Picture of you and I in love

di LazySoul
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno ***


1_Picture of you and I in love

Picture of you and I in love

 

 

Capitolo uno

Jay

 

Strinsi forte le coperte con le dita, mi ostinai a tenere chiusi gli occhi, ma ormai era tutto finito e non sarebbe più tornato indietro.

Per quanto mi sforzassi di trattenere il sogno, ormai gli ultimi colori stavano sbiadendo e quel sorriso che mi faceva tanto male scomparve in pochi istanti.

Rilassai lentamente le mie dita contratte e aprii gli occhi.

Era ancora notte, dalla finestra si poteva vedere la luce al neon del ristorante, che si trovava dall’altra parte della strada, lampeggiare ad intermittenza.

I primi giorni, quando mi ero appena trasferito in quel buco di appartamento, avevo trovato molto difficile chiudere occhio a causa di quell’illuminazione color ciliegia, ma poi ci avevo fatto l’abitudine e in poco tempo era diventata come la lucina, che tenevo accesa la notte sul comodino quando avevo cinque anni, per sconfiggere la mia paura del buio.

In strada si sentiva il rumore delle auto, voci, ma soprattutto il suono vagamente rilassante della pioggia, mentre nella mia stanza l’unico suono percettibile era il mio respiro, ancora affannato per il sogno.

Imprecai piano, prima di rigirarmi nel letto e di litigare con le coperte che si ostinavano a scivolare giù dal letto, mentre lo sguardo si soffermava per pochi istanti sulla scatola che avevo accanto al letto.

Sentii una fitta all’altezza del petto, riuscendo a distogliere lo sguardo in poco tempo e ad impedirmi di ricordare, ostinandomi ad insultare il proprietario dell’auto in strada, a cui era partito l’antifurto e che mi stava facendo innervosire ancora di più, per non pensare ad altro.

I numeri verdi della sveglia indicavano che era solo mezzanotte, avevo dormito si e no un’ora e sentivo che gli occhi mi si stavano di nuovo per chiudere.

I pensieri confusi del dormiveglia mi avevano sempre affascinato; una volta avevo iniziato col ricordare di quando da piccolo mia madre cucinava i muffins al cioccolato, fino ad arrivare alla terza superiore quando mi ero fatto una del quarto anno in bagno, insomma, da un’estremo all’altro in pochi secondi e trovando dei collegamenti tra gli avvenimenti della mia vita del tutto inesistenti o complessi da capire in momenti come quello; quando cominci a sentire un piacevole torpore avvolgerti e inizi a pensare che presto il sonno ti porterà via.

L’urlare e cantare in strada della gente si trasformò lentamente in un brusio di sottofondo vagamente piacevole, ma l’istante di quasi totale relax venne interrotto dal rumore forte e fastidiosi di un clacson in strada, mentre un uomo insultava qualcuno che a quanto pare aveva attraversato, senza prima guardare la strada.

Sospirai infastidito, prima di sollevarmi e di camminare verso la finestra.

L’aria pungente della notte mi fece venire la pelle d’oca, mentre lanciavo uno sguardo di puro odio alla gente in strada, chiedendomi se nemmeno la pioggia di quella notte poteva far tornare a casa propria quelle persone.

Ero solo.

Io, che avevo sempre pensato di essere circondato da persone sincere, mi ritrovavo solo.

Ero stato un ingenuo, ma principalmente ero un egoista bastardo ed ero certo che quella solitudine non sarebbe durata in eterno.

Non per me.

Tornai a guardare il mio letto e sentii una strana sensazione quando lo vidi vuoto.

Finii per inciampare sulla scatola di cartone, che si trovava tra il letto e la finestra, facendo uscire da essa degli oggetti e un album di fotografie.

Pensai di tornare a dormire e di mettere tutto a posto il giorno dopo, ma poi cambiai idea.

Accesi la luce e mi accoccolai nel letto con quell’album tra le mani.

La copertina rigida era color muschio e aveva sopra raffigurate delle foglie leggermente più chiare, mentre la scritta: “Fotografie” spiccava essendo color bianco.

Avrebbe fatto male sfogliare quelle pagine, lo sapevo, eppure avevo bisogno di dimostrarmi che tutto quello che era successo non era semplicemente un sogno, ma qualcosa di reale, palpabile... come una fotografia.

Raggiunsi la pagina che cercavo con una strana ansia e disperazione, sfiorai i due visi sorridenti e felici nell’immagine e provai una stretta al cuore ricordando ogni cosa, ogni singolo ieri che avevo bruciato e posto ordinatamente nel dimenticatoio, ogni sguardo, ogni bacio, ogni carezza, ogni sorriso, ogni attimo rubato e ogni sogno infranto.

I miei occhi non riuscivano a lasciare quelli nella foto, quelli che possedevano un magnifico color nocciola misto verde, quelli che avevo sognato neanche cinque minuti prima, quelli che era inutile provare a dimenticare perché sarebbero sempre rimasti nella mia mente.

Il suo viso sorridente, le labbra carnose, i capelli ricci e bruni, il naso regolare, il piccolo neo che si trovava sul suo braccio destro...

Era inutile mentire: mi mancava.

La mia Katy.

Chiusi di scatto l’album e lo buttai a terra, furioso con me stesso, mi portai le mani tra i capelli e abbassai il viso, mentre cercavo inutilmente di trattenere le emozioni e di non mettermi assolutamente a piangere. Le lacrime non scesero, ma i singhiozzi mi scossero il corpo in modo vergognoso. Mi sentivo un bambino piccolo ed indifeso, inutile e debole.

Non aveva senso piangersi addosso, ormai era finita, le avevo spezzato il cuore come un vero bastardo ed egoista e, mentre l’avevo fatto, mi ero sentito me stesso, prima di rendermi conto che avevo sbagliato tutto con lei.

Avevo buttato nel cesso cinque mesi, cinque mesi della mia vita sprecati nel tentativo vano di farla innamorare di me, per poi rendermi conto, una volta lasciata, che le mie intenzioni mi si erano ritorte contro.

Perché mi ero innamorato io.

E se all’inizio era iniziato tutto come un gioco, adesso ripensandoci mi sembrava un sogno triste e senza lieto fine.

Quella foto era l’unica cosa che rimaneva di quel sogno, l’unica cosa che mi permetteva di ricordare che era successo davvero, ogni singolo gesto, ogni singolo sorriso e ogni singolo giorno e notte passata insieme.

Da quando l’avevo vista la prima volta in quel locale e mi ero avvicinato chiedendole il numero e lei mi aveva riso in faccia prima di andarsene con le sue amiche, da quando l’avevo incontrata di nuovo nell’officina dove lavorava mio zio e dove avevo portato la mia moto a riparare, da quando ero riuscito a convincerla che non ero del tutto un coglione e che di me ci si poteva fidare, da quando era diventata un’amica necessaria e, solo successivamente, la mia ragazza.

Fino alla fine le mie intenzioni con lei non erano mai cambiate, tutto quello che volevo era che  abbassasse le sue difese, quei muri che aveva costruito in profondità nella sua anima e che mi lasciasse entrare nella sua vita.

Quando ci ero riuscito, avevo creduto di non voler più niente da lei e da vero bastardo l’avevo lasciata, le avevo detto addio per sempre e in quell’istante avevo veramente creduto che fosse la cosa giusta da fare.

E tutto quello che mi rimaneva di lei era quella foto, quella foto dimostrava che era accaduto d’avvero, che avevo davvero vissuto quei cinque mesi con lei.

Quella foto di noi due innamorati.

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Capitolo 2
*** Capitolo due ***


capitolo due

Capitolo due

Katy

 

Piangere contro il cuscino era la cosa più patetica di tutta quella faccenda, soprattutto i miei singhiozzi: imbarazzanti.

Per non parlare poi dei pugni che mi ostinavo a lanciare tutt’intorno a me, neanche avessi quel bastardo a portata di mano per poterlo far pentire del suo gesto.

La pioggia e i nuvoloni in cielo sembravano rispecchiare perfettamente il mio stato d’animo.

Avrei voluto addormentarmi, ma non ci riuscivo, per il momento dovevo sfogarmi ancora un po’ per tutto quello che mi aveva fatto lui.

Pensare al suo nome avrebbe significato solo altre fitte al cuore.

“Ti odio, ti odio, ti odio!”

Afferrai con forza il cuscino, conficcandovi le unghie e chiedendomi quanto quella sofferenza sarebbe durata.

Per quanto mi sforzassi però di dimenticare, ogni istante mi tormentava e mi sommergeva come una valanga.

Il nostro primo incontro e la pessima impressione che mi aveva fatto, quel giorno in cui ero andata a vedere se la macchina di mamma era finalmente a posto e, invece del meccanico, avevo trovato lui che mi aveva chiesto di nuovo il numero di telefono, il nostro primo appuntamento, il nostro primo bacio e la nostra prima notte insieme.

Se possibile cominciai a singhiozzare ancora più forte sentendo le forze abbandonarmi e, in pochi minuti, mi ritrovai in uno stato catatonico; le mie scorte di lacrime erano terminare, ma non riuscivo a dormire, così l’unica soluzione era continuava a guardare il comodino nel buio mentre non riuscivo a smettere di pensare a Jay.

Spesso mi chiedevo cosa sarebbe accaduto se avessi voluto rompere prima di lui, magari dopo il nostro secondo appuntamento, o cosa avrebbe fatto se lo avessi implorato di restare con me quando mi aveva lasciata, invece di dirgli che per me non c’era problema.

E invece il problema c’era eccome!

Mi aveva usata, per lui ero stata solo una puttana come tante, nient’altro.

E forse, se fosse venuto davanti alla mia porta per chiedermi perdono avrei ceduto; avrei sotterrato il mio orgoglio per lui, pur di poterlo abbracciare e sentire le sue forti braccia intorno al mio corpo ancora una volta.

Aveva voluto sempre di più, non gli bastavo mai.

A volte mi chiedevo ancora che cosa stava cercando in me, che cose voleva a tutti i costi.

L’unica cosa di cui sono sicura è che l’ha trovata, se no non se ne sarebbe andato mai.

Il ricordo più doloroso era dell’ultima mattina che avevamo passato insieme, quando mi ero svegliata e lui non era più accanto a me; si era già vestito ed era appoggiato alla parete.

Mi fissava con uno sguardo pieno di dolore, confusione e determinazione.

Quando avevo incontrato i suoi occhi avevo capito subito che sarebbe cambiato tutto e, nel momento esatto in cui mi aveva lasciata con quel tono freddo mi ero sentita morire.

Avrei voluto urlargli contro, gridargli e riversargli addosso tutto il mio dolore.

“Guardami, bastardo! I miei occhi sono qui, non serve a niente schivare il mio sguardo! Guardami! Non te ne accorgi? Mi stai uccidendo! Tutto quello che volevo eri tu, era stare con te ancora, magari per sempre! E invece tu hai deciso di rovinare tutto, uccidendomi”.

Strinsi forte al mio petto le coperte, ancora scossa dai singhiozzi.

Mi aveva ferita in modo molto profondo, eppure, per quanto mi sforzassi di odiarlo, non ce la facevo.

Ero troppo innamorata per poter pensare ai cinque mesi passati insieme come ad una disgrazia, perché in realtà erano stati i più piacevoli, divertenti e totalizzanti della mia vita.

Ricordavo di esser cambiata per lui, sentendomi più donna ogni volta che lui mi guardava in quel modo provocatorio e malizioso che mi faceva impazzire.

Eppure, per quanto io abbia provato a tenerlo stretto e a non lasciarlo andare, alla fine lui si era allontanato da me.

Come ogni bambina avevo sognato il principe azzurro dai tre ai dieci anni, poi avevo pensato che mi sarebbe bastato un ragazzo dolce e premuroso dagli undici ai quattordici anni, eppure avevo finto coll’innamorarmi di un bastardo, egoista, bambinone.

E anche se credevo di non volerlo mai più rivedere, in realtà avrei voluto andare da lui e farlo pentire della sua scelta crudele nei miei confronti.

Il punto era che non era stata quella classica storia da una botta e via, forse in quel caso non avrei sofferto troppo perché il mio cuore non si sarebbe spezzato del tutto, in realtà era stata una relazione seria fin dall’inizio e ad entrambi non era bastata una volta per “consumare la passione”, ma avremmo voluto sfruttare il letto o qualsiasi superficie piana ogni singolo istante della giornata, perché era inutile negare o far finta di non vedere l’attrazione sconvolgente che ci legava.

Mi rigirai nel letto e allungai la mano accanto a me, sentendo una fitta dentro quando trovai il posto accanto a me vuoto.

Mi mancava da morire ogni singolo istante passato insieme ed ora, che mi ritrovavo sola, non possedevo altro che i ricordi e una piccola e debole speranza che ero certa si sarebbe affievolita in poco tempo.

Quando sentii cessare la pioggia avevo la mente stanca e affaticata da tutti quei pensieri dolorosi e non impiegai molto tempo prima di chiudere lentamente gli occhi e di addormentarmi.

Quella notte sognai per l’ennesima volta di essere con lui e di perdonarlo.

Se da una parte il sogno si sarebbe potuto definire piacevole, dall’altra era maledettamente straziante, soprattutto quando mi sembrò di sentire la sua voce pronunciare le uniche due parole che avei voluto sentire uscire dalle sue bellissime labbra: «Ti amo».

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Capitolo 3
*** Epilogo ***


Epilogo

Epilogo

 

Il mazzo di giacinti che avevo in mano era perfetto; non c’era nemmeno un petalo fuori posto.

Avevo messo i jeans sbiaditi, quelli che lei adorava togliermi quando stavamo ancora insieme e la camicia color verde militare che mi aveva regalato per Natale.

Ero pronto ad essere insultato in mille modi diversi; avrei sopportato qualsiasi cosa pur di riuscire ad avere una seconda possibilità.

Bussai alla sua porta, ignorando i crampi al cuore che il ricordo di quell’appartamento mi faceva venire e, privandomi di ogni dignità mi misi in ginocchio.

Erano passate due settimane e non riuscivo più ad andare avanti senza di lei.

Era il mio pensiero fisso, il mio incubo ricorrente e volevo riaverla tutta per me.

Aspettai che qualcuno venisse ad aprire e mi sentii sempre più sul punto di soffocare per l’ansia.

Forse non era in casa, eppure...

La porta venne socchiusa, piano e poi aperta di più.

Alzai lo sguardo su di lei e la trovai bellissima, i capelli ricci più ribelli del solito, la camicia da notte coperta da un golfino rosa, i piedi scalzi e gli occhi ancora leggermente assonnati.

Non disse niente e io non ebbi il coraggio di aprire bocca, per paura di rovinare tutto e di venir scacciato a calci nel sedere.

«I sogni stanno peggiorando», la sentii sussurrare, prima che allungasse una mano per sfiorare i petali di un giacinto color porpora: «Fammi indovinare, il fioraio ti ha detto che servono per chiedere scusa?»

Arrossii di colpo ed annuii, sentendomi sotto esame: «Katy...», iniziai, anche se non avrei saputo proprio come continuare.

«Entra»

L’istante successivo era già dentro casa ed io ero ancora fuori, in ginocchio. Mi alzai in fretta ed entrai chiudendomi la porta alle spalle, chiedendomi cosa volesse dire con quella frase a proposito dei sogni.

La trovai in salotto, appoggiata al bordo del divano, con le braccia incrociate: «Come funziona?»

Io aggrottai le sopracciglia: «Cosa?»

«Come cosa? Il sogno! Ora mi chiederai perdono, mi dirai che mi ami e torneremo insieme fino a quando non mi sveglierò? O faremo solo l’amore?»

«Non è un sogno», dissi, sorridendo appena.

L’idea che mi sognasse con frequenza mi rendeva stranamente orgoglioso, ma dato che ciò che stava succedendo non era una finzione, volevo che fosse consapevole di essere nella realtà.

«Provalo»

Le sorrisi, mentre posavo sul tavolo della cucina il mazzo di fiori e mi avvicinavo a lei.

Le presi il viso tra le mani, accarezzandole dolcemente le guance, godendomi la consistenza morbida della sua pelle a contatto con la mia.

«Ti ho fatto soffrire tanto e anche io ho sofferto. Mi sei mancata ogni singolo giorno e...»

«Queste cose le potrebbe dire anche un sogno, lo sai?», disse sorridendo appena, passandomi una mano sul viso: «Hai fatto crescere la barba?»

«Sì, ultimamente non avevo voglia di tagliarla», ammisi, ricordando chiaramente il disgusto che avevo provato nello guardarmi allo specchio nelle ultime due settimane.

«Che ore sono?», sussurrò, guardandosi intorno.

Mi vergognai di me stesso dicendole che erano passate da poco le quattro del mattino.

Un lampo di sorpresa le spuntò in viso: «Perché dovresti essere qui alle quattro di mattina?»

«Non riuscivo a dormire», ammisi, affondando le mani nelle tasche dei pantaloni: «In realtà sono due settimane che non dormo bene...»

Il suo sguardo appannato dal sonno si fece subito più vigile: «Non è un sogno. Sei davvero qui?»

Mi aspettavo insulti, schiaffi e la fine del mondo, invece lei si mise semplicemente a piangere contro il mio petto. Non ci pensai due volte e la abbracciai stretta a me, quasi la volessi soffocare.

«Mi perdoni? Sono stato uno stupido a lasciarti. Ero convinto di doverlo fare per dimostrare a me stesso di non essere rimasto coinvolto, invece...»

«Non mi stai prendendo in giro, vero?», sussurrò, alzando lo sguardo.

Gioii nell’avere così vicini quei stupendi occhi color nocciola screziati di verde: «No, non ti sto prendendo in giro»

Lei annuì: «Mi sei mancato tanto», mormorò, abbracciandomi ancora più forte.

«Anche tu», e le alzai il viso, desideroso di darle un bacio, ma lei si scostò, sorridendo.

«Non ti ho ancora perdonato, sai? Ti toccherà impegnarti per far tornare tutto com’era», sussurrò, facendomi l’occhiolino.

«Sono pronto a tutto», le dissi, affondando il viso contro il suo collo, respirando a fondo l’odore della sua pelle.

«Bene, come prima cosa, direi che puoi preparare il caffè», disse, stiracchiandosi: «Intanto io vado a vestirmi»

«Sicura di non aver bisogno di una mano?», le chiesi maliziosamente, facendola sorridere, mentre scuoteva il capo.

La gioia che provavo era pari a quella che sentivo prima di rovinare tutto lasciandola ed ero pronto a farmi perdonare in ogni modo possibile.

Avrei fatto di tutto pur di non tornare ad essere solo, nel mio letto, con una foto come unica prova del nostro amore.

 

 

 

The end

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