Renesmee Cullen.

di DeerWs
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Renesmee. ***
Capitolo 2: *** Decisions. ***
Capitolo 3: *** School for Nessie. ***



Capitolo 1
*** Renesmee. ***


Il mio nome è Renesmee Cullen.
Ho otto anni, ma solo anagraficamente. Il mio corpo ne dimostra al contrario dieci in più. Sono la figlia di Edward Cullen e Bella Swan. Mia madre mi ha partorita prima della sua trasformazione, il che fa di me una mezza vampira. Dai vampiri ho preso la bellezza,la forza, la velocità. Dagli umani il sonno, il calore, un cuore che batte. Mangio senza differenza cibo umano e selvaggina, posso fare a meno sia dell’uno che dell’altro.
Se si dovesse fare una scala delle stranezze, in parole povere io mi troverei in cima alla lista. Perché?
Perché sono un’ibrida. Né umana, né vampira. Una cosetta che cresce troppo in fretta e che ha caratteristiche di due razze opposte e contrarie. Sono, in conclusione, un dilemma.
Un dilemma che ha attirato l’attenzione dei Volturi, alla mia nascita, e che continua ad essere frutto di profonda meditazione dai vampiri e soprattutto da Carlisle, quello che io chiamo nonno. Dalla mia nascita sono stata costantemente oggetto di studi, di ricerche, di incredulità. E ho vissuto i miei otto anni di vita in una campana di vetro, fuori dal mondo e fuori dalla città di Forks, che sebbene io abbia vissuto ogni giorno e che conosco a menadito, non sa della mia esistenza, nascosta fra gli alberi nella foresta.
Vivo oppressa dalla protezione di mio padre e di mia madre, fisicamente miei coetanei, dalla supervisione dei miei zii e dei miei nonni, dall’ombra costante che è per me Jacob Black.
Non si può dire che la mia vita sia una vita, non si può dire che nella mia anormalità abbia in qualche modo trovato un equilibrio. Perché, come vi ho già detto prima, io sono in conclusione, un dilemma.
 
 
 
-Buongiorno, Nessie. –
Sento sul viso la mano fredda della mamma e sorrido.
-Buongiorno. – apro gli occhi e il suo bellissimo viso mi accoglie. Sbadiglio, devono essere le otto o le nove di mattina, a giudicare dalla posizione della luce del sole che entra dalla finestra. Me lo ha insegnato Jacob, a decifrare l’orario dalla posizione della luce, anni fa.
-Dormito bene? – la mamma si alza e apre ancora di più le tende della stanza, inondando la stanza di luce.
-Si, tutto bene. – Mi metto a sedere, passandomi una mano sul viso ancora addormentato.
-Niente sogni? –
-Niente sogni. – rispondo, lasciando un bacio sulla guancia contratta della mamma.
A volte è strano, pensare alla mamma come ad una mamma normale, come a quelle delle serie tv e dei film che divoro, nel salotto di casa. Le mamme dei film sono donne, magari in sovrappeso, sempre isteriche e indaffarate. Mia madre ha la mia età. E’ di una bellezza sconvolgente, è spiritosa, sa sempre cosa dire. E mio padre! Se non fosse papà, me ne sarei già innamorata. Ma questi due ragazzi sono i miei genitori biologici, il mio sangue, sebbene nelle mie vene scorra solo quello della mamma, e lei ora non ne ha nemmeno più. E nell’irrealtà della mia vita, loro sono un punto fermo.
-‘Giorno tesoro. – Papà mi lancia uno sguardo caldo, seduto sul divano a leggere il giornale.
-Leggi? Da quando? – mi siedo vicino a lui e sbircio al di sopra della carta.
-Da oggi, problemi? – mi tira un buffetto sulla guancia e sorride.
Mangio un paio di frittelle, la mia passione, e bevo un po' di caffè. Mi cambio, infilandomi le prime cose che trovo nell’armadio, e mi fisso allo specchio.
Il mese scorso ho tagliato i capelli. Sola, a casa Cullen, chiusa a chiave nel bagno che chiunque dei miei parenti avrebbe benissimo potuto sfondare, ho tagliato con le forbici da cucina tutti i boccoli ramati che mi arrivavano alle spalle. Tutti, ad uno ad uno, provando una strana sensazione di potere e ammirazione. Ho tagliato tutto fino alle orecchie, e mi sarei spinta oltre se zia Alice non fosse piombata nel bagno attirata dal rumore delle forbici, che doveva essere quasi chiassoso per le sue orecchie da vampira. E quante storie per quei capelli, lei e zia Rose! Avevo liquidato la questione con un’alzata di spalle, perché i capelli sono davvero la mia ultima preoccupazione, e loro si erano disperate per le ciocche morte sul pavimento.
Fissandomi davanti allo specchio vedo una ragazza di diciotto anni, fisicamente perfetta grazie ai miei geni paterni, rossa in viso e con gli occhi vivi grazie a quelli materni. Scosto un ricciolo cadutomi davanti agli occhi e esco dalla stanza, intenzionata a fare una passeggiata per il bosco.
-Dove vai? – mi chiama la voce irritata di mio padre, dal salotto.
Sbuffo. –A fare una passeggiata, nel bosco. –
Lui alza un sopracciglio, scettico. – Con Jacob? –
Alzo gli occhi al cielo. –No, papà. Da sola. –
-Non pensi che sia trop.. –
-Vai, Nessie. – interviene mia madre, lanciando uno sguardo a papà. –Ma non fare tardi e sta’ attenta. –
Papà tace, guardando la mamma, e io esco, salutandoli con la mano.
 
 
Dai vampiri ho preso la velocità, e posso correre per ore intere senza sentire il minimo sforzo. Mi fiondo come un lampo nel bosco, sfidando il vento e persino la luce. Mi piace correre, e sentire di essere invisibile per la vita che scorre intorno a me: posso passare vicino agli animali senza che loro se ne accorgano, posso saltare le montagne, scalare le vallate, nascondermi fra gli alberi come le scimmie. Io e Jacob ci divertivamo un mondo, quando ero bambina, a saltare sugli alberi e a fare i versi delle scimmie, ma poi arrivava sempre una chiamata e Jacob era costretto ad andare via, lacerando i suoi vestiti da umano per il sentiero. Stringo i denti, mentre corro verso La Push.
Non saprei definire il mio rapporto con Jacob Black: fin dalla mia nascita, che ricordo nitidamente e senza sforzo, ho sempre avuto il sentore della sua presenza, dietro alle mie spalle. Jacob è la mia ombra: anche quando penso di essere sola, c’è sempre qualcosa che mi ricorda lui o che mi fa avvertire la sua presenza, e più di una volta avevo avuto ragione e lui era entrato di soppiatto nella mia stanza, per raccontarmi una fiaba. Ma questo era accaduto nel passato, un passato in cui ero ancora una bambina e lui un ragazzo,alto e bellissimo. Ora è cambiato tutto. Sono cresciuta, sebbene lui sia rimasto sempre lo stesso. Jacob è diventato un amico, non più un compagno di giochi, un confidente. Una spalla su cui piangere.
Arrivo a La Push cinque minuti dopo essere partita da casa. Comincio a camminare, mentre per la strada incontro la gente del posto, la mia seconda famiglia. I licantropi sono gli unici amici che ho. Escludendo la mia famiglia, sono le uniche persone che mi è concesso frequentare. Potrebbe sembrare strano, data la memorabile ostilità tra la mia specie e la loro, ma io ero stata sempre accolta a La Push, sebbene il mio colorito pallido e la forza non siano caratteristici del genere umano. Come la sete di sangue.
Ricordo che una volta, per un mio compleanno, Jacob aveva organizzato una mega caccia al regalo: Avevano partecipato tutti, i licantropi e i Cullen, e avevamo corso per il bosco secondo l’ingegnoso piano di Jacob che alla fine aveva portato al mio regalo. Ci poteva stare, ogni tanto, un contatto fra di loro: ma lupi e vampiri non sarebbero mai diventati amici, me tapino, e a me bastava poter passare del tempo a La Push senza essere troppo controllata dai miei. Il che era davvero difficile.
-Ciao, Billy. – arrivo davanti a casa Blake e trovo Billy, seduto sulla sua sedia a rotelle in veranda.
-Ciao Nessie. – mi tende una mano e la bacia. – Jacob è in garage. –
Sorrido e annuisco, dirigendomi a passo spedito sul retro.
-Ehi, Jake. – Jacob è piegato su una delle sue tante moto, sudato quasi quanto dopo una trasformazione impegnativa. Alza lo sguardo e mi sorride.
-Nessie. – Si alza e si asciuga il sudore dalla fronte. – Ne è passato di tempo. –
Mi appoggio allo stipite della porta, alzando le spalle. – Un paio di giorni. –
Lui annuisce. – Già. Come stai? –
Acchiappo una ciocca di capelli e la ributto dietro all’orecchio. – Regolare. –
Lui ride e non risponde, riprendendo il suo lavoro.
-A te?-
-Adesso bene. Potevi farmela una telefonata, comunque.- gli tiro una sberla sulla nuca. Ho pur sempre la forza di un vampiro.
-Una telefonata? Da quando esistono i telefoni a Forks? E comunque neanche tu ti sei fatto vedere.  –
-Pensavo volessi un po' di privacy.- alza le mani e in segno di resa. – Scusa. –
-Con un padre come il mio è impossibile avere privacy. –
Sospiro, e lui ride di nuovo. Indica la moto. –Ti piace?-
Mi avvicino. Non me ne intendo molto di moto, ma devo ammettere che Jacob è davvero un asso: il fiammante modello rosso che sta aggiustando è davvero uno schianto.
--E’ magnifica. – Lui alza le spalle. –E’ per te. –
Spalanco gli occhi. –Per me?-
Jacob annuisce. – Per il tuo compleanno.-
Abbasso lo sguardo e sorrido. – Già... otto anni. Di solito ai bambini di otto anni si regala la bicicletta senza rotelle. –
Jacob sbuffa e riprende a lavorare. – Quando fai così sembri davvero una bambina di otto anni. –
Ha ragione. Sono un’idiota frustrata. – Scusami, Jake. E’ solo che.. – mi siedo al suo fianco, per terra, e sospiro. Lui lascia la chiave inglese e mi guarda di sottecchi. – Dimmi. –
-E’ solo che non ce la faccio più. Mi sembra di soffocare.. – seppur sia abbastanza orgogliosa, non riesco a non essere sincera, soprattutto con Jake. – Non vedo altro futuro per me, se non quello delle mura di casa mia. Ed è così strano, ci sono tante cose che non ho mai fatto e vorrei fare, e tante altre che non potrà mai fare. Vorrei una vita normale.. –
Ecco, l’ho detto. Jake mi guarda. –Non avevo idea che pensassi questo.. io.. –
Mi pare che nello sguardo di Jacob ci sia una punta di.. pena? O forse colpevolezza? Si sente in colpa, per me. Come sempre.
-Non è colpa tua, Jake. Riguarda solo me. – mi alzo, scuotendo i capelli.
-Nessie, ascolta.. – Alzo una mano, già pentita per avergli detto quelle cose.
-No, lascia stare. Scusa se te l’ho detto, sono solo un po' nervosa. – Lui rimane a bocca aperta.
-Ora vado. Magari ci vediamo dopo. – Mi avvio alla porta ma lui mi raggiunge e mi blocca un braccio.
-Nessie. – mi giro. –Sei cresciuta. –
Sorride. Io guardo la sua bocca aprirsi e vengo presa da un moto d’ira. – Come?-
-Sei cresciuta. – ripete, sorridendo ancora. –Finalmente. –
Lo guardo e sono tentata nel tirare uno schiaffo sul suo faccino da lupo. –Vaffanculo, Jacob. –
Gli pesto un piede e comincio a correre prima che possa riacchiapparmi.

 

***

Ok, non scrivo da tanto su EFP, e ora me ne esco con questa JacobRenesmee, prima storia Twilight che scrivo. Siate clementi, se vorrete rencesire, mi farebbe piacere :)

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Capitolo 2
*** Decisions. ***


 

Corro. Corro così veloce da arrivare nella foresta in due minuti o meno, le orecchie attente al rumore di Jacob dietro alle mie spalle. Corro, ridendo, perché dal suo respiro indovino la sua irritazione. Mi fermo vicino ad un abete e lo aspetto.
-Finalmente! – urlo quando lo vedo arrivare. Lui smette di correre e tenta di nascondere il disappunto con un'espressione dura. La stessa che usava per sgridarmi, da bambina.
-Renesmee. – Sbuffo, sedendomi ai piedi dell’albero. -Non lo fare più. -
-Mi sembri mio padre quando fai così. –
Lui riprende fiato molto lentamente, guardandosi intorno nella foresta.
-Sei incredibilmente lunatica, succhiasangue. – Avanza verso di me e si siede al mio fianco, scuotendo la testa. – Perché non mi hai detto prima quelle cose?-
Sospiro, osservando le sue mani abbandonate sui fianchi e ancora sporche di olio di motore. –Perché pensavo mi sarebbe passata. –
-Ma non è così. – completa Jacob e rimaniamo entrambi in silenzio.
-E cosa vorresti fare? – aggiunge dopo qualche secondo, girandosi a guardarmi. –Di nuovo, intendo. Cosa ti piacerebbe fare? –
Alzo le spalle. –Non lo so.. – Penso ai film in tv, a quello di cui mi sono innamorata. – Andare a scuola, magari. Farmi dei nuovi amici.. trovare un lavoro. –
Lui sorride, di un sorriso comprensivo. – Capisco. –
-Certo. - aggiungo, senza sapere cosa altro dire. -Lo so. -
Jake mi passa una mano sulla guancia, per "controllarmi la temperatura" e poi afferra un ricciolo corto e irregolare.
-Stanno crescendo. - annuisco, guardando la ciocca stretta fra le sue dita. - Dovrò tagliarli di nuovo. -
Lui fa uno strano rumore con la bocca, molto simile ad un ringhio irritato. -Perchè? Stai bene anche con i capelli lunghi. -
Mi giro a guardarlo e mi rendo conto che il suo viso è molto vicino al mio. -Perchè così mi sento più me stessa. -
Lui mi guarda per qualche secondo negli occhi e poi gira lo sguardo, mentre sento le guance imporporarsi. Poi si alza e mi tende una mano, che afferro. – Vedremo cosa si può fare. –

Lo guardo interrogativamente ma lui mi regala un occhiolino e sparisce di nuovo nella foresta.
 
 
Più tardi, abbandonata su una poltrona della biblioteca di casa Cullen, penso. Penso a me, di nuovo, alla mia vita. Se potessi avere la possibilità di avere una vita normale, magari poi questa nemmeno mi piacerebbe. Finirei per tornare indietro, avrei potuto farlo, riprendere la mia vita da eremita ed essere quietamente serena per il resto dell’eternità. Avrei sempre avuto i miei genitori, gli zii, i nonni. Sussulto, pensando a Jacob. Sebbene invecchi molto lentamente, Jake non è immortale. E prima o poi, forse fra cento o duecento anni, morirà. Allontano questo pensiero con una scrollata di spalle, perché è un’eventualità che é presto prendere in considerazione.
Potrei cambiare vita dieci o venti volte, con il vantaggio dell’immortalità, potrei fare tutto quello che più mi piace. Ma questa urgenza di non perdere tempo, questo fremito per tutto il corpo.. da cosa deriva?
-Nessie. – Ho avvertito l’odore della mamma già dal corridoio, ma l’ho ignorato. Mi giro.
-Mamma. – Papà entra dopo di lei, e dopo di lui, Jacob. –Immaginavo. –commento dopo aver visto il suo sorriso sornione. –Quando comincio?-
Papà nasconde anche lui un sorriso, mente la mamma incrocia le braccia. –Lunedì. Avresti potuto dircelo tu, però, invece di mandare Jacob. –
Incrocio le gambe sul tavolino antico di nonna Esme. – Cosa? Ah.. certo. – Mi rivolgo a Jacob e gli sorrido, annunciando morte con gli occhi. –Si chiamano confidenze. –
-In ogni caso lunedì andrai a scuola, non sei contenta? – aggiunge papà prima che Jacob possa rispondere.
Sondo il mio cuore e mi scopro piacevolmente eccitata. –Si. –
I miei genitori sorridono. –Bene. – riprende la mamma. – A patto che tu faccia attenzione e.. –
-Non vada in cerca di pericoli. – finisco per lei la frase, mentre Jacob scuote la testa divertito.
 
 
 Se mi si chiede quanti anni ho, devo rispondere diciassette. Se mi si chiede chi siano i miei genitori, devo rispondere Theodore Cullen, fratello di Carlisle, e Rose Thompson, sua moglie, entrambi morti in un incidente stradale a Seattle, dove io abitavo. I miei genitori devono essere quindi i miei cugini. Niente corse fuori dal limite massimo, niente stranezze, niente accenni a vampiri o lupi. Niente di niente.
Lunedì mattina apro gli occhi prima della sveglia, e quando la mamma entra in camera mi trova davanti allo specchio, indecisa su cosa indossare. Indaga la mia espressione rammaricata con un sorriso, poi prende dall’armadio un jeans e una normale maglietta di tutti i giorni, porgendomele.
-Non ti serve niente di più del tuo sorriso. – La ringrazio con uno sguardo, e mi cambio in silenzio.
La sera prima la dose di raccomandazioni mi era sembrata più disperata del solito. Ci si era unito anche zio Emmett, nella sua placida inconsapevolezza del mondo, e zio Jasper, indagando i miei sentimenti con risolutezza.
-Ti porteremo noi e ti verremo a prendere all’uscita, sta’ tranquilla. – aveva asserito papà con le sopracciglia aggrottate. –Quando vorrai.. potrà venire Jacob. –
Quella frase gli sarà costata mezza eternità, ma sapeva che Jake sarebbe comunque venuto a prendermi tutte le volte che io avrei voluto.
-Sii te stessa, non ti preoccupare di quello che possono pensare gli altri. – aveva incalzato zia Alice, sorridendomi.
-E fai vedere alle mortali di cosa è capace una vampira bella come te.. – aveva aggiunto zia Rose con un’occhiata furba.
-Se non ti trovi bene, basta dirlo. – concluse la mamma mentre tornavamo a casa. – e smetterai di andarci. –
Ripenso a tutti i consigli e gli avvertimenti con un sospiro. Mamma mi ha preparato uno zaino nuovo di zecca, con quaderni e matite. Me lo metto sulle spalle e scuoto i capelli, per darmi un contegno.
Mi ficco in macchina con mamma e papà e rimango sorda ai loro sproloqui, osservando la foresta e la strada che fuggono ai miei lati, dando posto a Forks. Quando parcheggiamo davanti a scuola, si girano entrambi a guardarmi.
-Buona fortuna. – dice mamma.
-Sii prudente. – soggiunge papà.
-A dopo. –rispondo, sentendo tutto il peso della mia eternità sulle spalle da umana.

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Capitolo 3
*** School for Nessie. ***


Entro lentamente nell’androne della scuola, sommersa da una moltitudine di ragazzi e di ragazze già inseriti e navigati nella società. Inspiro ed espiro, alzando le spalle per aggiustare lo zaino, e procedo verso la segreteria.  Dopo un’indagine approfondita sui fatti di casa Cullen, la segretaria mi consegna il mio orario e mi manda con un sorriso verso l’aula di inglese, che fatico un po' a trovare.
“Bene” – penso – “E’ giunto il momento”. Bussò alla porta e la apro, constatando che la lezione è iniziata e che tutti si sono girati a guardarmi.
-Buongiorno.. – biascico, mentre il professor Miller (dovrebbe chiamarsi così) mi sorride.
-Buongiorno. – mi fa cenno di avvicinarmi alla cattedra. – Tu dovresti essere.. Renesmee Cullen? –
Un mormorio non troppo silenzioso si spande per l’aula, mentre sono sicura che le mie guance si siano colorate di rosso.
-Si, sono io. –
-Bene. – il professor Miller mi indica l’unica sedia libera, sul fondo dell’aula. –Stiamo parlando di Fitzgerald. Lo conosci?-
“A menadito”, penso, ma mi stampo un sorrisino di circostanza. –Un po'. – e sgattaiolo sul fondo della classe. Mentre cammino verso il mio banco qualche occhio si gira a fissarmi, incuriosito, e sono troppo poco abituata agli sguardi per non sentirmi in forte imbarazzo.
-Bene. – riprende Miller girando lo sguardo verso la lavagna. – Scott Fitzgerald. –
Sono troppo eccitata per seguire la lezione del professore, che tra l’altro mi servirebbe solo da leggero ripasso, e passo tutta l’ora ad osservare i miei compagni di corso, le pareti dell’aula, il banco scarabocchiato. Quando la campanella suona rimango qualche secondo ferma al mio posto prima di capire di dovermi alzare, e quando sono nel corridoio, capisco di dover andare a cercare un’altra aula, in giro per la scuola.
-Serve aiuto? – la ragazza seduta davanti a me al corso di inglese mi aspetta, ferma in mezzo al corridoio, e mi lancia un sorriso comprensivo.
-Magari.. – sussurro, allungandole il mio orario e rispondendo al suo sorriso.
-Oh, hai spagnolo. – mi restituisce l’orario e mi fa cenno di seguirla. – Anche io. –
Annuisco. Lei mi allunga una mano, mentre camminiamo a passo svelto. – Mi chiamo Lana. –
-Renesmee. – rispondo, stringendo la sua mano, e lei mi sorride di nuovo.
-Cullen, lo so. – Si gira a guardarmi con i suoi occhi a mandorla e si ferma.
-Arrivate. – Entriamo nell’aula di spagnolo e Lana mi fa cenno di sedermi vicino a lei. Sembra una ragazza simpatica, con quei suoi occhi allungati e i lunghi capelli neri, e non riesco a non pensare a Emily, a La Push.
Lo spagnolo, devo ammettere, a casa Cullen non l’ho mai masticato: mi sento fiera di questa nuova scoperta e seguo con interesse la lezione della professoressa Perez, fino al suono della campanella.
Io e Lana ci rendiamo conto di avere lo stesso orario, e passiamo tutta la mattina nelle stesse aule e a parlottare nei corridoi, tra una lezione e l’altra. Vengo così a sapere che la sua famiglia è originaria del Giappone, che lei si sente americana a tutti gli effetti ma la cucina giapponese non le dispiace. Ha un ragazzo, Todd, che mi vuole far conoscere, e gioca titolare nella squadra di basket della scuola.
-Wow. –commento, mentre penso che da raccontare su di me ci sarebbe tutto o niente, e quando lei mi chiede informazioni rimango qualche secondo inebetita davanti all’armadietto.
-Ecco.. – ricordo la storia tragica dei miei genitori morti e la racconto a briglia sciolta, contornando il tutto con qualche amico rimasto a Seattle e con un ragazzo con cui avevo cominciato ad uscire.
-Ma e’ terribile. – commenta lei quando finisco, e mi lancia uno sguardo mortificato. –Mi dispiace tanto, Renesmee. Devi soffrire parecchio. –
Mi dispiace mentire ad una ragazza che tenta di essere mia amica, ma la mia vita è fatta di questo. –Oh, si. Ma passa tutto. –
Durante la pausa pranzo Lana mi fa sedere con lei e Todd, un ragazzone alto e biondissimo con un apparecchio evidente, che mi sembra simpatico e spigliato e dice di conoscere zio Emmett.
-Certo, Emmett!- mi fa vedere il suo braccio muscoloso e ride. –Ogni tanto lo incontro in palestra. –
Immagazzino quella scoperta su zio Emmett con un sorriso, pronta a sciorinarla alla mamma non appena tornata a casa.
-Non sapevo che i Cullen avessero una cugina. Ma gli altri, che fine hanno fatto?-
A questo non ero preparata. Tossisco, passandomi una mano fra i capelli corti. –Un po' in viaggio, un po' al college.. Sono fatti così. –
Todd e Lana sembrano soddisfatti della mia risposta e cambiano argomento, mentre io punto lo sguardo sul piatto di pasta scotta.
-Oh, ecco Chase. – Todd alza una mano verso un ragazzo biondo quasi quanto lui e si mette ad urlare. –Chase, ehi, Chase!-
Lana arrossisce, mentre picchietta una mano sul braccio di Todd per farlo tacere, ed io mi lascio scappare un sorriso. Il ragazzo intercetta Todd e si avvicina a noi lentamente, con il vassoio in mano.
-Todd, Lana. – sorride, poggiando il vassoio sul tavolo e prendendo posto al fianco di Todd.
-Questa è Renesmee. – Todd mi indica con un cenno del capo. –E’ nuova. –
Chase gira lo sguardo verso di me e allunga una mano sopra al tavolo. La stringo, accennando un sorriso.
- Chase. –
- Renesmee. –
Al mio fianco, vedo che Lana tenta di nascondere un sorriso.
 
 
Per essere il primo giorno di scuola, devo ammettere di essere abbastanza soddisfatta. Ho tre potenziali amici, un po' di compiti e una fame da lupi, nel vero senso della parola. Mamma aveva ragione a definire il cibo della mensa peggio di spazzatura. All’uscita Lana, Todd e Chase mi salutano calorosamente, e Lana mi lascia il suo numero di cellulare, dicendomi di mandarle un messaggio.
-Certo. – rispondo, mentre mi lascia un bacio sulla guancia, e sento che i loro occhi sono su di me mentre avanzo verso il cortile, dove sono certa che qualcuno mi stia aspettando. E infatti, parcheggiato con disinvoltura al centro della strada, c’è Jacob. Sospiro, mentre mi accorgo delle occhiate che le ragazzine gli lanciano, e procedo a passo spedito verso di lui.
-Che esibizionista. –commento, mentre lui si sfila gli occhiali e sorride.
-Mi è sempre piaciuta la scuola di Forks, è multietnica. – mi passa il casco e io lo infilo. -Parti, fiato puzzolente, che tra un po' cominciano a scattarci le foto. –
Lui sale sulla moto e si rimette gli occhiali. – Com’è andato il primo giorno?-
Lancio un’occhiata ai miei tre amici imbambolati a fissare Jake e la sua moto e sorrido. –Regolare, capo, niente problemi da vampiro. -

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