Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
A volte la prende la nostalgia delle cose più assurde
Nostalgia
A
volte la prende la nostalgia delle cose più assurde.
Sta sdraiata, a pensare, la mattina presto prima di
raggiungere la sua shisho o i compagni di squadra. O nei tempi morti, quando
non ha niente su cui concentrarsi, oppure quando Naruto ha gli occhi che si
fanno tristi, opachi e stringe i pugni con impotenza. Allora la sua mente parte
da sola, senza che lei possa fare alcunché per trattenerla.
Bastano oggetti o parole qualunque perché le
immagini si formino negli occhi della sua memoria con precisione sconcertante.
Un piatto che Shikamaru sporge a Choji ed ecco che lei rivede con chiarezza
Sasuke allungare il tanto meritato pranzo a un Naruto legato come un salame,
senza una parola, al tempo del loro primo giorno come squadra, in
un’epoca che adesso sembra lontana centinaia di anni ma al tempo stesso
appena passata. Konohamaru si allena a concentrare il chakra arrampicandosi
sugli alberi, al limitare del bosco intorno al villaggio, e lei può
scorgere Naruto che precipita di testa verso terra, mentre fa il gradasso, e
Sasuke che scatta lungo il tronco, si tuffa ad afferrare la sua caviglia e lo
blocca al volo.
Quando qualcuno la ringrazia per un motivo
qualunque – una medicazione ben riuscita, un complimento genuino,
qualsiasi cosa – è la voce di Sasuke che lei sente, proveniente da
appena dietro le proprie spalle. Grazie, l’ultima
parola che le ha detto in quella maledetta notte, quando ha scelto di voltare
le spalle a Konoha e a tutto quello che avevano costruito insieme. Le sembra
davvero che se si volta lo vedrà lì, con quello sguardo duro e
così distante come non l’aveva mai visto prima. E le pare di
precipitare soltanto al suono di quella parola.
Certe volte si sveglia al mattino con gli occhi
umidi e in testa il ricordo di quel giorno sul ponte, quando trattenere lacrime
e singhiozzi le era impossibile e poteva soltanto stringerlo, morto, e piangere
con tutte le sue forze. E poi risente la sua voce – lasciami, Sakura-chan, mi stai soffocando. Non esattamente
romantica o tenera, come frase detta da uno che è appena tornato dalla
morte, ma Sasuke è così e lei non lo vorrebbe diverso. E quasi si
metterebbe a piangere ancora per il ricordo di quel sollievo infinito del
vederlo ancora vivo lì con loro, con lei,
come adesso sembra impossibile. Quel momento, quella gioia, darebbe qualsiasi
cosa per poterli rivivere, per tornare in quell’istante e quella
situazione e sapere che Sasuke c’è ancora.
Il
ragazzino ha il viso rivolto contro un albero, gli occhi tappati con le mani.
Conta a voce alta, scandendo i numeri.
“…Cinque.
Sei. Sette…”
Il
bimbetto ride, irresistibile, saltellando sulle gambette con entusiasmo. Si guarda
intorno eccitato, corre traballante a infilarsi sotto le ruote del carretto
carico di erba e si appiattisce al suolo. È perfettamente visibile, ma
con ingenuità infantile pare convinto d’aver trovato il
nascondiglio perfetto.
L’uomo,
non visto, scuote lievemente il capo, il volto occultato dalle falde del
cappello a tesa larga. Il mantello nero, su cui risaltano le nuvole rosse, gli
ondeggia intorno alle gambe.
“…Ventuno!”
termina il ragazzino, voltandosi finalmente indietro. Individua il bimbo al
primo sguardo ma sposta gli occhi altrove, fingendosi intento nella sua
ricerca.
“Chissà
dove sei,” esclama a voce alta, sporgendo il capo tra i rami di un
cespuglio. “Non so proprio come trovarti,” continua con un profondo
sospiro di disappunto, chinandosi per cercare nel fosso che divide il prato
dalla strada.
Il
bambino sotto il carretto ride sommessamente, tappandosi la bocca con le manine
paffute. L’uomo rimane cupo a osservare quel ridere che gli fa male, gli
scivola lungo le vene e lo intossisca di malinconia,
di rimorso. Ma non può smettere di guardarlo.
“Ma
dove…” brontola il ragazzino, allontanandosi abbastanza da
permettere al moccioso, trionfale, di schizzare fuori ridendo come un matto e
scattare – per modo di dire, con quelle gambe da scoiattolino
– a liberarsi battendo la mano contro il tronco, mentre il maggiore finge
di corrergli dietro.
“Ho
vinto!” strilla il piccolo. “Ho vinto!” E ride, saltando
intorno al fratello maggiore con orgoglio.
Fa
star male, quel ridere estatico.
“Accidenti,”
esclama il ragazzino. “Non ti ho proprio visto.”
La
finestra della casa si spalanca, un busto di donna si sporge con dolcezza.
“Ragazzi,
c’è il pranzo,” chiama, invitante.
“Arriviamo,
mamma,” annuncia il ragazzino, spolverandosi i pantaloni a manate.
“Ancora
una volta! Ancora!” protesta supplice il bambino, saltandogli intorno.
“Non
hai sentito la mamma?” lo riprende l’altro, bonario.
“E
io non vengo!” borbotta il bimbo con una linguaccia. “Ecco!”
Fa per correre via, balzellando. Il ragazzino scrolla la testa e sorride.
“Ah
sì, eh?” replica, raggiungendolo in un batter d’occhio.
“E allora io ti acchiappo!” aggiunge, afferrandolo per la vita. Il
bimbo non fa in tempo a protestare che si ritrova catapultato in aria. Il suo
lamento si trasforma in uno strillo di euforia – che vocina sottile,
così simile a quella di Sasuke - mentre viene ripreso al volo e
trascinato in casa di peso, ridendo pazzamente.
L’uomo
rimane a guardare il prato vuoto senza muoversi, con l’immagine di due occhioni neri che lo ammirano da un visetto simile al
proprio incastrata in mente: non se ne vuole andare, non lo lascia mai.
“Itachi,
qui facciamo notte,” lo raggiunge la voce del compagno di viaggio, che s’avvicina
lentamente.
L’uomo
annuisce, assorto.
“Andiamo,
Kisame,” esclama atono, voltandosi. Nel farlo getta un ultimo sguardo
alla casetta, da cui proviene un chiacchiericcio a più voci.
“Allora,
ragazzi: per prima cosa, dobbiamo identificare come agisce l’avversario
per capire in che modo ha intenzione di colpirci,” iniziò Sakura,
leggendo con scrupolosa perizia le istruzioni lasciate da Kakashi sensei per quell’esercitazione fuori programma.
“Ma
come facciamo?” starnazzò Naruto con fervore, saltando in piedi di
slancio. “Non abbiamo praticamente indizi, non possiamo sapere…
Insomma che gli prende a Kakashi?” borbottò, assottigliando gli
occhi contrariato per poi guardarsi intorno con sospetto come se il sensei fosse stato appostato dietro un albero. Un lieve
sospiro di fastidio provenne in quell’attimo dalla sua detra.
“Il
tuo contributo è come sempre determinante, idiota,” lo raggiunse
la voce atona e lievemente sprezzante di Sasuke, che se ne stava accovacciato
ai piedi d’un tronco mantenendo un paio di metri di distanza dai due
compagni di squadra.
“Smettila di darmi
dell’idiota!” berciò Naruto stizzito, agitando un pugno
nella sua direzione mentre Sakura lo tratteneva di forza per il collo della
tuta.
“Ma
tu sei un idiota, Naruto,”
puntualizzò Sasuke serio, con noncuranza. Il biondo jinchuuriki
lanciò una sorta di breve ruggito, muovendo le gambe come le pale di un
mulino nel tentativo di liberarsi dalla presa di Sakura.
“Adesso
ti faccio vedere ioooo!” minacciò
feroce, nella più totale indifferenza dell’altro.
“Smettetela,
voi due,” intimò Sakura accorata, senza mollare il colletto di
Naruto. “Sas’ke-kun, stai pensando anche
tu alla stessa cosa che penso io, non è vero?” aggiunse, gli occhi
improvvisamente illuminati di gioia e la voce soave e carezzevole.
L’Uchiha
le lanciò un’occhiata che stava tra la compassione e la freddezza
più assoluta, prima di espellere un altro sospiro condiscendente.
“Cosa
vuoi che ne sappia,” ribatté con fare annoiato. “Penso
semplicemente che la natura del nostro avversario sia ben evidente. Per
cominciare, le orme che abbiamo trovato poco fa non sono affatto umane, ma
nemmeno appartengo a animali riconoscibili. Inoltre, quella pozzanghera di poco
fa. Ci è già successa una cosa del genere, ricordate?”
Sakura
annuiva solerte, con palese ammirazione e totale accordo: era chiaro che il
loro nemico intendeva continuare a spiarli fino al momento più propizio,
lasciando false piste come tracce di animali, e che padroneggiava le tecniche
d’acqua.
“Esatto,
Sas’ke-kun. Sono d’accordo con te,”
affermò estatica.
“Quindi,
si tratta di…” continuò Sasuke, voltandosi verso Naruto con
estrema superiorità nell’intento di spiegargli quelle conclusioni
ad alta voce.
“Orme
strane…acqua…” borbottava lui tra sé.
“E’…è un MOSTRO MARINO!” sbraitò
d’impulso, facendo sobbalzare Sakura tanto da perdere l’equilibrio
e precipitare a terra con un gemito di rassegnazione.
“IDIOTA!”
strillò poi la ragazza, sollevando il busto e caricando un pugno nella
sua direzione. Mentre Naruto, ignaro del pericolo incombente, continuava a
starnazzare di allarmi nazionali e orrende creature degli abissi che avrebbe
sconfitto in quanto futuro Hokage, Sasuke si affrettò a portare la mano alla
bocca con un sospiro disgustato, per celare alla vista degli altri due la piega
presa dalle sue labbra, arcuate verso l’alto in un inconfondibile sorriso
represso.
“Deidara dovrebbe fare le bombe a forma di zanzare. È
fastidioso come loro.”
Ascolta
le parole e poi la risata dell’altro chiocciare perfida da qualche parte
alla sua sinistra, e non dà segno di badarvi. Come al solito, Kisame si
è prodotto in uno dei malevoli commenti sarcastici che gli vengono tanto
naturali. Come al solito lui non ha reagito in alcun modo, non degnandolo di
considerazione. Come al solito – o per lo meno, come succede dal secondo
anno della loro collaborazione, da quando si conoscono davvero – Kisame non
se ne fa un cruccio, continuando a ridacchiare malignamente da solo, anche se
questo potrebbe farlo sembrare vagamente stupido.
Ma
Itachi sa che Kisame non lo fa certo per ottusità. In un’altra
vita, se l’avesse avuta, avrebbe riso con lui, perché Kisame fa
ridere. In un’altra vita, una in cui non fosse stato il mostro che
è, avrebbe reclinato il capo indietro e ridacchiato silenziosamente
insieme allo spadaccino.