Aria di novità

di DAlessiana
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


ll ragazzo fissava la lapide, come se non ne avesse mai vista una. Passava lì gran parte del suo tempo libero, quando raramente se lo poteva permettere, dato il suo lavoro.
Notò una ragazza, non è che fosse raro trovare altre persone al cimitero, ma quella giovane donna era diversa, il suo comportamento era diverso da tutti gli altri, perfino dal suo, che di diverso aveva molto, glielo avevano sempre detto. Quella ragazza camminava avanti ed indietro per tutto il cimitero, lo percorreva come se fosse in pace con se stessa in quel luogo pieno di persone care, purtroppo andate via.
Quella volta, il suo dondolare per le vie di quel luogo così doloroso, la portò a scontrarsi contro quel ragazzo “Mi scusi, avevo la testa altrove!” esclamò lei, mortificata “L'avevo notato!” disse, in malo modo, Reid “Non si preoccupi, capita a tutti” aggiunse, vedendo l'aria dispiaciuta della giovane “Davvero, mi dispiace tanto. Le ho bagnato tutta la camicia” disse e, solo in quel momento, Reid notò la bottiglietta d'acqua che la ragazza le aveva rovesciato addosso.
“Oh” esclamò “E' solo un po' d'acqua. Si asciugherà subito” aggiunse “Tenga” gli offrì un fazzoletto, preso dalla sua borsa elegante, ma allo stesso tempo sportiva, lui lo prese ed iniziò ad asciugarsi “Deve tamponare, non strisciare” suggerì la ragazza “Vedo che è esperta di camicie” esclamò Spencer “No, ma mia madre mi ha sempre insegnato come rimediare a qualche macchia” disse, Reid continuò a tamponare la macchia, che pian piano scompariva.
“Io sono Spencer Reid, piacere” la salutò con la mano “Io mi chiamo Aurora, Aurora Bianchi” ricambiò il saluto la giovane “E' italiana?” chiese “Sì, ma dammi del tu, in fondo, sei più grande di me, credo” “D'accordo, Aurora. Hai un bel nome, lo sai?” disse e stesso lui si meravigliò delle sue parole, di solito, davanti ad una ragazza rimaneva muto come un pesce, ma lei, lei aveva qualcosa in più, qualcosa di speciale.
“Cosa ti porta a Washington?” chiese, una volta incamminatosi con lei “Il BAU. Vorrei entrare nella squadra e, per miracolo, ho ottenuto un colloquio con l'agente Aaron Hotchner, che è a capo dell'unità. Devo sostenere il colloquio e se andrà bene e le mie preghiera verranno esaudite, lavorerò con la migliore squadra mai vista in campo!” rispose e il dottore non appena sentì BAU, si meravigliò che, quella ragazza fragile, volesse intraprendere un lavoro così difficile e pericoloso. Certo, superare un colloquio con Hotch non era affatto semplice, lui lo sapeva bene, conosceva quanto il suo capo fosse inflessibile sulla scelta dei membri della sua squadra, dopotutto era una specie di capo famiglia e a lui spettano sempre i compiti più ardui.
“Spencer? Ti sei incantato?” domandò Aurora, trattenendo una risata “No è che...stavo pensando. Io lavoro per il BAU e l'agente Hotchner è il mio capo” rispose, informandola che se avesse superato il colloquio avrebbe lavorato con lui “Davvero? Tu sei quel Spencer Reid, il dottor Spencer Reid, il genietto della squadra?” esclamò lei sorpresa “Be' sì” disse Reid, arrossendo, nessuno lo aveva accolto con così tanto entusiasmo, mai “E' un onore conoscere qualcuno con così tanta intelligenza!” esclamò Aurora, senza saper trattenere l'entusiasmo “Non per vantarmi, ma cervelli come il mio sono rari” disse Reid, sorridendo imbarazzato, ma allo stesso tempo sicuro di sé.
Sì, quella ragazza aveva davvero qualcosa di magico.
***
I membri della squadra erano ansiosi di sapere quale candidato, per prendere il posto di Prentiss, si sarebbe presentato quella mattina. Ne erano passati già una decina, ma nessuno, secondo Hotch era all'altezza di quella scrivania, che a vederla vuota, faceva uno strano effetto.
“Aurora!” esclamò Reid, quando vide la ragazza varcare la soglia d'ingresso “Spencer!” salutò lei “Speravo vivamente di vederti” aggiunse “Non mi sarei perso per nulla al mondo il tuo colloquio” disse, e la ragazza gli sorrise come segno di riconoscenza.
In quel momento Hotch uscì dalla stanza “Aurora Bianchi!” chiamò, per poi rientrare dentro “Promettimi che se non lo supererò ci terremmo comunque in contatto!” esclamò Aurora, guardando Spencer dritto negli occhi “Certo. Ora è meglio che vai, il ritardo non è esattamente il miglior modo per iniziare. Buona fortuna!” esclamò Reid, facendole l'occhiolino “Grazie” disse lei, mentre saliva e, prima di entrare, rivolse un ultimo sguardo a Spencer, che la guardò rassicurandola con lo sguardo. L'avrebbe sicuramente passato, ci avrebbe scommesso.
Reid si voltò verso i suo colleghi e, ovviamente, venne sommerso da mille domande.
***
“Buongiorno agente Hotchner. Sono Aurora Bianchi” si presentò lei, dopo aver bussato alla porta, nonostante fosse aperta.
“Prego” la invitò ad entrare l'uomo “Allora, signorina Bianchi. Vedo che lei è molto giovane, non ha esperienza sul campo. Cosa la porta in questa squadra?” chiese, per la milionesima volta in quella settimana, Hotch “Vede agente Hotchner, so che, probabilmente, non sono all'altezza dell'agente Prentiss. Anzi, non reggo in alcun modo un confronto con lei; ma ho deciso comunque di fare questo colloquio, che ho tanto bramato dal mio primo anno in accademia. Sognavo di lavorare con i migliori e di dire la mia, senza la paura di essere zittita ogni volta, perché ero l'ultima e non avevo voce in capitolo. So, che in questa squadra, ognuno dice la sua, perché il profiling è un lavoro di gruppo e poco importa se sei o non sei l'ultimo arrivato oppure hai poca esperienza, perché tutti vengono trattati allo stesso modo. Io non cerco semplicemente qualcuno con cui lavorare, cerco una famiglia con la quale possa condividere tutto, dato che la mia mi è stata portata via troppo in fretta e la mia scheda lo può confermare. I miei genitori sono morti quando avevo poco più di 16 anni, per un incidente stradale ed i miei fratelli si sono presi cura di me, ma saprà che il calore che emana un genitore, non lo potrà mai emanare un fratello. Per carità, sono stati magnifici con me, ma ho bisogno di avere qualcuno come punto di riferimento, perché dopo la morte di mio padre, non ne ho avuto più uno. Non voglio commuoverla con la mia storia strappa lacrime, non prenderei mai queste scorciatoie. Lei mi ha chiesto cosa mi porta in questa strada: il bisogno di una famiglia e la mia passione per il profiling” rispose e parlò per più di venti minuti solo lei, Hotch era rimasto impassibile e la guardava negli occhi, niente di quello che aveva appena detto era una menzogna. Era sincera.
“Puoi considerarti parte di questa famiglia, da oggi in poi” esclamò con un sorriso “La ringrazio infinitamente agente Hotchner” disse Aurora entusiasta “Chiamami pure Hotch. Benvenuta, agente Bianchi” continuò a sorriderle, porgendole la mano “Grazie, Hotch” sorrise anche lei, stringendo la mano di quello che, da quel momento, divenne il suo capo.
Reid aveva ascoltato e visto tutto, anche se sapeva che origliare non era una bella cosa, ma voleva sapere, era curioso, troppo curioso.
E, mentre ascoltava la storia di Aurora, gli si strinse il cuore.

 


-Questa è la prima fan fiction che scrivo su "Criminal Minds", quindi se fa schifo siete pregati di dirmelo, almeno non evito brutte figure continuandola çWç
Spero che vi piaccia. Aspetto un piccolo commentino, non fa male a nessuno!
Alla prossima! :33

P.S. Ringrazio Mini GD per avermi spronato a pubblicarlo ed avermi aiutata col titolo. Ti voglio bene! <3
P.P.S. Capitolo modificato!

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Si svegliò di colpo. Era tutto un sogno, aveva solo immaginato di incontrare quella ragazza speciale e che lei aveva preso il posto di Prentiss, nella squadra. Forse un po' se lo aspettava, perché non era mai stato così gentile con una sconosciuta e, di certo, non era così socievole e poi Hotch non avrebbe mai assunto una ragazza senza esperienza appena uscita dall'accademia, come membro della squadra più in gamba dell'FBI. Che strano scherzo gli aveva fatto il suo subconscio.
Corse sotto la doccia, ne aveva bisogno. Aveva bisogno di schiarirsi le idee e cosa meglio di una doccia fredda poteva farlo? Doveva riprendersi e voleva capire perché il suo subconscio gli aveva giocato un simile scherzo, ma lui non credeva nel significato dei sogni e, quindi, lasciò perdere l'idea.
Uscì dalla doccia e si asciugò. Il calore del phon in faccia gli dava fastidio, quindi cercò di fare il più in fretta possibile.
Solo quando era già vestito buttò uno sguardo all'orologio e rimase, letteralmente, paralizzato.
Era in ritardo. Prese il cellulare, che aveva spento per farlo ricaricare, corse nel soggiorno dove raccolse al volo la sua fedele tracolla e si avviò alla porta.
Salì nell'auto e lì accese il cellulare, non sapeva ancora fare due cose contemporaneamente.
Se avesse chiamato Hotch probabilmente avrebbe usato il potere di linciarlo tramite il telefono, quindi optò di chiamare JJ, almeno avrebbe tentato di calmare il suo capo, prima del suo arrivo. Fece partire la chiamata e mise il viva-voce, appoggiò l'aggeggio tecnologico al poggia cellulare che aveva sul cruscotto, regalatogli da Garcia.
“Spence! Ci hai fatto prendere un colpo!” lo rimproverò la bionda “Lo so, JJ. Scusa, ma ieri ho dimenticato di inserire la sveglia” tentò di giustificarsi il ragazzo “E' la terza volta che arrivi in ritardo questa settimana, Hotch è fuori di sé” disse JJ “Immagino. Comunque ora sono già in macchina e sono quasi arrivato. Mi fai un favore?” “Tenterò di calmarlo, ma non ti assicuro nulla” lo precedette Jennifer e un sorriso si allargò sulle labbra di Spencer, lo capiva al volo ecco perché le voleva bene “Grazie, sei un angelo!” esclamò il dottore “Scusami ancora” aggiunse, mortificato “Non è di me che devi preoccuparti, per ora” rispose la donna, dall'altra parte del telefono, sottolineando la parola ora.
“E' così tanto arrabbiato?” chiese Reid anche se conosceva perfettamente la risposta “Più che altro è preoccupato, ma ora che saprà che sei vivo e vegeto e che, per tutto il tempo, ha dormito credo proprio che la preoccupazione lascerà il posto alla rabbia. Sai meglio di me che il ritardo è una delle cose che non tollera facilmente” rispose JJ “Sì, lo so” sospirò Spencer “Vado, così cerco di calmarlo. Ciao” salutò la bionda “Ciao, grazie” ricambiò il saluto lui, prima di chiudere la chiamata.
“Mi chiedo cosa tolleri facilmente Hotch” borbottò tra sé, mentre parcheggiava.
***
Appena l'ascensore arrivò a destinazione, Reid sospirò e si preparò mentalmente alla sfuriata che, sicuramente, il suo capo non gli avrebbe risparmiato. Era la terza volta che arrivava in ritardo: la prima gliela aveva fatta passare con la sua solita frase
“Un ritardo capita a tutti. Una volta; la seconda gli aveva riservato uno dei suoi sguardi che racchiudeva più di mille parole; di certo, ora, gli avrebbe fatto una bella lavata di testa.
“Buongiorno” farfugliò entrando con il suo solito caffè in mano, che conteneva più zucchero che caffeina, tutti lo fissarono “Ben arrivato, ragazzino!” esclamò Morgan “Salve dormiglione. Hotch ti aspetta nel suo ufficio” fu questo il saluto che ricevette da Rossi “Uh” sospirò il giovane genio, buttando lo sguardo verso l'ufficio del suo supervisore. Stava per salire le scale quando quest'ultimo uscì.
“Tutti il sala conferenze!” annunciò e Reid ringraziò mentalmente JJ, di sicuro c'era il suo zampino se quel caso era arrivato proprio in quel momento.
***
“Alexis Thomposon 46 anni, Andrew Miller 36 anni.” elencò JJ, mentre le foto delle due vittime apparivano sullo schermo “Entrambe le vittime sono scomparse lo stesso giorno e, dopo due giorni, sono state trovate in un parco dal custode a Toronto, Canada” continuò e, intanto, gli altri colleghi leggevano il fascicolo “Sono morte per delle pugnalate all'addome ed un colpo di pistola alla tempia” osservò Rossi “Esatto. Quello sulla tempia è stato l'ultimo colpo” puntualizzò la bionda “Il colpo mortale” esclamò Morgan “Prima le fa soffrire con delle pugnalate all'addome, eccitandosi per il sangue che scorre, ma invece di farle morire dissanguate, decide di dar loro il colpo finale con un arma da fuoco. Perché?” disse Rossi “Può essere opera di due S.I.” azzardò JJ “Uno prova eccitazione nel far soffrire le vittime e l'altro, stancato da quella scena e dai lamenti, decide di porre fine alle loro sofferenze” rifletté Reid, che faceva di tutto per non incrociare lo sguardo del suo capo “Con un colpo solo. Deciso e rapido” continuò Derek “L'unico per scoprirlo è andare là. Garcia ci informerai sul jet” disse Hotch verso l'informatica “Un attimo, Hotch” lo chiamò Penelope “C'è una cosa che dovete sapere è scomparsa una ragazza da 12 ore. Si chiama Kimberly Jackson 26 anni” l'informò Garcia “Partenza tra venti minuti” ordinò Hotch, subito dopo aver assimilato quella notizia.
Avevo meno di 48 ore per ritrovare una ragazza e salvarle la vita.

 

-Rieccomi con il secondo capitolo! 
Okay, forse non è proprio quello che vi aspettavate. Neanche io ad essere sincera, ma ho visto che l'altro non aveva attirato tanto e, anche per me, il tutto era troppo veloce e diverso da carattere dei personaggi, quindi ho modificato un po' la storia dall'idea originale. Tranquilli...Aurora ci sarà e come, ma entrerà in un altro modo, anche se già è un po' "entrata" nei sogni del nostro caro dottor Reid! ^-^
Spero che il capitolo vi piaccia e aspetto con ansia i vostri commenti! 
Alla prossima! :33
ATTENZIONE: Al primo capitolo ho modificato/cancellato qualcosa per adeguarlo a questo ed al fatto che tutto era un sogno di Spencer Reid!

P.S. Non userò mai il metodo di scrivere a capo per i dialoghi! Comunque, grazie per il consiglio ^-^

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Appena arrivarono alla stazione di polizia, vennero accolti da sguardi irritati.
“Credo che non siamo i benvenuti qui” sussurrò Morgan a Dave e Reid “Non sarebbe la prima volta” brontolò il mezzo italiano.
“Voi siete gli agenti dell' FBI?” chiese un uomo abbastanza alto e di corporatura robusta
“Esatto. Io sono l'agente Hotchner, loro sono gli agenti Jareau, Rossi, Morgan e il dottor Reid” rispose il capo, presentando anche il resto della squadra “Io sono il detective Brown. Sono felice che siete venuti” esclamò l'uomo “Dovere” disse Hotch “Si direbbe che lui è l'unico felice di vederci” sussurrò Reid.
Il detective li guidò in una sala con l'attrezzatura che sarebbe servita per le indagini e, dopo essersi congedato con un lieve cenno del capo, andò verso una giovane agente per presentarla alla squadra.
“Lei è l'agente Aurora Bianchi” disse e Reid, appena si voltò a guardarla, rimase pietrificato con il fascicolo in mano “Lei vi affiancherà nelle indagini insieme a me, se per voi va bene.” continuò l'uomo “Certo. Vedo che è l'unica che non ci guarda male” disse Morgan, guadagnandosi un'occhiata di traverso da Hotch.
Il detective sospirò “In effetti, ha ragione. I miei agenti non sono stati particolarmente entusiasti quando ho deciso di chiamarvi” disse, imbarazzato “Non si preoccupi. Non sono gli unici, li capiamo” disse JJ, cercando di recuperare la situazione.
“Sarà meglio metterci a lavoro” tagliò corto Hotch, tutti si sedettero alla scrivania per analizzare i fascicoli, tutti tranne Reid “Ehi ragazzino, ci sei?” chiese Morgan, scuotendolo “Eh? Sì, certo” si riprese il genio, sedendosi anche lui.
“Forse non sono le prime vittime per l'SI” esordì Rossi “I tagli sono troppo perfetti. Si deve essere allenato in qualche modo oppure ha una formazione medica.” aggiunse JJ “Morgan, chiama Garcia è dille di cercare altri casi simili, Reid resta con lui ad esaminare i casi. JJ tu occupati delle famiglie delle vittime. Dave va sul luogo dove sono stati ritrovati i corpi insieme all'agente Bianchi. Io e il detective Brown andremo dal medico legale.” il capo assegnò ad ogni membro un compito e tutti annuirono, alzandosi per fare ciò che gli era stato richiesto.
***
“Ehi bambolina ho bisogno di te!” esclamò Derek al telefono “Ogni tuo desiderio è un ordine” disse l'informatica dall'altro capo “Cerca se ci sono casi con dei modus operandi simili e inviaci i fascicoli” “Al vostro servizio!” esclamò Garcia chiudendo la chiamata, per mettersi al lavoro.
“Mi puoi spiegare perché prima sei rimasto paralizzato?” chiese, dopo alcuni minuti, l'agente di colore verso il genietto “Chi io?” tentò di sviare il discorso Reid, sperando che Garcia inviasse al più presto i fascicoli “Sì, tu. Non fare il finto tondo con me” disse l'altro con occhi curiosi “No, niente. Pensavo al fatto che fosse strano che Hotch non mi abbia detto niente neanche sul jet” mentì
“Non è affatto vero! E poi, lo sai meglio di me che quando c'è un caso, Hotch pensa solo a quello” lo smascherò Morgan “Secondo me ha a che fare con quella ragazza, Aurora” aggiunse, con fare malizioso, Reid stava per replicare, ma lo squillò del cellulare di Morgan lo salvò da quella imbarazzante conversazione.
***
L'agente Bianchi camminava di fianco a Rossi senza incrociare mai il suo sguardo, era di grado superiore e il suo capo le aveva insegnato a portare grande rispetto.
Dave, dal canto suo, rimaneva silenzioso e analizzava attentamente la scena del crimine, segnando tutte le cose più interessanti sul suo taccuino per riferirle alla squadra.
“Signore...” accennò la ragazza “Dimmi pure” disse Rossi con un sorriso “Guardi lì. A terra c'è qualcosa” indicò un punto impreciso del vasto prato, Rossi si dovette sforzare per notare un minuscolo pezzo di stoffa nero, prese un fazzoletto dalla tasca e lo prese con delicatezza.
“Che sia dell' SI?” chiese Aurora “E' probabile” rispose l'agente più anziano “Ottimo lavoro” aggiunse, sorridente “Grazie mille signore” disse, chinando il capo, la ragazza.
***
JJ entrò in una stanza piccola e poco illuminata, le era stata indicata da un agente, lì avrebbe ricevuto i familiari delle vittime.
Poco dopo entrò una signora in dolce attesa e JJ non fece a meno di sorride, ricordando di quando aspettava il suo piccolo terremoto Henry. La signora era abbastanza alta e aveva i capelli castani raccolti in una treccia che portava di lato. Aveva gli occhi rossi e l'aria stanca.
“Lei deve essere l'agente Jareau. Io sono la signora Miller” si presentò, porgendole la mano, la sua voce era un sussurro, probabilmente aveva appena finito di piangere.
“Piacere mio. Prego, si sieda” disse JJ, stringendole la mano ed indicandole una sedia, la signora si sedette, sospirando.
“Di quanti mesi è?” chiese la bionda, sorridendo “Sette” rispose, accarezzandosi la pancia “Sa, Andrew era così felice. Mostravamo fieri il frutto del nostro amore e lui mi viziava in tutti i modi” aggiunse, con lo sguardo perso nei ricordi “Posso immaginare cosa stia provando in questo momento” disse l'agente “Come può farlo? Come può immaginare cosa si prova a perdere il proprio marito? L'uomo che ha sempre amato e con il quale, finalmente, aveva coronato il vostro più grande sogno? Tutti dite la stessa frase, ma è falsa. Non potete immaginarlo” disse la signora con rabbia, JJ non si mosse di un millimetro, in fondo si poteva immaginare quella reazione.
“Lo so che è difficile ed ha ragione” l'appoggiò “Noi faremo di tutto per trovare il colpevole, ma ora ho bisogno del suo aiuto” aggiunse “Sì, mi scusi. Non volevo risultare scortese, mi chieda pure ciò che vuole.” disse la moglie della vittima.
***
“Allora, Andrew Miller secondo la moglie era il marito perfetto. Lavorava sodo per garantire un futuro a suo figlio e non ha mai ritardato in nessun pagamento. Era accolto bene da tutti i residenti del quartiere e faceva volontariato insieme alla moglie da anni, è lì che si sono conosciuti.” disse JJ appena entrata nella stanza. Non si accorse però che tutti i presenti erano fissi su un fascicolo, che Reid teneva tra le mani. “Che succede?” chiese Rossi appena arrivato nella stanza, precedendo la domanda di JJ, anche l'agente Bianchi li guardò curiosi e notò che il suo capo non c'era.
“Garcia ha cercato altri casi simili e ne ha trovato solo uno” iniziò a dire Morgan “Be', già è un inizio. Così avremmo altri indizi su cui lavorare” disse Rossi “Chi sono le vittime?” chiese JJ avvicinandosi al resto della squadra.
“I coniugi Bianchi.” disse Hotch, puntando la sguardo su Aurora, gli altri fecero lo stesso e alla giovane agente le si inumidirono gli occhi, senza pensarci su due volte, corse via da quella stanza, fuggendo da quei sguardi puntati su di lei.



-Sì, lo so. Avete tutto il diritto di uccidermi con le vostre stesse mani. Non ho scuse per il mio stratosferico ritardo, posso solo dirvi che mi dispiace. Sono stata presa da un blocco improvviso, tutto quello che scrivere mi faceva schifo (non che questo capitolo sia bello, ma è il meglio che mi è venuto).
Aspetto le vostre opinioni e spero di poter aggiornare il prima possibile, ma è sempre meglio non promettere niente.
Alla prossima! :33

P.S. Ovviamente ringrazio tutti quelli che mi seguono e tutti quelli che mi hanno recensito. Chi ha messo la storia nelle preferite e nelle seguite. Grazie mille <3

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


“E' occupato questo posto?” chiese JJ alla ragazza che si teneva la testa fra le mani, la coda alta che portava attimi prima, adesso era sciolta ed i capelli le ricadevano in modo scomposto sul viso.
“No, anzi, adesso ne libero anche un altro” rispose, alzandosi e passandosi una mano tra i capelli. I suoi occhi erano diventanti rossi e gonfi, per le troppe lacrime ed il mascara le colava sulle guance ancora bagnate.
“No, aspetta. Vorrei parlarti” disse la bionda, con la sua solita voce delicata, quella stessa voce aveva consolato intere famiglie dopo la perdita di una persona cara ed ora quella voce non le sembrava sufficiente per placare la sofferenza di Aurora.
“Vuole farmi il profilo?” domandò l'agente, alzando un sopracciglio, nonostante la sua voce fosse tremante non mancava di rispetto ad una persona di grado superiore e più grande di lei.
“No. Non mi permetterei mai e poi non serve essere profiler per capire cosa stai passando” rispose Jennifer, sedendosi, Aurora fece lo stesso.
“Innanzitutto, dammi del tu” incominciò la bionda, la ragazza, timidamente, annuì “Non posso neanche immaginare cosa ti stia tornando in mente e cosa hai passato anni fa. Ho letto il fascicolo su i tuoi genitori e mi dispiace per tutto ciò che tu e tuo fratello avete dovuto affrontare, da soli...”
“Non ho mai detto di avere un fratello” la interruppe Aurora, Jennifer la guardò con compassione “Il rapporto della polizia, giusto” aggiunse senza che la federale dicesse niente.

“So che non è stato facile riprendere la vita in mano ed andare avanti, ma tu lo hai fatto ed ora non lasciare che i ricordi ti impediscano di prendere, finalmente, quel mostro che ti ha portato via i tuoi genitori. Torna a lavoro e aiutaci a catturarlo, così da far giustizia ai tuoi e alle altre vittime” finì il monologo JJ, sperando vivamente che sarebbe servito a qualcosa.
Aurora stava per parlare, ma lo squillo del suo cellulare la interruppe. Appena lesse il nome sul display trasalì leggermente.
“Rispondo a questa chiamata e vi raggiungo” disse, sforzandosi di sorridere, JJ sorrise e si alzò per raggiungere la sua squadra “Jennifer...” la chiamò Aurora, la donna si girò “Grazie” disse tra una lacrima ed un sorriso.
***
“Aurora ci raggiunge tra poco” annunciò JJ ai colleghi, ma la sua squadra aveva una faccia tutt'altro che felice, soprattutto quella di Hotch, non che lui fosse molto espressivo, ma era più cupa del solito.
“Spence, che succede?” chiese la bionda al suo amico, che era in piedi accanto a lei
“La ragazza che era stata rapita, Kimberly Jackson, è stata ritrovata senza vita pochi minuti fa” rispose il dottore “Impossibile. Non è nel suo modus operandi tenere le vittime per poche ore” esclamò JJ, anche se nel suo lavoro aveva imparato da tempo che niente era impossibile, che il male aveva vaste forme e non avevano nulla a che fare con i film horror di un cinema, che vedi il sabato sera con una busta di popcorn in una mano ed una bibita nell'altra.
“Già. Avevamo stilato un profilo preliminare, ma questo non coincide con il suo essere sadico”disse Reid “Sempre se è uno solo” aggiunse Rossi, intromettendosi nella conversazione
“Hai ancora dubbi, Dave?” chiese Hotch, alzando lo sguardo dal tabellone dove erano appese le foto delle vittime.
“Ragioniamo, perché mai una persona dovrebbe usare due armi differenti per uccidere? E perché una sola persona dovrebbe cambiare le sue abitudini così radicalmente? In fondo, non erano passate nemmeno 24 ore dal rapimento” rispose Rossi, illustrando la sua supposizione
“Be' non ci resta che rimetterci a lavoro. Reid resta qui e fai un profilo geografico, Morgan parla con il fratello di Aurora, JJ tu cerca di parlare con lei, Dave vai a casa di Kimberly e parla con la sua famiglia. Io andrò dal medico legale” ordinò Hotch e tutti annuirono.
***
Il dottor Spencer Reid, si destreggiava tra asterischi e pennarelli rossi e blu, per segnare le varie zone e tentando di trovare un luogo in comune, ma le vittime non potevano essere più diverse di una forchetta ed un coltello.
“Ancora nulla, ragazzino?” chiese Morgan, mentre giocherellava con una penna, aspettando il fratello dell'agente Bianchi: Roberto Bianchi, avvocato.
“No. Per ora non ho trovato nessun luogo in comune, secondo me non si sono neanche viste per sbaglio in strada!” sbuffò, irritato, Spencer.
“Vedrai che ne verrai a capo. Sei tu il genio!” esclamò Derek, dandogli una pacca sulla spalla
“Agente Morgan” chiamò una poliziotta, entrando nella stanza “Sì?” chiese l'uomo di colore “E' arrivato il signor Bianchi” lo informò la donna “Grazie” disse Morgan e con passo svelto si avviò verso l'uscita.
***
Morgan si fece guidare dall'agente verso la stanza dove avrebbe parlato con il signor Bianchi, ma trovò Aurora dentro. Si accigliò, stava per entrare e chiederle che cosa ci facesse lì, ma la mano di JJ lo fermò.
“Lasciali parlare. Aurora gli sta spiegando che cosa abbiamo scoperto, evidentemente non ha voluto dirglielo per telefono e Roberto vuole delle spiegazione da lei.” disse la bionda vicino al collega “Quelle spiegazioni gliele avrei date io” replicò, corrugando la fronte “Ma lei è la sorella” esclamò JJ “Hotch ci ha dato un ordine” le rammentò Derek, incrociando le braccia al petto “Lo so, ma loro sono fratelli e insieme magari possono affrontare meglio i brutti ricordi” disse Jennifer, sperando di convincerlo, Morgan sospirò “D'accordo. Stiamo a vedere” acconsentì, mettendosi a braccia conserte dietro il pannello trasparente.
***
“Roberto mi dispiace che l'anniversario della morte dei nostri genitori lo passi in una centrale di polizia” disse Aurora, stringendo le mani di suo fratello.
“Tu lo passi sempre qui dentro, ultimamente.” disse Roberto, in tono freddo, non gli era mai andato giù che la sorella avesse deciso di diventare una poliziotta, quel lavoro era fin troppo pericoloso e loro avevano già perso molto.
“Ti sembra questo il momento per discutere del mio lavoro? Ti sto dicendo che forse prenderemo l'assassino dei nostri genitori, dopo anni.” replicò Aurora, l'ultima cosa di cui aveva bisogno quel giorno era discutere con suo fratello, la sua unica famiglia.
“E tu credi davvero che l'FBI possa prenderlo? Dopo che la polizia lo ha cercato per mesi interi?” domandò, retoricamente, Roberto.
“Non ti sto parlando di semplici agenti. E' la migliore squadra dell'FBI!” esclamò la ragazza, passandosi una mano tra i capelli, l'elastico che portava al polso brillò, insieme al bracciale d'argento, sotto la luce della piccola lampadina, appesa in modo precario.
“Io so solo che anche se quell'essere finirà in prigione, non mi sentirò meglio. Perché lui sarà vivo, i nostri genitori no.” disse Roberto ed Aurora si ritrovò d'accordo con la sua affermazione.
I loro genitori erano andati via e nessuno li avrebbe più riportati indietro.
Si dice che quando sogni qualcuno a te caro che è morto, accetti la sua morte.
Be' né Aurora e né Roberto avevano sognato i loro genitori ed erano passati 10 anni da quel tragico giorno.
La mano di Aurora si strinse di più in quella di suo fratello maggiore.
In quel momento dovevano farsi forza a vicenda, perché avrebbero rivissuto il momento peggiore della propria vita.


-Rieccomi con un nuovo capitolo, anche se l'altro ha avuto solo 2 recensioni çWç
Spero che questo ne abbia di più! ;)
Ringrazio tutti quelli che mi seguono e chiunque abbia inserito questa storia tra le preferite/seguite! <3
Alla prossima! :33

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


“10! Ma certo! Il numero 10!” esclamò Reid, che casualmente aveva ascoltato la conversazione tra Morgan e JJ “Ragazzino, non abbiamo dubbi che tu meriti un dieci per la tua mente, ma potresti spiegarci il perché della tua esclamazione anche a noi comuni mortali?” chiese Morgan, che come JJ non capiva perché il dottore fosse attratto tanto da quel numero.
“Pensateci bene. Quando sono stati uccisi i coniugi Bianchi? 10 anni fa. E quanto avevano di differenza d'età? 10 anni. E quanta differenza d'età c'è tra le prime due vittime, cioè Alexis Thomposon e Andrew Miller? 10 anni. E quanta differenza d'età c'è tra la seconda vittima e la terza, cioè tra Andrew Miller e Kimberly Jackson? 10 anni. Il nostro SI è ossessionato dal numero 10.” spiegò Spencer, cerchiando l'età delle vittime sulla lavagna, piena di segni di vari colori che solo lui poteva capire.
“Già, ma questo dove ci porta?” chiese JJ “Chiamo Garcia, le dico di cercare qualsiasi cosa importante che abbia nella data il numero dieci. E' pur sempre un inizio” disse Morgan, allontanandosi.
“E' l'unica collegamento che sono riuscito a trovare” mugolò Spencer “Tranquillo è che questo SI è più esperto di quello che sembra. Siamo ad un punto morto” disse JJ, gettando un fascicolo sul tavolo, sospirando “Hai detto questo SI, quindi anche tu pensi che sia solo uno?” domandò Reid “Onestamente? Sì. Insomma non possono essere in due, nessuna coppia è così tanto organizzata.” rispose la collega “Lo penso anch'io, ma Rossi non è di questa veduta” annuì il ragazzo “Cosa importa? Tanto comunque siamo ad un punto morto finché non commette un errore” replicò JJ “Ed il pezzo di stoffa trovato da Aurora?” domandò l'altro “Apparteneva ad una delle vittime.” sopirò, per la seconda volta, la bionda.
“Roberto vi ha detto qualcosa di interessante?” chiese Spencer, dopo minuti di silenzio, in cui lui fissava la lavagna e JJ aveva ripreso in mano lo stesso fascicolo, che aveva buttato via.
“Diciamo che non sembra intenzionato a collaborare, ma sta ancora parlando con Aurora. Dice che se la polizia anni fa non lo ha trovato, perché dovremmo farlo noi?” rispose Jennifer, passandosi una mano tra i capelli “Be', non ha tutti i torti. Dopo tutto, anche noi siamo bloccati.” sussurrò Reid , ma l'amica riuscì a sentirlo, però stranamente non trovò nulla per cui ribattere. Forse avevano ragione, questo caso stava diventando più complicato di quanto pensassero.
***
L'agente David Rossi era arrivato a destinazione. La casa dei Jackson non era molto grande vista dall'esterno, ma l'ampio giardino compensava la differenza tra le altre case del quartiere.
Arrivato alla porta, bussò, pensando che non poteva dire se non un semplice mi dispiace, una frase fatta, che aveva ripetuto almeno mille volte. Come fai a spiegare a dei genitori che la loro figlia, di soli 26 anni, è morta? Anche se lo hai affrontato molte volte, nel tuo lavoro, ma come fai a dirglielo? A volte voleva essere come Hotch, quell'espressione impassibile che nascondeva tutto, lui si sforzava di averla, ma non ci riusciva, almeno non come lui.
Una signora sulla sessantina aprì la porta, non era molto alta e portava i capelli raccolti, erano biondi, come quelli della foto di Kimberly, aveva gli occhi verdi, mentre quella della ragazza era azzurri.
“Posso esserle utile?” chiese, si vedeva che non dormiva da giorni, aveva gli occhi scavati e rossi “Sono l'agente speciale David Rossi, dell'FBI” l'espressione della signora passò da un sorriso sforzato di cortesia ad una piena di panico.
“Fff-Bbb-Iii” balbettò, tramante “La prego, mi dica che mia figlia sta bene e che l'avete ritrovata sana e salva” disse con una voce straziante e rotta dal pianto.
“Signora, mi dispiace tanto, ma sua figlia è...” “No!” urlò la donna, prima di lasciarsi andare ad un pianto disperato, Rossi la sorresse per le spalle, poiché le gambe le cedettero all'improvisso.
“Margaret, che succede?” chiese un uomo, anch'esso sulla sessantina, robusto e dalle spalle larghe, prese la donna fra le braccia, baciandole la tempia.
“Lei chi è? Che ha fatto a mia moglie?” ringhiò l'uomo verso Dave “Noah, lui non ha fatto niente.” disse Margaret, dopo essersi calmata “Kimberly, lei è...” aggiunse, ricominciando a tremare. Adesso anche l'espressione dell'uomo era ferita e disperata, abbracciò la moglie, stringendola fra le sue forti braccia.
“Signori Jackson, capisco la vostra situazione” riprese a parlare Rossi, che era rimasto in rigoroso silenzio, aspettando che la situazione si calmasse almeno un po' “Ma dovrei fargli alcune domande, che possono essere essenziali per prendere chi ha fatto del male a vostra figlia.” aggiunse, tentando di essere inespressivo.
“Con tutto il rispetto, ma non crede che abbiamo bisogno di tempo per realizzare?” domandò Noah, retorico e leggermente infastidito “Ne sono consapevole, ma più tempo passa e più è probabile che faccia del male ad un'altra persona” rispose, questa era la parte del suo lavoro che odiava di più, doveva essere impassibile e far passare il dolore del familiari in secondo piano, perché al primo c'era quello di catturare quel mostro.
“Non può concederci neanche un po' di tempo? Sa, la nostra Kimberly aveva lottato tanto contro il cancro ed eravamo fermamente convinti che niente e nessuno ce l'avrebbe portata via.” questa volta fu Margaret a parlare, tra i singhiozzi.
“Ha detto che era malata?” domandò Rossi “Sì, questo come può esservi utile?” replicò il signor Jackson “Può esserci molto utile. Facciamo così, vi aspetto tra due ore alla centrale di polizia, chiedete dell'agente David Rossi” rispose Dave, porgendoli il suo biglietto da visita.
“D'accordo.” annuì l'uomo, prendendolo “Mi dispiace veramente per ciò che vi è successo. E, credetemi, non è una frase che ho detto tanto per dire.” disse l'agente andandosene. I signori Jackson si limitarono ad annuire, rimanendo immobile sulla soglia di casa, abbracciati per darsi forza a vicenda.

 
-Salve a tutti! :)
Lo so, in questo capitolo non succede niente di eclatante, ma per non far rimare ancora più tempo ferma la storia ho preferito pubblicare.
Spero che vi piaccia e che non vi abbia deluso *incrocia le dita*
Mi farebbe piacere sapere le vostre impressioni <3
Alla prossima! :33

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


“Penelope, mi controlla tutte le cartelle cliniche delle vittime?” esclamò Rossi, mentre andava verso l'auto aveva già composto il numera dell'informatica “Più veloce di un bambino che mangia un gelato!” rispose allegramente Garcia, David si ritrovò a sorride alla sua esclamazione, era l'unica cosa che rimaneva ancora allegra in quella giornata e lo sarebbe rimasta, perché lei vedeva gli orrori solo tramite i suoi monitor, loro...lo vivevano.
***
“Come va?” chiese il ragazzino vicino all'agente Bianchi, la osservava da quasi mezz'ora e, finalmente, si era deciso a parlarle.
Hai mai pensato di andare via e non tornare mai più? Scappare e far perdere ogni tua traccia, per andare in un posto lontano e ricominciare a vivere, vivere una vita nuova, solo tua, vivere davvero. Ci hai mai pensato?” rispose così Aurora, quella ragazza tanto timida quanto fragile, ma che ora voleva solo scappare da tutto e tutti e far finta che non fosse successo niente, che nessun assassino era tornato per far del male ad altre persone, o che almeno quello non fosse la stessa persona che, anni fa, era stata così malata da uccidere i suoi genitori.
“Pirandello” sussurrò il dottore “Esatto” disse, a sua volta, la ragazza “E' il mio autore italiano preferito. Aveva capito molto della società” aggiunse, stringendo tra le mani il caffè orrendo della centrale.
Pirandello si occupò di questioni teoriche fin da giovane nonostante fosse convinto che qualunque filosofia sarebbe fallita di fronte all'insondabilità dell'uomo quando in lui prevale la "bestia", l'aspetto animalesco ed irrazionale.
” Reid, non riuscì a trattenersi da fare quell'affermazione.
“Piace anche a lei?” chiese l'agente, ricomponendosi “Più o meno sì” rispose Spencer e si rialzò per fissare la lavagna, sperando di ricavarci di più. Il silenzio tornò a popolare quella piccola stanza.
“Ho qualcosa!” esclamò Rossi, entrando e trovando i due agenti immersi nei propri pensieri.
“Cosa?” chiese Reid, voltandosi verso il collega “Tutte le vittime, avevano il cancro, tranne il signor Bianchi, lui forse era visto dall'SI come un intralcio da eliminare.” Spencer si affrettò a scriverlo sulla lavagna, mentre ad Aurora scivolò il bicchiere dalla mani.
“Impossibile! Mia madre non ha mia avuto il cancro!” quasi urlò la ragazza “Be' dalle cartelle cliniche risulta il contrario.” disse Rossi, andandole accanto per calmarla.
Aurora scottò la mano dell'agente dalla sua spalla e corse via dalla stanza. Aveva solo un pensiero: andare da suo fratello.
La sua ricerca terminò in fretta, dato che suo fratello si trovava ancora con l'agente Morgan. Senza pensarci due volte entrò, senza bussare.
Derek quasi sobbalzò dalla sedia, solo Hotch entrava così quando qualcosa non gli andava bene ed aveva paura di aver sbagliato qualcosa, ma si tranquillizzò subito vedendo la figura minuta dell'agente Bianchi. Ora, al posto del timore c'era solo confusione.
“Tu lo sapevi!” gridò Aurora verso il fratello,non aveva neanche degnato di uno sguardo l'agente dell'FBI che la fissava curioso. Morgan la osservò, i suoi occhi erano lucidi, anticipavano un pianto e nella sua espressione c'era rabbia, dolore e nervosismo, quest'ultimo probabilmente era generato dallo stress per il caso.
“A cosa ti riferisci?” chiese Roberto, confuso, che sua sorella avesse scoperto la verità? Quella verità che lui non le aveva mai confessato per non farla soffrire ancor di più?
“Alla malattia di nostra madre. Lei, lei aveva...” la ragazza non riuscì a terminare la frase, iniziò a tremare, non sentiva più le gambe e quasi non cadde a terra, grazie alla prontezza di Derek che la prese da dietro e la fece sedere di fronte a Roberto, dove prima era seduto lui.
“Il cancro, aveva il cancro” terminò per lei la frase l'avvocato, chinando il capo, colpevole di non averle detto la verità, quel segreto che i genitori volevano nascondere anche a lui.
“Perché non me lo hai detto? Perché mi hai mentito? Tu! Tu che mi hai sempre detto che la sincerità è tutto nella vita, che mi hai sempre spinto a dire la verità, anche se crudele. Perché, Roberto?” Aurora pronunciò queste parola con una spina nel cuore, suo fratello l'aveva tradita, per anni non le aveva mai detto la verità. Lui, la cosa che le era rimasta più cara al mondo, tutta la sua famiglia. Come avrebbe più potuto credergli? Quanti altri segreti si era tenuto per sé?
“Perdonami, piccola...” iniziò Roberto, usando il suo sopranome che la faceva sempre calmare, ma questa volta non funzionò “Non volevo darti altre sofferenze, credevo fosse inutili dirti della malattia di mamma quando già non c'era più. Perdonami, se puoi.” finì il fratello, baciandole la mano che lei teneva sul tavolo.
Morgan uscì dalla stanza in silenzio, era meglio lasciarli soli.
***
Uscendo incontrò Reid “Ti stavo per venire a chiamare Hotch ci vuole, siamo pronti per un profilo.” disse e Derek si limitò a seguirlo.
Tutta la centrale era piena ed anche Aurora era uscita dalla stanza senza degnare di uno sguardo il fratello “Devo andare. Il lavoro mi chiama” con questa banale frase lo aveva lasciato solo.
“Il nostro SI è un uomo, bianco, dai 35 ai 40 anni” iniziò JJ, i capelli biondi ora erano legati da un elastico che si nascondeva dietro la nuca.
“Prende di mira solo uomini o donne che avevano o hanno avuto il cancro nella loro vita” continuò Rossi e il suo sguardo si fermò su Aurora, quest’ultima lo abbassò, vergognandosi di essersene andata così bruscamente, in fondo lui voleva solo calmarla.
“E’ come se si sentisse in dovere di non farle soffrire nella vita terrena. E chiunque prova ad ostacolarlo fa la stessa fine” prese  Morgan la parola stavolta, posto alla destra di Rossi, con la solita maglia nera.
“Il numero 10 in qualche modo è legato alla sua vita. 10 è la differenza d’età tra le vittime e 10 sono stati gli anni di fermo per lui” disse Reid ed anche i suoi occhi guardavano nella direzione di Aurora, quella ragazza tanto timida quanto determinata ed intelligente, troppo per fare dei colpi di testa senza pentirsene.
“E’ estremamente pericoloso, non sappiamo come scelga le sue vittime, probabilmente si lega a loro tramite associazioni per fondi sulla ricerca della cura per il cancro. Si è allenato molto sulle prime due vittime, per poter fare in seguito tagli sempre più definiti.” Fu Hotch a parlare, come sempre serio e deciso, Aurora per la prima volta sentiva la sua voce seria che non lasciava trasparire alcuna emozione.
“Prestate molta attenzione e controllate i membri delle varie associazioni con un passato difficile o con una perdita importante per una malattia terminale: un amico, una moglie, un genitore o semplicemente un parente.” Riprese parola JJ, con una voce determinata ma dolce allo stesso tempo, Aurora le era particolarmente grata per quello che aveva fatto per lei. Forse aveva trovato una sorta di nuova amica, chissà.
“Grazie per la vostra attenzione. Potete tornare a lavoro” terminò Hotch ed il silenzio nella centrale si ruppe tra le chiacchiere degli agenti ed il rumore delle sedie che venivano spostate.


-Chiedo umilmente perdono per il ritardo e spero che il capitolo vi piaccia, l'ho scritto di fretta e, davvero, spero che non vi abbia deluso.
Come sempre, ringrazio tutti quelli che seguono ancora questa storia! <3

Alla prossima! :33 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Roberto tornò, dopo ore passate nella centrale di polizia, finalmente a casa. Pronto ad accoglierlo c’era sua moglie, la donna che lo conosceva meglio di tutti, con uno splendido sorriso ad incorniciarle il volto, era seduta sul divano insieme ad una bambina di circa sei anni, con dei bei riccioli castani che le cadevano sulla schiena.
“Papà!” esclamò la piccola, entusiasta del ritorno del padre, corse tra le sue braccia e Roberto la prese in braccio “Ciao piccola, come è andata oggi?” le chiese, era la solita domanda che poneva sempre appena tornato a casa “Meravigliosamente! Ho detto tutta la tabellina del 3 senza sbagliare neanche una volta!” esclamò la figlia, orgogliosa di se stessa “Brava! Sono fiero di te!” le disse il padre e le diede un dolce bacio sulla guancia, mettendola di nuovo a terra. La bambina corse per le scale, andando in camera.
“E a te? Com’è andata la giornata?” chiese la moglie, una volta soli, Roberto si era seduto accanto a lei, allentandosi la cravatta “Aurora sa la verità. Sa che mamma era malata” confessò, scoraggiato “Dalla tua faccia deduco che non l’ha presa tanto bene” disse la moglie, prendendogli la mano “Prima o poi l’avrebbe scoperto” aggiunse, dandogli un bacio sulla guancia.
“Non avrei voluto litigare con lei, non di nuovo. Sembra che l’uomo che ha ucciso i nostri genitori sia tornato ad uccidere, stanno lavorando con l’FBI. Ho paura che faccia qualcosa di cui si potrebbe pentire” si sfogò l’avvocato “Conosci tua sorella. Non è il tipo da fare colpi di testa” disse la moglie per consolarlo “Tu non hai visto lo sguardo che mi ha lanciato” replicò lui “Non avrei mai voluto ferirla” aggiunse, alzandosi per togliersi la giacca “E’ normale che sia arrabbiata. Tesoro, è un adulta ormai, smettila di preoccuparti per ogni cosa che fa” disse la donna, sapeva che il marito si era sempre preso cura di Aurora, ma ormai non era più la ragazzina di dieci anni prima.
Prima che Roberto potesse replicare, qualcuno bussò alla porta.
“Aurora!” esclamò la moglie, era andata lei ad aprire, lasciando il marito libero di mettersi le ciabatte “Ciao, Kate” salutò l’altra “Scusa per l’orario, ma devo chiedere una cosa a mio fratello” sorrise innocentemente “Oh, tranquilla, è tornato da poco. Entra” disse Kate, lasciandole libero spazio per entrare nella casa.
Aurora, appena incontrò lo sguardo del fratello, si bloccò, ancora non poteva credere che lui le avesse mentito per più di dieci anni.
“Ciao, di nuovo” disse Roberto, tentando di rompere il ghiaccio “Ciao” rispose la sorella, freddamente. “Scusate, io vado di là” disse Kate, prima di congedarsi, lasciando da soli i due fratelli, sapeva quando doveva farsi da parte.
“Vogliono vedere i diari di papà, io non ne ho molti e so che tu ne hai gran parte” disse Aurora, andando subito al sodo. Il padre, ogni volta che aveva un caso o qualcosa lo innervosiva, aveva l’abitudine di scrivere piccoli diari con dei piccoli frammenti della sua vita, alla sua morte Aurora ne prese pochi, giusto per conservare il ricordo e Roberto custodì i restanti, perché probabilmente gli sarebbero serviti per alcuni casi complicati.
“Sono in camera mia, vado a prenderli” disse, prima di avviarsi alle scale, lasciò la sorella da sola, nel salone.
“Come siamo arrivati a questo?” pensò Aurora, riflettendo su tutto quello che era successo in quella giornata che sembrava interminabile.
Si sedette sul divano, quel divano dove avevano scherzato sempre, quel divano dove avevano fatto pace dopo quel giorno in cui Aurora gli disse che aveva deciso di diventare un agente di polizia.
“Zia!!!” urlò una vocina squillante, scendendo di corsa le scale, precipitandosi sul divano “Ehi” salutò Aurora, abbracciandola “Ecco la mia piccola Ellie Aury!” aggiunse, sorridendo, Roberto e Kate avevano deciso di darle il nome della madre di lui, però mettendole come secondo nome Aurora, la sorella, quando lo seppe, non fece altro che piangere dalla gioia.
“Piccola, perché non vai dalla mamma?” domandò il padre, che nel frattempo era sceso con lo scatola pieno di diari “Io e la zia dobbiamo parlare” aggiunse “Okay, ma non litigate come sempre!” disse la piccola, andando via. Aurora rise a quell’affermazione.
“Si vede che è tua figlia!” esclamò la sorella, alludendo al fatto che con la sua innocenza riusciva a far riflettere anche le persone più mature, Roberto si sedette scuotendo la testa facendo un mezzo sorrisetto.
“Scusami, ma devo tornare in centrale. Poco prima mi ha inviato un messaggio un agente e mi aspettano. Non sappiamo quando colpirà di nuovo e prima lo prendiamo, meglio è” disse Aurora, dispiaciuta, ma anche sollevata, di rimandare la discussione.
“Be’ d’accordo” disse Roberto, alzandosi per accompagnarla alla porta “Aurora!” la chiamò, prima di vederla sparire nel vialetto “Non fare stupidaggini” disse, con aria preoccupata “Sai avrei tanta voglia di conficcargli un proiettile in testa a quella sotto specie di essere umano, ma non sono così stupida da farlo!” disse, sarcasticamente, prima di infilarsi nella sua auto, per poi lasciare Roberto sulla soglia della porta, allibito dalla sua risposta. Be’, su una cosa aveva ragione, anche lui avrebbe voluto uccidere quell’essere.
***
Aurora, parcheggiata l’auto, si avviò verso l’entrata della centrale di polizia con in mano lo scatolo che Roberto le aveva dato.
“Ben arrivata!” esclamò il suo capo, andandole vicino per aiutarla “Grazie” disse Aurora, grata di quell’aiuto, suo padre aveva scritto molti diari e sperava vivamente che qualcuno potesse tornare utile.
“Credevo fossero di meno!” esclamò Derek, alla vista dello scatolo stracolmo “Ha sottovalutato mio padre agente Morgan” replicò Aurora, non riuscendo a dargli del tu, come Derek le aveva detto “Be’ mio caro Reid credo che tu abbia un bel po’ di lavoro da fare” aggiunse, beffandosi dell’amico.
“Perché solo lui?” chiese Aurora, confusa “Perché solo lui riesce a leggere fino a 20.000 parole al minuto” rispose Rossi ed Aurora non riuscì a bloccare lo stupore sul suo volto ed un po’ di delusione, avrebbe voluto rileggere volentieri le parole di suo padre, l’unico modo per assaporare a pieno i ricordi di lui, seduto alla scrivania, intento a scrivere su tutto quello che lo stressava.
“Puoi sempre darmi una mano” disse Spencer, vedendola afflitta, Aurora sorrise a quella richiesta, seppur inutile, d’aiuto e si ritrovò più che entusiasta ad aiutare il dottor Spencer Reid.


-Vi chiedo umilmente perdono çWç
E perdonate anche se non ci sono novità sul caso ma dovevo farvi entrare, completamente, nella vita di Aurora e Roberto! :)
Scusate gli errori e, seppur, come sempre, in ritardo...Buon 2015! <3
Alla prossima! :33

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Spencer ed Aurora si erano divisi i diari: lui aveva preso quelli lavorativi, che erano molto di più; lei quelli personali, alcuni li sapeva a memoria, altri li aveva custoditi il fratello e leggerli, dopo dieci anni dalla morte del padre, le procurava una certa malinconia.
A volte buttava uno sguardo verso il dottore e notava che, mentre lei era al secondo o qualcosa del genere, lui aveva già quasi finito. Era davvero un mostro nella lettura.
Mentre sfogliava il terzo diario, trovò dentro una busta indirizzata a lei. Non era uno dei diari che custodiva lei, perché altrimenti l’avrebbe notata. Senza perder altro tempo la aprì, l’aveva scritta suo padre, avrebbe riconosciuto da lontano la sua scrittura, a tratti indecifrabile.
“Perdonami, amore mio.
Perdonami se il mio essere vigliacco non mi ha permesso di dirti la verità su tua madre. Perdonami se non ho il coraggio di dirtelo guardandoti negli occhi, ma non potrei mai sopportare il tuo sguardo pieno di dolore ed odio, quest’ultimo sicuramente indirizzato a me. Non potrei sopportare di vedere i tuoi dolci occhi neri e misteriosi riempirsi di lacrime, perché crollerei anch’io.
Sì, proprio io, non sono forte come credi, sai? Mi hai sempre dipinto come la tua ancora di salvezza ed ora mi vergogno di me stesso, perché non riesco ad esserlo. Sapevo già da tempo che non avrei potuto proteggerti sempre, ma una cosa è esserne consapevole, un’altra è affrontare la realtà.
Non posso proteggere né te né tuo fratello dal dolore che dovrete affrontare. Vorrei tanto, piccola, vorrei prendere tutto il vostro dolore e la vostra rabbia di spaccare il mondo in due e portarmela sulle mie spalle. Perché le mie spalle possono reggere tutto questo, le vostre no, sono ancora troppo piccole e fragili per sopportare un dolore del genere.
Spero che un giorno potrai perdonarmi per non avertelo detto prima. Se devi arrabbiarti con qualcuno, fallo con me. Non prendertela con tua madre o tuo fratello, perché sono io che non ho voluto parlartene prima, perché non volevo affrontare la realtà che mi si era presentata davanti. Perché ancora devo accettare l’idea di perdere tua madre per sempre a causa del cancro. Lei è la mia metà e senza sono solo un mezzo uomo che non vale niente. Spero che quando accadrà ti avrò accanto, perché non posso perdere, allo stesso tempo, le donne più importanti della mia vita.

Perdonami, piccola.  Ti voglio bene.
Papà.”

“Ti voglio bene. Papà.” sussurrò Aurora, rileggendo le ultime righe di quella straziante lettera. Sentì gli occhi inumidirsi e, prima di scoppiare a piangere, ricacciò indietro le lacrime. Aveva pianto fin troppo negli ultimi anni, non ne aveva più la forza. Ora era un agente della polizia, non poteva piangere per ogni minima cosa. Lei doveva essere forte, impassibile ad ogni emozione.
Ma come si fa ad essere impassibili davanti alla morte?
Suo padre, in quella lettera, le aveva chiesto di non arrabbiarsi con suo fratello, una volta scoperta la verità, questa richiesta era ancora valida? Eppure, dentro di sé, sentiva di non poter ancora farlo. Non poteva perdonare il fratello per averle mentito, avrebbe voluto far ritornare tutto come prima, prima ancora del giorno in cui gli aveva detto che voleva entrare nella polizia. Perché fu da quel giorno che il loro rapporto iniziò a sgretolarsi. Aveva sempre pensato al loro rapporto come ad un fortezza imbattibile…ma si sa anche i muri più forti, prima o poi, iniziano a cadere.
***
“Novità?” la voce autoritaria di Hotch scrollò Aurora dai suoi pensieri e, incrociato lo sguardo di Reid, si alzarono contemporaneamente.
“In tutti i diari c’è solo un nome ricorrente: Danny. Ma è anche l’unico senza cognome, quindi suppongo che erano buoni amici.” comunicò Reid al suo capo, quest’ultimo annuì e rivolse lo sguardo verso Aurora. Per la prima volta, da quando erano arrivati, i loro occhi si incrociarono e l’agente Bianchi rabbrividì sentendosi osservata dagli occhi severi di Aaron Hotchner.
“Lo conosco, Danny. Era il nostro vicino di casa, grande amico di mio padre, infatti ne parla anche nei diari personali.” disse, distogliendo subito lo sguardo, era impossibile sostenerlo.
“Questo Danny ha anche un cognome?” chiese il detective Brown alla sua sottoposta “Sì, signore. Young. Danny Young. Da quel che so abita ancora lì” rispose la ragazza, sollevata dal sentire la voce del suo capo.
“Bene. Vorrà dire che Morgan e JJ ci andranno a fare una bella chiacchierata” disse Hotch
“Scusi se mi intrometto, signore. Ma io conosco Danny, ormai è come un secondo padre. E’ stato accanto a me ed a mio fratello alla morte dei nostri genitori e lo è tutt’ora. Vorrei andare io insieme all’agente Jareau , se per lei va bene, così abbiamo più possibilità che si apra.”
Non sapeva come e dove avesse preso il coraggio di contraddire uno di grado superiore e la paura di aver commesso un errore la paralizzò, in attesa di una risposta.
Ad Hotch non era sfuggito come, in poco tempo, Aurora e JJ avessero legato. Così che Aurora dava del tu solo a lei, ma non si stupì più di tanto. Sapeva bene quanto Jennifer valesse come profiler e, soprattutto, come mamma.
“D’accordo. Però non farti coinvolgere troppo, mi raccomando.” acconsentì, dandole un avvertimento. L’ultima cosa che voleva era un ulteriore coinvolgimento personale.
Certo, aveva già pensato di sollevarla dal caso non appena scoperto che la morte dei suoi genitori era collegata agli omicidi, ma il detective Brown aveva scartato l’idea e, dopotutto, l’ultima parola spettava a lui.
***
JJ ed Aurora erano uscite da poco dalla centrale e, salite in macchina, la giovane aveva dato tutte le indicazioni necessarie per poter arrivare a destinazione.
“Non è facile per te, tornare in quel quartiere, vero?” chiese la bionda, cercando di rompere il silenzio che si era creato.
“Ci sono tornata altre volte, dopo quel giorno. Ogni volta che ho bisogno di stare da sola o, sembrerà sciocco, quando ho bisogno di parlare con i miei genitori vado nella mia vecchia casa, invece di andare al cimitero. E’ come se là li sentissi più vicini…il loro ricordo è più, come dire, vivo.” rispose Aurora, fissando per tutto il tempo un punto indefinito davanti a sé.
JJ sorrise, aveva conquistato la fiducia della ragazza e, anche se non lo dava a vedere, lei aveva il disperato bisogno di calore materno.
Arrivarono a destinazione dopo pochi minuti e, parcheggiata l’auto, si avviarono verso la residenza del signor Young.
Un tappeto con su scritto << Welcome >> attirò l’attenzione di JJ, era sporco e malridotto, strappato in alcuni lati dal forte vento dei giorni precedenti.
“Danny, sono io. Aurora, apri, per favore.” disse l’agente, dopo aver bussato per più di tre volte, pensando che l’uomo non l’avesse riconosciuta.
Ancora nessuna risposta.
JJ afferrò l’arma che portava nella fondina ed Aurora la seguì. Con le mani mostrò un tre, poi un due ed infine un uno; subito dopo diede un calcio alla porta e questa si aprì.


-Eccomi! Ringrazio tutti quelli che continuano a seguirmi e spero che il capitolo vi piaccia.
Alla prossima! :33

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Aurora rimase immobile, aveva ancora la pistola stretta tra le mani puntata davanti a sé. Invece, JJ l'aveva già riposta nella fondina, d'altronde aveva il sangue, in un certo senso, più freddo.
Si avvicinò al corpo che giaceva a terra inerme, chiunque avrebbe potuto capire che fosse, ormai, cadavere. Era completamente bianco ed aveva le mani incrociate, in segno di preghiera, sul petto.
“E' morto” costatò JJ e, quella scintilla di speranza si spense velocemente in entrambe.
L'agente Bianchi ripose lentamente l'arma nella fondina. Senza riflettere troppo sulle sue azioni, corse verso il cadavere ed iniziò un'inutile massaggio cardiaco. Le parole di JJ le erano lontane, non aveva ancora compreso completamente il significato di quelle due parole << E' morto. >>

Non poteva essere vero, non poteva aver perso anche lui, la vita non poteva essere così tanto crudele verso di lei. Non poteva permettere di perdere anche Danny, il suo secondo padre, non poteva accadere, perché altrimenti sarebbe crollata davvero, senza più essere in grado di rialzarsi.
“Aurora...è morto. Non puoi fare niente” le sussurrò JJ, anche queste parole, come le precedenti, sembravano così lontane e allo stesso tempo così crudeli.
<< Non puoi fare niente >>. No, lei doveva fare qualcosa, qualsiasi cosa pur di non accettare la sua morte. Non poteva essere, per l'ennesima volta, impotente davanti a tanto dolore. Non avrebbe accettato l'idea di non fare nulla, doveva pur esserci qualcosa da fare. Doveva assolutamente esserci.
JJ la prese delicatamente per il braccio, strappandole il corpo senza vita dalle mani. La portò fuori dall'abitazione, nel giardino rovinato, chissà da quanti giorni non lo curava, chissà da quanti giorni era morto.
“No! Ti prego dimmi che non è vero. Dimmi che è solo un incubo. Un terribile incubo e tra poco mi sveglierò nel mio letto caldo, al sicuro da tutta la feccia dell'umanità. Protetta da qualsiasi mostro che ha il coraggio di farsi chiamare uomo! Ti supplico.” una volta fuori, Aurora diede sfogo a tutto ciò che aveva dentro di sé, sapeva che sarebbe arrivato il giorno in cui sarebbe scoppiata.
Jennifer la guardò amorevolmente, in fondo poteva essere paragonata ad una bambina che chiedeva alla mamma di proteggerla dai mostri nell'armadio, la notte. Le venne in mente Herry, quando aveva paura di addormentarsi da solo e costringeva lei o il marito a stare con lui finché non avrebbe viaggiato nel mondo dei sogni. Quel mondo in cui tutto è semplice e la cattiveria è solo una realtà lontana, che non avrebbe mai potuto spezzare la magia del momento.
L'abbracciò, senza pronunciare alcuna sillaba. Semplicemente, la strinse a sé, pensando che avrebbe voluto tanto proteggerla dai mostri dell'umanità, solo che loro non erano i mostri che c'erano nell'armadio o sotto al letto, quando erano piccole. Loro erano veri e si mascheravano come essere umani. Fingendosi tali.
***
Quando anche gli altri arrivarono, chiamati da JJ, le due agenti erano ancora strette l'una all'altra.
“Come state?” chiese Hotch, sapeva quanto ribrezzo potesse causare una visione del genere e, come sospettava, Aurora non era di certo il ritratto della felicità.
“Tutto bene” rispose JJ, staccandosi con gentilezza da Aurora. Quest'ultima, contro voglia, fece lo stesso ed incrociò, per la seconda volta in quella giornata, lo sguardo di Hotch, stavolta però era talmente invasa dal dolore e dalla rabbia che, inaspettatamente, riuscì a sostenerlo.
“Sarà un'altra lunga giornata. Comunque sto bene, grazie. Dovrei chiamare mio fratello, dirgli del signor Young.” rispose Aurora, facendo attenzione a non chiamare la vittima per nome.
“D'accordo. Fallo venire alla centrale, magari ci dirà qualcosa sulla vittima” disse Hotch e, detto questo, entrò nell'abitazione.
L'agente Bianchi ci mise un po' per costatare che Reid non c'era, probabilmente il capo gli aveva assegnato un altro compito che solo lui poteva svolgere.
Non fu facile parlare con Roberto, anche perché tutto quello che era successo in quei giorni adesso era ammassato dentro di lei: la scoperta della malattia della madre, la litigata con il fratello, la lettera scritta dal padre, la morte di Danny. Tutte lame che, senza pietà, si infilzavano dentro di lei sempre più in profondità.
Con non poca difficoltà ci riuscì e Roberto si mostrò particolarmente propenso ad andare di nuovo in centrale. Avrebbe parlato di sicuro con l'agente Morgan, ma il solo pensiero di vederlo e, poterlo abbracciare, destò in Aurora un senso di sollievo, anche se ancora non l'aveva perdonato. Avrebbero dovuto dirsi molte cose e Roberto avrebbe dovuto darle delle spiegazioni anche sulla lettera, ma l'unica cosa che le importava era vederlo ed abbracciarlo per sentire il senso di protezione che solo lui sapeva darle, come dieci anni prima.
***
Tornati in centrale vennero accolti da un Reid sorridente come mai visto prima.
“Credo proprio che abbia scoperto qualcosa” disse JJ verso Aurora, dopo la telefonata non l'aveva lasciata mai sola.
“Mentre eravate via, ho ripetuto il profilo geografico aggiungendo l'ultima vittima...” cominciò Reid, indicando punti imprecisi sulla lavagna.
“Non sappiamo ancora con certezza se la sua morte è collegata allo stesso SI” lo interruppe Hotch, ma dallo sguardo di Reid capì che c'era qualcosa di cui lui non era ancora a conoscenza.
“Veramente è collegata, perché degli agenti mi hanno portato un foglio dove c'era scritto << Sapeva fin troppo >>, col sangue.” disse Spencer, anticipando la domanda del suo capo.
JJ ed Aurora si guardarono, nessuna delle due lo aveva notato, forse erano troppo prese dai loro pensieri per vedere se ci fosse qualcosa fuori posto.
“Quindi?” lo incalzò Morgan, stava cercando una logica nel discorso del collega e la pazienza non era di certo il suo forte.
“Quindi il sangue non è del signor Young, ma della giovane Jackson.” rispose il genio, indicando il biglietto imbustato ed appeso alla lavagna.
Reid notando lo stupore sul volto dei suoi colleghi, continuò a parlare soffermando l'attenzione verso il profilo geografico.
“Ho un luogo in comune. E' una specie di azienda di volontariato per dare forza a persone affette da malattie come il cancro. Tutte le nostre vittime sono andate, almeno una volta, in questo posto. Garcia già sta controllando il personale e se hanno precedenti.” finì Reid, restando in attesa di possibili domande, sperando che non gli venisse chiesto il perché non l'avesse notato prima, ma sapeva che se Hotch avesse avuto qualche tipo di rimprovero avrebbe aspettato di essere da solo con lui.
“Ottimo lavoro, Reid” disse semplicemente il capo e questo bastò a farlo sentire fiero di se stesso.


-Salve! :)
Non ho niente di particolare da dirvi. Spero solo che il capitolo vi piaccia! 
Buona festa della donna! <3
Alla prossima! :33

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Un altro fallimento era piombato addosso alla squadra. Nessuno del personale corrispondeva ad un pazzo serial killer e tanto meno avevano precedenti. Eppure Reid era sicuro che la persona che cercavano fosse collegata a quel posto, non poteva aver sbagliato. Non poteva spiegare il perché, ma l'SI aveva di certo a che fare con quell'azienda.
Con la testa che gli pulsava, stringendo il caffè che JJ aveva gentilmente portato a tutti, si passò una mano tra i capelli. Aveva bisogno di dormire, ma con un assassino in circolazione tutti avevano dimenticato il significato di quella semplice parola… << dormire >>, che cos'era? Esisteva nel dizionario?
Tutti erano stanchi, tutti avevano bisogno, anche solo per un paio d'ore, di staccare la spina. Non erano delle macchine, erano esseri umani ed anche i migliori, prima o poi, crollano.
Tuttavia, Spencer sapeva che quei pensieri sarebbero rimasti nella sua mente e non li avrebbe condivisi con nessuno, soprattutto in quel momento, dove tutti erano sprofondati nell'abisso. Nessuno voleva catalogare il caso come irrisolto, perché sarebbe stato un enorme fallimento. Loro erano la migliore squadra dell'FBI, eppure la delusione che opprimeva l'aria rendendola irrespirabile era qualcosa che, pur essendo terribile, provavano tutti.
Non potevano deludere le aspettative che i cittadini di Toronto e la polizia aveva riposto in loro, ma più di tutti non potevano deludere Aurora, sia Reid e sia JJ non se lo sarebbero mai perdonati.
“Abbiamo bisogno di riposare, Hotch. Così non concluderemo niente!” fu Rossi a parlare, dando voce ai pensieri di tutti, ma che nessuno aveva avuto il coraggio di esprimere rompendo quel silenzio opprimente.
“So che è una cosa che pensate tutti ed avete ragione. Pienamente ragione.” rispose Hotch, guardando uno per uno i suoi agenti. Tutti abbassarono lo sguardo sul bicchiere che avevano tra le mani.
“Non voglio vedervi qui prima di domani mattina. Andate in albergo e cercate di riposare un po', domani a mente lucida magari avremmo qualcosa in più su cui lavorare.” ordinò il capo, con quel suo tono che non ammetteva repliche, ma comunque nessuno lo avrebbe contraddetto.
Così tutti si alzarono e uscirono a passo lento dalla centrale di polizia, sotto gli sguardi indagatori dei poliziotti di turno.
Reid si bloccò sull'uscio della porta, vedendo Aurora seduta fuori, rannicchiata come una bambina con le ginocchia al petto.
“Mi dispiace” sussurrò alla ragazza, andandole vicino. Gli dispiaceva di non aver potuto fare niente per impedire che anche quello che considerava il suo secondo padre perdesse la vita. Gli dispiaceva che la sua intuizione non avesse portato a nulla. Gli dispiaceva che la sua intelligenza avesse fallito così miseramente. Gli dispiaceva del dolore che Aurora provava, un dolore che poteva comprendere. Quelle semplici parole racchiudevano questi ed altri mille significati.
“Non è colpa sua. A meno che lei non abbia detto a quell'essere di uccidere le persone” disse Aurora, con un sorriso amaro. Anche in questi momenti il rispetto non le mancava. Era così speciale, sembrava così piccola e fragile, eppure dentro di lei si nascondeva la forza di una leonessa.
“Ti prego, dammi del tu” continuava a tenere un tono basso, così basso che Aurora dovette faticare a percepire ciò che diceva. Lei sarebbe potuta essere anche speciale, ma lui continuava ad essere quello sempre impacciato nel relazionarsi con gli altri.
“Okay. Come vuole, cioè come vuoi” disse Aurora, correggendosi con una silenziosa risatina.
“Perché non vai a riposare? Stando qui non ottenerai granché” chiese, ma prima che potesse formulare qualche altra domanda, Aurora si precipitò tra le sue braccia. Suo fratello non era venuto, lasciandola in balia del dolore senza il suo abbraccio ed Aurora aveva bisogno di qualcuno a cui aggrapparsi, perché stava crollando e stavolta non sapeva nemmeno lei come si sarebbe rialzata.
Reid rimase spaesato da quel gesto, ma meccanicamente la strinse a sé, poco dopo sentì delle lacrime scendere silenziose dagli occhi della ragazza per poi posarsi sul suo maglione.
Nessuno dei due seppe quantificare il tempo nel quale rimasero in quella posizione, ma entrambi avevano bisogno di quel calore, chi per un motivo e chi per un altro.
***
La sveglia suonò e quell'orribile trillo si fece strada nella stanza, destando Aurora dal sonno in cui era sprofondata forse solo un paio d'ore prima. Ci mise un po' di tempo a mettere a fuoco la stanza in cui si trovava e per un attimo pensò che quello che era accaduto la notte prima fosse solo un sogno, ma poi realizzò che l'abbracciò scambiato con il dottor Reid era vero e l'imbarazzo si impossesò di lei, andando a colore di un rosso porpora le guance. Dove aveva trovato il coraggio di precipitare tra le braccia di quell'agente? Che cosa le era passato per la mente? Sicuramente l'aveva catalogato come una pazza disperata che abbraccia il primo che passa! Ma, soprattutto, dove avrebbe trovato la forza di incrociare il suo volto nelle prossime ore? Dannazione! Avrebbe dovuto rimanere nel suo angolino a piangersi addosso da sola, chissà che cosa aveva pensato il dottor Reid!
Dandosi della stupida si alzò ed andò dritta al bagno per rendersi perlomeno presentabile, di certo non era la ragazza più bella della terra, ma non era poi tanto male. Decise di lasciare i capelli sciolti, ricordandosi che la notte prima, appena rientrata a casa, si era buttata sotto la doccia per poter crollare facendo confondere le proprie lacrime con il getto violento del rubinetto. Si passò un filo di trucco, giusto per non far notare le occhiaie che le marcavano gli occhi. Aveva davvero bisogno di un sonno ristoratore, ma prima di tutto doveva prendere quell'essere meschino e solo dopo averlo sbattuto nel posto che meritava, avrebbe potuto dedicarsi al suo corpo che richiedeva, con non poche pretese, un po' di pace e tranquillità.
Prima di uscire di casa, prese un elastico dalla mensola del bagno per metterselo al polso, per ogni evenienza, non usciva mai senza. Passò in salone per prendere le chiavi ed il cellulare, che con poca grazia aveva buttato sul tavolino accanto al divano ed una volta in mano uscì dall'abitazione, chiudendo a chiave la porta.
***
Appena arrivata alla centrale fu accolta da un accesa discussione tra l'agente Hotchner ed il detective Brown.
“Decido io se un mio agente è in grado o meno di svolgere il proprio lavoro e l'agente Bianchi è più che idonea a compierlo!” sbraitò il detective Brown, non usava spesso, per sua fortuna, quel tono. Ma il volume elevato della sua voce con il quale parlava il suo capo passò in secondo piano...perché stavano discutendo su di lei? Non aveva di certo violato il protocollo. Tutte le sue azioni lo rispettavano perfettamente, doveva aveva sbagliato?
“Faccia come vuole, ma penso che l'agente Bianchi sia troppo coinvolta in questo caso” replicò l'agente dell'FBI arrendendosi alle proteste del detective.
“Certo che è coinvolta! Quello lì ha ucciso i suoi genitori e quello che era il suo secondo padre, ma secondo lei accetterebbe mai di farsi da parte? E' meglio averla qui che mandarla a casa con la paura che possa fare chissà cosa!” ribatté l'altro, addolcendo un po' il tono.
Ovviamente aveva ragione, di certo se l'avesse spedita casa avrebbe mandato a quel paese l'ordine ed avrebbe indagato per conto suo.
Solo in quel momento si accorse della mancanza di Reid ed il suo cuore sprofondò sotto i piedi, ma risalì immediatamente sentendolo arrivare con il fiato corto. Si appoggiò al muro della centrale, proprio accanto a lei e riprese fiato.
“Tranquillo. Sono troppo impegnati a discutere su di me per focalizzare l'attenzione su altro.” gli disse, certa che l'essere salvato da una possibile ramanzina era molto meglio di un semplice buongiorno.
Con suo sorpresa Spencer le volse un timido sorriso, forse non l'aveva considerata una pazza disperata come credeva. Ricambiò il sorriso e sentì muoversi qualcosa dentro di lei.
No, non poteva innamorarsi di lui. Eppure qualsiasi cosa fosse quello che stava provando in quel momento era forte e non accennava a diminuire, anzi.



-Salve! :)
Oggi mi sentivo ispirata ed ho colto l'occasione a volo. Era da tanto che pensavo ad un modo per fare avvicinare il nostro dottorino ed Aurora...ce l'ho fatta e, per la prima volta, mi piace ciò che ho scritto (miracolo u.u). 
Ovviamente l'ultima parola spetta a voi, quindi sono curiosa di conoscere le vostre opinioni! ^^
Come sempre ringrazio tutti quelli che mi seguono <3
Alla prossima! :33

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Reid era presente fisicamente alla riunione, ma non mentalmente. Nel suo cervello continuava a focalizzare l'abbraccio di Aurora, ma non riusciva a capire che cosa fosse successo in lui. A quello che aveva provato non poteva dare una spiegazione scientifica, eppure lui ne aveva sempre una. Era qualcosa di diverso e di estraneo, qualcosa che non aveva mai provato, salvo per JJ i primi mesi che l'aveva conosciuta, ma quel qualcosa era più forte e potente di quella volta.
“Dobbiamo indire una conferenza stampa. I giornalisti sono accaniti, vogliono risposte” esclamò JJ, riferendosi alla folla di persone con microfoni e registratori appostati davanti alla centrale.
“Le vorremmo anche noi delle risposte se è per questo!” obbiettò Morgan, stava ancora aspettando il fratello di Aurora, che sarebbe arrivato a momenti.
“JJ pensaci tu e fatti aiutare da Reid” disse Hotch, l'ultima cosa che voleva era preoccuparsi di giornalisti infastidenti. Reid, sentendosi chiamare, si destò dai suoi pensieri ed annuì meccanicamente, senza aver sentito una singola parola della conversazione.
“Bene” disse JJ, alzandosi per andare in una stanza dove poter svolgere quanto ordinato, si voltò notando che Reid non la stava seguendo e con un cenno della mano lo chiamò, lui si alzò mormorando qualcosa di incomprensibile e si avviò con lei.
“Che cosa ti sta succedendo, ragazzino?” si chiese Morgan tra sé e sé. C'era qualcosa che non andava in Reid e lui doveva scoprirlo, in ogni modo.
***
“Che ti succede, Spencer?” domandò JJ al suo collega, mettendo da parte per un attimo il foglio dove stava scrivendo cosa dire alla conferenza stampa.
“Niente” rispose vago l'altro, buttando la penna sul tavolo. Sapeva che JJ non si sarebbe arresa ed entrambi sapevano che Hotch non avrebbe mai affidato a Reid un compito che la bionda poteva svolgere tranquillamente, li aveva mandati insieme perché sperava che JJ scoprisse cosa stava accadendo al genio.
“Niente? Hai sbagliato il profilo geografico e non è da te. Prima eri perso nei tuoi pensieri, senza ascoltare una parola! Spencer sei strano e l'hanno notato tutti! Quindi, ti prego, parla con me. Io posso aiutarti, tutti possiamo e vogliamo darti una mano.” replicò JJ, stanca di far finta di niente, stanca di non capire che cosa avesse il suo amico. Voleva aiutarlo, ma stava a lui accettare o meno la mano tesa dell'amica pronta a sorreggerlo.
“Ho fatto uno sbaglio, tutto qui. Mi è sfuggito quel particolare, non sono perfetto come credete” ribatté Reid, stanco di essere trattato come il genio che non commette mai un errore, era un essere umano e, comunque, non stava di certo a JJ fargli la predica.
“Io non ti sto condannando per aver sbagliato, Spence. Io ti sto solo chiedendo di dirmi che cosa ti sta succedendo. Non sei solo, lo vuoi capire?” disse JJ, si sentì gli occhi bruciare, Reid non aveva mai rifiutato il suo aiuto e si stava iniziando seriamente a preoccupare. Che fosse tornato a drogarsi? No. Non avrebbe mai più intrapreso quella via, glielo aveva giurato.
“Io non so spiegare che cosa mi sta succedendo. Non ho una spiegazione scientifica per questo ed è la prima volta che mi succede una cosa del genere” disse Reid, arrendendosi alle suppliche dell'amica.
JJ tirò un sospiro di sollievo, almeno poteva scartare l'idea che fosse precipitato di nuovo nell'abisso della droga.
“Quello che ti sta succedendo...quando è incominciato?” domandò, se lui non l'aveva capito, allora l'avrebbero capito insieme.
“Prima era qualcosa di superficiale, non ci facevo molto caso. Poi è diventato più forte, l'altra notte, quando...be' quando Aurora mi ha abbracciato.” rispose il ragazzo con un po' di titubanza.
JJ per poco non gli scoppiò a ridere in faccia. Il loro genietto si stava semplicemente innamorando e loro avevano pensato alle situazioni peggiori!
“Oh Spencer, quello che ti sta accadendo è normale. Ti stai semplicemente innamorando” disse sorridendo ancor più sollevata di prima.
“No, impossibile!” esclamò Reid, scuotendo la testa come un adolescente.
“Sarà anche un genio, ma per certe cose si comporta come un adolescente” pensò JJ, continuando a sorridere all'idea di uno Spencer innamorato.
***
“E pensare che volevo diventare una di loro!” esclamò Aurora, guardando i giornalisti accaniti fuori la centrale.
“Volevi diventare una giornalista?” chiese Rossi, colto alla sprovvista da quell'esclamazione.
“Sì. Cioè, fin da piccola, sognavo di diventare una giornalista...” rispose in modo vago, l'ultima cosa che le importava ora era proprio rinvangare i sogni mai realizzati della sua infanzia.
“E cos'è cambiato? Sempre se non sono indiscreto” domandò Dave, ancor più curioso di prima, come un bambino.
“Qualcuno un bel giorno si è alzato ed ha deciso di uccidere i miei genitori. Questo è cambiato” rispose Aurora freddamente. Rossi stette in silenzio, di certo non voleva toccare un tasto tanto delicato.
Eccolo lì, di nuovo quel dolore che le impediva di respirare, sopprimendole ogni singola cellula.
Dopo pochi minuti arrivarono Reid e JJ, quest'ultima con il volto sollevato per essere riuscita a placare gli animi dei giornalisti.
“Tutto bene?” chiese JJ, notando l'espressione strana che aveva preso vita sul volto di Aurora
“Sì, certo. Com'è andata con i giornalisti?” rispose lei, cambiando prontamente argomento
“Con quello che gli ho detto dovrebbero stare tranquilli per un po'. Speriamo di prendere il colpevole prima di vederli di nuovo qui.” disse JJ, anche se non si era affatto lasciata convincere dall'evasiva risposta della giovane agente.
“Lo prenderemo, ne sono sicuro” esclamò Reid, che fino a quel momento non aveva ancora parlato. Sperò che con quelle parole avrebbe potuto consolare, almeno un po', Aurora.
In quel momento arrivò un agente con in mano una busta bianca, dove c'era scritto un nome sopra.
“Scusate. E' arrivata questa per l'agente Bianchi” disse, porgendo la lettera alla collega, che ringraziò con un cenno del capo. Dopo aver aperto la lettera ed aver letto il contenuto che vi era scritto, Aurora rimase immobile per un bel po', scioccata.
“Che c'è scritto?” domandò Dave, andandole accanto. Quando anche lui lesse ciò che c'era scritto, prontamente mise una mano sulla spalla alla giovane, come per rassicurarla.
A quel tocco, ad Aurora scivolò il foglio tra le mani, come sabbia tra le dita ed il pezzetto di carta fu raccolto da Reid che lo lesse ai presenti.
So che mi stai cercando e se non vuoi perdere ciò che resta della tua famiglia, ti conviene smettere di darmi la caccia.” così recitava il foglio.
Tutti si voltarono verso Aurora che tremava accolta dall'abbraccio di Rossi.


-Eccomi tornata con un nuovo capitolo :)
Spero abbiate trascorso delle serene vacanze di Pasqua e che abbiate mangiato tanta cioccolata! ;)
Come sempre, ringrazio tutti quelli che mi seguono e che hanno messo la storia tra le ricordate/seguite/preferite. Vi adoro <3
Alla prossima! :33

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Aurora era rimasta nella stessa posizione da quasi un'ora: seduta sulla sedia con le gambe rannicchiate alle ginocchia. Le era stato detto che sarebbe andato tutto bene, le era stato detto di comportarsi normalmente col fratello, le era stato detto anche di andare a casa a riposare, ma lei non aveva ascoltato neanche una parola di tutto quello che le avevano detto.
C'era solo un pensiero a governarle la mente: catturare l'SI. Aveva preso in considerazione l'idea di smettere di dargli la caccia? Assolutamente no. Il fatto che aveva minacciato di portarle via il fratello non aveva fatto altro che aumentare in lei la voglia di sbatterlo dietro le sbarre.
Quando arrivarono Hotch e Derek con Roberto, dopo averlo interrogato alla ricerca disperata di altri collegamenti, Aurora represse con fatica l'istinto di abbracciarlo e pregarlo di restare sempre accanto a lei. Infatti Roberto dedusse, in modo errato, che sua sorella fosse ancora arrabbiata con lui e, dopotutto, aveva tutte le ragioni per esserlo.
Così Aurora lasciò andare via Roberto con la preoccupazione che sarebbe potuto finire tra le mani del soggetto ignoto; e Roberto varcò la soglia della centrale di polizia con l'orrenda sensazione di aver ferito profondamente Aurora, in modo irreparabile.
“Tutto bene?” domandò JJ, sedendosi accanto alla giovane agente. Sapeva quanto la sua domanda potesse risultare alquanto insignificante, ma in un modo doveva pur cominciare la conversazione.
Aurora rispose muovendo il capo in segno negativo. Non avrebbe di certo potuto mentire ad una profiler, ma del resto anche qualcuno che non era tale poteva capire con un solo sguardo che niente andava bene in lei.
“Lo troveremo, te lo prometto” disse la bionda, accarezzandole la spalla in un gesto delicato, degno di una madre.
“Non si fanno promesse” replicò Aurora, ma la voce che emise quel suono non era più quella della ragazza timida che ha sempre paura di dire la cosa sbagliata. Era quella di una ragazza cresciuta troppo in fretta che adesso non voleva altro se non fare giustizia. Aveva cacciato fuori il suo lato da leonessa e difficilmente qualcuno lo avrebbe domato.
“Lo so. Posso almeno prometterti che faremo di tutto per prendere l'SI prima che arrivi a tuo fratello?” ribatté JJ con voce materna.
“Non permetterò che quell'essere faccia del male anche a mio fratello!” esclamò l'altra, scattando in piedi. Andò al bagno e dopo alcuni minuti uscì: il viso era appena lavato e l'espressione che aveva assunto avrebbe fatto invidia ad Hotch; i capelli erano raccolti in una coda alta e stretta, sembravano imprigionati dall'elastico nero, che si confondeva tra loro.
Entrò nella stanza dove si erano riuniti tutti, seguita da Jennifer. Sentì gli occhi dei presenti puntati addosso a lei, come quando scoprirono che l'omicidio dei suoi genitori era collegato agli altri. Contrariamente al suo solito carattere non arrossì né calò lo sguardo. Era determinata a chiudere il caso anche a costo di non dormire per giorni interi.
“Sto bene.” disse sedendosi come se niente fosse senza aver preso prima una tazza di caffè anche se quello della centrale era orrendo.
Reid la guardò di sottecchi, studiando ogni singolo gesto per capire come davvero si sentisse. Aveva avuto un cambio così veloce che tutti erano rimasti sbalorditi. Si sarebbero aspettati le scene più drammatiche, ma non di certo quella che era accaduta. Era troppo pacata per una che era stata appena minacciata da un pericoloso killer.
Hotch guardò JJ in cerca di una spiegazione, ma questa scrollò le spalle perché neppure lei aveva capito come mai Aurora avesse avuto un così veloce cambiamento.
“Ci siamo tutti, no? Credo sia ora di rimetterci a lavoro” fu Morgan a rompere il silenzio, ricevendo uno sguardo carico di gratitudine da Aurora. Anche se aveva tirato fuori il suo lato da leonessa comunque restava il fatto che odiava stare al centro dell'attenzione.
“Bene. Dato che abbiamo ormai capito che l'SI ha avuto qualche relazione con l'agente Bianchi. Abbiamo dovuto scavare un po' nel suo passato e Garcia ha incrociato i suoi dati con quelli delle vittime” spiegò il capo dell'FBI per aggiornare le nuove arrivate. Guardò Aurora e quest'ultima annuì senza battere ciglio.
“Ha trovato qualcosa?” chiese la diretta interessata, sorseggiando il caffè anche se non aveva niente a che fare col caffè vero italiano che faceva lei.
“Grazie ad un nome di un tuo ex ragazzo che ci ha fornito Roberto. Ha trovato qualcosa: Stephen Wilson” rispose Hotch non distogliendo lo sguardo da Aurora, mentre porgeva il fascicolo agli altri.
“Sì me lo ricordo. Roberto ed i miei genitori non lo vedevano di buon occhio, però era un bravo ragazzo” disse Aurora, mentre accarezzava la foto di un ragazzo con i capelli bruni e gli occhi verdi, ricordando tutto ciò che avevano passato insieme.
“Un bravo ragazzo con la fedina penale un po' lunga” replicò Spencer e la sua voce uscì in un tono più velenoso di quanto avrebbe voluto. Che fosse geloso?
“Allora mio padre aveva ragione. Diceva sempre che Stephen mi avrebbe portato solo guai” esclamò l'agente Bianchi leggendo tutti i reati di cui si era macchiato il ragazzo di cui, un tempo, era perdutamente innamorata.
“Credete che sia lui l'SI?” chiese dopo aver finito di esaminare il fascicolo. Dopotutto il profilo corrispondeva: uomo, bianco, 36 anni. Aveva la stessa età di suo fratello, quindi dieci anni in più di Aurora, un motivo in più per cui non piaceva ai suoi genitori.
“Sarebbe comico: il cattivo ragazzo che viene arrestato dalla sua ex diventata agente di polizia” scherzò Derek per sdrammatizzare l'aria provocando la risata di tutti i presenti.
“Non possiamo dirlo con certezza. Cosa puoi dirci di lui?” riprese in tono serio Aaron. Di nuovo tutti gli occhi erano puntati su Aurora e, per la seconda volta, lei non si mostrò a disagio.
“E' sempre stato una testa calda. Voleva fare il musicista, infatti lasciò il collage dopo il primo anno, suscitando l'ira di suo padre, quest'ultimo teneva molto allo studio e gli diceva sempre che la musica non l'avrebbe portato da nessuna parte. La madre morì quando lui aveva appena dieci anni, per un tumore, d'allora rimasero solo lui, il fratello maggiore e suo padre. Suo fratello, dopo aver finito il collage, era andato a vivere fuori città, ogni tanto tornava durante le vacanze. Hanno sempre avuto un ottimo rapporto. Nonostante fosse testardo sapeva come trattare la propria ragazza e, credetemi, aveva un lato sensibile e fragile che solo pochi conoscevano, tra cui io e il fratello.” rispose Aurora e a tutti sembrò che lo conoscesse da una vita.
“Quanto tempo siete stati insieme?” chiese JJ, ponendo una domanda che alloggiava nella mente di tutti.
“Un anno, ci lasciammo poche settimane prima della morte dei miei genitori. Lui doveva andare in una specie di tour con la sua band e decidemmo di troncare, anche se l'amavo molto dovevo lasciarlo andare per la sua strada. Lui avrebbe fatto lo stesso per me.” rispose la giovane, sorridendo al ricordo del loro ultimo bacio e dei suoi occhi pieni di tristezza. Avrebbe voluto accanto lui dopo la tragedia che l'aveva colpita, perché riusciva a capirla meglio di chiunque altro.
“Morgan, JJ e Reid venite con me. Andiamo a prenderlo” ordinò Hotch e Derek fu subito pronto, infatti chiamò Garcia che gli mandò l'indirizzo dell'abitazione di Stephen.
“Che succede?” chiese Aurora confusa da tutta quella fretta. A che cosa servivano i giubbotti anti-proiettile e le pistole?
Dopo pochi minuti rimasero solo lei, il detective Brown e Rossi. Aurora fu più confusa di prima. “Detective Brown, che succede?” chiese di nuovo, stavolta diretta al suo capo. Il detective si chinò davanti a lei con fare paterno e le accarezzò la guancia.
“Aurora ecco...Stephen non è mai partito per una tournée con il gruppo, pochi giorni dopo suo padre morì per un tumore al fegato e lui andò a fare volontariato nella stessa associazione dove le vittime chiedevano aiuto. Compresa tua madre e...” si bloccò perché Aurora gli tappò la bocca con la mano, aveva capito. La morte di suo padre aveva innescato gli omicidi e lui, Stephen Wilson, il ragazzo di cui, da ragazzina, si era perdutamente innamorata era un assassino.



-Eccomi tornata dopo quasi un mese! :)
Mi vergogno di me stessa, perdonatemi çWç
Ho avuto problemi con la connessione e me l'hanno attivata da poco. Scusate ancora! 
Ci stiamo avvicinando alla conclusione di questo straziante caso, finalmente! Spero che il capitolo vi piaccia! :D
Ovviamente ringrazio tutti quelli che mi seguono sempre! Siete la mia forza <3
Alla prossima!  :33

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Qualche ora più tardi ogni singolo agente ed ogni pattuglia era alla ricerca di Stephen Wilson. Anche casa sua era stata messa sotto sorveglianza, ma di certo non sarebbe tornato là, dato che gli agenti l'avevano trovata piena di polvere e con alcuni scatoloni senza aprire, segno che non abitava lì già da parecchio. La domanda però era: dove si era cacciato?
Aurora si appoggiò una mano sulla tempia, quella storia le stava facendo venire un forte emicrania, ma lei non osava mollare, ormai erano troppo vicini alla soluzione del caso.
“Voglio parlare con l'agente Bianchi! E' un mio diritto!” sbraitò un uomo sui quarant'anni attirando l'attenzione di tutti, Aurora compresa.
“Signore si calmi, l'agente Bianchi è impegnata in un caso. Ci sono altri agenti disponibili per lei” tentò per l'ennesima volta di calmarlo Carl, maledendo il giorno in cui aveva scelto di diventare poliziotto e questo era solo l'inizio.
“William...” disse Aurora andando in aiuto del suo collega. Lo sguardo dell'uomo si incrociò con quello di lei e restarono a fissarsi per alcuni minuti.
“Aurora. Quanto tempo è passato?” chiese lui, rompendo il silenzio. Si avvicinò piano a lei, ma Aurora scattò all'indietro, lui se ne accorse e si arrestò di colpo.
“Tanto tempo. Carl grazie, ma mi occuperò io di lui” disse la giovane, ringraziando il collega, quest'ultimo sorrise ed andò via.
“Usciamo di qui” esclamò poi in un tono che non ammetteva repliche e William la seguì senza obbiettare.
“Quando mi hanno detto che eri diventata un agente di polizia non volevo crederci! Quando ti conobbi eri fermamente convinta di voler fare la giornalista” disse divertito l'uomo, per sdrammatizzare l'aria pesante che quella situazione aveva creato.

“La gente cambia.” replicò freddamente lei, voleva solo sapere che cosa volesse da lei il fratello di Stephen.
“Me lo immaginavo un po' diverso il giorno in cui ti avrei rivista” scherzò ancora lui, ma lo sguardo di Aurora gli fece capire che doveva andare direttamente al sodo.
“Dicono che Stephen ha fatto cose orribili. Lui non sarebbe capace di uccidere nessuno, tu lo conosci. Lui non è un pazzo killer come lo stanno descrivendo in quel posto!” esclamò William, indicando la centrale di polizia alle sue spalle. Nei suoi occhi si poteva leggere la rabbia e la voglia di proteggere suo fratello, lo stesso mix che comunicavano gli occhi di Aurora da quando aveva ricevuto quella lettera.
“William, ascolta. Neanche io volevo crederci all'inizio, ma tutto porta a lui” disse la ragazza addolcendosi un po', non aveva ragioni di prendersela con lui, dato che non era stato di certo William ad uccidere i suoi genitori.
“Io non posso crederci. Lui non sarebbe capace di uccidere! Sarà pure una testa calda, questo sì, ma lui…Dio!” replicò l'uomo, coprendosi il viso con le mani, sedendosi sulla panchina a muro accanto a lui. Aurora si sedette affianco e gli accarezzò la schiena, scossa dai singhiozzi, stava piangendo silenziosamente.
“Perché non mi ha detto niente? Perché non mi ha chiesto aiuto? Io gli avrei dato una mano, gli sarei stato vicino” disse con tono più basso e stavolta guardò la sua interlocutrice negli occhi.
“Non è mai facile capire le azioni degli altri, sopratutto se si tratta di persone che pensiamo di conoscere a fondo.” replicò Aurora in tono professionale, nonostante anche lei si ponesse gli stessi quesiti di William: perché non si era fidato di lei tanto da dirgli della malattia del padre?
“Ti prego, non darmi risposte scritte su uno stupido manuale!” ribatté irritato lui scattando in piedi. Possibile che non si ricordasse chi fosse Stephen? Il loro Stephen?
“Non può essere stato lui!” esclamò per l'ennesima volta William non accettando la realtà. Aurora scosse il capo e lo abbracciò con tenerezza, poteva solo lontanamente immaginare cosa stesse passando.
“L'unica cosa che puoi fare adesso è stargli vicino quando lo prenderemo. Può darsi che si sarà sentito abbandonato e...onestamente non ho risposte sul perché abbia fatto una cosa del genere, solo lui saprà dirci il motivo. Tu però non lasciarlo affrontare tutto quello che gli aspetta da solo” disse Aurora, lasciando perdere qualsiasi protocollo o frase scritta sul manuale.
“Non potrei mai. Rimane sempre il mio pazzo fratellino” replicò William, sorridendo probabilmente per una scena che gli era venuta in mente di quand'erano piccoli.
“Ora però entriamo e dovrai parlare con degli agenti dell'FBI. Io non potrò essere presente perché ti conosco e ci potrebbe essere un conflitto di interesse. Ti prego di dirgli tutto ciò che sai su Stephen e su dove possa essere, d'accordo?” propose Aurora, sciogliendo l'abbraccio e accarezzandoli una guancia. William annuì e si avviarono alla centrale.
Sulla soglia vennero accolti dall'agente Morgan e JJ, che avevano già preso informazioni sull'uomo ed erano pronti ad interrogarlo.
“Ora capisco come mai Stephen si sia innamorato di te. Sei una leonessa Aurora e dove trovi tutta questa forza è un incognita senza soluzione.” disse William, prima di sparire dalla visuale dell'agente Bianchi, facendole sorridere dopo tanto tempo.
***
Erano passate alcune ore e neanche le informazioni di William avevano fatto luce su dove potesse nascondersi Stephen ed il peso di tutta questa storia lo sentivano tutti, erano così vicini eppure c'era qualcosa che gli sfuggiva, ma cosa?
L'ordine di Hotch, con tanto di appoggio da parte del detective Brown, era stato categorico: chiunque avrebbe avuto informazioni su dove si trovasse Stephen Wilson avrebbe dovuto comunicarlo al resto della squadra. Nessun colpo di testa sarebbe stato tollerato, quell'uomo era armato e pericoloso e nessuno dei due voleva che qualcuno ci rimettesse la vita.
Un messaggio sul cellulare di Aurora la distrasse dal seguire il dialogo tra i due capi.
“Se mi hai amato davvero, allora ti ricorderai il luogo dove ci siamo dati il primo bacio. Ti aspetto, piccola.”
Non era firmato, ma non ce ne era bisogno, l'unica persona dalla quale tollerava essere chiamata << piccola >>, oltre a suo fratello e suo padre, era Stephen. Aurora rilesse più volte il messaggio per convincersi che fosse reale. Certo che si ricordava il posto dove si erano dati il primo bacio, non avrebbe mai potuto dimenticarlo.

“Dai! Ti chiedo solo cinque minuti! Sono tornato dal collage oggi e prima di fare qualunque cosa vorrei vedere la mia ragazza!” pregò il ragazzo dall'altra parte dell'apparecchio telefonico.
“Non dire così che mi fai arrossire! E comunque non posso. Domani ho il test di chimica e sono nei casini” replicò l'altra, mentre si infilava una penna tra i capelli, per poi sfogliare il libro che aveva sulla scrivania insieme ad altri mille fogli.
“Che ti costa staccare per cinque minuti? Solo un bacio e te ne vai” la supplicò Stephen, il suo ragazzo da poco più di un mese.
“D'accordo. Solo cinque minuti e solo perché anch'io muoio dalla voglia di vederti” acconsentì Aurora, arrendendosi all'idea che quei cinque minuti sarebbero diventati minimo quindici.
“Sei fantastica! Ti aspetto al solito posto, sbrigati. Ti amo!” esultò il neo-studente universitario, gongolante.
“Ti amo anch'io” disse la liceale prima di chiudere la conservazione per poi correre a prepararsi.

Quel posto era diventato il loro rifugio segreto, da quando, in quello stesso luogo, si erano dati il primo bacio, ed entrambi erano fermamente convinti che lo sarebbe stato per sempre.


Aurora con la scusa di andare a casa per prendere qualcosa contro l'emicrania andò via dalla centrale, ma Reid, che non si era lasciato abbindolare dalla ragazza e avendola vista strana, la seguì.



-Salve a tutti! :)
Avendo trovato del tempo tra una verifica e l'altra ho deciso di scrivere e pubblicare, per non farvi aspettare un eternità! u.u
Stephen è sempre più vicino e spero vi piaccia il flashback della storia tra lui ed Aurora che ho inserito. 
Grazie come sempre a tutti quelli che mi seguono!
Alla prossima! :33

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Quel luogo era rimasto uguale a dieci anni fa, dopo aver rotto con Stephen, Aurora non ci era più tornata eppure il tempo non lo aveva scalfito.
I grandi alberi verdi, illuminati solo dalla luce flebile della luna e da un lampione lontano, dominavano lo spazio, restringendolo ancor di più. Poco lontano c'era una panchina di legno ed Aurora, guardandola, non poté fare a meno di sorridere, mentre nella sua mente riviveva tutte le scene che avevano come protagonisti loro due.


“Tu sei pazzo!” esclamò la ragazza dai lunghi capelli, spintonando il suo fidanzato.
“E tu sei bellissima!” ribatté l'altro, tentando di baciarla senza troppi risultati.
“Capisco che tu voglia fare il musicista, ma non ti sembra esagerato voler abbandonare gli studi? E poi tuo padre credi che sarà d'accordo? Ti farà a pezzi!” sbraitò ancora Aurora, staccandosi dalla sua presa.
“Di mio padre poco mi importa e poi saranno pure fatti miei ciò che voglio o non voglio fare!” replicò Stephen, iniziando ad irritarsi. Aurora lo notò e, dopo aver prese un grosso respiro, si sedette di nuovo accanto lui per poi scoccargli un dolce bacio sulla guancia.
“Hai ragione, perdonami, ma l'ultima cosa che voglio è che ti penta delle tue scelte. Comunque resta il fatto che, se sei davvero convinto di voler lasciare il collage, allora non posso far altro che appoggiarti, perché mi interessa poco chi diventerai a me importa poter stare con te, sempre.” disse ed un sorriso prese vita sulle labbra del ragazzo.
“Ti amo” le sussurrò dolcemente all'orecchio, cingendole la vita in una morsa piena d'amore.
“Ti amo anch'io” mimò con le labbra Aurora, prima di far incrociare le sue labbra con quelle di Stephen, convincendosi ancor di più che niente e nessuno avrebbe potuto allontanarli.

 

Un rumore sinistro destò Aurora dai suoi pensieri e prontamente afferrò la pistola riposta nella fondina, puntandola dinanzi a sé.
Quando riuscì a distinguere la figura del dottor Spencer Reid, abbassò l'arma, riponendola nel proprio posto.
“Che ci fai tu qui?” chiese cercando di essere il più distaccata possibile, mentre una strana sensazione attaccò la bocca dello stomaco.
“Potrei farti la stessa domanda, visto che avevi detto che andavi a casa a prendere qualcosa contro l'emicrania” replicò Reid, tentando di parlare senza bloccarsi, quella ragazza gli faceva davvero uno strano effetto: che JJ avesse ragione?
“Complimenti! Mi hai beccato, chiama pure gli altri” disse con ironia tagliente, Aurora, sperando che non chiamasse nessuno.
“Prima voglio sapere che cosa volevi fare. Ti ha scritto Stephen, vero? E ti ha detto di venire qui.” quando pronunciò il nome Stephen, lo stomaco di Spencer si contrasse violentemente.
“Non ci voleva un profiler per capirlo.” rispose Aurora, freddamente, facendo incrociare i loro sguardi.
“Perché non ci hai avvertito? Abbiamo un ordine da rispettare” chiese Spencer. Possibile che fosse tanto difficile ubbidire agli ordini per gli altri?
“Perché è personale e non mi aspettavo che tu mi seguissi” rispose l'agente Bianchi, continuando a non abbassare lo sguardo. Spencer non poté far a meno di pensare a quanto fosse cambiata da quando aveva ricevuto la lettera che minacciava l'incolumità di suo fratello, probabilmente se avesse avuto un fratello o una sorella avrebbe potuto comprenderla meglio, anche se i suo colleghi ormai li considerava come la propria famiglia.
La vibrazione del cellulare si intromise nel suo ragionamento e rabbrividì leggendo il nome sullo schermo: Aaron Hotchner.
“Reid dove sei finito?” domandò il capo dell'FBI al suo agente, di certo non mascherava l'irritazione nella sua voce.
Spencer guardò Aurora negli occhi alcuni secondi prima di rispondere al suo capo e prese un grosso respiro per risultare il più calmo possibile.
“Scusa, Hotch. Sono tornato in albergo per prendere delle cose ed ora sono bloccato nel traffico” si pentì immediatamente di ciò che aveva detto, ma ormai era in ballo e non rimaneva altro che ballare.
“D'accordo. Qui ancora nessuna novità, vedi di far il prima possibile” disse Aaron con il suo solito tono serio, chiudendo la chiamata.
“Perché l'hai fatto?” domandò Aurora, accorciando le distanze, confusa dal suo comportamento.
“Non lo so” rispose onestamente Reid, imbarazzato dalla piega che stava prendendo quella strana situazione.

“Be' grazie” replicò la giovane, ridacchiando per la risposta di lui. Sentirono un rumore e Spencer prontamente sparì dalla sua visuale.
***
“Amore mio” salutò sorridente Stephen Wilson, non era cambiato di una virgola e rimaneva sempre un bell'uomo, nonostante tutto.
“Ho smesso di essere il tuo amore dieci anni fa” ribatté Aurora acidamente, prendendo le dovute distanze.
“Ma come siamo acide questa sera” scherzò l'altro, puntando la pistola nella direzione della sua ex, quest'ultima prontamente fece per prendere l'arma dalla fondina, ma uno sparo la bloccò.
“Non ti azzardare. Prendi la pistola e buttala a terra!” ordinò Stephen, sghignazzando come un maniaco.
“Mi hai rubato la battuta” disse Aurora, cercando di farlo calmare, altrimenti la situazione sarebbe precipitata.
“Ora!” sbraitò il killer, facendola sobbalzare, non aveva certo voglia di scherzare per adesso.

“Okay, ma calmati” acconsentì l'agente, poggiando l'arma a terra ed alzando le mani in alto, in segno di arresa.
“Adesso possiamo ragionare. Vuoi sapere perché ho fatto tutto questo, vero?” chiese retoricamente Stephen e senza aspettare la risposta di lei, che sicuramente sarebbe stata affermativa, riprese a parlare.
“Semplicemente perché, tutte quelle persone, me lo hanno chiesto. Tu non sai in che condizioni erano in quel centro e tutti chiedevano una sola cosa, in mezzo a mille sofferenze, poter vivere in pace senza far ammalare di disperazione i propri cari. Tutti volevano morire, ma non avevano il coraggio di compiere il gesto fatale. Io non ho fatto altro che esaudire i loro desideri” disse ed Aurora si meravigliò per la calma che aveva mantenuto mentre parlava, come se fosse dalla parte della ragione. Lui non era il ragazzo che aveva conosciuto dieci anni fa, lui era solo un pazzo serial killer.
“Mia madre non avrebbe chiesto di morire, avrebbe fatto di tutto per stare più tempo con la sua famiglia” replicò Aurora e la rabbia stava, pian piano, prendendo possesso della sua anima.
“Oh, tua madre. Lei faceva parte di quel gruppo di persone che non lo chiedeva direttamente, ma lo desiderava quanto gli altri. E tuo padre mi aveva riconosciuto ed ho dovuto uccidere anche lui” pronunciò queste parole con la stessa tranquillità di prima e, dicendo l'ultima frase, rispose anche alla successiva domanda di Aurora.
“Sei pazzo” disse e stavolta non ci avrebbe ripensato, sputò quelle due parole, tanto era il ribrezzo che provava nei suoi confronti.
“Lo so. Ma tu non eri quella che mi avrebbe amato a qualunque condizione?” chiese ridendo, senza abbassare l'arma.
“Io ho amato lo Stephen Wilson di dieci anni fa e lui non avrebbe mai fatto una cosa del genere” rispose Aurora, giocandosi l'ultima carta che le era rimasta, quella dei sensi di colpa.
“Mi dispiace per te, ma lo Stephen Wilson che dici tu è morto insieme a suo padre!” esclamò l'altro, togliendo la sicura alla pistola, pronta a sparare.
“Però non disperarti, perché adesso raggiungerai i tuoi cari genitori, così smetteranno di mancarti” disse ed Aurora serrò gli occhi, pronta alla morte, ma venne buttata a terra da qualcuno.
Non fece in tempo a rendersi conto della situazione quando uno sparo si liberò nell'aria.

 

-Salve! :)

Okay, abbassare le armi, non mi sparate ma dovevo chiudere con un colpo di scena per tenervi sulle spine! ;)
Spero che vi sia piaciuto e come sempre ringrazio tutti quelli che mi seguono, siete la mia forza <3
Credo di essere troppo ripetitiva ahahah
Alla prossima! :33

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Aurora stava tornando a casa dopo aver trascorso una bellissima serata insieme a Stephen, festeggiando San Valentino.
Stephen l'aveva lasciata ad un isolato da casa, perché riaccompagnarla sarebbe stato come consegnarsi al proprio carnefice, ovvero il padre di lei. Aurora aveva dovuto mentire, per l'ennesima volta, ai suoi genitori per poter uscire con il suo ragazzo e farsi riaccompagnare a casa da Stephen sarebbe stato un rischio troppo grande per entrambi. Anche se Stephen aveva detto mille volte di voler affrontare i suoi genitori, Aurora aveva cambiato argomento altrettante volte, non era ancora pronta a tutte le conseguenze che la loro storia poteva comportare ed aveva paura che suo padre la mettesse nella situazione di dover scegliere tra la famiglia e il suo ragazzo.
Sapeva, in cuor suo, che prima o poi quel giorno sarebbe arrivato, il giorno in cui la verità sarebbe venuta fuori facendo cadere il castello di bugie che, pian piano, Aurora stava costruendo.
Però, almeno per quella sera, entrambi avevano dimenticato i problemi che li affliggevano, godendosi la serata romantica, organizzata per festeggiare il loro amore.
“Ehi, bella mora!” gridò un ragazzo sui vent'anni verso Aurora, quest'ultima lo ignorò ed accelerò il passo, era quasi a casa.
“Sto parlando con te. Lo sai che sei bellissima!” continuò lui, correndo verso di lei. Aurora lo notò ed iniziò a correre anche lei, certa che lui non volesse solo parlare.
“Tranquilla, io non mangio, sai?” sghignazzò, afferrandola per il braccio, era molto più atletico di lei ed il fatto che Aurora portasse i tacchi non l'aiutò a scappare.
“Lasciami andare!” disse, cercando di non farsi prendere dal panico. Per tutta risposta, il ragazzo la sbatté contro un muro e con una mano le bloccò le braccia sulla testa, mentre con l'altra cercava di toglierle il vestito.
Aurora cercò di sottrarsi al suo aggressore, ma la sua presa era troppo forte rispetto alla forza che poteva esercitare lei. Tentò di gridare, ma lui le diede uno schiaffo in pieno viso ed Aurora non riuscì a trattenere le lacrime.
“Lasciami, ti prego. Non dirò niente a nessuno” lo supplicò, giocandosi l'ultima carta che aveva nel mazzo. Lui la ignorò, continuando ad armeggiare col vestito ed Aurora pregò solo che tutto finisse al più presto, in preda alle lacrime.

Il ragazzo, stufo dallo stretto vestito che indossava Aurora e che non riusciva a togliere, cacciò un coltellino e glielo strappò, alimentando il terrore negli occhi della sua preda.
Aurora chiuse gli occhi, arrendendosi al suo aggressore e sentì quest'ultimo sghignazzare.
“Lasciala stare!” la ragazza credette di star sognando quando sentì la voce del fratello in preda alla rabbia. Si scagliò contro il suo aggressore ed Aurora poté vedere benissimo la lama del coltello affondare nella spalla di Roberto e questo aumentò il suo pianto.
Il ragazzo che poco prima si stava strusciando addosso a lei, forse spaventato dall'aver ferito sul serio qualcuno, si alzò e corse via.
Roberto, nonostante il dolore allucinante alla spalla, andò da sua sorella per stringerla a sé; Aurora poggiò il viso sul petto del fratello e continuò a piangere.
Dopo alcuni minuti il pianto di lei si calmò ed incrociò gli occhi del fratello, li vide rossi di rabbia verso la bestia che aveva fatto del male alla sua sorellina.
“Dobbiamo andare in ospedale, Roberto. La tua spalla...” sussurrò Aurora, toccandogliela delicatamente. La ferita doveva essere molto profonda, perché continuava ad uscire sangue.
“Lo so. Però dovremmo prima chiamare almeno papà” disse Roberto, cercando di sopportare il dolore.
“Io non ce la faccio...” replicò Aurora chinando lo sguardo, non avrebbe mai potuto sopportare lo sguardo di un altro uomo in quello stato. Roberto capì il suo stato d'animo e prese il cellulare, ma invece di avvisare il padre chiamò un ambulanza. Restarono abbracciati per tutto il tempo in cui aspettarono i soccorsi, avrebbero avvisato a casa più tardi, quando Aurora si sarebbe ripresa.

 


Aurora aprì gli occhi, ritrovandosi con la faccia immersa nell'erba. Cercò di mettersi in piedi e la testa le fece un gran male, sicuramente per la botta che aveva preso.
Si ricordò dello sparo che aveva udito prima di perdere i sensi e velocemente si voltò, vide la sagoma di Reid a terra che si teneva la spalla sinistra sanguinante, non si preoccupò più delle sue condizioni e corse in suo aiuto.
“Spencer...” sussurrò e gli occhi iniziarono a pizzicarle. Reid stava respirando con fatica, aveva già perso molto sangue ed Aurora, con molta razionalità, chiamò un ambulanza senza staccare gli occhi da Spencer.
“Non chiudere gli occhi, per favore. Guardami Spencer! Ho chiamato aiuto, i soccorsi stanno arrivando” disse, ma Reid non riuscì a risponderle e continuava ad ansimare.
“Non rispondermi, ma non chiudere gli occhi. Continua a respirare con calma” ordinò al dottore, sicuramente aveva anche battuto la testa.
“Stephen...” riuscì a dire l'agente dell'FBI, utilizzando tutte le sue forze. Aveva sparato e lo aveva visto accasciarsi a terra, ma non sapeva dove l'avesse colpito, l'unico obiettivo che aveva era salvare Aurora.
Solo in quel momento Aurora si ricordò di Stephen Wilson, il motivo per cui si trovavano là e la causa della pallottola nel corpo di Reid. Si voltò verso la direzione del killer e lo vide a terra, si tolse la giacca e la fece il più possibile simile ad un cuscino per far appoggiare la testa a Spencer su qualcosa che non fosse il marmo.
“Torno subito. Non fare scherzi” gli sussurrò all'orecchio e vide un sorriso farsi strada sulle labbra del ferito. Andò verso Stephen ed impiegò un solo istante a realizzare che fosse ormai cadavere, l'unico colpo che Reid aveva sparato lo aveva centrato dritto al cuore, neanche un cecchino avrebbe potuto fare di meglio.
Si sentì inaspettatamente sollevata dal saperlo morto, così non avrebbe potuto più fare del male a nessuno e, soprattutto, non avrebbe dovuto affrontarlo di nuovo davanti ad una giuria pronta a ritenerlo colpevole.
Udì le sirene dell'ambulanza e corse da Reid, per dirgli che tra poco sarebbe stato al sicuro, ma quest'ultimo aveva chiuso gli occhi, sentendosi improvvisamente stanco. Aurora entrò nel panico e gridò ai medici di sbrigarsi.
***
Aveva rifiutato le cure mediche, perché voleva sapere che fine avesse fatto Reid. Nonostante i medici le avessero detto più volte che era in sala operatoria e che avrebbe dovuto aspettare, Aurora si fiondò davanti la sala e non si mosse da lì.
Aveva chiamato in centrale, ma le avevano detto che gli agenti, insieme al detective Brown, già si erano mossi, sicuramente Hotch non si era bevuto la storia del suo agente ed aveva fatto rintracciare il suo cellulare dall'informatica Garcia. Aurora si maledì più volte per aver cacciato Reid nei guai insieme a lei, mentre avvisava, tramite un messaggio al suo capo, che erano in ospedale.
Bastarono cinque minuti, forse di meno, ed Aurora si ritrovò in compagnia dei colleghi di Spencer e JJ sembrò quella più preoccupata o, molto probabilmente, lei riusciva a mascherarlo di meno.
“Puoi prendertela tranquillamente con me. E' colpa mia se Spencer è rimasto ferito” le disse, andandole vicino.
“La cosa meno logica sarebbe cercare un colpevole” replicò Jennifer “Tu stai bene?” aggiunse vedendo le ferite sulla fronte Aurora.
“E' solo un graffio. Spencer mi ha salvato la vita, quel proiettile era destinato me” rispose, toccandosi la fronte e JJ abbassò lo sguardo, fissando il pavimento immacolato.
Aurora guardò il suo capo e sapeva di essersi cacciata in grossi guai, non rispettando l'ordine categorico.
“So che le devo delle spiegazione, ma non qui. Andiamo fuori” disse, anticipando qualsiasi domanda o rimprovero da parte del detective Brown.
Andarono fuori ed Aurora chiese anche la presenza di Hotch, così da chiarire le idee ad entrambi.



-Salve! ^^
Questo capitolo tratta un trauma un po' particolare che Aurora ha subito nella sua adolescenza e spero di averlo trattato come merita.
Reid è rimasto ferito ed ora alla nostra protagonista tocca dare delle spiegazioni...
Spero tanto che il capitolo non vi abbia deluso e ringrazio come sempre tutti quelli che mi seguono <3
Alla prossima! :33

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Hotch rifiutò di sentire spiegazioni da parte di Aurora, perché se c'era qualcuno che doveva dargli delle spiegazioni, quello era Reid. Insieme agli altri era seduto davanti alla sala operatoria, in attesa di qualche novità. Sembrava che fosse passata un'eternità, ma lui rimaneva lì, in silenzio con le mani sulle tempie in cerca di qualche giustificazione valida: perché Reid aveva messo in gioco la propria vita? Perché gli aveva mentito e, soprattutto, perché lui non lo aveva capito subito che quella del traffico era soltanto una scusa.
“Non ti sforzare. Qualsiasi spiegazione che troverai sarà insignificante” disse Rossi, vedendo il suo amico in quello stato. Gli porse un bicchiere con del caffè ed Aaron lo ringraziò con un cenno del capo.
“Non capisco perché abbia fatto una cosa del genere.” lo fece partecipe dei suoi pensieri, mentre fissava il liquido scuro che non aveva per niente un bel aspetto.
“L'unico che può dirti il perché è lui. Che cosa gli dirai?” chiese Rossi, appoggiandosi al candidino muro bianco.
“Non lo so. Non so nemmeno se sono arrabbiato o preoccupato. Ho una responsabilità nei vostri confronti ed ogni volta che vi comportate da eroi, io non so che cosa fare. Siamo un team e credo proprio che a volte ve lo dimenticate.” rispose Hotch, buttando uno sguardo anche al resto della squadra che non si era mossa dalla sala.
“A volte seguiamo il nostro istinto e diventiamo irrazionali, capita a tutti” replicò Rossi, capendo che quello era il modo di Hotch di dirgli che gli voleva bene e che teneva a loro più che a se stesso.
“Continuo a darmi la colpa. Perché non ho capito subito che quella del traffico era una menzogna?” si accusò ancora il capo dell'FBI.
“Probabilmente se te l'avesse detto Derek oppure io, avresti capito subito. Stiamo parlando di Reid nessuno aveva preso in considerazione l'idea che avrebbe fatto una cosa del genere” disse David, mettendogli una mano sulla spalla.
“Io sì, avrei dovuto capirlo” la voce di JJ fece voltare i due uomini ed Hotch la guardò con espressione confusa.
“Quando mi hai affiancata a lui per occuparci della conferenza stampa, sapevo che lo avevi fatto perché io scoprissi che cosa gli stesse accadendo, ma non te l'ho detto perché con tutto quello che è successo mi è passato di mente ed anche perché pensavo che non fosse rilevante.” JJ parlò senza freno con gli occhi che quasi lacrimavano.
“Tutto è rilevante. Che cosa avresti dovuto dirmi, JJ?” domandò Hotch, per incitarla a continuare.
“Be', ecco…io credo che Reid si sia innamorato di Aurora” rispose la bionda, sentendosi in colpa per non averlo detto prima, abbassò lo sguardo pregando per il suo Spence, lei era l'unica che lo chiamava così.
“Reid osservava Aurora ed ha capito che quella dell'emicrania era una scusa, ma che in realtà si doveva incontrare con l'SI e così l'ha seguita” dedusse Rossi, pensando che contro la forza dell'amore anche l'essere più razionale del mondo, tipo Reid, diventa l'opposto.
“Ha rischiato la propria vita per salvare la ragazza di cui si è innamorato” concluse Hotch, comunque non giustificandolo del tutto.
Quando un uomo con la tuta verde uscì dalla sala operatoria, spalancando le porte. Tutti si voltarono ed Hotch si alzò.
“Come sta?” chiese, lasciando perdere i convenevoli. L'uomo, guardando le pistole ai lati degli agenti, capì subito chi fossero.
“L'operazione è andata bene. Ora è sotto anestesia e non vi so dire tra quanto si sveglierà” rispose e tutti si lasciarono andare ad un sospiro di sollievo. JJ e Morgan si lasciarono andare in un sincero abbraccio, mentre Rossi ed Hotch si limitarono ad uno sguardo ed un piccolo sorriso.
“Lo sapevo, è troppo intelligente per morire!” esclamò David, facendo sorridere i presenti.
***
Roberto si precipitò in ospedale poco dopo aver sentito il telegiornale, che parlava di due agenti feriti, di cui uno in modo più profondo e della morte del killer, che aveva terrorizzato la cittadina. Aveva riconosciuto il luogo della sparatoria ed il fatto che uno ferito fosse una donna lo fece preoccupare ancor di più.
Vide Aurora parlare, poco fuori dall'ospedale, con un uomo più grande di lei. Portava pistola e distintivo, quindi dedusse che fosse un suo collega, ma quando si voltò riconobbe il detective Brown. Era nervoso, mentre Aurora era mortificata. Non era un ottima atmosfera e, per un attimo, Roberto arrestò la sua corsa. Quando gli occhi di sua sorella incontrarono i suoi ricominciò la corsa e la strinse tra le sue braccia.
“Che hai combinato, piccola?” domandò, baciandole i capelli. Aurora si lasciò ad un pianto liberatorio, tutta quella situazione la stava opprimendo fin troppo. Le braccia del fratello attorno a lei, il suo petto, bastavano queste semplici cose per farla sentire a casa. La sua vera casa.
“Sto bene” rispose, guardandolo negli occhi, mentre Roberto le asciugava le lacrime. Il detective Brown pensò bene di lasciarli soli, avrebbero finito di parlare più tardi.
“Era Stephen, Rob. Era stato lui” riuscì a dire Aurora, abbassando lo sguardo. Si sentì colpevole della morte dei suoi genitori, perché era stata lei a portare Stephen in casa sua e, inconsapevolmente, aveva condannato a morte i suoi.
“Lo so. Non è colpa tua” era come se Roberto riuscisse a leggere i suoi pensieri e, per tutta risposta, Aurora sciolse l'abbraccio.
“Invece sì. Ho condannato a morte mamma e papà, come puoi guardarmi in faccia? E' solo colpa mia se loro non ci sono più!” replicò la sorella, sentendosi un mostro, c'era così tanta differenza tra lei e Stephen? Il suo ex non aveva fatto altro che completare la sua opera.
“Aurora, ascoltami!” esclamò Roberto in un tono bonariamente severo, voleva avere la sua completa attenzione e l'aveva ottenuta, dato che sua sorella rimase immobile a fissarlo.
“Tu ti sei solo innamorata, piccola. Non hai nessuna colpa, è stato Stephen a decidere di diventare un assassino, tu non hai fatto nulla. Ti sei solo infatuata della persone sbagliata, certo non tutte diventano dei pericolosi killer, ma non potevi saperlo. E per rispondere alla tua domanda, io riesco a guardarti in faccia, perché senza vedere il tuo dolce viso, non potrei vivere” aggiunse, addolcendo il tono. Aurora avrebbe voluto replicare che un agente dell'FBI si era preso un proiettile in corpo per colpa sua, ma lasciò perdere e decise di riprendere l'abbraccio che avevano lasciato in sospeso.
***
Non sapendo quando Reid si sarebbe svegliato, Hotch aveva mandato tutti in albergo, almeno per rinfrescarsi un po'. Morgan fu il primo a tornare e, presa una gelatina alla frutta, andò nella stanza del collega, sentendosi accanto a lui. Si chiedeva perché Spencer non avesse parlato con lui di quello che gli stava succedendo, nonostante lo prendesse spesso in giro, Derek teneva a lui e lo aveva sempre considerato il fratello che non aveva avuto, dato che nella sua famiglia erano tutte donne e lui era l'unico uomo. Dopo la morte di suo padre aveva accusato molto la mancanza di una figura maschile nella sua vita ed aveva fatto molti colpi di testa, a volte gli era difficile anche sottostare agli ordini. Aprì la gelatina ed iniziò a mangiarne un po' con il cucchiaino di plastica.
Quando Reid si svegliò fu attratto dal profumo di gelatina alla frutta, la sua preferita. Si ritrovò in una stanza con pareti bianche e, dopo pochi secondi, distinse la figura di Derek Morgan, la fonte del profumo.
“Non è giusto mangiare gelatina davanti ad un paziente che ne va matto” disse, con la poca forza che aveva, ma che stava recuperando pian piano.
“Bentornato tra noi, ragazzino!” esclamò Morgan, sorridendo. Gettò il contenitore, ormai vuoto, nel cestino e si alzò, andando a chiamare il medico, che corse subito.
“Salve dottor Reid! Come si sente?” domandò, gentilmente il medico, appena varcata la soglia della camera.
“Un po' frastornato, ma so che è normale” rispose Reid, tentando di mettersi seduto, il medico corse in suo aiuto.
“E' l'effetto dell'anestesia. Abbiamo estratto il proiettile dalla sua spalla con successo, ma dovrà stare qui per tutta la notte, domani nel pomeriggio potrò dimetterla, salvo complicazioni. Dovrà prendere queste pillole ogni otto ore per due settimane” disse l'uomo, indicando il flacone sul comodino, accanto al letto. Spencer annuì e si guardò la sua spalla sinistra fasciata, si chiese per quanto tempo avrebbe dovuto portare quella medicazione alquanto fastidiosa.
“Potrà volare, dottore?” chiese Derek, che fino a quel momento era rimasto in disperate, silenziosamente.
“Certo. Ora vi lascio, ho altri pazienti. E' stato fortunato, dottor Reid, ci vediamo più tardi.” lo salutò cordialmente e Spencer fece lo stesso. Quando la porta si chiuse e rimasero soli, il più giovane guardò il collega.
“Avanti! Parla pure” lo incitò Reid, consapevole di quello che avrebbe voluto dirgli.
“Non sono qui per rimproverarti, Reid. Per quello c'è Hotch” alzò le mani in segno d'arresa l'uomo di colore.
“Non ho rispettato un ordine ed ho sbagliato, lo so, ma se tornassi indietro non esiterei a rifarlo, Derek.” disse Spencer, non si era pentito delle sue azioni, pur sapendo di aver fatto un errore.
“Perché?” la curiosità vinse l'agente e lo spinse a porre la fatidica domanda.
“Per Aurora. Io...credo di...amarla?” rispose il genio e senza rendersene conto aveva chiuso la frase come se fosse un interrogativo, nemmeno lui credeva alle proprie parole.
“Be' rischiare la tua vita non è proprio il modo migliore per dichiararsi” esclamò Derek, sedendosi accanto al suo letto.
“Io non sono te. A te basta fare un sorriso e sfoderare i tuoi muscoli, così le ragazze cadano ai tuoi piedi. Insomma, guardami! Oltre il mio cervello,che cosa ho?” si sfogò il dottore, mostrando quasi del tutto il suo essere insicuro.
“Hai te stesso, Spencer, che è la cosa più importante. Sii te stesso e vedrai che Aurora non potrà resistere a questo ciuffo!” esclamò l'agente, scompigliandogli i capelli. Entrambi scoppiarono a ridere e l'aria divenne più leggera.
“Sono felice che tu stia bene, ragazzino” sussurrò Morgan, lasciandosi andare ad un breve abbraccio.
“Grazie” mimarono le labbra di Spencer, era un grazie speciale, racchiudeva tutte le volte che aveva avuto bisogno di qualcuno e lui era tra i primi a correre in suo aiuto, per quel che poté, Reid ricambiò la stretta.
Dopo poco Derek uscì dalla stanza per avvisare gli altri e chiamare Garcia, che non gli aveva dato pace.
***
Aurora, sollevata dalla notizia che Spencer era salvo, lasciò per un attimo la mano del fratello e stava per entrare nella stanza, ma lo sguardo dell'agente Hotchner la fece tornare su i suoi passi.
Aaron Hotchner entrò nella stanza ed il rumore della porta fece voltare Reid verso di essa, sorridendo incuriosito. Appena incrociò il duro sguardo del suo supervisore, la sua espressione mutò e deglutì pesantemente. Nessuno dei due parlò ed il silenzio iniziò ad essere opprimente, Reid prese fiato, ma venne interrotto dal suo capo.
“Come stai?” chiese, spezzando l'aria gelida che si era creata, senza addolcire lo sguardo. Un brivido percosse la schiena di Spencer, quello sguardo faceva più male di un proiettile, lo aveva schivato per i ritardi in ufficio, ma non lo avrebbe scansato anche adesso.
“Bene” rispose, non avrebbe mai osato dirgli che la spalla iniziava a fargli male, perché sarebbe stato stupido lamentarsi per un suo errore. Ad un certo Reid trovò uno strano interesse per il lenzuolo bianco che lo avvolgeva ed il silenzio calò di nuovo nella camera.
“Vuoi sapere perché ti ho disobbedito? L'ho fatto per Aurora, credo di essermi innamorato di lei ed ad un certo punto non ero più razionale” fu Reid a rompere il silenzio, stringendo, con la mano libera, il lenzuolo.
“Non è una buona ragione, Reid” replicò severo l'altro, incrociando le braccia a petto.
“Lo so” ammise il dottore “Non sto cercando di giustificarmi, Hotch” aggiunse, continuando a torturare la stoffa di cotone bianco.
“Ti chiedo scusa per non aver rispettato il tuo ordine e per averti mentito, ma non mi pento delle mie azioni” disse sinceramente Reid e stavolta incrociò lo sguardo del suo capo.
“Bene. I medici del pronto soccorso mi hanno dato i tuoi oggetti personali” disse Hotch, avvicinandosi al lettino. Poggiò sul tavolo il distintivo ed il cellulare di Spencer, ma quest'ultimo capì che qualcosa non andava, infatti, poco dopo, notò la mancanza dell'arma.
“E la pistola?” chiese, sperando che non accadesse quello che stava pensando.
“Quella la terrò io, la riavrai quando lo riterrò opportuno” rispose il capo dell'FBI, con tono severo. Reid lo guardò spaesato, non capiva se l'avesse ancora portato con sé nei casi o lo avrebbe regredito a lavoro d'ufficio finché lo avrebbe ritenuto opportuno.
Stava per chiederlo quando il cellulare di Hotch squillò. L'uomo, se possibile, indurì ancor di più lo sguardo, Reid dedusse che non si trattava di buone notizie.
“Hanno trovato un altro cadavere, stesso modus operandi” disse, riponendo il cellulare nella tasca del pantalone di colore scuro.
“Domani sarò dimesso” disse Spencer, così avrebbe potuto aiutarli, almeno dalla centrale, dato la mancata possibilità di usare il braccio sinistro.
“Sei sollevato dal caso dottor Reid e credo che, quando torneremo a Quantico, un po' di lavoro d'ufficio non ti farà male” replicò Hotch, facendo spegnere Spencer come una candela su cui qualcuno aveva appena soffiato. Avrebbe voluto ribattere, ma la porta si chiuse ed Hotch sparì dalla sua visuale, lasciandolo solo.
Lo aveva chiamato << dottor Reid >>, non semplicemente << Reid >> e questo non era affatto un buon segno, anzi, non sarebbe tornato indietro sul provvedimento che aveva preso nei suoi confronti.
Prese in mano il distintivo e lo rigirò tra le dita della mano libera, mentre un dubbio lo assaliva: Aveva ucciso un uomo innocente?



-Salve a tutti! :)
Mi scuso per il ritardo, ma ho avuto dei problemi in questi giorni. Spero che il capitolo vi piaccia e di aver descritto al meglio Hotch, non è un impresa facile decifrarlo a volte! :P
Alla prossima! :33

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Come ti senti?” chiese Roberto, per l'ennesima volta, alla sorella. Erano arrivati in ospedale tramite il pronto soccorso e subito dopo che Roberto aveva spiegato, anche se in linee generali, ciò che era successo, Aurora fu accolta tra le braccia di una dottoressa che l'aveva portata nel suo studio, mentre lui fu medicato per la ferita.
“La dottoressa dice che fisicamente sto bene. Ho solo qualche livido che dovrebbe sparire tra massimo qualche settimana. Il problema è che mentalmente sono a pezzi...” rispose, stavolta onestamente, Aurora dato che prima si era concentrata solo sul senso di colpa per la ferita del fratello. Si sentiva sporca, violata, anche se non totalmente, ma la sensazione di quelle mani sudice sul suo corpo difficilmente se ne sarebbe andata.

Qualche minuto più tardi arrivarono anche i loro genitori, che si precipitarono da Aurora.
“Piccola mia...” sussurrò il padre, baciandole i capelli, mentre la rabbia e l'impotenza presero possesso della sua anima.
“Sto bene. Roberto è ferito...” disse Aurora, come se fosse più importante la spalla sinistra del fratello che la sua aggressione. Roberto le sorrise e continuò a stringerle la mano, come a proteggerla dal mondo esterno. Sua sorella era stata violata e promise a se stesso che non l'avrebbe mai più permesso, che non avrebbe più lasciato la sua mano.


Roberto guardò la sorella, stringendo ancor di più la sua mano. Aveva rischiato la sua vita e per poco non l'aveva persa, non avrebbe retto senza di lei. Come sarebbe andato avanti con la consapevolezza che non aveva mantenuto la sua promessa?
Osservava il suo sguardo teso, fisso verso la porta chiusa della camera dell'agente dell'FBI, che, a detta sua, le aveva salvato la vita. In mezzo a tutti gli agenti si sentì di troppo, una sorta d'intruso. Lui non era altro che un avvocato, mentre quelle persone ogni giorno mettevano in gioco la propria vita per salvarne altre. Erano degli eroi e sua sorella ne faceva parte, nonostante fosse contrario alla sua decisione era orgoglioso di lei e di ciò che era diventata. Sorrise e le baciò il palmo della mano, ma Aurora quasi non se ne rese conto, troppo impegnata a pensare a Reid ed a che cosa gli stesse dicendo il suo capo.
“Perché se la prende con Spencer? Lui non ha colpe!” esclamò verso il resto della squadra.
“Perché Reid gli ha mentito e ha disobbedito agli ordini” rispose JJ, preoccupata del fatto che Hotch non avesse detto niente neanche a loro di quello che avrebbe detto a Reid.
“E questo quanto è grave?” chiese a sua volta Aurora, sentendo un forte dolore alla tempia.
“In una scale normale da uno a dieci, direi sei. Nella scala di Hotch? Undici!” fu Morgan a rispondere ed Aurora trasalì. Derek si sedette accanto a lei, notando la sua faccia sofferente.
“Ti sei fatta vedere da un medico?” chiese, focalizzando lo sguardo sulla ferita alla fronte, medicata velocemente.
“No, ma non ne ho bisogno. Sto bene” rispose lei ed a questa frase Roberto scattò in piedi, preso dalla rabbia.
“Perché non ti sei fatta vedere da un medico?” domandò con sguardo apprensivo, ma allo stesso tempo severo. Aurora non ebbe neanche il tempo di rispondere che Roberto la trascinò dal medico di turno per accettarsi che la sorella stesse bene.
In altre circostanze, molto probabilmente, Derek sarebbe scoppiato in una calorosa risata vedendo la scena tra Aurora e Roberto.
Hotch uscì dalla camera di Reid con un espressione che non prometteva nulla di buona. Tutti rimasero in silenzio, aspettando la notizia che avrebbe gettato tutti nello sconforto.
“Andate in centrale. Ci vediamo lì, Dave vieni con me” disse Aaron, andando via con passo svelto.
“Hotch!” lo chiamò Derek “Che succede?” aggiunse, incrociando lo sguardo del suo superiore.
“Abbiamo una nuova vittima” rispose il capo, entrando nell'ascensore che Rossi aveva chiamato.
JJ e Derek si scambiarono uno sguardo di orrore puro.
***
I due agenti dell'FBI furono accolti sulla scena del crimine dal detective Brown, che aveva uno sguardo terrorizzato all'idea di un altro killer a piede libero.
“Aveva solo sedici anni” disse con disgusto. La ragazza giaceva a terra con varie ferite all'addome non ancora seccate ed un buco in fronte, dove prima doveva esserci il proiettile.
“E' stato veloce, meno accurato di Stephen. Non l'ha presa con sé per gustare della sua sofferenza” disse Hotch, si guardò attorno, era pieno pomeriggio in una zona affollata.
“E' più intraprendente di lui. Forse è un complice, oppure un imitatore” disse Rossi, osservando la vittima: capelli castano scuri, media lunghezza ed occhi del medesimo colore.
“Come si può uccidere una ragazzina?” chiese retoricamente il detective Brown e fu talmente disgustato dalla scena, che si allontanò di qualche metro.
“Sono persone senza scrupoli. Ai genitori penseremo noi, ci sono probabilità, anche se minime, che lei conoscesse il suo assassino” esclamò Rossi, affiancando il detective, sapeva quanto potesse essere difficile per qualcuno che non vedeva spesso queste scene. Loro erano abituati, ma l'impotenza non avevano ancora imparato ad ignorarla completamente.
“Dave. Guarda, ha inciso qualcosa sul palmo della mano destra” l'attenzione di Hotch fu attirata da una mano sporca di sangue, più del dovuto. L'aprì delicatamente ed esaminò la cicatrice, Rossi si chinò accanto a lui.
“Sembra una A...” disse l'italiano, mentre il detective Brown fece segno ad un tecnico della scientifica di avvicinarsi per fotografare il tutto.
“Che cosa vorrebbe significare? Perché una A?” chiese il detective agli agenti dell'FBI.
“Non lo so, ma questa storia non mi piace per niente” sentenziò Hotch andando verso il SUV, seguito da Rossi.
***
Reid continuava a rigirare il distintivo tra le dita della mano libera. Stephen Wilson era sicuramente un serial killer, altrimenti perché darsi la colpa degli omicidi? Che senso aveva? Non avrebbe dovuto fare ragionamenti sul caso, dato che ormai era sollevato da esso, ma il sentimento che provava non gli piaceva. Era distrutto, ma non fisicamente, se non fosse per qualche fitta alla spalla sarebbe stato in perfetta forma, purtroppo non mentalmente. Se Hotch aveva preso un provvedimento così severo nei suoi confronti allora significava che lui lo aveva profondamente deluso e la sensazione di averlo fatto non lo avrebbe abbandonato facilmente.
“Se continui a rigirarlo finirai per rovinarlo” una voce femminile lo distolse dai suoi pensieri e si voltò verso la porta. Sorrise vedendo Aurora che, timidamente, entrava pian piano nella stanza. Non sperava più che lei lo venisse a trovare, che si preoccupasse di lui.
“Non è fragile come credi” disse, ma nonostante questo smise subito di compiere l'azione e lo ripose sul tavolino.
“Senza offesa, ma credo che questo sia più resistente” replicò lei, indicando il suo distintivo che portava al lato della cintura.
“Punti di vista” ribatté Spencer, si mise in modo più composto sul lettino ed Aurora gli andò vicino, sedendosi sulla sedia libera.
“Come stai?” chiese la donna, con sguardo apprensivo, non avrebbe mai dimenticato che quel proiettile era destinato a lei.
“Bene. Non è colpa tua” rispose Reid ed Aurora sentì di nuovo come se qualcuno le avesse letto la mente. Era davvero così facile da decifrare?
“Invece sì. Spencer io...” le parole le morirono in gola, facendo bagnare i suoi occhi. Una lacrima finì sulla mano di Reid e lui, in modo innocente ed imbarazzato, le accarezzò una guancia, asciugandole le altre gocce di acqua salata.
I loro sguardi si incrociarono e ci fu un attimo di silenzio che sembrò un'eternità. Aurora strinse la mano di Spencer, per non farla andare via dalla sua guancia, come se avesse paura di lasciarla. Erano insieme, da soli, viso a viso, con le labbra a distanza minima, bastava solo una frazione di secondo per farle incrociare, ma entrambi erano troppo insicuri per fare quel salto.

Il cellulare di lei squillò e la magia si ruppe. Spencer fece scivolare la mano sul lenzuolo e lei allontanò il viso da lui, entrambi fuggendo dagli occhi dell'altro.
***
Morgan e JJ, insieme agli agenti della centrale di polizia di Toronto, aspettavano il ritorno di Hotch insieme al detective Brown e Rossi. Quando entrarono nel comando le loro espressioni facciali non promettevano niente di buono.
“Ditemi che non è lui, che non è vero che Stephen aveva un complice che si è messo ad uccidere vittime a caso.” disse JJ, l'unica cosa che desiderava era solo abbracciare il suo bambino e crollare tra le braccia di Will, ancora con un briciolo di speranza nell'umanità.
“Vorrei tanto, ma dovremmo cambiare il profilo e valutare seriamente l'idea di un complice” disse Rossi e con questa frase gettò nell'abisso tutti i presenti.
“Che cosa avete fatto per tutto questo tempo? Voi non eravate la migliore squadra dell'FBI?! Forse hanno sbagliato a giudicarvi!” esclamò un agente, in preda alla rabbia. Possibile che bisognava perdere altre vite prima che l'FBI prendesse in considerazione l'idea di un complice?
“Ha ragione! Ed il vostro agente, quello che tutti considerano un genio, non ha fatto altro che uccidere l'unica persona che ci potesse portare da lui!” si unì al grido di rabbia quello che doveva essere il suo partner, dato che le scrivanie erano collegate.
“Il mio collega non ha fatto altro che sparare per salvare la vita della vostra collega e la sua!” replicò Morgan a denti stretti. Una parte di lui poteva comprendere la rabbia dei poliziotti, dato che aveva prestato servizio a Chicago, ma attaccare in questo modo Reid e la squadra lo faceva andare fuori di testa.
“Siete liberi di abbandonare se volete, ma io avrei bisogno della vostra completa collaborazione, per favore” intervenne il detective Brown, senza durezza nella voce, solo la richiesta d'aiuto di un capo in difficoltà, che chiedeva ai suoi agenti di non lasciarlo solo.
I borbotti cessarono e tutti tornarono a scavare nella vita di Stephen Wilson, lanciando occhiatacce verso la squadra dell'FBI.
“Ignorateli e continuate a fare il vostro lavoro. Io conto su di voi e non mi pento di avervi chiamato” disse il detective Brown e gli agenti lo ringraziarono con un cenno del capo.
“Almeno lui ha fiducia in noi” mormorò Morgan verso JJ, seduta accanto a lei. La bionda sorrise con occhi stanchi e terrorizzati da quello che sarebbe potuto accadere.
“Questa ragazza ha delle caratteristiche così familiari. Mi sembra di averle già viste da qualche parte” disse Rossi tenendo tra le mani la foto della vittima, e quando l'agenti Bianchi varcò la soglia della stazione di polizia, accolta da calorosi abbracci da parte dei colleghi, David aggiunse “Ecco dove” continuando a fissarla.
Tutti si voltarono verso Aurora pregando che la deduzione di Rossi fosse solo un errore.

***

“Non vedo l'ora che dimettano Reid, almeno con lui sarà più veloce leggere tutti questi fascicoli!” esclamò Derek, JJ sorrise insieme a lui ed anche Rossi si unì con una silenziosa risata.
“Reid non ci darà una mano” disse Hotch, ancora non aveva comunicato ai suoi agenti la decisione che aveva preso nei confronti di Spencer.
“Che cosa stai dicendo, Hotch? Lui sarà dimesso domani mattina” chiese JJ, costatando l'ovvio, forse il loro capo non sapeva ancora che sarebbe potuto tornare a lavoro tranquillamente.
“Reid non prenderà più parte a questo caso.” sentenziò Aaron, li guardò per pochi istanti negli occhi e poi tornò sul fascicolo che stava esaminando.
“Scherzi?” replicò Morgan, trovandosi spiazzato come gli altri, sperando vivamente che non fosse altro che uno scherzo.
“Ti sembro uno che scherza?” ribatté a sua volta Hotch, con espressione dura in volto, guardando dritto negli occhi il mulatto.
“Tu hai sollevato dal caso Reid solo perché, per la prima o forse seconda volta nella sua vita, ha commesso un errore?” stavolta Derek si alzò dal tavolo, sfidando il suo supervisore apertamente.
“Non solo per questo. Sarebbe potuto morire!” anche Hotch si alzò, accettando la sfida del suo agente senza timori.
Rossi e JJ si scambiarono uno sguardo tra il preoccupato ed il rassegnato, da una parte si trovavano d'accordo con Morgan, ma dall'altra non avrebbero mai sfidato Hotch, almeno non in quel momento, e sapevano che non avrebbero potuto fermare Derek.
“Ma non è successo. E' vivo, Hotch. Già ci manca un membro, non possiamo continuare a fare bene il nostro lavoro senza un secondo!” esclamò l'agente di colore, nessuno dei due accennava ad abbassare lo sguardo.
“Io sono il capo di questa squadra e sta a me decidere che cosa possiamo e non possiamo permetterci! Se non ti piacciano i miei ordini, sei libero di andare, ma per adesso il tuo compito è eseguirli!” ribatté Aaron, e questo fece crollare per un attimo la scorza dura di Derek. Che cosa stava succedendo ad Hotch per comportarsi in questo modo? Per dire queste cose?
“Lo hai appena detto. Sei tu il capo!” si arrese Morgan, buttando il fascicolo sul tavolo in malo modo. Si voltò verso gli altri e nessuno disse niente, allora lui girò i tacchi ed uscì, a denti stretti per la rabbia, dalla centrale, sentendo lo sguardo di Hotch su di sé. Aveva bisogno di fare due passi.



-Salve a tutti! ^^
Come vedete sto facendo capitoli più lunghi del solito e spero che questo non vi crei noia nel leggerli.
Come sempre ringrazio tutti quelli che mi seguono <3
Alla prossima! :33

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Aurora fissava la foto della ragazza di sedici anni sul tabellone. Era così somigliante a lei, che se avessero avuto la stessa età sarebbero state considerate due gemelle.
“Quindi la A incisa sulla mano della vittima sta per il mio nome?” chiese ai pochi agenti rimasti, tra i quali JJ, che sorrise amaramente, annuendo.
“Non capisco. Se io sono il suo bersaglio, perché non rapirmi subito?” domandò ancora, scostando lo sguardo dalle foto.
“Perché sei un agente di polizia e sai difenderti bene, lui ha un piano ben preciso in modo che tu non possa fare resistenza.” rispose Rossi, notando che Hotch non aveva alzato lo sguardo dal telefono sul tavolo, fingendo di guardare i fascicoli, sicuramente in attesa di qualche chiamata o un messaggio da Morgan.
“In pratica vuole distruggermi prima mentalmente...” costatò Aurora, sapere che uno psicopatico è ossessionato da te e che puoi aver scaturito questo meccanismo con un solo sguardo, non è esattamente la notizia più bella della giornata.
“Vorremo farti un intervista cognitiva, in modo da scavare nel tuo passato, se per te va bene” disse JJ, sperando vivamente che Aurora accettasse, perché in quel momento era l'unica possibilità che avevano.
“Tutto pur di prenderlo” annuì la ragazza e seguì JJ in una stanza più tranquilla dove poter effettuare l'intervista.
Rossi le seguì con lo sguardo per poi sedersi accanto ad Hotch, stavolta doveva capire veramente che cosa gli stesse succedendo.
“Ti ho mai detto che non sei un bravo attore, Aaron?” chiese per rompere il ghiaccio “So che c'è qualcosa che ti preoccupa e vorrei sapere cosa, così posso aiutarti” aggiunse. Hotch incrociò il suo sguardo e fece un respiro profondo.
“Sto pensando di chiedere il trasferimento” disse e per Rossi fu come ricevere un proiettile in pieno petto.
“Che cosa? E perché mai dovresti chiederlo?” domandò senza nascondere lo shock per la notizia.
“Potrei dirti che è per Jack, in modo da stargli più vicino perché sta crescendo, ma mentirei ad entrambi. In verità non credo più di essere in grado di guidare questa squadra, forse dovrei farmi semplicemente da parte...” rispose Hotch e Dave, per la seconda volta negli anni in cui aveva lavorato fianco a fianco, vide la vulnerabilità negli occhi del collega, nonché amico.
“Perché? Solo perché hai avuto uno scontro con Morgan o forse perché Reid è rimasto ferito? Sapevi che non sarebbe stato facile essere a capo di una squadra, ma tutti noi nutriamo un profondo rispetto nei tuoi confronti e crediamo in te come capo. Se questa squadra è considerata la migliore dell'unità è anche grazie a te, Aaron. Se tu te ne vai, questo team non farà altro che disperdersi fino a sparire del tutto.” replicò l'italiano, guardando negli occhi l'altro.
“Pensiamo prima a risolvere questo caso poi parlerò anche con gli altri.” disse seriamente Hotch, tornando ad esaminare le foto dei cadaveri, nel frattempo Rossi aveva inviato un messaggio a Derek.
***
Quando entrò nella stanza di Reid, Morgan lo trovò, come sempre, immerso nella lettura di un libro e notò che era quasi alla fine. Capì che non l'aveva sentito arrivare, poiché troppo preso dal libro e quando leggeva Spencer era come se fosse in un mondo tutto suo.
“Che cosa bisogna fare per staccarti un po' dai libri, ragazzino?” chiese retoricamente Derek, facendo sobbalzare Spencer.
“Ehi. Non ti avevo sentito arrivare...” rispose, a sua volta, il giovane. Chiuse il libro e lo ripose sul tavolino, si sistemò meglio sul letto. “Che ci fai qui? Non dovresti essere alla ricerca del secondo SI insieme agli altri?” aggiunse, credeva che non avrebbe rivisto nessuno della sua squadra fino a domani.
“Anche tu dovresti essere lì domani” replicò Morgan, ancora incredulo dal fatto che il capo lo avesse sollevato dal caso.
“Ho capito. Hotch vi ha detto che mi ha sollevato dal caso e tu non sei d'accordo con la sua decisione, così sei andato a fare due passi per schierarti le idee” disse Reid, pur sapendo quanto Morgan odiasse che qualcuno gli facesse il profilo.

“Perché tu sei d'accordo?” ribatté l'uomo di colore, facendo sorride Spencer alla sua affermazione. “Certo che no! Ma io non sono un maschio alfa e non mi sognerei mai di affrontare Hotch!” esclamò Reid. “So che non sei d'accordo con la decisione di Hotch, ma noi ci siamo sempre fidati di lui, perché non farlo anche adesso?” aggiunse Spencer, vedendo l'espressione spaesata sul volto di Derek.
“Quindi non vuoi sapere gli sviluppi del caso?” domandò l'agente ed il dottore alzò di scatto lo sguardo verso l'altro.
“Non voglio metterti nei casini, Morgan” disse, dopo averci pensato su ed in quel momento il cellulare di Derek squillò.
“Devo andare. Ci vediamo domani, ragazzino” disse Morgan, dopo aver letto il messaggio con aria preoccupata.
Spencer ebbe solo il tempo di salutarlo con la mano prima che l'agente sparisse dalla sua stanza. Il ragazzo, rimasto da solo, prese il cellulare che era riposto sul tavolo e compose il numero dell'unica persona capace di trovare anche il più piccolo segreto sul conto di qualcuno.
“Qui è Penelope Garcia, il vostro oracolo personale! Voi mi dite cosa desiderate ed io eseguo, chi mi cerca?” salutò con il suo fare eccentrico l'informatica.
“Garcia, sono Reid. Dovresti fare una ricerca per me” disse, dopo aver riso per la presentazione dell'amica, Spencer e cercò di marcare il più possibile per me.
“Mio piccolo federale spavaldo! Dimmi tutto!” esclamò l'altra, alludendo al fatto che Reid si fosse buttato per salvare Aurora, pronto a morire.
***
JJ si era seduta sulla sedia che era riposta al lato opposto del divanetto in pelle, dove c'era Aurora. “Prima di tutto, voglio che tu sappia che qui sei al sicuro e qualsiasi cosa brutta che ti ritornerà in mente, sappi che ora è solo un ricordo lontano. Sei pronta?” disse la federale, cercando di risultare il più delicata possibile, Aurora annuì.
“Bene. Adesso chiudi gli occhi, che cosa ti viene in mente quando pensi alla tua infanzia?” chiese JJ, notò le mani protese di Aurora e le strinse tra le sue.
“Sono in auto con mamma, papà e Roberto. Stiamo andando a cena fuori ed io sono contenta, perché raramente ceniamo fuori, ma oggi è un giorno speciale” iniziò la poliziotta, dopo aver preso un profondo respiro.
“Bene, ora dimmi perché è un giorno speciale? E' forse il compleanno di qualcuno?” domandò la bionda.
“No, papà ha vinto una causa che sembrava persa in partenza e ne sta parlando con la mamma. Io, però, guardo Roberto che è accanto a me, ha il volto imbronciato, sarebbe dovuto andare ad una festa, ma è stato punito per un insufficienza.” continuò e Jennifer capì che era ora di andare avanti e di portarla alla sua adolescenza.
“Ora andiamo avanti veloce. Raccontami del primo incontro con Stephen, puoi farlo?” chiese, stava andando con calma, perché era sicura che se avesse detto ad Aurora di parlarle direttamente di dieci anni fa l'unica cosa che avrebbe ricordato sarebbe stata la morte dei genitori.
“Eravamo ad una festa, a casa di una mia amica e c'erano anche degli amici di suo fratello. Appena lo vedo mi attrae subito, ma non vado da lui perché mi vergogno. Lo cerco con lo sguardo e dopo un po' i nostri occhi si incontrano, lui mi sorride ed io mi toccò il viso, perché lo sento caldo ed ho paura di essere arrossita. Le mie amiche mi costringono a parlargli e sono convinte che anche lui sia attratto da me, allora mi alzo, ma lui scompare dalla stanza ed io mi sento una stupida. Mi volto verso le mie amiche, ma me lo ritrovo davanti mentre ride perché ha notato la mia faccia spaventava. Si presenta ed io faccio lo stesso, ci sediamo uno accanto all'altra e passiamo la serata insieme.” rispose, a sua volta, Aurora e JJ non poté fare a meno di notare che il corpo si era rilassato, il volto non era più teso come quando aveva parlato dei genitori. Aveva amato davvero Stephen.
“Ora dimmi, c'è stata qualche occasione in cui ti sei sentita a disagio mentre eri con Stephen, come se qualcuno avesse gli occhi puntati su di te?” domandò l'agente, con tono di voce calmo e dolce. Aurora sembrò pensarci su per alcuni minuti e JJ stava quasi per perdere le speranze, quando la giovane sembrò illuminarsi come una lampadina.
“Quando Stephen mi ha presentato al padre ed al fratello. William non mi staccava gli occhi di dosso ed è anche venuto al funerale dei miei genitori. E' stato accanto a me tutto il tempo e mi ha fissato per tutto il tempo, ora che ci ripenso era un po' inquientante.” esclamò l'agente Bianchi e comprese perché il suo istinto, quando William era venuto in centrale, le diceva di non fidarsi di lui. “Il legame tra fratelli è uno dei legami più forti che esista e corrisponde con l'impeto di rabbia sull'ultima vittima.” notò, a malincuore, Jennifer e dopo aver sciolto la stretta delle mani, le donne uscirono dalla stanza.
***
Derek, pur avendo del lavoro da fare, insistette per poter accompagnare Reid dall'ospedale all'hotel dove tutti i membri della squadra alloggiavano.
“Non dovevi accompagnarmi per forza” disse il genio, per l'ennesima volta, mentre apriva la porta della sua camera.
“Smettila, ragazzino! Non mi è costato niente” replicò Morgan, che aveva insistito anche per portargli la borsa, che ora aveva riposto sul letto.
“Hai risolto poi con Hotch?” chiese il giovane federale, mentre cercava un modo per scoprire gli sviluppi del caso in corso, non poteva di certo ignorare che, come aveva detto Garcia, la ragazzina uccisa fosse identica ad Aurora.
“Be', nessuno di noi due è tornato sul discorso. Lo conosci, se ha qualcosa di personale da chiarire con qualcuno di certo non lo fa durante un indagine” rispose Derek e si voltò per andare via, ma Spencer lo bloccò.
“So che il nuovo SI punta ad Aurora. Garcia mi ha detto della somiglianza con l'ultima vittima...” disse e l'uomo di colore alzò gli occhi al cielo. “Non è colpa sua, non sa che Hotch mi ha estromesso dal caso” aggiunse rapidamente Reid.
“Spencer, ti prego, non fare idiozie” disse, sospirando pesantemente, l'altro, l'ultima cosa che voleva era che il suo amico rischiasse di nuovo la vita.
“Tranquillo, ero solo curioso. Tutto qui” esclamò il ragazzo, in modo da tranquillizzare il collega. Morgan sembrò convincersi delle sue parole ed annuì, per poi uscire dalla camera, sperando che Reid non sapesse che avevano già individuato il nome dell'SI e che stavano pensando ad un piano per catturarlo.
Quando Morgan fu abbastanza lontano dalla camera di Reid, quest'ultimo prese il telefono e compose il numero dell'informatica.
“Garcia, allora cosa hai scoperto su William Wilson?” domandò senza nemmeno salutarla, il tempo scorreva e non poteva permettere a quell'essere di arrivare ad Aurora.



-Salve a tutti! :)
Ci stiamo avvicinando sempre di più alla fine di questa storia, credo che non durerà più di due capitoli...
Come vedete, neanche Hotch può fermare il bisogno di proteggere Aurora da parte di Spencer!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e ringrazio tutti quelli che mi seguono!  <3
Alla prossima! :33 

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Aurora percorreva per l'ennesima volta il perimetro della stanza, in attesa di qualche illuminazione su dove potesse essere William. Possibile che le persone di cui un tempo si era fidata ora siano dei serial killer? Forse aveva una specie di attrazione per le persone marce dentro?
William era stato l'unico della famiglia Wilson a darle conforto durante la morte dei suoi genitori e si comportava in modo così...innocente e sinceramente dispiaciuto. Una cosa era certa, William Wilson, sarebbe stato un ottimo attore in un'altra vita.
“Perché non ti siedi, così ti calmi un po'?” le domandò JJ, rompendo il filo di pensieri che scorreva nella sua mente.
“Non posso. Non posso calmarmi sapendo che mi sono fatta scappare un serial killer!” esclamò bruscamente Aurora. Era entrato in centrale ed aveva parlato con lei, Morgan e JJ eppure nessuno dei tre aveva capito il suo bluff.
“Credi che io mi senta meglio? Aurora nessuno aveva collegato William agli omicidi, noi lo abbiamo interrogato come fratello del killer e non come sospettato. Quindi, ora ti siedi e cerchi di calmarti, perché tutta questa frustrazione non è d'aiuto a nessuno!” replicò la bionda, accompagnandola con una mano sulla spalla verso la sedia. L'agente Bianchi prese un grosso respiro e con fascicolo alla mano, analizzò, forse per la centesima volta, gli indizi che avevano a disposizione.
***
Quando Derek tornò alla centrale, dopo aver accompagnato Reid in hotel, trovò davanti a sé una folla di giornalisti accaniti e pieni di domande, si fece strada tra loro dicendo no comment alla rinfusa e varcò l'entrata del distretto.
“Meno male che nessuno doveva sapere che c'era un secondo SI!” esclamò un poliziotto e, con poca grazia, buttò in faccia un giornale al federale.
“E' uno scherzo?” domandò Morgan, leggendo il titolo in prima pagine che recitava a grandi caratteri l'esistenza di un secondo soggetto ignoto con annessa connessione all'ultimo omicidio.
“No, mio caro federale. Tra meno di un'ora lo saprà tutta la città!” replicò l'altro e Morgan lo riconobbe come quello che lo aveva provocato dopo la sparatoria. Fu preso dall'istinto di tirargli un pugno in faccia, ma si limitò a oltrepassarlo per raggiungere gli altri.
“Abbiamo un problema!” esclamò, sventolando il giornale davanti a JJ e Aurora. La prima lo prese e lesse per entrambe quanto scritto.
“Come l'hanno saputo? Ora di sicuro William capirà che lo stiamo cercando!” disse Aurora, passandosi una mano tra i capelli.
“Non ne ho idea, ma credo che ad Hotch non piacerà per niente questa sorpresa” replicò JJ, pensando ad un modo per calmare le acque.
“Come sta, Spencer...voglio dire il dottor Reid?” domandò l'agente Bianchi, dopo qualche minuto di silenzio. Morgan e JJ si scambiarono uno sguardo complice.
“Sta bene. Perché non vai a trovarlo?” rispose Derek, guardando prima la collega e poi Aurora.
“Non posso” rispose la ragazza, iniziando ad arrossire violentemente.
“Certo che puoi! Se ci sono novità ti chiamiamo” la incitò JJ. Aurora guardò entrambi e capì che sapevano che c'era qualcosa tra lei e Reid, anche se neanche lei sapeva che cosa fosse.
Alla fine cedette e si fece dare l'indirizzo dell'hotel da Morgan.
***
Quando Reid sentì bussare alla porta si affrettò a nascondere tutti i fogli su cui aveva scritto vari ragionamenti sul caso e le informazione che Garcia gli aveva passato. Si sarebbe potuto aspettare di trovare sulla soglia della porta Morgan o JJ, preoccupati per le sue condizioni di salute, ma mai avrebbe immaginato di trovarsi faccia a faccia con Aurora, la stessa ragazza che era fuggita via con le gote rosse dalla camera d'ospedale.
“Ciao, Spencer...” lo salutò timidamente, facendo un delicato e piccolissimo gesto con la mano, per poi riportarla lungo il busto.
“Ehi...” rispose Reid, facendo un cenno col capo, sentì improvvisamente la gola seccarsi come se fosse rimasto senza bere per mesi.
“Ti fa male?” domandò lei e istintivamente gli accarezzò la spalla lesa, invece di indicarla semplicemente.
“Non tanto, cioè finché l'antidolorifico fa effetto, ma non voglio abusarne...” rispose lui, beandosi del tocco delicato di lei, anche se per un attimo la sua mente ricordò il passato nel tunnel della droga, ma fu solo un flash quasi insignificante.
“Fai bene, mia madre mi ripeteva sempre di non diventare dipendente dai medicinali e di prenderli solo in caso di assoluta necessità” anche per Aurora fu un flash, un ricordo lontano delle tenere carezze di sua madre quando, da piccola, stava male distesa sul letto di una camera che le sembrava sempre troppo vuota, perché avrebbe voluto che quei gesti d'affetto fossero infiniti.
“Come stai?” chiese Reid, per portarla alla realtà, perché lei non era più la bambina di otto anni che si lamentava per un semplice mal di pancia, ora era un agente di polizia pronta a prendersi un proiettile in corpo pur di proteggere la propria città.
“Non lo so. Non penso che esista una parola che esprima ciò che accade dentro di me...” soprattutto quando sto con te, avrebbe voluto aggiungere, ma era ancora troppo timida per farlo. Il suo cuore, dopo la fine della sua storia con Stephen e la morte dei genitori, era come se fosse congelato in attesa che qualcuno lo liberasse dal gelo, che quel qualcuno fosse proprio Spencer?
Il discorso sembrò finire lì ed entrambi fissarono il pavimento, come a tratti dal colore scuro del pavimento.
“Mi dispiace. E' colpa mia se sei fuori dal caso, non so perché l'agente Hotchner se l'è presa con te, sono stata io a non avvisare e a mentire, non tu...tu hai mentito per me” disse Aurora, dopo aver calcolato bene cosa dire, perché non voleva che quel silenzio diventasse sempre più opprimente.
“Aurora, io ho fatto una scelta, pur sapendo le conseguenze a cui andavo in contro. Come ti ho detto già in ospedale, tu non hai colpe” ribatté Spencer e istintivamente la sua mano non fasciata andò ad accarezzare la guancia di lei, come era successo il giorno prima.
“Spencer...” pronunciò il suo nome e per Reid fu il suono più dolce che avesse mai udito in trent'anni di vita.
“Aurora...” sussurrò lui di rimando e per l'agente Bianchi il suo nome fu la parola più bella mai uscita dalle labbra del dottore.
I loro volti si avvicinarono molto lentamente finché non sentirono il proprio respiro uno sull'altro e allora fu questione di pochi millimetri e secondi, quando le loro labbra si incrociarono nel dolce bacio che nacque in quell'istante. Un bacio mutamente richiesto da giorni, dall'abbraccio che si erano scambiato davanti alla centrale.
***
Quando Aurora tornò alla centrale continuava a torturarsi il labbro inconsapevolmente, doveva parlare assolutamente con Derek.
“Agente Morgan! Ha un minuto?” chiese correndogli incontro, Derek annuì ed entrano in una stanza più piccola e lontana da orecchie indiscrete.
“Che succede? Il ragazzino bacia male?” scherzò il federale, ma dopo aver focalizzato lo sguardo su quello preoccupato di Aurora smise all'istante di ridere.
“Reid sta continuando ad indagare sul caso e credo che sia nei guai. Ha iniziato a parlare di nozioni e linguistica, sinceramente non ho capito granché. Comunque la cosa importante è che lui è convinto che la lettera di minacciata indirizzata a me alcuni giorni fa l'abbia scritta William e non Stephen. Vuole sorvegliare mio fratello da solo e senza un'arma...io ho provato a dissuaderlo, ma non c'è stato verso di fargli cambiare idea. Ho pensato di dirlo a te, perché forse tu puoi farlo ragionare. Ho paura che gli succeda qualcosa” parlò tutto d'un fiato Aurora e a Morgan ci volle qualche secondo per metabolizzare il tutto.
“Dimmi dove si trova e non dire una parola a nessun altro” replicò l'uomo di colore con espressione seria. La ragazza annuì e scrisse l'indirizzo di casa di Roberto su un pezzetto di carta.
Quando uscirono dalla stanza si promisero di far finta che non fosse successo nulla e di avere un'aria disinvolta. Morgan disse a Rossi che doveva fare una cosa e che sarebbe tornato dopo massimo mezz'ora e se poteva avvisare lui Hotch, Dave non obiettò.
“Come avete risolto per la notizia sul giornale?” chiese Aurora, per non destare alcun sospetto, al resto della squadra.
“Ho indetto una conferenza stampa tra un paio d'ore, così potremmo placare l'ira dei giornalisti e dei cittadini. Dobbiamo fare attenzione a non far saltare fuori il nome di William, altrimenti l'avremmo perso definitivamente” rispose JJ, così Aurora si offrì come supporto, tanto per occupare la mente in attesa che Morgan facesse cambiare idea a Reid e portasse al sicuro Roberto.
***
“Tanto intelligente quanto stupido! Che cosa pensi di fare da solo e con una spalla fasciata?” urlò Derek contro Spencer, non appena lo ebbe tirato in un vicolo vicino casa di Roberto.
“Tu che diavolo ci fai qui?” replicò il dottore, scacciando la mano di Derek che batteva contro il suo addome.
“Sono qui per non farti fare idiozie, ragazzino! Ora vieni in macchina con me e ti riporta all'hotel!” ribatté Morgan, in un tono che non ammetteva obiezioni.
“Assolutamente no. Sono sicuro che William verrà qui e tu non mi porterai via...neanche con la forza, Morgan” disse Reid e scandì bene ogni singola parola. Non avrebbe permesso che Derek lo obbligasse a fare qualcosa che non voleva e, in teoria, non era neppure in servizio quindi quello che faceva della sua vita non erano affari suoi.
“Se Hotch scopre che hai continuato ad indagare pur essendo fuori del caso sai già cosa rischi, Reid” disse il collega, tentando di giocarsi l'ultima carta del mazzo.
“Lo so meglio di te” ribatté l'altro e Derek vide nel suo sguardo una determinazione che raramente aveva visto prima, solo allora capì che non poteva fare altro che arrendersi.
“Almeno prendi questa” disse e si chinò per sfilare la seconda pistola che portava alla caviglia, gliela porse e Spencer, all'inizio un po' titubante, annuì.
“Grazie” sussurrò, mentre la riponeva nella fondina dove c'era la sua pistola, che il capo gli aveva confiscato.
“Se davvero William verrà a cercare Roberto, allora sarà sicuramente armato. Vedi di non colpire nessun altro a parte lui e poi chiamami immediatamente, chiaro?” disse Morgan con tono serio e Reid annuì per poi tornare nella posizione di prima, dove poteva sorvegliare la casa di Roberto. L'uomo di colore lo guardò e sorrise tra sé e sé, Spencer era davvero cresciuto.  



-Salve a tutti e scusatemi per il ritardo, ma ho avuto vari problemi di salute che mi hanno messo ko per un po'...
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e, come sempre, ringrazio tutti quelli che mi seguono. 
A presto! <3

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Ti rendi conto? Ci ha visti, Kim! Roberto ha visto me e Stephen mentre ci baciavamo nonostante fossimo a quasi tre isolati da casa mia!” urlò Aurora verso quella che era la sua migliore amica, lei sapeva della relazione clandestina tra Aurora e Stephen e, alcune volte, si ritrovava a coprire l'amica.
“Calmati! Pensi davvero che correrà a raccontarlo ai tuoi?” la prese per un braccio e la trascinò in un luogo più nascosto, perché altrimenti l'avrebbe saputo tutta la scuola per quanto Aurora urlava.
“Tu non hai visto il suo sguardo...era così freddo e, credo, deluso. Poi ha guardato Stephen come se fosse il peggior criminale” spiegò Aurora, dopo aver ripreso fiato. Rabbrividì ricordando gli occhi del fratello su di loro. Avevano preso tutte le precauzioni: Stephen quando l'accompagnava la lasciava minimo due isolati prima, poi non andavano mai in posti dove avrebbe potuto incrociare qualche membro della sua famiglia, aveva perfino calcolato gli orari esatti quando i suoi e il fratello uscivano di casa.
“Prima o poi vi avrebbero comunque scoperti! Siamo serie, Aurora, da quanto va avanti questa storia? Due? Tre mesi? Non ho mai capito come fate a vivere una relazione in questo modo, stando sempre e costantemente attenti ad ogni passo che fate” disse Kim in modo sincero. Aurora pensò che avrebbe rifatto tutto perfettamente uguale, perché Stephen era la cosa migliore che le era capitata e avrebbe dato la vita per lui.
“Non riesco nemmeno a immaginare una vita senza di lui, Kim. Lo amo davvero e se questa storia è tutto un grosso errore, allora è il mio sbaglio più grande che ripeterei anche ad occhi chiusi.” replicò Aurora e l'amica capì dal suo sguardo quanto l'amore per Stephen fosse grande, perché lei non era mai andata contro i suoi genitori, neanche se qualcuno l'avrebbe pagata, ma ora era bastata una festa ed un bacio dato in una frazione di secondo per farle cambiare idea così rapidamente.
“E allora, se ci tieni davvero a lui, parla con tuo fratello e se ti sa leggere negli occhi come me capirà che non può condannarti a morte!” l'ultima frase l'aveva detta per sdrammatizzare e anche perché lei non era un tipo che si perdeva in sdolcinate varie, al contrario di Aurora un'anima romantica come poche.


Non seppe il perché, ma quel ricordo le ritornò prepotentemente in mente e non fece a meno di sorridere ripensando ai rari momenti dolci di Kim. Ovviamente, il fratello l'aveva coperta e non era andato a spiattellare tutto ai genitori, conscio del fatto che l'avrebbe messa in guai seri, ma, ogni volta, non mancava di condividere insieme ad Aurora la sua disapprovazione sulla strada che aveva intrapreso.
Si passò una mano tra i capelli, come a scacciare i ricordi lontani perché sapeva che, prima o poi, sarebbero stati sostituiti con quelli dolorosi e non era pronta per affrontare nuove sofferenze.
Unì i capelli come se volesse legarli, ci pensò anche su, ma non lo fece e se li accarezzò portandoli sulla spalla sinistra, guardandosi le punte. Da quanto tempo non li tagliava? Le doppie-punte si potevano vedere da lontano per quante ne erano eppure, nonostante sua madre, fin da piccola, le ripetesse che i capelli lunghi e folti, come i suoi, andassero tagliati minimo due volte all'anno, lei non le aveva mai dato ascolto, perché Aurora non sopportava l'idea di doverli tagliare e solo se la situazione fosse stata tragica, come lo era adesso, avrebbe preso in considerazione l'ipotesi di prendere un appuntamento dal parrucchiere.
Lo squillo del cellulare la riportò, suo malgrado, alla realtà che la circondava e dalla quale era scappata per alcuni minuti.
All'altro capo dell'apparecchio elettronico c'era Kate, che con voce incrinata dalla lacrime cercava di farsi capire dalla cognata. Aurora, tra i vari singhiozzi, riuscì a decifrare solo alcune parole, ma bastarono per metterla in allarme: Roberto è stato rapito.
Le disse che avrebbe mandato una pattuglia a prendere immediatamente lei e Ellie, per portarle in centrale e farsi raccontare tutto, dopo averle offerto qualcosa per calmarla, ovviamente.
Dopo aver chiuso la chiamata cercò con lo sguardo Morgan, perché se Roberto era stato rapito, quasi sicuramente anche Reid si trovava nella stessa orribile situazione. Lo trovò a fissare il cellulare in attesa di qualche segno di vita di Spencer o di Garcia, molto probabilmente.
“Roberto è stato rapito” gli disse, dopo essersi avvicinata abbastanza da non far ascoltare a nessun altro quella frase, che racchiudeva tutta la tragedia della situazione.
Dopo aver ottenuto, con successo, l'attenzione del federale, gli spiegò quello che Kate, tra le lacrime, le aveva raccontato. E, insieme, arrivarono alla medesima conclusione: Reid era stato rapito insieme a Roberto.
“Credo che dovremmo dirlo anche agli altri” sussurrò Aurora ed il suo sguardo si posò, inevitabilmente, sulla figura dell'agente Hotchner.
“Tu dici?” le rispose, in modo ironico, Derek, si passò una mano sul viso preparandosi mentalmente alla reazione di Hotch.
***
Reid si svegliò e sentì un dolore allucinante alla nuca, se la toccò con la mano buona e realizzò con sommo piacere che non sanguinava. Subito dopo si accorse che non era legato e che la stanza dove era stato confinato dovesse essere una specie di cantina. Con la luce fioca della lampadina precaria sul soffitto, distinse la figura di Roberto. La sua fronte sanguinava e, poco distante da lui, c'era una siringa vuota. Rabbrividì, realizzando che cosa potesse avergli iniettato, istintivamente si controllò le braccia e le gambe, costatando che a lui non era stato fatto alcun buco. Probabilmente, con una spalla fasciata e la pistola di Morgan presa da William, quest'ultimo non lo considerava un pericolo. Gli andò vicino e controllò il polso per verificare che fosse ancora vivo, sospirò quando lo sentì ed ebbe la conferma che era solo stordito. Prese la siringa accanto al corpo tremando leggermente con la mano, poiché in quei momenti i ricordi di ciò che aveva passato erano più vividi. La annusò e studiando meglio lo stato in cui giaceva Roberto, capì che doveva trattarsi di un banale sonnifero, giusto per tenerlo a bada un po'.
Si alzò in piedi ed iniziò a studiare scrupolosamente il perimetro nel quale erano confinati e, con non poca rassegnazione, vide che l'unico accesso era la porta in cima alla breve scala di legno. Non c'era neanche una finestra o un piccolo punto dove i raggi solari potessero far luce, quindi non sapeva se fosse notte o giorno e nemmeno da quanto tempo si trovassero in quel luogo.
Non restava altro da fare se non sperare di uscire da lì il più presto possibile sani e salvi.
Istintivamente pensò ad Aurora, al loro bacio e a quanto quest'ultimo lo facesse sentire in grado di toccare il cielo con un dito, cosa fisicamente impossibile, lo sapeva bene. Eppure quel piccolo gesto aveva racchiuso tutto ciò che potesse definirsi amore. Una volta, Hotch, nei primi anni di lavoro gli chiese di definire l'amore e lui rispose meccanicamente che esso non era altro che un processo chimico legato alla feniletilamina, molecola contenuta nel cioccolato e nei piselli.
Ora, però, dopo quello che aveva provato incrociando le labbra di Aurora si chiese che cosa fosse realmente l'amore, oltre ad una semplice reazione chimica. E, soprattutto, era quello che provava per l'agente Bianchi? Se sì, come doveva gestirlo?
***
Morgan e Aurora avevano deciso, di comune accordo, di dividersi i compiti. Lei avrebbe parlato al detective Brown, Rossi e JJ, mentre lui ad Hotch, dato che lo conosceva meglio dopo che aveva lavorato con lui per anni.
Derek sapeva che JJ e Rossi non rappresentavano un grosso problema e che si sarebbero concentrati solo sul trovare Reid e Roberto. Hotch, però, doveva fare la parte del capo e, seppur preoccupato per la vita di Roberto e Reid, sapeva che si sarebbe concentrato anche sulle azioni di Morgan, contro i suoi ordini.
Sorprendentemente, però, Hotch si era limitato ad uno sguardo severo e a dirgli che, a caso chiuso, avrebbe parlato con lui e Reid da soli in modo da chiarire tutto ciò che stava accadendo. Ora l'importante era trovare i due e riportarli a casa.
“Penso che sapete già tutto e che Aurora vi abbia informato dei fatti” esclamò Hotch appena uscito dalla stanza dove Derek gli aveva spiegato la vicenda.
“La cosa più importante è riportare Roberto e Reid a casa sani e salvi. Siamo tutti consapevoli delle probabilità e sappiamo quanto la tempistica sia essenziale in questi casi” iniziò il discorso e tutti erano attenti in attesa di ordini. Con la coda dell'occhio, Aurora intravide Kate e Ellie entrare in centrale e per evitare che ascoltassero cose alquanto spiacevoli andò da loro.
“JJ tu occupati di Kate e la figlia insieme ad Aurora. Morgan, tu e Rossi rivedete il profilo e tutto ciò che ci può far capire dove William si nasconda. Detective, io e lei studieremo una tattica per farci consegnare i due ostaggi possibilmente senza perdite. Dobbiamo fare del nostro meglio, muoviamoci.” appena le disposizioni furono date tutti si misero a lavoro con un solo scopo: riportare Reid e Roberto a casa.
***
Interrogare Kate non sarebbe stata una passeggiata e JJ lo sapeva. Lei era moglie e madre e poteva immedesimarsi in ciò che Kate stava affrontando, qualcuno le stava portando via il padre di sua figlia e l'uomo con cui aveva deciso di condividere il resto della sua vita.
Aurora, ovviamente, si occupò di tenere a bada Ellie e JJ sperò vivamente che questo non la portasse a fare promesse senza avere certezze concrete.
Fortunatamente tra un singhiozzo e l'altro, JJ ottenne qualcosa che si avvicinava ad una deposizione e poté ricostruire gli ultimi passi di Roberto. Stava per entrare nella stanza dove c'erano Aurora e Ellie, ma si fermò sentendole parlare.
“Riporterai a casa il mio papà, vero zia?” chiese la bambina con sguardo supplichevole, i suoi occhi grandi si specchiarono in quelli di Aurora.
“Certo, piccola.” rispose l'agente abbracciando la nipotina. Non avrebbe permesso a William di rovinare l'infanzia di Ellie e la vita di Kate. Loro non meritavano di soffrire, ma soprattutto, non avrebbe permesso a William di portarle via suo fratello e colui che gli aveva fatto battere di nuovo il cuore dopo anni di silenzio.
Sciolsero la stretta quando udirono la porta aprirsi e Aurora vide spuntare la figura di JJ. Con un solo sguardo capì che la conversazione con Kate fosse andata a buon fine e disse ad Ellie di correre dalla mamma, perché aveva bisogno di lei.
“Non dimenticare una cosa, Ellie. Se vuoi piangere, fallo. Se vuoi gridare, urla più forte. Se vuoi restare semplicemente in silenzio allora restaci. Non fermare le tue emozioni, fai ciò che senti.” prima di mandarla via le disse questa frase e JJ restò particolarmente sorpresa.
“Di solito si dice: sii forte, so che puoi farcela” scherzò e guardò Aurora con sguardo perplesso.
“Lo so, ma troppe persone me lo hanno detto quando i miei genitori morirono ed io mi chiedevo perché non potevo piangere e dar sfogo a tutto ciò che provavano. Perché dovevo essere forte e fingere che andasse tutto bene, allora mi sono promessa che io non avrei mai detto quella frase a nessuno, ma avrei semplicemente detto di fare ciò che quel qualcuno provasse, indipendentemente da quello che fosse.” ribatté lei e la bionda fu stupita dalla logica di quella risposta, le accarezzò il braccio in modo da farle capire che poteva comprendere il perché di quella frase.
“Andiamo a riprenderci i nostri ragazzi!” esclamò e un sorriso, seppur tirato, si fece strada sulle labbra di Aurora.
***
Impiegarono cinque minuti per capire dove William avesse portato i due e solo trenta secondi per mettersi in auto per correre a salvarli. Sommariamente solo sei minuti...solo sei minuti per riassumere un caso di dieci anni. Solo sei minuti per raggiungere il luogo dove erano certi si trovasse William. Possibile?
Aurora osservava assente tutto ciò che stava accadendo attorno a lei. Sapeva che William voleva ucciderla emotivamente, portarla al limite, ma quello era troppo anche per un essere perfido come lui. William non solo con l'aiuto di Stephen aveva ucciso i suoi genitori, ma ora aveva rapito Reid e Roberto per portarli nella casa in cui un tempo abitava insieme ai suoi. Aveva violato l'unica cosa che era rimasta pura in tutta la sua vita, l'unico pezzo che avrebbe potuto, seppur spiritualmente, unire le anime della sua famiglia. Il luogo nel quale custodiva i suoi ricordi più profondi, dove aveva pianto fino a prosciugare le proprie lacrime. Dove, quel giorno di dieci anni fa, la sua vita fu cambiata per sempre.
“Ci vado io” lo aveva detto quasi con un sussurro, così lo urlò per sovrastare la confusione che si era creata. Con queste tre parole attirò su di sé gli sguardi di tutti i presenti.
“Assolutamente no!” fu il detective Brown a parlare, la stessa persona che, da agente qualunque, bussò alla porta di una ragazza di sedici anni per darle una devastante notizia, dieci anni prima.
Aurora lo guardò negli occhi con sguardo determinato: se William aveva sempre puntato a lei perché non andare e affrontarlo una volta per tutte? Perché continuare a rincorrersi a vicenda? Era stanca di fuggire, voleva solo riprendersi le persone che amava e chiudere per una buona volta tutta quella storia, definitivamente.
Non ascoltò gli ammonimenti del suo supervisore mentre si sfilava il giubbotto anti-proiettile e la pistola, per darli a JJ, ferma accanto a lei. La bionda aveva capito fin da subito che niente l'avrebbe fermata, nemmeno il rischio di essere licenziata seduta stante. Anche gli altri agenti dell'FBI non proferirono parole e si limitarono ad osservare in silenzio Aurora che si incamminava ad affrontare il suo passato per porre la parole fine a quella storia che la stava scavando nell'anima.
***
Rientrare di nuovo in quella casa le procurò dei brividi alla schiena. Aveva varcato più volte la soglia di quella casa da quando lei e suo fratello si erano trasferiti, ma mai aveva avuto la sensazione che la sua vita sarebbe dipesa da quello che sarebbe accaduto nei prossimi minuti.
Come sospettava, si ritrovò con una pistola dietro la nuca e William a impugnarla. Alzò le mani in segno di arresa e prese un grosso respiro, le danze erano iniziate.
“Dove sono?” chiese fredda, senza lasciar trasparire nessuna emozione. Lo sentì ridere e, dopo aver costatato che non avesse armi con sé, allentare di poco la presa della pistola.
“Cammina. Ti ricordi la cantina, vero? Quella dove tu ti nascondevi per parlare con Stephen. Non dirmi che l'hai dimenticata!” esclamò e Aurora incassò l'ennesimo colpo, sapeva tutto su di lei, era a conoscenza di ogni dettaglio. Iniziò a incamminarsi e scese le scale verso il seminterrato, con la paura che William le potesse conficcare un proiettile in testa in ogni momento.
Quando accese la luce e la stanza fu illuminata lo sguardo andò alla ricerca di Roberto e Spencer: il primo era accasciato in un angolo con del sangue incrostato in una ferita sulla fronte, si sentì morire in quello stesso momento. Il secondo, invece, era vigile ma non osò alzarsi in piedi, poiché William aveva una seconda pistola puntata nella sua direzione. Incrociò lo sguardo di Aurora e, per quel che poteva, cercò di trasmetterle sicurezza e fiducia, Spencer credeva in lei.
“Perché non li lasci andare? Hai me è questo che hai sempre voluto” disse la ragazza con voce stranamente calma.
“Davvero credi che sia così facile?” sghignazzò l'uomo, spostò l'arma nella direzione di Roberto e Aurora fu presa dall'istinto di fermarlo, ma si trattenne.
“Mio fratello è morto per colpa tua e voglio che provi lo stesso dolore che sto provando io!” esclamò e caricò la pistola, pronta a sparare.
“Lui non può difendersi. Davvero vuoi uccidere un uomo disarmato e non vigile? Stephen ha fatto una scelta e se non avessi premuto il grilletto lui avrebbe ucciso sia me che un agente dell'FBI. Davvero credi che l'avrebbe passata liscia dopo aver commesso l'omicidio di due agenti?” Aurora tralasciò il fatto che a sparare a Stephen non fosse stata lei, ma Reid. Infatti quest'ultimo la guardò con sguardo interrogativo, ma tacque.
“Saremmo scapati e ci saremmo lasciati tutto alle spalle. Però a causa tua niente di questo sarà possibile! Lui era il mio fratellino, non doveva morire!” replicò William e l'agente vide della vulnerabilità nei suoi occhi mista a rabbia.
“Ora sai cosa ho provato io, cosa abbiamo provato io e Roberto, quando avete ucciso i nostri genitori. Il nostro mondo è caduto a pezzi, come quello di altre famiglie che avete rovinato!” stavolta non riuscì a placare l'istinto e diede voce ai suoi pensieri in tono velenoso.
“Non lasciare che il passato influisca su ciò che sei oggi, non fargli prendere il sopravento sulle tue scelte” la voce di Spencer, un sussurro che, fortunatamente, William non udì, fece placare l'ira che si stava impossessando di Aurora. Fu allora che la ragazza capì, se voleva che tutti uscissero illesi da lì allora doveva stabilire un contatto con l'uomo e convincerlo ad arrendersi.
“C'è davvero bisogno di altre vittime? Di mettere fine ad altre vite? Mi dispiace per Stephen, ma non mi ha lasciato via d'uscita. Tu, invece, puoi scegliere. Ragiona, fuori ci sono dozzine di poliziotti che appena sentiranno uno sparo faranno irruzione, la domanda è: vuoi uscire vivo o morto da qui?” riprese a parlare in modo calmo e razionale. Non pronunciò mai la parola casa, per il semplice fatto che non poteva definirla tale. La casa è un posto in cui ti senti al sicuro e protetto, mentre lei stava oscillando tra la vita e la morte.
William non sghignazzava più e la vulnerabilità prese totale possesso del suo sguardo. Abbassò le armi e le gettò a terra, Aurora le prese e inserì la sicura. L'uomo si inginocchiò e mise le mani sulla testa senza che gli fu ordinato, l'agente raccolse una corda da un vecchio baule e gli legò le mani, mentre Spencer corse ad avvisare il resto della squadra e urlò di chiamare i soccorsi.
In attimo il quartiere fu invaso dalle luci della polizia e dell'ambulanza. Reid fu medicato da alcuni paramedici sul posto, mentre Roberto fu portato di corsa in ospedale dopo che Spencer comunicò che non aveva ripreso conoscenza da ore.
Aurora, invece, ammanettò William e gli elencò i suoi diritti, mentre lo scortava verso la pattuglia che lo avrebbe preso in custodia.
Fu con il sottofondo delle sirene e le loro luci, che l'agente Bianchi corse tra le braccia del dottor Reid e lì poté sentirsi, finalmente, a casa.



-Sono tornata con un capitolo bello lungo, così magari riuscite a perdonarmi la lunga assenza! ;)
Mi scuso anche per eventuali errori/ripetizioni, ma dopo ore passate al pc qualche cosa può anche sfuggire, comunque spero che non sia così.
Tranquilli che questo non è l'ultimo capitolo e non vi lascerò appesi sul destino di Aurora e Reid. Ci sarà un altro (spero simile a questo come lunghezza, ma non prometto niente) capitolo: l'ultimo della serie! 
Spero che questo capitolo vi piaccia che non vi annoi. Grazie di tutto <3
Alla prossima! :33 

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


L'abbraccio che li univa sembrava infinito. Spencer l'aveva accolta tra le sue braccia e non l'aveva lasciata neppure in auto, quando Morgan li aveva accompagnati in ospedale. Nessuno proferì parola, l'unico rumore che si udiva erano i loro respiri l'uno sull'altro.
“Dieci anni...” sussurrò Aurora, ancora appoggiata al petto di Reid. Erano in piedi davanti alla camera dove Roberto era stato ricoverato ed Aurora lo guardava come se volesse vegliarlo da tutto, come se si sentisse in colpa di ciò che era successo...William voleva lei e ci sarebbe dovuta essere lei distesa su quel letto non Roberto. Non la persona che veniva prima di chiunque altro, perché un fratello viene prima di tutto.
Spencer, dal canto suo, restò in silenzio e non osò chiedere il perché di quel sussurro. C'erano voluti dieci anni prima di scoprire la verità ed ora non potevano nemmeno abbracciarsi liberi da ogni dubbio. Dovevano aspettare ancora per essere felici ed Aurora stava male, avrebbe voluto piangere ma non voleva mostrarsi fragile.
“Io vado a prendermi un caffè. Tu ne vuoi uno?” le chiese baciandole i capelli, Aurora si staccò dal suo petto e i loro occhi si incrociarono per la prima volta dopo il bacio che aveva scombussolato il cuore di entrambi.
“No, grazie. Voglio solo stargli accanto, parlare con lui...” la carezza di lui sul viso la zittì, l'attrazione era forte e le loro labbra erano come due poli opposti che per legge fisica si attraggono a vicenda, ma Spencer, prima di baciarla ancora, doveva chiarirsi le idee perché l'ultima cosa che voleva era causarle altre sofferenze.
Così distolse lo sguardo e andò via, lasciandola sola e col cuore tremante.
Aurora presa dalla voglia di stringere la mano del fratello, varcò la soglia della stanza e si sedette vicino al letto, incurante del divieto assoluto di vederlo che i medici le avevano dato. Doveva parlare con lui, perché nessuno poteva sostituire Roberto, lui la conosceva e Aurora sapeva che, pur incosciente, poteva sentirla.
“Non so che cosa credere, molti dicono che le persone nello stato in cui ti trovi adesso riescono a sentire, altri dicono di no, ma non mi importa, perché io ho bisogno di te, Roberto. Ho bisogno di parlarti...” iniziò e strinse la sua mano, con l'altra gli accarezzò il viso piegando le labbra in un amaro sorriso.
“Guarda che cosa ti ho fatto, è colpa mia se ti trovi disteso su questo letto. E' colpa mia se Kate e Ellie sono in sala d'attesa e non hanno intenzione di muoversi da lì. Se solo avessi saputo che diventare un agente ti avrebbe portato a questo, magari ti avrei dato ascolto. Perdonami, Roberto, per tutto. Ti chiedo infinitamente scusa, perché la colpa è solo mia se il nostro rapporto si è incrinato, prima che scoprissi della mia decisione di diventare un agente di polizia era tutto perfetto per quanto la nostra vita ce lo permettesse. Solo ora mi rendo conto del male che ti ho fatto e dei pericoli a cui ti ho esposto. Non lasciarmi, ti prego, non abbandonarmi anche tu...” il groppo in gola stava diventando sempre più fastidioso e le parole erano spezzate da alcuni singhiozzi.
“Sai non sarei dovuta entrare a salvare te e Spencer, sono andata contro gli ordini del mio detective e non dovrei neanche essere qui, perché i medici ci hanno proibito di vederti e Kate è molto più ragionevole di me. Lo è sempre stata e anche tu, io sono la testarda della famiglia, come mi ripeteva sempre la mamma. Lei dovrebbe essere qui, ho proprio bisogno di un suo abbraccio in questo momento, perché ho paura. Ci vorrebbe la mamma con quel sorriso, lei era la sola che riusciva a farti credere che sarebbe andato tutto bene. Mi manca ogni giorno e non è vero che il tempo guarisce tutto, perché io mi sento morire ogni volta che penso a lei o a papà. Dovrebbero essere qui, insieme a noi, dovremmo essere tutti seduti intorno al tavolo per il pranzo domenicale a raccontarci com'è andata la settimana. Invece no, non è così, perché loro non ci sono e tu sei qui, in questo letto, a lottare. Lotta, non smettere mai, fallo per Kate che ha bisogno di suo marito, per Ellie che ha bisogno di un padre e per me che ho bisogno di te più di tutte.” smise di parlare, perché le lacrime presero il sopravento e, dopo avergli lasciato un bacio sulla fronte se ne andò, prima che potesse entrare qualcuno. Corse in bagno e lì, accasciata a terra, pianse tutte le sue lacrime.
***
Reid stringeva il caffè tra le mani da quasi cinque minuti, sorseggiandolo solo pochissime volte. La sua mente era rivolta a tutt'altro e la paura di aver sbagliato tutto lo stava impossessando pian piano.
“Finalmente Aurora ti ha mollato!” scherzò Morgan mentre si prendeva un caffè anche lui, dopo quel caso infinito ne aveva veramente bisogno.
“Questo caffè è orrendo! Capisco perché non lo hai bevuto!” esclamò dopo averne bevuto un sorso, lo fissò attentamente negli occhi e allora capì che l'approccio scherzoso non era andato a buon fine.
“Come stai?” chiese, infine, mentre con un braccio lo accompagnava sulla sedia per parlare più tranquillamente.
“Bene, almeno fisicamente, perché per il resto mi scoppia la testa. Perché le relazioni umane sono così complicate?” rispose Spencer, cercando in Morgan una risposta ai suoi interrogativi.
“Ragazzo, è l'amore che è complicato. Di cosa hai paura?” domandò l'amico e il dottore si ritrovò spaesato perché non seppe dare una risposta logica.
“Non lo so. Ho paura di rovinare tutto con Aurora. Lei abita qui a Toronto, mentre io sono sempre in viaggio, come potrà mai funzionare, Morgan?” per l'ennesima volta si ritrovò a rispondere con una domanda e il timore che quell'amore, come lo aveva chiamato Derek, fosse impossibile iniziava a farsi strada prepotentemente.
“Se ciò che provate è veramente forte allora funzionerà, devi solo crederci e lottare.” lo rassicurò l'amico.
“Lei ha lottato per così tanto tempo come posso pretendere che lo faccia anche per me?” chiese Reid e abbassò lo sguardo improvvisamente attratto dal pavimento immacolato.
“Non sei tu che glielo devi chiedere, ma sta a lei decidere se ne vale la pena.” rispose Morgan, dandogli una pacca sulla spalla.
“Spero che per lei ne valga la pena” sussurrò, passandosi una mano sul volto e nei capelli. Con la coda dell'occhio Spencer vide Hotch avvicinarsi e pregò mentalmente che non gli volesse parlare proprio adesso, perché non lo avrebbe retto.
“Siete qui. Come va la testa?” domandò l'uomo a Reid, ottenendo l'attenzione di entrambi i suoi agenti.
“Bene, è solo un graffio.” rispose Spencer cercando il più possibile di non incrociare il suo sguardo, cosa che tentò di fare anche Morgan.
“Come sta Roberto?” domandò di nuovo Hotch, con la stessa voce ferma di prima.
“E' stabile, ma ancora incosciente ed Aurora è a pezzi. L'ho lasciata poco fa davanti alla sua stanza e non credo che si sia mossa di lì” rispose il dottore e si alzò per gettare il contenitore del caffè, ormai vuoto. Hotch li fissò per un'ultima volta con sguardo duro, prima di voltarsi e andare via.
“Dobbiamo per forza tornare a lavoro con lui? No, perché non vorrei essere l'attrazione principale al mio funerale.” esclamò Morgan verso Reid e quest'ultimo si mise a ridere.
“Scusa se ho coinvolto anche te in questo guaio” disse Spencer e Derek scrollò le spalle, continuando a sorseggiare il suo caffè orrendo.
***
Aurora era appena rientrata a casa, quando vide suo fratello in cucina con le braccia conserte e sguardo truce.
“Sì, lo so ho fatto tardi per la cena, ma appena vedrai cosa ho fatto comprare a Kate mi ringrazierai!” esclamò la ragazza mentre si toglieva guanti e sciarpa.
“Mi spieghi che cos'è questa?” domandò Roberto in tono freddo, con la mano indicò una busta intestata a lei sul tavolo. Aurora si avvicinò piano e, una volta presa in mano, ne lesse il contenuto. Rimase pietrificata, era la lettera che le confermava il suo ingresso nell'accademia di polizia, alla quale aveva fatto domanda qualche settimana addietro. Ovviamente il fratello ne era completamente allo scuro, perché Aurora riteneva che fosse stato inutile litigare con lui prima ancora di avere la certezza di essere stata ammessa.
“Te lo avrei detto non appena avessi avuto una risposta di conferma. Non volevo litigare con te” parlò con tono dispiaciuto, ma nonostante questa scelta l'avesse portata contro il fratello ne era convinta. Voleva diventare un agente della polizia di Toronto.
“E non hai pensato a consultarmi? Ero sicuro che volessi fare la giornalista!” replicò Roberto sempre con tono distaccato e freddo.
“Lo sai che non scrivo da quella notte” ribatté Aurora e chiuse gli occhi per bloccare una lacrima che stava per scendere.
“Proprio per quello che è successo quella notte non voglio che rischi la vita ogni giorno!” stavolta non riuscì a contenersi e quella frase la urlò.
“Io non pretendo che tu capisca, Roberto. Quello di cui ho bisogno è solo il tuo appoggio. Non cambierò la mia scelta solo per una tua imposizione, perché tu non hai nessuna autorità su di me, non più. Questo è ciò che voglio essere, voglio evitare agli altri le sofferenze che abbiamo dovuto subire noi.” la sorella non reagì con un tono di voce alto, ma calmo e pacato. L'ultima cosa che voleva era peggiorare la situazione e iniziare una gara a chi urlava più forte.
“Abbiamo già perso tanto, Aurora. Non voglio perdere anche te, non lo sopporterei” disse Roberto e si avvicinò alla sorella, le sfiorò il viso delicatamente con la mano.
“Tu non mi perderai, Roberto. Voglio solo il tuo appoggio e che tu sia orgoglioso di me e della mia scelta. Chiedo tanto?” replicò lei, stringendo la mano con la quale il fratello le aveva accarezzato il volto.
“Non posso, mi dispiace. Non potrò mai essere orgoglioso del fatto che tu voglia mettere in pericolo la tua vita ogni giorno. Non volevo questo, io mi sono ripromesso di proteggerti e tu stai rovinando tutto. Se potessi te lo impedirei e lo sai benissimo, quindi non ti aspettare che ti applauda.” nonostante il tono di voce pacato, aveva parlato con rabbia e delusione, come se Aurora lo avesse pugnalato alle spalle. Rimase a fissarla negli occhi, concedendole la possibilità di replicare, ma la sorella non lo fece perché quelle parole l'avevano ferita nel profondo. Così se ne andò nella sua stanza portandosi con sé il suo dolore, lasciando Aurora sola con il suo.
Entrambi classificarono l'accaduto come la prima crepa nel loro rapporto.


Aurora ricordò quella scena con estremo dolore, lo sguardo ferito del fratello, la crudeltà nelle sue parole. Sono cose che difficilmente avrebbe dimenticato e nessuno dei due era tornato indietro su i suoi passi. Aurora era diventata un agente contando sulle sue sole forze e Roberto non aveva preso parte nemmeno alla cerimonia di diploma per quanto Aurora sapesse. Quello di cui non era a conoscenza era che Roberto non si sarebbe perso per nulla al mondo quel momento e che aveva assistito in disparte con il cuore colmo di gioia nel vedere il sorriso fiero della sorella, ma entrambi erano troppo orgogliosi per fare il primo passo.
***
L'attesa in quel maledetto ospedale la stava facendo soffocare, così Aurora decise di andare a prendere una boccata d'aria. Fu lì che trovò Spencer seduto su una panchina a fissare il vuoto.
“Posso sedermi?” chiese quasi sussurrando, come se non volesse disturbare il filo di pensieri che impossessava la mente del dottore.
“Certo” annuì lui, prese fiato e decise che quello era il momento di chiarire tutto e di far luce su ciò che accadeva nel cuore di entrambi. Si voltò nella direzione della ragazza e si fece coraggio.
“Dobbiamo parlare” disse e la sua voce nascondeva un leggere tremolio, aveva il timore che tutta quella storia non fosse altro che un grosso errore.
“C'è davvero bisogno di farlo?” domandò, di rimando, lei e i loro occhi si incrociarono di nuovo creando una scintilla invisibile che scosse entrambi. I volti si avvicinarono pian piano senza più rispondere ai comandi della mente, ma solo del cuore. L'unico motore di emozione capace di scombussolare la vita a molti. Fu un solo attimo e le loro labbra si unirono per la seconda volta, iniziando una romantica danza.
Si staccarono solo perché avevano la necessità di riprendere fiato, ma restarono a fissarsi come ipnotizzati dallo sguardo dell'altro.
“Che cosa stiamo facendo, dottor Reid?” chiese Aurora confusa come non mai. Che cosa aveva di tanto speciale Spencer? L'unico in grado di farle battere di nuovo il cuore dopo dieci anni.
“Non lo so, agente Bianchi” rispose Spencer senza distogliere lo sguardo. Possibile che uno razionale come lui potesse perdere la testa per Aurora? Che cosa aveva di così importante quella ragazza per farlo sentire come uno stupido ragazzino innamorato?
“Zia!” il grido della piccola Ellie fece sobbalzare i due ed Aurora, prontamente, si alzò in piedi per prenderla in braccio.
“Papà si è svegliato!” esclamò entusiasta la bimba e a quell'affermazione l'agente dimenticò per un attimo tutta la confusione che alloggiava nella sua testa per correre dal fratello.
***
Erano tutti in piedi davanti alla stanza di Roberto in attesa che il medico uscisse. Quando la porta si aprì Kate ed Aurora andarono incontro all'uomo col camice bianco.
“Come sta?” chiese all'unisono e il medico sorrise amaramente pensando che molti suoi pazienti non erano fortunati quanto Roberto che poteva contare sul bene di una vera famiglia. Anteporre gli altri a noi, questo è il significato di famiglia.
“E' tutto sotto controllo. Ha risposto in modo perfetto alle cure e lo stato di incoscienza non ha riportato alcun danno. Posso annunciarvi con sicurezza che, se continua così, tempo qualche giorno e potrebbe anche ritornare a casa.” le parole dell'uomo sollevarono Aurora e Kate dal peso del macigno che giaceva su di loro.
“Se lo avessimo perso non me lo sarei mai perdonato” disse la ragazza verso Kate e quest'ultima, senza pensarci due volte, l'abbracciò tra le lacrime di gioia che le rigavano il volto.
“Chi è tra voi due Aurora?” domandò il medico dopo qualche minuto. Non voleva rovinare l'atmosfera, ma aveva anche altri pazienti di cui occuparsi.
“Sono io. Perché?” chiese l'agente e sciolse l'abbraccio per poter guardare l'uomo negli occhi.
“Il signor Bianchi ha chiesto di lei. Ha detto che è la prima persona a cui vuole parlare” rispose il medico e dopodiché sentì il suo cerca-persone suonare e scusandosi si allontanò.
“Kate se vuoi andare tu...” non terminò la frase perché la donna scosse subito la testa in segno negativo.
“Ha chiesto di te, non di me. Tranquilla io vado da Ellie” replicò Kate e si allontanò per dare l'ottima notizia alla figlia. Aurora la seguì con lo sguardo e poté gioire nel vedere l'abbraccio tra madre e figlia pieno d'amore.
Scacciò via i ricordi prima che questi potessero farla rintristire e, dopo aver preso un grosso respiro, varcò la soglia che la separava dal fratello.
“Ehi..” sussurrò Roberto voltando il capo nella direzione della sorella. Quest'ultima si avvicinò al letto e si sedette sulla sedia accanto ad esso.
“Ben tornato dormiglione!” esclamò buttandola sullo scherzo, mentre pian piano avvicinava la sua mano a quella del fratello.
“Disse quella che la domenica mattina prima delle undici non usciva dal letto!” ribatté prontamente Roberto e la sua mano strinse immediatamente quella della sorella. Scoppiarono entrambi a ridere come due matti, ma quando la risata scemò il silenzio prese il sopravento.
“Vorrei sapere il perché ho voluto vedere per prima te e non Kate. Semplice: voglio sapere tutto quello che è successo, Aurora e voglia che sia tu a raccontarmelo.” quella richiesta spiazzò l'agente e abbassò lo sguardo sulla loro stretta di mani per prendere il coraggio di cui necessitava.
“Sei proprio sicuro? Okay, ma se vuoi che mi fermi basta che me lo dici.” acconsentì, se era quello che voleva non poteva faro altro che accontentarlo.
“Quando Stephen è stato ucciso dall'agente federale che era con me, tutti credevamo, o meglio, speravamo di aver chiuso il caso, che tutto fosse finito. Dopo alcune ore, però, riceviamo una chiamata che ci avvisa del ritrovamento di un corpo di una ragazza di sedici anni privo di vita, andandolo ad esaminare troviamo una A incisa sulla mano destra. Se avessi visto la foto di quella ragazza...Era uguale a me dieci anni fa, sembravamo sorelle.” fece una brava pausa, aveva bisogno di riprendere fiato.
“Così abbiamo capito che Stephen aveva un complice e l'agente Reid era convinto che fosse William, il fratello maggiore, e che mirava a te, perché voleva distruggermi interiormente. Non avevo prove sufficienti per farti proteggere da una pattuglia, così Reid, che era stato sollevato dal caso, ti stava seguendo, ma William è stato più veloci di lui e vi ha rapito entrambi.” prese fiato un'altra volta, ma stavolta, prima di riprendere il racconto, guardò il fratello negli occhi, tentando di leggere che cosa stesse provando, ma Roberto era sempre stato più bravo di lei a non far trasparire le proprie emozioni.
“Dato che puntava a distruggere me non abbiamo impiegato molto a capire dove vi avesse portati. Vi ha nascosti in casa nostra, Roberto, quella che lo era fino a dieci anni fa. Nella cantina e tu non ricordi niente perché non hai mai ripreso i sensi prima di adesso.” un'altra pausa e, anche solo per un attimo, Aurora vide la vulnerabilità negli occhi del fratello. Stava per arrivare la parte più dura e non sapeva che cosa aspettarsi.
“Sono entrata da sola nonostante gli ordini contrari del detective Brown, senza né pistola né giubbotto. L'unica cosa che mi importava era salvare voi due e poi William voleva me non c'era bisogno di farlo aspettare ancora. Abbiamo parlato e per tutto il tempo aveva una pistola puntata verso di te. L'ho convinto ad abbassare l'arma e l'ho ammanettato con le mie mani, poi ti hanno portato qui e be' non c'è altro da dire.” terminò il racconto e si rese conto che la stretta di mano del fratello, quando gli aveva detto che lei era entrata senza alcuna protezione, si era fatta più forte.
Rimasero in silenzio per alcuni minuti, senza mai lasciare la mano dell'altro, non esistevano parole adatte da dire per poter descrivere ciò che stavano provando, le loro anime erano le uniche capaci di capirsi.
“Ora è meglio che vada. Kate ed Ellie non vedono l'ora di abbracciarti” disse Aurora e, seppur a malincuore, dovette sciogliere la stretta.
“Aurora...” la chiamò il fratello quando stava per aprire la porta, lei si voltò ed entrambi sorrisero, consapevoli che quel sorriso dipendesse dal fatto che avrebbero superato anche questo.
“Sono orgoglioso di te” bastarono queste quattro parole, all'apparenza semplici, dette dal fratello per far scoppiare di gioia il cuore di Aurora.
Adesso sì che avrebbero potuto ricominciare da capo, ora che tutto ciò che li aveva divisi in passato era stato superato, ma non dimenticato.


-Lo so che non ho scusanti e vi chiedo umilmente perdono per aver fatto passare così tanto tempo. Ringrazio chiunque non mi ha abbandonato e la seconda parte del finale arriverà a breve, ve lo prometto!
Spero che questa prima parte vi piaccia! Scusate ancora.
Alla prossima :33 

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


La bambina dai lunghi capelli scuri, raccolti in una ordinata treccia, se ne stava seduta nel giardino di casa sua, fissando la porta sul retro. Teoricamente sarebbe dovuta restare dentro casa per festeggiare il suo decimo compleanno, ma non aveva la minima intenzione di muoversi da lì perché, secondo lei, festeggiare senza suo padre non aveva senso.
Una mano gentile le accarezzò la schiena e, prima ancora che si sedette accanto a lei, la piccola aveva già intuito chi fosse il proprietario di essa, suo fratello.
“Che ci fa questa bella bimba con questo bel vestito rosa tutta sola?” domandò Roberto, e la sorella sorrise, arrossendo.
“Sto aspettando papà!” esclamò Aurora, facendosi abbracciare dal fratello. Quest'ultimo le accarezzò la lunga treccia e le baciò la fronte.
“Papà torna tardi, non ricordi? Ha un caso molto importante a cui lavorare. Ti va di venire dentro?” replicò il ragazzo e la sorellina scosse violentemente la testa. Qualche ciocca ribelle sfuggì al controllo del fermaglio, rigorosamente rosa, che aveva al lato.
“Assolutamente no. Io resto qui finché non torna e non ho intenzione di spegnere le candeline senza di lui!” disse sempre più convinta, Aurora.
“Allora lo aspetteremo insieme” le sussurrò Roberto. Così, fratello e sorella, stretti in un abbraccio, attesero il ritorno del padre.


“Sapevo che ti avrei trovata qua!” una voce familiare maschile, distolse Aurora dal ricordo che quel luogo le aveva scaturito. Era seduta nello stesso modo in cui quella bambina di dieci anni aspettava il padre.
“Hai staccato il cellulare” il tono del fratello era una sorta di rimprovero bonario, mentre anche lui acquistava la medesima posizione del ragazzo che era un tempo.
“Lo so. Volevo isolarmi per un po'” replicò Aurora, senza incrociare mai il suo sguardo, poiché i suoi occhi guardavano fissi dinanzi a lei. Una parte di lei, quella da bimba che nonostante tutto non l'aveva mai lasciata, sperava inconsciamente di assistere al ritorno del padre. La sua parte razionale, quella che aveva fatto vincere troppo spesso da dieci anni, conosceva benissimo la realtà.
Nonostante ciò, l'agente ritenne che, per una volta, i sentimenti potessero vincere, così aveva preso posto nello stesso luogo in cui si nascondeva e dove poteva liberare il suo io più profondo.
“Hai parlato con quel federale?” chiese Roberto, conosceva bene la sorella e sapeva che quel suo isolarsi non dipendeva solo dalla chiusura del caso e dagli amari ricordi che esso aveva portato a galla. Sapeva che quando si rifugiava nella casa dei loro genitori lo faceva per scappare dalle troppe pressioni o quando doveva prendere una decisione importante.
“No. Sono partiti stamattina presto, dovevano rientrare a Quantico” rispose Aurora e, istintivamente, si accucciò al petto del fratello, in cerca di protezione. Lui l'accolse e la strinse a sé ancor di più.
“Ho preso una decisione, Roberto. Ma non voglio assolutamente che questa influisca sul nostro rapporto” disse la sorella e l'uomo si irrigidì, ansioso di sapere che cosa intendesse.
“Dopo quello che ci è successo, tu sei riuscito ad andare avanti. Hai costruito una famiglia con Kate e ti sei realizzato anche in ambito lavorativo...” la sorella sciolse l'abbraccio, riprendendo la posizione originale. Strinse la mano del fratello.
“Io, invece, non l'ho fatto. Non sono andata avanti e sento che se resto qui, sarò per sempre schiava del nostro passato” a queste parole, Roberto si ritrovò confuso e con lo sguardo spronò Aurora a continuare.
“Ho chiesto il trasferimento a Washington e il detective Brown ha fatto in modo che mi venisse approvato” lo disse tutto d'un fiato, per evitare di bloccarsi perché sapeva che se si fosse fermata a pensare non avrebbe più trovato il coraggio per dirglielo.
“Dimmi la verità, c'entra qualcosa quel federale?” domandò, in tono aspro, Roberto. Per anni non aveva fatto altro che proteggerla e lei stava facendo di tutto per mandare a frantumi la sua promessa. Prima la decisione di diventare poliziotta ed ora voleva andare via, lontana da quella che era la sua famiglia.
“In parte sì, ma non è questo il punto. Qui mi sento bloccata, come se fossi in fondo ad un precipizio e nonostante mi sforzi di tornare in superficie, ricado ogni volta giù. Devo chiudere questo capitolo della mia vita, è durato fin troppo. E, per farlo, devo andarmene da Toronto, nonostante una parte di me soffra nell'allontanarmi da te, da Kate e da Ellie.” disse alzandosi, aveva parlato con il cuore e aveva reso partecipe il fratello di quello che la sua anima stava provando da ormai dieci anni.
“Allora preparati a dillo ad Ellie, perché non so come reagirà quando capirà che dovrà stare senza i tuoi biscotti con le gocce di cioccolato per un bel po'!” esclamò, dopo attimi interminabili di silenzio, Roberto. Da un lato capiva che cosa avesse spinto la sorella a prendere quella decisione, lui non aveva mai toccato realmente il fondo del precipizio nel quale erano sprofondati dopo la morte dei loro genitori, questo grazie a Kate, che fu subito pronta a tendergli la mano per riportarlo su. Credeva di essere riuscito a sollevare anche la sorella, ma evidentemente questa volta non spettava a lui salvarla.
Dall'altro canto, però, il suo cuore già soffriva solo ad immaginarla lontana in una città sconosciuta.
Si alzò anche lui e Aurora accolse il suo abbraccio senza farselo ripetere due volte. Si strinse al fratello con il cuore un po' più leggero.
***
Il dottor Spencer Reid sostava dinanzi l'ufficio del suo supervisore da almeno dieci minuti. Il viaggio di ritorno era stato silenzioso e lui non aveva fatto altro che pensare ad Aurora e ai baci che si erano scambiati.
Purtroppo per lui quei dolci ricordi erano stati spazzati via dalla voce ferma e autoritaria di Hotch che gli aveva detto di raggiungerlo nel suo ufficio appena fosse arrivato a lavoro il giorno seguente. Dopo quella comunicazione, la mente di Spencer iniziò ad affollarsi di pensieri carichi di preoccupazione che, fino a quel momento, aveva sempre schivato.
Da ragazzino non gli era mai capitato di fronteggiare il preside della sua scuola, ma ora si sentiva esattamente nella stessa posizione di un'adolescente disubbidiente e dannatamente innamorato. Con la sola differenza che lui non rischiava una blanda punizione, ma una vera e propria sospensione, se non addirittura di più.
Scacciò questi ultimi allegri pensieri e, preso un grosso respiro, bussò quasi in preda al panico.
“Avanti” la voce di Hotch che lo invitava ad entrare lo sbloccò e percorse rapidamente i pochi metri che lo separavano dalla scrivania.
Hotch gli rivolse uno sguardo gelido e con la mano gli fece cenno di sedersi, Reid eseguì senza fiatare. Sapeva di essere in torto e quell'attesa lo faceva sudare freddo.
“Reid, sai che il tuo atteggiamento rispetto a questo caso non è stato dei migliori, vero?” iniziò il suo capo e Spencer annuì senza neanche rendersene conto.
“Ho dato un ordine categorico a tutti voi e tu non l'hai rispettato. Ti ho sollevato dal caso e neanche mi hai obbedito, quasi come se non ti importasse del provvedimento che avevo preso” fece una seconda pausa, fissandolo in modo severo.
Spencer, che già prima faticava a sostenere il suo sguardo, questa volta lo abbassò. Tutto il coraggio, che aveva acquisito per difendere Aurora da altro dolore e di cui aveva avuto bisogno per andare contro Hotch, era sfumato via.
“Voglio farti una domanda: secondo te, perché ti ho sollevato dal caso?” chiese l'uomo e Reid lo guardò in modo confuso, cosa che non sfuggì agli occhi attenti di Hotch.
“Perché non ho eseguito un ordine” rispose il dottore, sempre più stupito dalla domanda che gli era stata posta.
“In parte è vero, ma non è solo per questo” replicò Hotch, si aggiustò la cravatta e tirò un sospiro “Reid, ricordi quando non sono arrivato in tempo per salvare Haley dalle mani di Foyet?” aggiunse e Spencer fu più confuso di prima. Che cosa c'entrava la morte della moglie di Hotch con lui?
“Per anni non ho fatto altro che darmi la colpa della sua morte e del fatto che Jack ora sta crescendo senza una madre. Avevo capito quanto tu tenessi ad Aurora dal momento in cui, in ospedale, mi hai detto che non ti pentivi delle tue azioni” continuò il suo discorso e il dottore iniziò ad intuire qualcosa.
“Questo caso ha messo Aurora in serio pericolo, soprattutto dopo l'ultimo cadavere che abbiamo trovato. Speravo che tenendoti lontano dal caso, se mai fosse capitato qualcosa ad Aurora, ti saresti infuriato con me senza torturare te stesso” dopo che Hotch ebbe concluso a Reid fu tutto chiaro, istintivamente sorrise. Il fatto che lo avesse tolto dal caso non era un modo per punirlo, ma di proteggerlo.
“Mi dispiace, Hotch. So di aver sbagliato e so che hai tutte le ragioni per essere arrabbiato con me, ma non volevo mancarti di rispetto. Ho agito d'istinto, tutto qui” fu il turno di Spencer parlare e cercò di mostrare ad Hotch quanto fosse sinceramente dispiaciuto.
“Lo so, Reid. Ed è per questo che non prenderò nessun provvedimento disciplinare nei tuoi confronti” a queste parole, il ragazzo tirò un sospiro di sollievo: si era appena liberato di un grosso peso.
“Ti avverto, però, che se ti azzardi a rifare una cosa del genere, istinto o no, non esiterò a sospenderti per mimino due settimane, intesi?” lo ammonì severamente e, dal tono che aveva usato, Reid capì che non era semplicemente una minaccia, ma che lo avrebbe fatto davvero.
“Sì, signore” annuì e Hotch lo invitò ad uscire con un cenno del capo e, prima che il suo supervisore potesse cambiare idea, Reid si avviò alla porta.
“Grazie” lo disse con un leggero sussurro, ma era sicuro che Hotch l'avesse sentito perché con la coda dell'occhio vide le sue labbra piegarsi in un lieve sorriso.
***
Una piccola goccia d'acqua bagnò il viso di Aurora, immobile davanti alla lapide dei suoi genitori. Non poteva partire senza averli salutati, non se lo sarebbe mai perdonato. Improvvisamente la sua mente fu in balia di ricordi ormai lontani, memorie del passato che negli ultimi giorni aveva sempre scacciato, perché non doveva cedere e, sopratutto, doveva avere la mente lucida.
“Ce l'ho fatta” sussurrò “Ho arrestato la persona che vi ha portati via, ma questo non mi fa sentire meglio, perché lui è vivo, voi no. Chissà come sarebbe stata la mia vita con voi accanto, magari sarei diventata una giornalista, non facevo altro che parlane, ricordate?” la ragazza sapeva che quel discorso non era altro che un monologo, ma porre domande era un modo per sentirli proprio accanto a lei.
“Secondo voi ho fatto la scelta giusta? Siete fieri della donna che sono diventata? Mi farebbe così tanto piacere saperlo” continuò a confidarsi, ormai le lacrime erano in pieno possesso del suo volto e non fece altro che piangere fino all'ultima goccia.
“Sono sicuro che sono fieri di te e di come hai affrontato tutto” la voce di Roberto e l'abbraccio che ne seguì, le fecero rendere conto di aver smesso di piangere.
Per un attimo si era dimenticata di essere andata lì insieme a Roberto, perché dopo l'avrebbe accompagnata all'aeroporto.
“Dobbiamo andare” le sussurrò, mentre le accarezzava i lunghi capelli. Aurora respirò a fondo e annuì. Con gli occhi ancora rossi per il pianto, volse un ultimo sguardo alle tombe dei suoi genitori e sentì una leggera fitta al cuore, che dopo riprese a battere sciogliendo l'ennesimo pezzo di ghiaccio che l'avevo imprigionato per anni.
Arrivati all'aeroporto, Aurora salutò Roberto stringendolo a sé come non aveva mai fatto e gli fece promettere che non sarebbero diventati come quei fratelli che si chiamano solo per scambiarsi gli auguri a Natale e per i compleanni.
L'avvocato aveva riso di cuore alle parole della sorella, ma vedendo l'espressione seria di lei, promise senza obiettare.
Si imbarcò sull'aereo e si accomodò come meglio poteva sul sedile, inserì le cuffie nelle orecchie e fece partire la musica ad alto volume. Per tutto il tempo del volo pensò ad una sola cosa: appena atterrata, sarebbe corsa da Spencer.
***
Nell'open-space degli uffici dell'FBI di Quantico, la giornata si stava rivelando alquanto tranquilla. Dopo la chiusura del caso che li aveva visti attivi a Toronto, l'agente Hotchner aveva pensato che una pausa di qualche giorno avrebbe fatto comodo a tutti. D'altra parte, fortunatamente, non avevano nessun caso su cui lavorare.
Così gli agenti, approfittando di quel raro momento di calma, stavano compilando alcune scartoffie che non avevano mai tempo di ultimare.
Tra le carte che aveva lasciato in sospeso, Hotch trovò la sua richiesta di trasferimento e, dopo aver rivolto uno sguardo alla squadra, lo buttò via.
Sorrise nel vedere Derek che, come sempre, non perdeva occasione di infastidire Spencer.
“Io ti odio sempre di più, ragazzino! Come diamine hai fatto già a finire?” esclamò Morgan, la sua scrivania era talmente piena di pile di fogli che faticavano a reggersi.
“Questo è uno dei vantaggi di leggere velocemente” ribatté Reid facendo una smorfia verso il collega. Prima che questo potesse replicare dando il via all'ennesimo battibecco, la figura di JJ, seguita da un'altra che non riusciva ad intravedere in modo chiaro, catturò la sua attenzione e, di conseguenza, quella del dottore.
“Spencer, c'è una persona per te” annunciò JJ per poi scansarsi, lasciando libero spazio ad Aurora, che si scostò una ciocca di capelli verso l'orecchio.
“Salve dottor Reid” salutò ed un sorriso prese vita sulle labbra di entrambi gli innamorati, mentre Morgan e JJ si scambiarono uno sguardo complice. Salirono verso gli uffici di Rossi e Hotch in modo che potessero ammirare anche loro la scena che da lì a poco si sarebbe presentata.
Nel frattempo, Aurora e Spencer non avevano smesso un attimo di guardarsi negli occhi, entrambi rapiti dallo sguardo dell'altro.
Reid andò verso di lei e, in poco tempo, furono uno di fronte all'altra. Come le due volte precedenti, le loro labbra si ritrovarono sotto il controllo del cuore, unendosi in un bacio che sapeva dell'inizio di un nuovo capitolo della loro vita e, sopratutto, d'amore.
Gli altri agenti, che non si erano persi neanche un secondo di quella scena, sorrisero orgogliosi del loro ragazzino.


-Eccoci arrivati alla fine. Non mi sembra vero che dopo 21 capitoli ho dovuto scrivere quello finale e un po' mi mancherà questa storia. Sopratutto mi mancheranno Aurora e Reid! :)
Ringrazio di cuore chi mi ha seguita dall'inizio alla fine e sopratutto mi sento in dovere di ringraziare:
Per le preferite: annybambolina97, Criminallover99, Elizabeth_, fox face e lyu, Hollister, Mini GD, Queen of the Night, Reyna1999, zavarix e _larrysmile _
Per le ricordate: Flam92 e hermioner
Per le seguite: ali2188, Angelika_Morgenstern, annybambolina97, aquizziana, cam_mi_cam, carlie_smile, Celaena Sardothien, Criminallover99, eliseCS, Elizabeth__, flotontolona, franke , maty98, mepiasanolefasola e MimiBo196
Per le recensioni: Putrefied In The Heart, Criminallover99, zavarix, Mini GD, Lady Minevra, Shiori Lily Chiara, Angelika_Morgenstern, Elizabeth_, Il sipario strappato e Diana_black_2000


Concedetemi due parole per esprimere la mia più sincera gratitudine verso Mini GD, per avermi spronata a pubblicare questa storia e per esserci stata sempre, anche a mezzanotte, quando ero in preda ad una delle mie solite crisi!
Un bacio a tutti e spero che, almeno un po', vi mancherò! <3

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