Lo spirito delle parole

di Sabriel Schermann
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Il 言霊kotodama è la forza spirituale misteriosa contenuta nella parola.

In Giappone anticamente si credeva che le cose che si dicevano, un giorno si realizzassero.

Per questo, ad esempio ad una cerimonia come un matrimonio si fa attenzione a non utilizzare parole come

wakareru (separarsi) o kireru (rompersi).





Musa sapeva che non sarebbe dovuta andare a quella festa, gliel'avevano detto anche le sue amiche.

Non ne sapeva esattamente il motivo, ma gliel'avevano suggerito più volte, e lei non le aveva ascoltate.

Era la prima volta che suo padre organizzava una festa.

Forse avrebbe dovuto capirlo già da quello: quell'uomo non aveva mai organizzato una festa in vita sua, almeno a quanto si ricordava.

E aveva invitato solo lei.

Strano, pensò, eppure conosce anche le mie amiche...

Ma lui non ne aveva accennato, così ci andò da sola.

Quando arrivò al party, diede uno sguardo alla folla: c'erano soltanto uomini.

Ragazzi giovani con genitori o parenti, probabilmente amici di suo padre.

Ma non c'era una ragazza.

Pensò che anche questo fosse molto strano, ma non ci fece caso più di tanto.

O meglio, lasciò perdere la faccenda, in fondo era una festa, e lei voleva soltanto divertirsi e non pensare a nulla.

Suo padre la raggiunse quasi subito.

Lei provò a chiedere il perché di quell'invito unico, senza neanche il suo ragazzo e le sue amiche più strette, ma suo padre sviò subito il discorso: cominciò a presentarle ragazzi su ragazzi, ma nessuno era particolarmente interessante per Musa.

Così, dopo qualche minuto cercò di svincolarsi, andò sul balcone del locale e guardò il paesaggio che le si presentava davanti.

L'aria era fresca, ma si stava bene, in fondo era estate.

Guardando le stelle luminose splendere nel cielo, il suo pensiero andò proprio alla sua amica Stella.

Ma una voce la interruppe dai suoi pensieri: suo padre si avvicinò lentamente, chiedendole curioso se stesse bene.

Tra loro non c'erano mai stati segreti, così Musa decise di confidargli i suoi dubbi:”Papà...perché hai organizzato questa festa? Volevi presentarmi un ragazzo?”.

L'uomo sorrise timidamente, punto sul vivo.

Avrebbe dovuto saperlo che questa domanda prima o poi sarebbe arrivata, sua figlia era sempre stata una ragazzina sveglia e intelligente, e sicuramente non si sarebbe fatta molti problemi a dirgli le cose come stavano.

Così decise di dirle la verità.

“Sì, Musa”, disse deciso.

“Non te l'avevo già presentato il mio fidanzato?”

Musa, cerca di capire...”

“Cosa? Cosa devo capire papà? Cos'ha quell'uomo di sbagliato?”

Questa volta il tono della ragazza era aspro, sottile, decisamente irritato.

“Quel ragazzo non mi piace, Musa, e tu lo sai. Una ragazza brillante come te dovrebbe stare con qualcuno di più furbo”

Musa restò colpita da quelle parole. Certo, sapeva che suo padre non accettava Riven, ma non credeva pensasse addirittura che fosse un perdente.

Riven non è un idiota, papà. Ha il suo carattere, ma in fondo è una persona buona e affettuosa”

“Ma dove, Musa?”

Il tono dell'uomo era decisamente alto, troppo alto.

“Dove la vedi tutta questa bontà? E' un buono a nulla! Ti rovinerà soltanto!”, sbraitò ancora, prima di scomparire in mezzo alla folla.

La fata volse di nuovo lo sguardo verso il cielo. Non c'era luna, ma era pieno di stelle.

Ripensò alle parole del padre.

Lei non aveva mai creduto che Riven fosse un buono a nulla.

Aveva un carattere difficile, ma era davvero una persona buona.

Spesso questo lo frenava nel dimostrare i propri sentimenti e per questo poteva risultare burbero e arrogante.

Ma la sua natura non era quella, e lei lo sapeva bene.

Decise di entrare per prendere da bere. Fuori cominciava ad avere freddo e anche se non aveva voglia di stare in mezzo a tutte quelle persone, si buttò anche lei in mezzo alla folla.

Improvvisamente, un ragazzo cominciò a parlarle senza tregua.

Si presentò, le fece qualche domanda sulla scuola e sulla sua vita, poi cominciò a parlare a ruota libera, senza fermarsi.

Lei smise di ascoltarlo quasi subito e cominciò a studiarlo partendo dal viso.

L'inesperienza che avvertiva nella sua voce le fece venire in mente Timmy.

Quei tipi di persone le stavano simpatiche, ma non erano fatte per lei.

Fece un mezzo sorriso e con una scusa si dileguò, senza sapere che quel ragazzo l'aveva seguita con lo sguardo.

Incontrò di nuovo il padre e lo prese da parte in una stanza del locale.

“Papà, dove hai trovato tutti questi soldi?”, disse a bassa voce.

“Quali soldi?”, chiese lui confuso.

“I soldi per pagare questo locale, e per organizzare questa festa”

L'uomo fece ancora un mezzo sorriso, poi le diede le spalle.

“Stai diventando una donna molto sveglia e attenta, bambina mia”, disse.

“Decisamente sprecata per un uomo come Riven”, aggiunse guardandola dritta negli occhi.

Lei, stufa ed infastidita, se ne andò a passo svelto.

Aveva intenzione di lasciare quella festa, tornare ad Alfea e andare a dormire per finire al più presto quell'orrenda serata.

Ma quando aprì il portone dell'uscita, trovò Riven seduto sulla sua moto.

Sembrava che la stesse aspettando. Sorpresa, si avvicinò a lui.

Riven...che ci fai qui?”

Improvvisamente, alle sue spalle comparve l'uomo con cui aveva parlato poco prima, con in viso un sorriso maligno. Sembrava aver bevuto.

Poi dal portone sbucarono altri ragazzi. Li aveva visti tutti quanti, ma non li conosceva affatto.

Lei li guardò stupita, poi si diresse veloce verso il suo ragazzo.

Riven...”, sussurrò prima di vederlo sparire a bordo della sua moto, furioso come immaginava.






Questa fanfiction è ambientata dopo la quarta serie, che è anche l'ultima che ho seguito interamente.

E' come se avessi eliminato i fatti creati da Iginio Straffi nella quinta (e nella sesta) stagione, ideandone di nuovi.

Potrebbe risultare OOC, perché so che tendo sempre a modificare un po' il carattere di Riven...a proposito, la storia sarà incentrata principalmente sulla vita di questa coppia, quindi se non siete appassionati, non proseguite.

Ho anche creato un'immagine –-> http://s1366.photobucket.com/editor?image=http%3A//i1366.photobucket.com/albums/r779/Sabriel97/Damakoto_zpsedc98289.jpg%3Ft%3D1391100825&detailUrl=http://s1366.photobucket.com/user/Sabriel97/media/Damakoto_zpsedc98289.jpg.html?filters[media%5Ftype]=image&sort=2&o=1


Grazie per aver letto!

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


La mattina dopo a scuola non riuscì a seguire una parola.

Quella notte non aveva dormito per niente, aveva continuato a pensare al comportamento di Riven, e soprattutto a quello di suo padre.

Perché si era comportato così? E soprattutto, cosa ci faceva lì Riven?

Quando stava quasi per addormentarsi, Tecna la scosse dolcemente per una spalla:”E' ora di alzarsi!”.

Riuscì a farsi richiamare tre volte dai professori, sotto gli sguardi stupiti delle Winx.

Lei, insieme a Flora e Aisha era sempre stata la più attenta e la più studiosa, era normale che fossero sorprese.

Appena la campanella suonò, prese le sue cose e se ne andò nella sua camera.

Dopo qualche minuto entrarono anche le altre, curiose di sapere tutto l'accaduto della sera prima.

Si sedettero sul suo letto e la osservarono mettere a posto i propri libri e i pochissimi appunti presi durante le lezioni.

“Cosa avete da guardare?”, mormorò la fata cercando di mantenere l'espressione più neutra possibile.

“Lo sai benissimo”, disse Stella incrociando le braccia al petto.

“Cosa è successo ieri sera?”, aggiunse Aisha, andando dritta al punto.

Così Musa, stanca di fingere che non fosse successo niente, si lasciò andare sulla sedia e cominciò a raccontare.

“Non so perché fosse lì”, disse al termine del discorso, “ma c'era. E ha visto questi idioti sbucare dal portone”

“Beh, in fondo è per questo che tuo padre ha organizzato quella festa”, disse Bloom, “altrimenti non si spiegherebbe un solo invito”.

“Sì, ma a me non interessa nessuno! Ho sempre cercato di svincolarmi da tutti, non sono andata lì per questo! Non ne sapevo nulla!”, disse la ragazza disperata.

Era veramente confusa dal comportamento del padre.

Non era l'uomo dolce e affettuoso che l'aveva cresciuta e accudita.

E poi voleva fare pace con Riven al più presto, le mancava così tanto!

“Senti, domani è domenica e abbiamo deciso di uscire insieme agli specialisti”, disse Bloom.

“Una giornata al parco di Magix, così, per stare un po' insieme”, aggiunse Stella.

“Potrebbe essere un'occasione per chiarire”, terminò Flora.

Musa guardò le sue amiche sconsolata.

Sapeva che non sarebbe stata un'impresa facile.

Riven non era il tipo da perdonare così facilmente.

Però almeno sarebbe stata un'occasione per spiegare ciò che era veramente accaduto.

Musa chiuse gli occhi per un tempo a lei ignoto, e quando li riaprì, vide soltanto un sacco di libri davanti a sé.

L'avrebbe attesa un pomeriggio denso di studio, in compagnia di quel senso di vuoto che non provava da mesi.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


La mattina seguente le fate e gli specialisti si ritrovarono all'esterno della scuola di Fonterossa.

Il sole splendeva nel cielo e sembrava pronto a scaldare tutti i cuori.

Spesso gli sguardi di Musa e Riven si incrociavano, freddi e indifferenti.

La tensione tra loro era palpabile.

Proprio quando stavano per oltrepassare la barriera della scuola, il professor Codatorta li fermò.

“Ragazzi, dove state andando?”, domandò sorpreso.

Fu Sky a prendere parola per primo:“Ecco, stavamo andando a fare un pic-nic, una passeggiata...le ho chiesto il permesso l'altro giorno professore!”, disse deciso il ragazzo.

Ma l'uomo sembrava non ricordare.

Stettero quasi cinque minuti a discutere su quello che aveva veramente detto lo specialista e quello che le regole della scuola permettevano, fino a quando una mano non artigliò Musa per un polso e le fece fare un lungo giro nella scuola, fino ad arrivare in una stanza e chiudere la porta dietro di sé.

Riven...”, sospirò la ragazza, riconoscendo il possessore di quella mano misteriosa.

Lui non disse una parola, ma le veniva incontro in quei pochi metri liberi nella stanza, fino a quando Musa non si ritrovò con la schiena al muro e il viso del ragazzo a pochi centimetri dal suo.

Tuttavia, non era spaventata.

Sapeva che Riven era molto geloso e possessivo e aveva intenzione di chiarire quanto lei.

Non importava a nessuno dei due se qualcuno li avesse visti, così abbassò lo sguardo e cominciò a parlare.

“Io non so chi ti abbia chiamato Riven...io non ti avevo nemmeno parlato di quella festa...sapevo che avresti voluto che non ci andassi senza di te, ma l'ha organizzata mio padre e non potevo mancare”.

Stranamente al suo carattere, il ragazzo non l'aveva interrotta e Musa alzò lo sguardo stupita.

Il suo viso era arrossato e si mordeva ininterrottamente il labbro inferiore, nervoso.

Lo osservò negli occhi prima di continuare, percependo chiaramente la sua crescente voglia di sapere.

“Mi ha ingannato: a quella festa c'erano soltanto ragazzi della nostra età. Voleva che mi trovassi qualcun altro, capisci? Poi abbiamo discusso e io avevo intenzione di andarmene quando quei ragazzi con cui avevo parlato solo per poco cominciarono a uscire, uno dopo l'altro.

Ma io ti giuro che non li conosco, e che non me ne importa niente di loro!”

Seguì qualche minuto di silenzio, quando Riven le dette le spalle pensieroso.

Lo vide alzare un braccio e capì che si stava sfregando il viso: era confuso quanto lei dal comportamento del padre della sera precedente.

Poi si rivolse di nuovo verso Musa e finalmente parlò.

“Era un numero sconosciuto”, disse soltanto.

Così la ragazza collegò gli avvenimenti accaduti: il padre aveva avuto numerose occasioni per copiare il numero del ragazzo dal suo cellulare, e quella sera, mentre lei era fuori sulla balconata, lui era andato in un'altra stanza a chiamare Riven.

Altrimenti la sua apparizione improvvisa non si sarebbe assolutamente spiegata.

Stava quasi per dirlo al ragazzo, quando un pugno pieno di rabbia colpì il muro a pochi centimetri da lei.

Musa chiuse gli occhi, cercando di rilassarsi e soprattutto di rilassare l'autore del pugno.

Si aspettava una reazione del genere dall'inizio della conversazione.

Ormai lo conosceva troppo bene.

“Tuo padre non mi accetta”, sussurrò Riven a pochi centimetri dal suo orecchio.

“Come credi che potremmo stare insieme in questo modo? Continuando a mentirci reciprocamente?”, aggiunse il ragazzo.

Musa spalancò improvvisamente gli occhi. Lei non voleva assolutamente lasciarlo!

E se suo padre non lo accettava, lei avrebbe fatto qualsiasi cosa per convincerlo, ma lasciare Riven non era una soluzione. In fondo spettava a lei decidere quale ragazzo amare.

Ma solo in quel momento si rese conto che in realtà non era lei a lasciarlo, ma esattamente il contrario.

E mentre questi pensieri confusi si affollavano nella sua mente, il ragazzo le baciò leggermente il lobo dell'orecchio, sussurrando soltanto:”Forse è meglio se ci lasciamo”.

Poi scomparve, lasciando la fata triste e in lacrime nella sua stanza.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Quando Riven se ne fu andato, Musa si sedette sul letto e restò qualche minuto come in catalessi: sentiva scendere le lacrime sul viso, ma non faceva nulla per asciugarle e attenuare un minimo quel terribile dolore al petto.

Non capiva bene nemmeno lei ciò che sentiva: un senso di vuoto e tristezza, eppure nessun dolore così forte come le altre volte.

Delusione, forse. Da parte del padre, soprattutto.

Poi, la sua mano si mosse da sola: asciugò le lacrime e si guardò intorno.

Non era mai stata nella stanza di Riven prima di allora.

Così la curiosità di sapere in quale ambiente vivesse il suo ragazzo prese il sopravvento e si alzò per osservare tutto più da vicino.

Poi si ricordò improvvisamente la discussione avvenuta qualche minuto prima, e modificò la parola “ragazzo” con “ex-ragazzo”.

Ma non aveva tempo di pensare a quello: mossa da una forza superiore alla sua volontà, cominciò ad aprire tutti i cassetti della piccola scrivania della stanza, cercando qualcosa di non chiaro nemmeno a lei.

Improvvisamente, spostò lo sguardo su una foto di Flora ed Helia appesa al muro: la cornice era finemente decorata e sulla parte superiore c'era incisa una data.

Probabilmente era la data del loro fidanzamento.

Intuì quale doveva essere il letto di Riven da una loro foto in primo piano sul comodino scattata qualche mese prima: si ricordava bene quella serata.

Erano successe molte cose, forse le più emozionanti in tutta la sua vita.

Per la prima volta, aveva provato un insieme di sensazioni sconosciute, e l'autore di tutto ciò, era naturalmente lui, il suo ex-ragazzo.

Non le piaceva chiamarlo così, ma era la verità.

Cercò di scacciare questi pensieri, quando la forza magica che nutriva la sua curiosità la spinse ad aprire il cassetto del comodino di Riven.

Dentro ci trovò fazzoletti, una penna e vari foglietti strappati.

Sembravano frasi prese da testi poetici, o citazioni.

Non sapeva assolutamente che Riven collezionasse tutto questo.

Ne prese uno a caso, e riconobbe la scrittura del ragazzo:


Il sole notturno

sussurra

lo spirito delle parole


Musa rifletté sul significato di quelle parole.

Ma era lungo e complesso identificarlo, così continuò a cercare, fino a quando non trovò un piccolo diario.

Rimase stupita da quella scoperta.

Riven che scriveva un diario? Proprio lui? Ma com'era possibile?

Ma proprio mentre stava per aprirlo, il suo cellulare si mise a squillare.

Rispose senza guardare il display, e riconobbe subito la voce preoccupata di Bloom.

Musa, dove sei finita? Ti abbiamo cercato dappertutto, possiamo andare adesso, abbiamo ottenuto il permesso da Codatorta”, disse la fata tutto d'un fiato.

Musa riuscì a biascicare un “arrivo” e si affrettò a chiudere la telefonata.

Si mise a studiare ancora attentamente il diario, ma non aveva tempo di aprirlo, così se lo mise in tasca.

Per fortuna aveva sempre portato pantaloni abbastanza larghi e il diario non era grande.

Poi infilò il biglietto dentro l'altra tasca, chiuse il cassetto e uscì dalla stanza.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Quando Musa arrivò nell'atrio della scuola, tutti gli sguardi erano puntati su di lei.

Non si era mai sentita più in imbarazzo con le sue amiche.

Non si immaginava tutto questo stupore e preoccupazione.

“Ma dove eri finita? Eravamo così preoccupate!”, disse Stella mettendosi le mani sui fianchi.

“Sei sparita e ad un certo punto ci siamo accorti che non c'eri più”, continuò Tecna.

Poi si avvicino a lei e sussurrò:”Dì un po', dov'eri finita?”.

Così vicina e con quell'espressione sul viso, sembrava quasi minacciosa.

Guardò Riven per qualche secondo, poi si giustificò:”Ero...ehm...in bagno!”, disse con l'aria più convinta che poté.

Poi cominciarono ad incamminarsi e Musa sperò con tutto il suo cuore che il discorso fosse finito lì.

Fu attenta a tenersi a debita distanza dal suo ex-ragazzo per tutta la durata della passeggiata, quando, dopo circa un quarto d'ora, Aisha si avvicinò a lei: la osservò per qualche minuto, ma vedendo che la fata non si curava della sua presenza, cominciò a parlare.

Musa...”, sussurrò, mettendole una mano su una spalla.

“Avete chiarito?”, aggiunse.

La ragazza rimase in silenzio, guardando a terra con aria indifferente.

“Ok, non avete chiarito”, terminò Aisha convinta.

“Mi ha lasciato”, mormorò Musa con un fil di voce.

Con la coda degli occhi, la fata vide la ragazza fermarsi per qualche minuto, per poi riprendere velocità e raggiungerla nuovamente.

“Ti ha lasciato?”, disse Aisha sottovoce.

“Ti ha lasciato?”, ripeté incredula.

Poi, vedendo che Musa continuava a camminare incurante di lei, si zittì e camminò al suo fianco in silenzio.

Dopo circa un'ora di cammino, si fermarono in un vasto prato verde illuminato dalla luce del sole.

Tutti si sedettero uno accanto all'altro, quasi in cerchio, tranne Musa e Riven, che andarono agli estremi.

Musa vide il ragazzo stendersi sull'erba fresca, poi si sedette a sua volta all'ombra di un albero e osservò gli altri.

I loro occhi traboccavano d'amore.

Le faceva piacere vedere tutti così felici. Ma, a causa di questo, non poteva fare altro che sentirsi ancora più vuota per ciò che era accaduto.

Poi osservò Aisha, e capì come poteva sentirsi.

Ogni tanto i loro sguardi si incrociavano complici, ma non accadde nient'altro.

Poi la ragazza si ricordò improvvisamente del diario, e toccò la tasca per sentire se ci fosse ancora.

Per fortuna non l'aveva perso, ma avrebbe atteso la sera per leggerlo.

Non era il caso di aprirlo davanti a tutti, e soprattutto non davanti a lui.

Appoggiò la testa alla corteccia dell'albero e chiuse gli occhi.

Sentiva quella sensazione di vuoto allo stomaco diradarsi sempre di più.

Ora quel che provava non era più tristezza. Ma non era nemmeno sollievo.

Semplicemente, non sentiva nulla.

Era vuota. La sua mente era vuota, la sua testa era vuota.

Si era svuotata nel giro di qualche giorno, per spegnersi completamente in quella stanza.

Prese in mano il piccolo biglietto e rilesse attentamente le sue parole.

Ma invece di cercare di comprenderne il significato, esaminò attentamente la grafia di Riven.

Era tremolante in alcuni tratti, e sicuramente non molto elegante.

Ma aveva qualcosa che l'affascinava moltissimo.

Forse era soltanto il fatto che appartenesse a lui. Non lo sapeva.

L'arrivo di un messaggio la risvegliò dai suoi pensieri.

Mise via in fretta il piccolo biglietto, prese il cellulare e lo lesse avidamente.


From: Riven

To: Musa

[No subject]


Perché prima non arrivavi? Dov'eri finita?


Lo osservò per qualche secondo: vide che si era spostato, ed ora era seduto sotto l'ombra di un albero, proprio come lei. Poi scelse l'opzione “rispondi” e cominciò a scrivere.


From: Musa

To:Riven

[No subject]


Ero in bagno, l'ho già detto.

E poi non mi pare che siano più affari tuoi.


Premette “invia” e il suo sguardo cadde dritto su di lui, ancora.

Notò che stavolta la stava guardando.

Poi l'arrivo di un messaggio la obbligò a distogliere lo sguardo.


From: Riven

To: Musa

[No subject]


Anche se non sei più la mia fidanzata non significa che io non debba sapere dove fossi.

E poi non raccontarmi balle, lo so che non eri in bagno.


Lo osservò di nuovo con aria di sfida e ricominciò a scrivere.


From: Musa

To: Riven

[No subject]


Se lo sai allora perché me lo chiedi?


Premette “invia” e lo osservò con espressione soddisfatta: stava diventando una vera e propria competizione.

Poi distolse lo sguardo quando la risposta arrivò.


From: Riven

To: Musa

[No subject]


Perché eri nella mia stanza. Cosa hai fatto nella mia stanza?


From: Musa

To: Riven

[No subject]


Chi ti ha detto che sono rimasta lì? E poi non è solo la tua stanza!


From: Riven

To: Musa

[No subject]


Musa, non fare l'ingenua, non sei mai stata nella mia stanza e non dirmi che la tentazione di curiosare non ti è venuta!


Lo osservò nuovamente con irritazione. Adesso si stava veramente arrabbiando.

Non erano affari suoi! Non più!


From: Musa

To: Riven

[No subject]


Tu se fossi nella mia stanza non guarderesti in giro?


From: Riven

To: Musa

[No subject]


Io non ho avuto neanche il tempo di guardare la tua stanza la prima ed unica volta che ci sono entrato.

E poi non è solo la tua stanza!


Musa lo osservò ancora, con uno sguardo di fuoco.

Poi si apprestò a rispondere.


From: Musa

A: Riven

[No subject]


Ti ho fatto una domanda, nel caso non te ne fossi accorto. E tu non mi hai risposto.


From: Riven

To: Musa

[No subject]


Ti ho risposto, nel caso non te ne fossi accorta, ragazzina.


From: Musa

To: Riven

[No subject]


Perché stiamo messaggiando se mi hai lasciato, ragazzino?


From: Riven

To: Musa

[No subject]


Perché voglio sapere dov'eri quando ti stavamo cercando.


From: Musa

To: Riven

[No subject]


Stavamo? Tu eri con me!


From: Riven

To: Musa

[No subject]


Io me ne sono andato prima di te, te ne sei già dimenticata?


From: Musa

To: Riven

[No subject]


No, mi ricordo! Mi ricordo tutto perfettamente! E mi ricordo anche come ho guardato bene la nostra foto sul tuo comodino!


From: Riven

To: Musa

[No subject]


La nostra foto? Allora avevo ragione, sei rimasta lì! Sono venuto bene, vero? ;)


Il suo sarcasmo non lo abbandona mai, pensò Musa.

Avrebbe voluto rispondergli che non era il caso di fare il simpatico, non adesso.

Pure la faccina!, pensò irritata.

Avrebbe veramente voluto scrivergli che doveva smetterla, che lo odiava, per tutto quanto.

Anche per il fatto che le stava mandato dei messaggi idioti.

Ma ciò che venne fuori dal suo cuore, fu tutt'altro.


From: Musa

To: Riven

[No subject]


Tu sei bellissimo...è per questo che ho fatto l'amore con te.

Perché ti amo e tu non lo capisci.


From: Riven

To: Musa

[No subject]


Certo che lo capisco invece...ma forse siamo troppo diversi.

Una storia non può durare a lungo in questo modo...per questo ti ho lasciata.


From: Musa

To: Riven

[No subject]


In questo modo? Quale modo? Io non ti ho mentito, Riven!


From: Riven

To: Musa

[No subject]


Forse non questa volta.

Ma le persone non si amano a metà, Musa.


Musa rilesse più volte quella frase, inizialmente per capire cosa c'entrasse con il discorso, poi per capire se l'avesse veramente scritta lui.

Lo guardò, stanca ed esasperata, poi si alzò e si allontanò sotto lo sguardo attonito di tutti.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


16 dicembre – sei mesi prima



Quando Riven la vide rimase a bocca aperta.

In effetti, era raro vederla vestita così elegantemente.

Lei era un maschiaccio, e soprattutto una ragazza molto semplice, indossava spesso pantaloni larghi e maglie scure, non fu facile per lui abituarsi a quella vista.

Quando camminava o si allontanava dalle ragazze per prendersi un drink, Musa sentiva troppi sguardi su di sé: capiva che il suo vestito attirava evidentemente l'attenzione di molti.

Sentiva gli sguardi pungenti delle ragazze e i gridolini di stupore delle invidiose, insieme agli sguardi ammirati e spesso irritanti dei ragazzi.

Ciò che aveva sempre odiato di più degli uomini era il fatto che la squadrassero da testa a piedi, nemmeno fossero dei radiologi.

Ma quella sera Musa decise di sopportare, in fondo non sarebbe accaduto molto presto un altro party elegante come quello.

A volte osservava Riven e sorrideva: il suo viso era un misto di gelosia e ammirazione, un insieme di emozioni che probabilmente non sapeva nemmeno lui come gestire.

La serata trascorse tranquillamente tra chiacchiere e risate per circa un'ora, quando la fata andò a prendere da bere per l'ennesima volta.

Sentiva la testa pesante, ma sapeva di poter reggere ancora per un po'.

In fondo, sul suo pianeta era quella la tradizione.

Ubriacarsi tanto per poi vomitare altrettanto era segno di sacrificio.

Sai di non reggere l'alcol, ma bevi ugualmente per fare compagnia ai tuoi amici.*

Lei aveva condiviso sempre passivamente quest'idea, ma in fondo un'altra serata così quando le capitava più?

Pensò che non sarebbe stato un male esagerare una volta nella vita.

Così bevve di nuovo tutto d'un fiato, quando vide Riven avvicinarsi a lei.

Ehi, basta!”, le sussurrò divertito.

Musa non capì, lui aveva bevuto quanto lei se non di più, e adesso le diceva di smettere?

Lo guardò contrariata, riempiendosi di nuovo il bicchiere.

Quel ragazzo mi sta irritando moltissimo”, sussurrò improvvisamente Riven.

Quale ragazzo?”, chiese la fata di rimando.

Quello che sta fissando le tue gambe da mezz'ora”

Musa guardò nella direzione in cui guardava il ragazzo, e notò effettivamente uno specialista che la osservava affascinato.

Lei gli sorrise apertamente e lui si girò imbarazzato.

Ci sono un sacco di ragazze qui che si vestono sempre come delle prostitute e questo deve guardare proprio te?”, disse Riven con tono aspro.

Musa scorse una punta di invidia nella sua voce, ma dopo averci riflettuto qualche minuto, decise di ignorarlo e continuare a godersi la serata.

Sei geloso, per caso, Riven?”, gli chiese quando notò che il ragazzo aveva ricominciato ad osservarla maliziosamente.

Posso togliergli ogni speranza, se lo desideri”, gli disse con un sorriso sulle labbra.

Lui si girò confuso: “E come?”

Così”

E dopo aver detto questo, si lasciò andare ad un lungo bacio appassionato.

Strinse i suoi capelli, accarezzò il suo viso, mentre le loro lingue ballavano una nuova danza.

A pensarci bene, non si erano mai baciati così.

E soprattutto non in pubblico, perché lei non aveva mai voluto.

Quando si staccarono, Riven pensò che la fata avesse evidentemente bevuto troppo.

Musa si girò e osservò il ragazzo, che li guardava allibito.

Pensavi che fossi single, eh?”, gli disse ridendo.

Riven la prese per un braccio, tirandola indietro.

Se prima pensava che Musa avesse bevuto troppo, in quel momento ne aveva avuto la conferma.

Musa, sei ubriaca, non ascoltare quello che ti viene in mente”

Ma lei, in tutta risposta, cominciò a ridere e a baciarlo alternativamente, così lui la prese tra le braccia e la portò, con il permesso della preside, nella sua camera.

Lei continuava a ridere come un'ubriaca persa, e quando Riven la stese sul letto, cominciò a guardarla mentre rideva senza fermarsi.

Pensò alla ragazza tanto seria e determinata che era, assolutamente diversa da quella che aveva davanti in quel momento.

Pensò che raramente l'avrebbe rivista in quello stato.

Osservò ammirato i suoi occhi neri lucenti, attorniati da un ombretto rosa pallido che le donava meravigliosamente.

Sembrava veramente una fata bellissima, come quelle delle favole.

Il suo vestito color pesca risaliva sempre più, lasciando spazio alla fantasia dei ragazzi che la guardavano.

La osservava contorcersi dalle risate su quel letto, sembrava proprio una pazza, non era da lei.

Trasportato da quelle risate, cominciò a sorridere anche lui, osservando sempre più avidamente la sua bellezza.

Poi, improvvisamente, lei gli prese una mano, portandosela al collo, sulle braccia, sui seni, facendogli toccare lentamente tutto ciò che le apparteneva e che non gli aveva mai permesso di toccare in questo modo.

Sorridente, Musa prese l'altra mano e se la mise su una gamba, sulla coscia, facendogli esplorare l'interno del vestito sempre più.

Lei, eccitata da questo gioco erotico quanto lui, cominciò di nuovo a baciarlo avidamente, mordendogli le labbra, succhiandole e leccandole come se fosse stata l'ultima cosa che avrebbe fatto nella vita.

Così quel gioco erotico li travolse improvvisamente, li fece stendere su quel letto e li portò ad amarsi per la prima volta come mai era successo prima.




* In Giappone è tradizione: chi non regge l'alcol beve comunque e di conseguenza vomita.

Ma vomitare è segno di bontà e sacrificio, perché significa che ci si è sacrificati per i propri amici pur sapendo di non reggere l'alcol.

Scusate se paragono la cultura giapponese a quella della fata, ma Musa ha tratti orientali, così mi sembra interessante modificare i fatti in questo modo.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Da quando se ne andò da quella radura, Musa era talmente immersa nei suoi pensieri che non si accorse nemmeno di aver camminato tanto.

Continuava a ripensare al comportamento di Riven, a ciò che le aveva scritto.

Non si era mai sentita così ferita da lui.

Le persone non si amano a metà, Musa”

Ma che significava? Che cosa voleva intendere con ciò?

Lei lo amava tanto, perché non lo capiva?

Cercò di distrarsi guardando gli alberi immensi sopra la sua testa, ma quelle parole maledette le risuonavano nella testa come un'eco.

Le persone non si amano a metà

Diede un calcio furioso ad un sasso che, sfortunatamente, si trovava sul suo cammino.

Perché mi ha fatto del male? Perché l'ha fatto?, continuava a pensare.

Poi nella sua mente cominciò a risuonare una risposta: una risposta che le metteva i brividi, una risposta che non avrebbe mai voluto pensare, ma che arrivò, puntuale e devastante: forse perché non mi ama più...

Improvvisamente, un rumore sconosciuto la distrasse da quel pensiero che tanto l'addolorava.

Un fruscio di foglie ed un rumore di passi dietro di lei la costrinsero a fermarsi e a voltarsi lentamente.

Tutto ciò che vide fu una donna.

Una donna di statura media, i capelli neri e gli occhi a mandorla, proprio come i suoi.

Indossava un vestito azzurro e leggero, lungo fino ai piedi.

Era davvero una donna bellissima, se non fosse stato per la mascherina igienica che portava sulla bocca.

All'inizio fu spaventoso, poi Musa cercò di calmarsi e di prenderla con simpatia: conosceva bene quella donna misteriosa, ne aveva sentito parlare molto spesso fin da bambina.

Ma nonostante questo, non credette mai a quella che fino a quel momento considerava una stupida leggenda.

La donna la guardava con occhi vuoti, senza mai distogliere lo sguardo dal suo.

Poi, con voce sottile e tremante, sussurrò:”Pensi che io sia bella?”

Musa udì appena le sue parole, poi, cercando di apparire il più rilassata possibile, rispose:”Certo”.

A quel punto la donna si tolse la mascherina dalla bocca e mormorò ancora:”Ed ora, sono ancora bella?”

Pur aspettandosi quella mossa, Musa non poté fare a meno di spalancare la bocca, sorpresa da quella vista: la mascherina aveva rivelato un enorme squarcio, da un orecchio all'altro, della bocca della donna.*

Lei sapeva, lo sapeva bene, ma non pensava fosse così terribile.

Si mise una mano sulla bocca, mentre, spaventata, vide la donna avvicinarsi a lei sempre più.

“Sei...sei sempre bellissima”, sussurrò in preda al panico.

“Tutte le donne sono bellissime così come sono”, continuò, piegandosi a terra dalla paura.

Poi, coprendosi il capo con le mani, gridò:“Ti prego, ti prego, non farmi del male! Io ti aiuterò!”

Poi la donna le alzò il viso e le mise una mano sulla bocca, stringendola forte, e Musa fece appena in tempo a tirare un forte urlo che avrebbe svegliato anche un morto.

Poi, il buio.




*Si tratta di una leggenda metropolitana giapponese, che narra appunto di una donna, un tempo moglie e concubina di un samurai, che in preda alla gelosia (si diceva che lei lo tradisse), le squarciò la bocca da una parte all'altra del viso con la sua spada.

Da quel giorno, 口裂け-Kuchisake – onna (appunto, la donna dalla bocca squarciata) si aggira per le strade scegliendo principalmente bambini e ragazzini come sue vittime, facendo esattamente ciò che è narrato nel testo.

Secondo varie versioni di diverse epoche, se si risponde “sei bella”, ti ridurrà come lei, se si risponde “sei così – così” ti risparmierà, mentre se risponderai di no ti porterà nella casa in cui lei stessa è stata ferita e farà lo stesso con te.

Varie voci inoltre ribadiscono la sua esistenza avendola vista aggirarsi per strada per poi essere investita da un'auto.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Quando Musa aprì gli occhi, l'unica cosa che vide fu una grande barriera.

All'inizio non capì, poi ricordò l'accaduto, e comprese di essere rinchiusa in una specie di gabbia, di nascondiglio.

Si alzò lentamente, timorosa di poter disturbare quell'orribile donna, poi si mise entrambe le mani sulla bocca per non urlare dalla paura: attorno a sé vide degli scheletri appesi a dei pali, come impiccati, qualche osso sparso qua e là, poi si voltò verso le sbarre e cercò di allontanarsi da quelle il più possibile.

Terrorizzata, si tolse le mani dalla bocca, capendo improvvisamente che anche se avesse voluto urlare, non avrebbe più potuto farlo.

Provò a parlare, a dire qualche parola, ma si accorse che dalle sue labbra non usciva nessun suono.

Non più.

Poi si piegò su se stessa come colpita da un pugno nello stomaco.

Cominciò ad invocare mentalmente le sue amiche, Riven, suo padre.

Presa da un moto di rabbia provò a colpire con tutte le sue forze quelle barriere, sperando di romperle, di spezzarle, almeno di piegarle per poter uscire.

Ma presto si accorse che quella donna, oltre alla sua voce, aveva rubato anche i suoi poteri.

Così, in ginocchio davanti a quella gabbia maledetta, cominciò a piangere disperatamente, e continuò fino a che gli occhi non le bruciarono terribilmente.


~


Quando le Winx e gli specialisti sentirono quell'urlo terribile, corsero di fretta nella direzione in cui si era incamminata Musa.

Non avevano dubbi: doveva per forza essere lei.

Quel parco raramente l'attraversava qualcuno, e poi quell'acuto così forte lo possedeva soltanto lei.

Cominciarono tutti a correre a perdifiato, fino a che non arrivarono esattamente al centro del parco.

Il tempo di guardarsi intorno e caddero in una specie di botola nascosta, che evidentemente portava ad un nascondiglio segreto.

Atterrarono su della terra mista a sabbia, che ricopriva il pavimento di una galleria all'apparenza molto lunga.

“Ma guarda cosa ci tocca fare per quella ragazza!”, disse Riven irritato pulendosi dalla sabbia.

Tutti lo guardarono con aria di rimprovero, poi cominciarono a camminare per la via tracciata da quel tunnel misterioso.

In pochi minuti si trovarono davanti ad un magazzino di scatole di legno enormi: poi dietro, nascosto dalle scatole, la galleria continuava tra gabbie molto grandi.

Stranamente, però, all'interno non c'era nessuno.

Così continuarono a camminare, oltrepassando quelle barriere, fino a che non si trovarono davanti ad una donna.

Ma quella donna aveva qualcosa di strano: la sua bocca era...enorme.

Era davvero immensa, innaturale.

Poi, improvvisamente capirono:”E' squarciata!”, gridò Stella spaventata.

Le Winx si misero una mano sugli occhi, inorridite da quella vista.

La bocca era chiusa, ma era chiaramente più grande rispetto ad una bocca normale.

Così, dopo qualche secondo di interdizione, cominciarono a colpirla con i loro poteri, con le loro magie invincibili, ma si accorsero ben presto che non le avevano procurato nemmeno un graffio.

Assorbiva tutto, senza colpirle a sua volta, semplicemente rimanendo immobile davanti a loro.

Poi, in un attimo, si impossessò delle spade dei ragazzi e rinchiuse ognuno in un nascondiglio buio e oscuro che avrebbe fatto paura anche alla morte.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Quando le Winx capirono di essere in trappola, riconobbero la loro compagna guardarle spaventata, rannicchiata in un angolo buio della grande gabbia.

Dopo aver studiato l'ambiente ed essersi accorta di dover convivere con degli scheletri di chissà chi, Bloom si avvicinò a Musa e le si sedette accanto.

Musa...ti andrebbe di raccontarci quello che è successo?”

La fata la guardò con sguardo vago e perso, poi nascose il viso tra le ginocchia.

Bloom stava per ripetere la domanda, quando la ragazza si volse verso di lei facendogli segno di no con la testa.

La ragazza non capiva, non capiva perché non parlava, perché non rispondeva alla sua domanda.

Poi, improvvisamente si illuminò:”Tu...tu non puoi parlare!”, disse stupita.

“Ma...cosa ti ha fatto?”, sussurrò incredula.

Poi le venne un'idea: quella donna era immune ai loro poteri, ma non glieli aveva rubati.

Così fece comparire un grande foglio bianco con una penna, in modo che la ragazza potesse comunicare con loro e raccontargli l'accaduto.

Musa rimase immobile qualche secondo, poi cominciò a scrivere.

Cosa vi ha chiesto?, scrisse con grafia grande e un po' storta.

Bloom non capiva: cosa avrebbe dovuto chiedergli?

Non vi ha fatto nessuna domanda?, scrisse ancora la ragazza.

Bloom rispose di no, poi la vide sfregarsi la fronte confusa.

Io conosco quella donna.

Quando videro quella frase, tutti rimasero attoniti.

Musa conosceva quella donna? E che rapporto aveva con lei? C'era un collegamento con l'accaduto e la loro conoscenza?

Poi la videro aggiungere:”Non in quel modo”.

Ma nessuno capiva:”In quale modo?”, sussurrò Aisha.

Lei viene da una leggenda, scrisse ancora la fata.

Era soltanto un mito, almeno fino a quando non la incontrai, aggiunse.

Le fate e gli specialisti erano sempre più confusi.

Quando vi chiederà se è bella o no, voi dovete rispondere che è bella comunque, sempre e comunque.

Anche se non lo è veramente, non fateci caso. Lei è bella, ricordatevelo, scrisse.

Poi poggiò il foglio a terra e si portò di nuovo le gambe al petto.

Appoggiò la testa al muro freddo, chiuse gli occhi e improvvisamente si addormentò.

Quando si svegliò era notte fonda.

Uno spiraglio di luce notturna filtrava dal corridoio fuori dalla gabbia e illuminava lievemente gli altri, addormentati come lei fino a poco fa, esausti.

Dopo aver osservato un po' ognuno immerso nel sonno, si alzò e si avvicinò lentamente a Riven.

Poi si accovacciò accanto a lui e lo osservò dormire: sembrava così indifeso, così innocente, così...bello. Era immensamente bello. Osservò attentamente il suo viso, quelle labbra rosa carnose, sicuramente soffici e morbide come se le ricordava.

Dopo averlo osservato per qualche minuto, appoggiò la testa alla sua spalla, sperando che non si svegliasse.

Sentiva il suo respiro regolare, il suo cuore, proprio come lo aveva sentito quella sera.

Lo sentiva di nuovo suo, lo sentiva vicino come non mai.

Sentiva che in quel modo, gli apparteneva nuovamente.

Ma sapeva anche che, purtroppo, appena si sarebbe svegliato la magia di quello splendido sogno si sarebbe spezzata.

Così si strinse a lui, piangendo silenziosamente, ascoltando il suo cuore battere come se fosse il proprio, fino ad addormentarsi abbracciata a lui come soltanto quella notte aveva fatto.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Quando Musa si svegliò era già mattina.

Vide che erano tutti già in piedi, ma la cosa che la stupì di più fu sentire la sua mano accarezzarle lentamente i capelli.

Poi ricordò: realizzò di essere distesa sulle sue gambe e di essere accarezzata proprio da lui.

Non poteva dire che se lo aspettasse.

Così come non si era aspettata quella frase.

Le persone non si amano a metà, Musa

Il solo pensiero le faceva venire i brividi.

Ma stentava a credere che quella frase fosse uscita dalla mente dell'uomo che in quel momento le stava accarezzando la testa dolcemente.

Quando lui si accorse che era sveglia, spalancò gli occhi dalla sorpresa, poi smise.

Musa si alzò lentamente, guardando le altre imbarazzata.

Stava per dire qualcosa, ma improvvisamente si ricordò che non poteva parlare.

Ma, da quando si era addormentata accanto a Riven, si sentiva diversa.

Si sentiva più forte. Come se avesse riacquistato i propri poteri.

Ma pensò che, naturalmente, questo non fosse possibile.

Si alzò lentamente, come se fosse in un universo parallelo, in un mondo tutto suo, dove esistevano soltanto lei e l'immensa forza che si sentiva indosso.

Probabilmente dormire le aveva fatto molto bene.

Vedeva gli altri guardarla come se non fosse lei, con occhi sorpresi e impauriti allo stesso tempo.

Poi sentì Bloom sussurrare:”Musa...hai di nuovo i tuoi poteri”.

La sua voce fu soltanto un mormorio, ma la ragazza aveva compreso perfettamente.

Ed era vero, perché un sospiro di stupore la raggiunse, e si accorse di aver recuperato anche la voce.

Era...felice. E sorpresa.

Poteva di nuovo cantare, parlare, comunicare.

Sorrise più che altro a se stessa, quando si accorse che era davvero la verità.

Poi si girò e il sorriso le sparì immediatamente dalle labbra.

Vide quella donna, proprio a pochi centimetri da lei, che la guardava con occhi maligni.

Questa volta non erano vuoti, ma pieni di ogni cattiveria.

Continuò ad osservare quegli occhi che le mettevano tanta paura.

Poi fece qualche passo indietro e andò a sbattere contro qualcosa, ma non aveva importanza.

Continuò a guardare quegli occhi: era sicura che questa volta, quella donna voleva fare qualcosa.

Qualcosa con loro. Qualcosa di grande e pericoloso.

Poi vide la sua bocca orrenda aprirsi in un sussurro:”E così siete fidanzati”.

Poteva giurare che stesse sorridendo. Ovviamente non era comprensibile, ma Musa ne era sicura.

Un sorriso maligno e crudele era proprio sul viso di quella donna.

Poi Musa non ci vide più: sapeva di aver riacquistato i suoi poteri, e nulla le faceva più paura.

Era stufa di tutta quella faccenda, voleva riprendere la sua vita.

Voleva che le cose tornassero come prima con Riven, con suo padre e poter tornare alla propria tranquillità.

Così, tutta la rabbia e la confusione che provava in quel momento, la urlò in faccia a quella donna, senza paura:”Senti, noi non stiamo insieme. Non più! Che cosa vuoi da me?”, disse tutto d'un fiato.

Poi, puntando il dito verso di lei, continuò.

“Noi non stiamo insieme! E' chiaro?”

Poi indicò tutti gli altri, raggomitolati in un angolo buio della grande gabbia:”Li vedi? Loro stanno insieme! Tutti loro stanno insieme! Perché ce l'hai con me?”, gridò.

“Perché ce l'hai con me?”, ripeté.

“Che cosa ti ho fatto? Che cosa diavolo ti ho fatto??”

“Avevo la mia vita, i miei problemi, e tu sei venuta qui a sconvolgerla! Perché?”, le gridò ancora a pochi centimetri dal viso.

Era evidentemente esasperata da tutto quello, ma nessuno cercò di fermarla.

Vedeva quella donna starsene lì, immobile a fissarla con quegli occhi paurosi e terribili e con quella bocca orrenda squarciata da una parte all'altra del viso.

Poi, sempre più arrabbiata, Musa le tirò uno schiaffo in pieno viso, o almeno quella era l'intenzione.

Ma quel che fece fu sbatterla a terra e colpirla senza sosta, gridando:”Tu non sei bella! Sei orrenda! E lo sai anche tu! L'hai sempre saputo! Sei la donna più brutta che ogni uomo abbia mai visto!!”

Poi, improvvisamente, dopo queste parole taglienti, dall'enorme bocca della donna uscirono degli spiriti, delle anime, dei fantasmi che si disintegrarono immediatamente alla luce del giorno.

Poi, tutto si fermò.

Tutto diventò improvvisamente, tristemente immobile e silenzioso.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Tutti restarono per qualche minuto immersi in quel silenzio spaventoso.

Nessuno riusciva a capacitarsi del fatto che quella creatura innaturale era...morta.

Sì, era morta, era finita, era stata spazzata via.

E come?

Musa continuava a chiederselo, immobile in piedi davanti a quel corpo ormai spezzato dalla morte.

Non capiva. Non capiva perché, improvvisamente, quella donna era...morta.

E perché quegli spiriti sconosciuti uscirono dalla sua bocca, dal suo interno, dalla sua anima.

Quegli spiriti avevano riportato in vita il corpo di quella donna, e poi improvvisamente, senza un apparente motivo, l'avevano abbandonato.

Ma proprio mentre Musa elaborava queste informazioni immobile davanti a quel corpo, si sentì un gemito.

Sembravano singhiozzi trattenuti di una triste ragazza.

Poi tutti si alzarono e si diressero verso le sbarre.

Erano aperte. Quella donna, quando era entrata, le aveva spalancate, e nessuno aveva cercato di scappare.

Forse perché avevano troppa paura.

Ma solo in quel momento, Musa si rese conto che probabilmente, lei era molto più debole di quanto sembrasse.

Sicuramente il suo aspetto la rendeva molto più pericolosa di quanto fosse in realtà.

Poi uscì insieme alle altre, abbandonando quel corpo squarciato sul pavimento freddo.

Si diressero in silenzio verso quel pianto trattenuto, trovando poco lontano una ragazza e un ragazzo dentro una gabbia simile alla loro, accovacciati sul pavimento.

Galatea!” esclamò Musa sorpresa.*

Cosa ci faceva lei lì?

Musa!”, la chiamò lei di rimando, altrettanto sorpresa.

Poi si trasformarono e li liberarono.

“Grazie”, sussurrò il ragazzo, confuso e riconoscente.

Musa lo osservò attentamente.

Era un bel ragazzo, e assomigliava leggermente a Galatea.

Aveva i capelli castani, al contrario di lei, ma era alto e muscoloso, la pelle più scura della ragazza e i tratti somatici molto simili.

Mentre si incamminarono verso un luogo non ben definito, la fata si avvicinò a Musa, sussurrandole qualcosa nell'orecchio.

“Come sei finita qui?”

Musa la guardò in viso e la trovò molto stanca e un po' sciupata.

Probabilmente loro erano stati catturati da quella donna molto prima di lei.

Improvvisamente si trovarono in una cucina, e il discorso tra le due fate finì lì.

Tecna riuscì a localizzare il luogo in cui si trovavano, mentre Stella si abbuffava di tutto ciò che c'era nel piccolo frigo.

Sembrava proprio un luogo abitato fino a quel momento.

Secondo le indicazioni degli aggeggi elettronici della fata, che avevano ripreso a funzionare solo in quel momento, erano proprio sopra il luogo in cui si erano fermati il giorno prima per fare un pic-nic.

Musa ci ripensò attentamente: le venne in mente il discorso nella camera di Riven, i loro messaggi.

Quel messaggio.

Poi prese il cellulare tra le mani e vide che era spento.

Lei non l'aveva spento, e quella donna non gliel'aveva perquisito.

Probabilmente si era spento perché da lì sotto, non era possibile comunicare con nessuno o forse perché la batteria si era scaricata.

Non lo sapeva, e non le interessava.

Lo rimise in una tasca, la stessa che conteneva il biglietto strappato scritto da Riven.

Ricordandosi di quel piccolo biglietto, tastò l'altra tasca in cerca di quel misterioso diario.

Ma non lo trovò.

Cominciò a frugare nell'altra tasca, sudando freddo.

Non voleva rubarlo, ma non aveva resistito alla tentazione di sapere ciò che il suo ex-ragazzo scriveva.

Ma se non lo ritrovava al più presto, come avrebbe potuto giustificarsi se lui se ne fosse accorto?

Lei era l'unica ad essere entrata in quella stanza,e sicuramente Helia non era un ladro.

Si accorse che le altre la fissavano incuriosite.

Musa...che stai facendo?”, sussurrò Aisha.

La fata si mise le mani intorno ai fianchi, chiudendo e riaprendo qualche volta gli occhi.

L'aveva perso.

Sì, l'aveva perso, e non era neanche suo.

Per quanto odiasse Riven per tutto ciò che le aveva fatto, non voleva fargli questo.

Poi un portale si aprì, scoprendo il viso di Faragonda e Codatorta che li presero per un braccio e li trascinarono dall'altra parte.




* Per chi non lo sapesse, Galatea è la principessa di Melody che Musa salva acquisendo l'Enchantix nel decimo episodio della terza serie.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Quando Musa stava tornando in camera, sentì una mano appoggiarsi ad una spalla.

Era passata quasi una settimana da quel giorno.

La preside Faragonda si era molto arrabbiata, ma per fortuna le aveva perdonate, capendo che effettivamente non era stata colpa loro.

Poi, il giorno dopo le prese da parte e cominciò a raccontare la storia di quella donna.

Musa non sapeva che lei sapesse.

Pensava fosse solo una leggenda. Ma non era del tutto corretto.

Kuchisake – onna è soltanto una leggenda.

O meglio, è esistita davvero, ma questo non c'entra nulla.

Degli spiriti maligni, molto probabilmente alleati con le antenate, si divertono a fare dispetti e a terrorizzare le fate.

Infatti gli specialisti non c'entrano nulla, in entrambi i casi i ragazzi sono arrivati dopo.

Loro ce l'hanno solamente con le fate, con tutte noi.

Non sappiamo perché, probabilmente rancori del passato.

Ma comunque dobbiamo stare attente e tenere sempre gli occhi aperti.

Ricordatevi che una fata è costantemente in pericolo”.

Dopo quelle parole, Musa andò a coricarsi nella sua stanza, facendo un sonno turbato ma senza sogni.

Poi Tecna la svegliò, dicendole che c'era un ragazzo che voleva parlarle.

Il suo pensiero andò subito a Riven, così, speranzosa in una riappacificazione, corse nel cortile di Alfea.

Ma non trovò chi sperava: il ragazzo che quel giorno era insieme a Galatea era proprio lì, davanti a lei, ad osservarla con occhi curiosi.

Ciao”, disse timidamente.

Non ci conosciamo, ma...ecco, io mi chiamo Daisuke*

Musa lo guardò chiedendosi cosa volesse da lei quel ragazzo.

Volevo solo darti questo”, continuò.

Poi estrasse dalla tasca un piccolo diario, lo stesso che la ragazza aveva preso nella camera di Riven.

Lo guardò con immensa sorpresa e lo ringrazio infinitamente. L'aveva ritrovato!

Ti è caduto quando ci avete liberato”, sussurrò ancora l'uomo.

Musa lo ringrazio nuovamente, lo salutò e se ne andò.

Quell'uomo poteva averlo letto, ma non sarebbe stato un grande problema: in fondo non era neanche suo.

Si mise il diario in tasca assicurandosi che nessuno lo vedesse.

Ma quando, in camera, si accorse che Tecna non c'era, si sedette sul letto e lo riprese tra le mani.

La copertina era semplice: bianca e un po' ingiallita dal tempo, in alto a sinistra c'era un nome scritto elegantemente in corsivo: Lorelei.**

Doveva essere il nome del proprietario.

Allora questo diario non appartiene a Riven!, pensò la fata.

Rifletté qualche secondo come in trance: non ricordava di conoscere nessuno con quel nome.

Chi poteva essere?

Allora, sempre più incuriosita, decise di aprirlo.

La prima pagina aveva un disegno bellissimo, di una donna con capelli molto lunghi e le braccia conserte.

Si vedeva soltanto la parte superiore del corpo, ma si capiva chiaramente che aveva un vestito molto leggero indosso.

I suoi occhi erano allungati e leggermente truccati.

Tutto era chiaramente rifinito, perfetto, nonostante fosse in bianco e nero.

Poi girò la pagina, e, leggendo le prime righe, capì che non era un diario come tutti gli altri.

Era il diario di una madre.

Era il diario di una donna che scriveva i propri sentimenti e le proprie emozioni dal momento in cui si accorse di essere incinta al momento del parto.

Così Musa cominciò a leggere, scoprendo una realtà che non poteva nemmeno immaginare.




* Daisuke è un nome di origine giapponese: Dai significa "grande" mentre Suke significa "aiuto" quindi il significato di questo nome è traducibile con "grande aiuto".

Avrei preferito Miku, perché significa “il futuro che deve ancora venire”, ma è un nome femminile, quindi non potevo utilizzarlo.


** Lorelei è una figura mitologica tedesca, una sorta di sirena, una fata acquatica che attirava i pescatori e gli uomini con il suo canto e la sua bellezza e poi li uccideva.

In realtà ho scelto questo nome perché lei è l'anagramma di lie, che in inglese significa bugia.

Il significato si chiarirà con lo sviluppo e la scrittura della storia.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


14 aprile 1988

2° mese

Ore 20:43


Sai Mark,* penso spesso a te quando sono sola.

Mi mancano tanto le tue carezze, i tuoi baci, il tuo immenso amore.

Sei stato la mia salvezza.

Hai portato la pace nel mio cuore, la serenità.

Ma ora che è tutto finito, sento un'enorme tristezza dentro di me.

Come un vuoto che lentamente mi divora, stringendomi sempre di più nella sua presa, risucchiandomi nel suo vortice, imprigionandomi.

E so di non avere alcuna via d'uscita.

Spesso mi chiedo come hai fatto ad amarmi per tutto questo tempo.

Sono una creatura così imperfetta, so di avere un carattere terribile...come hai fatto a starmi accanto così tanto?

Come hai fatto a seguirmi anche dopo che mi sposai con un altro uomo?

Ricordo quando scappavo di casa per venire a trovarti, per stare insieme a te.

Ora che non sei più qui con me, a volte mi sale una rabbia profonda che desidero soltanto picchiarti a sangue.

Ma mi manchi tanto.

Le persone non si amano a metà, mi dissi quando te ne andasti.

Io non ho mai smesso di amarti.

Ma ora non mi resta nulla di te, se non questa piccola creatura.

Tu non sai nemmeno della sua esistenza.

Sai, Peter pensa che sia suo. Lui non sa di te. Lui non sa niente di me.

Come posso amare qualcuno che non conosco?

Come posso voler bene ad un intruso che mi ha soltanto strappato da ciò che amavo di più al mondo?

Tu mi hai cancellato dalla tua memoria.

O forse quando ti svegli, un mio pensiero ti raggiunge ancora?

Le mie lettere non sono servite a nulla, forse come la mia intera vita.

A volte mi sento così inutile, senza di te.

È molto triste comprendere che con te non abbia altro da condividere, se non ricordi e malinconia.

Non posso dimenticare il tempo che abbiamo passato insieme, nonostante questa tristezza mi divori, non posso allontanarmi dai miei ricordi.

Gli anni passano soltanto in apparenza. I momenti più semplici restano radicati in noi per sempre.

Spesso mi sento un'estranea nella mia stessa vita.

Ho ancora bisogno di un tua parola, amore mio. Di un tuo sguardo, di un tuo gesto.

Tutti quelli che se ne vanno, ti lasciano sempre addosso un po' di sé.

E' questo il segreto della memoria?

Spero che accanto a te ora ci sia una persona che ti ami profondamente, e che ti dedichi tutto ciò che meriti.

Spero di rivederti, quando entrambi non ci riconosceremo più, e di fantasticare su di te e sulle emozioni di un tempo.

O forse non arriverò mai a questo futuro?

Spero che tu e la persona dei tuoi sogni viviate insieme cent'anni.

Ma ti prego, prenditi cura di lei.




* Ho scelto il nome Mark perché in inglese il verbo to mark significa segnare, quindi è sottinteso che quest'uomo abbia segnato profondamente la vita di questa donna.

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Quando Musa arrivò alla festa era molto turbata.

Non riusciva nemmeno ad ascoltare le sue amiche per più di tre minuti di seguito, sovrappensiero.

Si sentiva molto stanca e confusa, quel che aveva letto l'aveva disturbata molto.

E in più non perdeva mai di vista una ragazzina che girava intorno a Riven.

Non si aspettava che si fosse dato da fare così presto.

Prese un bicchiere e si versò qualcosa di forte.

Poi ne bevve un po'. Il sapore era orrendo, ma aveva bisogno di distrarsi.

Osservava le altre stare ognuna con i propri ragazzi, persino Flora stava continuamente appiccicata ad Helia come un koala ad un albero. Non aveva mai visto la sua amica abbracciata a lui in questo modo.

Buttò uno sguardo veloce alla folla: vide Bloom e Sky baciarsi ripetutamente in un angolo, per poi abbracciarsi. Vide Aisha ridere come una ragazzina mentre parlava con uno specialista.

Alla festa c'erano proprio tante persone. Non si aspettava che la fata conoscesse così tanta gente.

Mandò giù un altro sorso, continuando a guardare quella bambina parlare con Riven.

Lui era sempre stato una persona piuttosto silenziosa, pensò che fosse strano che parlasse così tanto con quella ragazza.

“Stai per fulminarla, vero?”, sentì dire una voce.

Poi si girò e vide Aisha proprio accanto a lei.

“Chi era quel ragazzo con cui stavi parlando prima?”, le chiese istintivamente Musa.

“Ah, nessuno, un vecchio conoscente di Andros”, disse la fata ridendo.

Poi Musa si girò verso Riven e vide i loro volti decisamente troppo vicini.

Così, prima che Aisha potesse fermarla e prima che lei stessa potesse accorgersi di ciò che stava facendo, andò incontro al ragazzo e gli sbatté un pugno sul petto, allontanandoli.

“E dopo tutto quello che fai, io non posso passare una serata con dei ragazzi?”, disse col tono più aspro che poté.

“Noi non stiamo più insieme, Musa. Non mi parlare più”

Ma proprio mentre faceva per andarsene, Musa prese la ragazza per una spalla, tirandole uno schiaffo in pieno viso.

“Cosa pensi di fare con lui, eh? Non lo sai che ha una ragazza che lo ama? Non lo sai questo?”, le gridò in faccia.

Continuò a gridare anche quando Riven la portò lontano dalla festa, dentro la scuola, e continuò a dimenarsi, quando lui per fermarla l'abbracciò, bloccandola completamente tra le sue braccia.

Allora le grida di Musa si trasformarono in un pianto, esasperata da quella confusione, da quella situazione, dal diario, dal suo rapporto con Riven, dalla fine della scuola.

“Mi manchi tanto”, sussurrò tra i singhiozzi, e quando sentì il ragazzo accarezzarle dolcemente la testa, si accasciò a terra e pianse ancora più forte, e nonostante la tristezza che provava, sperò che quel momento non finisse mai.

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


10 ottobre 1988

8° mese

Ore 17:12


Sai, quando scrivo penso molto a te.

A te e a me, insieme. Penso a tutto ciò che abbiamo passato.

E nonostante io cerchi di ricordarmi ogni particolare, ho sempre la sensazione di dimenticare qualcosa.

La vita è come un foglio bianco.

La mia è un foglio strappato dalla solitudine.

Qualcosa di importante o no, questo non lo so, ma sento un buco dentro la memoria, qualcosa che è successo, a me, a te o a noi due insieme, ma non riesco proprio a ricordarla.

Ci sono abissi che l'amore non può superare, nonostante la forza delle sue ali.

Forse sono una persona maledetta. Ripudiata da Dio dalla nascita, priva di fede e umanità.

Forse sono nata soltanto per vivere quel momento, progettato ormai in ogni minimo dettaglio.

Il giorno della nascita e della morte si avvicina sempre più.

La mia mano si sta lentamente fermando, non riesco più a scrivere molto.

Per questo, quando lo faccio, penso a te.

Ci imponiamo di non aspettarci niente, ma nel cuore in realtà la speranza non si spegne mai.

Le mie forze mi stanno abbandonando.

Sento il mio corpo spezzarsi, piegarsi lentamente verso qualcosa di indefinito.

So che non vivrò ancora a lungo.

Ma nessuno saprà nulla. Non adesso.

Non saprà mai nessuno.

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Quando Musa si svegliò capì di essere in infermeria, stesa sul piccolo lettino.

Fuori era buio, ma capì che doveva essere mattino presto.

La luce era accesa, e sul comodino accanto al letto vide dei fiori freschi immersi in un po' d'acqua.

Con quei fiori rosa pallido, l'infermeria sembrava davvero una stanza come tutte le altre, se non fosse stato per quel vuoto così malinconico: non c'era un mobile, era tutto completamente vuoto, a eccezione della sedia di legno nell'angolo vicino alla finestra.

Guardando quei fiori, Musa si ricordò improvvisamente della stanza di Riven.

Si ricordò del biglietto, della loro foto, del diario.

E quando questi pensieri la raggiunsero, cominciò a tremare.

Aveva paura, ma voleva andare in fondo a quel mistero.

Chi era la donna misteriosa incinta che scriveva su quel diario?

Era forse lei Lorelei? E perché Riven aveva questo diario? Che legame aveva lui con questa donna?

Rifugiandosi sotto le coperte calde, Musa pensò che doveva trovare una risposta a queste domande.

Ma qualcosa, una paura sconosciuta e terrificante, glielo stava impedendo.

Era un'ansia feroce, che le prendeva lo stomaco e lo stritolava forte.

Era come un presentimento che se avesse scovato più a fondo, qualcosa sarebbe andato storto.

Ma cosa? Sapeva che le fate fossero costantemente in pericolo, ma non poteva rischiare la propria vita per qualcosa che non le apparteneva nemmeno.

In fondo non era neanche più un affar suo. Riven stesso non era più un affar suo.

Ma mentre questi pensieri le affollavano la mente, vide un'ombra alla luce della porta.

Poi alzò lo sguardo timorosa, e vide la figura di Flora sorriderle tranquillamente, per poi andarsi a sedere accanto a lei.

Appena la vide, Musa abbassò lo sguardo dispiaciuta, mormorando con un fil di voce:”Dì ad Aisha che mi dispiace per la sua festa...quando quella ragazza gli si è avvicinata non ci ho visto più”.

La fata sorrise, poi le accarezzò dolcemente il viso.

“Non preoccuparti, Musa. Capisco cosa significa perdere qualcuno che si ama. E' stata comunque una bella festa”.

Musa chiuse gli occhi, stanca di tutta quella faccenda. Non voleva rovinare la festa di compleanno della sua amica, ma non l'aveva fatto apposta.

Si sentiva come se fosse stata manipolata dalla stessa forza che quella mattina la spinse ad aprire il cassetto del comodino di Riven.

Poi riaprì gli occhi e osservò Flora.

Indossava ancora l'abito da sera, probabilmente Musa doveva essersi persa buona parte della festa.

“Non vedo l'ora di andarmene da qui”, disse con una sincerità sconcertante anche per se stessa.

“Vorrei potermi allontanare al più presto da questo posto in cui ho vissuto le più belle e le più brutte esperienze”.

Era la prima volta che apriva il suo cuore in questo modo con la ragazza.

“Non vedo l'ora che tutto finisca, esattamente come è cominciato”, sussurrò ancora.

Poi Flora le sorrise, e alzandosi, le disse di riposare.

Probabilmente aveva inteso le sue parole come un segno di esasperazione momentanea, come qualcosa dettato dalla rabbia e dal rancore della serata appena passata.

Vide l'ombra della fata scomparire lentamente alla luce della stanza, lasciandola sola.

Poi Musa chiuse gli occhi, restando così per molto tempo.

Sentiva il silenzio attorno a sé entrarle nelle orecchie e sembrarle così assordante e insopportabile.

Poi un suono la destò dal suo coma.

“...posso?”, mormorò una voce.

Lei la riconobbe subito, pur non essendole ancora molto familiare.

“Ciao, Daisuke”, disse mettendosi a sedere.

“Ciao”, la salutò timidamente lui, sedendosi esattamente dove si era seduta prima la sua amica.

“Volevo solo sapere come stavi. Sai, ho assistito a tutta la scena, e allora...”

“Sì, grazie”, sussurrò Musa di rimando.

Poi incrociò le mani, riflettendo su ciò che poteva dire in quel momento.

“Io e quel ragazzo stavamo insieme fino a poco tempo fa. Poi mi ha lasciato”, mormorò lentamente.

Il ragazzo asserì con la testa.

“Mi ha vista con altri. Ma è una storia lunga, forse non ti interessa”, disse la fata alzando lo sguardo.

“Ma no, figurati...mi interessa conoscerti meglio”, disse sorridendo il ragazzo.

Musa sorrise, intuendo cosa effettivamente si celava dietro quelle parole.

“Senti, io non vorrei aver frainteso, ma...ecco, io lo amo ancora”, sussurrò Musa guardandosi le mani.

Il ragazzo sorrise:”No, scusami, forse mi sono spiegato male”, disse imbarazzato,”non intendevo dirti questo. E' che mi sembri una persona interessante. Mi piace il tuo carattere, il tuo modo di fare. Per questo vorrei conoscerti meglio...un uomo e una donna non possono essere amici?”.

Musa sorrise timidamente, poi distolse lo sguardo.

Restarono in silenzio qualche minuto, quando lei lo ruppe.

Quella sera, o forse era meglio dire ormai quella mattina, Musa voleva essere più sincera che mai.

Avrebbe voluto urlare al mondo la sua tristezza, per poi magari risvegliarsi di nuovo tra le braccia di Riven.

Le persone non si amano a metà, Musa.

Perché non capisci che ti amo, Riven? Perché non lo capisci?

Poi aprì la bocca, insieme al suo cuore lacerato.

“A volte, guardando il cielo infinito, provo un enorme senso di tristezza.

Il mio passato pesa sulle mie spalle più di quanto pensassi. Ogni volta che ripenso a lui, mi sento così debole e fragile. Un senso di vuoto e malinconia mi avvolge, e non riesco più a liberarmene.

Mi sento così stupida. Adesso che è tutto finito, non c'è più nessuno su cui io possa contare.

Sono sola come una foglia nel vento d'estate”.

Un silenzio irreale li avvolse.

Nell'aria si sentivano soltanto i respiri profondi e la tensione scaturita dalla sincerità della fata.

Musa non riusciva quasi a credere di aver detto esattamente ciò che pensava.

Per la prima volta, aveva espresso i suoi pensieri in un modo così chiaro da stupire anche se stessa.

Non passò molto tempo perché si vergognasse delle sue parole.

Ma il ragazzo la rassicurò:“Chi vola alto è sempre solo”.

Poi le poggiò una mano su una spalla. Rimasero così per molto tempo, ognuno ipnotizzato nello sguardo dell'altro, cercando una risposta nei loro occhi sinceri.

Ma la mattina passò, insieme al pomeriggio e alla sera, ed entrambi non trovarono nessuna risposta.

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


30 maggio – 17 giorni prima



Quando Musa arrivò al ristorante trovò Riven già seduto al loro tavolo, bevendo un aperitivo.

Indossava una maglia leggera blu e dei pantaloni neri molto eleganti.

Non si aspettava di trovarlo così.

Per una volta, aveva deciso di festeggiare il proprio compleanno su Melody senza le sue amiche, soltanto con lui e con suo padre.

Quando si sedette, Riven cominciò a parlare: gli raccontò di lui, del padre alcolizzato, del viaggio su Melody, delle proprie passioni.

E Musa si accorse, con sua grande sorpresa, di quanto poco lo conoscesse: pensava di sapere molte cose su di lui, sicuramente molte più degli altri, ma in realtà erano molte anche le cose che non conosceva.

Poi, quasi per caso, per curiosità, si lasciò sfuggire una domanda:”Riven, perché mi stai raccontando tutte queste cose adesso?”

Lui sbatté qualche volta le palpebre, per poi rispondere con voce roca:”Voglio che tu sappia ogni cosa di me”.

Poi gli prese la mano, e carezzandole lentamente le unghie, sussurrò:”Ti amo”.

I loro sguardi si incontrarono, e rimasero così fino a quando il cameriere non li interruppe con l'ultima portata.

Era un dolce tipico di Melody, fatto con frutta e cioccolato.

Musa lo adorava, e lo divorò in un attimo.

Ci imponiamo di non aspettarci niente, ma nel cuore in realtà la speranza non si spegne mai”.

Musa lo sentì soltanto come un mormorio sussurrato.

Lo vide giocare con il dolce, per poi poggiare la forchetta e incrociare le braccia sul tavolo.

Riven, perché mi stai dicendo tutto questo?”

Musa proprio non capiva. Cosa c'entrava questo con lei e con il suo compleanno?

Stavo pensando a mia madre. Io non so nulla di lei”

Riven abbassò lo sguardo, poi si alzò e prese la propria giacca.

Andiamo?”, sorrise.

Musa gli sorrise di rimando, poi si alzò e uscirono dal locale.

Pur essendo quasi giugno, il clima era fresco lì la sera.

Camminarono fianco a fianco in silenzio per circa mezz'ora, poi si sedettero su una panchina davanti alla spiaggia.

Dopo un po', Riven si alzò, la prese per mano e la portò proprio davanti al mare.

Poi, senza dire una parola, cominciò a spogliarsi.

Riven, sei pazzo, fa un freddo cane!”, disse la fata stupita dal suo comportamento.

Poi spogliò lentamente anche lei, e in pochi minuti entrambi rimasero soltanto con gli abiti da sera.

Il ragazzo prese la fata per mano e, correndo, la buttò nell'acqua.

Musa assisté a tutto questo senza dire una parola, né facendo qualcosa per fermarlo.

Osservò con sua grande sorpresa che l'acqua era calda.

Contrariamente a quanto aveva pensato, era piacevole stare lì dentro a quell'ora.

Poi Riven le circondò il collo, baciandola appassionatamente.

Rimasero così per molto tempo, fino a quando le campane non suonarono la mezzanotte, a baciarsi sotto la luna piena come se fosse l'ultima volta nella loro vita.

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Quando Musa arrivò a Melody, si sentì immediatamente a casa.

Fece il giro della propria città, respirando il suo profumo e osservando la sua gente.

Sentì la musica dei locali risuonarle nelle orecchie, vide le mamme giocare con i bambini al parco vicino alla sua vecchia scuola.

Poi decise di passare la notte in un albergo. Non sapeva quanto ci sarebbe rimasta, ma sapeva che quel giorno non avrebbe avuto la forza di vedere e affrontare suo padre.

Voleva parlare, voleva chiarire, voleva sapere il motivo di quel gesto estremo che non aveva dimenticato.

Non si sentivano da due settimane, lui aveva provato molte volte a chiamarla, ma lei non ne voleva sapere.

Era ancora molto arrabbiata con lui, perché sapeva che era da lì che erano partiti tutti i problemi, uno dopo l'altro, ininterrottamente.

Aveva bisogno di una pausa, erano successe troppe cose insieme, si sentiva persa, si sentiva un'estranea persino nella sua vita.

Come Lorelei.

Quella donna la stava influenzando più di quanto potesse immaginare.

Non sapeva cosa avrebbe fatto adesso che la scuola era finita.

Le sue amiche erano tornate a casa, dalla loro famiglia, e presto i loro fidanzati le avrebbero seguite e insieme avrebbero cominciato una nuova vita.

Aisha sarebbe diventata presto regina, ed era molto positiva sul proprio futuro.

Soltanto lei vedeva davanti a sé un enorme buco nero, in cui si stava addentrando volontariamente sempre di più.

Quando si lasciarono, si promisero di rivedersi presto e di non dimenticarsi.

Musa sapeva che loro ci sarebbero sempre state.

Quello che la preoccupava e che le occupava costantemente i pensieri era Riven.

Quando si erano salutati, lui le aveva rivolto soltanto una gelida occhiata, parlandole freddamente.

Le persone non si amano a metà, Musa.

E soltanto in quel momento, in quella stanza d'hotel, coi ricordi tra le mani, Musa capì che aveva ragione.

Riven aveva ragione, le persone non si amano a metà.

La loro relazione non poteva continuare tra bugie e menzogne.

E lei lo sapeva bene, ma aveva continuato ad arrampicarsi sugli specchi, a cercare una soluzione a qualcosa che soluzione non aveva.

Si sentiva così inutile, così fuori strada.

Poi, nel buio freddo della stanza, la fata si addormentò, cullata soltanto dalla paura di non essere più nel posto giusto.


~


Quando si svegliò era mattino presto.

Fuori era ancora buio, ma Musa si alzò e si preparò meccanicamente per affrontare la giornata.

Era la prima volta che quella sveglia terribile di Tecna non la svegliava.

E, con sua grande sorpresa, sentiva la sua mancanza.

Non pensava di aver mai provato tanta nostalgia di quella scuola.

Ma le mancava ogni angolo, le mancava la sua stanza, la sua scrivania, le chiacchierate con Tecna e i loro silenzi.

La verità era che quelle cinque ragazze erano diventate la sua vita, e non riusciva più a distaccarsene.

Fin da quando se n'era andata, pensò che sarebbe stata dura.

Ma non pensava così tanto.

Ma quel che le mancava di più era Riven.

Istintivamente, pensando a lui pensò al diario che aveva preso nella sua stanza.

Non aveva avuto il coraggio di ridarglielo, e forse lo avrebbe tenuto per sempre.

Sarebbe stato sempre suo, in fondo lui non gliel'aveva neanche chiesto.

O meglio, sembrava non si fosse nemmeno accorto della sua sparizione.

Così lo prese dalla valigia, aprendolo con cura.

Ma il diario si aprì all'ultima pagina, dove Musa scoprì un altro disegno.

Era una ragazza coi capelli lunghi, molto magra, che sembrava specchiarsi nella sua camera.

Vicino si poteva intravedere una parte del letto, e sullo specchio c'era il riflesso del viso e dell'intero corpo.

Assomigliava moltissimo alla donna della prima pagina.

Ma a differenza di quest'ultima, la ragazza sembrava togliersi una maglia, rivelando la pancia piatta e le costole appena accennate.

Musa osservò il disegno con grande ammirazione, esaminando quei meravigliosi dettagli con attenzione.

Poi girò la pagina precedente, e si stupì a trovarla vuota.

In effetti il diario era scritto solo per metà.

Lo aveva letto e riletto tante volte, ma non erano molte le pagine scritte.

Poi girò ancora la pagina, e ciò che trovò fu soltanto una piccola scritta.



15 ottobre 1988

Le persone non si amano a metà.

Ti prego, non ti dimenticare mai di me.

Ricordati sempre che sono esistita.


Poi, sotto, più in basso, c'era un'altra scritta in corsivo molto più piccola, tanto che Musa fece fatica a leggere.


Puoi andare ovunque nel mondo,

ma senza radici,

affondi.

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Il dolore muto

sussurra al cuore

un peso che lo rompe.



Quel giorno Musa finalmente decise di parlare con il padre.

Era mattina presto, ma lei si diresse dritta verso la sua vecchia casa senza fermarsi.

Suonò il campanello, ma nessuno rispose.

Aspettò qualche minuto, poi suonò di nuovo, più volte.

Poi decise di entrare da sola, con le chiavi che le aveva lasciato il padre, aprendo la porta senza fatica ed entrando nel piccolo ingresso.

Ciò che la stupì di più di quella casa fu il perfetto ordine che in quei tre anni quell'uomo era riuscito a mantenere, a quanto ne sapeva, da solo.

Intravide la cucina pulita e ordinata, la piccola scala senza un granello di polvere.

Poi salì nella sua stanza, ritrovandola esattamente come allora.

C'erano persino le sue scarpe rosse ancora nuove, nascoste sotto il piccolo letto.

Le aveva comprate tempo prima con i soldi che il padre le aveva dato per la spesa: si arrabbiò molto quando tornò a casa dicendogli che li aveva persi, sapendo che non avrebbe mai accettato il suo gesto.

Era l'unico segreto che c'era sempre stato tra loro.

Eppure lui sembrava non essersene accorto, perché erano ancora lì, nel posto in cui le aveva lasciate prima di partire per la scuola di Alfea.

Avrebbe voluto portarle con sé, ma suo padre l'aiutò a fare la valigia e non ebbe occasione di prenderle.

Col tempo, durante il suo soggiorno nella scuola, le aveva dimenticate.

Ma adesso che le rivedeva, capì che erano molto importanti per lei.

In qualche modo le ricordavano sua madre.

Non sapeva perché, ma quelle scarpe avevano qualcosa di suo, qualcosa che le faceva pensare che lei, in questo modo, le sarebbe stata sempre accanto.

Tornò in cucina, osservando la perfezione dei pensili e delle stoviglie ordinate sullo sgocciolatoio.

Il suo stomaco vuoto le ricordò che non aveva fatto colazione quella mattina, così aprì il frigo e prese della frutta, mangiandola senza tagliarla, pensando alla monotonia che, da quando Riven l'aveva lasciata, stava costellando la sua vita.


~


Quando suo padre rientrò a casa la trovò addormentata sul divano, abbracciata all'unico grande e morbido cuscino nero. Così prese una coperta e gliela mise sopra dolcemente.

Poi la lasciò sola.

Quando Musa si svegliò lui era lì ad osservarla, mangiando una piccola fetta di carne seduto al tavolo.

Lei lo guardò smarrita, realizzando poi che, in sua attesa, si era addormentata.

Intuì che doveva essere sera.

Per la prima volta dopo tanto tempo, aveva avuto un sonno piuttosto sereno rispetto alle altre volte.

Erano settimane che non sognava più nulla, e questa volta non era stato diverso, ma in qualche modo era stato più sereno.

“Ma dove sei stato?”, sussurrò la fata con voce assonnata, mettendosi a sedere.

“Sono andato a trovare tua madre”, sussurrò l'uomo.

Musa abbassò lo sguardo, lasciando cadere nel vuoto il discorso appena iniziato.

“Mi dispiace”, mormorò dopo qualche minuto di silenzio.

Poi lo guardò negli occhi, e lo trovò a fissarla.

Stettero così qualche secondo, poi il padre parlò.

”So tutto”

Musa abbassò di nuovo lo sguardo.

Si ritrovò con gli occhi lucidi nel giro di qualche secondo, senza saperne nemmeno il motivo.

Non era triste, non era malinconia quella che provava.

Ma gli occhi le si riempirono di lacrime, e il padre sembrò accorgersene.

“Non era questo il mio obiettivo”, aggiunse l'uomo.

Il suo tono di voce sembrava dispiaciuto.

Ma Musa non la prese come lui credette.

Si alzò in piedi in un moto di rabbia, gli occhi furiosi anche se lucidissimi.

“Non è vero”, sibilò.

“Era proprio questo il tuo obiettivo. Era questo che volevi!”

Il suo tono cominciò ad alzarsi.

“Smettila papà! Non fare finta di dispiacerti! Non raccontarmi bugie!”, gridò.

“Tu non l'hai mai accettato...sai cosa significa questo per me? Perché non capisci che lo amo? Perché non lo capisci?”

Poi Musa si accasciò a terra, travolta da un pianto improvviso, fatto di malinconia, tristezza, nostalgia.

Emozioni che lei credeva, nel tempo, di aver eliminato, ma che erano sempre rimaste nel fondo del suo cuore.

Il padre le si avvicinò lentamente, inginocchiandosi come lei sul pavimento.

“Passiamo tutta la vita ad illuderci di aver fatto la scelta giusta, quella possibile, per poi scoprire che non è così quando è troppo tardi”, sussurrò la fata tra le lacrime.

“Tu sapevi che mamma era malata e l'hai sposata lo stesso”, aggiunse.

“E adesso guardati! Sei solo! Non hai nessuno, e stai perdendo anche tua figlia!”, gli gridò in faccia.

Uno schiaffo violento la colpì in pieno viso, aumentando il suo pianto di intensità.

“Mi manca tanto, papà”, sussurrò.

“Mi manchi tanto”

“Ti prego, aiutami a lasciarlo andare”

Poi il padre l'abbracciò, piangendo insieme a lei, per quelle che sembrarono ore.

E rimasero così, nella speranza che il tempo avrebbe guarito le ferite.

Ma i giorni passarono, le settimane, ma entrambi si accorsero che il tempo non guarì proprio nulla.

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Quando Musa si svegliò quasi si stupì di trovarlo ancora accanto a lei.

Era notte fonda, ma le sembrava di aver dormito un'eternità.

Alzò piano la testa dal cuscino, osservando il suo viso addormentato.

Era ancora più bello mentre dormiva. Si stava stretti in due in un letto singolo, ma lui sembrava un angelo perso nel paradiso, al cospetto di Dio.

Gli mise una mano sul petto quasi senza accorgersene, poggiandola delicatamente sui suoi addominali scolpiti dai duri allenamenti di Fonterossa.

Osservando il suo viso sereno, Musa non poté fare a meno di pensare che presto tutto quello sarebbe finito, lasciando spazio ad un futuro che nessuno conosceva.

Poi si addormentò di nuovo, cullata dal suono del suo respiro.

E quando si svegliò per la seconda volta, accanto a lei non c'era più nessuno.


~


Erano passate quasi tre settimane dal giorno in cui Musa era tornata a Melody.

Il tempo passava, e lei continuava a vivere in un mondo alternativo, un mondo diverso da quello comune, nella speranza che qualcosa, nella sua vita, potesse improvvisamente prendere una piega diversa.

Jason continuava a ripeterle che la vita privata non doveva influenzare il lavoro, altrimenti emergere nel mondo della musica sarebbe stato ancora più complicato.

Ma nonostante si sforzasse, Musa non riusciva a dargli ascolto.

Anzi, la sua opinione era del tutto contraria: prima veniva la sua vita privata, poi il proprio lavoro.

Eppure ce la metteva tutta per impegnarsi, ma i risultati erano sempre gli stessi.

“Tuo padre ha ragione”, diceva Jason, “quell'uomo ha compromesso anche la tua più grande capacità”.

Quando tornava a casa, lei e suo padre quasi non si scambiavano una parola.

Lui tentava di iniziare una conversazione, ma lei rispondeva a monosillabi, chiaramente distratta.

Poi un giorno il suo cellulare trillò.


From: Riven

To: Musa

[No subject]


Devo vederti. Incontriamoci al bar vicino a casa tua, quello dove siamo andati la prima volta che sono venuto su Melody.

Ci vediamo alle 16:30.


Quando lo lesse, Musa non riuscì a credere a quel messaggio.

Spalancò gli occhi e quasi le mancò il respiro.

Una piccola speranza si accese dentro il suo cuore.

Forse Riven voleva chiarire, aveva capito di avere sbagliato...e per la prima volta dopo quasi un mese, le labbra di Musa si aprirono in un piccolo sorriso.

Era sicura che le cose si sarebbero messe a posto, così tornò a casa e si preparò.

Quando vide il diario sul suo letto, lo prese istintivamente.

Aveva intenzione di restituirglielo, in fondo era sempre stato suo.

Quando Musa arrivò lo trovò già lì: indossava abiti semplici e leggeri, e non era cambiato per nulla.

La fata pensò che in fondo erano passate solo tre settimane.

Quando si sedette di fronte a lui, gli sorrise leggermente, speranzosa in una riappacificazione.

Poi ordinarono un cocktail fresco e si guardarono intensamente negli occhi.

“Pensavo avessi cancellato il mio numero”, disse ad un tratto la fata.

“Volevo vederti un'ultima volta”, le rispose il ragazzo.

Il viso di Musa si rabbuiò improvvisamente, e il suo cuore perse un battito.

Senza accorgersene, aprì leggermente la bocca sorpresa.

Pensava che volesse vederla per fare pace.

Invece era esattamente il contrario.

Musa fissò il suo bicchiere per qualche minuto, per poi sussurrare irritata:”Mi vuoi lasciare di nuovo?”

Riven la guardò per qualche secondo.

“Io ti ho già lasciato”, mormorò.

“Volevo solo dirti una cosa”, aggiunse.

Lei lo guardò con sguardo vuoto. Ormai si aspettava soltanto un'ultima pugnalata al cuore.

“Lo so che hai preso tu il mio diario”, disse il ragazzo.

“Puoi tenertelo se vuoi”

La fata lo guardò spalancando gli occhi quasi come aveva fatto quando aveva letto il suo messaggio.

Allora se n'era accorto! Ma perché non le aveva detto niente?

“I-io...ce l'ho qui”, mormorò, per poi tirarlo fuori dalla piccola borsa, poggiandolo sul tavolino nella sua direzione.

Lui lo guardò, poi spostò lo sguardo su di lei.

Lei lo abbassò, e per caso cadde esattamente sul piccolo nome stampato sulla copertina.

Poi lo osservò ancora.

“Chi è Lorelei?”, sussurrò.

Si guardarono negli occhi qualche minuto, esaminandosi come se non si vedessero da anni.

“E' mia madre”, rispose il ragazzo.

“Era mia madre”, si corresse.

“Io non l'ho mai conosciuta. Mio padre ha perso la testa quando se n'è andata. Ed è diventato ciò che è adesso”

Poi spostò lo sguardo sul tavolo.

“A me non serve. Ormai ho letto e riletto tutto ciò che c'è scritto. Puoi tenerlo”

Lei lo guardò sorpresa.

Poi si ricordò dei bellissimi disegni che c'erano alla prima e all'ultima pagina del diario.

“La donna nei disegni...è lei?”, chiese in un sussurro.

Lui incrociò il suo sguardo per l'ennesima volta.

Poi avvicinò il viso al suo, incrociando le braccia al tavolo.

“Sei tu”, mormorò.

Lei si avvicinò impercettibilmente verso quel viso stupendo, ma la suoneria del suo cellulare la interruppe.

Lo prese senza staccare lo sguardo dagli occhi del ragazzo.

Voleva dirgli qualcosa, ma lui la anticipò.

“Vedo che hai compagnia. Buona fortuna, ragazzina

Poi si alzò, lasciandola lì, col cellulare in mano a fissare il vuoto.

Lei lentamente rispose.

“Ciao Musa, sono Daisuke, volevo solo sapere come stavi!”, disse una voce.

Ma lei non parlò, continuando a fissare il vuoto davanti a sé.

Il vuoto della sua vita, il vuoto dello spirito delle parole, il vuoto di quello che sarebbe dovuto essere il proprio futuro.

Senza di lui.




Continua...

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