NEW BATTLE FOR THE WORLD

di New Animorph
(/viewuser.php?uid=2446)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Evelyn ***
Capitolo 2: *** PROLOGO-AYSLEEN ***
Capitolo 3: *** Prologo-Gàbriel ***
Capitolo 4: *** Prologo - Heléne ***
Capitolo 5: *** LA RIUNIONE ***
Capitolo 6: *** La scelta di Aisleen ***



Capitolo 1
*** Prologo - Evelyn ***


Il mio nome è Evelyn, non vi posso dire molto altro su di me. Perché? Semplice, sono in una guerra in cui la segretezza è la cosa più importante. Come cognome potrei usarne uno qualsiasi, ma per alcune cose sceglierò uno molto semplice: Shadows, con questo cognome verrò conosciuta d'ora in poi. Pensavate forse che gli Yeerk fossero dei duri avversari? Allora non avrete speranze con questi. Come si chiamano? Semplice, loro non si chiamano, cioè, si fanno chiamare "Padroni", "Dominatori", "Signori", ma io ho cominciato a chiamarli in un modo diverso: per me sono "Pulisi", dal triestino, che ho avuto modo di imparare, che significa "Pulci" perché non sono altro che parassiti della mente.

Ho cominciato dicendovi il mio nome, vero? Come cognome sceglierò uno che mi potrà ben che rispecchiare: Shadows. Be', qualcosa in più posso dirvelo: facevo diverse cose nel mio tempo libero, spaziavo dallo judo allo scoutismo al clarinetto, nulla d'importante, se si è figli di spie; ah, naturalmente, grazie al fatto d'essere figlia di spie, andavo anche al poligono di tiro, ero tra i migliori cecchini del circolo.

A quindici anni, però, scoprii la mia vera natura…

 

Una villetta nelle Highlands scozzesi.

- Come, mamma, un altro day hospital?- chiesi.

- Sì, vogliono accertare dei parametri.- rispose lei, sorridendo.

- Uffi, però, l'ultima volta sembravo una drogata.-

Certo, mi andava bene perdere delle ore di scuola a maggio, ma quello era il quinto day hospital in due settimane e, per giunta, in cinque ospedali diversi: il primo nelle Highlands scozzesi, dov'ero nata e cresciuta, il secondo a San Francisco, il terzi a Parigi, il quarto a Mosca e il quinto ancora non lo sapevo. Potevo dirmi dotata del dono dell'ubiquità.

- Dove andiamo, stavolta?-

- Al Cattinara di Trieste, in Italia.-

- Grandioso.- feci, sarcastica.- Il prossimo lo facciamo a Taiwan?-

- Su, prepara la valigia e andiamo.-

- Agli ordini, mamma.- risposi.

Andai in camera mia e chiusi la valigia nera, ultimamente sempre pronta per i vari spostamenti. La sollevai e la portai fuori, pesava non poco e mi chiedevo cosa mia madre avesse aggiunto mentre m'intrattenevo con mio fratello, che vidi appena uscii. Mio fratello si chiamava Alexander e aveva otto anni, aveva corti capelli neri, occhi azzurri e una carnagione molto chiara, indossava il grembiule blu di scuola, anche lui era nato nelle Highlands. Osservai un'ultima volta mia madre, si chiamava Mariam: corti capelli castani ricci, occhi azzurri e una pelle un po' abbronzata, lei era originaria di Londra e aveva quarantadue anni, indossava un grembiule bianco sopra a dei vestiti per casa. Io ero molto simile a lei: fluenti capelli castani lisci, occhi azzurri e una carnagione rosea, quasi bianca, ed ero originaria, come Alexander, delle Highlands, indossavo la mia divisa da college.

- Evy, chi resterà se anche tu vai via?- mi chiese.

- La mamma e il papà, Alex, questa volta vado via solo io.- gli sorrisi.- Sei un ometto, ormai, non piangere.-

- E chi piange!- sbottò, punto sul vivo.

Ridacchiai piano e salutai lui e mia madre, salendo in auto, un'anonimia auto nera che avevamo da tre anni, mettendo dentro il bagagliaio la valigia. Mio padre regolò lo specchietto, osservandomi attraverso quello. Mio padre si chiamava George e aveva quarantacinque anni, occhi azzurri, capelli lisci e mori, carnagione chiara e portava gli occhiali ed era in giacca e cravatta. Partimmo quasi subito

- Senti, papà, come arriverò all'ospedale? Se ricordo bene non ci sono aeroporti civili che a Ronchi dei Legionari.-

- C'è un aereo militare che ti aspetta poco distante da qui, ti porterà direttamente nella provincia e lì ci sarà una macchina ad aspettarti. Credi in Dio?-

- Che domanda è, papà? So che Dio non esiste perché, se fosse mai esistito, non avremmo mai patito gli Yeerk malvagi.-

- Eppure la tua migliore amica è una Yeerk.-

- Discende dai ribelli, papà, in lei non c'è il seme malvagio.-

- E se cominciasse a comportarsi malvagiamente?-

- Cercherei di riportarla sulla retta via e tenterei finché non sarò o morta o riuscita nel mio intento. Perché tutte queste domande?-

- Io e te non abbiamo mai avuto un vero dialogo e sto tentando di farti capire che la minaccia sta per tornare.-

- Minaccia? C'è l'esercito, ci sono gli Andaliti, gli Hork-bajir, e ci siamo noi.-

- Abbiamo ricevuto notizie che una navetta si è schiantata nel Pacifico, una navetta che non abbiamo ancora riconosciuto, nessuno è riuscito a riconoscerla. Sono stati i pezzi, ma non gli occupanti.-

- E io che c'entro con tutto questo? Ho il diritto di sapere il perché di tutti questi day hospital in tante e tanto diverse nazioni, no?-

- Te lo devo dire, anche se avrei ritardato il più possibile questa verità: il tuo genoma è molto diverso dal mio e da quello di tua madre, ha una facilità impressionante di cambiare.-

- Quindi?-

- Appena vedrai un animale, toccalo e concentrati su di lui: diventerai ciò che hai toccato.-

- Come gli antenati?-

- No, meglio: potrai passare da una forma all'altra senza tornare umana e riposarti e potrai stare quanto tempo vorrai.-

- E tu come lo sai?-

- Ero presente agli esperimenti sul tuo sangue, nemmeno tua madre lo sa.-

Rimanemmo in silenzio e raggiungemmo l'aeroporto militare. La macchina si fermo praticamente sotto un F-18/hornet e scesi, trascinandomi dietro la valigia.

- Colonnello O'Hara, ecco qui il suo passeggero.- disse mio padre al pilota, mentre mettevo la valigia nel vano delle bombe da scaricare in volo.

- Piacere di conoscerla, signorina Shadows. Partiremo subito, vada a mettersi la tuta da volo.-

Andai negli spogliatoi femminili e mi cambiai, tirandomi via la divisa del college e mettendomi la tuta da volo, con il casco in testa ben allacciato. Quando tornai, vidi che mio padre se n'era già andato e che il colonnello mi aspettava a bordo dell'aeroveicolo.

- Signore, potrei pilotarlo?- chiesi, sedendomi nel secondo posto.

- Ha già pilotato?-

- Nei simulatori di volo non mi schiantavo nemmeno nelle condizioni più avverse.-

- Aspetti che effettui il decollo e dopo, quando saremo in quota, glielo lascerò.-

- Grazie, signore.-

 

Ospedale di Cattinara, Trieste, qualche giorno dopo.

- Confermo tutti gli altri test.- disse un medico al colonnello, in mia presenza, di solito mi lasciavano da qualche parte in modo che non sentissi.

- Allora c'è solo una cosa da fare.- rispose il colonnello.- Lei, e quanti altri ci hanno visto qui, dimenticherete che siamo stati qui.-

Il colonnello schioccò le dita e il medico rimase per un po' imbambolato.

- Venga con me, Shadows, partirà subito per l'area 51, dome nei prossimi due anni studierà come usare le sue potenzialità.-

- Mi perdoni la domanda, come farò con la scuola?-

- Ufficialmente è inserita nel liceo Cassie di Pielungo, nella sperimentazione di scienze ma in nessuna classe, giusto per confondere un po' le acque. Ora andiamo.-

E fu così che iniziò la mia avventura, a quindici anni di vita e in volo verso la zona proibita: l'area 51.




Evelyn

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** PROLOGO-AYSLEEN ***


Il mio nome è Aysleen, ma i miei pochi amici preferiscono chiamarmi semplicemente Leen

Il mio nome è Aysleen, ma i miei pochi amici preferiscono chiamarmi semplicemente Leen.

Non chiedetemi il mio cognome, perché non ve lo dirò né vi fornirò più informazioni del necessario su di me. Non è sicuro, di questi tempi, parlare troppo, soprattutto per una persona come me.

Non parlerò mai, neanche sotto tortura, e questi bestioni di militari non sapranno nulla da me, a meno che loro non mi spieghino che cosa diavolo vogliono da me.

A dire il vero, io lo so che cosa vogliono o, perlomeno, a che cosa puntano, ma non so a quale scopo. Non mi parlano quasi, questi energumeni del governo, ed io meno di loro.

Insomma, ma vi pare giusto che una studentessa universitaria venga portata con l’inganno nei pressi di un’area militare dal suo stesso docente di botanica e costretta a seguire con la forza una quindicina di uomini armati fino ai denti? Non che sia una di quelle inermi ragazze pelle e ossa, con grandi e lacrimosi occhi azzurri, che si arrendono non appena uno alza la voce, ma quindici uomini ultrapalestrati, con certi muscoli che per poco non strappano le loro camicie verde oliva e stivaloni lucidi, che ti puntano addosso un fucile ed hanno alla cintura tre granate a testa…

Non vi starò a tediare con i dettagli. La conclusione è che adesso sono chiusa in una tipica cella, senza nessuna uscita tranne quell’odiosa porta dotata solo di uno sportello da cui far passare i pasti, che io non accetto per timore di qualche “brutto scherzo” di questa gente.

Lo so, sono estremamente diffidente, ma non posso fare altrimenti. Io sono fatta così. Non mi fido di nessuno, men che meno delle persone.

Sono sempre stata molto scostante, fin dalla più tenera età. Mi chiamano tuttora “Miss Ghiacciolo” all’università, ed io mi limito a far finta di non sentire. Sarò gelida come la mia terra, ossia l’Alaska, poco espressiva e dallo sguardo che fa rabbrividire, ma sono anche in grado di accendermi.

Uno sgarbo poco più marcato oppure uno scherzo cretino ripetuto più volte… ed ecco SuperLeen all’attacco. Non ho mai studiato arti marziali o difesa personale, ma sono perfettamente in grado di mettere ko un tipo grosso il doppio di me.

E poi… io sono speciale. Anzi, specialissima. Sono in grado di entrare in metamorfosi, come i ragazzi che più di mille anni fa hanno combattuto per difendere il nostro pianeta dagli Yeerk.

Ricordo la prima volta che accadde. Avevo poco meno di dieci anni ed ero poco fuori città con Spiz, il mio primo vero amico, un grosso cane samoiedo, quando lui arrivò.

Era un grosso, feroce lupo, e ci attaccò. Se non fosse stato per Spiz, a quest’ora sarei morta. E se non avessi acquisito involontariamente, in uno dei miei ingenui giochi di bambina, il suo DNA, anche il mio fedele amico sarebbe morto quel giorno.

Ero talmente terrorizzata dal desiderare con tutte le mie forze di poter aiutare il mio amico, il quale, sotto quelle terribili zanne, stava avendo la peggio. Ho immaginato di essere come lui e all’improvviso mi sono sentita cambiare, quasi come se le mie ossa si stessero sciogliendo ed il prurito che provavo era lo spuntare del pelo.

Solo dopo, quando sono riuscita ad uscire da quella specie di stato d’incoscienza che mi aveva portato l’entrare nella mente di un cane e il lottare contro quella belva, sono riuscita a capire che non avevo immaginato nulla e che ero davvero diventata il mio cane.

Non potete immaginare come hanno reagito mia madre Alicia e mia nonna Harriett alla notizia! E’ stata una sorpresa anche per me sentirle dire, con voce rotta dal terrore, che mi credevano ma non dovevo dire a nessuno quello che era accaduto, anzi, avrei dovuto dimenticare quello che era accaduto e non cercare mai più di ripetere un’esperienza simile.

Mi sarei immaginata che mi avessero detto che avevo sognato e che mi avessero portato a fare analisi all’ospedale, ma mai e poi mai che mi credessero.

Fatto sta che da quel giorno ho praticato di nascosto l’arte della metamorfosi ed ora ho un buon repertorio di animali.

La mia preferita è di certo quella dell’orca assassina, per via dell’intelligenza di questo cetaceo, ma non la uso molto spesso sia per la sua mole non indifferente sia perché questa sua mente quasi umana mi inquieta non poco, per questo la metamorfosi che uso più spesso è quella di Spiz, la mia prima metamorfosi e quella a cui sono più attaccata, soprattutto adesso che Spiz è rimasto a Ancorage, la città in cui ancora vivono mia madre e mia nonna.

Io studio al Jake Berenson’s College di Phoenix assieme a Joshua e Micheal, i miei unici amici a non avere coda, pinne oppure ali. Come si suol dire, si sono accodati a me alla notizia della mia partenza e, con la scusa di proteggermi dai malintenzionati, vivono da universitari studiando poco o nulla e dedicandosi alla nostra band. Io sono la batterista, Michel è al basso mentre Joshua è cantante e tastierista. Facciamo musica rock e stavamo ottenendo anche un discreto successo. Già, stavamo. Adesso non sono sicura che per noi ci sarà un futuro.

Chissà cosa faranno la mamma e la nonna se non dovessi tornare a casa… Già hanno sofferto tanto nella vita, poverine.

Mia madre non è stata la figlia ideale per mio nonno Frank e mia nonna Harriet, e quando rimase incinta di me aveva soltanto sedici anni ed un ragazzo, di cui io non ho mai saputo il nome, che a loro non piaceva affatto.

Mio nonno, durante una di quelle furiose litigate con mia madre, ebbe un malore che gli fu fatale e mia madre, in preda al panico, fuggì di casa.

Vi è rientrata soltanto quando nonna Harriett l’ha vista sulla porta, con me tra le braccia e gli occhi gonfi per il pianto: l’uomo a cui devo parte del mio corredo genetico è scappato via, lasciando mia madre senza soldi e con una bambina a carico.

E’ per questo motivo che io sono cresciuta soltanto con loro. E forse è stato questo ambiente protetto a causarmi problemi nella socializzazione.

Le ragazze non si sono mai avvicinate a me perché mi consideravano strana e troppo maschiaccio per essere del loro gruppo, mentre i ragazzi mi allontanavano per il mio essere poco femminile.

Come dicono Joshua e Micheal, sono molto carina con i miei lunghi capelli biondissimi ed i miei occhi verdi chiato, ho tutte le curve al punto giusto e non somiglio ad una di quelle silfidi che al primo alito di vento devono andare in giro con i sassi nelle tasche, ma scateno sentimenti più simili a quelli che si possono provare per un fratello piuttosto che per una ragazza.

Non che a me interessi piacere a un uomo. Amici vanno bene, ma mai legarsi troppo a loro, questo è il mio motto. Forse sarò stata traumatizzata dal tradimento di mio padre ai danni di mia madre, ma il mio pensiero non cambia. Io non m’innamorerò mai!

Oh, ecco che la porta si apre. Finalmente saprò chi sono questi pazzi dell’Area 51 e che cosa vogliono da me. Finalmente smetterò di fare certi stupidi pensieri da reclusa.

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Prologo-Gàbriel ***


Prologo-Gàbriel


PROLOGO

Mi presento, il mio nome è Gàbriel.
Il mio cognome non è necessario, potete ascoltarmi anche senza sapere queste piccolezze vero? Perchè ciò che sto per raccontarvi, che ci crediate o no, è tutto vero...dalla prima all'ultima lettera, purtroppo.
Tutto è iniziato in un giorno d'autunno...

_Eevar, vieni qui Eevar...dai, non farti pregare! Devo docciarti, bello...
Eevar scartò di lato sbuffando in direzione del ragazzo.
_Sì, lo so che fa freddo e non hai voglia di bagnarti! Prometto che dopo ti asciugo subito, ok?- terminò con voce suadente il ragazzo mentre raccoglieva in una coda i suoi lunghi e biondi capelli ricci.
Lo stallone nitrì forte e si allontanò dal ragazzo sorridente che, con il secchio pieno d'acqua tiepida e la spugna in mano, stava entrando nel recinto dei tre cavalli.
_Ehy, di casa! C'è nessuno?
"Ma chi è questo? Chi potrebbe mai venirmi a trovare?"pensò il ragazzo appoggiando da una parte 'gli attrezzi', diede una pacca al cavallo e aggirando la piccola casa in legno si portò all'entrata.
Un uomo di mezz'età, con capelli scuri, lenti a specchio e vestito da agente dell'FBI, aveva parcheggiato una macchina nera e lucente di ultima generazione sul suo vialetto di sassi ed ora se ne stava di fronte alla porta con espressione leggermente contrariata.
Appena lo vide arrivare rimase un po' perplesso. Ciò che gli si era presentato di fronte era un ragazzo dall'aspetto efebico...sembrava davvero una ragazza con i suoi lunghi capelli ricci di un colore biondo chiaro, gli occhi di un azzurro davvero intenso e la carnagione pallida. Il fisico magro e longilineo era coperto da una larga camicia a scacchi bianchi e marroni, un paio di pantaloni in pelle scamosciata sempre marroni e degli stivali da cowboy. Nel complesso non sembrava affatto un ragazzo dell'anno 3004, bensì una ragazza dei tempi antichi, di quelle che ormai si vedevano solo nei film.
No, non poteva essere lei il ragazzo che avevano mandato a prelevare. Decisamente
Rapidamente lo squadrò dall'alto in basso e gli fece:
_Scusami ragazza, sto cercando un certo Gàbriel. E' in casa?- chiese con un briciolo di gentilezza.
Il ragazzo sbuffò.
_In persona. Lei è, se posso saperlo?- rispose tranquillamente.
_Oh, e così tu saresti Gàbriel...-rimase in silenzio un momento squadrandolo nuovamente e assumendo un tono piuttosto aspro- Sono una persona che ti doveva parlare già da qualche tempo. Entriamo?
Quel tizio come prima impressione non stava affatto simpatico al ragazzo biondo, ma quest'ultimo fece buon viso a cattiva sorte, come al solito.
_Non mi sembra il caso. Ditemi pure, vi sto ascoltando.- rispose pacatamente.
_Non prendermi in giro ragazzino, si tratta di una cosa importante e non posso certo spiegartela qui, in mezzo ad un prato!- sbottò l'uomo elegante perdendo la pazienza.
A questo punto fu Gàbriel a squadrarlo attentamente, poi fissandolo dritto negli occhi aggiunse, glaciale:
_Prego allora...-e aprì la porta di abete entrando in casa, subito seguito dall'altro.
L'uomo si guardo attorno, l'interno assomigliava di più ad una povera baita di montagna che ad una casa decente, a suo parere era stata solo 'pietosamente' risistemata in modo da renderla 'vagamente' abitabile.
_Una sola stanza?-commentò alzando un sopracciglio.
_La trovo più che sufficiente. Ditemi dunque.-tagliò corto il ragazzo.
_Si tratta di una storia lunga. Io ti conosco, Gàbriel, così come conoscevo molto bene tuo padre e anche tua madre. Mi è spiaciuto molto per la loro dipartita, ma adesso è giunto il momento che parli direttamente con te.
Gàbriel era confuso, ma non disse nulla e rimase impassibile per ascoltare il resto dello stravagante discorso dello sconosciuto, anche se la sua antipatia si era acuita dal modo in cui aveva parlato della morte dei suoi genitori...come se se lo fossero meritato.
_Vedi Gàbriel, quando sei nato abbiamo scoperto da alcuni esami che tu possiedi nel DNA il potere della metamorfosi. Sai di cosa si tratta, vero?
_L'ho studiato a scuola. E non vedo come potrei possederlo, che io sappia non ho antenati nè parenti dotati dello stesso potere.-obbiettò lui.
_Appunto: 'che tu sappia'. Solo che non si tratta semplicemente del potere della metamorfosi, ma di un qualcosa più amplificato, con meno limiti e più possibilità, non so se mi spiego. Ti verrà spiegato tutto alla base probabilmente, ma ora è top-secret. Sappi comunque che non sei l'unico ragazzo in possesso di questa facoltà, vi stiamo cercando e riunendo tutti perchè c'è bisogno di voi. Ora sbrigati, mettiti un vestito pulito e sali in macchina. Ho l'ordine di scortarti personalmente alla base.
_Piano, piano. Andiamo con ordine. Prima di tutto chi mi assicura che lei non abbia scopi malvagi su di me? Secondo: come fa lei a conoscermi e a conoscere la mia famiglia, ci avete forse spiato? E poi chi siete voi?Un'organizzazione governativa? O criminale?E se io la seguirò, come lei mi sta diciamo 'ordinando', chi si prenderà cura dei miei cavalli e degli altri miei animali?
Poco dopo Gàbriel sentì una puntura sul la nuca, come di un tafano e rapidamente poggiò la mano sulla parte dolorante, senza però scoprire alcun insetto nè alcun rigonfiamento. Abbassò la mano e riportò l'attenzione sull'uomo, in attesa di risposta.
_Troppe domande, ragazzo. Prima mi segui e prima troverai le risposte che tanto desideri.
_Temo di doverla informare che non mi muoverò da qui finchè non risponderà alle mie domande.-continuò il ragazzo imperturbabile dopo aver adocchiato il rigonfiamento sotto l'impeccabile giacca dell'uomo, sicuramente causato da un'arma.
Parlando si spostò con tutta tranquillità fino ad una specie di comodino posto vicino al letto, come se volesse solo controllare l'ora sulla sveglia...
Poi un atroce mal di testa e il buio calò tutto attorno a lui, prima ancora che si rendesse conto di cosa stava accadendo.
L'uomo sogghignò notando il ragazzo crollare a terra, la mano destra che stringeva convulsamente una pistola, si alzò e si avvicinò a lui.
_Oh, ma come hai capitolato in fretta piccolino! He he, simpatico l'oggettino che mi hanno lasciato sperimentare questa volta.-rise compiaciuto osservando un microscopico congegno ronzare impercettibilmente librandosi immobile nell'aria- Con la dose di sonnifero che ti abbiamo inniettato dormirai fino a domani...hahahaha, era proprio una dose da cavallo per te che sei così gracilino!
Così ridendo prese in braccio il ragazzo, stupendosi però che, nonostante la corporatura apparentemente esile, possedesse una muscolatura soda anche se non molto sviluppata.
_Ti sarai allenato con i tuoi cavalli probabilmente... Non c'è che dire, complimenti piccolino! Spero tanto non ti lascino mai solo alla base però, potresti avere più di qualche problema con i ragazzi del corpo militare, sai per via del tuo bel faccino...Hahahahaha! Questa è di sicuro la missione più facile e divertente che mi abbiano mai affidato!- rise continuando a schernirlo mentre si dirigeva alla macchina.
Lanciò un ultimo sguardo sprezzante agli animali, criticando la staccionata del recinto troppo bassa, e poi partì sgommando alla volta dell'area 51.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Prologo - Heléne ***


PROLOGO: HELENE

PROLOGO: HELENE

Salve, mi chiamo Helène. Ma tutti mi chiamano Lene. Volete sapere qualcosa in più? Bè, diciamo pure che io non sono come gli altri, sono diversa, sono speciale. E non lo dico per vantarmi, è la verità. Possiedo uno strano potere: il potere della metamorfosi. In pratica posso trasformarmi in qualsiasi animale io tocchi. E' un dono. O una maledizione. Non lo so. L'ho scoperto quand'ero piccola, e allora mi piaceva molto questa mia capacità. Insomma, quanti bambini conoscete che siano in grado di diventare un lupo o un'aquila? Lo consideravo divertente all'epoca. Ma ora sono cresciuta e comincio a chiedermi se per caso la metamorfosi non comporti anche qualche "effetto collaterale". Voglio dire, c'è un limite al numero di animali che posso "acquisire"? E il fatto di avere altri DNA diversi dal mio dentro di me cosa può comportare? E se per caso un giorno mi dovessi trasformare contro la mia volontà? I miei genitori hanno provato a farmi delle analisi (mio padre è uno scienziato e mia madre una ricercatrice) ma non sono riusciti a scoprire nulla. Mi hanno detto che, forse, in America sapranno darmi delle risposte. Così abbiamo deciso che partirò per gli USA. A dire la verità non è che la cosa mi entusiasmi molto. Cioè da una parte non vedo l'ora perché spero che finalmente qualcuno mi sappia dare delle risposte, ma dall'altra... l'idea di viaggiare da sola e di stare lontana dalla mia famiglia... mi rattrista e mi spaventa un po', ecco.
E così eccomi qui, pronta (si fa per dire) a lasciare la mia amatissima Svezia per l'America.
-Tutto bene tesoro?

Mia madre Edna si affacciò alla porta della stanza che condividevo con la mia sorellina.
-Sì, bè la valigia è pronta e ci sono anche tutti i documenti necessari, cartelle cliniche varie comprese.
Mia madre entrò e si sedette sul bordo del letto.

-Quello che intendevo è se tu stai bene. Come ti senti?
-Eccitata e allo stesso tempo impaurita. Insomma li sarò proprio sola.
-Oh Lene! Lo sai che non è vero! Tu sei una persona molto socievole e riesci a farti amicizie anche se non vuoi. Troverai sicuramente delle persone con cui fare amicizia, ragazzi della tua età. Non mi stupirei se tornassi a casa con un ragazzo!
-Mamma!

-Scusa, scusa. Cercavo di sdrammatizzare un po'! Però prova a pensare che faccia farebbe tuo padre se gli si presentasse davanti un ragazzo e gli dicesse "Qua la mano fratello"!

Non seppi trattenermi dallo scoppiare a ridere. Mio padre, un po' come tutti gli svedesi e i finlandesi, è una persona che tiene molto alle regole della buona educazione e credo che rimarrebbe di certo scandalizzato da una presentazione del genere. Mia madre invece è molto più alla buona. Personalmente credo di aver preso il carattere di entrambi: sono sempre molto cortese ed educata e mi aspetto che lo stesso siano gli altri nei miei confronti, ma so anche essere spiritosa.
Ritornai con il pensiero all'America. Chissà quali persone avrei incontrato, che cosa avrei fatto e soprattutto cosa avrei scoperto...
Portammo i miei bagagli in cucina e lì trovammo mio fratello Kristian.
-Allora parti sul serio?

-Sì angioletto!

"Angioletto" è il soprannome che gli ho dato: è biondo con gli occhi azzurri e sembra davvero un angelo, ma lui odia quel nomignolo e si arrabbia ogni volta. Mi aspettavo un commento aspro, ma Kristian rimase in silenzio. Tentai una battuta.

-Mi dispiace ma sono costretta a lasciarti a casa. Nella valigia non ci stai!

Di nuovo nessuna reazione. Capii che era preoccupato.

Finalmente alzò su di me i suoi occhi azzurrissimi.

-E se qualcuno ti dovesse fare del male?

-Oh, non ti devi preoccupare per questo! Ti assicuro che so difendermi!

Tirai fuori il mio coltello a serramanico.

-E poi ho memorizzato tutti gli insegnamenti che ci hanno dato a scuola durante le lezioni di difesa personale.

Kristian mi sorrise soddisfatto e in quel momento arrivò mio padre.

-Sei pronta? Dovremmo partire; non vorrei che perdessi il volo.
Annuii col capo.

-Però aspetta un attimo. Devo trovare Britt!

-Io metto le valigie in bagagliaio, tu cercala.

Sapevo esattamente dove fosse la mia sorellina. Andai in giardino e la trovai seduta sull'altalena. Anche lei sembrava triste.

-Ciao Britt!

Mi guardò allarmata

-Devi già andare?

Mi inginocchiai di fronte a lei.

-Credo proprio di sì! Ma ci sentiremo spesso lo sia vero? E poi non starò via così tanto!

-Sì lo so, papà ha detto che per il mio compleanno sarai a casa, vero Lene?

Il suo compleanno era due mesi dopo. Nessuno di noi aveva la minima idea di quanto ci sarebbe voluto, ma avevamo raccontato questa piccola bugia per tranquillizzare lei e in parte anche per tranquillizzare noi stessi.

-Ma certo! E ti porterò anche un bellissimo regalo!

-Topolino!

Per Britt America voleva dire Disneyland.

-Sì, Topolino.

L'abbracciai forte forte.

-Adesso vado. Ci sentiamo appena arrivo.

-Ti voglio bene Lene!

-Anch'io piccola. Ti voglio tanto, tanto bene!
Salii in auto e mentre mio padre metteva in moto mi girai a salutare gli altri. Finalmente partimmo. Accesi il lettore cd per cercare di distrarmi, ma continuavo a pensare a ciò che avrei trovato e a quello che avevo lasciato. Per tutta la durata del viaggio non aprii bocca, sognando ad occhi aperti.

Quando arrivammo all'aeroporto mio padre mi aiutò con i bagagli e prima che salissi mi abbracciò stretta. Restammo così per un po', poi lui mi disse:

- Bene tesoro. Fai buon viaggio e chiama non appena arrivi. In bocca al lupo Lene!

-Crepi papà!
A bordo dell'aereo guardai mio padre dal finestrino e lo salutai con la mano. Al momento del decollo fui presa dal panico, ma resistetti all'impulso di scendere e mi aggrappai al sedile. Non so come, poco dopo mi addormentai. Il tempo in cui non dormii lo passai ascoltando musica e immaginando come sarebbe stato il posto in cui avrei vissuto.

Dopo un tempo che mi sembrò interminabile l'aereo atterrò. Recuperai la sacca che avevo depositato sul sedile e poco dopo fui a terra. Mi sentivo un po' stordita e, devo ammetterlo, anche spaventata. Recuperati i bagagli provai a scrutare tra la folla anche se non avevo idea di chi cercare. Una mano mi afferrò la spalla. Mi voltai di scatto.

-La signorina Helène?-

Era una donna, piuttosto giovane, indossava un completo grigio e aveva appuntato sulla giacca il tesserino di riconoscimento con il suo nome e quello del laboratorio. Diceva "Dott.sa Kelly Hudson"

-Sì sono io- risposi.

-Salve! Io sono la dottoressa Hudson. Hai fatto buon viaggio?

-Sì abbastanza.

-Va tutto bene Helène?- mi chiese mentre ci avviavamo verso l'esterno.

-Sì, tutto ok!

Non so perché ma qualcosa mi diceva di non fidarmi. Caricammo i bagagli a bordo di un'auto scura e salimmo.
-Adesso dove si va?- chiesi.

- Andremo direttamente al laboratorio. Ma immagino che tu sia stanca. Se vorrai potrai riposare.

-Ah. Grazie. E dove si trova il vostro laboratorio?

-In una zona denominata Area51.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** LA RIUNIONE ***


Pagina Web personale

CAPITOLO 1- LA RIUNIONE

M’infilai in uno dei corridoi e cominciai a correre, con il panino con la nutella in bocca e delle cartelle sottobraccio, chiedendo come mai mi avvisassero sempre tardi delle riunioni e perché non usassero quel maledetto cercapersone per qualcosa di utile, invece che per mandarmi solo quei messaggi stupidi che mi ricordavano i prelievi di sangue. Terminai il panino in corsa, pulendomi la bocca con il dorso della mano, e svoltai in uno dei corridoi che passava per le celle, era una scorciatoia che avevo imparato con Johnas l’anno prima, quando ci eravamo incontrati per la prima volta. Frenai, vedendo i soldati di guardia dirigersi a passo ben marcato verso una delle celle e tirare fuori una ragazza biondissima. Non avevo tempo per ricordare chi si trovasse in quella cella, la BSC-049, stavo facendo tardi alla riunione, avevo solo dieci minuti per arrivarci dal momento in cui mi era arrivato il messaggio e conoscere la mia prossima missione.

Svoltai, ritrovandomi in un corridoio molto trafficato, ma continuai a correre, schivando tutti quelli che erano sulla mia traiettoria. Dentro di me martellava un’unica parola: tardi!

Stavo facendo colazione in tutta tranquillità dopo aver fotocopiato i dati che mi avevano richiesto, quando Johnas mi si era avvicinato con fare noncurante e avevamo cominciato a parlare di atomi e energia rilasciata. Johnas era un giovane fisico di diciotto anni chiamato a lavorare lì tre anni prima grazie alla sua spiccata intelligenza e alla sua media del trenta e lode dell’istituto in cui studiava prima di esser preso e portato lì a occuparsi dei laboratori, degli studi e degli esperimenti in piena notte ed era l’unico a chiamarmi Amy e non Evy. Aveva corti capelli neri, occhi marroni e una carnagione molto chiara e, come me, indossava una tuta verde con delle parti in velcro nero e degli anfibi, inoltre era più alto di me di mezza testa. Ci volevamo bene, ma nessuno, a parte il generale Abercrombie, lo sapeva. Poco più tardi era arrivato un soldato, probabilmente un nuovo arrivato, che mi aveva riferito l’ordine di presentarmi in dieci minuti nella sala briefing poiché la riunione era stata anticipata di tre ore. Svoltai un’altra volta, ritrovandomi in un corridoio quasi deserto, e controllai l’orologio: mancava un minuto.

Tentai di ricordare cosa c’era in quelle cartelle che mi portavo dietro: schede di quattro persone, tabelle, file top secret ripescati dagli archivi più nascosti e dimenticati, ritrovati per caso durante l’archivio di un fine stagione, gli ultimi avvistamenti, le scomparse degli agenti e qualcos’altro ancora. Vidi le scale che portavano alla sala briefing e mi afferrai sul passamano, eseguendo un’inversione di direzione strettissima e correndo su per le scale, sapendo che mancava pochissimo tempo. Mi fermai un attimo davanti alla porta, per riprendere fiato, e dopo bussai.

- Avanti.- disse una voce, dall’altra parte.

Aprii la porta, entrando nella sala briefing, e feci il saluto militare, prima di osservare l’interno. Come mobilio c’erano diversi archivi e scaffali, un lungo tavolo ovale con una sedia per ciascun capotavola e tre sedie per ciascuna parte, una lavagna bianca e una trasparente, un telo bianco e diversi proiettori. Di persone vive c’erano il generale Abercrombie, un giovane cui non riuscivo a capire bene il genere e una ragazza dai capelli biondi, di “cadaveri” ce n’erano stati molti, ma nessuno era lì presente. Per “cadaveri” la base aveva sempre inteso le persone che andavano controllate perché potevano fornire dati a persone pericolose e non autorizzate.

Il generale Abercrombie era un uomo vicino alla pensione, con corti capelli canuti, occhi verdi e una carnagione un po’ scura, ambrata, indossava una divisa dell’aeronautica blu.

La ragazza aveva capelli biondi e mossi, lunghi fino alle spalle e raccolti dietro alle orecchie, grandi occhi verdi e una carnagione chiara, indossava pantaloni felpati neri e una maglia anche nera.

Il giovane aveva occhi di color azzurro intenso, ricci capelli di color biondo chiarissimo, lunghi fin sotto le spalle e sciolti, e aveva una carnagione pallida, indossava una larga camicia a scacchi bianchi e marroni e un paio di pantaloni in pelle scamosciata.

- Signore, scusi per il ritardo, mi hanno avvisato in ritardo dell’anticipo della riunione.- dissi.

- Va bene, agente Shadows, ha portato il materiale?- chiese lui.

- Sì, signore.- risposi.

- Distribuisca le cartelle e vada a sedersi.- ordinò.

Feci come aveva detto e mi sedetti in silenzio, riprendendo fiato. Il generale Abercrombie spesso si comportava come un nonno, quando qualcuno ne aveva il bisogno, ma sapeva anche essere autorevole. Non avevo mai visto di persona i due ragazzi, ma sapevo chi erano: avevo fotocopiato le loro schede. La porta si riaprì e vedemmo entrare una giovane dai capelli biondissimi, indossava un maglione di lana bianco e pantaloni grigio chiaro e aveva alle spalle diversi soldati ultrapalestrati, del tipo che non avevo mai sopportato: tutto muscoli e niente cervello.

- In libertà.- ordinò il generale.

I soldati fecero il saluto e se ne andarono: la riunione poteva finalmente cominciare, anche se era facilmente immaginabile che non sarebbe stata come tutte le altre. Ricordavo facilmente ciò che avevo fotocopiato: nonostante tutte le attrezzature all’avanguardia che avevamo, le fotocopiatrici erano obsolete e in qualche modo dovevo pur passare il tempo.

- Immagino che non sappiate tutti il motivo per cui siete stati portati qui. Sono il generale Seth Abercrombie, responsabile dell’Area 51, l’installazione denominata fantasma nel Nevada, e principalmente del progetto che vi riguarda, infatti sono il colpevole, se così si può dire, del fatto che ora siete qui.- esordì.

Io mi trovavo subito alla destra del generale, la ragazza biondissima era davanti a me, quella con i capelli lunghi fino alle spalle era alla mia destra e il giovane era di fronte a quest’ultima.

- Vi chiedo scusa per il modo in cui gli agenti vi hanno prelevato dalle vostre terre e occupazioni, ma c’è un problema molto serio che richiede la vostra collaborazione.- continuò.- La qui presente agente Shadows ha distribuito delle cartelle che vorrei consultaste. Poco più di due ani fa una navicella di origini sconosciute è precipitata sulla Terra, nessuno ha ancora scoperto la sua provenienza, ma ora siamo quasi tentati di andare a defcon tre.-

- Addirittura defcon tre, signore?- chiesi, sorpresa, all’oscuro di ciò.

- Sì, Shadows. Diversi agenti sono svaniti, andate a pagina cinque, abbiamo ricevuto dai satelliti l’immagine di un oggetto non identificato che si trova su tutte le finestre delle cucine della cittadina di Hit.-

- Scusi, ma noi cosa c’entriamo?- chiese quella bionda.- Che io sappia sono qui per fare delle analisi.-

Scorsi un po’ indietro le pagine e vidi la sua scheda: Helène dalla città di Stoccolma.

- Se il generale Abercrombie mi permette, gradirei spiegarvi io i dettagli della situazione.- dissi e vidi il generale annuire.- I nostri migliori agenti sono svaniti nel nulla da quando hanno avuto l’ordine di sorvegliare i fatti che non avvenivano nella cittadina e, quando è stato scoperto che quattro persone avevano il dono e la maledizione degli antenati si è deciso di creare il progetto “New Animorph” che prevede il ritrovo delle suddette persone e il loro addestramento per…-

- Addestrati? E se noi non volessimo?- chiese il giovane.- Per quanto mi riguarda voglio solo tornare dai miei cavalli.-

Spostai la scheda di Helène e vidi la sua.

- Signor Gabrièl, immagino che lei abbia studiato la storia.- risposi, cercando di controllarmi.- Mille anni fa gli antenati riuscirono a scacciare il pericolo yeerk con molta fatica, per quanto pare un pericolo ben maggiore sta ora minacciando il nostro pianeta e tutto ciò che vi è caro.-

- Non vi chiedo di darmi subito una risposta: sarete riaccompagnati con metodi gentili alle vostre abitazioni con tutto il materiale e un telefono collegato alla base.- disse il generale.- Appena avrete deciso, utilizzatelo, ma prima che ve ne andiate, gradirei mostrarvi un’ipotesi su quello che accadrà se una squadra non agirà per arginare e eliminare il problema.-

Fece oscurare la stanza e da un proiettore si vide l’immagine di una Terra sotto il pericolo che ora stava solo incombendo: umani costretti a fare il lavoro delle bestie, e trattati anche peggio, creature grigie e piccole che fluttuavano nell’aria, con grandi occhi neri e braccia lunghe fino ai piedi, assenza totale di bambini e un qualsivoglia tipo di gioia.

E pensare che quello che non stava accadendo in quel momento erano solo gli atti criminali…

Le luci si riaccesero.

- Potete andare.- disse il generale, alzandosi.- L’agente Shadows vi accompagnerà all’uscita. Si prenda anche lei questo periodo, agente.-

Annuii e raccolsi i fogli nella cartella, dopo, piuttosto silenziosamente, li accompagnai all’uscita, osservando le loro reazioni: solo Helène sembrava un po’ scossa, ma in complesso contenevano bene le loro emozioni. Raggiungemmo l’uscita e diedero a ciascuno di noi un telefono cellulare, indicandoci un pulmino.

- Ci porteranno fino all’aeroporto civile, hanno già prenotato dei voli per ciascuna destinazione. Vi vorrei dare un solo consiglio: portate con voi quanto più ritenete utile, se mai vorrete lottare.- dissi, dopo essermi seduta.

Sprofondai nella lettura del dox. Le schede di ciascuno di noi, tutte con la dicitura “genoma altamente instabile”, le planimetrie delle case in cui ci saremmo trovati ad abitare, tutte nella stessa via, i rapporti sugli agenti scomparsi e, su alcuni che erano tornati, quello che avevano detto sotto ipnosi. Con tutta probabilità sapevano che saremmo arrivati, ma era anche vero che nessun agente sapeva del progetto “New Animorph”. Vidi che, secondo i rapporti, era facile incontrarli presso la scuola e un ricreatorio. A scuola ci andavo già, con tutto il polverone che avevano fatto non potevo cambiare, ma avrei facilmente potuto indagare presso il ricreatorio anche se, con mia grande tristezza, avevano chiuso l’unico poligono di tiro della zona.

L’immagine che avevo visto mi tornò alla mente. Avrei lottato fino alla morte, ma ignoravo ancora ciò che avevano scelto gli altri e ricordavo di aver detto a Johnas dove trovarmi. Ero tranquilla, ma mi chiedevo comunque che ne sarebbe stato di noi… e in che condizioni avrei trovato la casa.


Evelyn


N.d.Evy: la cittadina è Hite, nello Utah, e siccome non vorrei offendere nessuno (mia grande paura ^.^) ho deciso di modificarne il nome, spero che anche per le altre vada bene. C’è solo un problemino piccino picciò: mi hanno appena tolto la linea ;.;. È grazie a un’amica, AlyDebby, che sono riuscita a pubblicare e chiederò il suo aiuto anche per il resto delle volte fino a giugno. Alla prossima ^_^!!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** La scelta di Aisleen ***


La Scelta di Aysleen

La Scelta di Aysleen

 

Sapete una cosa? Comincio a credere di essere  davanti allo schermo su cui proiettano uno di quei film di fantascienza dalla trama fin troppo scontata.

Ci sono il gruppo di alieni cattivi… gli umani, che fanno la parte delle povere vittime, esseri fin troppo buoni e coraggiosi… e, naturalmente, dopo tutto ciò, appaiono i poveri perdenti che per un qualche strano motivo finiscono in una base militare. Se poi pensiamo alla sequenza di eventi che si svolgono dopo quest’incipit… arriva il classico tizio vestito da militare che racconta come questi poveri tizi siano l’unica speranza del pianeta… ah, tra i protagonisti scordavo la vincente che si unisce ai comuni mortali nell’occasione della scoperta della loro missione, la tipa carina che si unisce agli sfigati per combattere al loro fianco ma che, immancabilmente, è talmente legata al militare che funge anche come contatto con la base ed eventuale esecutrice di condanna in caso di diserzione.

Tutto questo potrebbe essere anche piuttosto divertente, se soltanto questo film non fosse diventato parte della mia vita.

Una mattina come tutte le altre mi intrappolano nell’area 51 e mi chiudono in una cella scomoda e fredda.

Non immagino quanto sia rimasta in quella cella, poi sono stata portata, scortata da immancabili gorilla microcefali armati fino ai denti, in una stanza in cui il militare di turno, in questo caso il generale Abercrombie, mi ha detto che ho il DNA altamente instabile e che c’è una nuova minaccia aliena.

Vi lascio immaginare il seguito: io sono una dei quattro ragazzi, di cui anche una ragazza che è parte del personale della base, siamo in grado di arginare questa minaccia grazie al potere della metamorfosi.

Mi hanno lasciata andare facendo però in modo che io sia rintracciabile e possa incontrare gli altri nel caso accettassi questa missione denominata “New Animorphs”.

Certo che, dopo quel che ho visto in quella stanza, non è che abbia molta scelta.

Io ho il dovere di far stare tranquille mamma e nonna, ma se non farle preoccupare significa non combattere per il bene comune... mi spiace, ma non ci sto. Devo sdebitarmi soprattutto con la nonna per ciò che ha fatto per me e la mamma. E’ per questo che ho scelto sin dal primo momento di accettare la missione.

Ho una fifa blu, lo ammetto, ma di certo non sarà questo a fermarmi. Devo farlo perché questo mio gesto  è fatto per un bene maggiore, quello dell’intera umanità.

Ho un solo problema: è giusto continuare a tenere il segreto delle mie metamorfosi?

Di certo non posso raccontare loro che sto per accettare di entrare nel progetto “New Animorphs”, ma tener loro nascosto che ho continuato a trasformarmi per anni ed anni non mi pare corretto.

E’ per questo che sono di fronte a questa porta, indecisa se bussare oppure no. Non sono sicura se sia meglio il contatto diretto oppure una lettera. Vorrei vederle per l’ultima volta, ma se lo faccio sarò in grado di andarmene? Sarò in grado di morire per una causa maggiore dopo aver abbracciato mamma e nonna?

No. Lo escludo. E’ per questo che lascerò qui la lettera in cui dico che ho deciso di andarmene lontano e che mi farò sentire io. Loro non dovranno cercare di rintracciarmi e se svanirò nel nulla… almeno non sentiranno troppo la mia mancanza.

Lascio la lettera cadere sullo zerbino, poi scappo. Non sono coraggiosa. Non sono affatto coraggiosa e desidero immensamente tirarmi indietro, ma questa missione non è una mia scelta. E’ un mio preciso dovere.

- Pronto? Sono Aysleen Tyler. Ci sto. Sarò lì tra una settimana. Lascerò il telefono dove potrete trovarlo facilmente- dissi, senza neanche dare il tempo di parlare a chiunque fosse dall’altra parte del telefono, poi riappesi.

Ho scelto di essere del gruppo, ma voglio vivere ancora qualche giorno come piace a me. Libera come il vento. O, se volete una metafora più adatta a me, come un lupo.

 

Sei Giorni dopo

 

Sono arrivata. Questa qui davanti è la base dove sono stata portata dopo la mia cattura.

Ancora loro non possono saperlo che sono qui. Sono in una delle nuove metamorfosi che ho acquisito nel mio lungo viaggio. Sono venuta qui dall’Alaska passando per varie forme. Sono stata un lupo che correva sui ghiacci, una zanzara che beve il sangue di un puma, quello stesso puma e, ora, sono un’aquila dalla testa bianca, dominatrice del cielo, che si prepara ad atterrare.

La mia avventura ha inizio!

 

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=26877