Renesmee Cullen. di DeerWs (/viewuser.php?uid=96355)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Renesmee. ***
Capitolo 2: *** Decisions. ***
Capitolo 3: *** School for Nessie. ***
Capitolo 1 *** Renesmee. ***
Il
mio nome
è Renesmee Cullen.
Ho otto
anni, ma solo anagraficamente. Il mio corpo ne dimostra al contrario
dieci in
più. Sono la figlia di Edward Cullen e Bella Swan. Mia madre
mi ha partorita prima
della sua trasformazione, il che fa di me una mezza vampira. Dai
vampiri ho preso
la bellezza,la forza, la velocità. Dagli umani il sonno, il
calore, un cuore
che batte. Mangio senza differenza cibo umano e selvaggina, posso fare
a meno
sia dell’uno che dell’altro.
Se si
dovesse fare una scala delle stranezze, in parole povere io mi troverei
in cima
alla lista. Perché?
Perché
sono
un’ibrida. Né umana, né vampira. Una
cosetta che cresce troppo in fretta e che
ha caratteristiche di due razze opposte e contrarie. Sono, in
conclusione, un
dilemma.
Un dilemma
che ha attirato l’attenzione dei Volturi, alla mia nascita, e
che continua ad
essere frutto di profonda meditazione dai vampiri e soprattutto da
Carlisle,
quello che io chiamo nonno. Dalla mia nascita sono stata costantemente
oggetto
di studi, di ricerche, di incredulità. E ho vissuto i miei
otto anni di vita in
una campana di vetro, fuori dal mondo e fuori dalla città di
Forks, che sebbene
io abbia vissuto ogni giorno e che conosco a menadito, non sa della mia
esistenza, nascosta fra gli alberi nella foresta.
Vivo
oppressa dalla protezione di mio padre e di mia madre, fisicamente miei
coetanei, dalla supervisione dei miei zii e dei miei nonni,
dall’ombra costante
che è per me Jacob Black.
Non si
può
dire che la mia vita sia una vita, non si può dire che nella
mia anormalità abbia
in qualche modo trovato un equilibrio. Perché, come vi ho
già detto prima, io
sono in conclusione, un dilemma.
-Buongiorno,
Nessie. –
Sento sul
viso la mano fredda della mamma e sorrido.
-Buongiorno.
– apro gli occhi e il suo bellissimo viso mi accoglie.
Sbadiglio, devono essere
le otto o le nove di mattina, a giudicare dalla posizione della luce
del sole
che entra dalla finestra. Me lo ha insegnato Jacob, a decifrare
l’orario dalla
posizione della luce, anni fa.
-Dormito
bene? – la mamma si alza e apre ancora di più le
tende della stanza, inondando
la stanza di luce.
-Si, tutto
bene. – Mi metto a sedere, passandomi una mano sul viso
ancora addormentato.
-Niente
sogni? –
-Niente
sogni. – rispondo, lasciando un bacio sulla guancia contratta
della mamma.
A volte
è
strano, pensare alla mamma come ad una mamma normale, come a quelle
delle serie
tv e dei film che divoro, nel salotto di casa. Le mamme dei film sono
donne,
magari in sovrappeso, sempre isteriche e indaffarate. Mia madre ha la
mia età.
E’ di una bellezza sconvolgente, è spiritosa, sa
sempre cosa dire. E mio padre!
Se non fosse papà, me ne sarei già innamorata. Ma
questi due ragazzi sono i
miei genitori biologici, il mio sangue, sebbene nelle mie vene scorra
solo
quello della mamma, e lei ora non ne ha nemmeno più. E
nell’irrealtà della mia
vita, loro sono un punto fermo.
-‘Giorno
tesoro. – Papà mi lancia uno sguardo caldo, seduto
sul divano a leggere il
giornale.
-Leggi? Da
quando? – mi siedo vicino a lui e sbircio al di sopra della
carta.
-Da oggi,
problemi? – mi tira un buffetto sulla guancia e sorride.
Mangio un
paio di frittelle, la mia passione, e bevo un po' di caffè.
Mi cambio,
infilandomi le prime cose che trovo nell’armadio, e mi fisso
allo specchio.
Il mese
scorso ho tagliato i capelli. Sola, a casa Cullen, chiusa a chiave nel
bagno
che chiunque dei miei parenti avrebbe benissimo potuto sfondare, ho
tagliato
con le forbici da cucina tutti i boccoli ramati che mi arrivavano alle
spalle.
Tutti, ad uno ad uno, provando una strana sensazione di potere e
ammirazione. Ho
tagliato tutto fino alle orecchie, e mi sarei spinta oltre se zia Alice
non
fosse piombata nel bagno attirata dal rumore delle forbici, che doveva
essere
quasi chiassoso per le sue orecchie da vampira. E quante storie per
quei
capelli, lei e zia Rose! Avevo liquidato la questione con
un’alzata di spalle, perché
i capelli sono davvero la mia ultima preoccupazione, e loro si erano
disperate
per le ciocche morte sul pavimento.
Fissandomi
davanti allo specchio vedo una ragazza di diciotto anni, fisicamente
perfetta
grazie ai miei geni paterni, rossa in viso e con gli occhi vivi grazie
a quelli
materni. Scosto un ricciolo cadutomi davanti agli occhi e esco dalla
stanza,
intenzionata a fare una passeggiata per il bosco.
-Dove vai?
–
mi chiama la voce irritata di mio padre, dal salotto.
Sbuffo.
–A fare
una passeggiata, nel bosco. –
Lui alza un
sopracciglio, scettico. – Con Jacob? –
Alzo gli
occhi al cielo. –No, papà. Da sola. –
-Non pensi
che sia trop.. –
-Vai,
Nessie. – interviene mia madre, lanciando uno sguardo a
papà. –Ma non fare
tardi e sta’ attenta. –
Papà
tace, guardando
la mamma, e io esco, salutandoli con la mano.
Dai vampiri
ho preso la velocità, e posso correre per ore intere senza
sentire il minimo
sforzo. Mi fiondo come un lampo nel bosco, sfidando il vento e persino
la luce.
Mi piace correre, e sentire di essere invisibile per la vita che scorre
intorno
a me: posso passare vicino agli animali senza che loro se ne accorgano,
posso
saltare le montagne, scalare le vallate, nascondermi fra gli alberi
come le
scimmie. Io e Jacob ci divertivamo un mondo, quando ero bambina, a
saltare
sugli alberi e a fare i versi delle scimmie, ma poi arrivava sempre una
chiamata e Jacob era costretto ad andare via, lacerando i suoi vestiti
da umano
per il sentiero. Stringo i denti, mentre corro verso La Push.
Non saprei
definire il mio rapporto con Jacob Black: fin dalla mia nascita, che
ricordo
nitidamente e senza sforzo, ho sempre avuto il sentore della sua
presenza,
dietro alle mie spalle. Jacob è la mia ombra: anche quando
penso di essere
sola, c’è sempre qualcosa che mi ricorda lui o che
mi fa avvertire la sua
presenza, e più di una volta avevo avuto ragione e lui era
entrato di soppiatto
nella mia stanza, per raccontarmi una fiaba. Ma questo era accaduto nel
passato, un passato in cui ero ancora una bambina e lui un ragazzo,alto
e
bellissimo. Ora è cambiato tutto. Sono cresciuta, sebbene
lui sia rimasto
sempre lo stesso. Jacob è diventato un amico, non
più un compagno di giochi, un
confidente. Una spalla su cui piangere.
Arrivo a La
Push cinque minuti dopo essere partita da casa. Comincio a camminare,
mentre
per la strada incontro la gente del posto, la mia seconda famiglia. I
licantropi
sono gli unici amici che ho. Escludendo la mia famiglia, sono le uniche
persone che
mi è concesso frequentare. Potrebbe sembrare strano, data la
memorabile
ostilità tra la mia specie e la loro, ma io ero stata sempre
accolta a La Push,
sebbene il mio colorito pallido e la forza non siano caratteristici del
genere
umano. Come la sete di sangue.
Ricordo che
una volta, per un mio compleanno, Jacob aveva organizzato una mega
caccia al
regalo: Avevano partecipato tutti, i licantropi e i Cullen, e avevamo
corso per
il bosco secondo l’ingegnoso piano di Jacob che alla fine
aveva portato al mio
regalo. Ci poteva stare, ogni tanto, un contatto fra di loro: ma lupi e
vampiri
non sarebbero mai diventati amici, me tapino, e a me bastava poter
passare del
tempo a La Push senza essere troppo controllata dai miei. Il che era
davvero
difficile.
-Ciao,
Billy. – arrivo davanti a casa Blake e trovo Billy, seduto
sulla sua sedia a
rotelle in veranda.
-Ciao
Nessie. – mi tende una mano e la bacia. – Jacob
è in garage. –
Sorrido e
annuisco, dirigendomi a passo spedito sul retro.
-Ehi, Jake.
–
Jacob è piegato su una delle sue tante moto, sudato quasi
quanto dopo una
trasformazione impegnativa. Alza lo sguardo e mi sorride.
-Nessie.
–
Si alza e si asciuga il sudore dalla fronte. – Ne
è passato di tempo. –
Mi appoggio
allo stipite della porta, alzando le spalle. – Un paio di
giorni. –
Lui
annuisce. – Già. Come stai? –
Acchiappo
una ciocca di capelli e la ributto dietro all’orecchio.
– Regolare. –
Lui ride e
non risponde, riprendendo il suo lavoro.
-A te?-
-Adesso
bene. Potevi farmela una telefonata, comunque.- gli tiro una sberla
sulla nuca.
Ho pur sempre la forza di un vampiro.
-Una
telefonata? Da quando esistono i telefoni a Forks? E comunque neanche
tu ti sei
fatto vedere. –
-Pensavo
volessi un po' di privacy.- alza le mani e in segno di resa.
– Scusa. –
-Con un
padre come il mio è impossibile avere privacy. –
Sospiro, e
lui ride di nuovo. Indica la moto. –Ti piace?-
Mi avvicino.
Non me ne intendo molto di moto, ma devo ammettere che Jacob
è davvero un asso:
il fiammante modello rosso che sta aggiustando è davvero uno
schianto.
--E’
magnifica. – Lui alza le spalle. –E’ per
te. –
Spalanco gli
occhi. –Per me?-
Jacob
annuisce. – Per il tuo compleanno.-
Abbasso
lo
sguardo e sorrido. – Già... otto anni. Di solito
ai bambini di otto anni si
regala la bicicletta senza rotelle. –
Jacob sbuffa
e riprende a lavorare. – Quando fai così sembri
davvero una bambina di otto
anni. –
Ha ragione. Sono
un’idiota frustrata. – Scusami, Jake. E’
solo che.. – mi siedo al suo
fianco, per terra, e sospiro. Lui lascia la chiave inglese e mi guarda
di
sottecchi. – Dimmi. –
-E’
solo che
non ce la faccio più. Mi sembra di soffocare.. –
seppur sia abbastanza
orgogliosa, non riesco a non essere sincera, soprattutto con Jake.
– Non vedo
altro futuro per me, se non quello delle mura di casa mia. Ed
è così strano, ci
sono tante cose che non ho mai fatto e vorrei fare, e tante altre che
non potrà
mai fare. Vorrei una vita normale.. –
Ecco,
l’ho
detto. Jake mi guarda. –Non avevo idea che pensassi questo..
io.. –
Mi pare che
nello sguardo di Jacob ci sia una punta di.. pena? O forse
colpevolezza? Si
sente in colpa, per me. Come sempre.
-Non è
colpa
tua, Jake. Riguarda solo me. – mi alzo, scuotendo i capelli.
-Nessie,
ascolta.. – Alzo una mano, già pentita per avergli
detto quelle cose.
-No, lascia
stare. Scusa se te l’ho detto, sono solo un po' nervosa.
– Lui rimane a bocca
aperta.
-Ora vado.
Magari ci vediamo dopo. – Mi avvio alla porta ma lui mi
raggiunge e mi blocca
un braccio.
-Nessie.
–
mi giro. –Sei cresciuta. –
Sorride. Io
guardo la sua bocca aprirsi e vengo presa da un moto d’ira.
– Come?-
-Sei
cresciuta. – ripete, sorridendo ancora.
–Finalmente. –
Lo guardo e
sono tentata nel tirare uno schiaffo sul suo faccino da lupo.
–Vaffanculo,
Jacob. –
Gli pesto un
piede e comincio a correre prima che possa riacchiapparmi.
***
Ok, non scrivo da tanto su EFP, e ora me ne esco
con questa JacobRenesmee, prima storia Twilight che scrivo. Siate
clementi, se vorrete rencesire, mi farebbe piacere :)
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Capitolo 2 *** Decisions. ***
Corro.
Corro
così veloce da arrivare nella foresta in due minuti o meno,
le orecchie attente
al rumore di Jacob dietro alle mie spalle. Corro, ridendo,
perché dal suo
respiro indovino la sua irritazione. Mi fermo vicino ad un abete e lo
aspetto.
-Finalmente!
– urlo quando lo vedo arrivare. Lui smette di correre e tenta
di nascondere il
disappunto con un'espressione dura. La stessa che usava per sgridarmi,
da
bambina.
-Renesmee.
–
Sbuffo, sedendomi ai piedi dell’albero.
-Non lo fare più. -
-Mi sembri
mio padre quando fai così. –
Lui riprende
fiato molto lentamente, guardandosi intorno nella foresta.
-Sei
incredibilmente lunatica, succhiasangue. – Avanza verso di me
e si siede al mio
fianco, scuotendo la testa. – Perché non mi hai
detto prima quelle cose?-
Sospiro,
osservando le sue mani abbandonate sui fianchi e ancora sporche di olio
di
motore. –Perché pensavo mi sarebbe passata.
–
-Ma non
è
così. – completa Jacob e rimaniamo entrambi in
silenzio.
-E cosa
vorresti fare? – aggiunge dopo qualche secondo, girandosi a
guardarmi. –Di nuovo,
intendo. Cosa ti piacerebbe fare? –
Alzo le
spalle. –Non lo so.. – Penso ai film in tv, a
quello di cui mi sono innamorata.
– Andare a scuola, magari. Farmi dei nuovi amici.. trovare un
lavoro. –
Lui sorride,
di un sorriso comprensivo. – Capisco. –
-Certo. - aggiungo, senza sapere cosa altro dire. -Lo so. -
Jake mi passa una mano sulla guancia, per "controllarmi la temperatura"
e poi afferra un ricciolo corto e irregolare.
-Stanno crescendo. - annuisco, guardando la ciocca stretta fra le sue
dita. - Dovrò tagliarli di nuovo. -
Lui fa uno strano rumore con la bocca, molto simile ad un ringhio
irritato. -Perchè? Stai bene anche con i capelli lunghi. -
Mi giro a guardarlo e mi rendo conto che il suo viso è molto
vicino al mio. -Perchè così mi sento
più me stessa. -
Lui mi guarda per qualche secondo negli occhi e poi gira lo sguardo, mentre
sento le guance imporporarsi. Poi si alza e mi tende una mano, che
afferro. – Vedremo cosa si può fare. –
Lo guardo
interrogativamente ma lui mi regala un occhiolino e sparisce di nuovo
nella
foresta.
Più
tardi,
abbandonata su una poltrona della biblioteca di casa Cullen, penso.
Penso a me,
di nuovo, alla mia vita. Se potessi avere la possibilità di
avere una vita
normale, magari poi questa nemmeno mi piacerebbe. Finirei per tornare
indietro,
avrei potuto farlo, riprendere la mia vita da eremita ed essere
quietamente
serena per il resto dell’eternità. Avrei sempre
avuto i miei genitori, gli zii,
i nonni. Sussulto, pensando a Jacob. Sebbene invecchi molto
lentamente,
Jake non è immortale. E prima o poi, forse fra cento o duecento anni,
morirà. Allontano questo pensiero con una scrollata di spalle,
perché è un’eventualità
che é presto prendere in considerazione.
Potrei
cambiare vita dieci o venti volte, con il vantaggio
dell’immortalità, potrei
fare tutto quello che più mi piace. Ma questa urgenza di
non perdere tempo,
questo fremito per tutto il corpo.. da cosa deriva?
-Nessie.
–
Ho avvertito l’odore della mamma già dal
corridoio, ma l’ho ignorato. Mi giro.
-Mamma.
–
Papà entra dopo di lei, e dopo di lui, Jacob.
–Immaginavo. –commento dopo aver
visto il suo sorriso sornione. –Quando comincio?-
Papà
nasconde anche lui un sorriso, mente la mamma incrocia le braccia.
–Lunedì. Avresti
potuto dircelo tu, però, invece di mandare Jacob. –
Incrocio le
gambe sul tavolino antico di nonna Esme. – Cosa? Ah.. certo.
– Mi rivolgo a
Jacob e gli sorrido, annunciando morte con gli occhi. –Si
chiamano confidenze. –
-In ogni
caso lunedì andrai a scuola, non sei contenta? –
aggiunge papà prima che Jacob
possa rispondere.
Sondo il mio
cuore e mi scopro piacevolmente eccitata. –Si. –
I miei
genitori sorridono. –Bene. – riprende la mamma.
– A patto che tu faccia
attenzione e.. –
-Non vada in
cerca di pericoli. – finisco per lei la frase, mentre Jacob
scuote la testa
divertito.
Se mi
si chiede quanti anni ho, devo
rispondere diciassette. Se mi si chiede chi siano i miei genitori, devo
rispondere
Theodore Cullen, fratello di Carlisle, e Rose Thompson, sua moglie,
entrambi
morti in un incidente stradale a Seattle, dove io abitavo. I miei
genitori
devono essere quindi i miei cugini. Niente corse fuori dal limite
massimo,
niente stranezze, niente accenni a vampiri o lupi. Niente di niente.
Lunedì
mattina apro gli occhi prima della sveglia, e quando la mamma entra in
camera
mi trova davanti allo specchio, indecisa su cosa indossare. Indaga la
mia
espressione rammaricata con un sorriso, poi prende
dall’armadio un jeans e una
normale maglietta di tutti i giorni, porgendomele.
-Non ti
serve niente di più del tuo sorriso. – La
ringrazio con uno sguardo, e mi
cambio in silenzio.
La sera
prima la dose di raccomandazioni mi era sembrata più
disperata del solito. Ci
si era unito anche zio Emmett, nella sua placida inconsapevolezza del
mondo, e
zio Jasper, indagando i miei sentimenti con risolutezza.
-Ti
porteremo noi e ti verremo a prendere all’uscita,
sta’ tranquilla. – aveva
asserito papà con le sopracciglia aggrottate.
–Quando vorrai.. potrà venire
Jacob. –
Quella frase
gli sarà costata mezza eternità, ma sapeva che
Jake sarebbe comunque venuto a
prendermi tutte le volte che io avrei voluto.
-Sii te
stessa, non ti preoccupare di quello che possono pensare gli altri.
– aveva incalzato
zia Alice, sorridendomi.
-E fai
vedere alle mortali di cosa è capace una vampira bella come
te.. – aveva aggiunto
zia Rose con un’occhiata furba.
-Se non ti
trovi bene, basta dirlo. – concluse la mamma mentre tornavamo
a casa. – e smetterai
di andarci. –
Ripenso a
tutti i consigli e gli avvertimenti con un sospiro. Mamma mi ha
preparato uno
zaino nuovo di zecca, con quaderni e matite. Me lo metto sulle spalle e
scuoto
i capelli, per darmi un contegno.
Mi ficco in
macchina con mamma e papà e rimango sorda ai loro sproloqui,
osservando la
foresta e la strada che fuggono ai miei lati, dando posto a Forks.
Quando
parcheggiamo davanti a scuola, si girano entrambi a guardarmi.
-Buona
fortuna. – dice mamma.
-Sii
prudente. – soggiunge papà.
-A dopo.
–rispondo,
sentendo tutto il peso della mia eternità sulle spalle da
umana.
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Capitolo 3 *** School for Nessie. ***
Entro
lentamente nell’androne della scuola, sommersa da una
moltitudine di ragazzi e
di ragazze già inseriti e navigati nella società.
Inspiro ed espiro, alzando le
spalle per aggiustare lo zaino, e procedo verso la segreteria.
Dopo un’indagine approfondita sui fatti di
casa Cullen, la segretaria mi consegna il mio orario e mi manda con un
sorriso
verso l’aula di inglese, che fatico un po' a trovare.
“Bene”
–
penso – “E’ giunto il momento”.
Bussò alla porta e la apro, constatando che la
lezione è iniziata e che tutti si sono girati a guardarmi.
-Buongiorno..
– biascico, mentre il professor Miller (dovrebbe chiamarsi
così) mi sorride.
-Buongiorno.
– mi fa cenno di avvicinarmi alla cattedra. – Tu
dovresti essere.. Renesmee
Cullen? –
Un mormorio
non troppo silenzioso si spande per l’aula, mentre sono
sicura che le mie
guance si siano colorate di rosso.
-Si, sono
io. –
-Bene.
– il professor
Miller mi indica l’unica sedia libera, sul fondo
dell’aula. –Stiamo parlando di
Fitzgerald. Lo conosci?-
“A
menadito”,
penso, ma mi stampo un sorrisino di circostanza. –Un po'.
– e sgattaiolo sul
fondo della classe. Mentre cammino verso il mio banco qualche occhio si
gira a
fissarmi, incuriosito, e sono troppo poco abituata agli sguardi per non
sentirmi in forte imbarazzo.
-Bene.
–
riprende Miller girando lo sguardo verso la lavagna. – Scott
Fitzgerald. –
Sono troppo
eccitata per seguire la lezione del professore, che tra
l’altro mi servirebbe
solo da leggero ripasso, e passo tutta l’ora ad osservare i
miei compagni di
corso, le pareti dell’aula, il banco scarabocchiato. Quando
la campanella suona
rimango qualche secondo ferma al mio posto prima di capire di dovermi
alzare, e
quando sono nel corridoio, capisco di dover andare a cercare
un’altra aula, in
giro per la scuola.
-Serve
aiuto? – la ragazza seduta davanti a me al corso di inglese
mi aspetta, ferma
in mezzo al corridoio, e mi lancia un sorriso comprensivo.
-Magari..
–
sussurro, allungandole il mio orario e rispondendo al suo sorriso.
-Oh, hai
spagnolo. – mi restituisce l’orario e mi fa cenno
di seguirla. – Anche io. –
Annuisco.
Lei mi allunga una mano, mentre camminiamo a passo svelto. –
Mi chiamo Lana. –
-Renesmee.
–
rispondo, stringendo la sua mano, e lei mi sorride di nuovo.
-Cullen, lo
so. – Si gira a guardarmi con i suoi occhi a mandorla e si
ferma.
-Arrivate.
–
Entriamo nell’aula di spagnolo e Lana mi fa cenno di sedermi
vicino a lei.
Sembra una ragazza simpatica, con quei suoi occhi allungati e i lunghi
capelli
neri, e non riesco a non pensare a Emily, a La Push.
Lo spagnolo,
devo ammettere, a casa Cullen non l’ho mai masticato: mi
sento fiera di questa
nuova scoperta e seguo con interesse la lezione della professoressa
Perez, fino
al suono della campanella.
Io e Lana ci
rendiamo conto di avere lo stesso orario, e passiamo tutta la mattina
nelle
stesse aule e a parlottare nei corridoi, tra una lezione e
l’altra. Vengo così
a sapere che la sua famiglia è originaria del Giappone, che
lei si sente
americana a tutti gli effetti ma la cucina giapponese non le dispiace.
Ha un
ragazzo, Todd, che mi vuole far conoscere, e gioca titolare nella
squadra di
basket della scuola.
-Wow.
–commento,
mentre penso che da raccontare su di me ci sarebbe tutto o niente, e
quando lei
mi chiede informazioni rimango qualche secondo inebetita davanti
all’armadietto.
-Ecco..
–
ricordo la storia tragica dei miei genitori morti e la racconto a
briglia
sciolta, contornando il tutto con qualche amico rimasto a Seattle e con
un
ragazzo con cui avevo cominciato ad uscire.
-Ma e’
terribile. – commenta lei quando finisco, e mi lancia uno
sguardo mortificato. –Mi
dispiace tanto, Renesmee. Devi soffrire parecchio. –
Mi dispiace
mentire ad una ragazza che tenta di essere mia amica, ma la mia vita
è fatta di
questo. –Oh, si. Ma passa tutto. –
Durante la
pausa pranzo Lana mi fa sedere con lei e Todd, un ragazzone alto e
biondissimo
con un apparecchio evidente, che mi sembra simpatico e spigliato e dice
di
conoscere zio Emmett.
-Certo,
Emmett!- mi fa vedere il suo braccio muscoloso e ride. –Ogni
tanto lo incontro
in palestra. –
Immagazzino
quella scoperta su zio Emmett con un sorriso, pronta a sciorinarla alla
mamma
non appena tornata a casa.
-Non sapevo
che i Cullen avessero una cugina. Ma gli altri, che fine hanno fatto?-
A questo non
ero preparata. Tossisco, passandomi una mano fra i capelli corti.
–Un po' in
viaggio, un po' al college.. Sono fatti così. –
Todd e Lana
sembrano soddisfatti della mia risposta e cambiano argomento, mentre io
punto
lo sguardo sul piatto di pasta scotta.
-Oh, ecco
Chase. – Todd alza una mano verso un ragazzo biondo quasi
quanto lui e si mette
ad urlare. –Chase, ehi, Chase!-
Lana
arrossisce, mentre picchietta una mano sul braccio di Todd per farlo
tacere, ed
io mi lascio scappare un sorriso. Il ragazzo intercetta Todd e si
avvicina a
noi lentamente, con il vassoio in mano.
-Todd, Lana.
– sorride, poggiando il vassoio sul tavolo e prendendo posto
al fianco di Todd.
-Questa
è
Renesmee. – Todd mi indica con un cenno del capo.
–E’ nuova. –
Chase gira
lo sguardo verso di me e allunga una mano sopra al tavolo. La stringo,
accennando un sorriso.
- Chase.
–
- Renesmee.
–
Al mio
fianco, vedo che Lana tenta di nascondere un sorriso.
Per essere
il primo giorno di scuola, devo ammettere di essere abbastanza
soddisfatta. Ho
tre potenziali amici, un po' di compiti e una fame da lupi, nel vero
senso
della parola. Mamma aveva ragione a definire il cibo della mensa peggio
di spazzatura.
All’uscita Lana, Todd e Chase mi salutano calorosamente, e
Lana mi lascia il
suo numero di cellulare, dicendomi di mandarle un messaggio.
-Certo.
–
rispondo, mentre mi lascia un bacio sulla guancia, e sento che i loro
occhi sono
su di me mentre avanzo verso il cortile, dove sono certa che qualcuno
mi stia
aspettando. E infatti, parcheggiato con disinvoltura al centro della
strada, c’è
Jacob. Sospiro, mentre mi accorgo delle occhiate che le ragazzine gli
lanciano,
e procedo a passo spedito verso di lui.
-Che
esibizionista. –commento, mentre lui si sfila gli occhiali e
sorride.
-Mi è
sempre
piaciuta la scuola di Forks, è multietnica. – mi
passa il casco e io lo infilo.
-Parti, fiato puzzolente, che tra un po' cominciano a scattarci le
foto. –
Lui sale
sulla moto e si rimette gli occhiali. –
Com’è andato il primo giorno?-
Lancio
un’occhiata
ai miei tre amici imbambolati a fissare Jake e la sua moto e sorrido.
–Regolare,
capo, niente problemi da vampiro. -
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