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Il mio nome è Evelyn, non vi posso dire molto altro su di
me. Perché? Semplice, sono in una guerra in cui la segretezza è la cosa più
importante. Come cognome potrei usarne uno qualsiasi, ma per alcune cose
sceglierò uno molto semplice: Shadows, con questo cognome verrò conosciuta
d'ora in poi. Pensavate forse che gli Yeerk fossero dei duri avversari? Allora
non avrete speranze con questi. Come si chiamano? Semplice, loro non si
chiamano, cioè, si fanno chiamare "Padroni", "Dominatori",
"Signori", ma io ho cominciato a chiamarli in un modo diverso: per me
sono "Pulisi", dal triestino, che ho avuto modo di imparare, che
significa "Pulci" perché non sono altro che parassiti della mente.
Ho cominciato dicendovi il mio nome, vero? Come cognome
sceglierò uno che mi potrà ben che rispecchiare: Shadows. Be', qualcosa in più
posso dirvelo: facevo diverse cose nel mio tempo libero, spaziavo dallo judo
allo scoutismo al clarinetto, nulla d'importante, se si è figli di spie; ah,
naturalmente, grazie al fatto d'essere figlia di spie, andavo anche al poligono
di tiro, ero tra i migliori cecchini del circolo.
A quindici anni, però, scoprii la mia vera natura…
Una villetta nelle Highlands scozzesi.
- Come, mamma, un altro day hospital?- chiesi.
- Sì, vogliono accertare dei parametri.- rispose lei,
sorridendo.
- Uffi, però, l'ultima volta sembravo una drogata.-
Certo, mi andava bene perdere delle ore di scuola a maggio,
ma quello era il quinto day hospital in due settimane e, per giunta, in cinque
ospedali diversi: il primo nelle Highlands scozzesi, dov'ero nata e cresciuta,
il secondo a San Francisco, il terzi a Parigi, il quarto a Mosca e il quinto
ancora non lo sapevo. Potevo dirmi dotata del dono dell'ubiquità.
- Dove andiamo, stavolta?-
- Al Cattinara di Trieste, in Italia.-
- Grandioso.- feci, sarcastica.- Il prossimo lo facciamo a
Taiwan?-
- Su, prepara la valigia e andiamo.-
- Agli ordini, mamma.- risposi.
Andai in camera mia e chiusi la valigia nera, ultimamente
sempre pronta per i vari spostamenti. La sollevai e la portai fuori, pesava non
poco e mi chiedevo cosa mia madre avesse aggiunto mentre m'intrattenevo con mio
fratello, che vidi appena uscii. Mio fratello si chiamava Alexander e aveva otto
anni, aveva corti capelli neri, occhi azzurri e una carnagione molto chiara,
indossava il grembiule blu di scuola, anche lui era nato nelle Highlands.
Osservai un'ultima volta mia madre, si chiamava Mariam: corti capelli castani
ricci, occhi azzurri e una pelle un po' abbronzata, lei era originaria di
Londra e aveva quarantadue anni, indossava un grembiule bianco sopra a dei
vestiti per casa. Io ero molto simile a lei: fluenti capelli castani lisci,
occhi azzurri e una carnagione rosea, quasi bianca, ed ero originaria, come
Alexander, delle Highlands, indossavo la mia divisa da college.
- Evy, chi resterà se anche tu vai via?- mi chiese.
- La mamma e il papà, Alex, questa volta vado via solo io.-
gli sorrisi.- Sei un ometto, ormai, non piangere.-
- E chi piange!- sbottò, punto sul vivo.
Ridacchiai piano e salutai lui e mia madre, salendo in auto,
un'anonimia auto nera che avevamo da tre anni, mettendo dentro il bagagliaio la
valigia. Mio padre regolò lo specchietto, osservandomi attraverso quello. Mio
padre si chiamava George e aveva quarantacinque anni, occhi azzurri, capelli
lisci e mori, carnagione chiara e portava gli occhiali ed era in giacca e
cravatta. Partimmo quasi subito
- Senti, papà, come arriverò all'ospedale? Se ricordo bene
non ci sono aeroporti civili che a Ronchi dei Legionari.-
- C'è un aereo militare che ti aspetta poco distante da qui,
ti porterà direttamente nella provincia e lì ci sarà una macchina ad
aspettarti. Credi in Dio?-
- Che domanda è, papà? So che Dio non esiste perché, se fosse
mai esistito, non avremmo mai patito gli Yeerk malvagi.-
- Eppure la tua migliore amica è una Yeerk.-
- Discende dai ribelli, papà, in lei non c'è il seme
malvagio.-
- E se cominciasse a comportarsi malvagiamente?-
- Cercherei di riportarla sulla retta via e tenterei finché
non sarò o morta o riuscita nel mio intento. Perché tutte queste domande?-
- Io e te non abbiamo mai avuto un vero dialogo e sto
tentando di farti capire che la minaccia sta per tornare.-
- Minaccia? C'è l'esercito, ci sono gli Andaliti, gli
Hork-bajir, e ci siamo noi.-
- Abbiamo ricevuto notizie che una navetta si è schiantata
nel Pacifico, una navetta che non abbiamo ancora riconosciuto, nessuno è
riuscito a riconoscerla. Sono stati i pezzi, ma non gli occupanti.-
- E io che c'entro con tutto questo? Ho il diritto di sapere
il perché di tutti questi day hospital in tante e tanto diverse nazioni, no?-
- Te lo devo dire, anche se avrei ritardato il più possibile
questa verità: il tuo genoma è molto diverso dal mio e da quello di tua madre,
ha una facilità impressionante di cambiare.-
- Quindi?-
- Appena vedrai un animale, toccalo e concentrati su di lui:
diventerai ciò che hai toccato.-
- Come gli antenati?-
- No, meglio: potrai passare da una forma all'altra senza
tornare umana e riposarti e potrai stare quanto tempo vorrai.-
- E tu come lo sai?-
- Ero presente agli esperimenti sul tuo sangue, nemmeno tua
madre lo sa.-
Rimanemmo in silenzio e raggiungemmo l'aeroporto militare.
La macchina si fermo praticamente sotto un F-18/hornet e scesi, trascinandomi
dietro la valigia.
- Colonnello O'Hara, ecco qui il suo passeggero.- disse mio
padre al pilota, mentre mettevo la valigia nel vano delle bombe da scaricare in
volo.
- Piacere di conoscerla, signorina Shadows. Partiremo
subito, vada a mettersi la tuta da volo.-
Andai negli spogliatoi femminili e mi cambiai, tirandomi via
la divisa del college e mettendomi la tuta da volo, con il casco in testa ben
allacciato. Quando tornai, vidi che mio padre se n'era già andato e che il
colonnello mi aspettava a bordo dell'aeroveicolo.
- Signore, potrei pilotarlo?- chiesi, sedendomi nel secondo
posto.
- Ha già pilotato?-
- Nei simulatori di volo non mi schiantavo nemmeno nelle
condizioni più avverse.-
- Aspetti che effettui il decollo e dopo, quando saremo in
quota, glielo lascerò.-
- Grazie, signore.-
Ospedale di Cattinara, Trieste, qualche giorno dopo.
- Confermo tutti gli altri test.- disse un medico al
colonnello, in mia presenza, di solito mi lasciavano da qualche parte in modo
che non sentissi.
- Allora c'è solo una cosa da fare.- rispose il colonnello.-
Lei, e quanti altri ci hanno visto qui, dimenticherete che siamo stati qui.-
Il colonnello schioccò le dita e il medico rimase per un po'
imbambolato.
- Venga con me, Shadows, partirà subito per l'area 51, dome
nei prossimi due anni studierà come usare le sue potenzialità.-
- Mi perdoni la domanda, come farò con la scuola?-
- Ufficialmente è inserita nel liceo Cassie di Pielungo,
nella sperimentazione di scienze ma in nessuna classe, giusto per confondere un
po' le acque. Ora andiamo.-
E fu così che iniziò la mia avventura, a quindici anni di
vita e in volo verso la zona proibita: l'area 51.
Il mio nome è Aysleen, ma i miei pochi amici preferiscono chiamarmi
semplicemente Leen
Il
mio nome è Aysleen, ma i miei pochi amici preferiscono chiamarmi semplicemente
Leen.
Non chiedetemi il mio cognome, perché non ve lo dirò né vi
fornirò più informazioni del necessario su di me. Non è sicuro, di questi
tempi, parlare troppo, soprattutto per una persona come me.
Non parlerò mai, neanche sotto tortura, e questi bestioni
di militari non sapranno nulla da me, a meno che loro non mi spieghino che cosa
diavolo vogliono da me.
A dire il vero, io lo so che cosa vogliono o, perlomeno, a
che cosa puntano, ma non so a quale scopo. Non mi parlano quasi, questi
energumeni del governo, ed io meno di loro.
Insomma, ma vi pare giusto che una studentessa
universitaria venga portata con l’inganno nei pressi di un’area militare dal
suo stesso docente di botanica e costretta a seguire con la forza una
quindicina di uomini armati fino ai denti? Non che sia una di quelle inermi
ragazze pelle e ossa, con grandi e lacrimosi occhi azzurri, che si arrendono
non appena uno alza la voce, ma quindici uomini ultrapalestrati, con certi
muscoli che per poco non strappano le loro camicie verde oliva e stivaloni
lucidi, che ti puntano addosso un fucile ed hanno alla cintura tre granate a
testa…
Non vi starò a tediare con i dettagli. La conclusione è
che adesso sono chiusa in una tipica cella, senza nessuna uscita tranne
quell’odiosa porta dotata solo di uno sportello da cui far passare i pasti, che
io non accetto per timore di qualche “brutto scherzo” di questa gente.
Lo so, sono estremamente diffidente, ma non posso fare altrimenti.
Io sono fatta così. Non mi fido di nessuno, men che meno delle persone.
Sono sempre stata molto scostante, fin dalla più tenera
età. Mi chiamano tuttora “Miss Ghiacciolo” all’università, ed io mi limito a
far finta di non sentire. Sarò gelida come la mia terra, ossia l’Alaska, poco
espressiva e dallo sguardo che fa rabbrividire, ma sono anche in grado di
accendermi.
Uno sgarbo poco più marcato oppure uno scherzo cretino
ripetuto più volte… ed ecco SuperLeen all’attacco. Non ho mai studiato arti marziali
o difesa personale, ma sono perfettamente in grado di mettere ko un tipo grosso
il doppio di me.
E poi… io sono speciale. Anzi, specialissima. Sono in
grado di entrare in metamorfosi, come i ragazzi che più di mille anni fa hanno
combattuto per difendere il nostro pianeta dagli Yeerk.
Ricordo la prima volta che accadde. Avevo poco meno di
dieci anni ed ero poco fuori città con Spiz, il mio primo vero amico, un grosso
cane samoiedo, quando lui arrivò.
Era un grosso, feroce lupo, e ci attaccò. Se non fosse
stato per Spiz, a quest’ora sarei morta. E se non avessi acquisito
involontariamente, in uno dei miei ingenui giochi di bambina, il suo DNA, anche
il mio fedele amico sarebbe morto quel giorno.
Ero talmente terrorizzata dal desiderare con tutte le mie forze
di poter aiutare il mio amico, il quale, sotto quelle terribili zanne, stava
avendo la peggio. Ho immaginato di essere come lui e all’improvviso mi sono
sentita cambiare, quasi come se le mie ossa si stessero sciogliendo ed il
prurito che provavo era lo spuntare del pelo.
Solo dopo, quando sono riuscita ad uscire da quella specie
di stato d’incoscienza che mi aveva portato l’entrare nella mente di un cane e
il lottare contro quella belva, sono riuscita a capire che non avevo immaginato
nulla e che ero davvero diventata il mio cane.
Non potete immaginare come hanno reagito mia madre Alicia
e mia nonna Harriett alla notizia! E’ stata una sorpresa anche per me sentirle
dire, con voce rotta dal terrore, che mi credevano ma non dovevo dire a nessuno
quello che era accaduto, anzi, avrei dovuto dimenticare quello che era accaduto
e non cercare mai più di ripetere un’esperienza simile.
Mi sarei immaginata che mi avessero detto che avevo
sognato e che mi avessero portato a fare analisi all’ospedale, ma mai e poi mai
che mi credessero.
Fatto sta che da quel giorno ho praticato di nascosto
l’arte della metamorfosi ed ora ho un buon repertorio di animali.
La mia preferita è di certo quella dell’orca assassina,
per via dell’intelligenza di questo cetaceo, ma non la uso molto spesso sia per
la sua mole non indifferente sia perché questa sua mente quasi umana mi
inquieta non poco, per questo la metamorfosi che uso più spesso è quella di
Spiz, la mia prima metamorfosi e quella a cui sono più attaccata, soprattutto
adesso che Spiz è rimasto a Ancorage, la città in cui ancora vivono mia madre e
mia nonna.
Io studio al Jake Berenson’s College di Phoenix assieme a
Joshua e Micheal, i miei unici amici a non avere coda, pinne oppure ali. Come
si suol dire, si sono accodati a me alla notizia della mia partenza e, con la
scusa di proteggermi dai malintenzionati, vivono da universitari studiando poco
o nulla e dedicandosi alla nostra band. Io sono la batterista, Michel è al
basso mentre Joshua è cantante e tastierista. Facciamo musica rock e stavamo
ottenendo anche un discreto successo. Già, stavamo. Adesso non sono sicura che
per noi ci sarà un futuro.
Chissà cosa faranno la mamma e la nonna se non dovessi
tornare a casa… Già hanno sofferto tanto nella vita, poverine.
Mia madre non è stata la figlia ideale per mio nonno Frank
e mia nonna Harriet, e quando rimase incinta di me aveva soltanto sedici anni
ed un ragazzo, di cui io non ho mai saputo il nome, che a loro non piaceva
affatto.
Mio nonno, durante una di quelle furiose litigate con mia
madre, ebbe un malore che gli fu fatale e mia madre, in preda al panico, fuggì
di casa.
Vi è rientrata soltanto quando nonna Harriett l’ha vista
sulla porta, con me tra le braccia e gli occhi gonfi per il pianto: l’uomo a
cui devo parte del mio corredo genetico è scappato via, lasciando mia madre
senza soldi e con una bambina a carico.
E’ per questo motivo che io sono cresciuta soltanto con
loro. E forse è stato questo ambiente protetto a causarmi problemi nella
socializzazione.
Le ragazze non si sono mai avvicinate a me perché mi
consideravano strana e troppo maschiaccio per essere del loro gruppo, mentre i
ragazzi mi allontanavano per il mio essere poco femminile.
Come dicono Joshua e Micheal, sono molto carina con i miei
lunghi capelli biondissimi ed i miei occhi verdi chiato, ho tutte le curve al
punto giusto e non somiglio ad una di quelle silfidi che al primo alito di
vento devono andare in giro con i sassi nelle tasche, ma scateno sentimenti più
simili a quelli che si possono provare per un fratello piuttosto che per una
ragazza.
Non che a me interessi piacere a un uomo. Amici vanno
bene, ma mai legarsi troppo a loro, questo è il mio motto. Forse sarò stata
traumatizzata dal tradimento di mio padre ai danni di mia madre, ma il mio
pensiero non cambia. Io non m’innamorerò mai!
Oh, ecco che la porta si apre. Finalmente saprò chi sono
questi pazzi dell’Area 51 e che cosa vogliono da me. Finalmente smetterò di
fare certi stupidi pensieri da reclusa.
Mi presento, il mio nome è Gàbriel.
Il mio cognome non è necessario, potete ascoltarmi anche senza sapere queste piccolezze vero? Perchè ciò che sto per raccontarvi, che ci crediate o no, è tutto vero...dalla prima all'ultima lettera, purtroppo.
Tutto è iniziato in un giorno d'autunno...
_Eevar, vieni qui Eevar...dai, non farti pregare! Devo docciarti, bello...
Eevar scartò di lato sbuffando in direzione del ragazzo.
_Sì, lo so che fa freddo e non hai voglia di bagnarti! Prometto che dopo ti asciugo subito, ok?- terminò con voce suadente il ragazzo mentre raccoglieva in una coda i suoi lunghi e biondi capelli ricci.
Lo stallone nitrì forte e si allontanò dal ragazzo sorridente che, con il secchio pieno d'acqua tiepida e la spugna in mano, stava entrando nel recinto dei tre cavalli.
_Ehy, di casa! C'è nessuno?
"Ma chi è questo? Chi potrebbe mai venirmi a trovare?"pensò il ragazzo appoggiando da una parte 'gli attrezzi', diede una pacca al cavallo e aggirando la piccola casa in legno si portò all'entrata.
Un uomo di mezz'età, con capelli scuri, lenti a specchio e vestito da agente dell'FBI, aveva parcheggiato una macchina nera e lucente di ultima generazione sul suo vialetto di sassi ed ora se ne stava di fronte alla porta con espressione leggermente contrariata.
Appena lo vide arrivare rimase un po' perplesso.
Ciò che gli si era presentato di fronte era un ragazzo dall'aspetto efebico...sembrava davvero una ragazza con i suoi lunghi capelli ricci di un colore biondo chiaro, gli occhi di un azzurro davvero intenso e la carnagione pallida. Il fisico magro e longilineo era coperto da una larga camicia a scacchi bianchi e marroni, un paio di pantaloni in pelle scamosciata sempre marroni e degli stivali da cowboy. Nel complesso non sembrava affatto un ragazzo dell'anno 3004, bensì una ragazza dei tempi antichi, di quelle che ormai si vedevano solo nei film.
No, non poteva essere lei il ragazzo che avevano mandato a prelevare. Decisamente
Rapidamente lo squadrò dall'alto in basso e gli fece:
_Scusami ragazza, sto cercando un certo Gàbriel. E' in casa?- chiese con un briciolo di gentilezza.
Il ragazzo sbuffò.
_In persona. Lei è, se posso saperlo?- rispose tranquillamente.
_Oh, e così tu saresti Gàbriel...-rimase in silenzio un momento squadrandolo nuovamente e assumendo un tono piuttosto aspro- Sono una persona che ti doveva parlare già da qualche tempo. Entriamo?
Quel tizio come prima impressione non stava affatto simpatico al ragazzo biondo, ma quest'ultimo fece buon viso a cattiva sorte, come al solito.
_Non mi sembra il caso. Ditemi pure, vi sto ascoltando.- rispose pacatamente.
_Non prendermi in giro ragazzino, si tratta di una cosa importante e non posso certo spiegartela qui, in mezzo ad un prato!- sbottò l'uomo elegante perdendo la pazienza.
A questo punto fu Gàbriel a squadrarlo attentamente, poi fissandolo dritto negli occhi aggiunse, glaciale:
_Prego allora...-e aprì la porta di abete entrando in casa, subito seguito dall'altro.
L'uomo si guardo attorno, l'interno assomigliava di più ad una povera baita di montagna che ad una casa decente, a suo parere era stata solo 'pietosamente' risistemata in modo da renderla 'vagamente' abitabile.
_Una sola stanza?-commentò alzando un sopracciglio.
_La trovo più che sufficiente. Ditemi dunque.-tagliò corto il ragazzo.
_Si tratta di una storia lunga. Io ti conosco, Gàbriel, così come conoscevo molto bene tuo padre e anche tua madre. Mi è spiaciuto molto per la loro dipartita, ma adesso è giunto il momento che parli direttamente con te.
Gàbriel era confuso, ma non disse nulla e rimase impassibile per ascoltare il resto dello stravagante discorso dello sconosciuto, anche se la sua antipatia si era acuita dal modo in cui aveva parlato della morte dei suoi genitori...come se se lo fossero meritato.
_Vedi Gàbriel, quando sei nato abbiamo scoperto da alcuni esami che tu possiedi nel DNA il potere della metamorfosi. Sai di cosa si tratta, vero?
_L'ho studiato a scuola. E non vedo come potrei possederlo, che io sappia non ho antenati nè parenti dotati dello stesso potere.-obbiettò lui.
_Appunto: 'che tu sappia'. Solo che non si tratta semplicemente del potere della metamorfosi, ma di un qualcosa più amplificato, con meno limiti e più possibilità, non so se mi spiego. Ti verrà spiegato tutto alla base probabilmente, ma ora è top-secret. Sappi comunque che non sei l'unico ragazzo in possesso di questa facoltà, vi stiamo cercando e riunendo tutti perchè c'è bisogno di voi. Ora sbrigati, mettiti un vestito pulito e sali in macchina. Ho l'ordine di scortarti personalmente alla base.
_Piano, piano. Andiamo con ordine. Prima di tutto chi mi assicura che lei non abbia scopi malvagi su di me? Secondo: come fa lei a conoscermi e a conoscere la mia famiglia, ci avete forse spiato? E poi chi siete voi?Un'organizzazione governativa? O criminale?E se io la seguirò, come lei mi sta diciamo 'ordinando', chi si prenderà cura dei miei cavalli e degli altri miei animali?
Poco dopo Gàbriel sentì una puntura sul la nuca, come di un tafano e rapidamente poggiò la mano sulla parte dolorante, senza però scoprire alcun insetto nè alcun rigonfiamento. Abbassò la mano e riportò l'attenzione sull'uomo, in attesa di risposta.
_Troppe domande, ragazzo. Prima mi segui e prima troverai le risposte che tanto desideri.
_Temo di doverla informare che non mi muoverò da qui finchè non risponderà alle mie domande.-continuò il ragazzo imperturbabile dopo aver adocchiato il rigonfiamento sotto l'impeccabile giacca dell'uomo, sicuramente causato da un'arma.
Parlando si spostò con tutta tranquillità fino ad una specie di comodino posto vicino al letto, come se volesse solo controllare l'ora sulla sveglia...
Poi un atroce mal di testa e il buio calò tutto attorno a lui, prima ancora che si rendesse conto di cosa stava accadendo.
L'uomo sogghignò notando il ragazzo crollare a terra, la mano destra che stringeva convulsamente una pistola, si alzò e si avvicinò a lui.
_Oh, ma come hai capitolato in fretta piccolino! He he, simpatico l'oggettino che mi hanno lasciato sperimentare questa volta.-rise compiaciuto osservando un microscopico congegno ronzare impercettibilmente librandosi immobile nell'aria- Con la dose di sonnifero che ti abbiamo inniettato dormirai fino a domani...hahahaha, era proprio una dose da cavallo per te che sei così gracilino!
Così ridendo prese in braccio il ragazzo, stupendosi però che, nonostante la corporatura apparentemente esile, possedesse una muscolatura soda anche se non molto sviluppata.
_Ti sarai allenato con i tuoi cavalli probabilmente... Non c'è che dire, complimenti piccolino! Spero tanto non ti lascino mai solo alla base però, potresti avere più di qualche problema con i ragazzi del corpo militare, sai per via del tuo bel faccino...Hahahahaha! Questa è di sicuro la missione più facile e divertente che mi abbiano mai affidato!- rise continuando a schernirlo mentre si dirigeva alla macchina.
Lanciò un ultimo sguardo sprezzante agli animali, criticando la staccionata del recinto troppo bassa, e poi partì sgommando alla volta dell'area 51.
Salve, mi chiamo Helène. Ma tutti mi chiamano Lene. Volete sapere qualcosa in
più? Bè, diciamo pure che io non sono come gli altri, sono diversa, sono
speciale. E non lo dico per vantarmi, è la verità. Possiedo uno strano potere:
il potere della metamorfosi. In pratica posso trasformarmi in qualsiasi animale
io tocchi. E' un dono. O una maledizione. Non lo so. L'ho scoperto quand'ero
piccola, e allora mi piaceva molto questa mia capacità. Insomma, quanti bambini
conoscete che siano in grado di diventare un lupo o un'aquila? Lo consideravo
divertente all'epoca. Ma ora sono cresciuta e comincio a chiedermi se per caso
la metamorfosi non comporti anche qualche "effetto collaterale".
Voglio dire, c'è un limite al numero di animali che posso "acquisire"?
E il fatto di avere altri DNA diversi dal mio dentro di me cosa può comportare?
E se per caso un giorno mi dovessi trasformare contro la mia volontà? I miei
genitori hanno provato a farmi delle analisi (mio padre è uno scienziato e mia
madre una ricercatrice) ma non sono riusciti a scoprire nulla. Mi hanno detto
che, forse, in America sapranno darmi delle risposte. Così abbiamo deciso che
partirò per gli USA. A dire la verità non è che la cosa mi entusiasmi molto.
Cioè da una parte non vedo l'ora perché spero che finalmente qualcuno mi sappia
dare delle risposte, ma dall'altra... l'idea di viaggiare da sola e di stare
lontana dalla mia famiglia... mi rattrista e mi spaventa un po', ecco.
E così eccomi qui, pronta (si fa per dire) a lasciare la mia amatissima Svezia
per l'America.
-Tutto bene tesoro?
Mia madre
Edna si affacciò alla porta della stanza che condividevo con la mia sorellina.
-Sì, bè la valigia è pronta e ci sono anche tutti i documenti necessari,
cartelle cliniche varie comprese.
Mia madre entrò e si sedette sul bordo del letto.
-Quello
che intendevo è se tu stai bene. Come ti senti?
-Eccitata e allo stesso tempo impaurita. Insomma li sarò proprio sola.
-Oh Lene! Lo sai che non è vero! Tu sei una persona molto socievole e riesci a
farti amicizie anche se non vuoi. Troverai sicuramente delle persone con cui
fare amicizia, ragazzi della tua età. Non mi stupirei se tornassi a casa con un
ragazzo!
-Mamma!
-Scusa,
scusa. Cercavo di sdrammatizzare un po'! Però prova a pensare che faccia farebbe
tuo padre se gli si presentasse davanti un ragazzo e gli dicesse "Qua la
mano fratello"!
Non seppi
trattenermi dallo scoppiare a ridere. Mio padre, un po' come tutti gli svedesi
e i finlandesi, è una persona che tiene molto alle regole della buona educazione
e credo che rimarrebbe di certo scandalizzato da una presentazione del genere.
Mia madre invece è molto più alla buona. Personalmente credo di aver preso il
carattere di entrambi: sono sempre molto cortese ed educata e mi aspetto che lo
stesso siano gli altri nei miei confronti, ma so anche essere spiritosa.
Ritornai con il pensiero all'America. Chissà quali persone avrei incontrato,
che cosa avrei fatto e soprattutto cosa avrei scoperto...
Portammo i miei bagagli in cucina e lì trovammo mio fratello Kristian.
-Allora parti sul serio?
-Sì
angioletto!
"Angioletto"
è il soprannome che gli ho dato: è biondo con gli occhi azzurri e sembra
davvero un angelo, ma lui odia quel nomignolo e si arrabbia ogni volta. Mi
aspettavo un commento aspro, ma Kristian rimase in silenzio. Tentai una
battuta.
-Mi
dispiace ma sono costretta a lasciarti a casa. Nella valigia non ci stai!
Di nuovo
nessuna reazione. Capii che era preoccupato.
Finalmente
alzò su di me i suoi occhi azzurrissimi.
-E se
qualcuno ti dovesse fare del male?
-Oh, non
ti devi preoccupare per questo! Ti assicuro che so difendermi!
Tirai
fuori il mio coltello a serramanico.
-E poi ho
memorizzato tutti gli insegnamenti che ci hanno dato a scuola durante le
lezioni di difesa personale.
Kristian
mi sorrise soddisfatto e in quel momento arrivò mio padre.
-Sei
pronta? Dovremmo partire; non vorrei che perdessi il volo.
Annuii col capo.
-Però
aspetta un attimo. Devo trovare Britt!
-Io metto
le valigie in bagagliaio, tu cercala.
Sapevo
esattamente dove fosse la mia sorellina. Andai in giardino e la trovai seduta
sull'altalena. Anche lei sembrava triste.
-Ciao
Britt!
Mi guardò
allarmata
-Devi già
andare?
Mi
inginocchiai di fronte a lei.
-Credo
proprio di sì! Ma ci sentiremo spesso lo sia vero? E poi non starò via così
tanto!
-Sì lo
so, papà ha detto che per il mio compleanno sarai a casa, vero Lene?
Il suo
compleanno era due mesi dopo. Nessuno di noi aveva la minima idea di quanto ci
sarebbe voluto, ma avevamo raccontato questa piccola bugia per tranquillizzare
lei e in parte anche per tranquillizzare noi stessi.
-Ma
certo! E ti porterò anche un bellissimo regalo!
-Topolino!
Per Britt
America voleva dire Disneyland.
-Sì,
Topolino.
L'abbracciai
forte forte.
-Adesso
vado. Ci sentiamo appena arrivo.
-Ti
voglio bene Lene!
-Anch'io
piccola. Ti voglio tanto, tanto bene!
Salii in auto e mentre mio padre metteva in moto mi girai a salutare gli altri.
Finalmente partimmo. Accesi il lettore cd per cercare di distrarmi, ma
continuavo a pensare a ciò che avrei trovato e a quello che avevo lasciato. Per
tutta la durata del viaggio non aprii bocca, sognando ad occhi aperti.
Quando
arrivammo all'aeroporto mio padre mi aiutò con i bagagli e prima che salissi mi
abbracciò stretta. Restammo così per un po', poi lui mi disse:
- Bene
tesoro. Fai buon viaggio e chiama non appena arrivi. In bocca al lupo Lene!
-Crepi
papà!
A bordo dell'aereo guardai mio padre dal finestrino e lo salutai con la mano.
Al momento del decollo fui presa dal panico, ma resistetti all'impulso di
scendere e mi aggrappai al sedile. Non so come, poco dopo mi addormentai. Il
tempo in cui non dormii lo passai ascoltando musica e immaginando come sarebbe
stato il posto in cui avrei vissuto.
Dopo un
tempo che mi sembrò interminabile l'aereo atterrò. Recuperai la sacca che avevo
depositato sul sedile e poco dopo fui a terra. Mi sentivo un po' stordita e,
devo ammetterlo, anche spaventata. Recuperati i bagagli provai a scrutare tra
la folla anche se non avevo idea di chi cercare. Una mano mi afferrò la spalla.
Mi voltai di scatto.
-La
signorina Helène?-
Era una
donna, piuttosto giovane, indossava un completo grigio e aveva appuntato sulla
giacca il tesserino di riconoscimento con il suo nome e quello del laboratorio.
Diceva "Dott.sa Kelly Hudson"
-Sì sono
io- risposi.
-Salve!
Io sono la dottoressa Hudson. Hai fatto buon viaggio?
-Sì
abbastanza.
-Va tutto
bene Helène?- mi chiese mentre ci avviavamo verso l'esterno.
-Sì,
tutto ok!
Non so
perché ma qualcosa mi diceva di non fidarmi. Caricammo i bagagli a bordo di
un'auto scura e salimmo.
-Adesso dove si va?- chiesi.
- Andremo
direttamente al laboratorio. Ma immagino che tu sia stanca. Se vorrai potrai
riposare.
-Ah.
Grazie. E dove si trova il vostro laboratorio?
M’infilai
in uno dei corridoi e cominciai a correre, con il panino con la nutella in
bocca e delle cartelle sottobraccio, chiedendo come mai mi avvisassero sempre
tardi delle riunioni e perché non usassero quel maledetto cercapersone per
qualcosa di utile, invece che per mandarmi solo quei messaggi stupidi che mi
ricordavano i prelievi di sangue. Terminai il panino in corsa, pulendomi la
bocca con il dorso della mano, e svoltai in uno dei corridoi che passava per le
celle, era una scorciatoia che avevo imparato con Johnas l’anno prima, quando
ci eravamo incontrati per la prima volta. Frenai, vedendo i soldati di guardia
dirigersi a passo ben marcato verso una delle celle e tirare fuori una ragazza
biondissima. Non avevo tempo per ricordare chi si trovasse in quella cella, la
BSC-049, stavo facendo tardi alla riunione, avevo solo dieci minuti per
arrivarci dal momento in cui mi era arrivato il messaggio e conoscere la mia
prossima missione.
Svoltai,
ritrovandomi in un corridoio molto trafficato, ma continuai a correre,
schivando tutti quelli che erano sulla mia traiettoria. Dentro di me martellava
un’unica parola: tardi!
Stavo
facendo colazione in tutta tranquillità dopo aver fotocopiato i dati che mi
avevano richiesto, quando Johnas mi si era avvicinato con fare noncurante e
avevamo cominciato a parlare di atomi e energia rilasciata. Johnas era un
giovane fisico di diciotto anni chiamato a lavorare lì tre anni prima grazie
alla sua spiccata intelligenza e alla sua media del trenta e lode dell’istituto
in cui studiava prima di esser preso e portato lì a occuparsi dei laboratori,
degli studi e degli esperimenti in piena notte ed era l’unico a chiamarmi Amy e
non Evy. Aveva corti capelli neri, occhi marroni e una carnagione molto chiara
e, come me, indossava una tuta verde con delle parti in velcro nero e degli
anfibi, inoltre era più alto di me di mezza testa. Ci volevamo bene, ma
nessuno, a parte il generale Abercrombie, lo sapeva. Poco più tardi era
arrivato un soldato, probabilmente un nuovo arrivato, che mi aveva riferito
l’ordine di presentarmi in dieci minuti nella sala briefing poiché la riunione
era stata anticipata di tre ore. Svoltai un’altra volta, ritrovandomi in un
corridoio quasi deserto, e controllai l’orologio: mancava un minuto.
Tentai
di ricordare cosa c’era in quelle cartelle che mi portavo dietro: schede di
quattro persone, tabelle, file top secret ripescati dagli archivi più nascosti
e dimenticati, ritrovati per caso durante l’archivio di un fine stagione, gli
ultimi avvistamenti, le scomparse degli agenti e qualcos’altro ancora. Vidi le
scale che portavano alla sala briefing e mi afferrai sul passamano, eseguendo
un’inversione di direzione strettissima e correndo su per le scale, sapendo che
mancava pochissimo tempo. Mi fermai un attimo davanti alla porta, per
riprendere fiato, e dopo bussai.
-
Avanti.- disse una voce, dall’altra parte.
Aprii
la porta, entrando nella sala briefing, e feci il saluto militare, prima di
osservare l’interno. Come mobilio c’erano diversi archivi e scaffali, un lungo
tavolo ovale con una sedia per ciascun capotavola e tre sedie per ciascuna
parte, una lavagna bianca e una trasparente, un telo bianco e diversi
proiettori. Di persone vive c’erano il generale Abercrombie, un giovane cui non
riuscivo a capire bene il genere e una ragazza dai capelli biondi, di
“cadaveri” ce n’erano stati molti, ma nessuno era lì presente. Per “cadaveri”
la base aveva sempre inteso le persone che andavano controllate perché potevano
fornire dati a persone pericolose e non autorizzate.
Il
generale Abercrombie era un uomo vicino alla pensione, con corti capelli
canuti, occhi verdi e una carnagione un po’ scura, ambrata, indossava una
divisa dell’aeronautica blu.
La
ragazza aveva capelli biondi e mossi, lunghi fino alle spalle e raccolti dietro
alle orecchie, grandi occhi verdi e una carnagione chiara, indossava pantaloni
felpati neri e una maglia anche nera.
Il
giovane aveva occhi di color azzurro intenso, ricci capelli di color biondo
chiarissimo, lunghi fin sotto le spalle e sciolti, e aveva una carnagione
pallida, indossava una larga camicia a scacchi bianchi e marroni e un paio di
pantaloni in pelle scamosciata.
-
Signore, scusi per il ritardo, mi hanno avvisato in ritardo dell’anticipo della
riunione.- dissi.
-
Va bene, agente Shadows, ha portato il materiale?- chiese lui.
-
Sì, signore.- risposi.
-
Distribuisca le cartelle e vada a sedersi.- ordinò.
Feci
come aveva detto e mi sedetti in silenzio, riprendendo fiato. Il generale
Abercrombie spesso si comportava come un nonno, quando qualcuno ne aveva il
bisogno, ma sapeva anche essere autorevole. Non avevo mai visto di persona i
due ragazzi, ma sapevo chi erano: avevo fotocopiato le loro schede. La porta si
riaprì e vedemmo entrare una giovane dai capelli biondissimi, indossava un
maglione di lana bianco e pantaloni grigio chiaro e aveva alle spalle diversi
soldati ultrapalestrati, del tipo che non avevo mai sopportato: tutto muscoli e
niente cervello.
-
In libertà.- ordinò il generale.
I
soldati fecero il saluto e se ne andarono: la riunione poteva finalmente
cominciare, anche se era facilmente immaginabile che non sarebbe stata come
tutte le altre. Ricordavo facilmente ciò che avevo fotocopiato: nonostante
tutte le attrezzature all’avanguardia che avevamo, le fotocopiatrici erano
obsolete e in qualche modo dovevo pur passare il tempo.
-
Immagino che non sappiate tutti il motivo per cui siete stati portati qui. Sono
il generale Seth Abercrombie, responsabile dell’Area 51, l’installazione
denominata fantasma nel Nevada, e principalmente del progetto che vi riguarda,
infatti sono il colpevole, se così si può dire, del fatto che ora siete qui.-
esordì.
Io
mi trovavo subito alla destra del generale, la ragazza biondissima era davanti
a me, quella con i capelli lunghi fino alle spalle era alla mia destra e il
giovane era di fronte a quest’ultima.
-
Vi chiedo scusa per il modo in cui gli agenti vi hanno prelevato dalle vostre
terre e occupazioni, ma c’è un problema molto serio che richiede la vostra
collaborazione.- continuò.- La qui presente agente Shadows ha distribuito delle
cartelle che vorrei consultaste. Poco più di due ani fa una navicella di
origini sconosciute è precipitata sulla Terra, nessuno ha ancora scoperto la
sua provenienza, ma ora siamo quasi tentati di andare a defcon tre.-
-
Addirittura defcon tre, signore?- chiesi, sorpresa, all’oscuro di ciò.
-
Sì, Shadows. Diversi agenti sono svaniti, andate a pagina cinque, abbiamo
ricevuto dai satelliti l’immagine di un oggetto non identificato che si trova
su tutte le finestre delle cucine della cittadina di Hit.-
-
Scusi, ma noi cosa c’entriamo?- chiese quella bionda.- Che io sappia sono qui
per fare delle analisi.-
Scorsi
un po’ indietro le pagine e vidi la sua scheda: Helène dalla città di
Stoccolma.
-
Se il generale Abercrombie mi permette, gradirei spiegarvi io i dettagli della
situazione.- dissi e vidi il generale annuire.- I nostri migliori agenti sono
svaniti nel nulla da quando hanno avuto l’ordine di sorvegliare i fatti che non
avvenivano nella cittadina e, quando è stato scoperto che quattro persone
avevano il dono e la maledizione degli antenati si è deciso di creare il
progetto “New Animorph” che prevede il ritrovo delle suddette persone e il loro
addestramento per…-
-
Addestrati? E se noi non volessimo?- chiese il giovane.- Per quanto mi riguarda
voglio solo tornare dai miei cavalli.-
Spostai
la scheda di Helène e vidi la sua.
-
Signor Gabrièl, immagino che lei abbia studiato la storia.- risposi, cercando
di controllarmi.- Mille anni fa gli antenati riuscirono a scacciare il pericolo
yeerk con molta fatica, per quanto pare un pericolo ben maggiore sta ora
minacciando il nostro pianeta e tutto ciò che vi è caro.-
-
Non vi chiedo di darmi subito una risposta: sarete riaccompagnati con metodi
gentili alle vostre abitazioni con tutto il materiale e un telefono collegato
alla base.- disse il generale.- Appena avrete deciso, utilizzatelo, ma prima
che ve ne andiate, gradirei mostrarvi un’ipotesi su quello che accadrà se una
squadra non agirà per arginare e eliminare il problema.-
Fece
oscurare la stanza e da un proiettore si vide l’immagine di una Terra sotto il
pericolo che ora stava solo incombendo: umani costretti a fare il lavoro delle
bestie, e trattati anche peggio, creature grigie e piccole che fluttuavano
nell’aria, con grandi occhi neri e braccia lunghe fino ai piedi, assenza totale
di bambini e un qualsivoglia tipo di gioia.
E
pensare che quello che non stava accadendo in quel momento erano solo gli atti
criminali…
Le
luci si riaccesero.
-
Potete andare.- disse il generale, alzandosi.- L’agente Shadows vi accompagnerà
all’uscita. Si prenda anche lei questo periodo, agente.-
Annuii
e raccolsi i fogli nella cartella, dopo, piuttosto silenziosamente, li
accompagnai all’uscita, osservando le loro reazioni: solo Helène sembrava un
po’ scossa, ma in complesso contenevano bene le loro emozioni. Raggiungemmo
l’uscita e diedero a ciascuno di noi un telefono cellulare, indicandoci un
pulmino.
-
Ci porteranno fino all’aeroporto civile, hanno già prenotato dei voli per
ciascuna destinazione. Vi vorrei dare un solo consiglio: portate con voi quanto
più ritenete utile, se mai vorrete lottare.- dissi, dopo essermi seduta.
Sprofondai
nella lettura del dox. Le schede di ciascuno di noi, tutte con la dicitura
“genoma altamente instabile”, le planimetrie delle case in cui ci saremmo
trovati ad abitare, tutte nella stessa via, i rapporti sugli agenti scomparsi
e, su alcuni che erano tornati, quello che avevano detto sotto ipnosi. Con
tutta probabilità sapevano che saremmo arrivati, ma era anche vero che nessun
agente sapeva del progetto “New Animorph”. Vidi che, secondo i rapporti, era
facile incontrarli presso la scuola e un ricreatorio. A scuola ci andavo già,
con tutto il polverone che avevano fatto non potevo cambiare, ma avrei
facilmente potuto indagare presso il ricreatorio anche se, con mia grande
tristezza, avevano chiuso l’unico poligono di tiro della zona.
L’immagine
che avevo visto mi tornò alla mente. Avrei lottato fino alla morte, ma ignoravo
ancora ciò che avevano scelto gli altri e ricordavo di aver detto a Johnas dove
trovarmi. Ero tranquilla, ma mi chiedevo comunque che ne sarebbe stato di noi…
e in che condizioni avrei trovato la casa.
Evelyn
N.d.Evy:
la cittadina è Hite, nello Utah, e siccome non vorrei offendere nessuno (mia
grande paura ^.^) ho deciso di modificarne il nome, spero che anche per le
altre vada bene. C’è solo un problemino piccino picciò: mi hanno appena tolto
la linea ;.;. È grazie a un’amica, AlyDebby, che sono riuscita a pubblicare e
chiederò il suo aiuto anche per il resto delle volte fino a giugno. Alla
prossima ^_^!!
Sapete una cosa? Comincio a credere di esseredavanti allo schermo su cui proiettano uno
di quei film di fantascienza dalla trama fin troppo scontata.
Ci sono il gruppo di alieni cattivi… gli umani, che fanno
la parte delle povere vittime, esseri fin troppo buoni e coraggiosi… e,
naturalmente, dopo tutto ciò, appaiono i poveri perdenti che per un qualche
strano motivo finiscono in una base militare. Se poi pensiamo alla sequenza di
eventi che si svolgono dopo quest’incipit… arriva il classico tizio vestito da
militare che racconta come questi poveri tizi siano l’unica speranza del
pianeta… ah, tra i protagonisti scordavo la vincente che si unisce ai comuni
mortali nell’occasione della scoperta della loro missione, la tipa carina che si
unisce agli sfigati per combattere al loro fianco ma che, immancabilmente, è
talmente legata al militare che funge anche come contatto con la base ed
eventuale esecutrice di condanna in caso di diserzione.
Tutto questo potrebbe essere anche piuttosto divertente,
se soltanto questo film non fosse diventato parte della mia vita.
Una mattina come tutte le altre mi intrappolano nell’area
51 e mi chiudono in una cella scomoda e fredda.
Non immagino quanto sia rimasta in quella cella, poi sono
stata portata, scortata da immancabili gorilla microcefali armati fino ai
denti, in una stanza in cui il militare di turno, in questo caso il generale
Abercrombie, mi ha detto che ho il DNA altamente instabile e che c’è una nuova
minaccia aliena.
Vi lascio immaginare il seguito: io sono una dei quattro
ragazzi, di cui anche una ragazza che è parte del personale della base, siamo
in grado di arginare questa minaccia grazie al potere della metamorfosi.
Mi hanno lasciata andare facendo però in modo che io sia
rintracciabile e possa incontrare gli altri nel caso accettassi questa missione
denominata “New Animorphs”.
Certo
che, dopo quel che ho visto in quella stanza, non è che abbia molta scelta.
Io
ho il dovere di far stare tranquille mamma e nonna, ma se non farle preoccupare
significa non combattere per il bene comune... mi spiace, ma non ci sto. Devo
sdebitarmi soprattutto con la nonna per ciò che ha fatto per me e la mamma. E’
per questo che ho scelto sin dal primo momento di accettare la missione.
Ho
una fifa blu, lo ammetto, ma di certo non sarà questo a fermarmi. Devo farlo
perché questo mio gestoè fatto per un
bene maggiore, quello dell’intera umanità.
Ho
un solo problema: è giusto continuare a tenere il segreto delle mie
metamorfosi?
Di
certo non posso raccontare loro che sto per accettare di entrare nel progetto
“New Animorphs”, ma tener loro nascosto che ho continuato a trasformarmi per
anni ed anni non mi pare corretto.
E’
per questo che sono di fronte a questa porta, indecisa se bussare oppure no.
Non sono sicura se sia meglio il contatto diretto oppure una lettera. Vorrei
vederle per l’ultima volta, ma se lo faccio sarò in grado di andarmene? Sarò in
grado di morire per una causa maggiore dopo aver abbracciato mamma e nonna?
No.
Lo escludo. E’ per questo che lascerò qui la lettera in cui dico che ho deciso
di andarmene lontano e che mi farò sentire io. Loro non dovranno cercare di
rintracciarmi e se svanirò nel nulla… almeno non sentiranno troppo la mia
mancanza.
Lascio
la lettera cadere sullo zerbino, poi scappo. Non sono coraggiosa. Non sono
affatto coraggiosa e desidero immensamente tirarmi indietro, ma questa missione
non è una mia scelta. E’ un mio preciso dovere.
-
Pronto? Sono Aysleen Tyler. Ci sto. Sarò lì tra una settimana. Lascerò il
telefono dove potrete trovarlo facilmente- dissi, senza neanche dare il tempo
di parlare a chiunque fosse dall’altra parte del telefono, poi riappesi.
Ho
scelto di essere del gruppo, ma voglio vivere ancora qualche giorno come piace
a me. Libera come il vento. O, se volete una metafora più adatta a me, come un
lupo.
Sei Giorni dopo
Sono
arrivata. Questa qui davanti è la base dove sono stata portata dopo la mia
cattura.
Ancora
loro non possono saperlo che sono qui. Sono in una delle nuove metamorfosi che
ho acquisito nel mio lungo viaggio. Sono venuta qui dall’Alaska passando per
varie forme. Sono stata un lupo che correva sui ghiacci, una zanzara che beve
il sangue di un puma, quello stesso puma e, ora, sono un’aquila dalla testa
bianca, dominatrice del cielo, che si prepara ad atterrare.