La Fanciulla ed il Serpente

di Gio_Snower
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo : Quel Giorno ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1: Le vie del Serpente ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2: Un Vicolo Oscuro ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3: Uno Sguardo ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4: Memorie ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5:Il Capo Della Polizia Del Distretto ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6: Ansia ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7: Vai Via ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8: Trappola ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9: Festival ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10: Sentimenti ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 : Stallo ***
Capitolo 13: *** Capitolo Extra: Un giorno da Dio ***



Capitolo 1
*** Prologo : Quel Giorno ***


Prologo: Quel Giorno
 
 

La morte non è una cosa così grave; il dolore, sì.
André Malraux, La speranza


Sentiva le gambe intorpidite e il gelo penetrarle nelle ossa. Le lacrime che aveva pianto erano gelate sul suo volto. La neve la circondava e nel frattempo, mentre cadeva leggermente nel cielo, scendeva anche su di lei, includendola nel suo bianco manto.
Il sangue le colava dalle ferite, e il labbro spaccato le doleva.
Le gambe aperte, piene di lividi come il suo corpo, e i brandelli della sua divisa che la circondavano.
Rangiku sospirò e una nuvoletta bianca comparì. Non aveva più la forza per piangere, aveva pianto troppo, non aveva più la forza per urlare, non era servito a niente, non aveva più la forza di muoversi, tutto era stato inutile.
Sentì un fruscio, ma non girò la testa per vedere chi era.
Sono tornati? Pensò solamente.
I passi leggeri sulla neve. Non potevano di certo appartenere a quegli uomini.
Due occhi di un azzurro incredibilmente chiaro la fissarono, un azzurro affascinante, sfuggente quanto lo stesso sguardo.
Quegli occhi appartenevano a un ragazzo dai lineamenti affilati, anch’essi inafferrabili, i cui capelli erano tanto chiari da apparire argentati.
Quei capelli gli ricordarono un serpente, uno di quelli delle leggende che aveva spesso sentito, quelle sui serpenti bianchi.
Lui la osservò.
Che begli occhi. Sono come il cielo d’estate. Pensò Rangiku.
Il suo sguardo azzurro la trafisse, diceva tutto e niente.
Rangiku non si mosse. Ed il ragazzo si accucciò, appoggiando la testa sulle ginocchia, inclinandola leggermente.
Nuvolette si formavano nell’aria grazie ai loro respiri.
Poi il ragazzo si tolse il giubbotto di dosso, che era di un nero scuro, e glielo appoggiò sul corpo, coprendola.
Pensa che io abbia freddo? Pensò Rangiku.
Poi se ne andò. Che strano. Pensò Rangiku che, dopo qualche minuto, si alzò, piangendo e stringendosi in quel giubbotto.
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1: Le vie del Serpente ***


Capitolo 1:
Le vie del Serpente

Prendi l'aspetto del fiore innocente, ma sii il serpente sotto di esso.
William Shakespeare, Macbeth

 
Gin si toccò il colletto, alzandolo. Il freddo pungente non lo infastidiva troppo, anche se in una giornata come questa, avrebbe preferito stare a casa a dormire.
Amava gli spazzi stretti e caldi e la sua stanza era esattamente così; piccola, poco illuminata e calda.
Sentì degli schiamazzi e vide degli uomini andarsene ridendo lasciando una figura distesa nella neve; la figura era circondata da brandelli di tessuto, probabilmente essi erano stati i suoi vestiti, ed era distesa immobile sul manto della neve, gli occhi azzurri rivolti al cielo mentre i fiocchi le cadevano addosso, ricoprendola.
Gin sentì la curiosità e si avvicinò nella neve. Lei lo sentì, lo percepì, eppure non si mosse. Gin, sopra di lei, la fissò con i suoi occhi celesti, spalancandoli.
La ragazza ricambiò lo sguardo, dapprima con un’espressione morta, poi, sempre più viva. I suoi occhi ricambiarono con forza.
Gin si accucciò vicino a lei ed inclinò la testa, pensieroso.
La ragazza non si era arresa e questo lo incuriosiva parecchio. Perché? Gin ammirò quella sua forza d’animo.
Si tolse il giubbotto nero, sentì il freddo, ma non lo diede a vedere e l’appoggiò addosso alla ragazza. Poi, se ne andò.
Chissà, magari un giorno l’avrebbe rivista.
 
 
Il freddo non gli era mai piaciuto, nemmeno da piccino.
E la pioggia che scendeva in quell’umida giornata gli dava leggermente fastidio.
Gin amava i giorni caldi, quelli assolati e afosi, per niente umidi.
Ed invece, era costretto ad uscire per il suo lavoro.
Perché aveva scelto quel lavoro? Era un fastidio.
Di certo Gin non era ingenuo, anzi, tutt’altro. Era un astuto bastardo e molte volte l’avevano insultato chiamandolo “Figlio di puttana”, specialmente quando per mano sua essi cadevano come tanti pezzi degli scacchi.
Adorava vedere le espressioni attonite dei suoi colleghi quando portava un uomo che non dava nemmeno segni di essere ancora in vita. Quegli sguardi morti, dopo che avevano capito di essere caduti in trappola erano la sua gratificazione, eppure, lo stufano fin troppo presto.
Una signora, tutta concitata, stava per venirgli addosso, ma Gin abilmente si spostò, scattando quasi.
I suoi riflessi, inoltre, erano di gran aiuto, doveva proprio ammetterlo.
Entrò in una calle stretta, quella scorciatoia gli piaceva molto, nei giorni afosi era leggermente fresca e nei giorni così umidi e freddi era lievemente calorosa. La percorse in fretta, però, non aveva di certo il tempo per star lì ad crogiolarsi nella tenue sensazione di calore.
Delle studentesse gli passarono vicino, schiamazzanti come al loro solito. I loro occhi si puntarono sui suoi capelli argentati, decisamente insoliti, ma lui non si tolse dal viso quel suo sorriso viscido. Sapeva benissimo che quel suo sorriso, finto, metteva in fuga molte persone e per questo gli piaceva.
Le ragazze, quando lo videro, smisero di fissarlo e lui dentro di sé se ne rallegrò. Non gli piaceva, soprattutto, essere fissato.
Amava quella sua parte incostante e sfuggente e faceva di tutto per non farsela sfuggire.
Sorpassò velocemente il gruppo, non senza vedere una massa di capelli biondo-ramato, e se ne andò velocemente per la sua via, scattando come un serpente.
Sul lavoro, spesso, i colleghi lo chiamavano proprio così; “Il serpente” mormoravano, alcuni mormoravano con timore, altri con odio, ma a Gin non importava. Avrebbe fatto di tutto per i suoi obbiettivi e per portarli a termine.
Quando vedeva una preda, era suo dovere ed interesse ottenerla, non importava cosa o chi fosse.
Entrò nel dipartimento e subito lievi mormorii echeggiarono per la sala. La segretaria sorrise stucchevole con quelle sue labbra truccate di rosso, un rosso acceso. «Detective Ichimaru!» disse con tono civettuolo.
Gin le sorrise falsamente, di quel suo sorriso viscido, ma la donna non diede segno di disgusto, anzi, si sentì incoraggiata. «Buongiorno, signorina.» rispose lui con voce bassa, una specie di sibilo. Il sorriso della donna si allargò mentre le guance le si tingevano di un cupo rossore.
Quel suo basso tono di voce alle donne piaceva, le seduceva, quasi.
Gin tirò dritto fino ad arrivare al capo dipartimento. «Capo Aizen.» disse entrando nel suo ufficio ed abbassando leggermente la testa.
Aizen, un uomo attraente sui trentacinque anni, dai capelli castano-ramato e occhi profondi del color del caramello nascosti dietro ad occhiali, si girò dalla sua parte. Un sorriso affiorò sulle sue labbra, un sorriso dolce e calmo. «Gin, ho un lavoro per te.» disse.
Gin sorrise. Sapeva benissimo che tipo di lavoro aveva in serbo per lui il suo Capo.
Aizen si alzò dalla sua poltrona girevole, ed dopo aver aggirato la scrivania dal legno scuro, andò vicino alle finestre e con un colpo secco tirò la cordicella. Le persiane scesero, oscurando la vista dell’ufficio.
In quello stesso istante, Aizen si tramutò. Si tolse gli occhiali e il suo sguardo gentile divenne pungente, arrogante quasi, ed il suo sorriso divenne affilato.
Gin conosceva bene la doppia-faccia del suo Capo, ma sapeva che in fatto di doppie-facce nessuno poteva batterlo.
Il suo sguardo divenne quello di un astuto servitore, leale con il primo offerente ed il suo viscido sorriso non tramutò, gli occhi sempre leggermente socchiusi, tanto da sembrare completamente chiusi. «Mi dica.» disse con riverenza.
Aizen si appoggiò alla scrivania ed incrociò le braccia. «Devi far fuori quelli del Dipartimento di Sicurezza, Gin. Ultimamente ci danno troppi problemi.» disse freddamente il suo Capo.
Aizen gli aveva appena ordinato di uccidere degli uomini con lo stesso tono in cui avrebbe detto “Vammi a prendere i vestiti i lavanderia.” Praticamente.
Gin annuì. «Sarà fatto.» ed il suo sorriso divenne più affilato, rivelando per un attimo la sua natura più selvaggia.
Poi uscì e Aizen si ricompose, riassumendo l’aspetto di un Capo gentile, buono ed onesto.
Mentre raggiungeva la sua scrivania sentì le persiane dell’ufficio di Aizen salire.
Poi, incaricato del suo nuovo compito, si mise all’opera per assolverlo. 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2: Un Vicolo Oscuro ***


Capitolo 2:
Un vicolo oscuro

l combattimento è una questione di movimento.
Si tratta di trovare un bersaglio, evitando di diventare un bersaglio.
Bruce Lee, Jeet Kune Do

 
 
La pioggia scendeva, fitta, grigia ed inesorabile. Per Rangiku la pioggia era un sollievo, era come se, per un solo giorno, tutto potesse essere cancellato da quel mondo tanto crudele, eppure, così non era. La pioggia era solo uno stupido fenomeno atmosferico? Dentro di sé si rimproverò.
Quando avrebbe smesso di sognare, Rangiku? Non era una bambina no? E non lo era da anni, ormai.
Il mondo era un posto freddo e vuoto e stava a lei metterci calore in esso, ma come?
Gli ombrelli colorati delle sue compagne di scuola giravano al ritmo delle loro spensierate chiacchiere.
Rangiku sorrise. Adorava passare le giornate con delle ragazze che, a differenza dei maschi, erano così ingenue… Oh, quanto erano ingenue! Forse fin troppo, e presto, si sarebbero accorte di un mondo più duro e tagliente di quello che pensavano essere ora.
«Rangiku, sei così bella! Hai un bel seno, un bel corpo, un bel volto e sei pure intelligente!» schiamazzò Hina, una sua compagna di scuola dal volto dai lineamenti banali e insulsi capelli castani.
«Hina, ma smettila! Sei più bella tu e poi hai uno splendido carattere!» la rimproverò Rangiku con un sorriso.
Hina rise e il gruppetto continuò la sua strada.
Un uomo passò vicino a loro, i suoi capelli erano… argentati? Rangiku si incuriosì.
Capelli argentati e sembravano pure naturali! Com’era possibile? Tutto sembrava così curioso ai suoi occhi.
Le ragazze schiamazzarono sul bel volto dello sconosciuto che però lei intravide appena.
Poi l’uomo fece qualcosa e le sue compagne si scostarono, come disgustate.
L’uomo passò accanto a loro, velocemente, e se ne andò.
Rangiku sentì, per pochi secondi, il suo sguardo su di lei ed un brivido la percorse.
Si girò, ma l’uomo era come sparito nel nulla.
Possibile che…?
Quell’argento le era sembrato…familiare.
Una strana sensazione di sconforto la prese mentre terribili ricordi gli offuscavano la mente.
Soi-fon le appoggiò una mano sulla spalla scrutandola attraverso i suoi neri occhi a mandorla. «Tutto bene, Soi-fon.» la rassicurò Rangiku con un ampio sorriso.
«Lo avete visto??» esclamò una ragazza del gruppo.
«Sì! Aveva i capelli ARGENTATI!»  enfatizzò una seconda.
«Ed era bellissimo…» mormorò un’altra, al che tutte risero.
«Ma che sorriso disgustoso! Dev’essere un porco!» la presero in giro.
Rangiku non si intromise, né parlo.
Sapeva benissimo che le sue compagne erano ancora infantili ed immature tanto da giudicare una persona dalla sua apparenza. Lo facevano pure con lei.
E lei, poi, nemmeno aveva visto chiaramente il volto di questo fantomatico uomo.
Rangiku sospirò e continuò a camminare, sorridendo dell’ingenuità di esse e della serietà di Soi-fon.
 
La sua casa era in stile occidentale con il tetto dalle tegole rosse, le mura candide e i gerani al di fuori della finestra; sembrava una di quelle casette di montagna o di periferia tanto esaltate nei libri inglesi.
La madre di Rangiku era per metà inglese e dal suo ramo aveva ereditato i capelli biondi-ramati; Anche suo padre era straniero, però era svizzero ed aveva occhi azzurri e limpidi che poi aveva trasmesso alla figlia.
Nel complesso, Rangiku era bellissima e sensuale. E già a diciassette anni era una bellezza vivente.
Entrò in casa e si tolse le scarpe. «Sono tornata!» urlò.
Nessuno rispose. Il silenzio avvolgeva la casa e Rangiku rimpianse la casa della sua infanzia. Nei suoi ricordi, casa sua era sempre avvolta da calore e da un leggero profumo di dolci, inoltre le risate si libravano nell’aria ed il silenzio era raro e dolce, non così asfissiante e pesante come era ora.
Andò in cucina, sicura di trovare la madre.
Sua madre era impegnata a cucinare, tutt’affaccendata e con i capelli che sfuggivano alla coda. «Mamma?» chiese Rangiku.
La donna si girò e, dopo un momento di incertezza, sorrise. Il sorriso della madre, così triste e tirato, ferì Rangiku che però non lo diede a vedere.
«Sei tornata presto, tesoro.» disse.
Rangiku sorrise, un sorriso ampio. «Sì!» rispose e con allegria ed energia appoggiò la cartella sul tavolo.
«Piove…ti sei coperta bene per strada?» chiese la madre in uno dei suoi eccessi di protezione verso la figlia.
«Sì, stai tranquilla.» disse Rangiku. Odiava il fatto che tutti gli ricordassero cos’era successo. Lei l’aveva superato da tempo, eppure, tutti sembravano pensare il contrario.
E poi si gettò in un’allegra chiacchierata con la madre sulle sue amiche, sulla scuola ed evitò accuratamente il discorso “ragazzi”.
 
 
La mattina arrivò presto. Il sole inondava di una dolce luce la camera di Rangiku.
Rangiku si alzò, i biondi capelli scomposti sulle spalle, di un colore simile ai primi raggi del sole, la bocca rosea leggermente spalancata e gli azzurri occhi assonnati.
Il mattino era arrivato.
Si alzò e prontamente si vestì, con grazia, dopo aver salutato i genitori, si avviò verso scuola.
La città era frenetica e il rumore delle macchine rendeva il vociare assurdo attutito alle sue orecchie.
Rangiku passava tra la folla mentre ogni ragazzo o ragazza guardava quella bellezza avanzare leggermente, quasi danzasse, ma con decisione.
La divisa nera con il pullover bianco della sua scuola superiore, la Soul School, era perfetta su di lei.
La sua scuola, inoltre, era una delle più rinomate del paese in quanto riuniva persone di alto lignaggio o di superba intelligenza.
«Fermati! Fermati!» urlò una voce spaventata.
Una risata risuonò chiara e forte. «Ti prego, fermati!» continuò la prima voce sempre più disperata; essa sembrava femminile.
Rangiku ascoltò attentamente e individuò un vicolo, piccolo e stretto, da cui gli sembrò provenire le grida.
Corse verso di esso con rinomata energia.
Una ragazza era bloccata contro il muro e un massiccio corpo di uomo le stava sopra, tenendola inchiodata sia con il corpo che con le mani. La ragazza urlava disperata e singhiozzava mentre lacrime di puro terrore le solcavano il viso. Rangiku si sentì tremare le gambe.
«Fermati!» urlò Rangiku.
L’uomo si girò, sorpreso, ed un ghigno maligno gli si disegnò sul placido e duro volto appena la vide.
«Ne vuoi un po’ pure tu, puttanella?» chiese con voce arrochita.
Rangiku sorrise e gli si avvicinò. L’uomo sembrò sorpreso, poi sorrise viscido e alzò una mano pronta a toccarla.
Rangiku represse un brivido di disgusto e prima che la mano dell’uomo potesse anche solo sfiorarla, eseguì un calcio rotante delineando un cerchio perfetto con la gamba.
Colpì l’uomo alla testa che stramazzò a terra. Il rumore delle membra a contatto con l’asfalto risuonò nella testa di Rangiku. «Corri!» urlò alla ragazza che fissava la scena immobile, al che se ne corse via.
L’uomo, ripresosi un po’, la fissò con odio e si alzò. «Lurida troia!» urlò. Rangiku si preparò all’assalto.
L’uomo la caricò, ma lei, con velocità scartò e l’uomo afferrò l’aria.
Con una gamba e con un braccio, in un’astuta mossa, Rangiku lo fece volare a terra e questa volta l’uomo sembrò sconfitto.
Rangiku si girò in cerca di un cellullare con cui chiamare la polizia.
Quando alzò lo sguardo una figura d’uomo la fissava dall’entrata del vicolo.
Possibile? Fu il suo unico pensiero.

 



--- Ciao a tutti!
Volevo solo dire che aggiorno una volta a settimana e con minimo due recensioni!
A presto,
xx Giò

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3: Uno Sguardo ***


Capitolo 3:
Uno sguardo

Gli uomini condannano l'ingiustizia perché temono di poterne essere vittime, non perché aborrano di commetterla.
Platone, Repubblica

 
La scena che si presentò in quel momento a qualcuno che la guardava dall’esterno, sarebbe potuta apparire strana se non comica.
Un uomo era disteso a terra, una ragazza teneva in mano un cellulare e guardava un ultimo uomo che si ergeva davanti a lei; il volto di quest’ultimo era stranamente inespressivo, eppure, quegli occhi semichiusi, la bocca atteggiata in un mezzo crudele sorriso e quei capelli argentanti che ricadevano sul volto si sarebbero potuti descrivere come teatrali.
Sì, forse era così, forse quell’uomo era una persona altamente teatrale, adatta alle tragedie, al recitare senza copione improvvisando chissà quale commedia.
L’altro uomo invece appariva chiaramente come un delinquente, uno di quegli uomini che possono essere considerati la feccia della società; E la ragazza in piedi davanti a lui era una semplice studentessa, era di una bellezza naturale, aveva boccoli biondo ramati, scintillanti occhi azzurri di una squisita limpidezza e una bocca carnosa, nell’insieme sembrava delicata… E allora com’era possibile che questa studentessa all’apparenza fragile avesse sconfitto un uomo di quella  stazza? Ma sì sa, la vita non è mai come ci si aspetta,  no?
Ecco perché Rangiku, all’apparenza fragile, era in realtà una forza della natura.
Secondo dan di karate, terzo di judo, era una delle ragazze più forti in quella prefettura.
Al momento però non era tanto presa da questi pensieri, più dall’uomo che lei stessa aveva davanti.
«Stai bene?» chiese l’uomo. La sua voce era come lui, sfuggente, ma cortese. Sembrava distante anni luce da quella scena, come un eco distaccato dal mondo.
«Sto bene.» rispose Rangiku. «E’ lui che non sta bene.» aggiunse girandosi.
L’uomo sembrò per un momento sorridere, ma quel piccolo accenno, sparì in pochi secondi, facendo ritornare quel suo volto inespressivo.
«Sono della polizia, puoi andare. Mi occuperò io di lui, d’accordo?» disse l’uomo.
Rangiku si chiese il perché e rifletté su quella proposta poi scosse la testa.
«No, grazie.» rispose.
«Perché?» fu la domanda incalzante dell’uomo. A Rangiku sembrò che i suoi occhi serpeggiassero sul suo volto, ma fu l’impressione di un momento, tant’è che le palpebre erano di nuovo socchiuse nascondendo lo sguardo dell’uomo.
«Non so se sei davvero della polizia; e sinceramente, ne dubito; Inoltre voglio vedere questo maiale arrestato e devo fornire una testimonianza ad un poliziotto.» argomentò Rangiku.
«Oh, sono una persona così poco importante che il mio nome non dovrebbe interessarti. Inoltre, ho un distintivo, se vuoi posso mostrartelo, e per la testimonianza…Non serve. Ho visto e sentito tutto, l’unica cosa che mi serve, è il tuo nome.» disse l’uomo con un viscido sorriso.
Rangiku sospirò. Era in ritardo e l’uomo aveva proposto di mostrargli il distintivo per rassicurarla, quindi, perché no?
Aveva ancora dei dubbi, ma decise di farli tacere.
«Mostrami il distintivo.» disse.
L’uomo lo tirò fuori e su di esso c’era scritto: Detective – Polizia di Stato.
Il nome non era evidente visto che l’uomo teneva il pollice sopra. Rangiku stava leggendo il numero di matricola quando l’uomo lo richiuse.
«Convinta?» disse l’uomo sfoggiando un sorriso amabile.
«Sì.» disse Rangiku. Quel sorriso era fasullo e Rangiku se ne rendeva conto benissimo.
«Dimmi il tuo nome, allora. Così dopo potrai andare…d’altronde sei in ritardo, no?» disse l’uomo.
Come poteva sapere che era in ritardo? Pensò Rangiku.
«Rangiku Matsumoto.» rispose, alle strette.
L’uomo con espressione seria annuì. «Puoi andare.» disse scostandosi.
E Rangiku, con un sospirò, gli passò accanto.
I capelli biondo ramato che volavano al vento mentre l’uomo in piedi a lei vicino a lei guardava sia lei che l’uomo, tenendo d’occhio tutti e due.
Chissà come fa… pensò Rangiku.
Poi prese il passo e si allontanò velocemente.
 
 
 
La giornata, per Gin, era iniziata nei migliori dei modi; Il sole splendeva e lui, oggi, avrebbe assolto il compito che gli aveva affidato Aizen.
Stava percorrendo la strada serpeggiando tra la folla ed evitando le scocciature con il suo solito modo, quando sentì provenire un urlo da una viuzza. «Fermati! Fermati!» urlava una voce femminile. «Ti prego! Fermati!» continuava.
Gin entrò nell’edificio accanto e dal tetto di esso si mise ad osservare la scena.
Un uomo stava per stuprare, o meglio, violentare, una studentessa; lei era in lacrime mentre l’uomo la tastava dappertutto.
Depravato… pensò dentro di lui, disgustato.
Eppure, non volle intervenire. No, avrebbe atteso che la donna fosse stuprata e poi avrebbe ricattato sia lei che lui, rendendoli suoi servitori.
L’uomo sembrava uno giusto per quei suoi lavori.
Aizen, il suo Capo, sarebbe stato molto contento della notizia.
«Fermati!» urlò una voce. Una ragazza dai capelli biondo ramato e dagli occhi azzurri, limpidi, si presentò allo sboccò del vicolo.  Gin si sorprese, questa proprio non se l’aspettava.
Osservò la donna con distaccato interesse. Come avrebbe agito adesso?
«Ne vuoi pure un po’ tu, puttanella?» chiese l’uomo con un sorriso viscido e la voce roca.
Poi si avvicinò alla donna ed alzò una mano per toccarla. L’altra ragazza era libera.
Che idiota questo qui…Pensò Gin. Se la ragazza libera fosse scappata avvisando altre persone, si sarebbe ritrovato in grossi guai. Non se ne rendeva conto? Ovviamente no, era troppo stupido per rendersene conto!
La ragazza, quella dai capelli biondo ramato, sembrava come paralizzata.
E quindi lo sorprese quando scaraventò l’uomo a terra con un calcio rotante.
Gin ridacchiò brevemente e silenziosamente. Oh, che spettacolo! Pensò divertito ed infastidito allo stesso tempo.
La ragazza aveva rovinato i suoi piani…eppure ora ne era davvero colpito!
Inoltre, la ragazza adesso aveva uno sguardo fiero, da vera combattente. «Corri!» urlò alla ragazza in lacrime, ed essa, dopo poco se ne corse via.
L’uomo stava riprendendo i sensi. Se ne sarebbe accorta?
«Lurida troia!» urlò quest’ultimo. E Gin scosse la testa. Ah, questi stupidi e violenti energumeni… feccia vera e propria.  
La donna lo fece volare, letteralmente, usando una mossa che doveva essere di … Judo? Karate?
O qualcosa di simile.
Gin scese e si avviò verso il vicolo.
Quando fu davanti al vicolo la donna aveva un cellulare in mano, e quando si accorse di lui, lo fissò con aria sconvolta; come se pensasse che fosse…familiare?
E perché lui, dopo averla vista in volto da così vicino, pensava lo stesso?
Non si ricordava di essere andato a letto con una studentessa dalla bellezza folgorante…
Inoltre non era andato a letto con molte donne. Dopo poco, gli venivano a noia.
«Stai bene?» chiese Gin con un tono cortese e sfuggente. Il tipico tono da persona sospetta che usava sempre. Era la voce professionale che usava anche quando doveva informare un famigliare che sua figlia, suo marito o un’altra persona della sua famiglia, era stata o stato ucciso; una voce distante e senza sentimenti.
«Sto bene.» rispose la donna. «E’ lui che non sta bene.» aggiunse fieramente girandosi.
A Gin scappò un mezzo sorriso, che però fece subito svanire e dentro di sé si rimproverò. Il sangue freddo era l’arma della sua vendetta e il suo volto inespressivo era il conduttore.
«Sono della polizia, puoi andare. Mi occuperò io di lui, d’accordo?» disse Gin.
La donna sembrò riflettere, poi scosse la testa.
«No, grazie.» rispose.
«Perché?» domandò Gin, fin troppo velocemente per i suoi gusti. Bè, che ci poteva fare? Era incuriosito. Tant’è che i suoi occhi per un secondo si aprirono, prima di nascondersi di nuovo sotto le sue palpebre.
«Non so se sei davvero della polizia; e sinceramente, ne dubito; Inoltre voglio vedere questo maiale arrestato e devo fornire una testimonianza ad un poliziotto.» argomentò la ragazza. Era una mossa intelligente. Pensò Gin.
«Oh, sono una persona così poco importante che il mio nome non dovrebbe interessarti. Inoltre, ho un distintivo, se vuoi posso mostrartelo, e per la testimonianza…Non serve. Ho visto e sentito tutto, l’unica cosa che mi serve, è il tuo nome.» disse Gin mostrando un viscido sorriso al quale le donne alla vista di esso scappavano.
La ragazza sospirò e le sue labbra carnose si atteggiarono in una smorfia.
Era probabile che fosse in ritardo per la scuola visto che era mattina ed era in divisa scolastica.
«Mostrami il distintivo.» disse.
Gin tirò fuori uno dei falsi distintivi e con un pollice astutamente sopra il nome scritto.
La donna stava guardando tutto e prima che potesse ricordare il numero di matricola, Gin lo chiuse.
«Convinta?» disse sfoggiando un sorriso amabile e totalmente fasullo. Tanto per ammansirla un po’.
«Sì.» rispose la ragazza.
«Dimmi il tuo nome, allora. Così dopo potrai andare…d’altronde sei in ritardo, no?» disse Gin.
Negli occhi della ragazza passò un pensiero chiaro: “Come sa che sono in ritardo?”
Gin dentro di sé sorrise. Perché sono in questo gioco da più tempo di te, piccola. Pensò.
«Rangiku Matsumoto.» rispose la ragazza. Era evidente che gli costava dirlo.
Gin mise su un’espressione seria ed annuì. «Puoi andare.» disse scostandosi.
Mentre la ragazza se ne andava, Gin tenette d’occhio sia lei che l’uomo.
Mai lasciare le cose al caso. Tenere sempre tutto sotto controllo.
Era questa una delle sue molteplici regole e gli servivano tutte per giocare a quel gioco.
Eppure, quella ragazza gli era sembrata tanto familiare…
Possibile che fosse lei?
Gin scosse la testa. No, queste cose non succedevano nel suo mondo.
L’uomo si risvegliò e Gin gli si avvicinò.
«Ehi!» disse sorridendogli. L’uomo si alzò e con espressione infuriata provò ad attaccarlo.
Gin lo prese per la gola e lo sbatté al muro.
«No, no, tesoro. Così proprio non va.» lo ammonì con un sorriso sulle labbra. Un sorriso crudele da predatore.
Strinse la morsa della sua mano sul collo dell’uomo il cui volto divenne presto di un color verdognolo. Gli mancava l’ossigeno, non tanto da strozzarsi, ma tanto da svenire.
«Ora tu mi ascolterai e io allenterò la presa, ok? Lo dico nel tuo interesse, te lo assicuro.» disse fissandolo da sotto le palpebre con i suoi gelidi occhi scuri e con un tono basso e letale di voce.
Il serpente si rivelava solo in certe occasioni, solitamente non sarebbe stata una di esse, ma era agitato e quindi decise di rivelarsi per quel che era.
Così iniziò a spaventare ed ammaliare la sua preda, fino a renderla schiava e pronta a tutto, anche ad uccidere per lui.





--- Ciao a tutti!
Grazie per le recensioni *^*
Aggiorno a tre recensioni una volta alla settimana,
a presto!
xx Giò

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4: Memorie ***


Capitolo 4:
Memorie

La memoria obbedisce sempre al cuore.
Antoine Rivarol, Massime e pensieri

 
Rangiku si diresse verso la sua prestigiosa scuola: la Soul School; essa riuniva talenti naturali e persone dal fine intelletto o capacità straordinarie.
Rangiku era il vicepresidente del Consiglio Studentesco ed era terza nella tabella degli studenti con i voti migliori.
Rangiku era al secondo anno delle superiori, ma dimostrava di più della sua età e, per via delle caratteristiche date dal suo DNA internazionale, spesso la scambiavano per una donna adulta.
La scuola era tinta di un bianco candido, quasi idilliaco e davanti a questa facciata bianca si ergeva un cancello aperto di un verde mezzo scuro.
Gli studenti scemavano dentro di essa prima dell’inizio delle lezioni.
Davanti al cancello, Soi-fon, addetta alla pubblica morale, controllava le divise degli studenti.
Bene, era arrivata in orario! Si asciugò il sudore che gli faceva brillare il petto prominente e il sottile collo.
Odiava le occhiate che alcuni studenti maschi gli riservavano, eppure sorrideva, le usava a suo favore.
Mai più, mai più un uomo avrebbe fatto di lei quello che voleva.
Non l’avrebbe permesso.
«Buongiorno Soi-fon!» disse con un sorriso enorme.
La ragazza dai capelli neri, alzò lo sguardo serio su di lei, e ricambiò annuendo impercettibilmente.
«Hitsugaya ti aspetta nella sala del Consiglio Studentesco…sai?» l’informò Soi-fon.
Rangiku annuì. «Vado subito!» rispose. Ed entrò dentro la scuola.
I corridoi tinti di bianco con i bordi rossi, le porte di un blu scuro…Tutto questo era così familiare a Rangiku, tanto da dargli quasi il voltastomaco.
Era stufa di quella vita così perfetta eppure non avrebbe mai osato lamentarsene. Sapeva i pericoli che correva anche solo essendo in vita, eppure… qualche volta avrebbe voluto andarsene.
Vivere davvero, per una volta.
Arrivò alla stanza del Consiglio Studentesco.
Ed aprì.
Seduto su una poltrona, con i piedi appoggiati alla scrivania ci stava un piccolo ragazzo dagli occhi azzurri e i capelli candidi, come quelli di un vecchio, come la neve stessa.
Quando esso alzò lo sguardo e la vide assunse un’espressione arrabbiata. «Rangiku! Dov’eri?!» sbottò esso.
Hitsugaya Toushirou era il numero 1 nella classifica dei voti scolastici ed era il terzo nell’intera prefettura. Inoltre, era il presidente del Consiglio Studentesco della rinomata Soul School.
Il tutto, alla tenera età di sedici anni.
Eppure era già al suo terzo anno di superiori. Perché?
Aveva saltato dei gradi, semplicemente.
«Scusami Toushirou!» esclamò Rangiku pentita, ma con un grosso sorriso.
Toushiro d’altronde sebbene fosse un suo senpai ed il Presidente era troppo…carino. E piccolo.
Infatti c’erano almeno venti centimetri di differenza fra loro, tant’è che quando Toushirou si alzò dalla sedia e gli andò davanti si ritrovò con la testa all’altezza del suo seno.
«Matsumoto Rangiku! Quante volte ti ho detto di chiamarmi Presidente o Hitsugaya? Non voglio sprecare la mia vita a ripetere trenta volte le stesse cose!» esclamò Toushirou con gli occhi azzurro chiaro lampeggianti.
A Rangiku quel basso ragazzo ricordò un leoncino che ruggiva. E ridacchiò.
Toushirou sospirò e si mise una mano sul volto, esasperato. «Ora, si può sapere per quale diavolo di motivo ridi?!» esclamò.
«Niente…» mormorò Rangiku ricomponendosi. «Per cosa mi avevi chiamata?» gli chiese.
«Infatti, abbiamo cose più importanti.» disse Toushirou girandosi e dirigendosi verso la scrivania.
«Ti ho chiamata per il prossimo festival scolastico.» disse una volta sedutosi ed aver preso in mano una pila di fogli.
«Ma è fra due mesi!» ribatté Rangiku sorpresa.
«Il preside l’ha anticipata. E’ fra un mese, ingresso permesso a tutti e vuole, inoltre, che la polizia sia coinvolta.» la informò Toushirou alzando le spalle.
«La polizia?» chiese Rangiku. Era sempre più sconcertata.
«Vuole che sorvegli le entrate e gli eventi.» disse con un sospiro lui.
«Va bene…ma perché mi hai chiamata? Solo per dirmi questo?» insistette lei.
«La polizia…è affidato a te il compito di richiederla, per questo t’ho chiamata.» disse Toushirou.
«Va bene…» rispose Rangiku.
Toushiro sembrò soddisfatto.
«…Toushirou.» concluse la frase Rangiku.
Negli occhi di lui comparve un lampo di fastidio; poi scrollò le spalle ed alzò una mano facendogli segno di andarsene.
Rangiku sorrise trionfante e se ne andò con la piccola soddisfazione di aver punzecchiato Toushiro.
Arrivò in classe due minuti prima della lezione, giusto in tempo per sistemarsi.
«Buongiorno Ragazzi!» esclamò il professore entrando in classe.
Il sensei Kisuke Urahara era un uomo di bell’aspetto dagli occhi scuri e dal sorriso stupido stampato sempre sul volto.
Un sorriso falsamente stupido.
Kisuke Urahara era famoso; era uno dei più grandi geni inventori eppure dal suo aspetto, dalla sua parlata spensierata e da quel stupido capello a strisce che insisteva a portare insieme all’hakama  non si sarebbe detto.
«Giorno professore!» rispose Rangiku dopo il solito formale inchino.
Urahara la osservò. «Un seno meraviglioso come sempre!» commentò.
Rangiku imbronciò le labbra, poi sorrise freddamente. «Non si può dire lo stesso del suo fisico, professore!» ribatté, sempre con tono educato.
Urahara sorrise soddisfatto, ma cancellò subito quell’espressione furba dal volto per sostituirlo ad una falsa espressione di disappunto, tanto tipica dei vecchi professori.
«Bene…» disse appoggiandosi alla scrivania. «oggi non ho voglia di fare l’appello, quindi fatelo da soli! Inoltre proclamo un’ora di studio autodidatta!» continuò sedendosi e sventolandosi con un ventaglio di carta tirato fuori da chissà dove.
«Sensei, oggi abbiamo due ore con lei!» ribatté qualcuno, in fondo alla classe.
Tutti risero.
«Bene, allora saranno due ore!» rispose Urahara.
Rangiku si sedette, tutta presa dal pensiero dell’incontro di stamattina.
Quell’uomo, quel poliziotto dagli argentei capelli, le era sembrato familiare.
Ricordò quel ragazzo, che non le era parso allora molto più grande di lei, eppure… che ci fosse un collegamento fra quel giovane uomo e quel ragazzo?
Gli stessi capelli, la stessa forma del viso. Eppure Rangiku ricordava gli occhi di esso.
L’uomo invece li aveva tenuti socchiusi tutto il tempo, nascosti sotto le palpebre e lei non aveva potuto così osservarli bene.
Se solo…
Suonò la prima ora e la campanella la sottrasse da quei pensieri inopportuni.
Dunque, decise di ripassare il capitolo di storia su cui avrebbero fatto lezione dopo.
 
 
 
Pomeriggio. La campanella suonò segnando la fine della scuola.
Rangiku ripescò dalla mente quei pensieri che tanto aveva faticato a metter via.
Se tra quell’uomo e quel ragazzo ci fosse stato un collegamento lei lo avrebbe scoperto! E quell’occasione, quella richiesta che doveva porgere alla polizia gliene dava l’opportunità.
Uscì da scuola di fretta e si diresse verso la stazione di polizia più vicina.
Aprì la porta e, proprio in quel momento, lo vide.
Lui si accorse di lei e si girò.
I loro sguardi si incontrarono.
Uno limpido, l’altro sottratto, nascosto.
Fu come una calamita, come se tutto fosse già deciso dal destino.
Eppure nessuno dei due avrebbe potuto dirlo, eppure nessuno dei due se ne accorse.




--- Ciao a tutti!
Vorrei dire solo due cose: 1. Proverò ad aggiornare più spesso, cioé una volta ogni tre/quattro giorni.
2. Mi scuso per il ritardo di questo capitolo, anche se, tutte le condizioni non erano state portate a termine.
Aggiorno a due o tre recensioni (come minimo) e al massimo nell'arco di una settimana se non prima.
Detto tutto,
a presto!
xx Giò 

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5:Il Capo Della Polizia Del Distretto ***


Capitolo 5:
Il Capo Della Polizia Del Distretto
 
 
 
Il furbo è sempre in un posto che si è meritato non per le sue capacità, ma per la sua abilità a fingere di averle.
Giuseppe Prezzolini, Codice della vita italiana


Gin socchiuse la bocca leggermente. Poi, rendendosi conto che la sua espressione stava mutando troppo apertamente, la richiuse e si ricompose.
Di certo questa era stata una sorpresa e non sapeva neanch’ora se bella o brutta, eppure…
Cosa gli prendeva? Da quando un intralcio nella sua vita poteva essere una bella sorpresa?
Gin scosse la testa incredulo. No, doveva sbarazzarsi di lei al più presto, altrimenti avrebbe perso di vista il suo motivo.
Poi gli venne un’idea.
E se…la usassi?
Ora sì che si riconosceva come l’infido bastardo qual era!
Quindi, quando lei fece per venirgli incontro, lui si mosse prima e la raggiunse con un amabile sorriso sul volto.
«Posso esserti utile?» domandò.
 
 
Quando la vide la sua bocca si socchiuse, ma subito la richiuse e lei se ne accorse.
Il poliziotto aveva cambiato espressione vedendola, per poi mascherarla sotto un volto di indifferenza.
Senza motivo apparente, Rangiku sentì un brivido correrle lungo la schiena.
Costernata si guardò attorno, in cerca di altri sguardi, ma l’unico motivo possibile era lo sguardo dell’uomo, quello che celava sotto le spesse palpebre.
Allora decise di indirizzarsi verso di lui, ma, all’improvviso, l’uomo venne verso di lei, risparmiandole il disturbo.
Sul suo volto era dipinto un sorriso affabile, quasi amabile e gentile, ma che non ingannò Rangiku.
«Posso esserti utile?» disse l’uomo dai capelli argentati.
La sua voce era come la sua persona, bassa e insinuante, come un sibilo; forse avrebbero potuto descriverla come sensuale, una voce attraente.
Rangiku sbatté con forza gli occhi per darsi un contegno e sorrise.
«Certo! Devo parlare con un suo superiore, vengo qui in vece della Soul School.» disse con tono allegro e falsamente ingenuo.
L’uomo voleva giocare con le maschere? Ebbene, anche lei avrebbe giocato a questo assurdo teatrino fatto di bugie.
«Bene, seguimi.» disse in tono altrettanto vivace l’uomo;
almeno ora Rangiku sapeva che era davvero un poliziotto.
«Scusi, posso sapere il suo nome?» chiese Rangiku con un sorriso ed un tono formale, come se non si ricordasse chi era.
Il sorriso dell’uomo si fece affilato. «Il mio nome è Gin Ichimaru.» disse, poi si girò e le mise davanti la mano.
Doveva stringerla?
Rangiku indecisa guardò di nuovo la mano e poi l’uomo che sorrideva sempre di fronte a lei.
Alla fine prese la decisione di stringerla e con vigore l’afferrò.
«Piacere! Il mio nome è Rangiku Matsumoto.» aggiunse,  sperando di vedere una piccola reazione al suo nome.
Invece non successe niente. L’uomo non mostrò alcun segno di riconoscimento ed, anzi, inclinò la testa con fare spensierato, come a dirgli ‘Va bene?’.
La cosa fece infuriare Rangiku, quella era una provocazione bella e buona, eppure nascose tutto sotto il solito sorriso di circostanza.
Gin, così si chiamava l’uomo dai capelli argentei tanto a lei familiari, la condusse fino all’ufficio di Sousuke Aizen, Capo del Distretto.
La vista dell’interno dell’ufficio era nascosta da pesanti tapparelle verde scuro.
Gin bussò alla porta. «Sì?» chiese una voce decisa, ma gentile dall’interno.
«Capo Aizen, gli ho portato una studentessa che viene in vece della famosa Soul School.» disse Gin con tono educato e formale, quasi rigido come se ammirasse il suo Capo.
«Falla entrare, allora!» rispose la voce di Sousuke Aizen.
Gin aprì la porta e Rangiku entrò nell’ufficio del Capo della Polizia.
Seduto dietro una bella ed elegante scrivania sedeva un bell’uomo sui trent’anni dai riccioli castano scuro e miti occhi marroni nascosti dietro ad opache lenti d’occhiale.
«Salve, lei è la signorina…?» chiese l’uomo con gentilezza ed un sorriso affabile.
«Rangiku Matsumoto, Vice-presidente del Consiglio Studentesco della Scuola Superiore Soul School, attualmente al secondo anno, sono qui in vece del preside.» disse tutto d’un fiato e con sguardo fiero ed acuto.
«Piacere signorina Matsumoto. Io sono Sousuke Aizen, Capo della Polizia; quindi, cosa posso fare per esserle utile?» chiese Aizen scuotendo appena la testa.
«Il preside richiede delle pattuglie durante il festival scolastico.» riferì Rangiku.
«Fra quanto è il festival?» domandò Aizen.
«Fra un mese esatto.» rispose lei. I suoi occhi scrutavano Aizen con serietà e limpidità.
«Va bene, il permesso è accordato. Tre pattuglie di agenti verranno a sorvegliare le entrate e la scuola quel giorno.» affermò Aizen.
«Stupendo.» esclamò Rangiku con un sorriso deliziato. 
Avrebbe sbeffeggiato Toushirou perché di certo non s’aspettava che concludesse così in fretta l’incarico.
«Ora può andare.» la congedò con cordialità Aizen.
Rangiku fece un inchino di ringraziamento e poi se ne uscì.
«Gin, puoi rimanere un attimo?» chiese Aizen mentre l’uomo usciva.
Gin annuì. «Conosci la strada?» chiese a Rangiku.
Essa annuì.
«Allora vai da sola, scusa se non posso accompagnarti.» disse Gin rientrando nell’ufficio.
Rangiku si mise in cammino senza nemmeno pensare di ascoltare o meno la conversazione tra i due.
Le tapparelle dell’ufficio vennero chiuse, ma anche questo sfuggì a Rangiku, troppo felice di aver portato a termine la sua missione.
 
 
 
«Quella ragazza non mi piace.» affermò Aizen togliendosi gli occhiali.
Il suo sguardo non era più il mite sguardo di prima, ma uno sguardo affilato in cui brillava l’ambizione e la sete di gloria.
Il suo sorriso non era più quello amabile di prima, ma bensì un sorriso affilato e distaccato, quasi crudele e malevolo.
«Voglio usarla per i miei scopi.» disse Gin con un sorriso freddo.
«Può esserti utile?» chiese Aizen sorpreso.
«Una volta ammaliata, mi sarà utilissima per servirla.» disse Gin abbassando il capo.
Aizen sorrise. «E allora usala…ma stai attento a sbarazzartene poi.» gli ordinò Aizen.
Gin non rispose, solamente chinò il capo nuovamente in un cenno d’assenso.
Aizen non sapeva nemmeno quanto utile gli sarebbe stata quella ragazzina.
Sì, di certo lei sarebbe stata una delle pedine nella sua vendetta e presto o tardi, avrebbe fatto scacco matto al Re.
 


--- Ciao a tutti!
Vi ringrazio per le recensioni anche se non hanno raggiunto il numero che avevo chiesto...
Bè, detto tutto: Aggiorno nel giro di una settimana, spero in almeno 3 recensioni.
A presto! :)
xx Giò

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6: Ansia ***


Capitolo 6:
Ansia
 
Rangiku non riusciva proprio a capacitarsene.
Da qualche giorno si sentiva ansiosa.
Sentiva una strana sensazione dentro di sé, come un qualcosa di viscido, di sbagliato, stesse strisciando da qualche parte; come se lei l’avesse visto, ma non l’avesse riconosciuto.
Mah, sarà solo ansia improvvisa e demotivata, aveva abbozzato dentro di sé.
D’altronde mancavano solo tre settimane al festival scolastico.
Sì, in un batter d’occhio una settimana era già passata.
Ricordava ancora la soddisfazione che aveva provato quando annunciato la bella notizia a Toushirou.
 
«Hai già fatto?» chiese Toushirou un po’ impressionato.
«Sì.» rispose lei con un sorriso ferino. Si sentiva come un gatto di fronte al topo. Pregustava già lo sberleffo giocoso che avrebbe tirato a Toushirou. «Questi sono i documenti.» disse appoggiando sulla scrivania le varie scartoffie.
Toushirou le prese e le scrutò, quasi incredulo.
«Hai corrotto qualche poliziotto?» gli chiese sospettoso.
«Io? Mai.» rispose lei facendo la voce offesa.
Sapevano tutti e due che ne sarebbe stata capace, se utile al raggiungimento della sua causa, del suo scopo.
«…»
«Dai, dillo. Su.» Lo esortò lei.
«Cosa dovrei dire?» gli chiese scontroso lui.
«Lo sai.» rispose. Si stava divertendo un mondo.
«…Hai fatto un buon lavoro, Rangiku.» disse.
«Grazie, Tou-chan.» lo canzonò lei beffarda.
«Un giorno la pagherai.» disse lui a denti stretti.
Lei se ne andò ridacchiando.
 
Sì, Toushirou, l’adorabile e piccolo Presidente del Consiglio Studentesco, era decisamente divertente.
Adorava prendersi gioco di lui, quasi quanto farlo sbraitare.
Si sentiva una persona cattiva per questo, una specie di donna astuta e birichina, ma non poteva dire di non apprezzare del tutto quella sensazione.
Uscì al termine delle lezioni dopo aver svolto tutti i suoi incarichi per il Consiglio.
Il cielo era terso e l’aria era fresca sulla sua pelle scoperta.
Si toccò le labbra guardando il cielo pensierosa.
«Vorrei rivederlo.» disse sovrappensiero.
Eh? Si rese conto d’aver mormorato una cosa finora incomprensibile per lei.
Si sentì in ansia, sovraccarica come di un’energia non sua, di sentimenti non suoi, troppo complessi e pesanti per lei.
Chiuse gli occhi ed espirò forte, poi – stringendo la tracolla della borsa – si incamminò.
Si diresse verso casa, oppressa come da un peso invisibile.
Si sentiva incapace di pensare a cose concrete ed il solo provare a  respirare gli mozzata il fiato.
Si appoggiò sul muro, in preda ad un mancamento.
«Eehiii~ Belessha, vugoi venirhe a bereh cooon lo ziettoh? Shì?» Un uomo grasso e rosso in viso – visibilmente ubriaco – gli parlava soffocandola.
Lei non aveva nemmeno il fiato per rispondergli, si sentiva troppo debole.
 
 
 
Un ubriacone stava importunando una ragazza.
Gin scosse la testa. Disgustosi umani.
Prese un sasso e con un sorriso maligno lo lanciò.
Il sasso centrò le chiappe grasse e flaccide del grassone.
Gin ridacchiò.
Un ululato di dolore proruppe dalle labbra dell’uomo.
La ragazza lo spinse via e si tirò su.
Fu allora che lo vide. Fu allora che lui la vide.
I suoi capelli biondi rilucevano come una corona e gli occhi azzurro cielo lo fissavano sorpresi, incuriositi.
«Sei tu.» disse lei.
«Tu?» sibilò ironico lui.
«Sì…» guardò verso il basso, verso l’ubriacone disteso a terra privo di sensi. «Grazie.» disse rialzando lo sguardo su di lui.
I suoi occhi erano come pozze profonde, come laghi ghiacciati.
«Non so di cosa stai parlando.» rispose lui con un sorriso viscido.
Lei emise un suono acuto e le spalle le tremarono leggermente.
La gola di contrasse.
«Stai ridendo?» si ritrovò lui a dire sconvolto.
«Sì…scusa…sei troppo buffo!» esclamò lei ridacchiando.
«Buffo? Ragazza, non capisco cosa tu abbia bevuto.» rispose.
Quali alcolici, o quali droghe, aveva assunto per poter anche solo pensare una cosa simile?
«Sei viscido.» disse lei.
«Grazie.» sorrise con tutto sé stesso.
Lei rise.
«E ora che c’è?» era perplesso nel profondo.
Il suo cuore per un attimo fu leggero.
Poi tornò al suo posto, pesante come un macigno, nel suo petto.
«Niente.» sorrise lei.
Il suo sorriso era accattivante, come se sapesse un segreto che solo lei era riuscita a scoprire.
Gin lo vide, e sentì il bisogno di osare, oltre il calcolo, oltre le possibilità che aveva vagliato nei pochi secondi intercorsi.
Le si avvicinò e la spinse verso il muro, lei lo fissava e non distoglieva lo sguardo fiero dal suo volto.
«Vuoi giocare?» sibilò lui.
«Perché no?» sorrise lei.
«Sei ancora una bambina.» rispose Gin provocandola, come se la stesse insultando.
«Anche tu lo sei. Ti ostini solo a finger d’esser grande.» ribatté lei, rispondendo alla provocazione.
«Non sai di cosa stai parlando.» disse lui con lo sguardo affilato quanto la lama di una spada.
«Perché, tu sì?» domandò lei.
Lui gli si appoggiò contro e con le labbra gli sfiorò l’orecchio, lasciandola senza parole.
Riprese lentamente controllo di sé e sorrise soddisfatto, quel suo sorriso era simile ad un ghigno feroce eppure, non si sa come, in qualche modo affascinante.
«Vai casa.» le disse, allontanandosi.
«Va bene.» rispose lei.
Aveva il potere di sorprenderlo e di fargli perdere di vista – anche se solo per un attimo – le sue intenzioni.
Si allontanò nella notte scura, lasciandola là a guardarlo con quello sguardo fiero che tanto lo incuriosiva.
Dopo un’ora arrivò al luogo prestabilito.
L’uomo – tarozzato, capelli scuri e dall’aria sudicia, sorriso viscido – lo guardava innervosito aspettando un suo ordine.
«Non mi hai denunciato, vero?» gli chiese.
Gin sorrise crudelmente.
«No, però ora devi fare quello che ti dico.»
«Cosa?» chiese l’altro.
«Dovrai uccidere Mizuki Ajiin.» disse Gin.
«Perché?»
«Non ti deve interessare, o sbaglio?»
«Ma…»
«Mizushima Toshio, quarantacinque anni, disoccupato, unico familiare: la madre, Mizushima Touko di settantasette anni…Vuoi che lei muoia, Toshio?» Gin sapeva manipolare le sue vittime, eppure quel giorno non ne aveva voglia, era troppo infastidito e da bravo manipolatore lunatico qual era decise che una minaccia avrebbe prodotto lo stesso effetto: farsi ubbidire.
«Ma come…»
Gin gli si avvicinò e lo toccò, reprimendo il disgusto dietro un sorriso dolce e falso, portò le labbra al suo orecchio e sussurrò: «Tu vuoi farlo per me, vero?» la voce aveva un tono sensuale ed ipnotico.
«Uccidere…» fiatò leggermente l’uomo.
«Ti sarà facile, bravo come sei. E d’altronde, tu vuoi la ricompensa, no?»
Gettò l’esca.
«Ce ne sarà una?» disse l’uomo sbalordito.
Il pesce aveva abboccato, Gin sorrise soddisfatto. 




--- Hello! ~

E rieccoci qui con questa mia FF che sta procedendo...come? Bene o male?
Mah, ditemelo voi...magari in una bella recensione...No? *guarda speranzosa i lettori*
Sto aggiornando poco perché sono impegnata, ma avendone la possibilità e lo spunto,
oltre che - magari - uno sprono di qualche recensione a capitolo, potrei aggiornare più velocemente.
Chissà!
Detto tutto, aggiorno ad almeno 2 recensioni ed aspetto con ansia i vostri commenti çç
xx Giò

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Capitolo 8
*** Capitolo 7: Vai Via ***


Capitolo 7:
Vai Via
 
«É stato ucciso, ieri, nell’aria di SS Mister Mizuki Ajiin. Mizuki non faceva solo parte del Dipartimento di Sicurezza della Polizia del Quartiere M, ma ne era a capo.
Recenti indagini hanno rivelato che…» Rangiku spense il televisore.
Non gli piacevano certe notizie la mattina anche se le trovava molto interessanti.
Eppure era ancora, e soprattutto solo, una studentessa e sebbene sognasse un futuro da persona responsabile, non era ancora giunto il momento.
Finì la fetta biscottata mentre sua madre faceva come al solito finta di niente, come se quell’aria pesante e soffocante in casa non esistesse, come se fosse tutto come lei era ancora piccola.
Ma sapevano che non era così.
Scosse la testa e prese la borsa piena di libri caricandosela in spalla. «Mamma, vado!» disse ed uscì prima che sua madre potesse bloccarla sulla porta raccomandandogli mille e più cose, prima che potesse anche solo guardarla con quel suo sguardo triste e disperato.
 
«Tou-chan!» lo salutò Rangiku abbracciandolo.
Toushirou diventò di tutti i colori ed annaspò schiacciato tra il prominente seno della Vice-presidentessa.
«Sof---foc---co!» gemette con voce strozzata.
Rangiku lo lasciò e Toushirou si mise una mano sulla gola  cercando di prendere respiri profondi piegato in due.
«È strano vederti la mattina presto, Tou-chan.» fece presente lei con le labbra arricciate in un sorriso sornione.
«Quante volte ti ho detto di chiamarmi…» Toushirou la stava per rimproverare, ma all’improvviso vide una gracile figura passargli vicino.
Hinamori Momo, una studentessa dall’aria fragile e dai capelli neri lucidi raccolti, passò accanto ai due.
«Hinamori!» la chiamò Toushirou con un tono di voce gentile e pacato.
«Shiro!» lo salutò lei sorridendo.
«Non è Shiro, è Presidente Hitsugaya.» l’ammonì lui con falsa serietà.
Rangiku sorrideva sorniona osservandoli.
Ora aveva un’ulteriore arma da sfoderare per infastidire Toushirou.
Se ne andò trotterellando dopo un’occhiata del Presidente che l’invitava, o meglio, le comandava di andar via.
 
 
Non era una giornata particolarmente fredda, eppure Rangiku si strinse nel suo lungo cappotto scuro e si strinse la mani guantate, poi le portò alla bocca e dopo averle messe a coppa ci soffiò dentro.
«Ci troviamo sempre, in qualche modo, Rangiku.» disse Gin sibilando. Il suo sorriso era sempre il solito e guardarlo disgustava ed affascinava Rangiku allo stesso tempo. Com’era il suo vero sorriso?
«Sì, Gin.» rispose lei.
Lui fece una leggera smorfia sollevando appena un sopracciglio, ma la coprì subito.
Era abile nel celare il vero e le sue reali emozioni. Pensò Rangiku.
«Cosa vuoi?» gli chiese.
Gin scosse leggermente i suoi capelli color dell’argento e le si avvicinò, lei arretrò. In un primo momento aveva pensato di non farlo, di mostrargli che non era impaurita da lui, ma poi aveva pensato che la prudenza fosse essenziale con un soggetto come il detective Ichimaru.
«TU! MI HAI MENTITO SPORCO BASTARDO!» urlò un uomo.
Rangiku si girò e vide un tizio dall’aria sporca e stupida.
«Un tuo amico idiota?» chiese.
«Non ti ho mentito.» rispose Gin ignorandola. Il suo tono di voce era mellifluo.
«AVEVI DETTO CHE NON SAREBBE CAPITATO NIENTE!» sbottò l’altro.
«Per mano mia, intendevo. Se poi altri hanno voluto occuparsene, non è un mio affare.» rispose.
«BASTARDO!» Esclamò allora l’uomo.
Rangiku li fissava tranquillamente non aspettandosi né niente di meglio che di peggio.
«Aw, che dolce!» esclamò ironico Gin.
L’uomo lo caricò, ma lui si fece da parte e si diresse verso Rangiku che fu presa di sorpresa.
Emise un gemito simile ad uno schiocco e si mise in posizione sapendo che però era troppo tardi.
Ed allora accadde l’impensabile.
Gin fece svenire l’uomo con un abile colpo di mano.
Rangiku non l’aveva nemmeno visto, ma aveva capito cos’era successo e ne era rimasta impressionata.
Era davvero potente, oltre che ambiguo ed un bravo attore.
«Grazie.» si lasciò sfuggire Rangiku.
Gin non le rispose. Era di nuovo tornato sulle difensive.
Era così lui; era un disonesto, un bugiardo patentato ed era lontano.
Si allontanava lui stesso, d’altronde.
Eppure, l’aveva salvata.
Perché?
Rangiku fissò i suoi occhi coperti dalle palpebre pesanti e dalle lunghe ciglia. Possibile?
 
 
Rangiku lo stava osservando e non andava bene.
La ragazza non doveva capire, non doveva capirlo né doveva ricordare.
Eppure, se avesse ricordato, avrebbe potuto usarla come giocattolo, come strumento.
Ma l’aveva appena salvata senza alcun secondo fine.
Perché?
Si ritrovò scioccato e scocciato con sé stesso.
Da quando era diventato così debole? S’era davvero lasciato dietro il suo obbiettivo? S’era dimenticato tutto?
Quegli occhi azzurri lo fissavano come se stessero cercando di vedere tra le sue sfumature e la cosa lo infastidì ed un po’ lo compiacque.
Il suo animo contorto mischiava i suoi sentimenti con i suoi obbiettivi.
Si ritrovò a pensare di sfiorarle i capelli con una mano, ma cancellò subito quel pensiero.
«Sei sulla strada.» disse.
«Cosa?» chiese lei.
«Devo chiamare la polizia. Vattene.» proferì e la congedò con finta non curanza.
Lei sembrò arrabbiarsi, poi sospirò.
“Non è finita qui.” Era il pensiero che si leggeva nei suoi occhi.
Gin lo sperò e si diede dello stupido.
Il Serpente si stava distraendo e il veleno stava venendo estratto dalle sue zanne.
Non doveva più succedere e sarebbe stato così.
 
 
 
Era una sera fredda e Rangiku sospirò nell’aria producendo una nuvoletta grigia che alleggiò vicino a lei per un po’.
Le stelle brillavano nel cielo scuro, come piccoli gioielli sul manto di una bella fanciulla.
Rangiku le fissò affascinata, la testa alzata ed il corpo ritto in mezzo alla strada dove le persone passavano, alcune bisbigliando, altre guardandola con palese curiosità o apprezzamento, altre ancora ignorandola nella fretta di camminare.
«Rangiku?» la chiamò una voce dietro.
Lei si girò e si ritrovò davanti un uomo barbuto, dagli occhi vispi, la bocca larga, il naso prominente ed vestito di un lungo cappotto nero.
Sembrava uno yakuza.
«Dottor Kurosaki?» disse lei riconoscendolo.
Un sorriso stupido e molto felice comparì sulla faccia del dottore.
«Sei tu! Quanto tempo è passato…un anno?» chiese lui.
«Otto mesi, circa. Come sta suo figlio?» gli chiese Rangiku con un sorriso. Voleva davvero bene a quello strano dottore e sapeva che avrebbe sempre potuto contare su di lui.
«Ichigo è il solito combina guai.» sospirò Kurosaki.
Rangiku però sapeva che fingeva e che in realtà era molto fiero del figlio maggiore.
Sebbene l’avesse visto solo tre volte, aveva capito che Ichigo era onesto e diretto quanto suo padre e che ci si poteva fidare di lui, al contrario di Gin.
Ma che c’entrava ora lui? Si chiese.
Forse era perché non lo vedeva da giorni, cosa strana per due che s’erano incontrati sette volte in una settimana.
«Non menta.» lo rimproverò lei.
Kurosaki sorrise e le si avvicinò. «Tu come stai?» le chiese in tono serio scrutandola con gli occhi scuri.
«Va tutto bene, eppure sono confusa.» ammise riluttante Rangiku.
«C’entra un uomo.» disse il dottore.
Rangiku annuì.
«Posso darti dei consigli! Vedi, mia moglie era…» e si lanciò in un lungo racconto senza senso alcuno.
Rangiku rise.
«No, grazie.» gli rispose alla fine di quel racconto, prima che si lanciasse in un altro senza senso.
Il dottore aveva perso la moglie da anni, ma l’amava ancora molto e Rangiku l’ammirava per questo.
«Ora devo andare. Grazie, Dottor Kurosaki.» disse.
Kurosaki annuì, lo sguardo di nuovo serio ed affilato.
Il volto vero di quell’uomo.
«Se ti serve aiuto, sai che puoi sempre contare su di me.» la salutò così.
Rangiku annuì e se ne andò, camminando sotto il cielo stellato. 




--- Ciao a tutti!
Siamo già al capitolo 7, cavolo!
Bé,non ho molto da dire~ Mi spiace, non sono né arguta né interessante come persona!
Quindi: Aggiorno ad almeno 2 recensioni (quindi RECENSITE è.è) ed una volta alla settimana o un po' prima. Dipende dal tempo che ho e dall'incitamento che mi date.
A presto!
xx Giò

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8: Trappola ***


Capitolo 8:
Trappola
 
Molte volte ti rendi conto di quanto la vita faccia schifo, ma quel mattino, Rangiku si rese conto di un altro fattore: che la vita, per quanto possa far schifo, rivelerà sempre delle sorprese; bè, anche se poi non è detto che siano tutte belle.
Ecco perché, quando vide per l’ennesima volta Gin Ichimaru cambiare strada ancora prima di avvistarla, la sua rabbia raggiunse un picco per lei impensabile.
Eppure era decisa a non mostrare niente e, d’altronde, era sicura che lui sapesse che lei era lì prima di cambiare strada per evitarla.
Solo non ne capiva il motivo.
Gin era un serpente nel vero senso della parola. Lo aveva capito quella sera, prima d’andar via, eppure qualcosa non ritornava.
Quando un serpente veniva attaccato si difendeva attaccando a sua volta. Quindi, perché Gin scappava?
Era furbo e di questo lei ne era sicura.
Si chiese, quindi, che razza di trappola stesse tessendo.
 
 
A quest’ora lo deve aver notato. Pensò Gin con soddisfazione.
Aveva fatto del suo meglio per creare questa situazione e c’era riuscito magnificamente.
Non avrebbe tradito di nuovo i suoi ideali ed i suoi obbiettivi. Ecco perché, quando ricevette quella telefonata, sorrise di quel suo sorriso viscido.
Era sua.
 
Ma visto che non tutti i mali vengono per nuocere, Rangiku decise che il male che Gin rappresentava non le avrebbe arrecare danno più del dovuto.
Non sapeva di certo quanto si sbagliava, anche se ne sentiva un lieve sentore nella mente.
Rangiku, nel suo capotto marroncino lungo che le faceva risaltare i capelli color del caramello, strinse a sé la borsa scolastica.
Soi-fon lo notò e le si avvicinò con eleganza.
«Stai bene?» le chiese.
Rangiku la guardò, un po’ sorpresa, poi le sorrise. «Certo.» rispose e poi si lanciò in una lunga chiacchierata su cose divertenti, ma superficiali.
La giornata passò serena.
La campanella suonò e Rangiku salutò Soi-fon.
«Matsumoto.» la chiamò una voce maschile.
Rangiku si girò e vide Urahara-sensei guardala con quel suo solito sguardo apparentemente superficiale.
«Urahara-sensei.» ricambiò Rangiku con cortesia.
«C’è qualcosa che ti preoccupa?» le chiese. I suoi occhi ora mandavano lampi d’interessamento, opportunamente nascosto, ovviamente.
«Niente, sensei.» rispose Rangiku.
«Perché allora sei così nervosa?» le chiese sorridendo mentre s’appoggiava ad un banco con noncuranza. La luce del tramonto formava una strana visione del suo viso serio.
«Cosa glielo fa pensare?» chiese lei, mantenendo il suo controllo.
Non mi freghi. Sottintendeva e vedeva che il suo messaggio segreto era compreso.
«Se non vuoi parlarmene, va bene. Ero solo curioso.» rispose lui, abbozzando.
«Professore, lo sa che la curiosità è pericolosa? È meglio che la freni, non crede?» disse lei, provocandolo.
«Lo so, infatti ne sono già rimasto scottato; eppure non riesco proprio a trattenerla!» replicò lui con un sorriso furbo che scomparì subito sul suo volto dalle mille facce.
Gin doveva aver imparato da Urahara ad essere così ambiguo, come minimo! Pensò Rangiku con rabbia.
Poi sorrise rallegrata.
 
Passò un giorno, poi ne passarono altri, e di Gin non vide neppure da lontano la chioma argentata.
Davvero non voleva più vederla?
Ne sarebbe dovuta esser felice, d’altronde, non gli piaceva per niente Gin Ichimaru. Non gli piaceva quel suo sorriso viscido, quegli occhi socchiusi ed insinuanti, quel tono di voce sibilante e sensuale né gli piaceva il suo carattere contorto.
Eppure, avrebbe voluto…Cosa?
Non ne era certa nemmeno lei.
Mise su il broncio con quelle sue splendide e gonfie labbra ricoperte di gloss rosa.
Toushirou entrò nell’ampia stanza del Consiglio Studentesco, i capelli simili a neve, gl’occhi azzurri – che spesso tendevano ad un tenue verde – più freddi del ghiaccio.
Con espressione burbera si avvicinò alla sua scrivania e sbatté con forza sulla sua superficie lucida una pila di documenti.
Poi se ne andò, senza proferire parola, e si sedette in quella sua ampia poltrona che lo inghiottì con i suoi tessuti morbidi.
Appoggiò un braccio e sospirò.
Oh Oh, guai per Toushirou. Pensò Rangiku. Poi un sorriso tenero, quasi da sorella maggiore, le incurvò le labbra.
«C’è qualcosa che non va, Toushirou?» gli chiese, usando il suo nome completo.
«Rangiku, non sono affari tuoi.» rispose lui con un tono freddo, ma impaziente.
«Puoi dirmi tutto, lo sai. D’altronde, non per niente sono la tua vice, Presidente.» lo apostrofò lei con dolcezza.
«Ti ringrazio ma…»
Oh, così non va bene. Pensò Rangiku. Sapeva benissimo che Toushirou non era tipo da aprirsi facilmente, eppure, finora non l’aveva mai respinta così.
«Si tratta di Hinamori Momo, vero?» lo provocò lei.
Toushirou sobbalzò sulla sedia.
«Cosa ne sai tu di lei?!» esclamò. Il viso completamente rosso per via della rabbia e dell’imbarazzo.
«Hinamori Momo, sedici anni, è una matricola al primo anno, nonché tua amica d’infanzia per cui hai una cotta. Ah, ma lei non lo nota, giusto?» Rangiku sorrise leggermente.
Toushirou sospirò. «Ecco perché ti odio.» mormorò.
«Io invece ti adoro, Tou-chan.» obbiettò Rangiku. «Ora, vuoi dirmi che succede?»
«Lo hai già detto.» disse lui fissandola gelido mentre le guance s’imporporavano leggermente.
«Sei innamorato.» lo prese in giro lei.
Lui non negò né confermo. D’altronde che senso avrebbe avuto farlo?
«Le piace qualcun altro, vero?» disse lei, stupendo sé stessa.
«Un uomo di mezz’età. Bah, che ci troverà in uno come lui!» borbottò Toushirou, prima d’arrossire.
«Un giorno s’accorgerà di te.» disse Rangiku con voce seria. Lui la guardò con grande imbarazzo, poi distolse lo sguardo.
«Ma ora cambiamo argomento!» sbottò. «Hai già guardato quei documenti, Vice-presidente?» le chiese.
Lei raccolse la pila. «No, Tou-chan, ma lo farò subito.» disse sorridendo mentre li sfogliava.
«Bene. Ah, e Vice-presidente?»
«Sì?»
«Grazie.» disse.
Rangiku sorrise. «Di niente, Tou-chan.» gli rispose.
Toushirou fece per andarsene, ma si fermò sulla porta.
«Ah, e chiamami Presidente, Matsumoto!» la rimproverò poi se ne andò seguito dalla risata argentina di Rangiku.
 
 
La stanza era impregnata di un odore melenso, ma acre, come di qualcosa andato a male.
Gin non mostrò nessuna emozione né una particolare espressione quando una zaffata maleodorante raggiunse le sue narici.
Troppo spesso aveva sentito quell’odore, tanto spesso da essercisi abituato.
Quell’odore, era il maleodorante  e per niente delizioso profumo della morte.
Per la precisione, una morte violenta, questa volta.
«Sei stato bravo.» lo lodò Gin.
Due omicidi in due settimane, niente tracce o collegamenti.
Meglio di così? niente.
«Ora, quello che m’hai promesso.» disse l’uomo fissandolo con disgusto.
Gin sorrise. «Oh, certo.»
Poi estrasse la pistola in un mezzo secondo e sparò.
Centrò l’uomo dritto in fronte facendogli un buco fra le sopracciglia.
L’uomo cadde a terra. Niente rantolii, solo il sangue che sgorgava dalla ferita.
«Eccoti servito.» commentò Gin con divertimento.
Pulì la pistola dalle sue impronte e la mise nelle mani dell’uomo.
Così sarebbe sembrato un omicidio-suicidio. Poi posò a terra i fogli che Aizen gli aveva servito, prove sia contro il morto sia contro l’assassino.
Gin guardò schifato le carte che avrebbero incriminato i due, ovviamente, tutte false.
Aizen, spregevole bastardo calcolatore. Pensò furente. Si era aspettato questa mossa da lui, quindi non ne era rimasto minimamente sorpreso, ma il disgusto prese il sopravvento insieme ad un pizzico di ammirazione.
Su una cosa, d’altronde, non si poteva dargli torto: era elegante.
Sì, un’elegante macchinazione che avrebbe gettato fumo negli occhi della Polizia e avrebbe denigrato chiunque gli avesse dato fastidio.
Un vero colpo da maestro.
Gin si passò una mano sul volto contorto dal disprezzo.
Il suo vero volto, quello della vendetta, era venuto fuori, ma la sua mano lo copriva cercando di nasconderlo, di relegarlo nel suo io più interiore.
Respirò con calma, una, due, tre volte.
Un sorriso crudele gli solcava sul volto mentre occhi azzurri e feroci scintillavano, in attesa di qualcosa, qualcosa che reclamava sangue.
Riuscì a riconquistare la sua facciata di servo fedele e viscido.
Era troppo presto per scoprire le zanne.
Vederlo, dopo tutto il tempo che era passato, fu un colpo allo stomaco.
Qualcosa di simile al dolore, un calore strisciante.
Rabbrividì.
Gin era lì, osservava con noncuranza le persone mentre passavano.
Era seduto su una panchina, il lungo capotto nero, gli argentei capelli che gli ricadevano sulle palpebre pesanti, la bocca piegata in una smorfia sarcastica e crudele.
Gli si avvicinò convinta che Gin l’avesse già vista.
Gli si sedette accanto.
Lui non fiatò né tantomeno la guardò.
«Cosa ci fai qui?» gli chiese. La voce era più dura di quel che avrebbe voluto.
Lui non rispose.
Ovviamente…Pensò Rangiku.
«Non mi stavi evitando? Perché non scappi?» gli domandò fissandolo.
Lui si voltò verso di lei.
«Pensi che io stia scappando, Rangiku?» disse con voce tagliente
«Sì. Penso che tu ti stia nascondendo, Ichimaru.» lo sguardo tagliente.
«Hai ragione.» disse lui.
Lei lo guardò sorpresa.
Sembrava aver abbandonato quel tono mellifluo e falso.
«Cosa succede?» gli chiese.
«Sei sulla mia strada.» le rispose.
Non capì del tutto, eppure comprese in parte.
«E con ciò? Tu sei sulla mia.» rispose lei.
Non sapeva cosa stava dicendo…oppure sì?
Lui la fissò con gli occhi aperti.
Quell’azzurro gelido e gentile allo stesso tempo.
È lui.
«Eri tu.» disse.
Gin non si mosse, non annuì né smentì, si limitò a fissarla.
Poi si alzò. «Dove vai?» gli chiese lei.
«Non ti deve importare.»
«Senti, tu…»
«Stai attenta, Rangiku.» disse Gin senza specificare. Poi le sorrise di quel suo sorriso falso e viscido e riabbassò le palpebre.
“Cosa vuoi dire con “stai attenta”?” avrebbe voluto chiedergli, ma Gin era già sparito.
Rangiku sospirò e poi, dopo essersi alzata, prese la via che la portava a casa.




--- Ciao a tutti!
Mi scuso per il ritardo nell'aggiornare ma non sto molto bene! :)
Sono stata davvero felice per le molte recensioni ricevute!
Vi prego di continuare così!
Aggiorno nel giro di una settimana e più in fretta a seconda delle recensioni.
Detto tutto, al prossimo capitolo!
xx Giò

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 9: Festival ***


Capitolo 9:
Festival

 
 
Dopo aver capito che era Gin quel giorno, Rangiku si sentì improvvisamente più serena, come se un peso le fosse stato tolto dalle spalle.
Si chiese mille e ancor mille volte il perché non l’avesse riconosciuto subito.
Eppure, fin dal primo istante, qualcosa era scattato in lei. Perché non si era fidata di sé stessa e del proprio istinto?
Forse perché molte, troppe volte e quella in particolare, l’avevano portata su un sentiero fatto di dolore e rammarico.
Troppi.
Rimpianti, eh.
Rangiku rimpiangeva tante cose eppure sapeva che presto se ne sarebbe dovuta liberare.
Superare il tutto era stato semplice, il difficile era dimenticare.
Dimenticare un ricordo felice è troppo facile mentre quelli più difficili sembrano incidersi, anzi, tatuarsi mente, nel corpo…in te.
Rangiku era stata tatuata e quella ferita non sarebbe più scomparsa. Eppure, mentre chiudeva gli occhi ripensando a Gin, non si pentì.
No, non provò il solito rammarico, ma bensì un calore simile alla gratitudine ed un pizzico di curiosità.
Perché era lì quel giorno? Perché non aveva detto niente?
Perché non glielo aveva detto? Avrebbe mai potuto dirgli grazie?
Decise di mantenere quella sua facciata calma e serena, almeno a scuola e a casa. Con Gin…non sapeva come avrebbe reagito a lui.
La sera prima l’aveva avvisata.
“Sei sulla mia strada”. Aveva detto.
E poi le aveva rivolto un ammonimento. “Stai attenta.”
A cosa?
Rangiku non lo sapeva di certo.
Oggi sarebbe dovuta andare a scuola più tardi poiché c’era il festival scolastico e lei avrebbe dovuto aiutare Toushirou e gli altri membri del consiglio studentesco.
Decise di andare al dojo ed esercitarsi nei kata che stava ancora imparando.
«Rangiku, oggi sei qui.» l’accolse una voce sensuale e femminile.
Si girò e la vide nella sua solita tenuta nera.
Yoruichi, la sua maestra in molte arti marziali, era bellissima.
Aveva un colorito scuro ed occhi scintillanti da gatta che – grazie a lunghi capelli e al suo muoversi silenzioso – le dava un che di felino.
Inoltre era fortissima e in molti la rispettavano; tanto da chiamarla “Dea”.
“Dea di che cosa?” s’era chiesta la prima volta Rangiku e a ben ragione. Yoruichi era ad un livello colossale in molte cose.
Non serviva dire che gli uomini le moriva praticamente dietro.
Rangiku arricciò le labbra. «Niente lecca-piedi oggi?» scherzò lei.
Yoruichi sorrise. «No, già mandati via tutti.»
«Ne accetterai mai uno? Alcuni sono davvero carini!» rise lei.
«Non credo. Sono dei bambini in confronto a me. Non più di ragazzini.»
«Hai ragione anche su questo.» ammise Rangiku.
«Sei qui per allenarti?» le chiese.
«Sì, vorrei fare un po’ di esercizio sui kata e magari qualche calcio.» la informò.
«Mi sembra un’ottima idea.» rispose Yoruichi.
Per l’ora successiva si allenarono, la sua maestra la pressò, l’ammonì, gli insegnò e la incoraggiò.
Era davvero brava. Pensò Rangiku con una punta di invidia.
Anche una bella ragazza come lei provava invidia per altre a volte.
Chi credeva che l’aspetto fosse tutto era un imbecille e chi credeva che aveva un bell’aspetto facilitasse le cose… bè dire che “deficiente” non era abbastanza chiariva il concetto.
Alla fine Rangiku era impregnata di sudore, tutto il suo corpo era bagnato e sudaticcio e con suo estremo piacere.
Amava lo sforzo fisico e sebbene non amasse il sudore – e l’odore che portava con sé – la faceva sentir meglio il solo sentirlo sulla pelle.
Si asciugò con una asciugamano il viso e ringraziò Yoruichi prima di andarsi a cambiare.
 
Quando tornò fuori vide qualcosa che non s’aspettava.
Vide Yoruichi fissare un uomo intensamente e con rispetto.
L’uomo era di spalle e lei non lo poteva veder bene da dov’era.
Aveva un capello a strisce bianche e verdi ed indossava – probabilmente – un hakama di un color simile al verde chiaro.
Riconobbe solo dopo qualche minuto quel capello stravagante.
L’uomo era Kisuke Urahara.
Emise un gridolino di sorpresa, ma si tappò subito la bocca.
Dentro di sé rideva incredula.
Mise su una faccia da poker e se ne uscì.
Il professore la notò, ma come s’aspettava Rangiku non le disse niente.
L’aveva beccato. Ed ora Urahara avrebbe di certo programmato qualcosa per farla stare zitta.
Strinse le labbra.
L’allegria di poco prima era svanita eppure si sentiva ancora un poco felice per la sua scoperta.
Poteva essere una carta a suo favore.
 
“Stai attenta.”
Quel richiamo l’aveva scombussolata.
Di che parlava?
A chi doveva stare attenta?
A cosa?
Nemmeno l’allenamento dell’ora prima era riuscita a distorcerla dal pensare a quella frase di due semplici parole.
Gin.
Doveva ancora capirlo e la sensazione di pericolo che provava in sua presenza non s’era attenuata neanche per un secondo.
Però aveva iniziato, anche se solo un poco, a fidarsi di lui.
Gin era riluttante e bugiardo, l’aveva capito fin dal primo momento.
Probabilmente aveva un carattere molto contorto quasi quanto i suoi stessi pensieri.
Eppure, qualche volta, sembrava brillare di una luce strana.
Appariva diverso.
Ma poi tornava quel suo volto, quegli occhi coperti, quel sorriso viscido.
 
Arrivò finalmente a scuola.
Toushirou le diede subito un compito: doveva occuparsi della sicurezza e della polizia.
Corse all’entrata della scuola dove trovò un gruppo di poliziotti pronti ad ascoltarla.
Li fissò un attimo alla ricerca di una chioma argentata che però non vide da nessuna parte.
Sospirò, un po’ delusa, ma poi sorrise a quegli uomini in divisa.
Molti si irrigidirono o diventarono rossi, all’improvviso nervosi di fronte a Rangiku, una ragazza che sembrava una dea tanto era bella.
Spiegò ai poliziotti dove posizionarsi, chi controllare e dove erano le uscite e le entrate dei vari intrattenimenti.
Con un sospirò di stanchezza li lasciò organizzarsi.
Alla fine fecero un ottimo lavoro ed il festival iniziò.
L’aria crepitava e gli schiamazzi generali era tutti intrisi di note d’allegria.
Sarebbe stata una lunga giornata. Si disse Rangiku.
 
La prima pausa era arrivata poco dopo l’ora di pranzo. La gente era diminuita, però presto sarebbe di nuovo aumentata.
Rangiku ne approfittò per andarsi a prendere una bibita fresca.
Era corsa in giro per la scuola per ore e si sentiva molto stanca nonostante fosse abituata alla fatica.
Sentì il formicolio del dolore e si rallegrò. Non gli piaceva essere stanca, ma gli piaceva aver fatto quello che doveva fare.
Come sempre.
Si girò e vide una figura maschile avvicinarsi a lei.
 
 
 
Gin scrutò il luogo.
Un tempio abbandonato sorgeva in mezzo ad una piccola foresta d’alberi; il legno era di un colore scuro e mandava un leggero odore di muffa.
Le assi erano scostate ed alcune mancavano completamente o erano rotte oppure erano state mangiate dai tarli nel tempo.
Entrò dentro al tempio.
Lui era lì.
Le statue dei vari dei e santi lo guardavano con i loro occhi immobili.
Gin espirava e respirava emettendo un sibilo di qualcosa simile al dolore. Quel posto gli portava alla mente ricordi che con tutto sé stesso aveva cercato di cancellare.
Ricordi di notti fredde, di sangue, di violenza.
Memorie riaffiorate da un cupo buco nella sua mente, ma mai dimenticati.
Sottomise i ricordi a sé e cominciò la ricerca. Trovò una botola sotto la statua del Buddha e scese.
I gradini scricchiolavano sotto i suoi passi.
Un leggero odore simile al solforo ed ad il disinfettante lo raggiunse.
Assottigliò lo sguardo e accennò ad una smorfia di soddisfazione.
Li aveva trovati.
Alla fine della scala trovò una porta nera socchiusa.
Entrò.
Due uomini gironzolavano in torno al tavolo, occupati a costruire qualcosa.
Altri due sedevano, uno dormiva su una poltrona.
Urlarono quando lo videro, ma non furono abbastanza veloci.
Freddò i primi tre con la pistola, gli ultimi due se li tenne per sé.
Uno lo uccise subito, l’altro lo iniziò a torturare.
«Dimmi tutto quello che sai.» gli ordinò.
L’uomo non rispose e Gin gli ruppe il braccio nel modo più doloroso possibile.
L’uomo urlò. «Dimmi tutto.» ordinò di nuovo Gin.
Il tizio non rispose fissandolo con occhi pieni d’odio.
Gin sorrise.
Non sapeva nemmeno cosa gli aspettava.
Si sarebbe goduto ogni singolo momento.
Il suo sorriso spuntò fuori, crudele e feroce.
L’uomo sbiancò.


--- Ciao Ragazzi!
Mi scuso per il ritardo nell'aggiornare, ma sto facendo i recuperi a scuola,
ergo non ci sarò per una settimana circa.
Aggiorno a tre recensioni e ci vediamo nella prossima settimana!
A presto,
xx Giò

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Capitolo 11
*** Capitolo 10: Sentimenti ***


Capitolo 10 :
Sentimenti
 
 
Aveva finalmente ottenuto qualcosa.
Gin sorrise soddisfatto all’idea del passo avanti appena compiuto.
Dopo anni stava finalmente avanzando e, se conosceva bene queste cose come lui pensava, le ultime fasi del gioco si sarebbero svolte ancor più velocemente.
Mancava poco.
Doveva assolutamente prepararsi alla fine se voleva uscirne vincitore.
Affilò lo sguardo ed osservò ogni muro, ogni asse di legno, ogni pavimento, in cerca di un qualche nascondiglio.
Nessuno.
Non nascondevano niente. Si diresse verso il luogo che l’uomo gli aveva indicato e spinse leggermente la tavola che scricchiolò e poi si aprì senza alcuna fatica da parte sua.
Sotto i suoi occhi una grande valigetta nera. La tirò fuori e l’aprì.
Trovò tutto quello che stava cercando un momento prima.
Sorrise soddisfatto mentre i suoi occhi azzurri e ghiacciati scansionavano il contenuto.
Infine richiuse la valigetta e se ne andò lasciando un mare di cadaveri e nessuna traccia del suo passaggio.
 
 
«Rangiku.» sibilò. Non sapeva nemmeno lui perché era andato lì dopo aver nascosto la valigetta.
Non conosceva la ragione per cui l’aveva cercata, né tantomeno perché si fosse diretto verso di lei dopo averla scorta.
E questo non andava bene.
«Gin.» ricambiò lei. I suoi occhi azzurri lo fissavano con molteplici sentimenti.
C’erano ostilità ed incredulità nel suo sguardo, ma niente avrebbe potuto cancellare la gentilezza tipica del suo carattere da essi.
«Sei ancora una bambina, dopotutto.» la provocò.
«E tu altrettanto, signor Ichimaru.» ricambiò lei storcendo la bocca in un moto di tristezza e rabbia.
Era così semplice da capire…come faceva, quindi, a capire lui?
Lui che si mascherava di mille e più maschere e che s’avvolgeva nel mistero e nell’inganno?
«Come fai?» le chiese.
«Cosa?» domandò Rangiku.
«Tch, lascia perdere.» schioccò la lingua lui; poi le sorrise volgarmente.
«Sei sempre così lunatico.» borbottò lei.
Lui ridacchiò. «Sé.» rispose maleducatamente.
«Oggi non hai voglia di fare il lecchino?» chiese lei con un sorriso mellifluo sulle labbra.
Il suo aspetto era pressoché angelico, eppure Rangiku non era per niente carina a volte…
Ma si ritrovò a ridacchiare. «Rangiku…» mormorò poi toccandogli delicatamente i capelli.
Lei lo osservò coraggiosamente, ma il suo petto rimase fermo e la sua bocca spalancata in cerca d’aria.
Lui si rese conto del suo gesto e mollò la ciocca dorata tra le sue mani con un gesto brusco quasi fosse fuoco e si stesse scottando.
«Non dobbiamo più vederci, ragazzina.» sibilò.
«Ma lo faremo comunque, detective.» mormorò lei un po’ confusa.
«No.» ribatté lui. E poi se ne andò con quel sorriso viscido stampato sul volto.
Avrebbe dovuto trovare il modo.
Avrebbe dovuto farsi odiare da lei, così che lei gli stesse lontano una volta per tutte.
 
Ichimaru Gin.
Di nuovo.
Sospirò platealmente sentendo un macigno sul petto. Perché insisteva nell’idea del non vedersi?
Ma, d’altronde, che importava a lei se non si vedevano?
Lei lo disprezzava quel Gin.
Era un infido serpente.
Un ingannatore nato.
Ma quel giorno l’aveva coperta.
L’aveva guardata con interesse e gentilezza.
L’aveva aiutata.
Perché?
Non capiva, Rangiku. Non capiva veramente.
Sospirò, ma il anche il solo respirare le pareva difficile. Si appoggiò alla prima panchina con la testa che gli girava vorticosamente.
Il respiro si fece più veloce ed una sorta di panico la prese.
Boccheggiò, poi svenne e tutto si fece nero.
L’ultima immagine che gli comparì prima del nero fu il volto di Gin mentre le accarezzava i capelli.
Sembrava assorto e rilassato, come se per un momento o l’altro stesse per sorridere.
 
 
La ragazzina dai lunghi capelli neri lo osservò con ammirazione ed amore.
Osservò i movimenti del suo corpo, i lineamenti ingannevolmente dolci del suo viso, i capelli castani e gli occhi dolci ed intelligenti.
Stava parlando con una segretaria illustrandole le sue richieste ed il lavoro che gli richiedeva di fare ed essa lo guardava con felicità e rilassatezza, come se invece d’essere davanti al suo capo, ad una persona importante come lui, fosse davanti ad un amico.
Lui possedeva un’aria rilassante, per questo le piaceva.
Era differente da tutte le altre sensazioni mai provate prima.
Perfino quando era vicino al suo migliore amico non si sentiva così calma.
Eppure sentì il suo cuore battere velocemente e la sua bocca emettere sospiri strazianti e teneri al tempo stesso.
Era indubbiamente ed assolutamente innamorata di lui.
Si sarebbe sempre fidata e sempre l’avrebbe difeso dalle malelingue.
Lui finalmente alzò il suo sguardo su di lei e le sorrise dolcemente.
Si alzò e salutò la segretaria.
Lei si spostò dalla colonna.
Le appoggiò una mano su una spalla facendola sorridere ed esplodere dentro di sé di contentezza.
«Grazie per avermi aspettato. Ora andiamo, Momo?» le domandò con quella voce dolce ed affascinante mentre la fissava con quei suoi occhi marroni un poco nascosti da due lenti ed una montatura nera.
«Sì, Aizen-sama.» rispose lei arrossendo.
Si sarebbe sempre fidata di lui. Si ripeté dentro di sé.
 



--- CIAO A TUTTI :)
Finalmente sono tornata a casuccia mia ed ho potuto scrivere questo capitoletto.
Prima che me lo scriviate: Lo so che è più corto del solito e di questo mi dispiaccio, ma giuro che la prossima volta proverò a farne uno più lungo o un piccolo extra nella storia che ho in mente da un po' di tempo.
Detto tutto, alla prossima!
Aggiorno a tre recensioni minimo ed una volta alla settimana (se graziata da ispirazione e pochi compiti scolastici).
A presto,
xx Giò

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 : Stallo ***


Capitolo 11 :

Stallo

 

 

«Non pensi che le cose stiano degenerando?» domandò Rangiku.

Soi-fon scosse la testa e un sorrisetto comparve sul volto solitamente impassibile.

«No. Ti ho già detto come la penso, ma tu non vuoi darmi ascolto.» rispose con voce calma.

«È impossibile, ecco perché non ti do ascolto!» ribatté Rangiku.

«Ma è andata via con lui.» replicò Soi-fon.

Rangiku sospirò. «Spero davvero che non sia così, altrimenti Tou-chan né risentirà.»

Soi-fon le rivolse di nuovo quel sorrisetto enigmatico.

La loro amicizia era piuttosto strana, ma in qualche modo era durata negli anni.

Lei e Soi-fon erano come il sole e la luna; erano diverse nel modo di comportarsi e nel modo di pensare.

Però non avrebbe saputo dire chi fosse la luna e chi fosse il sole tra loro due.

L’aveva conosciuta due anni dopo quel giorno nel dojo di Yoruichi.

Soi-fon venerava Yoruichi come una dea.

Le legava il fatto che Soi-fon fosse stata adottata dalla famiglia di Yoruichi e fosse tecnicamente sua sorella minore.

Lei era stata una sorella maggiore molto premurosa – lo era tutt’ora – ed aveva cercato di insegnare alla sorella minore acquisita il più possibile oltre a darle il buon esempio lei stessa.

Il rispetto e l’affetto che le legava trasparivano dalle timide parole di Soi-fon.

Rangiku invidiava un po' il loro rapporto così stretto, eppure aveva la sensazione che quel rapporto non fosse semplice come sembrava, bensì più complicato.

Soi-fon era testarda, come sua amica aveva più volte assistito a questo lato del suo carattere.

«Ti saluto qui.» disse Rangiku con un sorriso mesto.

Soi-fon sorrise leggermente ed annuì.

Rangiku prese il crocevia per arrivare nel suo quartiere.

 

Gin non capiva come fosse possibile.

Il suo essere aveva già rifiutato quella ragazza, eppure, ora si ritrovava a guardarla tornare a casa.

Non era preoccupato per lei, ma dentro sentiva una sensazione calda. Guardarla lo scaldava.

E lui odiava il freddo, quel freddo che sembrava pervadergli l'animo da sempre.

Socchiuse gli occhi azzurri nella luce del tramonto che irradiava il crocevia.

I capelli dorati di Rangiku brillavano di luce propria, rendendola abbagliante.

Era la sua forza a renderla così bella?

Si diede del smidollato, dello stocafisso.

Si insultò e denigrò in vari modi nella sua mente.

E si sentì disgustato da sé stesso. Non era tipo da sentimentalismi.

Il cellulare squillò.

Era quel cellulare.

«Hai fatto?» chiese una voce.

«Sì.» rispose.

«Tutto?» insistette la voce.

«Tutto.» ribatté. Dentro di sé era scocciato.

Se non aveva ancora fiducia in lui il suo piano non si sarebbe potuto attuare.

«Ci vediamo al parco, alle undici ed un quarto, porta un cappotto grigio chiaro e segui la luce.» disse la voce.

Gin annuì.

Sapeva che quel cellulare non sarebbe potuto esser usato contro di lui poiché usa e getta come quello che, con tutta probabilità, lo aveva chiamato lui.

Osservò Rangiku, indeciso sul seguirla ancora.

Voleva che tornasse a casa senza intoppi.

Prese la decisione di pedinarla ancora un po'. D'altronde lo faceva solo per i suoi piani.

Se la ragazza avesse deciso di cercarlo avrebbe interferito nel suo progetto, nella sua vendetta. 









---- Salve a tutti!
Lo so che è un capitoletto un po' corto, ma non disperatevi! Ho una sorpresina che entro domani dovrei pubblicare! ;)
Mi spiace per non aver aggiornato per molto tempo, ma ho avuto problemi a casa.
Aggiorno a tre recensioni ;)
(Sì, vale anche per la sorpresina eh ! Non deludetemi ;; )
A presto!
xx Giò

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Capitolo 13
*** Capitolo Extra: Un giorno da Dio ***


Capitolo Extra 

Un giorno da Dio


Urahara Kisuke quel mattino si alzò di malavoglia.
La brezza primaverile entrava dalla finestra e dava alla stanza un che di vitale, vivo, fresco; eppure quel mattino Kisuke si sentiva tutt'altro che di buon umore.
Per la verità, Kisuke era genio acclamato da tutto il mondo ed una persona conosciuta per la sua eccentricità, il mattino aveva sempre la pressione bassa e quindi si alzava come uno zombie e si strascinava per casa – alla ricerca di un bagno perduto che non ricordava dove fosse – con una disposizione al parlare nulla.
Riuscì infine a trovarlo e, dopo essersi preparato con gran calma, scese al piano terra. 
Ururu e Jinta, due ragazzini che aveva raccolto dalla strada anni prima, dormivano tranquillamente e Tessai, l'uomo che gli faceva sia d'assistente persone che da manager e tata per i due mocciosi, stava preparando un bento canticchiando una canzone dei Queen.
«Buongiorno Urahara. È strano vederti alzato a quest'ora del mattino.» sorrise Tessai sentendolo camminare dietro di lui.
«Non è una cosa simpatica quella che hai appena insinuato, Tessai.» rispose Urahara sventolando il suo caro ventaglio e sfoggiando un stanco sorrisetto furbo e misterioso.
«A proposito, Tessai, hai visto il mio capello?» gli chiese.
«Sopra al tavolo in salotto. Ieri era così euforico da dimenticarlo lì.» ribatté il suo manager proseguendo alla preparazione del pranzo.
«Ohhh. Grazie.» Preso il suo cappello si sentì meglio, quindi se lo pose sulla testa e prese il tanto amato, quasi quanto il capello, bastone.
Uscì di casa e si incamminò verso una strada piena di alberi.
Le foglie, staccate dai rami dal vento, planavano lentamente a terra, trasportante dalla leggera brezza che prima le aveva tolte all'albero.
Appoggiato ad un albero c'era un ragazzo dai capelli arancioni, colore simile alle foglie d'autunno.
Spiccava con quella sua corporatura atletica, quel suo bel volto mascolino, e quei suoi occhi determinati, ma al momento cupi.
Urahara lo vide e sorrise sotto i baffi.
Nascose la sua espressione e gli si avvicinò. «A cosa pensi, Kurosaki?» gli chiese.
Ichigo non si scompose minimamente. «Non lo sa già, Urahara?» rispose.
Quel ragazzo riusciva sempre a farlo divertire.
«Possibile.» gli concesse Urahara. «Come sta Rukia?»
«Energica.» ribatté Kurosaki con un sospiro.
«Fin troppo?» rise piano lui.
«“ohohohohoho”» rise imitando il maestro esorcista della televisione che Rukia tanto amava imitare, solo per dare fastidio a lui, ovviamente.
«Ti prende ancora in giro, a quanto vedo.»
«Come fa Yoruichi con lei.» rispose Ichigo senza malizia.
Il colpo però andrò dritto ed a segno.
«Stammi bene, Kurosaki. E non ti preoccupare.» gli disse.
Ichigo annuì. Il suo sguardo, sebbene ancora malinconico, sembrava già più vivo, più leggero.
«Un giorno dovrà svelarmi i suoi segreti, Urahara-sensei.»
fu il saluto di Ichigo.
Kisuke salutò alzando il suo solito bastone da passeggio.

Proseguì la passeggiata e, dopo aver attraversato tutto il parco, si diresse in un posto che conosceva bene: il dojo di Yoruichi.
Entrò e la vide lì, ad esercitarsi nelle varie mosse di karate, judo e svariate arti marziali con estrema grazia e velocità.
«Non ti unisci a me, Kisuke?» gli domandò lei con un sorriso aperto ed un luccichio malizioso negli occhi dorati.
«No, grazie. Non sono minimamente veloce come te.» rispose lui, sorridendo a sua volta.
«Non sarai veloce, ma sei più potente. Per quanto ancora continuerai la farsa dell'uomo innocuo? Dell'insegnante, sopratutto.» disse Yoruichi balzando al suo fianco in un attimo.
Kisuke si limitò a sorridere fissandola negli occhi.
I suoi grigio-verdi in quelli dorati di lei. 
Yoruichi scosse la testa con un sospiro, abituata a leggere e non leggere le cose nello sguardo di lui.
«Posso offriti qualcosa?» le domandò.
«Dell'alcool andrà più che bene.» rispose lei leccandosi le labbra in un gesto sensuale e felino.
«Pranziamo, visto che ci siamo. E' quasi l'ora.» 
Yoruichi accettò con piacere.
Kisuke la portò in un ristorante di pesce dove lei mangiò avidamente.
Il pesce era il suo cibo preferito; le piaceva sia cotto che fritto e andava matta per quello rosolato.
La vide leccarsi le labbra e le dita dopo aver completato il pasto e sentì quella solita sensazione nella bocca dello stomaco.
Le sorrise quando lei lo fissò con quei suoi occhi dorati e profondi. 
Lei ricambiò con un sorriso malizioso. 
«Non dovresti invitarmi in un hotel, ora, Kisuke?» lo prese in giro.
«Non credo di essere in grado di soddisfare una donna affamata come te, Yoruichi.» rispose lui affabile.
Ridacchiarono un po' di quegli scherzi di mille e più sensi. 
Erano amici da così tanto tempo che tra loro si era creata una sorta di affinità ed intimità simile a quella delle coppie sposate.
Alla fine riaccompagnò Yoruichi al dojo.
«Ora vado.» disse Kisuke.
Yoruichi gli posò velocemente un bacio sulle labbra.
E lo fissò con espressione soddisfatta vedendolo arrossire leggermente.
«Alla prossima.» lo salutò. «E grazie per il pasto!» si leccò le labbra prima di andarsene con quella sua solita eleganza femminile. 
Kisuke ridacchiò e se ne tornò a casa sentendosi come quel Dio a cui spesso lo paragonavano. 

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