The gift

di Seagullgirl
(/viewuser.php?uid=108672)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cafè sulla settima ***
Capitolo 2: *** Milkshake alla fragola ***
Capitolo 3: *** Un piccolo favore ***
Capitolo 4: *** Central Park ***
Capitolo 5: *** I've been looking for you forever.... ***
Capitolo 6: *** Perfect ***
Capitolo 7: *** Broken dreams ***
Capitolo 8: *** You lost the one you need to breathe ***
Capitolo 9: *** Be the one ***



Capitolo 1
*** Cafè sulla settima ***



Ciao a tutti!

Dico subito che questa storia è un esperimento, per cui non so come finirà.
Può essere anche che la cancelli, oppure che mi venga anche fuori una cosa carina.
Sono stata indecisa fino all'ultimo se pubblicarla o no, e alla fine ho deciso di farlo.
Ci sono molto legata, perchè in effetti parla molto di me, e per questo ero curiosa di sapere cosa ne avreste pensato. :)
Spero vi piaccia, e anche in caso contrario, che vogliate lasciare un vostro parere! :)
Buona lettura.






 






Mi era bastato guardarla per capire che Jenny non era come le altre.
O perlomeno, io ero convinto che non lo fosse. Non apparteneva a nessuna categoria, perché non aveva regole fisse. Non si poteva dire “ è così “, perché lei cambiava ogni giorno, pur rimanendo sempre uguale.
Ci eravamo incontrati la prima volta al Rockfeller Center, quando, cercando di non cadere, si era aggrappata a me con entrambe le mani.
« Oddio, scusa! » aveva esclamato con sguardo colpevole.
« Nulla » avevo semplicemente risposto io in un debole sorriso.
Dal momento in cui i nostri occhi s’incontrarono, capii che c’era qualcosa di magico in lei, qualcosa che nessuno riusciva a cogliere, tranne me.
Avevo ben presto scoperto che parlare era il suo passatempo preferito. Era timida, ma una volta presa confidenza diventava estroversa e solare, rivelando il suo vero carattere. Probabilmente la maggior parte delle persone avrebbero considerato questa sua loquacità un difetto, ma non io. Mi piaceva ascoltarla parlare, osservando come gesticolava con le mani quando l’argomento la coinvolgeva molto, come rideva al ricordo degli episodi divertenti che mi raccontava, o le sue espressioni, che variavano in continuazione, con un’abilità di mimica facciale straordinaria.
Solitamente ci incontravamo nella caffetteria dietro l’angolo di casa mia e ci sedevamo sempre allo stesso tavolo, in fondo e vicino alla finestra, un po’ isolato.
« Sai, è strano che io parli così tanto con te », disse mentre girava lo zucchero nel caffè.
« Perché? »
« Non mi capita spesso di farlo. Vorrei, ma so che le persone non amano ascoltare gli altri »
Scossi la testa, contrariato. « A me piace ascoltarti », dissi sinceramente.
Lei arrossì lievemente, come se le avessi fatto un grosso complimento.
In quel momento, forse per la prima volta da quando l’avevo conosciuta, notai quanto fosse bella. Il viso in alcuni momenti pareva di porcellana, né troppo tondo né troppo ovale; gli occhi – che erano la prima cosa che mi aveva colpito di lei – avevano quella forma perfetta che si vede nei cerbiatti: leggermente allungati alle estremità e tondi al centro. Il colore era uniforme, come se glieli avessero dipinti con il pennarello, e di un bel marrone lucido, come i vecchi mobili in legno della nonna.
La bocca era piena e ben modellata, di un rosso appena accennato. Le sopracciglia nere e folte, disegnate perfettamente. I capelli castano chiaro, ma che alla luce rivelavano riflessi dorati, le circondavano il volto in un’onda morbida.
Era strano come in una città grande e caotica come New York, due ragazzi possano sedere indisturbati ad un tavolo, sorseggiando un caffè e parlando della loro vita, senza che nessuno li noti.
Eppure, in quell’ora che ci ritagliavamo per noi ogni giorno, pian piano imparammo a conoscerci.
« Matthew è davvero un bel nome » osservò quella mattina.
« E’ molto comune »
Fece spallucce, sorridendomi leggermente « Lo so, ma mi piace »
« Anche Jennifer è carino »
A quell’affermazione fece una smorfia, arricciando il naso.
« Io lo trovo così antiquato. Preferisco Jenny »
« E io Matt » dissi con tono scherzoso.
Capitava che spesso nella conversazione ci fossero delle pause anche abbastanza sostanziose, ma non ne sentivo mai il peso. Non era un silenzio imbarazzante, era come quando due persone si guardano negli occhi e tutto il resto del mondo sembra fermarsi. Ecco, io mi sentivo così quando stavo con lei. Tutto sembrava più semplice.
« Sei figlia unica? » chiesi mentre aspettavamo l’ordinazione
« Più o meno », rispose con tono sarcastico ma duro.
Risi, involontariamente. « Come sarebbe “ più o meno “ ? »
Fece spallucce e addentò un pezzo della ciambella che aveva davanti.
« Ho una sorellastra che non vedo da quando avevo cinque anni » spiegò.
Rimasi sorpreso da questa notizia. Mi aveva detto che la sua era una vita estremamente anonima, senza colpi di scena.« Come mai? » chiesi curioso ma senza malizia.
Di nuovo, alzò le spalle. « Odia mio padre. Sua madre l’ha convinta che è uno stronzo e che l’ha abbandonata ». Bevve un sorso del caffè e parlò di nuovo.
« Lui c’è sempre stato per lei. Gli ha persino lasciato la casa che aveva comprato con i soldi risparmiati in anni e anni di duro lavoro » mentre parlava il suo tono si faceva sempre più acido, anche se non ero sicuro che se ne rendesse conto.
« Le ha sempre voluto bene. Ha lottato per lei ogni volta che sua madre gli impediva di vederla. E il suo ringraziamento quale è stato? Quando ha avuto diciotto anni l’ha portato in tribunale, gli ha fatto rinunciare alla patria podestà e si è fatta mettere il cognome del compagno di sua mamma » quasi sputò le ultime parole.
Io l’ascoltavo in silenzio, senza dire nulla, e anche quando faceva una pausa non facevo domande né commentavo, in attesa che dicesse veramente tutto.
« Ma la cosa comica è che ha anche provato a ricontattarmi. Non vuole più vedere mio padre, i miei nonni… però vorrebbe vedere me » rise, come fosse una cosa buffa.
Guardò fuori dalla finestra, e gli occhi le cominciarono a diventare lucidi.
« Ci siamo parlate su Facebook per due settimane, poi ha smesso di scrivermi »
Parlava di lei con rancore, rabbia, ma anche delusione. Profonda delusione.
« Perché non la vuoi rivedere? » chiesi, ma mi sentivo un po’ stupido.
In fondo, non credo che io avrei reagito diversamente da lei.
A quelle parole sembrò riprendersi. Si voltò verso di me e mi guardò male.
« Ha detto che lui non è più suo padre. Se lui non è più suo padre io non sono più sua sorella. Per cui perché dovrei voler rivedere un’estranea? ».
Quello fu il suo semplice ragionamento, ed effettivamente non faceva una piega.
Amava suo padre, e non riusciva a volere bene a qualcuno che lo odiava.
Se ci pensavo, era così anche per me. Per cui la capivo, e le davo ragione.
« Non posso darti torto. Anche io sono uno che porta rancore », ammisi.
Lei mi sorrise, e passò a parlare di cose più allegre. Mi raccontò di sua madre, suo padre, i suoi nonni. Dall’affetto con cui ne parlava capivo che la sua infanzia era stata tranquilla, felice. Per un attimo fui invidioso di quella beatitudine, quella fanciullezza che io non avevo avuto. Ma poi fui contento che avesse avuto quella possibilità. Almeno lei aveva avuto ciò che meritava.

« Ma parlami un po’ della tua, di famiglia », disse curiosa quando ebbe finito di parlare. « Sennò non vale »
Io feci spallucce, non sapendo da dove iniziare.
« Non c’è molto da dire in realtà. Sono cresciuto con mia madre, io e lei soli. Poi a diciotto anni me ne sono andato di casa e adesso vivo con un mio amico »
« E tuo padre? » chiese aggrottando le sopracciglia.
« Se n’è andato prima che nascessi » dissi semplicemente.
La sua bocca si aprì involontariamente in un’espressione di sorpresa.
« Ha abbandonato tua madre? »
Annuii. Era strano parlare di lui con qualcuno. Non lo facevo quasi mai, nemmeno con mia mamma. Eppure, con Jenny non facevo alcuno sforzo.
« Mi… mi dispiace, scusa, io… sono stata invadente » balbettò imbarazzata.
Scossi la testa, sorridendo « No, scusami tu. E’ che mi fa strano parlarne con qualcuno. Però in fondo è liberatorio », confessai.
Abbassò la testa, cercando le parole giuste, prima di rialzarla. « Ti manca? »
Ci dovetti pensare un po’ su, prima di risponderle. « No. O meglio, non è lui a mancarmi. Mi manca averlo avuto nella mia vita quando ne avevo bisogno », spiegai.
« Quando ero piccolo mia madre stava fuori tutto il giorno per lavoro, e molto spesso mi sentivo solo. Ed essendo figlio unico, quando ne avevo bisogno non c’era nessuno con cui potessi parlare, nessuno che mi aiutasse. Quando sono cresciuto, anche… c’erano cose di cui non potevo parlare con mia mamma, e avrei tanto voluto che mio padre ci fosse ».

Parlai guardando fuori dalla finestra, fingendo disinvoltura, e osservavo le sue reazioni con la coda dell’occhio. Si morse il labbro, osservandomi.
Le sue sopracciglia erano corrugate e il suo sguardo era un misto tra il triste, l’arrabbiato e il pensieroso. Normalmente odiavo essere compatito per la storia di mio padre, ma stranamente quella volta non era così. Perché la sua non era compassione, ma sincero dispiacere. Dopo un lungo silenzio meditativo, la vidi allungare la mano per posarla sopra la mia. Un gesto semplice, comune. Nulla di speciale.
Eppure, in quel momento mi fece sentire meglio, come nessuno era mai riuscito a fare, nemmeno con milioni di parole. Di nuovo, calò il silenzio.
« Matt », mi chiamò dopo una lunga pausa. « Sì? » risposi istintivamente.
Di nuovo una pausa. Si morse il labbro, guardò il tavolo e finalmente me.
« Per quello che vale, io ci sono. Non sei solo ».
Quelle parole mi colpirono come una freccia dritta al cuore. Dette da una persona qualsiasi sarebbero risultate false, dopo così poco che ci conoscevamo, ma non dette da lei. Non sapevo il motivo, ma nel profondo del mio cuore sentivo che era sincera.
In più, una sensazione strana mi aveva accompagnato sempre quando ero con lei, fin dal primo giorno.
Era come se una parte di me fosse irrimediabilmente attratta da quella misteriosa ragazza, che sembrava avere qualcosa di magico. Mi sentivo come se fossimo due calamite di polarità opposta, obbligate ad attrarsi. E c’era qualcosa di magico anche in quella sensazione.
« Anche io », dissi stringendo le sue dita tra le mie.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Milkshake alla fragola ***








Ero seduto al nostro tavolo già da dieci minuti, ma di Jenny ancora nessun segno.
Guardavo nervosamente l'orologio, chiedendomi dove fosse finita. Da quando ci conoscevamo non era mai stata in ritardo, nemmeno una volta. Anzi, di solito quando arrivavo lei era già lì da qualche minuto.
Quando stavo per cominciare a preoccuparmi, la porta della caffetteria si aprì facendo suonare il ciondolo che vi era appeso ed entrò lei trafelata.
« Scusa », mormorò sedendosi e poggiando la tracolla accanto a lei.
« Figurati. E' successo qualcosa? » chiesi cercando di non apparire impiccione.
Scosse la testa veloce, facendo un breve sorriso. « No, no. Ho solo perso di vista l'orologio, stavo studiando », spiegò.
« Oh. Se dovevi finire potevamo rimandare, non c'è problema... » l'ultima cosa che volevo era interferire con il suo studio.
« No, ti prego » si affrettò a fermarmi. « avevo bisogno di una pausa » tentò di giustificarsi.
Mentre parlava, la cameriera si avvicinò a noi e ci chiese cosa volevamo.
« Un milkshake alla fragola, grazie » sorrise cordiale Jenny.
La ragazza annuii e scrissi frettolosamente su un foglietto di carta, rivolgendosi poi a me. « E per te? », chiese con un grosso sorriso.
« Niente, grazie » la liquidai frettolosamente. Annuii un po' delusa e se ne andò senza proferire parola.
Jen ridacchiò sotto i baffi, mentre la guardava allontanarsi.
« Che c'è di buffo? » domandai curioso.
Lei mi guardò alzando le sopracciglia, ridacchiando. « Non l'hai notato? Ci stava provando con te » continuò divertita.
Io la guardai stupito. « Davvero? » non l'avevo notato, veramente. Ero troppo concentrato a guardare...
Annuì, sorridendo della mia ingenuità. « Non credevo avessi tanto successo con le ragazze » osservò sorpresa. « Infatti non ce l'ho. Secondo me ti sbagli »
In quel momento la cameriera tornò con la sua ordinazione: un grosso bicchiere di vetro contenente una bevanda rosa chiaro con una cannuccia colorata infilata dentro.
« Ecco il tuo milkshake » disse poggiandolo davanti a lei.
Poi si rivolse di nuovo a me, e stavolta cercai di far caso al suo atteggiamento.
« Sicuro di non volere nulla? » chiese con uno sguardo alquanto languido.
« No, grazie » risposi mostrandomi cordiale.
« Se cambi idea dimmelo » concluse andandosene, non prima di avermi sorriso un ultima volta. Per un attimo calò il silenzio, poi scoppiammo entrambi a ridere.
« Ok, forse avevi ragione » le concessi tra una risata e l'altra.
« Forse? Oh, andiamo! Ce l'aveva praticamente scritto in faccia! » insistette divertita.
« Ok, ok, hai vinto » mi arresi alzando le mani in segno di resa.
Sorrise soddisfatta della sua vittoria, bevendo un sorso del suo milkshake rosato.
« Ti piace la fragola? » chiesi cercando di cambiare discorso.
Scosse la testa, posando il bicchiere sul tavolo. « No, di solito no. Mi piacciono solo con la cioccolata sopra, come gelato o come milkshake » precisò.
« E a te? » chiese subito dopo, guardandomi interessata.
« Così così. Preferisco il cioccolato ad essere sincero » risi di quel gusto un po' infantile. Lei rise con me, annuendo convinta. « Sì, quello anche io » concordò.
Il tempo passava velocemente, tra una risata e l'altra, e anche se dopo un po' sembrava che potessimo esaurire gli argomenti, non era mai così.
Jenny aveva sempre qualcosa di nuovo da raccontare, da chiedere, da supporre.
A volte cominciava a parlare così concitatamente che senza rendersene conto aumentava di velocità, ed ero costretto a chiederle di rallentare. A quel punto lei si rendeva conto di ciò che stava facendo e si scusava, arrossendo.
A me però questo non dava fastidio, perchè trovavo così affascinante starla ad ascoltare, seguire i suoi ragionamenti sulle questioni della vita, rispondere alle sue domande e vedere che le interessava davvero la mia risposta.
Quelle ore che passavo con lei ogni giorno erano le più belle di tutta la mia giornata, e le attendevo con ansia per tutto il resto del tempo.
Arrivai ad un punto in cui pensavo a lei sempre: prima di andare a letto, la mattina appena sveglio, persino il giorno a lavoro. Ogni volta che entravo in quel cafè e la vedevo seduta al tavolo, il cuore mi si fermava per un istante, prima che lei mi sorridesse, salutandomi con la mano.
Più tempo passavo con lei e più cominciavo a pensare che quella ragazza fosse troppo bella per essere vera. Non era bella solo esteriormente (la bellezza si sa, è soggettiva), ma soprattutto interiormente. Non era buona, nel vero senso della parola, ma era sincera. Se diceva una cosa era sicuramente ciò che pensava, nel bene o nel male.
A volte la sua verità era un po' dura, ma il suo motto era “ è meglio essere feriti dalla verità che consolati dalla menzogna”, e io ero d'accordo con lei.
« Non sono sicura che questa mia sincerità sia un bene » mormorò titubante aggiustandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
« Le persone si allontanano, se mostri loro chi sono realmente » disse con un tono accusatorio che mi colse di sorpresa.
« Qualcuno si è allontanato da te? » chiesi guardandola sottecchi.
Lei esitò un attimo prima di rispondere, girando la cannuccia nel bicchiere e guardando fuori con aria leggermente afflitta.
« Molti. Ogni volta che conosco una persona nuova m'illudo che sia diversa. Che riesca a capire che le cose che dico, anche in modo duro a volte, non hanno mai come scopo l'umiliare o il far sentire quella persona inadeguata, nuda. Ma solo il volerla capire. Il tentare di fare capire a lei, dov'è che può migliorarsi »
Fece una piccola pausa, prima di continuare.
« Non è presunzione. Nessuno ci crede, ma è così. Vorrei solo... essere ascoltata.
Poter guardare negli occhi quella persona, dirle “ qui secondo me sbagli “ e per una volta, una sola volta, sentirmi rispondere “ forse hai ragione “. Non pretendo di cambiare le persone, o di renderle migliori. Solo... che male può fare l'opinione sincera di un amico? E' così difficile rendersi conto da soli dove sbagliamo... io lo so bene ».
Parlava, e nel frattempo pareva perdersi nei suoi ricordi, forse anche più dolorosi di quello che potevo immaginare.
« Forse dovresti solo cercare di dire le cose... con più diplomazia » suggerii.
Capivo che lei non aveva cattive intenzioni, ma le persone spesso faticano ad ammettere i propri errori a se stessi, figuriamoci agli altri. E' orgoglio. E anche io ho questo brutto difetto, purtroppo.
« O forse dovrei semplicemente arrendermi al fatto che la mia opinione non è desiderata » semplificò non molto ottimista.
Probabilmente si rese conto che la sua affermazione era un po' troppo pesante, perchè scosse la testa come a dirsi “ Ok, non esageriamo “.
« Cambiamo argomento, ti va? » chiese sorridente riprendendosi. « Certo »
« Allora, hai detto che stai studiando medicina » stavolta attaccai io discorso.
Lei annuii, di nuovo gli occhi luccicanti, come sempre.
« Cosa vorresti andare a fare dopo? »
« Psichiatra. E' il mio sogno » ammise con effervescenza.
Il suo entusiasmo era coinvolgente, tanto che anche io mi sentivo coinvolto nei suoi progetti.
« E tu? Cosa vorresti fare nella vita? » chiese bevendo l'ultimo sorso del suo milkshake.
Mi passai una mano nei capelli, un po' imbarazzato. Jenny era una ragazza impegnata, studiava ( medicina poi, non una cosa semplice! ) e aveva davanti a sé una sicura brillante carriera, mentre io... i miei erano solo sogni, niente di facilmente realizzabile.
« In realtà il mio è un sogno un po' pretenzioso » ammisi con un una risatina nervosa.
Lei incrociò le braccia sotto il seno, e si sporse più in avanti, appoggiandosi al tavolo e guardandomi curiosa.
« Vorrei fare l'attore » ammisi leggermente in imbarazzo.
Il suo viso si illuminò, e si aprì in un grosso sorriso.
« Bello! Perché pretenzioso? » chiese come se non le sembrasse affatto difficile intraprendere quel tipo di carriera.
« Bè, non è certo facile » tirai un sospiro. Non c'erano possibilità che il mio sogno si avverasse.
« E sennò? Cos'altro ti piacerebbe? »
« Ho studiato arti sceniche, per cui qualunque cosa che le riguardi. Canto, ballo, musica, recitazione... » era quello che mi piaceva fare.
« Un giorno o l'altro mi farai vedere » minacciò facendomi l'occhiolino.
Risi, colpito da quel semplice gesto. Mi veniva così naturale parlare con lei... quasi non mi riconoscevo. Eppure, allo stesso tempo ero me stesso più di quanto non lo fossi mai stato.
« Ti svelo un segreto » mormorò complice un attimo dopo, avvicinandosi di più a me.
« Anche io ho un sogno nel cassetto. Uno irrealizzabile, ma che mi tengo stretto: scrivere. » parlava con aria sognante, come se improvvisamente fosse stata catapultata in un altro mondo.
« Scrivo da quando sono piccola, e non ho mai smesso. Il mio più grande sogno... è vedere un mio libro pubblicato, e sentire qualcuno per strada parlarne con un amico » ammise guardando fuori dalla finestra, come volesse ritornare con i piedi per terra.
« Un giorno mi farai leggere qualcosa che hai scritto? » domandai curioso.
Ero pronto a scommettere che ciò che scriveva mi avrebbe colpito almeno la metà di quanto lei stessa non facesse in ogni istante.
Mi guardò titubante per un attimo, prima di annuire con un piccolo sorriso.
« Purtroppo non sono abbastanza brava. Non credo accadrà mai » mormorò mogia.
« Io invece credo che tu possa farcela » dissi convinto. Lei mi guardò, ridendo tristemente come se non credesse affatto in ciò che avevo detto.
Io però ero determinato a farle capire che ero serio.
« Non ho mai conosciuto nessuno come te, Jenny. Sei speciale. E qualcuno se ne accorgerà, prima o poi » sussurrai dolcemente.
Io me ne sono accorto, bisbigliò la mia coscienza.
I suoi occhi si fecero lucidi mentre evitava il mio sguardo.
« Credo tu ti sbagli. Non sono come credi » mormorò stanca.

In quel momento, per la prima volta, colsi nel suo sguardo qualcosa che non avevo mai notato prima. Seduta lì, in quel locale un po' trasandato, per un attimo parve intonarsi all'ambiente circostante, come se in realtà ciò che avevo osservato fino a allora fosse solo una minuscola parte della vera Jenny.
Subito, il modo in cui aveva parlato, in cui si era appoggiata al vetro, leggermente rannicchiata, mi aveva fatto pensare ad un gattino abbandonato per strada: che sa dove vuole andare, ma nel tragitto rischia di essere pestato da qualche passante distratto.
Istintivamente, allungai la mano verso la sua, esattamente come aveva fatto lei con me un paio di giorni prima, quando avevamo parlato di mio padre.
E come me, anche lei intrecciò le dita alle mie, voltandosi appena e sorridendomi da dietro una ciocca di capelli ribelle.
« Io invece credo di non essermi mai sbagliato su di te » dissi convinto.
Alzò lo sguardo, e i nostri occhi s'incrociarono. Mai nessuno al mondo mi aveva guardato con una tale gratitudine in tutta la mia vita.
Fece per posare una banconota sul tavolo, ma la fermai « No, lascia stare, pago io ».
Lei scosse la testa, decisa. « No, ti prego. Sei molto gentile, ma non sarebbe giusto », insistette tanto per saldare lei il conto che alla fine l'accontentai.
« Devo andare » disse dispiaciuta qualche istante dopo. « Ci vediamo domani? », chiese speranzosa.
« Senz'altro. Stessa ora, ok? » non ero sicuro di poter aspettare tanto per rivederla, ma dovevo resistere.
Annuì e si alzò silenziosamente, prima di uscire dal locale e sparire inglobata nella caotica New York.
Rimasi a fissare il suo posto vuoto per qualche istante, prima di imitarla tornandomene a casa.
Jennifer forse non era perfetta, ( sicuramente non lo era, nessun essere umano lo è ) ma aveva una qualità molto più preziosa e unica: era vera.
E fidatevi, oggigiorno le persone vere sono davvero poche.






Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Un piccolo favore ***








 

Avevo tutto quello che avessi potuto desiderare, non c'era nulla che mi mancasse.
O almeno, questo era ciò che pensavo prima di incontrare lei...

 

 

 

Quella mattina, quando mi svegliai, il mio letto era immensamente grande e freddo.
Un anno prima avevo deciso di cambiare il tradizionale letto singolo con uno a due piazze, per stare più comodo e muovermi quanto volevo durante la notte, ma quel giorno, per la prima volta, mi parve troppo grande per una persona sola.
Forse era perchè da quando i miei incontri con Jenny erano diventati più frequenti la sognavo ogni notte , con quel magnifico sorriso e quegli occhi sinceri che mi avevano colpito dal primo istante, e ogni volta che mi svegliavo speravo di girarmi e trovarla distesa accanto a me, anche se sapevo benissimo che non era possibile.
Non ci eravamo mai incontrati in un posto che fosse diverso da quel bar all'angolo sotto casa mia, e la cosa cominciava a starmi stretta.
Avevo passato tutta la sera precedente a pensare a come chiederle un appuntamento, finchè non ero giunto alla conclusione che dovevo farlo e basta, senza prepararmi nessun discorso di circostanza. Jennifer non era una ragazza come le altre per me, e pertanto meritava un trattamento diverso.
Quel pomeriggio arrivai prima del solito al bar, e mentre aspettavo tirai fuori un testo di una canzone che avevo scritto, per riguardarlo. Ero talmente assorto in quello che stavo facendo, che non mi accorsi di Jen che si sedeva davanti a me e prendeva a fissarmi con attenzione.
« Sei bello quando sei assorto nei tuoi pensieri » disse facendomi sobbalzare.
Alzai gli occhi, inizialmente senza capire cosa aveva detto, e poi lei arrossì, abbassando gli occhi.
A scoppio ritardato, il cuore mi saltò un battito, quando realizzai cosa mi aveva appena detto.
Avrei voluto rispondere dicendole quanto
lei fosse bella, e non solo quando era concentrata, ma sempre. O magari ammettere che la notte la sognavo, anche se non avrei dovuto, perchè il suo viso era sempre nei miei pensieri, e che ciò che più desideravo era poterla stringere forte per sentire il suo profumo.
« Scusa, non ti ho sentita arrivare », mi limitai a dire reprimendo tutto il resto.
Lei fece spallucce, sorridendo come sempre. « Ti pare. Non volevo interromperti.»

« No, no, non m' interrompi affatto » mi affrettai a rassicurarla.
« Che cosa stavi leggendo? » chiese indicando i fogli che tenevo in mano con un cenno della testa.
« Oh, niente di che. Solo una canzone alla quale sto lavorando » risposi distrattamente affrettandomi a ripiegarli e metterli via.
« Posso vederla? » chiese con la voce di una bambina mentre mi guardava con quei meravigliosi occhi marroni.
« Ancora non è finita » mi giustificai. Il pensiero che Jenny leggesse qualcosa che avevo scritto mi imbarazzava da morire. Avevo paura del suo giudizio, perchè sapevo che sarebbe stato il più sincero, e anche il più importante.
« Quando l'avrai finita però me la farai sentire? » mi sorrise, cercando di essere persuasiva.
« Sì, certo » annuii senza nemmeno pensarci.
Per un attimo ci fu silenzio, prima che decidessi di raccogliere il coraggio e prendere l'iniziativa. « Che ne dici se domani invece di trovarci qui facessimo un giro a Central Park? » proposi sperando che non mi prendesse per un pazzo maniaco.
Lei mi guardò per due secondi interminabili, prima di parlare.
« Bella idea! In fondo è lì che ci siamo conosciuti, magari stavolta riuscirò a pattinare senza venirti addosso! »
Non mi pareva vero che avesse accettato, ero convinto che avrebbe pensato che stavo correndo, che in fondo non ci conoscevamo così bene... ma un'altra volta mi ero sbagliato. Non era affatto strano; Jenny era stata capace di sorprendermi fin dall'inizio, e non si smentiva mai.
« Matt, avrei una cosa da chiederti » disse ad un certo punto, smettendo di bere quello che la cameriera le aveva portato ormai da un paio di minuti.
Io la guardai, sorpreso « Certo, dimmi pure » la incoraggiai.
Jen abbassò la testa, esitando ancora per qualche secondo.
« C'è una cosa che ho scritto che vorrei farti leggere... mi diresti che cosa ne pensi? »
chiese timida. Io m'illuminai, quasi incredulo. « Certo, con molto piacere! » assentii anche troppo veementemente.
Lei sorrise e si girò a cercare qualcosa nella borsa. Ne tirò fuori un plico non troppo alto, rilegato con una pinza colorata, e me lo porse. « Ecco »
Io lo sfogliai distrattamente, solo per valutare quanto tempo avrei impiegato a leggerlo. Non era troppo lungo, non sarebbe stato un problema.
« E' un racconto breve che ho scritto un paio di anni fa. L'ho riletto e rivisto e volevo sapere cosa ne pensavi » spiegò.
Non capivo cosa potesse avere di tanto speciale il mio parere, ma ero felice che avesse scelto proprio me. Non vedevo l'ora di iniziarlo.
« Sarà un piacere » sorrisi sinceramente. « Non vedevo l'ora di leggere qualcosa di tuo » ammisi. Lei sorrise e abbassò un po' la testa, come faceva sempre quando era imbarazzata. Ormai cominciavo a conoscerla un po' meglio, anche se per me rimaneva sempre affascinante e misteriosa. Qualcosa che sei vicino a toccare, ma che per qualche ragione sconosciuta non riesci ad afferrare.
« Oddio, è tardissimo! » esclamò tutto d'un tratto. Quelle parole mi colpirono, rattristandomi.
« Scusami ma devo proprio andare. Ci vediamo domani? Stessa ora, Central Park, all'entrata sulla diciassettesima. » disse in fretta e furia raccogliendo le sue cose e lasciando i soldi per saldare il conto sul tavolo. « Ok, a domani » risposi, ma lei era già sparita nel nulla.






Note dell'autrice:

Ciao a tutte! Ebbene sì, alla fine ce l'ho fatta ad aggiornare!
Come dice la pubblicità: "Sembrava impossibile, ma ce l'abbiamo fatta!"
( Che rivisitata da mio cugino è: " Sembrava impossibile, ma l'abbiamo rotto!" XD ahahhaahaha )
Ma comunque.... non è molto lungo, ma come avrete capito questa storia non vuole essere molto lunga, voglio capitoli brevi, scritti bene ( se mi riesce XD ) e basati sopratutto sui dialoghi e le sensazioni di Matt. Ho deciso di scrivere tutto dal punto di vista di Matt perchè normalmente io scrivo dalla parte della ragazza, a volte cambio Pov, ma fondamentalmente descrive lei. Invece questa storia, come si capirà meglio in seguito, mette al centro LUI. Perchè a me pare che gli uomini facciano sempre più fatica ad innamorarsi, e volevo invece scrivere di uno che è capace di amare tanto e più di una donna. Sto parlando dell'amore plateale, di quello della vita. Parlo di un ideale che ho intenzione di rappresentare in Matt. Per cui, spero che capirete il mio intento, anche nei capitoli prossimi, e che apprezziate.
In ogni caso, lasciate un vostro parere. Bello o brutto che sia, è bene accetto.
In fondo, noi scrittori viviamo di opinioni. :)



 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Central Park ***



:) Ciao a tutte!

Innanzitutto vogliio ringraziare tutti quelli che leggono le mie storie, che mi commentano (ogni vostra parola è una gioia immensa) o che mi hanno messo tra i preferiti, i seguiti o qualsiasi altra cosa.
Voglio mandare un bacio alle mie lettrici assidue: Manu ( che mi ispira tanto con le sue bellissime storie ), buzzy, che anche lei scrive benissimo e mi sostiene
Irina e Caterina, che sono delle amiche fantastiche e che amo alla follia
( anche se a volte le strozzerei ).

E infine vorrei dire che questo capitolo l'ho scritto con questa canzone in sottofondo, vi consiglio (ed è più un comando che un consiglio U_U ) di fare altrettanto: http://www.youtube.com/watch?v=3EiubhDPat8

 

Buona lettura! E RECENSITE!!



 








 

Non so esattamente cosa spinga due persone a legarsi.
Forse la sintonia, forse le risate, forse le parole.
Probabilmente il cominciare a condividere qualcosa in più,
a parlare un po' di sé, a scoprire pian piano quel che il cuore cela.
Imparare a volersi bene.
O forse accade semplicemente perché doveva accadere.
Perchè ci sono anime destinate a trovarsi, prima o poi.

(P. Coelho)


Ci sono persone che non credono
che una singola anima nata in paradiso
possa dividersi in spiriti gemelli
che precipitano come stelle cadenti sulla terra,
dove sopra oceani e continenti le loro forze magnetiche
finalmente li riuniranno in una cosa sola.

Ma come altro descrivere questo amore?

(Don Juan de Marco, film)







Central Park era più bello del solito quel pomeriggio; gli alberi erano un misto di colori sgargianti e il vento che soffiava leggero faceva cadere a terra le foglie, creando un meraviglioso tappeto colorato che ricopriva tutto il parco.
Non era più affollato del solito; la maggior parte erano famiglie, di quelle che si vedono nelle pubblicità e dalle quali non ti aspetteresti altro che vederli passare la domenica pomeriggio a fare un pic-nic sull’erba, tutti sorridenti e felici. I miei occhi saltavano qua e là, cercando il volto di Jenny tra la folla, e il mio respiro formava piccole nuvolette di vapore davanti al mio naso, mentre mi stringevo nel cappotto.
Non era ancora nevicato, ma sicuramente sarebbe accaduto presto, data la temperatura. Finalmente, dopo una lunga attesa, sentii una voce familiare che mi chiamava: mi voltai e la vidi venirmi incontro, sorridente come sempre.
« Scusa il ritardo, sono davvero pessima » si scusò non appena fu abbastanza vicina.
« Non importa, tanto non devo andare da nessuna parte » la rassicurai scherzando.
Lei rise piano, guardandomi appena di sottecchi, in modo ammaliante.
Le sue lunghe ciglia nere a contrasto con il marrone lucido dei suoi occhi mi spiazzarono per un secondo, lasciandomi interdetto.
Era persino più bella di come la ricordavo, se possibile. Non so se fosse che non l’avevo mai vista ad di fuori di quel bar, ma solo in quel momento mi resi conto di quanto fosse attraente. Avevo notato fin dall’inizio il suo viso, ma non avevo fatto caso più che tanto all’insieme della sua persona.
La figura era slanciata, leggera, molto femminile. Non indossava tacchi né un abbigliamento appariscente, ma nonostante questo non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso.
« Bè, quali sono i tuoi programmi? » le chiesi dopo alcuni istanti di silenzio.
« Visto che la prima volta ci siamo incontrati su una pista di pattinaggio e che qui ce n’è una, pensavo di andare lì » propose timida.
« Basta che non mi cadi addosso anche stavolta » l’ammonii ridendo.
« Farò del mio meglio » promise incrociando due dita.
Aggiudicato quello come piano d’azione per il pomeriggio, ci incamminammo verso la pista, che al nostro arrivo si rivelò nemmeno troppo piena, e noleggiammo i pattini.
Jen scivolava sul ghiaccio con altrettanta leggerezza che sulla terra, piuttosto disinvoltamente. Non che fosse una pattinatrice provetta, ma era piuttosto brava.
« Non posso crederci che pattini anche bene » osservai dopo un po’ fermandomi un attimo a bordo pista per riprendere fiato.
Lei fece la finta sostenuta « Anche tu non sei male », ammise.
« Si vede che l’episodio dell’altra volta era stato isolato » la punzecchiai ricordando la sua caduta. Lei mi fece una linguaccia, ignorandomi.
Dopo un paio d’ore, stanchi morti, ci trasferimmo nel bar accanto, al caldo, per riprendere un po’ fiato e mangiare qualcosa.
Jen ordinò un’enorme cioccolata calda con panna, e io sotto sua insistenza la imitai.
« E’ buonissima » esclamò con tono adorante dopo averne bevuto un sorso abbondante.
« L’aspetto migliore del pattinaggio, oserei dire » aggiunsi facendola ridere.
La sua risata risuonò nelle mie orecchie come fosse una musica leggera, una sinfonia breve, talmente naturale e allo stesso tempo irreale per appartenere ad una persona vera. Per un momento i nostri occhi si incontrarono, e sentii come una scintilla scaturire dal mio petto.
I suoi erano titubanti, dubbiosi, ma allo stesso tempo percepivo che anche lei provava la mia stessa sensazione. Era come se ci fosse qualcosa, dentro di me, che mi attraeva irrimediabilmente verso di lei, senza lasciarmi scampo. Come una calamita che cerca l’altro polo, inarrestabile.
Ogni volta che la guardavo, che sentivo la sua voce, il suo profumo, mi perdevo, e non riuscivo più a ritrovarmi. C’era qualcosa di speciale in lei, qualcosa di nascosto e di segreto, qualcosa di meraviglioso e stupefacente.
Non saprei spiegarlo, ma era come se la conoscessi da sempre.
Come se fossimo sempre stati destinati ad incontrarci, a vivere quei momenti. Come se lei già possedesse una parte di me, senza che io gliela donassi. Una parte di me senza la quale avevo vissuto fino ad allora, ma alla quale non riuscivo più a rinunciare.
Jennifer spezzò la magia abbassando gli occhi per frugare nella borsa, prima di tirarne fuori un plico alto qualche centimetro rilegato con una costolina rossa e posarlo sul tavolo, davanti a me.
« Questo è un mio racconto », spiegò con voce timida.
« Ti avevo promesso che te ne avrei fatto leggere uno prima o poi, e io mantengo sempre le promesse » fece un sorriso timido, prima che sul mio volto ne apparisse uno più grande, mentre prendevo il plico dal tavolo e leggevo il titolo. « Foglie d’autunno » recitai a voce alta.
« Il titolo non è un granchè lo so, ma devo rivederlo »
Alzai leggermente le spalle, guardandola fissa negli occhi. « A me piace »
Le sue guance si arrossarono lievemente, ma fece finta di nulla. « Grazie »
« Adesso tocca a te mantenere la promessa » aggiunse mentre leggevo la prima riga della sua storia. Capii che alludeva a quando un giorno, al bar, le avevo detto che prima o poi le avrei fatto ascoltare qualcosa di mio.
« E come? Qui non c’è nulla per suonare » constatai guardandomi attorno.
« Qui no » assentì lei, « ma conosco un posto dove c’è » aggiunse facendomi l’occhiolino.


* * *


Uscimmo dal bar e camminammo lungo il viale principale per qualche minuto, prima di incontrare un ragazzo sulla ventina che sedeva ad un lato del viale con in mano una chitarra e ai piedi la fodera di quest’ultima, aperta, con qualche moneta dentro.
« Josh! » lo chiamò Jenny mentre gli si avvicinava, con me alle sue spalle.
« Ehi! Come mai qui? » domandò salutandola con un breve abbraccio.
« Pattinaggio » rispose automatica. Lui sorrise e annuii, segno che probabilmente era una cosa che Jen faceva spesso.
« Lui è Matt. Matt, Josh » ci presentò con un cenno della mano.
« Piacere » mi salutò allegro Josh porgendomi la mano che strinsi con fermezza. « Piacere mio »
« Matt è un artista » annunciò improvvisamente Jen, « e mi ha promesso che mi avrebbe fatto sentire un suo pezzo » spiegò all’amico.
« Oh, tu scrivi? » sgranò gli occhi, meravigliato e piacevolmente sorpreso.
Io annuii, un po’in soggezione. « Fantastico! » esclamò Josh sfilandosi la chitarra e porgendomela, « non vedo l’ora di sentirti » concluse sinceramente curioso. Presi la chitarra, un po’ titubante, e iniziai a suonare, sotto lo sguardo attento di Jenny.
Non mi accorsi di tutte le persone che si erano fermate ad ascoltarmi finchè non giunsi alla fine e uno scroscio di applausi mi travolse.
Le offerte furono molto generose, e Josh si ritrovò la borsa piena in poco tempo.
« Amico, devi venire qui più spesso! » esclamò quando finalmente la folla si diradò.
« Era bellissima » sussurrò Jen sorridendomi e guardandomi negli occhi.
« Sì, sono d’accordo » confermò Josh dilungandosi in complimenti che accettai molto volentieri.
Dopo aver salutato Josh ed averlo ringraziato per la chitarra ci avviammo verso casa, quando ormai era già buio.
Jenny continuava a guardarmi in un modo strano, senza fiatare, camminando in silenzio accanto a me.
Quando alla fine giungemmo al suo appartamento, sentii la tristezza invadermi e un senso di vuoto cominciare a farsi spazio dentro di me.
Dopo la giornata meravigliosa che avevamo trascorso non avrei mai voluto lasciarla andare via, avrei voluto restare lì con lei tutta la notte, a parlare, a ridere, a sentirmi sempre più vivo e felice come mi accadeva ogni volta che ero con lei.
« Grazie della bellissima giornata » disse piano aprendo il portone
« Grazie a te » risposi sorridendole.
Ci fu una lunga pausa, i nostri occhi si incontrarono di nuovo e per la seconda volta quel giorno sentii un’attrazione inspiegabile nei suoi confronti, non solo fisica, ma come se ci fosse una parte di me, del mio cuore, della mia anima, che sentiva di appartenergli.
Feci un passo verso di lei, lentamente, avvicinando il mio viso al suo, indeciso su cosa fare. Sentii il suo respiro fresco, i nostri nasi si sfiorarono leggermente ed inclinai la testa d’un lato, per raggiungere meglio le sue labbra.
In quel momento, un cellulare squillò.
« Scusa, devo andare » disse dispiaciuta dando una breve occhiata al display.
« Buonanotte » sussurrò come con una nota di rimpianto.
« Buonanotte » risposi poco prima che entrasse in casa chiudendosi il portone alle spalle.








Note dell'autore:

Eccomi di nuovo con alcune cosine da dire!
Per iniziare volevo dire e ribadire che il punto fondamentale della storia è Matt, i suoi sentimenti e le sue sensazioni. Chiarirò meglio questa cosa delle " anime destinate" con il tempo, ma in realtà il principio è semplice: io credo nel Destino. Sì, con la maiuscola. I Greci, quelli dell'antichità, credevano non solo negli dei, ma nel Fato, un qualcosa al di sopra di tutto che aveva già scritto come doveva andare. Ecco, questo è quello che io credo: noi siamo padroni della nostra vita, ma ci sono alcune cose, alcune persone sopratutto, che qualunque decisione noi prendiamo siamo destinati a fare o ad incontrare.
Bè, ditemi cosa ne pensate, sono sempre contenta di sentirvi!! :)

Ps: Se vi interessa su Fb io ho una pagina ( che non centra nulla con EFP ), questo è il link:
http://www.facebook.com/pages/Am%CE%B1z%D1%94/171855926190693
Fateci un salto e mettete mi piace! :)

Un bacio a tutte, Ellie :)

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** I've been looking for you forever.... ***




E finalemente, eccomi qua. Lo so che è passato tantissimo tempo, ma spero non mi ucciderete.
Ho avuto molto da fare con gli esami, ma fortunatamente sono andati benissimo ( Yieeee! :D ) e così adesso ho sei giorni per dedicarmi alla scrittura.
So di aver messo una canzone, sul mio gruppo di facebook dicendo che era per il capitolo, ma alla fine ho cambiato idea ( LOL XD ) e come colonna sonora per la "scena finale"credo sia perfetta questa: http://www.youtube.com/watch?v=o97U_6X0Bx8
Il testo lo trovate qui: http://www.lyrics007.com/Dina%20Carroll%20Lyrics/Someone%20Like%20You%20Lyrics.html
Bè... a parte questo non ho altro da dire, spero vi piaccia il capitolo!
Fatemi sapere!!
Love ya all xxx











Camminavo per le strade di New York ormai da una decina di minuti e nonostante fosse ormai l'ora di cena le strade erano sempre piene.
La mia mente era ancora davanti al portone di casa sua, a pochi centimetri dalle sue labbra, pochi istanti prima che quel maledetto telefono rovinasse tutto squillando al momento meno opportuno.
Scossi la testa più volte, tentando di riacquistare un minimo di doverosa lucidità.
“Wow” era tutto ciò che riuscivo a pensare, mentre scivolavo accanto a persone che non avevo mai visto prima con il cuore in gola e la testa da ogni parte meno che sulle spalle.So che molto probabilmente è una cosa banale da dirsi, ma non avevo mai provato nulla di simile prima; non c'era mai stata, in ventitré anni, una sola persona che mi avesse fatto un effetto simile. Conoscevo Jennifer da due mesi o poco più, e sebbene sapessi già molte cose su di lei, grazie ai pomeriggi passati a chiacchierare, eravamo usciti insieme solo una volta.
Eppure, nonostante tutto, mi sentivo già terribilmente coinvolto. Da qualche settimana a quella parte mi era capitato spesso di svegliarmi nel cuore della notte pensando a lei, chiedendomi cosa stesse sognando o a chi stesse pensando. Tutte quelle sensazioni erano insolite per me; non ero affatto il tipo che passa notti insonni pensando alla donna dei suoi sogni o chiedendosi come fare a conquistare la ragazza che gli piace, tutt'altro. Se andava andava, sennò pace.

Dopo quella sera però, cominciavo a pensare che forse il mio atteggiamento in tutti quegli anni era stato dovuto al fatto che non c'era mai stata nessuna in grado di farmi battere davvero il cuore, nessuna che avesse destato il mio interesse a tal punto da farmi stare sveglio la notte o da farmi vagare per le strade di New York con lo sguardo perso nel vuoto. Almeno nessuna prima di Jen.
Arrivai a casa più addormentato che sveglio, e puntai dritto in camera mia, senza neanche badare a dove si trovasse il mio coinquilino.
Da quando avevo compiuto diciotto anni ero andato a vivere assieme ad uno dei miei migliori amici, Dave.
Dave non era mai stato il massimo della riservatezza, e si aspettava altrettanto da me. Fino a quel momento in effetti parlargli della mia vita privata non era mai stato un problema; le ragazze con cui uscivo duravano tutte massimo un mese, per cui m’importava il giusto mantenere la riservatezza.
Di Jenny invece non gli avevo mai parlato. Solo un vago accenno, forse, uscendo, una volta.

Ero pronto a scommettere che nemmeno se lo ricordava.
Io invece me la ricordavo eccome. Me la ricordavo anche troppo.
Mi svegliavo e mi addormentavo con il suo viso nella mente, con il suo profumo nelle narici e nei vestiti, con il suono della sua voce nelle orecchie.
E quella sera, in quel momento, me ne stavo disteso sul letto fissando il muro, mentre il mio coinquilino picchiava alla porta ripetendo il mio nome, e maledicendo me stesso con tutta l’anima per non averla baciata prima che rientrasse in casa.

Ecco, quello era l’effetto che Jennifer stava avendo su di me. Un effetto assurdo e disarmante, nonché completamente sbagliato.
Cosa mi diceva che lei provasse per me anche solo vagamente ciò che io provavo per lei? Niente. In effetti, tutto dimostrava il contrario.
A partire da quella fuga improvvisa, prima che potessi baciarla.

« Matt, mi dici che succede? » urlò Dave per l’ennesima volta irritato dal mio silenzio.
« Nulla Dave, sono stanco. Parliamo domani, ti va? » lo rassicurai alzandomi ed andandogli ad aprire.
Lui mi squadrò da capo a piedi, osservandomi inquisitorio. « Sicuro che è tutto ok? »
« Certo », mentii spudoratamente sfoggiando il miglior sorriso finto che riuscii a fare.
Lui titubò un attimo, poi annuì. « Ok, va bene. Io esco, torno tardi. Ci vediamo domani » asserì alla fine lasciandomi finalmente solo.
La casa calò nel silenzio più totale, lasciandomi solo con i miei pensieri e le mie paure. Ogni volta che provavo a chiudere gli occhi mi pareva di sentire le sue labbra sulle mie, appena sfiorate, il suo respiro fresco, che sapeva di menta, i suoi occhi marroni, grandi, che mi guardavano implorante, come se volessero parlare, senza sapere cosa dire. Sentivo la sua voce, e desideravo con tutto il mio cuore potermi girare nel letto e sentirla accanto a me, anche se sapevo perfettamente che era impossibile.
Jennifer. Pronunciare quel nome era come soffiare; così leggero, dolce, delicato.
Volevo rivederla. Dovevo, rivederla.


                                                                                                    * * *



“ L'erba voglio non cresce nemmeno nel giardino del re “

Mia nonna mi ripeteva sempre questa frase, quando ero piccolo.
All'età di tre anni in effetti ero un bambino piuttosto bizzoso, devo ammetterlo.
“ Voglio” era una delle mie parole preferite, insieme a “ No” quando mi proponevano di mangiare le verdure.
Per questo, mia nonna aveva adottato quel modo di dire, sperando in qualche modo di riuscire a farmi tacere.

Ovviamente, era stata una speranza vana. A suo tempo non avevo capito cosa intendesse, ma adesso me ne stavo improvvisamente rendendo conto.
Avevo ripetuto “ voglio rivederla, voglio rivederla “ ogni giorno da quella famosa sera del quasi-bacio, ma – ovviamente – non avevo ricevuto ciò che chiedevo.Così, dovetti arrendermi all'evidenza: se quella maledetta erba non cresceva nel giardino del re, non sarebbe certamente mai cresciuta nel mio.
Jenny non rispondeva alle mie chiamate e non si era presentata alla tavola calda, il giorno precedente, per cui cominciavo seriamente a temere che non volesse più saperne di me. Fu con l'umore sotto le scarpe, dunque, che uscii quel giorno.
La mia meta era il negozio di dischi sulla ventunesima, quello in fondo all'angolo, un po' fuori dall'attenzione generale. Andavo sempre lì, quando avevo bisogno di ispirazione o semplicemente di rilassarmi. Era il mio negozio preferito sin da quando ero arrivato a New York, anni prima, e non l'avrei cambiato per nulla al mondo.
Lì dentro l'atmosfera era semplice, tranquilla, non come nei centri commerciali.
Le pareti erano di un lieve giallo pastello, e c'era qualche poltrona in pelle scura appoggiata alle pareti libere.
Per il resto, c'erano numerosi scaffali pieni di dischi, oltre ai tavoli con casse e casse piene degli stessi; dai quarantadue giri fino ai CD, dagli anni sessanta ad oggi.
Non ero mai riuscito a guardarli tutti, tanto era ben fornito, ed ogni volta scoprivo qualcosa di nuovo. Era decisamente un posto meraviglioso per me.
Mi avvicinai alla libreria a muro che si trovava sulla parete più grande, quella che non ero ancora riuscito ad esplorare interamente, e iniziai a scorrere i titoli con accuratezza. Man mano che osservavo mi avvicinavo sempre di più al centro del mobile, totalmente ignaro del fatto che qualcun altro, dalla parte opposta, stava facendo altrettanto. Come era destino che accadesse, infatti, alla fine urtai involontariamente contro lo sconosciuto, e mi voltai di scatto per scusarmi. « Oh, mi spiace », balbettai come risvegliato da un piacevole torpore mentre mettevo a fuoco il volto della persona che avevo davanti. Quando finalmente vi riuscii, non potetti credere ai miei occhi. « Jen! », esclamai sorpreso e felice allo stesso tempo.
« Matt! » spalancò a sua volta gli occhi lei pronunciando il mio nome.
« Come mai qui? Sono giorni che non ti vedo! » le ricordai, forse con troppo entusiasmo.
Lei arrossì lievemente, un po' a disagio. « Mi dispiace, è che ho avuto molto da fare con l'università... » si affrettò a spiegare, « la batteria del mio telefono si è fusa e... me ne sono capitate davvero di tutte negli ultimi giorni, devi perdonarmi, io...» mi affrettai a tapparle la bocca con due dita, prima che iniziasse a profusersi in scuse e spiegazioni non necessarie.

« Tranquilla, non importa. Cominciavo a credere che non volessi più parlarmi » ridacchiai passandomi una mano tra i capelli, quasi imbarazzato.
Jennifer aggrottò le sopracciglia, inclinando la testa da un lato come un cagnolino che non capisce bene cosa gli stanno chiedendo di fare.

« Oh » disse sorpresa, « mi... mi dispiace. Avevo intenzione di spiegarti tutto dopodomani alla tavola calda, avendo fuso il telefono non ho potuto chiamarti e... »
« Non importa, davvero », mi affrettai a ribadire prima che riniziasse ad auto colpevolizzarsi. Lei mi fissò per qualche istante, prima di abbassare mestamente la testa. « Non mi sono comportata molto bene, eh? » chiese retorica.
Io le sorrisi, scrollando le spalle. « Ma no, non dire sciocchezze. Sono cose che succedono Jen, non è colpa tua », tentai di rassicurarla.
« Piuttosto sono io, che divento paranoico se qualcuno non mi risponde al telefono » ammisi quasi divertito. Forse non avrei dovuto rivelare così gratuitamente quanto mi ero angosciato, ma ormai avrebbe dovuto capire quale interesse avevo nei suoi confronti, dato il tentativo di baciarla di qualche giorno prima.
Lei si limitò a sorridere debolmente, arrossendo di nuovo lievemente sulle guance, così da diventare, se possibile, ancora più bella.
La guardai ammaliato per qualche istante; i suoi occhi splendevano come se brillassero di luce propria, e il suo viso, così dolce, quasi innocente certe volte, sembrava quello di una bambina. C'era qualcosa di puro, di semplice e naturale nel suo modo di muoversi, di comportarsi, di parlare.
Qualcosa di completamente nuovo per me, abituato com'ero a compagnie a dir poco bizzarre.

« Ho una proposta » me ne uscii alla fine, « se non hai impegni, avrei un posto da farti vedere » proposi. Jenny scosse la testa, con un mezzo sorriso sulle labbra.
« No, affatto. Ho dato un esame proprio ieri, per cui ho qualche giorno tutto per me »
Sorrisi, tentando di non apparire troppo entusiasta; il mio orgoglio maschile mi imponeva di non mettere troppo in risalto i miei sentimenti nei suoi confronti.
« Perfetto allora! » dissi battendo le mani sulle gambe.

Era incredibile come in pochi minuti la mia giornata fosse cambiata radicalmente.
Un secondo prima mi trovavo solo, in un negozio di cd e con l'umore sotto i piedi, e un secondo dopo stavo passeggiando tranquillamente con Jennifer al mio fianco.
Lei stava in silenzio, e con la coda dell'occhio potevo vederla lanciarmi di tanto in tanto dei rapidi sguardi. Trattenni l'impulso di fare altrettanto, nella speranza di riacquistare quel poco di dignità maschile che avevo buttato al vento con l'esaltazione che avevo espresso per il nostro incontro.
Il posto dove avevo detto che l'avrei portata era un negozio molto particolare; quasi sconosciuto, meno a chi, come me, amava esplorare ogni cantuccio di quella immensa città. Come tipo di negozio era assolutamente inusuale per una metropoli; la porta era di legno scuro, con una piccola decorazione in ferro battuto sopra, ed entrando un leggero scampanellio annunciò la nostra presenza, in modo leggero e allegro. Mi voltai ad osservare la reazione di Jen, e la vidi con la bocca aperta e gli occhi sgranati per lo stupore e la meraviglia.
Ogni genere di oggetto attinente alla scrittura si trovava in quel posto.
Penne d'oca, calamai, pergamente, fogli di ogni tipo, colore, forma e consistenza. Penne, pennarelli, inchiostri colorati, ceralacche, stampi, leggii e chi più ne ha più ne metta. C'era anche materiale per la pittura e per il disegno, e lei si guardava attorno come una bimba al luna park.
« Allora, che te ne pare? » chiesi retorico. In realtà la sua espressione parlava da sola.
Jenny sbattè le ciglia un paio di volte, prima di deglutire e riprendere fiato.
« E'.... è bellissimo, Matt! » esclamò sorridendomi come non aveva mai fatto prima.
Io sorrisi a mia volta, completamente incantato dai suoi occhi che brillavano.
« Sono contento che ti piaccia. Non è molto conosciuto come posto, ma pensavo che potesse interessarti, visto che ami scrivere... »
Non mi diede nemmeno il tempo di finire la frase, perché si era già allontanata, andando ad osservare da vicino gli scaffali. Ogni tanto si lasciava scappare qualche esclamazione di stupore, richiamando la mia attenzione e facendomi ridacchiare tra me e me. Il negozio era piuttosto grande, e finimmo per passarci buona parte del pomeriggio. Jen non riuscì a trattenersi dal comprare almeno le pergamene e il set di scrittura con penna d'oca, calamaio, ceralacca e quant'altro.
« So che non avrei dovuto, ma sono così belle! » disse entusiasta per la terza volta mentre ce ne stavamo seduti in metropolitana.
 « Mio padre non ha mai apprezzato questo genere di cose » disse mestamente, « mentre mia madre le trova entusiasmanti quanto me! », continuò tutta eccitata. Sentirla parlare con tale ardore e passione di ciò che amava fare non faceva che accrescere i miei sentimenti nei suoi confronti; era incredibile come una ragazza così apparentemente semplice, fragile, delicata e innocente potesse essere una tale forza della natura.
 Muoveva le mani con partecipazione, raccontandomi un qualche aneddoto sulla sua famiglia e ridendo quando la storia si faceva più comica.

I miei occhi si persero ad osservarla, facendomi estraniare da tutto il resto, persino dalla sua voce.
« Ehi, ci sei? » chiese improvvisamente facendomi quasi sobbalzare.
« Oh, sì, sì, certo! Mi ero solo distratto un attimo, scusa » scossi la testa, cercando di riacquistare lucidità.
« Scusa tu, a volte divento logorroica » rise arrossendo lievemente.
« Tranquilla. Mi piace ascoltarti, lo sai » le ricordai cercando i suoi occhi con i miei.
Come se si sentisse chiamata, anche lei sollevò lo sguardo, incontrando il mio.
Rimanemmo a guardarci solo per qualche secondo, ma sembrò un' eternità.
Sentivo che sarei potuto restare per ore in quel modo, senza mai stancarmi. I suoi occhi erano così profondi, come fossero vivi. Brillavano di una luce innaturale, sembrando due stelle ardenti nell'atmosfera; potevo vedermi riflesso nelle sue pupille, e in un qualche strano modo mi vedevo migliore.
Come se, passando attraverso di lei,  qualcosa in me fosse cambiato. Come se avesse lenito le mie ferite, colmato i miei vuoti e corretto i miei difetti. Come se qualcosa, nei suoi occhi, in lei, fosse davvero in grado di tirare fuori il meglio di me.

« E a me piace parlare con te » sussurrò inclinando la testa e guardandomi leggermente in imbarazzo. Io ricambiai con un sorriso, che si fece strada titubante sul mio volto, come se temesse di uscire allo scoperto.
« E' la nostra fermata » disse improvvisamente spezzando la magia.
Annuii leggermente e mi alzai per seguirla. Uscimmo dal sottopassaggio dove si trovava la fermata e una ventata gelida ci accolse facendoci rabbrividire.
Alzai la testa e vidi piccoli fiocchi bianchi scendere dal cielo, sempre più grossi e veloci. « Nevica » constatò Jenny stringendosi nel cappotto.
« E pesantemente, direi. Tra un paio d'ore sarà tutto bianco », aggiunsi.
« Bene » sospirò sognante lei, « mi piace la neve » spiegò regalandomi di nuovo un magnifico sorriso. Prima o poi il mio cuore si sarebbe fermato, me lo sentivo.
Mi coglieva sempre alla sprovvista, neanche lo facesse apposta. Che si fosse resa conto dell'effetto che aveva su di me? Non sarebbe stato poi così strano...
E' incredibile come passiamo la vita tentando di nascondere i nostri sentimenti dietro un muro fatto di orgoglio, testardaggine e spavalderia, e poi all'improvviso arriva qualcuno che ci fa dimenticare persino come si trattiene un sorriso.
Non so se sia un bene o un male; so solo che è quello che Jenny era in grado di fare con me.

Parlando del più e del meno ci avviammo verso casa sua, e una volta arrivati davanti al portone ripensai tra me e me a cosa era quasi successo qualche giorno prima, proprio lì. Di nuovo maledii quel telefono, ma poi pensai che forse, c'era un motivo se eravamo stati interrotti. Magari non era destino. Magari era una specie di segno che l'universo stava tentando di mandarmi, o che so altro.
Ma non dire cazzate! Non sei tu quello che diceva che il destino ce lo creeiamo?
Una voce nella mia testa mi fece ragionare.
Forse non avrei dovuto darle ascolto; sentire le voci non è mai un buon segno, e ascoltarle men che mai, ma qualcosa mi diceva che aveva ragione.
« Grazie per la passeggiata. E per avermi mostrato quel negozio » disse impacciata Jen, interrompendo i miei ragionamenti. Sorrisi fugacemente, facendo un gesto con la mano. « Figurati. Sono davvero contento che ti sia piaciuto », dissi.
Per un millesimo di secondo ci fu il silenzio più totale, poi una lampadina si accese nella mia testa. « Senti... » iniziai tentando di apparire disinvolto, « visto che la giornata non è ancora finita, e che immagino avrai fame, perchè non andiamo a mangiare una pizza? Conosco un posto non lontano da qui dove la fanno in modo magnifico. Ovviamente, offro io. » suggerii. La osservai elaborare le mie parole per qualche secondo, forse meditando se accettare o no, prima che accennasse un sorriso, annuendo.
« Sì, perchè no? » disse semplicemente. « Però prima sarà meglio che salga in casa a lasciare questi e magari a mettermi un paio di scarpe più adatte alla neve » ridacchiò indicando le converse mezze bagnate che aveva ai piedi.
Fortunatamente io ero ben coperto e avevo gli scarponcelli da trekking, o mi sarei trovato nella sua stessa condizione.
« Certo. Ti aspetto qui, tranquilla », la rassicurai.

Entrò in casa e riuscì poco dopo con un paio di stivali alti fino al ginocchio in pelle – per non far passare il bagnato – e una giacca più pesante.
« Ok, ci sono. Andiamo, sto morendo di fame! » disse ridendo e afferrando il braccio che le porsi.
Il locale era caldo, confortevole e familiare. Ci sedemmo in un angolo e ordinammo due pizze, che arrivarono puntuali dopo una decina di minuti. Durante la cena continuammo a parlare del più e del meno; lei mi raccontò di quando era piccola, e ogni sabato suo padre faceva la pizza; per lei ovviamente era la più buona che ci fosse, persino meglio di quella del ristorante. Solo perchè era stato lui a farla.
« Ma sei sicuro che non ti dà fastidio che io parli di lui? » mi chiese ad un certo punto per l'ennesima volta.
« Insomma... tuo padre non c'è stato e io.... non voglio essere indelicata, scusa » si affrettò a dire, con aria crucciata.

« No, no tranquilla. Non mi da affatto fastidio, anzi. Forse è proprio perchè a me certe cose sono mancate che mi piace sentirtele raccontare.
E' come se così le vivessi anche io. Tu... racconti bene » mormorai quasi imbarazzato. Mi sentii improvvisamente una femminuccia, dicendo quelle cose, eppure sapevo che era la verità.

Jenny allungò la mano sul tavolo, prendendo la mia, come aveva già fatto una volta, molto tempo prima. Quel semplice contatto mi fece sentire subito meglio; mi sentivo come se, per la prima volta in vita mia, ci fosse davvero qualcuno che era lì per me.
Qualcuno che stava in silenzio, ma che proprio per questo apprezzavo.
Perchè sapeva capire che a volte il silenzio è più prezioso di mille parole.

Quando uscimmo dalla pizzeria era oramai tardi; le strade erano semi-deserte, e la neve aveva ricoperto tutto con uno spesso manto bianco.
« Guarda, è altissima! » esclamò Jen con il tono e l'espressione di una bambina a Natale. Si chinò e fece una piccola palla compatta, poi si alzò guardandomi minacciosa. « No, no, no! Jen, non.. » non finii la frase che qualcosa di gelido e bagnato mi colpì in piena faccia. Lei scoppiò a ridere, guardandomi divertita.La sua risata cristallina era davvero simile a quella di una bambina piccola, eppure non era affatto fastidiosa; anzi. Era spontanea, sincera e coinvolgente, tanto che dopo poco iniziai anche io a ridere con lei.
« Ah, è così? Vuoi la guerra? » dissi piegandomi anche io per raccogliere un po' di neve da terra. « Sì, ti sfido! » rise armandosi a sua volta.
Cominciammo ad inseguirci come due ragazzini, mentre le poche persone ancora per le strade ci guardavano con disapprovazione.
Dopo un paio di isolati Jen rallentò, ormai esausta, e io ne approfittai per nascondermi dietro una macchina, così da coglierla di sorpresa.
Come avevo pianificato, infatti, poco dopo, non vedendomi più dietro di lei, cominciò a chiamarmi. Non avendo alcuna risposta, tornò indietro, guardandosi attorno preoccupata. « Matt! Matt, dove sei finito? » mi chiamò per l'ennesima volta.
Quando fu abbastanza vicina io saltai fuori dal mio nascondiglio, e colpendola con una pallata in piena faccia. « Vendetta! » risi, ma lei fece un passo indietro, inciampando nel selciato e aggrappandosi a me mi trascinò per terra con lei.
« Ahhhh, è bagnata! » esclamò tentando di alzarsi più alla svelta possibile per non bagnarsi. Io l'aiutai a tirarsi su, ridendo ancora dello spettacolo a dir comico che stavamo dando. Jen si aggrappò alla mia mano, ma quando tornò in piedi si trovò a pochi centimetri dal mio viso, involontariamente, e arrossì di colpo.
Colsi quel segnale come qualcosa di positivo, e non lasciai andare subito la sua mano, tentando di allacciare il suo sguardo. Mi doveva un bacio.
I suoi occhi brillarono per un secondo, e mi vidi riflesso nelle sue pupille, per la seconda volta in quella giornata.
Così, con la più grande naturalezza del mondo, posai le mie labbra sulle sue, come se dovessi in qualche modo ricongiungermi con la parte di me che era rimasta intrappolata nei suoi occhi. Le sue labbra erano morbide e lisce, come fossero di seta, ed erano leggere e titubanti sulle mie.
Lasciai finalmente andare la sua mano, ma solo per spostarla sul suo viso, e trattenerla più a lungo. Dopo qualche istante di resistenza, anche lei si lasciò andare, appoggiando una mano sul mio petto e lasciandomi approfondire il bacio.

Intorno a me, sembrò sparire tutto; non sentivo più alcun rumore, alcuna sensazione, se non quella travolgente ed avvolgente che mi provocava quel contatto.

E' strano come nella vita incontriamo decine e decine di persone, ridiamo, parliamo con loro, ci confidiamo. Eppure, nessuna di loro ci tocca mai davvero. Le apprezziamo, le ammiriamo, le comprendiamo; eppure, passano. Come il vento o la sabbia tra le dita. Un minuto prima ci sono, e quello dopo neanche ci ricordiamo perchè se ne sono andate, o perchè l'abbiamo fatto noi.
E poi, improvvisamente, un giorno incontriamo una persona che cambia per sempre la nostra vita. Non fa nulla di speciale per cambiarcela, eppure ci riesce. Con un sorriso illumina le nostre giornate, con una risata ci risolleva il morale, con un bacio ci fa sentire completi. Non avevo mai neanche lontanamente pensato alla possibilità che una cosa del genere accadesse a me, e mi ci era voluto un po' per rendermi conto di ciò che avevo ricevuto. Quando andiamo dritti per la nostra strada, senza guardare in faccia nessuno, è difficile che qualcosa attiri la nostra attenzione.
Ma Jenny.... oh, Jenny l'aveva attirata. Dal primo istante in cui l'avevo guardata negli occhi, avevo sentito qualcosa, dentro di me, allacciarsi a lei.
Come se fossimo due calamite, destinate, una volta vicine, ad attrarsi. Due anime divise alla nascita, spedite lontane ma destinate a rincontrarsi, ecco cos'eravamo.

Quella convinzione aveva iniziato a maturare dentro di me da tanto oramai, ma in quel momento, diventò certezza.
Noi eravamo destinati l'uno a l'altra.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Perfect ***


I giorni erano passati leggeri da quel giorno, come se volassero.
Non distinguevo più mattina, pomeriggio, sera o notte: l'unica cosa che scandiva le ore era la presenza di Jenny. Il suo sorriso, le sue risate, la sua voce, la sua mano che sfiorava la mia mentre camminavamo per strada o stavamo seduti ad un tavolo erano tutto ciò che riuscivo a vedere e a sentire.
Passavano le settimane, e la routine era sempre la stessa.
Altri baci seguirono quello che ci eravamo dati in mezzo alla neve, e ogni volta che le mie labbra sfioravano le sue mi sentivo come se l'ultima tessera di un puzzle venisse incastrata con il resto.
Dave, il mio coinquilino nonché migliore amico, trovava tutto ciò assurdo.
Sosteneva di non aver mai visto nessuno prendersi una cantonata così forte per una ragazza e gli pareva impossibile che tra tutti quelli che conosceva fossi stato proprio io il primo ad innamorarmi in modo così folle di qualcuna.
“ E io che credevo tu fossi un ragazzaccio di strada! “ sogghignava ogni tanto dandomi una gomitata, ma io lo ignoravo bellamente.
Sapevo benissimo di essere diverso da quando conoscevo Jennifer, eppure la cosa non mi rendeva inquieto né mi preoccupava, anzi.
La parte di me che usciva quando ero con lei era nuova, insolita e sconosciuta, ma mi piaceva. Mi faceva sentire completo, come non mi ero mai sentito.
Ridacchiai, pensando a quanto fossero buffi gli eventi della vita.
Ero stata io a “salvarla”, quel giorno a Central Park, evitando che cadesse sul ghiaccio, e adesso era lei che stava salvando me e lo stava facendo da qualcosa di molto più pericoloso del pavimento; Jen mi stava salvando dalla solitudine e da me stesso. Dai miei difetti, dall'egoismo che a volte sentivo nascere in me.
Non glie l'avevo mai detto, ma sapevo che non le sarei mai stato grato abbastanza per questo.
 
 
Quella sera avevamo optato per il cinema – l'appuntamento più tradizionale che avevamo avuto da quando ci conoscevamo – e quando ne uscimmo era piuttosto tardi, così l'accompagnai a casa.
Il cielo era sereno e si riusciva a vedere qualche stella; splendevano come lucciole nella notte, e nonostante i lampioni che toglievano loro poesia erano comunque bellissime.
« Beh, allora buonanotte » mormorò Jen voltandosi verso di me una volta arrivati davanti al suo portone. « 'Notte » replicai, piegandomi per baciarla.
Un istante prima che le nostre labbra si sfiorassero, però, il mio telefono squillò, facendo sobbalzare entrambi a causa della suoneria rumorosa.
« Scusa un attimo, è Dave. Non mi chiama mai, sarà importante » dissi osservando perplesso lo schermo del cellulare qualche secondo, prima di rispondere.
« Pronto? »
La voce del mio coinquilino per poco non mi perforò un timpano con il suo entusiasmo.
« Ehi, Mattie! Notizia dell'ultimo minuto: devi trovarti un posto per stanotte, mi serve casa libera » annunciò come se fosse la cosa più normale del mondo sfrattare qualcuno dalla propria abitazione. « Scherzi? E me lo dici adesso?? »
« Ehi, non l'ho mica programmato! Sono uscito con Rachel e... beh, stavolta potrebbe essere quella buona, capisci? »
Alzai gli occhi al cielo; andava dietro a quella ragazza da mesi ormai ed era un record per lui, che normalmente ne cambiava una a settimana. Ormai quella era diventata la sua sfida personale, e tra l'altro doveva piacerle davvero, o non ci si sarebbe impegnato così tanto.
« Ho capito Dave, ma secondo te io da chi vado così all'improvviso, alle undici di sera? » ribattei gesticolando, anche se lui non poteva vedermi. « Non lo so, prova con Bob... sono sicuro che troverai qualcuno. Eddai, io farei lo stesso per te, lo sai! » mi pregò, e alla fine acconsentii con uno sbuffo.
« Almeno vedi di combinare qualcosa! » lo presi in giro prima di riattaccare.
Jenny mi guardò curiosa, così le spiegai brevemente come ero stato brutalmente chiuso fuori senza alcun riguardo alla cortesia. Lei si sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e abbassò lo sguardo per un istante, in imbarazzo.
« Beh... se vuoi puoi rimanere da me per stanotte » si offrì poi arrossendo leggermente.
Le mie sopracciglia schizzarono verso l'alto contro la mia volontà, in un'espressione di pura sorpresa. « Davvero? » il tono suonò un po' troppo speranzoso, ma lei sorrise e annuì.
« Non ti lascio per strada! » aggiunse ridendo e spingendo il portone, invitandomi ad entrare con un cenno della testa.
« Non è bellissimo da vedersi, ma è comodo, giuro » biascicò Jen aprendo il divano letto.
« Andrà benissimo » la rassicurai, infilando le mani in tasca e dondolandomi sui talloni. Ancora non riuscivo a credere che avrei dormito a pochi metri da lei, in casa sua.
Era tutto così strano, come se fosse irreale, un sogno ad occhi aperti.
« Ok, beh allora... ti lascio sistemarti » biascicò grattandosi la nuca, in imbarazzo.
« Ti va di chiacchierare un po', invece? » buttai lì, tentando in tutti i modi di non farla scappare. Mi sentivo come se non dovessi sprecare nemmeno un istante di quella sera che dentro di me aveva il profumo di una sera speciale, diversa.
« Non sei stanco? » domandò come se temesse di disturbarmi, rimanendo.
Scossi la testa, sorridendole incoraggiante « Non molto a dire il vero »
Senza proferire parola si avvicinò a passi lenti, per poi sedersi delicatamente sul bordo del letto. Iniziammo a parlare e piano la vidi rilassarsi: tirò su i piedi e si distese, tenendo su la testa con una mano. Ed era così splendidamente tranquilla, che il suo viso quasi sembrava l'espressione della pace. Il cuscino aveva il suo odore, la sua voce era come la ninna nanna che la mamma ti canta da piccolo, per farti addormentare.
Smisi di ascoltarla quando mi persi nei suoi occhi color cioccolato al latte, dolci esattamente come lei. Le sue labbra si stesero in un sorriso e l'istinto di baciarla ebbe la meglio su tutto il resto.
Le sue braccia si attorcigliarono attorno al mio collo, mentre le mie le circondavano la vita e la trascinavo giù con me. Quel bacio sapeva di felicità; lo sapevo perché era una sensazione a me sconosciuta, ma era potente.
Le ore passarono, ma lei non tornò mai nel suo letto. Abbracciati ci sentivamo più forti, come un puzzle finalmente ricomposto. Due tasselli solitari che finalmente avevano trovato la loro metà e che non l'avrebbero più lasciata andare.
E mentre il suo respiro si faceva caldo contro il mio collo, ebbi la consapevolezza che lei era il dono più grande che avessi mai ricevuto senza nemmeno chiederlo.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Broken dreams ***


 
Un leggero tintinnio mi risvegliò improvvisamente dai miei pensieri.
Conoscevo quel suono così bene che ormai avevo persino imparato a distinguere le sue sfumature; i sottili cilindri di cristallo che si urtavano tra di loro erano sempre gli stessi, eppure quando era Jenny ad aprire la porta alle mie orecchie sembravano fare un rumore diverso. Non era più un rumore, era una melodia.
Come tutto ciò che veniva a contatto con lei, anche quello scampanellio si trasformava in qualcosa di magico.
« Ciao » mormorai sottovoce non appena fu abbastanza vicina.
Le sue labbra si incurvarono in un delicato sorriso, mentre si sedeva davanti a me.
« Ciao » ripeté. « Qualcosa non va? »
« Ho una notizia importante da darti » disse tutto d’un fiato mentre il suo sorriso si apriva sempre di più. Sembrava eccitata ed emozionata, ma qualcosa nei suoi occhi tradiva anche un’emozione diversa che non riuscivo a decifrare bene.
« Dimmi » la incoraggiai lasciando che le mie labbra imitassero le sue e si incurvassero verso l’alto.
« Mi hanno presa per il tirocinio a Vancouver »
Le parole uscirono dalla sua bocca come una valanga d’inverno, irrompendo nella tranquillità e sommergendomi. Le sue labbra sorridevano ancora, ma i suoi occhi erano preoccupati. « Per tre anni » concluse.
Il rombo assordante nelle mie orecchie si fece ancora più forte e la mia mano cadde dal tavolo, mentre il sorriso spariva di colpo dal mio viso.
« Cosa? » fu la prima parola che uscì dalla mia bocca, incredula.
Jen si sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, come faceva sempre, mentre i suoi occhi cercarono il legno del tavolo, esattamente dello stesso colore delle sue iridi. « Avevo fatto domanda per essere presa molti mesi fa, e stamattina  ho ricevuto la lettera di risposta. Mi hanno presa. Devo andare a vivere lì per tre anni. È un’enorme occasione per la mia carriera, quel corso è riservato solo ai migliori studenti di tutto il mondo. »
Quel discorso suonava più come una scusa, che come una spiegazione.
Altre parole risuonavano nella mia testa, anche se non le aveva dette, parafrasi delle sue.
Scusa se me ne vado per sempre. Scusa se ti lascio. Scusa se il mio lavoro vale più di te. Scusa se ti sto spezzando il cuore.
Eppure, non sembrava che ci fosse ombra di rimpianto o di dolore nelle sue parole. Aveva deciso senza nemmeno valutare un’alternativa e non si era nemmeno dovuta sforzare. « Tutto qui? » non c’era davvero nient’altro da dire?
“ Io me ne vado, addio era questo che voleva fare?
« Cosa dovrei dirti? » sembrava perplessa, come se non capisse dove fosse il dramma. La guardavo come se avessi davanti un’estranea, incredulo.
« Finisce così? Un bel giorno ti alzi e “ senti, io me ne vado in un altro paese “? Non pensi nemmeno un istante a noi? » ribattei, tirando su la schiena di scatto.
Non riuscivo a credere a quello che stava succedendo. Non poteva essere vero.
Jenny era diversa dalle altre; quello che avevamo, era diverso.
Non poteva andarsene così, senza un buon motivo.
« Ma Matt, non ci stiamo lasciando. Noi siamo noi anche se mi trasferisco… saremo sempre in contatto, ogni tanto tornerò, ci vedremo, staremo insieme come prima » il suo tuono così rilassato e calmo mi fece salire il sangue al cervello. Mi stava dicendo che se ne andava per tre anni e sarei dovuto essere calmo? Era per caso impazzita?
« Io non voglio che tu te ne vada! Il tuo posto è qua, con me… il nostro posto è insieme. Non valevano nulla tutte le cose che ci siamo detti? Che quello che abbiamo è speciale, e unico… » la voce iniziava a tremarmi, così come le mani.
Lei allungò le dita verso le mie, stringendole. « Certo che valevano. Ti amo, e questo rimane. Dovunque io vada. Ma vedi, questa è una grande occasione per me, e non posso rinunciarci.  » mi parlava come si parla ai bambini piccoli per convincerli ad andare all’asilo mentre la mamma va a lavoro, e questo mi faceva innervosire ancora di più. La dolcezza e la delicatezza di Jennifer mi erano sempre piaciute, ma in quel momento sembravano terribilmente fuori posto. Mi sentivo preso in giro, arrabbiato e frustrato. « Non puoi rinunciare per me, vero? È questo che vuoi dire. Non vale la pena rinunciare per me » ritirai la mano e rivolsi lo sguardo verso la finestra.
« Non dire sciocchezze, Matt. Questo è il mio futuro, non posso buttarlo via » la sua voce si fece più acuta, mentre cercava di riprendere la mia mano, ma io mi scansai.
« E io ovviamente non faccio parte di quel futuro » mormorai seccamente, senza guardarla.
« Matt non dire cavolate, sai cosa intendevo…»
Voltai la testa di scatto, fissandola dritta negli occhi.
« Sì, lo so. Volevi dire che io sono solo un musicista, che non sono il tipo di ragazzo che si presenta alla famiglia, con cui ci si impegna. Non sono il tipo che si mette davanti al lavoro, né ai propri desideri. Sono solo di contorno. Uno come tanti altri. »
Le parole mi uscirono di getto, guidate dalla rabbia e dal dolore.
Non riuscivo a capire perché mi stesse facendo una cosa simile.
Mi ero illuso che ci fosse della magia nel nostro amore, che fosse diverso dagli altri. E invece… era esattamente come tutti gli altri.
Lei, era esattamente come tutte le altre.
« Non è questo, dio santo! Stiamo parlando dei miei studi, di quello per cui ho lavorato una vita intera! Cosa ti aspetti, che butti via tutto per restare qui con te?
Io ti amo, e pensavo che anche tu mi amassi e che capissi quanto sia importante questa opportunità per me… » vidi i suoi occhi inumidirsi e due lacrime rigarle le guance, ma non cedetti.
Ero io quello a cui stavano spezzando il cuore, non lei. Non aveva diritto di farmi sentire in colpa.
« Evidentemente non sono abbastanza intelligente da arrivarci » fu tutto ciò che risposi, prima di alzarmi e avviarmi verso l’uscita.
Jenny mi prese per un braccio, cercando di trattenermi. « Matt, ti prego, non fare così… » pianse.
Tirai fuori lo sguardo più freddo e distante che riuscii a trovare, nonostante stessi morendo dentro. « Buon viaggio » mormorai sottraendomi alla sua presa e uscendo dalla porta il più velocemente possibile, lasciando dietro di me tutto quello che era rimasto del mio cuore.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** You lost the one you need to breathe ***


 

Sbattei violentemente la porta, imprecando a bassa voce. Sentivo gli occhi pungermi, ma la rabbia cresceva in maniera direttamente proporzionale rispetto al dolore.
Mi passai le dita tra i capelli, nervoso, e mi buttai sul divano, tenendo la testa tra le mani. Stupido, continuavo a ripetermi, stupido, stupido
« Ehi » la voce di David mi richiamò, facendomi voltare per un istante.
« Che succede? » domandò preoccupato mettendosi a sedere sul divano accanto a me.
« Se ne va » mormorai, come se lo stessi dicendo a me stesso, più che a lui.
« Chi se ne va? » fu la sua domanda istintiva.
Lasciai cadere le mani sulle gambe, mentre il mio sguardo fissava un punto indistinto nel vuoto. « Jennifer »
Pronunciai il suo nome con lo stesso tono con cui si dice che una persona è malata di cancro, come se stesse per morire. E in effetti, era un po’ quello che significava per me. Se ne sarebbe andata, lasciandomi morire e lasciando morire tutto quello che avevamo, senza nemmeno scusarsi.
« E dove va? » chiese ancora Dave, senza capire.
« A Vancouver. Per tre anni » spiegai, stringendo i pugni sulle ginocchia. « è stata presa per un tirocinio, e vuole andarci. Ha già deciso. »
Dissi l’ultima frase con celato rancore, come a sottolineare che aveva deciso senza nemmeno chiedermi cosa ne pensassi. « Oh » mormorò, « e quando te l’ha detto? »
« Oggi » risposi secco, affilando sempre di più il tono. « Così, come se nulla fosse. Tutta allegra… come se non mi stesse lasciando » rincarai la dose, sempre più deluso.
« Ti ha lasciato? » sgranò gli occhi lui con aria un po’ sorpresa e un po’ confusa.
« È come se l’avesse fatto » ribattei senza voltarmi.
Tutto quello che avevamo era perso, perso per sempre. E pensare che avevo creduto davvero che lei fosse diversa… ero solo un povero illuso.
« E perché mai? È vero, il Canada è lontano, ma ci sono un sacco di mezzi per vedersi e sentirsi. Dopotutto hai detto che lei ci teneva molto a questa cosa, no? »
Sorrisi amareggiato « già », confermai, « così tanto da non preoccuparsi nemmeno di come avrei potuto prenderla »
« Beh, Matt… capisco che tu ci sia rimasto male, ma che fine ha fatto il vero amore che tanto osannavi? Non dovrebbe resistere a tutto? Al dolore, alla distanza… »
Sbattei il pugno sul tavolo, voltandomi improvvisamente verso di lui.
« Proprio non vuoi capire, eh? » esplosi, « questo è solo l’inizio. Prima se ne andrà, poi ci vedremo sempre meno e infine lei si farà una nuova vita, dimenticandosi di me. Esattamente come hanno fatto tutti quelli prima di lei » mormorai infine.
Uno strano silenzio calò nella stanza, mentre i miei occhi e quelli del mio migliore amico si incrociavano per un breve momento. In quei momenti sentivo che riusciva a capirmi come nessun altro. Nonostante fossimo diversi, Dave sapeva leggermi dentro.
Sapeva capire il mio dolore e la mia rabbia e condividerli.
« Lei non è tuo padre » dichiarò dal nulla, fissandomi intensamente.
Qualcosa si ruppe, dentro di me. Ancora una volta. Esattamente come aveva fatto al cafè poche ore prima. Mi sentivo come se una freccia mi avesse colpito diritto al petto, senza avvisarmi.
« Non è che perché va a studiare in un’altra città lontana da qui vuol dire che ti lascerà. Io non la conosco, ma conosco te. E da quando la conosci sei un altro. E non nel senso che lei ti ha cambiato, ma nel senso che è come se lei avesse aggiornato l’applicazione  » ridacchiò, scherzando.
Le mie labbra si incurvarono leggermente per la battuta, ma avevo capito cosa intendeva. E per quanto detestassi ammetterlo in quel momento, aveva ragione.
« So bene che sei troppo testardo per essere convinto, ma pensaci bene prima di fare un colpo di testa del genere. Io probabilmente non so nulla sul vero amore, ma una cosa la so: non è una cosa che si trova dietro l’angolo »
Sorrisi sghembo, guardandolo di sbieco. « Ma tu non eri quello che diceva che il vero amore non esiste? Che la vita è breve e va goduta, e che non c’è tempo per affaticarsi a cercare qualcosa di idilliaco e irreale? »
Sentirsi fare la predica da David era davvero strano, in quel momento. Proprio lui, che pochi mesi prima mi sfotteva per il mio essere costantemente sulle nuvole da quando conoscevo Jenny, divertendosi a prendermi in giro dicendo che la verità era solo che non riuscivo a portarmela a letto, adesso mi stava incoraggiando a riflettere. Ridacchiai a quel ricordo. Il ragazzo che mi parlava in quel momento era molto diverso da quello di qualche mese prima, eppure sempre lo stesso. E proprio per quello era forse l’unica persona al mondo in grado di farmi ragionare in quel frangente. Perché se era lui a dirlo, dovevo crederci per forza.
« So di aver sempre detto che non credo a queste cavolate… il “ vero amore” e tutte queste robe da film romantici…ma il fatto che non ci creda per me stesso non significa che non possa valere per qualcun altro » sorrise, costringendomi a fare altrettanto.
« Chiamala »
Abbassai lo sguardo, colpevole. « Non credo sia il caso, Dave. Non sono stato molto carino con lei » ammisi.
« A maggior ragione. Chiamala »
Lo fissai qualche secondo, esitando. Poi infilai la mano in tasca ed estrassi il telefono.
Composi il numero che ormai conoscevo a memoria da mesi e attesi.
Una serie interminabili di “ tuu” si susseguirono senza sosta, fino a che non si attivò la segreteria telefonica. « Non risponde »
« Dalle un po’ di tempo. Riprova più tardi »
Annuii, ma dentro di me avevo la terribile sensazione di aver fatto qualcosa di irrimediabilmente stupido.
Provai a chiamarla ancora e ancora, per tutta la sera e anche durante la notte, ma non rispose mai. Il telefono squillava, facendomi stare terribilmente in ansia per dei secondi interminabili, ma alla fine lei non rispondeva mai. Ormai era chiaro che mi odiava.  « Esagerato. Sarà un po’ arrabbiata… dopotutto l’hai detto anche tu che ti sei comportato un po’ da stronzo »
Abbassai la testa, ma se avessi potuto avrei abbassato le orecchie come i cani.
Mi sentivo stupido. E stavolta non perché Jenny se ne sarebbe andata, ma perché mi ero reso conto di essere saltato troppo velocemente alle conclusioni.
Ero così abituato ad essere abbandonato da tutti coloro che amavo che non riuscivo ad immaginarmi un finale diverso. Ma come aveva detto David, lei non era mio padre. Lei non mi stava abbandonando, e avrei dovuto capirlo prima.
« Quando hai detto che parte? »
« Non l’ho detto… »
Un bip si sovrappose appena alle mie parole, facendomi scattare.
Era un messaggio da parte di Jennifer.
« Dave, mi ha scritto! » esclamai, agitando la mano verso di lui per richiamarlo.
« Che dice? »
 Aprii il messaggio mentre lui si sedeva accanto a me, curioso. « Allora? »
Non appena lo aprii, però, il mio sorriso si trasformò in una smorfia.
« Che succede? »
Silenzio. Il sangue mi si gelò nelle vene. « Matt? Mattie? Ehi, mi vuoi dire che succede? » cercai di parlare, ma non era semplice.
« Parte tra mezz’ora » mormorai con un filo di voce.
Adesso sì che stavo morendo.
 
                                                              ***
 
Provai.
Provai a correre, davvero.
Non appena realizzai cosa diceva il messaggio mi catapultai per strada, inforcai il motorino sgangherato di Dave e mi precipitai in direzione dell’aeroporto senza nemmeno mettermi il casco.
Corsi a perdifiato, esattamente come in una di quelle stupidissime scene da film d’amore di bassa lega, ma non servì a nulla.
Quando arrivai al suo gate, l’aereo era già decollato.
Mi misi a sedere ad uno dei tavolini che si trovavano nella zona ristoro, guardando fuori attraverso l’immensa vetrata, e rilessi quell’sms almeno una decina di volte, chiedendomi come avessi potuto essere così stupido da farmela scappare.
 
“ Parto tra mezz’ora. Mi dispiace, ma sei stato tu ad insegnarmi che bisogna sempre inseguire i propri sogni.
Sarai sempre con me, in ogni caso.
                                                           Jenny “
 
Non so quanto tempo passai lì, immobile, a fissare la pista d’atterraggio semideserta.
Quando una mano mi si posò sulla spalla, sapevo già che era Dave, ancora prima di voltarmi. « Mi dispiace » mormorò sedendosi davanti a me.
« Sono stato proprio un cretino » ribattei, tornando a guardare fuori.
« Purtroppo devo darti ragione stavolta, amico mio » mi prese in giro, cercando di sdrammatizzare come faceva sempre.
« Matt, tu la ami? » mi domandò dopo una lunga pausa.
Era una domanda semplice, eppure il modo in cui me la pose aveva qualcosa di strano. In tutti quegli anni che lo conoscevo, non gli avevo mai visto quell’espressione in volto. Seria, determinata, come se stesse per salvare una vita. Annuii, senza dire nulla.
« Allora vattela a prendere » disse semplicemente, con una nonchalance che non gli apparteneva. Almeno non in questo campo.
« A prendere? » domandai confuso.
« Sì. Sali sul primo aereo per Vancouver e seguila. Dille cosa provi e soprattutto non lasciartela scappare. Se davvero pensi che sia quella giusta, non arrenderti »
Per la seconda volta nell’arco di pochi giorni rimasi sorpreso dalle parole del mio migliore amico.
« Dove l’hai presa tutta questa saggezza, si può sapere? » domandai curioso.
« Sai, una volta ho letto che l’amore è quello che ottieni dando più di quello che ricevi. Sai… amare senza chiedere nulla in cambio. Senza aspettarti nulla. »
Aggrottai le sopracciglia « perché la frase non mi suona nuova? »
Lui ridacchiò sotto i baffi « era una tua canzone » spiegò.
« Mi sembrava troppo per te » lo presi in giro, guadagnandomi un bel pugno sulla spalla.
Ci guardammo negli occhi per qualche istante, senza dire nulla.
« Vancouver? » chiesi cercando approvazione.
David mi sorrise deciso e annuì. « Vancouver »







_Note d'autore_

Salve a tutti. 
So che questo capitolo può sembrare un po' frettoloso, come forse il precedente, ma non è perché ho voluto " tirare via ". E' vero, voglio finire la storia, ma non tirerei mai via per questo. Il motivo dell'apparente frettolosità è che questo racconto è nato nella mia testa come focus sui sentimenti di Matt, di conseguenza il " movimento " ( necessario ) è in secondo piano rispetto all'introspezione. Motivo per cui abbiamo interi capitoli di introspezione e descrizione e altri molto striminziti che raccontano " cosa succede ".
Il prossimo capitolo, quello finale, sarà probabilmente il più lungo, perchè ci sono davvero tante cose da dire, e spero vi piacerà ( forse più di questi ) e che l'effetto " tralasciato " non si senta troppo.
Alla prossima :)

 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Be the one ***


 


Preparai le valigie in poche ore, mentre David andava su e giù per casa fingendo disinteresse. Sorrisi tra me e me quando, credendo che non lo vedessi, si soffermò sulla soglia di camera mia per controllare che non cambiassi idea all’ultimo minuto.
L’aereo di linea che avevo prenotato all’ultimo minuto era strapieno a causa di non so quale strana festività canadese, ma non ci feci caso più di tanto.
Rimasi legato al mio posto tutto il tempo, senza nemmeno slacciarmi la cintura di sicurezza dopo il decollo. Guardavo fuori dal finestrino e pensavo a cosa stesse facendo Jennifer in quel momento. Se le mancavo, se mi amava ancora o se pensava che fossi solo un idiota. Che poi, in effetti, era quel che ero. Ormai era troppo tardi per tornare indietro, ma non volevo perderla.
Quella notte in albergo non riuscii a prendere sonno. Fissavo il soffitto e ripetevo dentro di me cosa le avrei detto quando l’avrei vista. Provai decine di discorsi diversi, ma nessuno esprimeva davvero cosa provavo. Nessuna scusa sarebbe stata abbastanza; mi ero comportato da idiota e non sapevo in che modo una ragazza del genere potesse amare un idiota. Quando finalmente mi addormentai, ricordo solo che il suo volto mi sorrideva.
L’indomani mi svegliai leggermente più tranquillo, ma non appena arrivai davanti alla sua università la calma sparì completamente e fui preso da un attacco di panico.
Perché ero andato lì? Tutto ciò era estremamente stupido e ridicolo; lei se n’era andata, non aveva risposto alle mie chiamate… lei non mi voleva.
Non sarei dovuto essere lì. Dovevo lasciare che vivesse la sua vita senza di me, senza interferenze e senza…
Senza amore? mi sussurrò una vocina nella mia testa. Una voce che sembrava la sua.
Sospirai; andarsene ora, ecco cosa sarebbe stato davvero stupido.
Non dirle quanto l’amavo e quanto aveva cambiato la mia vita da quel giorno a Central Park, senza nemmeno rendersene conto. Quello sì che sarebbe stato da idioti.
Non potevo andarmene; non senza averle detto quelle cose.
 
Mentre pensavo tutto ciò - proprio in quell’istante - Jenny uscì.
Era persino più bella di come la ricordavo. Erano passati solo due giorni dall’ultima volta che l’avevo vista, eppure mi sembrava fossero mesi. Solo ora mi rendevo conto che ogni secondo lontano da lei era sembrato eterno.
Lei si voltò verso di me, come se già sapesse che ero lì, e mi vide. Per un attimo rimase ferma, immobile in un’espressione sorpresa, poi mi si avvicinò lentamente.
Io le corsi incontro, bloccandola prima che potesse parlare. « Jenny » mormorai con la voce che tremava, « mi dispiace. Davvero. Non sai quanto »
« Che ci fai qui? » chiese invece lei, senza prestare attenzione a quello che le dicevo.
Ignorai la sua domanda e proseguii, senza fermarmi.
« Mi sono comportato da idiota, mi dispiace. È che è stato tutto così improvviso… pensavo che una volta qui ti saresti pian piano dimenticata di me e io… »
Parlavo in maniera confusa e non riuscivo a guardarla negli occhi.
Se solo avesse saputo quanto mi era mancata e quanto mi sentivo stupido e innamorato in quel momento…
« Non mi sarei mai dimenticata di te, lo sai » mormorò con tono affranto, facendomi sentire terribilmente in colpa.
« Mi dispiace, Jenny. Io non so come… » come parlare, ecco cosa non sapevo come fare. Come dirle che era tutto uno schifo, senza di lei. Che non riuscivo più ad immaginare una vita di cui non facesse parte. Che avrei attraversato gli oceani, scalato le montagne e affrontato qualunque mostro pur di non perderla ancora.
La guardai dritta negli occhi, feci un profondo respiro e tentai di dare un ordine ai miei pensieri. Dovevo dirle quello che mi passava nella testa da troppo tempo ormai.
« Jen… la mia vita è cambiata, da quando ti conosco. Da quel giorno in cui ci siamo scontrati a Central Park nulla è più stato lo stesso. Sei entrata nella mia vita in punta di piedi, senza che nemmeno me ne accorgessi, e l’hai stravolta. Hai colmato uno spazio vuoto dentro di me che nemmeno sapevo di avere e mi hai amato come nessuno aveva mai fatto prima; spontaneamente, come la pioggia bagna le foglie durante i temporali. »
Feci un attimo di pausa per studiare la sua espressione; era colpita e sorpresa, ma c’era anche qualcos’altro che non riuscivo a decifrare nei suoi occhi.
« Quando mi hai detto che te ne andavi ho pensato che ti avrei persa. Sono così abituato alla gente che se ne va che non avevo realizzato quanto fosse diverso stavolta. Ma lo è, Jenny. Lo è. » la guardai dritta negli occhi, che lei non distolse.
« Ti amo. E mi rendo conto solo ora che l’amore è più di quello che credevo. Adesso so che significa donare senza pensare a cosa ci verrà dato in cambio, e sei stata tu ad insegnarmelo »  
I nostri occhi erano ancora incollati gli uni sugli altri, quando sul suo volto spuntò un sorriso. E fu allora che ebbi la consapevolezza che mi avrebbe sempre ricompensato per ogni singolo sforzo, sempre, semplicemente con quel sorriso e quel modo di guardarmi.
« Anche io ti amo » sussurrò avvicinandosi appena a me.
La abbracciai all’improvviso, stringendola forte a me come se non volessi lasciarla mai più andare. « Sono stato uno sciocco, Jen. E non voglio più esserlo. Non saprei come fare senza di te » ammisi accarezzandole i capelli.
« Come facevi prima… » suggerì, e dalla sua voce capii che stava piangendo.
Scossi la testa con decisione, accostando le labbra al suo orecchio per parlare.
« Prima non ti conoscevo. Non sarebbe più la stessa cosa » dichiarai.
Le sue mani si aggrapparono forte alla mia schiena, mentre affondava il viso nell’incavo del mio collo e inspirava profondamente, come fanno i bambini quando la mamma li abbraccia per consolarli.
« Ho una cosa per te » dissi ad un certo punto staccandomi da lei per cercare una cosa nello zaino. Tirai fuori un foglio e glielo detti, mentre lei mi guardava con aria perplessa. « Cos’è? »
« Una canzone » spiegai.  
« Erano mesi che non riuscivo a finirla… poi ho pensato a te »
Iniziai a cantare, mentre lei leggeva e mi ascoltava senza parlare.
 
It's funny how it starts, just how it all begins. 
You get your sights on dreams, and man a thousand different things. 
You are on for yourself, you're chasing cool desire. 
You get addicted fast, but man you're playin' with fire. 

Then there's a day that comes to you. 
When you get all you want, but there's a space inside that's still as empty as it was. 
'Till an angel comes your way and man she's fallin fast. 
You know she's so in need but she is to afraid to ask. 

So you hold on out your hands and catch her best you can. 
And in givin' love you feel a better man. 

And the gift is what you get by givin' more than you receive. 
And you're learnin' fast that maybe this is how you'll be happy. 
'Cause in takin' everything you lost, the air you need to breath. 
But in givin' it away, you found the precious thing you seek. 

Man, it's funny how she smiles, how grateful she is now. 
And how that touches me deep in my heart somehow. 
Yet the mirror laughs at me when I forget myself. 
When I complain about, this hand that I got dealt. 

And if I had know before, how much she would change my life. 
I'd sure go back in time and tell that guy ...hey, man. 
You can do better than this, you can answer your prayers. 
You can grant your own wish. 

Just hold on out your hands and give the most you can. 
And I swear to you you'll feel a better man. 

And it's better by far to do what you do now. 
And leave the rest to love. 
Just be strong in who you are. 
Once you start on that road. 
You're safe in the knowledge. 
That anyway you go. 
Will lead you home. 

So precious precious precious... 


Le note si dissolsero lentamente nell’aria, e quando la guardai dai suoi occhi scorrevano giù calde lacrime, mentre le sue labbra erano incurvate in un tenero sorriso. « Ti piace? » domandai incerto.
Lei annuì con veemenza, prima di buttarmi le braccia al collo.
« È la canzone più bella che io abbia mai sentito » mormorò con un filo di voce.
Sorrisi e la strinsi più forte a me. « È nostra » dissi, poi calò il silenzio.
 
Stemmo lì in piedi davanti all’università per non so quanto tempo, senza dire nulla, l’uno nelle braccia dell’altra.
La gente che passava ogni tanto ci rivolgeva uno sguardo interrogativo, ma noi non ci facevamo più che tanto caso. Ci sentivamo come due anime sperdute che si sono finalmente ritrovate dopo tanto tempo e che non hanno intenzione di separarsi mai più.
Ma questo ovviamente loro non potevano saperlo.
Forse sembrerà egoistico da parte mia dirlo, ma ho sempre avuto la segreta convinzione che quello che avevamo io e Jenny fosse in qualche modo diverso da ciò che provavano normalmente le altre persone.
Era più dell’attrazione, dell’affetto, dell’amicizia e dell’amore normali.
Noi non eravamo solo due innamorati, non lo eravamo mai stati.
Eravamo un’anima, divisa in due e separata alla nascita, destinata a riunirsi prima o poi. E quel giorno, mentre abbracciavo Jennifer in mezzo alla strada, ebbi la consapevolezza che quello che provavo era l’amore vero; quello che ci raccontano nei film e che nessuno crede esista davvero.
Ma soprattutto, quel giorno capii che l’amore, sempre quello vero, ha bisogno di battaglie da vincere per vivere. Non è statico e perfetto come si crede nell’immaginario comune, anzi. L’amore è una burrasca, quiete e tempesta, lampi e sole, in un susseguirsi infinito di onde che lo rendono terribile… e meraviglioso.
Davvero meraviglioso.
 
 
 
                                                                       ***
 
 

Sono sempre stata convinta che l’amore esistesse.
Non lo vedevo per le strade, non lo vedevo nei miei genitori né nei miei amici, ma ero sicura che esistesse.
Per qualche inspiegabile motivo sentivo di esserci destinata.
Ho sempre pensato che le anime fossero come tessere di un puzzle, spezzate prima di venire al mondo e alla constante ricerca della propria parte mancante.
Eppure, per anni non me ne sono preoccupata.
Sapevo che era lì fuori, che c’era qualcuno a cui il mio cuore era destinato senza saperlo, ma non lo cercavo.
È stata la brezza a portarmi da te, Matt. E il destino.
Dal momento in cui ti ho guardato negli occhi la prima volta ho sentito qualcosa dentro di me ricucirsi, ricomporsi e rinascere.
Tu hai colmato uno spazio vuoto dentro di me che nemmeno sapevo di avere, e non so dirti quanto te ne sia grata.
Non pensavo di trovarti. Non speravo di trovarti così presto.
 
                                                                                                           Jennifer









_Note d'autore_


Eccoci finalmente all'epilogo.
Ebbene sì, questo era l'ultimo capitolo.
Forse alcuni di voi saranno contenti che sia finita, e personalmente un po' lo sono anche io, ma finire una storia mi lascia sempre un po' di amaro dentro.
Ho messo tanto di me qui, ed è come chiudere una piccola finestra della mia vita.
Ma immagino sia il corso naturale delle cose.
Spero che nonostante tutto vi sia piaciuta e beh.. se volete fatemi sapere cosa ne pensate.
A presto,
                      El.    

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=785235