al bar ho preso l'ultima brioc...-
-Mi trasferisco.- aveva detto in modo secco e diretto.
-Cosa..?- 
-Me ne andrò in un'altra città... Mi dispiace.-

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Capitolo 28 ***


-Che vuol dire..? Perché?- avevo detto cercando ancora di elaborare quella notizia detta all'improvviso.
-Vedi...- aveva detto senza guardarmi, -Mia madre finalmente ha trovato un lavoro stabile nella città dove lavora anche mio padre, e quindi insieme avevano deciso che ci saremmo trasferiti per tornare a vivere tutti insieme...-
Dato che non davo risposta, Sophie aveva continuato:-Lo sai che da quando ero piccola, per lavoro, i miei genitori vivevano separati e non avevo quasi mai occasione di vederlo...-
Nessuna risposta. Lei mi teneva gli occhi addosso in attesa di una risposta, ma io continuavo a tenere lo sguardo basso, era come se non volessi nemmeno guardarla.
-Ti ricordi il desiderio dei soffioni, no?- mi aveva chiesto, e a quel punto avevo alzato lo sguardo e le avevo annuito, ma subito dopo ero tornata a guardare il pavimento.
-Il desiderio che esprimo sempre soffiandone uno è quello di poter tornare con mia madre a vivere con mio padre, e ora si è avverato! Non sei felice per me?-
-Perché non dovrei esserlo?- avevo risposto rivolgendole un debole sorriso che apparse anche sul suo volto, solo che il suo era più sincero.
-Da quanto tempo è stata decisa la cosa?- le avevo chiesto cercando di liberare la mia testa da tutto ciò.
Mi aveva risposto solo dopo qualche secondo quando il suo sorriso era scomparso:-Un mese circa...-
-E quando partirete?- avevo chiesto mantenendo un tono saldo.
-Appena finisce la scuola...- 
E ora lei che non voleva più guardarmi.
-Quindi fra una settimana...- avevo detto, -E dirmelo prima no?-
-Avevi già i tuoi problemi, non volevo aggiungertene altri...-
-HA!- avevo riso, -Ma dai! Tu non mi crei nessun problema! Son felicissima che tu parta, avrai la tua occasione per stare di nuovo con tuo padre, è una bella cosa!- 
Cercavo di ridere, di sembrare felice per lei, ma in realtà ero triste. Perché se ne doveva andare con così poco preavviso? Avevo voglia di tornare a piangere, di corrermene a casa per starmene sotto le coperte ancora una volta. Sentivo il cuore in gola, la faccia che mi stava per scoppiare, eppure in quel momento, ridevo.
-Sicura..?- aveva detto sorridendo imbarazzata con un misto di tristezza.
-Sicurssima al cento per cento!- avevo detto. -Dai, sta per suonare, tu torniamo in classe... Dopo di te.-
E senza dire niente era tornata in classe precedendomi.
I miei occhi stavano per cedere un'altra volta. Ero felice per lei, lo ero davvero. Sapevo che tutto ciò che desiderava era avere di nuovo una vita con suo padre. E sapevo che ero egoista, ma io non volevo che se ne andasse. Se me lo avesse detto prima forse sarei riuscita ad affrontare meglio la cosa, mi sarei focalizzata  a passare del tempo con lei senza pensare ai problemi che mi affliggevano, ma in quel momento avevo una sola settimana per stare ancora con lei e pensare a come sarebbe potuta andare era una consolazione che non sarebbe servita a niente. 
Nonostante lei fosse così importante per me, non avevo voglia di piangere, non volevo che nè lei nè Jake o nessun'altro si preoccupassero ancora una volta per me, che ero così debole da dover piangere per qualsiasi piccolezza che mi capitava.
E pensando a ciò, avevo deciso di non scappare e di tornarmene in classe prima che il professore inizi a spiegare.
-Lea, capisco che stai male e che hai bisogno di qualcuno che ti tenga d'occhio, ma tu e Jake potreste non fare la coppia di fidanzatini dopo le lezioni?- aveva detto il professore vedendoci sulla soglia della porta.
-Eh?- avevo detto confusa.
-Ehm...- aveva detto Jake imbarazzato facendomi notare che gli stavo stringendo la mano.
Gliel'avevo presa quasi per istinto nel momento in cui mi ero calmata decidendo di tornare in classe.
Imbarazzata gliel'avevo lasciata subito ed ero tornata a sedermi senza aggiungere altro.
Cos'è che non va in me?! Avevo pensato coprendomi la faccia con le mani.
Capisco la sua gentilezza e tutto, il che è davvero tanto carino, ma sono appena uscita da una sorta di relazione! Okay, relazione non era affatto, ma... UFFA. 
E così, pensando a che cosa stesse succedendo nella mia testa, la poggiai tra le braccia sul banco. Stavano succedendo fin troppe cose nella mia testa e non riuscivo nemmeno a capire come. Un momento prima ero triste per Sophie, un attimo dopo penso a Jake e a quanto sia strana tutta questa situazione. 
-AAAAH!!!- avevo detto sottovoce per lamentarmi.
Al cambio dell'ora, in quei pochi minuti in cui la professoressa doveva arrivare, ero andata da Sophie abbracciandola forte.
-Devo essere sincera con te, ci sto male. Sono triste, non voglio che te ne vada, sei la mia migliore amica e infondo non avrei dovuto nemmeno nasconderti come mi sentissi a riguardo...- le avevo detto, -Ma, davvero, son felice per te.-
A quel punto mi aveva abbracciata forte anche lei.
-Poi avremo anche altre occasioni per vederci!- le avevo detto.
Sapevo che le nostre vite si sarebbe separate, prima o dopo non avrebbe fatto differenza, eppure quella non era una vera e propria fine. 
E anche se l'una poteva contare sull'altra, era come un nuovo inizio per entrambe, solo che questa volta tutte e due lo affronteremo da sole

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Capitolo 29 ***


Giovedì. Cinque giorni erano passati tranquilli, senza sorprese, senza nulla, solo noia e noiosissima noia. Dato che ormai ero a conoscenza della partenza di Sophie, avevamo passato quasi ogni pomeriggio assieme. Dico "quasi" perché uno di questi cinque pomeriggi lo avevo passato assieme a mio padre. 
Mancavano all'incirca due giorni alla fine della scuola e alla partenza di Sophie.
E a riguardo Charlie lo sapeva molto prima di me, ma non me ne aveva voluto parlare perché riteneva inopportuno farmelo sapere da qualcun'altro all'infuori di lei. 
Nonostante all'inizio fosse davvero distrutto dal sapere che Sophie se ne andava, in quel periodo, proprio verso la fine, non stava poi così male. 
La cosa che in un certo senso mi rallegra è che non era così triste per la sua partenza vedendola come se fosse la ragazza che ha amato davvero tanto ad andarsene, ma vedendola come se fosse un'amica ad andarsene, un'amica di infanzia con cui, oltre a me, ha condiviso davvero tutto. E non tutto, direi una buona parte di questo tutto.
Io ero ancora frastornata da ciò, era come se in un certo senso non se ne dovesse nemmeno andare. Era come se la mia testa in un certo senso ancora non poteva accettarlo. Nonostante ciò volevo passare ogni singolo giorno con lei fino alla sua partenza, e così anche quel Giovedì.
Eppure i miei piani di quel pomeriggio erano stati scombussolati appieno.
Era la terza ora, solo mezz'ora e sarei andata da Sophie per organizzarci meglio per quel pomeriggio. Non avevo nessun programma speciale, solo una pizza a casa per pranzo e un pomeriggio tranquillo per fare cose a caso come di solito facevamo. Avrei davvero voluto fare qualcosa di più, come dire, intrattenitivo, ma in quattro giorni avevo già esaurito i piani. 
Primo pomeriggio: Luna Park
Secondo pomeriggio: Cinema 
Terzo pomeriggio: Bowling
Quarto pomeriggio: In giro per i negozi
Dato che non eravamo persone così ricche, i nostri portafogli si erano già quasi svuotati a causa di tutte quelle uscite. Così una pizza a casa era più plausibile per non finire al verde istantaneamente. Abbiamo provato a chiedere ai nostri genitori altri soldi, ma ovviamente ci avevano risposto con la stessa cosa:-Hai speso un sacco questa settimana, non ti darò altri soldi per un bel po' di tempo-.
Stavo pensando a che cosa avremmo potuto fare a casa, quando qualcuno aveva interrotto i miei pensieri passandomi un post-it arancione.
"Ti va di andare a vedere un film questa sera?"
Alzato lo sguardo avevo visto che davanti a me Jake mi guardava con la coda dell'occhio.
Alzai gli occhi al cielo.
"Scordatelo" avevo risposto sul foglietto.
Letta la risposta l'avevo sentito sbuffare sconfitto e accartocciare il pezzo di carta. La cosa mi faceva abbastanza ridere.
Nemmeno un attimo per ritornare ai miei pensieri che un altro post-it mi passa davanti. Questa volta è rosa.
"Perché non ti va? Pensavo di starti simpatico :("
"Se me lo chiedi su un post-it del mio colore preferito, non è che cambio idea."
E dopo questa lo sento sbuffare una seconda volta. Lo osservo per qualche minuto in modo da non tornare a pensare per essere subito interrotta.
Trenta minuti erano passatti abbastanza veloncemente, io ero nei miei pensieri e Charlie se ne stava al telefono a messaggiare con chissà chi. Al suono della campanella, prima che qualcuno avesse potuto interrompermi, mi ero fiondata al banco di Sophie.
-Dunque, che vuoi fare oggi?- le avevo chiesto tutta contenta.
-Ecco... Riguardo a questo...- aveva detto lei un po' imbarazzata, -Charlie mi aveva chiesto di uscire con lui questo pomeriggio e gli ho detto di sì, quindi oggi non ci vediamo.-
-Cosa? Uffa, ma perché?- avevo detto lamentosa.
-Inanzitutto, come tu vuoi uscire con me, anche lui vuole. E...- mi aveva sorriso come se ci fosse sotto qualcosa, -Ho saputo che qualcuno ti ha chiesto di uscire, e so che gli hai detto di no perché volevi uscire con me.-
-Ma com'è che fai a saperlo se...- e in quel momento avevo realizzato qualcosa, -Charlie? Te l'ha detto via messaggio, vero?-
-Già.- aveva detto con un sorriso, -E quindi mi ha chiesto di uscire così mi tenevo impegnata e tu potevi avere il tuo appuntamento con il tuo futuro ragazzo.-
-Futuro che?! AHAHA TE LO SCORDI.- avevo detto, -Quel disgraziato... Dopo lo colpisco per bene.-
Ci eravamo guardate negli occhi per qualche secondo e poi eravamo scoppiate a ridere.
-Però anche tu, disgraziata, potevi non rivelarmi il suo piano malvagio!- le avevo detto dandole un colpetto sul braccio.
-Diciamo che non voglio nasconderti più niente.- aveva detto con un sorriso.
-Mascalzona.-
Mi sarebbe mancata davvero.
Ad ogni modo, prima della fine della ricreazione, ero andata da Jake sedendomi sulla sedia vuota che aveva vicino.
-Allora, all'inizio non volevo uscire perché avevo altri programmi, ma un disgraziato li ha rovinati. Quindi, devo essere onesta: Uscirei con te, ma non ho nemmeno un centesimo per andare al cinema.- gli avevo detto.
-E chi ha mai detto che avresti pagato la tua parte?- aveva detto con un sorriso.
-E chi ha mai detto che avresti fatto il gentleman offrendomi il biglietto del cinema?- avevo replicato.
-Ottimo punto.- aveva risposto, -Da te alle otto?-
-Non sai nemmeno dove abito, idiota.-
-Giusto.- aveva risposto imbarazzato, - Allora al cinema alle otto.-
-Okay, al cinema alle otto.-
Caso vuole che fare ritardo è una mia specialità e quindi ero arrivata al cinema alle 8:15.
Però non era colpa mia, è stato il gatto che all'ultimo mi era salito sulla gonna nera e l'autobus che quando faccio ritardo è sempre in anticipo.
-Non solo alla mia festa di compleanno, ma anche al nostro appuntamento?- mi aveva detto ridendo mentre mi veniva incontro. Fortunatamente aveva già preso i biglietti, sfortunatamente era un film horror. Li detesto, mi terrorizzano a morte.
-Dato che come nell'inizio della mia festa di compleanno sei in ritardo , non è che finirà allo stesso modo?- aveva detto con un altro sorriso.
-Idiota, vedi qualche piscina da queste...- e il mio sorriso giocoso era svanito di colpo riflettendo sul fatto che la sua festa di compleanno non era finita solamente con una doccia non programmata, ma con un bacio.
Che mi avesse voluto baciare davvero o che lo avesse detto per scherzo e anche lui se lo era dimenticato?

- Spazio autrice -
Dunque, salve di nuovo. Non è che faccia spesso questi "Spazi autrice" ma dopo due mesi da quando avevo postato l'ultimo capitolo, e dopo due mesi da quando mi ero ripromessa di non prolungarmi di nuovo senza aggiornare, fallendo già da subito, ci tenevo a scusarmi e a ringraziare tutti quelli che ancora seguono la storia nonostante io sia una persona davvero pigra, è solo che dopo il capitolo precedente mi serviva del tempo per pensare a un continuo che avrebbe avuto abbastanza senso e che almeno non sembrasse forzato.
Quindi, mi dispiace e vi ringrazio con tutto il cuore.

L.

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** Capitolo 30 ***


Di principio sarei andata in ansia e non sarei riuscita a godermi nemmeno un singolo istante della serata, ma quella volta era diverso. Alla fine non mi importava più di tanto se mi avesse baciato o meno, per quanto ne pensavo io, quello che aveva detto era probabilmente per scherzare ( e ciò mi tranquillizzava ).
Il film horror mi aveva fatto cagare sotto come previsto e mai nella mia vita ho desiderato così tanto picchiare qualcuno che se la rideva a ogni mio sobbalzo.
Era proprio insopportabile. Se la rideva sotto i baffi mentre io rischiavo di perdere l'anima ogni volta che c'era un colpo di scena.
Che poi alla fine i film dell'orrore sono quasi sempre prevedibili, ma mi prendono sempre in fatto di colpi al cuore.
Alla fine le preoccupazioni a fine serata erano dovute più al film horror che al pensiero di un bacio, perché penso che un pagliaccio che mi insegue per strada con una motosega, sia molto più brutale e spaventoso rispetto a un bacio da un ragazzo carino.
Per tornare a casa avevo costretto Jake a riaccompagnarmi, dato che di autobus la sera non ne passavano, la strada da fare era tanta e guai a lui se mi lasciava la notte da sola perché potevo morire di spavento anche solo se passava un gattino per la strada.
Mentre camminavamo mi era venuto da pensare a quanto Jake fosse cambiato in questo periodo. All'inizio lo vedevo come uno di quei ragazzi che facevano gli spacconi senza un briciolo di carattere e che non ci pensavano due volte a deridere gli altri per sentirsi più forti.
Bè, infondo come avrei fatto a non pensarlo dal momento in cui aveva letto ai quattro venti il mio diario segreto senza alcuna esitazione?
E poi di colpo è cambiato... Penso sia tutto a causa del nostro casuale incontro alla sua festa di compleanno quando avevo pensato che fosse ubriaco.
Dopodichè il bacio in piscina, l'incontro al capannone al parco, e tutte quelle altre cose dove il suo atteggiamento era tutt'altro che da ragazzo spaccone.
E non lo so, ma in quel momento, mentre camminavamo mi turbava un po' il pensiero che magari si comportava in quel modo con me solamente a causa del bacio.
Mi turbava il fatto che magari se non fosse stato per quello il nostro rapporto non sarebbe stato nemmeno quello di un'amicizia.
-A che stai pensando?- mi aveva chiesto dopo un po' Jake.
-Ah...Ehm, nulla di importante...- avevo risposto cercando di mascherare quella malinconia con un sorriso.
-Sei sicura?- mi aveva domandato, -Sembrava che pensassi a qualcosa di triste...-
Per un attimo ero rimasta a guardarlo. Era meglio dirgli ciò che pensavo a riguardo, oppure era meglio lasciare le cose così come stavano?
Ma chi prendo il giro?
-Il fatto è che...- avevo iniziato fermandomi. Mancava solo qualche metro da casa mia.
-Pensavo al fatto che prima della festa del tuo compleanno il tuo atteggiamento nei miei confronti non era così... dolce...- avevo detto con un poco di esitazione.
Un sorriso gli era apparso sul viso.
-Ti ricordo che una volta quando stavi per andare al bagno per piangere, ti avevo fermato perché ero preoccupato per te. E quello era prima della festa.- mi aveva ricordato.
-Sì... ma poi avevi letto il mio diario e...-
-Era il tuo?- aveva detto sorpreso.
-A quanto pare non lo sapevi...- mi ero detta tra me e me, -Però il tuo comportamento era quello, non eri giustificato.-
-Bè in quel caso non lo sono, mi dispiace...- aveva detto mettendosi le mani in tascha, -E' solo che quel giorno era una brutta giornata per me...-
-E quindi dovevi renderla brutta anche per altri? Che fosse mio o meno, quel diario era comunque una cosa personale...-
Bene, e ora stiamo discutendo. Anche se in effetti, il fatto che lo abbia letto ad alta voce non ha portato conseguenze così brutte. Grazie a quello Theo aveva capito che cosa provavo per lui.
-Senti, ti ho già detto che mi dispiace.-
Silenzio.
-Scusami...- avevo detto, -Ho tirato fuori questo discorso inutile e abbiamo finito per discutere...-
Nessuna parola.
-E' solo che mi rendeva abbastanza triste il fatto che forse, se non fosse stato per quella festa di compleanno, non saremmo stati nemmeno amici...- avevo aggiunto abbassando lo sguardo.
A quel punto mi aveva avvolto in un caldo abbraccio.
-Anche se non fosse stato per la festa, in qualche modo ci saremmo avvicinati. E poi alla fine il nostro rapporto di adesso c'è, perché pensare a qualcosa che non è accaduto?- mi aveva detto con voce calma.
Poi un suo grande respiro.
-E a dirti la verità, di te mi importava ancor prima che te ne accorgessi...-
Non sapevo cosa dire. Era un modo per dire che gli piacevo oppure che voleva da sempre diventare mio amico o qualcosa del genere?
Un altro respiro pronfondo.
-Non so se lo hai già capito, ma... tu mi piaci...- aveva aggiunto.
Pian piano mi ero staccata da lui, il cuore mi batteva così forte che avevo paura che anche lui lo sentisse.
Da bocca mi era uscito un semplice:-Ah... Grazie.-
"Ah Grazie" "AH GRAZIE" Davvero Lea!? E' questo il meglio che ti è venuto in mente?!
Senza aggiungere niente, mi ero girata ed ero tornata a camminare verso casa.
-Da qui posso anche continuare da sola, grazie per la serata.- avevo detto fermandomi senza girarmi.
Nessuna risposta da parte sua.
In silenzio continuai a camminare verso casa in una sorta di trance. Era come se quella conversazione fosse stata solo un sogno.
Tornata a casa mi ero buttata sul letto senza nemmno salutare i miei genitori che si erano addormentati sul divano mentre guardavano il film della serata sul loro canale preferito.
Guardai velocemente il telefono. Dieci messaggi tra cui sette di loro dal gruppo di classe dal solito compagno che è come se per lui segnare i compiti fosse una cosa mortale.
Tre messaggi da Sophie: due foto di lei con Charlie e un messaggio che diceva "Come è andata la serata"​.
Non le ho risposto. Nessun messaggio da Jake, ma in fondo che mi aspettavo?
Mi ero coperta la faccia col cuscino e mi ripetevo di essere un stupida, perché effettivamente lo ero per non aver risposto discendogli che cosa provavo io.
Ma togliendomi il cuscino dalla faccia e abbracciandolo il più forte possibile a me, avevo capito che in fondo nemmeno io sapevo che cosa provavo precisamente per Jake. Magari era solo un'infatuazione, una cotta momentanea. E se così fosse stato, non mi sembrava giusto dirgli che mi piaceva se fosse stato qualcosa che sarebbe svanito dopo un breve periodo di tempo. Mi sentivo una stupida a non capire quali fossero realmente i miei sentimenti, ma soprattutto mi sentivo il cuore esplodere.
Chissà a che cosa stava pensando Jake.

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** Capitolo 31 ***


Chissà a che cosa stava pensando Jake in quel momento.
Una marea di risposte mi balenavano in testa, ma al tempo stesso non sapevo, non riuscivo a trovarne una certa.
Sebbene la voglia di prendere il telefono e chiamarlo mi sopraffaceva in un modo assurdo, avevo deciso di non farlo. Non lo trovavo giusto.
Non mi sembrava corretto risolvere una questione come questa stando dietro a uno schermo. Era una cosa importante, sopratutto per lui che me l'ha detto di persona prendendo tutto il coraggio possibile che aveva.
Volevo risolvere quella situazione il prima possibile, ma come avrei potuto? 
Sarei dovuta andare lì e dirgli che mi dispiaceva e che anche a me infondo piaceva, o porgergli semplicemente le mie scuse?
Entrambe le opzioni erano valide, ma anche da scartare, perché il metodo migliore per risolvere tutto era quello di dirgli che cosa provavo realmente.
Il problema però stava sul fatto che io non lo sapevo nemmeno, e tutto ciò mi faceva arrabbiare.
Immersa nei miei pensieri, mi ero addormentata.
Venerdì, penultimo giorno di scuola, penultimo giorno con Sophie e io lo passavo a rimuginare riguardo la serata precedente.
Sapevo benissimo che se la cosa non si risolveva subito, sarei rimasta coi sensi di colpa per tutta l'estate, se non per tutti gli anni seguenti che ancora avevo al liceo (dato che probabilmente Jake lo avrei avuto ancora in classe).
Avevo passato le prime tre ore a fissare la sua nuca davanti a me come se quella potesse darmi una risposta. Lui non si era girato nemmeno un singola volta, eppure io sapevo che si sentiva osservato.
Al suono della campanella dell'intervallo, si era alzato immediatamente e come se cercasse di non sembrare uno che se ne va fuori di fretta, era uscito dalla classe.
So che forse era solo una mia impressione, eppure non riuscivo a non pensare che volesse evitarmi.
-Sophiee..! Che faccio!?- le avevo chiesto afflosciandomi su di lei come se fossi in punto di morte.
Quella mattina prima di entrare a scuola le avevo raccontato cosa era successo la sera prima con Jake ed era sul punto di rispondermi, ma la campanella era suonata.
Quindi in quel momento si era limitata a darmi un ceffone per quanto fossi stata stupida e dicendomi che ne avremmo riparlato durante la ricreazione. Infondo quel ceffone me lo meritavo.
-Digli cosa provi, semplice no?- mi aveva detto mentre addentava un biscotto.
-"SEMPLICE NO?"- avevo ripetuto facendole il verso, -E' tutt'altro che semplice se non sai nemmeno cosa provi...-
-E allora va da lui e diglielo, digli che sei confusa, che non lo sai cosa provi.- aveva detto finendo il biscotto.
-Mh...-
-Bè, è anche una scelta abbastanza azzardata, perché magari lo faresti aspettare inutilmente, ma tu provaci lo stesso.-
-Ti ringrazio.- avevo detto in modo sarcastico, -Ora sono più indecisa sul dafarsi.-
Sophie aveva alzato gli occhi al cielo, e dopo un grande sospiro le avevo detto in un abbraccio:-Scherzi a parte, ti ringrazio davvero.-
-Però, se devo dirti la verità, secondo me ti piace seriamente. Voglio dire, se non fosse stato per me, non ti saresti rifiutata in passato, o mi sbaglio?-
Mi ero limitata a sorriderle, non sapevo cosa rispondere.
Mancavano ancora un paio di minuti alla fine dell'intervallo, così avevo deciso di andare a farmi un giro in bagno. Non si mai che trovi la risposta alla toilette.
O almeno, l'intenzione era quella di uscire dall'aula, ma avevo deciso di fermarmi accostandomi alla porta non appena avevo visto Jake a qualche metro di distanza assieme a una ragazza. Non sapevo chi fosse, ma sembrava più grande di me.
So che spiare la gente è un male, ma non riuscivo a farne a meno in quel momento.
Vederlo fare il galante insieme a un'altra ragazza mi disturbava parecchio. Non so, ma quando le spostava una ciocca dal viso, quando le accarezzava la guancia, persino quando le sorrideva, mi faceva uno strano effetto.
A un certo punto il suo sguardo si incontra con il mio e improvvisamente era come se il tempo si fosse fermato. 
Prima di ritornare in classe, gli avevo accennato un sorriso. 
Forza Lea! Che ti prende? Infondo ieri sera è come se lo avessi in qualche modo rifiutato, perciò ha il diritto di andare da altre, no? Poi magari è solo una cosa passeggera, una dormita ed è tutto apposto! pensavo mentre mi dirigevo al mio posto.
Più che pensiero era una sorta di autoconvinzione nonostante sapessi che non sarebbe servito a niente.
Sì, ma pur avendolo rifiutato, è SUBITO andato da altre senza farsi scrupoli dopo che mi ha detto che gli piacevo! Mi ero detta afflosciandomi al banco.
-Voi ragazzi siete incomprensibili.- avevo detto a Charlie girandomi verso di lui ma rimanendo sempre sdraiata sul banco.
-Aaah!- aveva sbuffato, -Se mai siete voi ragazze che siete complicate!-
-Concordo...-
-Ehy, ma che ti prende stai bene?- aveva detto mettendomi una mano sulla fronte, -Di solito avresti ribattuto con qualcosa o mi avresti dato un ceffone.-
-Perché? Ne vuoi uno?- avevo detto con occhi di sfida.
-Oh, no no no.- aveva detto togliendomi la mano dalla fronte.
-Però su, che è successo? Lo sai che a me le cose le puoi dire, infondo mi hai aiutato anche tu nel momento del bisogno.- aveva aggiunto subito dopo.
-E' che Jake mi aveva detto che gli piacevo. E io non lo so, ma il cuore mi scoppiava e non sapevo che risondere, quindi gli ho detto un semplice "Ah grazie" e me ne sono andata. Vorrei risolvere la cosa, ma non so nemmeno cosa provo, e prima l'ho visto con una ragazza e mi ha fatto uno strano effetto e non so che fareee!- avevo risposto tutto d'un fiato dopo esserme messa composta per poi tornare al mio stato di afflosciamento sul banco.
-"Ah grazie"...- aveva ripetuto cercando di non ridere.
-Ehi! Non ridere.- gli avevo detto colpendolo col minimo delle mie forze.
-Senti, non lo so che fare. Mi ha detto che gli piacevo e subito dopo se ne è andato da un'altra.- avevo aggiunto.
-Però è come se lo avessi rifiutato e ti ricordo che anche prima lo avevi già rifiutato chiaramente, quindi ne avrebbe anche il diritto.- aveva detto ridendo e riferendosi anche lui a quando avevo rifiutato Jake in quel periodo in cui piaceva a Sophie. 
-Ma SUBITO.- 
-E quindi? Preferisci che se ne stia triste e depresso per un rifiuto per giorni e giorni?-
-No...-
-Bene, quindi non comportarti così, Lea, non è da te. Magari si comporta così per dimenticare l'imbarazzo di ieri sera. Secondo me se tiene a te aspetta, cosa che già precedentemente ha fatto.-
-Grazie...- avevo detto con un leggero sorriso.
-Però devi cercare di capire bene i tuoi sentimenti, non lasciare che passi troppo tempo, perché se alla fine decide di non aspettarti più la colpa non sarà sua.- 
-Sono consapevole di averlo rifiutato già una volta e che da quel momento mi aveva aspettato senza dire niente, eppure adesso sembrava tutto diverso, prima non mi importava così tanto...- 
Parlare con Charlie mi era stato utile per capire meglio che fare, ma le mie idee ancora non erano chiare al cento per cento.
-Scusa se te lo dico, ma secondo me ti sei presa un'altra cotta pazzaesca.- aveva aggiunto dopo un po'.
Prima Sophie, e ora anche lui.
-Questo lo so anchio!- avevo risposto sbuffando, -Ma se fosse una semplice infatuazione? Una cotta passeggera?-

-E' così strano vederti indecisa.- aveva detto come risposta. Avevo fatto una faccia confusa come per dire "Perché pensi questo?".
-Voglio dire, di solito sei sempre decisa sul da farsi, se vuoi dire una cosa, la dici e se la vuoi fare, la fai. Il fatto di esitare è una cosa normale, ma tu, se lo fai, non ci impieghi così tanto. Ci pensi un po', magari qualche minuto, e poi parti all'attacco anche se precisamente non sai cosa fare. Non so se mi spiego.-
Ripensando a tutto quello che è successo negli ultimi mesi, le mie idee non sono mai state chiare eppure mi ero sempre buttata a capofitto senza pensarci due volte.
Forse la soluzione ai miei problemi era proprio quella.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** Capitolo 32 ***


La soluzione era fare ciò che avevo sempre fatto: Buttarmi a capofitto e fare ciò che il mio cuore si sentiva di fare.
Sapevo benissimo che con questo metodo, le cose non erano sempre andate per il meglio. Con Theo era finita in quel modo: con lacrime, risate, e infine, noi che non avevamo più il coraggio di rivolgerci la parola, o per lo meno, era lui che, dopo un rifiuto ritenuto "brusco", non voleva più rivolgermene.
Ma infondo se non c'era altra soluzione, non c'era motivo per tirarsi indietro.
Prima di potermene pentire, avevo scritto un biglietto e lo avevo nascosto nell'astuccio di Jake prima che rientrasse in classe dopo la fine della ricreazione.
Dopo pranzo al capannone di Fred, il giardiniere del parco. Ho bisogno di parlarti.
Ad esserne onesti, ancora non sapevo cosa volevo dire a Jake, sapevo solo che avevamo bisogno di parlare.
Io ne avevo bisogno.
Pur pensando di riuscire a trovare qualcosa di sensato da dirgli nelle tre ore che ancora mi rimanevano, nulla mi veniva in mente. E se qualche idea riusciva a venirmi in mente, era senza alcun nesso logico.
Non riuscivo a mettere insieme le parole in modo che ne uscisse qualcosa di sensato. Così avevo deciso di non pensarci più.
​Appena era rientrato in classe, avevo cercato di fare finta di niente, come se non avessi nè visto niente nè fatto nulla.
Nel momento in cui si era seduto al suo posto di fronte a me, inconsciamente mi ero messa a guardarlo.
Aveva aperto l'astuccio e vedevo il suo braccio muoversi e afferrare il biglietto che gli avevo scritto.
Era rimasto immobile per qualche secondo, e poi, senza dire niente e senza girarsi, aveva stropicciato il foglietto mettendolo in tasca.

Le tre ore erano passate velocemente, e il cuore aveva finito per accellerare il battito più del dovuto. 
Suonata la campanella che ci congedava dalle lezioni, l'idea di tornare a casa e aspettare il momento di uscire, mi dava solo più ansia, e quindi, senza nemmeno fermarmi per pranzare, avevo preso il mio zaino e mi ero avviata direttamente al capannone senza pensarci due volte. 
La strada non era molto lunga, infondo il parco, oltre a essere vicino a casa mia, era anche vicino a scuola, e camminare non mi dispiaceva così tanto dato che mi sarebbe anche servito per scaricare l'ansia.
Mentre camminavo, avevo cercato di non pensare a niente.
Arrivata al capannone, avevo preso le chiavi ed ero entrata chiudendomi dietro la porta dopo averle lasciate sotto il solito tappeto.
Non mi ero chiusa a chiave, questa volta non sarebbe servito. Dopodichè mi ero seduta sul materasso con la schiena poggiata al muro stringendo le gambe al petto e aspettando il suo arrivo.
Non sapevo ancora che cosa dire, non ci volevo pensare. Preparare le parole non era il mio stile.
Nell'attesa mi ero accorta che il mio telefono aveva il 2% di batteria, così avevo deciso di mandare un messaggio a mia madre in modo che non si preoccupasse o andasse di matto, dicendole che avrei mangiato fuori, che sarei stata a fare un giro e che quindi non c'era bisogno che mi aspettasse a casa.
Mi aveva risposto con un semplice 'Okay.'. Dopodichè, il mio telefono si era spento, morto e stremato a causa mia che non lo avevo messo in carica la notte prima, ma che lo avevo usato ugualmente.
I minuti passavano, e io non sapevo nemmeno che ore potevano essere. L'unica cosa certa era che il mio stomaco brontolava, ma non avevo intenzione di lasciare il capannone, Jake sarebbe potuto arrivare da un momento all'altro.
Non avevo nulla da fare, non potevo ascoltare la musica, e ovviamente non sarebbe stato il caso di iniziare i compiti, anche perché, essendo il penultimo giorno di scuola, non ne avevano assegnati per il giorno dopo, e per quelli estivi ancora c'era tempo.
Così alla fine avevo deciso di stendermi sul materasso e guardare il vecchio soffitto di legno.

Altri minuti passarono, o presuppongo fossero ore. Non so nemmeno quanto stavo aspettando.
Dalla finestrella della capanna riuscivo a vedere il cielo farsi arancione con quelle sue solite sfumature gialle. Il sole stava ormai tramontando, era sicuramente ora di cena, ma non volevo andarmene. 
Arriverà. Avevo pensato.
Ma appena il cielo si era fatto scuro e le prime stelle erano apparse, avevo capito che aveva davvero deciso di non venire.

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** Capitolo 33 ***


Era ormai buio, e molto probabilmente l'ora di cena era già passata, me lo diceva il mio stomaco che continuava a brontolare perché non toccava cibo da quella mattina.
Però poco mi importava in quel momento. L'unica cosa che volevo fare era stare lì, sdraiata su quel materasso a guardare le stelle della sera dalla alta finestrella di quella capanna, nonostante la fame, la noia, e il pensiero che quello che stavo facendo era totalmente inutile.
Ma alla fine rimanere sola in quel piccolo posto, era quello che mi meritavo. Non avevo versato nemmeno una lacrima, non lo ritenevo più necessario, ma la tristezza non aveva esitato a fare spazio nei miei pensieri. Dopotutto era colpa mia. Avevo l'occasione di avere qualcuno che mi amava davvero, senza mezzi termini e senza tradimenti, qualcuno che mi aveva voluto aspettare sebbene inizialmente provavo qualcosa per il suo migliore amico e rifiutandolo dopo avergli fatto credere che magari qualcosa sarebbe potuto esserci. A pensarci, sembra tutto un miscuglio così confuso.
E devo dire di essermi comportata da vera incoerente. Detestavo Theo per avermi fatto credere qualcosa dopo il bacio a casa mia il giorno in cui ci eravamo incontrati per il progetto. Sotto sotto lo odiavo perché mi aveva illusa e perché mi aveva fatto provare qualcosa. 
Eppure, odiando questo suo atteggiamento, mi ero comportata in egual modo con Jake.
Mi ero comportata davvero male nei confronti suoi e dei suoi sentimenti, e aveva un sacco di occasioni per odiarmi.
Poteva odiarmi per avergli fatto provare sentimenti che magari non avrebbe voluto, con un bacio. E anche se gli piacevo prima, forse quello che era successo alla sua festa di compleanno era ciò che aveva innescato tutto. Non lo so.
Poteva odiarmi quando lo avevo rifiutato la prima volta, e la seconda dopo avergli fatto nuovamente credere qualcosa. 
Anche se aveva dei buoni motivi per odiarmi, non lo aveva mai fatto perché non voleva odiarmi. Ma in quel momento io lo avevo perso rovinando tutto. 
Sdraiata su quel materasso, non pensavo ad altro. Non mi interessava se mia madre si infuriava con me per non essere rientrata, anche se molto probabilmente avrebbe presupposto che ero da Sophie a dormire e mi ero dimenticata di avvisare. Non mi interessava della fame e non mi interessava se il giorno dopo ci sarebbe stata scuola, era l' ultimo giorno, non aveva importanza.
L'unica cosa a cui pensavo era Jake e a quanto ero stata stupida.
Gli occhi erano stanchi, e le palpebre mi stavano calando, così avevo deciso di chiudere gli occhi. Mal che vada mi sarei fatta una dormita lì e sarei passata a casa prima di andare a scuola dato che mi svegliavo sempre presto senza l'aiuto di nessuna sveglia.
Ma in quel momento qualcuno aveva aperto la porta quasi come se la volesse buttare giù, e poi un tonfo sul letto che mi aveva fatto riaprire gli occhi.
-Cretina!- mi aveva urlato afferrandmi con entrambe le mani le spalle, -Sei pazza per caso?!-
-Jake...- avevo detto quasi in un sussurro. Mi ero ripromessa di non piangere e per tutto il tempo in cui avevo aspettato neanche una lacrima mi aveva solcato il viso, ma in quel momento mi erano uscite come qualcosa di automatico.
-Sei una cretina...- aveva detto con una voce più calma dopo un sospiro.
Non sapevo cosa dire, mi veniva solo da piangere.
-Dai, smettila di piangere, non fare la bambina...- aveva detto sciogliendo la stretta alle spalle e distogliendo lo sguardo da me.
-Non ci posso fare nulla, va bene?- avevo detto singhiozzando e cercando di asciugare le lacrime col dorso della mano.
Per un po' eravamo stati seduti a distanza col silenzio che ci circondava. Nessuno diceva niente e nessuno si guardava. 
Dopo essermi calmata gli avevo chiesto come mai era lì. Era l'unica cosa che mi veniva da chiedere, pensavo non sarebbe più venuto.
-Mi aveva chiamato Sophie preoccupata.- aveva iniziato, -Mi aveva chiesto se ti avevo visto da qualche parte dato tua madre l'aveva chiamata allarmata perché era già tardi e non eri ancora rientrata. Pensava fossi da Sophie e ti fossi dimenticata di avvisare come al tuo solito. Ti ha dovuto coprire, dicendole che era così, ma poi mi ha chiamato e dato che so quanto sei cretina, sono venuto qui.-
-Non so, ma una parte di me non voleva che tu ci fossi davvero...- aveva detto dopo una risata.
-E perché..?- gli avevo chiesto.
-Perché se tu non fossi stata qui, significava che non mi avresti aspettato davvero e che quindi magari non ti importava a tal punto.-
-E' per questo che non sei venuto?-
-Però in un certo senso, una parte di me desiderava trovarti qui...- 
-E ad essere sincero,- aveva aggiunto, -Non volevo venire perché avevo paura di venir rifiutato una terza volta.-
Mi era venuta naturale una risata. Che cosa davvero... divertente? Ancora non saprei descriverla con esattezza. Quella situazione, quella sua frase... Era tutto così buffo, malinconico e soprattutto così confuso che il pensiero mi faceva quasi sorridere, non so il perché.
In quell'istante avrei potuto fargli una delle mie solite ramanzine, come ad esempio "I problemi vanno affrontati ugualmente!", "Non è così che ci si comporta!" e cose di questo genere.
Ma mi ero limitata ad avvicinarmi a lui prendendogli il viso fra le mani e sorridendogli in modo sincero.
-E se il mio non sarebbe stato un rifiuto?-
Uno sguardo stupito mi guardava, quasi come se non ci credeva nemmeno che l'avevo detto.
-Aspetta, tu...?- aveva provato a chiedermi, ma lo avevo interrotto con un bacio che subito dopo aveva ricambiato.
-Sì.- gli avevo risposto, -Ti amo.-
E subito il suo viso si era arrossato. Mi guardava ancora come se quello per lui fosse un sogno, qualcosa di troppo bello per essere reale.
E in quel momento ancora non lo sapevo, ma Jake sarebbe stato davvero uno di quegli amori troppo belli per essere dimenticati ( o forse l'unico da lì al futuro, chi lo sa).
Per quanto riguarda Sophie, suo padre, nel giro di un'estate, era riuscito a trovare un lavoro migliore in una città vicino alla nostra. Non frequentavamo più la stessa scuola, ma grazie alla vicinanza, riuscivamo a vederci spesso senza troppe ore di viaggio.
Charlie si era dichiarato a lei dopo anni l'ultimo giorno di scuola, e son contenta di dire, che non avevo mai visto una coppia più felice di loro.

Ripensando a tutto, ma proprio tutto quello che era accaduto, un po' mi viene da ridere, ma la malinconia resta sempre sebbene in piccola quantità.
E' stato tutto davvero un grande casino e un gigantesco miscuglio di sentimenti che in parte è finita male ma anche bene. Trovo che tutti questi problemi mi siano comunque serviti a capire un po' meglio che cosa volevo. Nonostante gli altri ostacoli da superare, e anche se è abbastanza banale, si può dire che tutti hanno avuto una sorta di lieto fine.
Chissà che cosa ci riserverà ancora il futuro.



Angolo Autrice^^
Dunque, siamo arrivati alla fine di questa storia che si è prolungata davvero tanto a causa della mia pigrizia nell'aggiornare (e vi giuro che non smettero mai, ma proprio MAI di scusarmi riguardo ciò). Vorrei scusarmi anche per gli errori che ci son stati, son desolata, davvero.
Ad ogni modo vorrei ringraziare voi, miei lettori, che han seguito questo mio racconto dall'inizio alla fine e che hanno portato molta pazienza con me.
Davvero, non smetterò di ringraziarvi, anche perché uno scrittore non è niente senza i suoi lettori.
E nulla, ancora scusa e grazie,
L.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2682584