You left me in the dark

di Raya_Cap_Fee
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tell me how am I supposed to live without you ***
Capitolo 2: *** I feel it in my bones ***
Capitolo 3: *** I can cry in front of you ***
Capitolo 4: *** He's dead and I'm alone ***
Capitolo 5: *** I feel so lost but what can I do? ***
Capitolo 6: *** Please, tell me who you are ***
Capitolo 7: *** I can help you ***
Capitolo 8: *** I love you ***
Capitolo 9: *** Home sweet home? ***
Capitolo 10: *** Blood, Tears and Fear ***
Capitolo 11: *** Stay with me ***
Capitolo 12: *** Welcome ***
Capitolo 13: *** Take a breath ***
Capitolo 14: *** I need you love ***



Capitolo 1
*** Tell me how am I supposed to live without you ***


YOU LEFT ME IN THE DARK



 
CAPITOLO UNO: TELL ME  HOW AM I SUPPOSED TO LIVE WITHOUT YOU.
 
Tum.Tum.Tum.
Un battito regolare risuonava sotto il suo orecchio mentre, sveglia, ma ancora con gli occhi chiusi si godeva la quiete di quel momento. Aveva immaginato tutto. Era stato tutto un sogno, un bruttissimo incubo. Il volto di Turno privo di vita nella Grande Terra, il suo corpo in una pozza di sangue. Era stato dunque tutto frutto della sua immaginazione?

Aprì con calma gli occhi e riconobbe sopra di loro le chiome degli alberi del bosco dove si erano rifugiati, dopo l’uccisione del sacerdote traditore della Gilda. Cormia sentiva la mano di Turno sfiorare la sua schiena nuda in tocchi leggeri, quasi impercettibili e avvertì un groppo in gola. La sensazione di perderlo era stata terribile. Non avrebbe permesso al ragazzo di perseguire quella sua idea di troncare quella relazione. Era tutto ciò che aveva.

Si mosse e appoggiò il mento sul petto ugualmente nudo di lui. Non le era mai capitato di addormentarsi al suo fianco. I suoi occhi grigi incontrarono quelli pensierosi di lui, poi sul volto del ragazzo si aprì un sorriso.

“Sei sveglia” mormorò sommessamente e Cormia potè avvertire la vibrazione nel suo petto.

“Ho fatto un brutto sogno Turno” sussurrò lei portando una mano ad accarezzargli il petto.

“Lo so, non hai fatto altro che agitarti. Fortunatamente, non sono un tipo che si impressiona” ribattè lui stringendola tra le braccia.

Cormia non sapeva se rivelare quello che aveva sognato, poiché il dolore le era sembrato talmente reale che il solo parlarne ne avrebbe procurato altro.

Si sporse e avvicinò le proprie labbra a quelle del compagno. Del suo amore.

Si sentiva strana nell’avvertire il calore del corpo di Turno al fianco del suo e ancora di più si sentiva strana nell’assaporare di nuovo quelle labbra calde.

Il bacio fu lungo e senz’altro sarebbero andati di nuovo oltre. Era quello che volevano entrambi. Cormia interruppe improvvisamente Turno che, sopra di lei le stava baciando il collo e lo indusse ad alzare la testa per farsi guardare, intrappolò una mano nei suoi capelli mentre teneva l’altra ad accarezzargli una guancia resa appena ispida da un accenno di barba “Io non voglio rompere con te. Non mi importa se ci scoprono. Non mi importa se mi ammazzano com una perdente. Io voglio stare con te, sempre e per sempre. Io ti amo ,Turno” disse in tono concitato e con la fronte lievemente aggrottata.

Sospirò mentre Turno si chinava a sfiorare la fronte con la sua “Allora non ci lasceremo mai perché anche io ti amo” sorrise contro le sue labbra, tornando poi baciarla.
Poi vi fu un improvviso refolo d’aria gelida che percosse le membra di entrambi e Cormia sentì Turno irriggidirsi.

“Turno” sussurrò lei incrociando i suoi occhi azzurri improvvisamente spenti, come se non potessero vederla.

“Turno!” gridò poi nel vederlo cadere di lato, il volto rivolto al cielo e illuminato dai riflessi di un tramonto. Cormia sentiva il cuore batterle all’impazzata. Si inginocchiò al fianco del suo compagno mentre qualcosa di rosso e viscoso si allargava nell’erba, nel punto esatto in cui c’era la schiena di Turno. Un rosso vermiglio si faceva strada tra i fili d’erba verdi, seccandoli e lasciando spazio ad una terra arida. “Che cos’hai?Turno?” allungò le mani a toccare il corpo del ragazzo e gridò nuovamente nel sentirlo gelido. Era esattamente come nel suo sogno. Il paesaggio intorno a lei era mutato, non c’era più del bosco in cui erano stati fino a pochi attimi prima. Un lamento viscerale risalì nella gola di Cormia mentre si rendeva conto.Si chinò ad accarezzare i capelli biondo scuro di Turno mentre sentiva il corpo scosso dai singhiozzi. Il sangue, caldo e appiccicoso l’aveva imbrattata tutta ma non le importava.

Sollevò lo sguardo verso il cielo arancione e socchiuse gli occhi. Una lacrima le rigò una guancia. Sentì all’improvviso qualcosa afferrarle un polso e gridò per quel tocco gelido. Provò a divincolarsi dalla presa di Turno che la fissava, spettrale “Uccidilo! Devi ucciderlo Cormia!”.
Lei urlò.


Si svegliò di soprassalto con la gola che le bruciava e le lacrime che colavano sul volto giovane e scarno. Si portò una mano al cuore e pianse scuotendo la testa. Erano giorni che aveva lo stesso sogno, e ogni volta tutto le sembrava più reale. Sognava di svegliarsi nel bosco con Turno e lì credeva che la sua morte fosse stata solo un incubo poi, all’improvviso tutto subiva un cambiamento ed era ancora più spaventoso di quanto non lo fosse stato in realtà. Tremando, si alzò dal suo giaciglio nella Casa e si portò prossima ad un piccolo bacile giusto prima di buttare fuori, vomitando, tutta la cena.
 
Non poteva farcela. Non poteva vivere così. Si sciaquò il viso con l’acqua fredda e tirò un sospiro cercando di calmarsi.

Doveva essere l’alba quindi era inutile tentare di dormire ancora, non che lo volesse. Si passò una mano tra i capelli biondissimi e poi si raggomitolò in un angolo della piccola stanza. Le sembrava di essere ritornata la bambina che aveva paura di tutto, che non voleva uscire di casa e incontrare altra gente.

E non voleva esserlo. Non voleva più essere quella persona da tredici anni eppure…

Si cacciò un pugno in bocca e soffocò così le urla che altrimenti sarebbero riuscite a svegliare tutta la Gilda. La sua prigione.

Che cosa doveva fare?

“Uccidilo! Devi ucciderlo Cormia!”

Le parole di Turno le rimbombavano nella testa, quella era stata una parte nuova del sogno. Chi doveva uccidere, non era stata forse Dubhe ad uccidere lui? E allora a cosa si riferiva?
 
Si passò una mano sul ventre e avvertì già sotto la stoffa un leggero gonfiore dovuto al figlio che aveva scoperto di portare in grembo. Il bambino di Turno, l’unico con cui avesse mai condiviso il suo corpo.

Turno non poteva riferirsi a quel bambino anche se, come poteva crescere un figlio lei?

Una volta che Yeshol avrebbe scoperto il suo stato l’avrebbe ammazzata. Non era compito delle Assassine mettere al mondo dei figli. Quello era un compito che spettava alle sacerdotesse della Casa e a nessun altro.

Il primo rintocco risuonò nell’ambiente sotterraneo della casa e la Vittoriosa, si rivestì con calma degli abiti e indossando la maschera che ormai utilizzava da un mese, dalla morte di Turno, iniziò la sua giornata.



Note d'Autrice
Bene, rieccomi qui! Lo so che alcuni di voi lo aspettavano con ansia, vero Drachen? ahahaah xD Niente, oggi ho avuto ispirazione e...niente ecco qui! Spero vi sia piaciuto e che qualcuno vorrà leggere questa storia lasciando pure un'opinione. Credo di aver inventato la questione che solo le sacerdotesse possono procreare altri vittoriosi ^^ ma d'altronde dal libro non si capisce tanto. Un bacione a tutti!

RayaFee

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Capitolo 2
*** I feel it in my bones ***


YOU LEFT ME IN THE DARK




 
CAPITOLO DUE: I FEEL IT IN MY BONES


Le giornate nella Casa avevano assunto ormai un lungo passaggio tra un incubo e un altro.  Le attività che per tredici anni aveva frequentato con assiduità e passione sembravano non risvegliare in lei nessuna emozione.

Le sembrava che tutto si fosse spento, lei compresa. Troppi ricordi infestavano i corridoi, le terme e la stessa palestra dove, come un rito, svolgeva in un angolo degli esercizi.
 
Con la fuga di Dubhe e il sapore amaro della sconfitta in merito della Suprema Guardia, gli Assassini erano sempre meno propensi a tralasciare i propri allenamenti e tentavano di compiere sempre nel migliore dei modi le loro missioni per non irritare Yeshol rischiando la testa. Solo il pensiero di quella ragazzina, ancora a piede libero per il Mondo Emerso anche se inseguita da una come Rekla, le faceva venire il voltastomaco.
 
Si avvicinò silenziosa alla postazione degli archi e ne prese uno. Gli archi non erano un’ arma prediletta dagli Assassini, ma la concentrazione per centrare il bersaglio l’avrebbe fatta rilassare. Sentì dei leggeri passi dietro di lei ma non si voltò a guardare. Tese la corda e prendendosi qualche attimo per mirare al bersaglio in paglia, scoccò la freccia che, con un sibilo si conficcò con tutta la punta nel centro.

“Brava, Cormia” mormorò una voce dietro di lei, familiare. Abbassò l’arco e si voltò per lanciare un’occhiata, al di sopra della spalla, a Leuca. Rimase in silenzio di fronte a quella osservazione che le pareva solo un tentativo di iniziare un discorso.  Ricordava il Leuca ragazzino di quel giorno nel bosco che aveva picchiato fino alla morte uno dei gemelli, ricordava il Leuca ragazzo che scambiava battute con Turno alle terme o per i corridoi. A parte qualche parola, non si erano mai considerati ma era certa che Turno lo ritenesse il suo migliore amico.

“Grazie, Leuca” rispose così, e si meravigliò lei stessa per il tono di voce freddo e rauco che aveva usato. Da quanto tempo non parlava con qualcuno?

Lui inclinò leggermente la testa di lato, guardandola in viso poi, prendendo per sé un arco, l’affiancò in postazione. Cormia rimase a fissarlo mentre, freccia dopo freccia, centrava ogni volta il bersaglio.

“Manca anche a me,Cormia. Ma ti prego di prenderti cura di stessa e di mostrarti più interessata alla Casa” sussurrò Leuca poi, quando le passò al fianco per posare l’arco. La ragazza sollevò lo sguardo verso di lui, incrociando così, i suoi occhi azzurri.

“Che vuoi dire?” chiese lei.

Leuca la guardava  negli occhi ostentando tranquillità “Nonostante tu stia cercando di essere la stessa, Cormia, non lo sei. Io conosco il motivo e posso riuscire a capire ma altri no. Se arrivasse all’orecchio di Yeshol non si metterebbe bene per te. Ti aggiri come un fantasma per i corridoi, alle terme rifuggi qualsiasi dialogo, non rispondi alle preghiere e questo non va bene” rispose lui, in tono concitato ma ugualmente basso. Cormia chiuse gli occhi e chinò appena la testa. La prima campana del pranzo risuonò nell’aria e molti smisero le loro attività per andare via.

“Io…” fece per ribattere ma le parole le morirono in gola. Lei cosa? Evidentemente non era più così brava a mascherare le proprie emozioni. La stanza era ormai vuota, rimanevano soltanto loro due. Leuca allungò le mani e  le poggiò sulle spalle esili della Vittoriosa “Io non so esattamente cosa ci fosse tra te e Turno e non voglio saperlo perché sospetto che fosse contro le regole di questa Casa” mormorò inducendo la ragazza a sollevare nuovamente gli occhi grigi per guardarlo in viso “Vedo che stai soffrendo e non posso restare qui a guardarti. Turno teneva a te ed io ero suo amico perciò anche tu sei mia amica ora” strinse appena la presa “E se vuoi parlare io ci sono, per te” disse. Non le lasciò il tempo di controbattere che già si era allontanato. Il secondo rintocco risuonò nell’aria e allora Cormia si affrettò ad avviarsi verso il refettorio.

Leuca sapeva, ma fino ad un certo punto. Turno non aveva parlato del loro rapporto nemmeno con il suo amico, perché sebbene fosse un tipo apposto era pur sempre uno dei fedeli. Un brivido le percosse la schiena. Quanto poteva fidarsi di lui? Abbastanza da rivelargli di aspettare un figlio? No.
 
Il pomeriggio, memore di quello che le aveva sussurrato il Vittorioso, lo passò inginocchiata nel tempio a pregare. Le parole rivolte a Thenaar si susseguivano sulle sue labbra in una litania che non aveva alcun senso di fede per lei. Non c’era nulla da fare. Sentiva di non appartenere più a quel posto.


 
E così, con quella consapevolezza nel cuore passò un'altra settimana, piena di medesimi incubi e sensazioni. Le riusciva sempre più difficile indossare i suoi abiti e si ritrovava a doversi fasciare l’intero busto per nascondere l’insolito gonfiore del ventre. Non era di certo salutare ma era quello che poteva permettersi. L’evidenza sarebbe presto venuta a galla.

 Evitava le terme nelle ore più affollate, preferendo concedersi il tepore delle acque nelle ore più tarde. Proprio come aveva fatto quella sera dopocena. Se ne stava con gli occhi chiusi sotto un getto d’acqua calda che le bagnava i capelli rendendoli ancora più candidi e lisci. Non c’erano che quattro o cinque Assassini, tutti troppo stanchi per far caso a lei o almeno quasi tutti.

Quando sentì l’acqua smuoversi al suo fianco aprì un occhio per sbirciare chi l’avesse avvicinata e si irrigidì nel riconoscere Jalo.
“Questo è il mio getto, Jalo. Vai più in là” mormorò seccata, chinando il capo per guardarlo.

Da tipico natìo della Terra della Notte il Vittorioso aveva ereditato la pelle chiara e gli occhi chiari. Sorrise sprezzante di fronte a quella richiesta “Avanti, Cormia. Non essere sempre così scontrosa con me. Lo sai che ti trovo interessante”.

La ragazza sentì lo stomaco aggrovigliarsi. Emise un leggero sbuffo dalle narici e, nuotando, uscì dalla piscina.

Come gli veniva in mente, a quell’insulso essere di provarci con lei?

Mentre si rivestiva, vicino alle nicchie, sentì nuovamente la presenza dell’Assassino al suo fianco. Cormia gli diede le spalle, non per pudore, una delle molte cose che si perdeva nella Gilda ma bensì per celargli la vista della pancia.

Indossò la casacca come primo indumento, poi tutto il resto. Teneva le labbra serrate e la mascella contratta nel tentativo di non saltare alla gola di Jalo, ancora lì, dietro di lei.

Si voltò di scatto mentre finiva di abbottonare il corpetto e lo guardò.

Erano faccia a faccia. Jalo non le era mai piaciuto particolarmente, pensava troppo agli affari degli altri e si divertitiva, più di tutti, a inveire contro i nuovi arrivati.

“Smettila di guardarmi o ti cavo gli occhi dalle orbite. Sai che lo farei” mormorò, minacciosa. Leuca le aveva detta di rifuggire ogni dialogo, beh, ora stava avendo una discussione.
Il Vittorioso di fronte a lei sollevò un angolo delle labbra sottili e si strinse appena nelle spalle “Ti vedo strana ultimamente, Cormia.” Strinse gli occhi chiari e le si avvicinò di un passo “ Sembra quasi che tu non voglia stare qui” aggiunse in tono divertito. Cormia sapeva però che Jalo era uno di quelli bravi a cogliere i malumori.

Alzò il mento “Io non voglio stare qui in tua compagnia, la cosa è diversa Jalo” sottolineò per poi voltarsi. Fece per allontanarsi ma le parole che pronunciò quello subito dopo la bloccarono “Non è che c’entra la morte di Turno vero? Eravate insolitamente legati…”.

Il cuore dell’Assassina perse un colpo mentre, le immagini di lei e Turno nelle giornate passate in quelle terme le balenarono nella mente. Chiuse gli occhi e prese un respiro.

“Ma forse mi sbaglio…non è così?” parlò ancora il ragazzo. Lei si voltò a guardarlo, i capelli biondi e ancora bagnati le danzarono davanti al viso “Ti sbagli” riuscì a dire con tutta l’indifferenza di cui era capace.
Si affrettò ad allontanarsi e si avvicò per i corridoi della Casa senza una precisa direzione ma quando alla fine si fermò, si accorse di essere giunta davanti alla porta della stanza appartenuta a Turno.

Stava impazzendo. La vista le si offuscò di lacrime mentre ripercorreva quasi in una silenziosa corsa i corridoi per andare nel suo alloggio. L’avrebbe aspettata un’altra notte da incubo ma almeno poteva vederlo.

Si raggomitolò su un fianco, nel suo letto e tirò un sospiro. Sentiva il bisogno di sfogarsi con qualcuno e quel qualcuno poteva essere soltanto Leuca, al momento. Non aveva mai veramente legato con nessuno. In un certo senso, era sempre rimasta la bambina spaventata ma spalleggiata da un ragazzo come Turno.

Si mise a pancia in un e con le dita sfiorò l'addome. Non era ancora troppo tardi per liberarsene e forse si sbagliava a pensare che Turno,nel suo sogno, non si riferisse al bambino. Se Yeshol l’avesse scoperto sarebbe stata la fine di entrambi.
Doveva sperare solo che arrivasse presto una missione, per poter uscire così dalla Casa. E soprattutto, prima, doveva dirlo a qualcuno.

 

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Capitolo 3
*** I can cry in front of you ***


YOU LEFT ME IN THE DARK
 
 
Turno                                             Cormia

 
CAPITOLO TRE: I CAN CRY IN FRONT OF YOU


Incapace di sostenere da sola tutti i pensieri che le occupavano la mente, Cormia aveva deciso di fidarsi dell’unico amico che probabilmente, lì dentro, non l’avrebbe tradita. La fiducia in Leuca era l’unico sentimento positivo che riusciva a provare in quel momento.
E così, qualche giorno dopo lo spiacevole incontro con Jalo alle terme decise di avvicinare Leuca.

“Potrei parlarti, da sola?” sussurrò la ragazza, ferma al suo fianco nella palestra mentre guardava con finto interesse davanti a sé lo scontro a mani nude tra Tess e Kimi.
Leuca volse appena il capo verso di lei e ne osservò il profilo. Una ruga di preoccupazione le increspava appena la fronte liscia e pallida.
Aveva offerto il suo aiuto alla Vittoriosa perché sapeva che tra lei e Turno c’era stato qualcosa, molto più di un’ amicizia. O almeno, sospettava fermamente che fosse così.
Prese un respiro “Aspettami dopo pranzo fuori dal refettorio” sussurrò in risposta e la Vittoriosa si rilassò immediatamente. Doveva essere proprio agli sgoccioli per accettare il suo aiuto.

 
Così, dopo pranzo Cormia seguì lungo i corridoi la figura alta e imponente di Leuca. Il mantello nero che indossava sopra le vesti di Assassino preannunciava quasi che fosse in procinto di partire anche lui. Nessuno dei due parlò mentre percorrevano quei cunicoli scavati sotto terra e che conoscevano come le loro stesse facce.
Leuca si fermò di scatto davanti ad una porta e con un movimento fluido vi entrò facendo scattare la serratura. Senza alcun indugio Cormia entrò nella stanza del Vittorioso. Ebbe appena il tempo di guardarsi intorno e constatare che anche quella camera era uguale a tutte le altre.

“Qui siamo al sicuro per una chiaccherata. Nessuno ha motivo di venirmi a cercare a quest’ora” disse il ragazzo chiudendo dall’interno la stanza.
Cormia prese un profondo respiro mentre Leuca, senza slacciarsi il mantello prese posto a sedere sul letto. I loro sguardi si incrociarono per qualche attimo e la Vittoriosa fece per tornare su i suoi passi. Non voleva mettere nei guai anche lui. Fece per voltarsi ma la voce del ragazzo la fermò “Dimmi quello che non va Cormia. Davvero”.

Si arrese e sentì qualcosa di familiare pungergli gli occhi. Maledette lacrime. Leuca la fissò, d’un tratto preoccupato “Cormia…” fece per dire ma lei lo interruppe “Aspetto un bambino” rantolò.
Si sentì meglio, dire quelle tre semplici parole ad alta voce sembrava aver allievato la sua preoccupazione.

“Co-Cosa?”

“Aspetto un bambino ed è figlio di Turno” continuò lei piazzandosi di fronte al ragazzo biondo.

Leuca la guardò, gli occhi azzurri sgranati scattarono come una molla verso la sua pancia“Oh merda. Che diamine ha combinato quell’idiota?” disse scuotendo il capo mentre la ragazza lo guardava di rimando “Siete stati dei pazzi. Ti rendi conto Cormia? Ti rendi conto di cosa significa questo?” scattò in piedi sovrastandola appena di qualche centimetro apparentemente irritato.

“E’ stato un incidente. Io ho preso le erbe troppo tardi e…”

“No. Non si tratta di erbe Cormia. Si tratta di voi. Voi non dovevate nemmeno…” scosse la testa senza terminare e Cormia tirò un sospiro.

“ E’ successo durante la missione nella Terra dei Giorni” continuò lei sedendosi sul giaciglio, le dita nei capelli biondi e sparsi sulle spalle, candidi come la neve.

“E’ sempre stato innamorato di te d’altronde, avrei dovuto aspettarmelo prima o poi” disse Leuca. Si accovacciò ai piedi di Cormia e le poggiò le mani sulle ginocchia. Riusciva a percepire il tormento che la insediava.

“Cosa pensi di fare? Non è troppo tardi per liberartene dopotutto. Puoi ancora sistemare le cose e Thenaar ti perdonerà”

“Io lo amavo” sussurrò lei asciugandosi con rabbia le lacrime agli angoli degli occhi grigi “Lui mi odierebbe se lo facessi. Nei miei sogni, lui mi dice di ammazzare qualcuno ma non può riferirsi al bambino vero Leuca?”

Il Vittorioso aggrottò la fronte. Voleva delle risposte da lui?
Il suo primo impulso fu quello di dirgli di liberarsi di quel frutto dell’amore. Non c’era amore nella Gilda. Era contro tutte le regole, contro tutto quello in cui lui credeva lì dentro. Tuttavia, prese un profondo respiro. Conosceva Turno da sempre, erano cresciuti insieme. Non si era aspettato da lui quel tradimento verso la Casa ma ormai, il danno era fatto.
“Cosa pensi di fare?” chiese per la seconda volta.

“Io non lo so.Forse se ne parlassi con Yeshol…” mormorò lei mordendosi un labbro. Leuca rabbrividì e strinse la presa su Cormia “No, Cormia. La Suprema Guardia non accetterà mai quella creatura e ti sgozzerebbe senza alcun ritegno per l’affronto. Forse è quello che meriteresti ma ti darò una mano”
Lei sollevò gli occhi grigi incrociando i suoi “Io vorrei tenerlo. E’ l’unica cosa che mi rimane di lui” singhiozzò.

“Non puoi. Non qui dentro” rispose lui.

“Allora, forse, dovrei farlo fuori da qui”.
 
Tradimento. Ecco di cosa stava parlando. Tradire la Gilda e fuggire nel Mondo Emerso come una comune perdente, rinnegando la sua natura di figlia prediletta. Tutto per amore. Tutto per un figlio di una persona morta.
 
Cormia non aveva intenzione di liberarsi di quel bambino. Era il pensiero che più di tutti le turbinava nella mente ma che non prendeva mai seriamente in considerazione. Se avesse voluto veramente abortire, avrebbe già trovato il modo di farlo.
 
“Mi stai dicendo che vuoi andartene? Fuggire come una Traditrice?” scandì bene Leuca, sorpreso.
“Sì” disse senza risultare troppo convincente.
 
Anche lui voleva ancora bene a Turno ma poteva davvero accettare questo per suo conto? Aiutare Cormia in quella pazzia?
Una voce nella sua testa gli suggerì di sì.
Sospirò nuovamente e si passò una mano tra i capelli corti.

“Senti, tra qualche ora devo andare con Sherva.Una missione importante. Cerca di aspettare il mio ritorno, cerca di non farti scoprire e ti prometto che ti aiuterò con tutto questo, va bene?”.
Corma sollevò il volto per guardarlo. Lo stava studiando, stava decidendo se potersi fidare veramente di lui “Grazie,Leuca” disse infine e lui stirò appena le labbra in un sorriso attirandola tra le sue braccia mentre lei veniva scossa da singhiozzi.

“Non posso dire di approvare per niente ma glielo devo. Devo a Turno molte cose e aiutare la sua fidanzatina incinta estinguerà tutti i debiti” cercò di scherzare addirittura “Andrà tutto bene Cormia”aggiunse infine.


 
Appena una settimana dopo la partenza di Leuca dalla Casa, Cormia si sentiva appena più tranquilla nonostante il suo stato fosse sempre più interessante. I suoi incubi con Turno non erano cambiati e nonostante si sforzasse di capire a chi potesse rifersi non era giunta ancora a nessuna conclusione.
Per la prima volta si ritrovò a fissare, affamata, la ciotola di lenticchie che i Perdenti stavano servendo. Tuttavia, c’era ancra da adempiere alle preghiere. Yeshol dal pulpito li osservò tutti, prima di parlare. L’espressione era truce, e la pelle era quasi grigiastra mentre si rivolgeva alla sala dei suoi Vittoriosi “…un altro grande Vittorioso è stato strappato alla nostra Casa per mano di un Perdente”.
Cormia sollevò lo sguardo dalla ciotola per fissare la Suprema Guardia “Che Thenaar possa accogliere Leuca nel migliore dei modi”.
 
Le mancò l’aria. Un vuoto le si aprì al centro del petto e si ritrovò a dover annaspare in cerca d’aria. Leuca. No.
Il cuore rischiava di scoppiarle nel petto e nessuno sembrava accorgersi di niente. Nessuno di accorgeva che per lei era finita.
Non aveva più nessuno.
C’erano solo lei e quel bambino. E non avrebbe abbandonato il suo piano.
Sarebbe scappata.



Note d'Autrice
Ebbene sì, pure Leuca se ne va all'altro mondo...che strage! Ahhaha xD Così del fatidico trio è rimasta sono Cormia che vale per due :)
E' arrivato il momento della svolta, nel prossimo capitolo! :) Spero che vi piaccia, fatemi sapere *.*

RayaFee



 

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Capitolo 4
*** He's dead and I'm alone ***


YOU LEFT ME IN THE DARK



 
Turno                                  Cormia      


 
CAPITOLO QUATTRO: HE'S DEAD AND I'M ALONE

Così, Thenaar le aveva portato via le uniche persone importanti per lei. Turno, che amava ancora e Leuca che si era offerto di aiutarla. Non le rimaneva più nulla, o forse sì. Rinchiusa nella sua stanza, nei sotterranei della Gilda, Cormia doveva prendere al più presto una decisione in merito al suo futuro.
Voleva a tutti costi quel bambino. Aveva deciso. Era figlio di Turno, la sua eredità.

L’unica cosa da fare era andarsene dalla Casa. Ormai la Gilda, non poteva più far parte della sua vita. Non quando di mezzo c’era l’amore per qualcuno che non fosse unicamente il dio Thenaar.
Emise un flebile sospiro e si raggomitolò su un fianco. Sarebbe partita tra qualche ora, dopo la cena. Ai piedi del letto c’era già il suo mantello e i due pugnali. Era in gamba, sarebbe riuscita a sfuggire ai suoi fratelli, agli Assassini che, una volta accortasi della sua fuga, l’avrebbero inseguita. Aveva in mente di recarsi nella Terra del Mare, lungo la costa, il più lontano possibile da Yeshol sarebbe riuscita a trovare qualche posto dove poter portare a termine la gravidanza. Poi si sarebbe spostata.
 
Durante la cena, partecipò al suo ultimo rito con tono fervente. Non perché la sua fede si fosse rinnovata, bensì perché stava finalmente giungendo al termine.
Si guardò intorno, i Vittoriosi si cibavano e si chiese chi di loro Yeshol avrebbe scelto per darle la caccia. Ricacciò a stento il primo sorriso dalla morte di Turno. Stava per iniziare il gioco della preda e del predatore.
 
Nel silenzio dei sotterranei, più tardi, sgattaiolò fuori dalla sua stanza e a passo felpato Cormia percorse i corridoi con attenzione. Dalla fuga di Dubhe c’era sempre qualche Vittorioso che pattugliava i corridoi per ordine di Jerm, la Guardia degli Alloggi. Ogni volta che udiva qualche rumore, si affrettava a svoltare e prendere un’altra via.
Giunse infine al Tempio senza che nessuno l’avesse vista e quando le si parò davanti il grosso portone ebbe un attimo per voltarsi indietro. Lo sguardo grigio della ragazza si posò sulla grande statua di Thenaar.
“Che il gioco abbia inizio” sussurrò tra sé sfiorandosi la pancia con un dito. L’aria al di fuori dei sotterranei fu un toccasana per la sua persona. La primavera stava per giungere al termine e presto, le notti sarebbero state più calde. Fu attenta a non lasciare a tracce che indicassero la sua vera direzione e perse appena un po’ di tempo per creare false piste intorno al Tempio.

 
L’unico modo di muoversi era a piedi e per questo, una volta terminato le tracce verso est puntò verso ovest. La Terra dei Giorni. Doveva mettere quanta più distanza poteva tra sé e la Casa prima che Yeshol o qualcuno per lui si accorgesse della sua assenza. Poteva dire di aver un giorno scarso di vantaggio, se le andava bene.
Cormia forzava le tappe verso la Terra dei Giorni desiderosa di compiere un’ultima cosa prima di allontanarsi verso la Terra del Mare. Il villaggio di Derne si profilò al suo sguardo prima di quanto si aspettasse, al tramonto di una giornata calda e serena che le aveva provocato parecchi capogiri. Non aveva mangiato altro che un tozzo di pane nero con della carne secca. Non bastava per entrambi.

Si calò sulla testa il cappuccio e si avviò giù per la collina, verso valle e Derne. Tredici anni. Erano trascorsi tredici anni da quando avevano ucciso Cormack e i gemelli. Il consiglio aveva deciso di allontanarli dal villaggio ma Cormia, Turno e Leuca si erano stabiliti per un pò nel bosco vicino. La madre della ragazza veniva a far visita e a portare qualcosa da mangiare fin quando un giorno non apparvero davanti ai tre ragazzini Redney e Wellsie. La Gilda che li portò via.
 
Qualche persona percorreva le vie, di ritorno dal lavoro nei campi, stanca e sporca.  Qualcuno le lanciò un’occhiata incuriosita e la ragazza seppe che l’avrebbero tenuta in mente se qualcuno avesse chiesto loro di qualche figura strana passata a Derne.
Passò nella piazza centrale e lo sguardo grigio si soffermò sui gradini della vecchia fontana dove Turno le aveva detto  di averla vista per la prima volta. Mano nella mano con la madre nel giorno di mercato.
 
Ricordava quel giorno come uno dei più spaventosi della sua infanzia. La folla che la circondava, il vociare da tutte le parti, spinte e urli. Aveva stretto la mano della madre fin quasi a farla lamentare.

Un sorriso si fece strada sul suo volto pallido e si guardò brevemente intorno. Non aveva dimenticato la strada per casa sua. In memoria aveva sempre eccelso. Non sapeva però dove abitassero i genitori di Turno, pazienza.
 Si avviò verso Nord, verso il bosco. I passi risuonavano sul selciato e intorno c’era silenzio. Passò davanti alla casa di Leuca, abbandonata e con le ante delle finestre sdradicate poi, lo sguardo di soffermò sulla casetta appena più avanti. Grigia e anonima come tutte le altre ma non per lei. Prese un grosso respiro e socchiuse un attimo gli occhi prima di farsi coraggio. Non sapeva se fosse una buona idea ma doveva tentare.
 
Si avvicinò alla porta di legno piuttosto malmessa e dall’interno udì delle voci. Sollevò a mezz’aria un pugno poi, si decise a bussare.
“Chi sarà a quest’ora? Non sanno che si cena?” sentì una voce maschile e Cormia aggrottò appena la fronte. Forse sua madre era andata via e lì vi abitava qualcun’ altro.
“Sarà Harriet, le avevo detto di portarmi alcuni indumenti da rammendare, sai, non ne è capace” qualcuno rispose. No, non qualcuno. Lei.

La porta si aprì all’improvviso e la copia invecchiata di sé stessa le apparì di fronte. I capelli biondissimi erano legati in una crocchia piuttosto disfatta. Il viso era attraversato da qualche ruga vicino agli occhi e agli angoli della bocca. Il fisico appesantito.
Aniuka guardava quella figura incappucciata e Cormia vide che strinse la presa sulla porta, turbata.

“Chi è?” chiese sua madre. Cormia arretrò appena di un passo proprio mentre, al fianco della madre si palesò un uomo alto dai capelli rossicci e la barba.
Chi era quell’uomo?

“Cosa vuoi a casa mia?” le chiese lui, brusco mentre faceva passare un braccio intorno alla vita di Aniuka.
“Mamma…” le scappò dalla bocca, sconvolta dal fatto che lei avesse sostituito suo padre.
La donna sgranò appena gli occhi e si liberò dal braccio che la tratteneva per fare un passo in avanti. Respirava in modo quasi affannato mentre si chinava per cercare di sbirciare sotto il cappuccio.
Cormia si morse un labbro e si guardò intorno per accertarsi che nessuno li stesse osservando “Mamma” ripetè, più calma e con un tono appena più deciso. Scostò appena indietro il cappuccio mentre l’uomo si avvicinava nuovamente ad Aniuka con fare protettivo.
L’Assassina portò una mano sotto il mantello a stringere l’elsa del pugnale di Turno che teneva appeso in vita.
Vide Aniuka impallidire d’ un tratto e portarsi una mano alla bocca, gli occhi azzurri  improvvisamente colmi di lacrime.

“Cormia…oh…” singhiozzò facendo un passo indietro verso la casa,spaventata. Probabilmente sapeva, a quale destino  era andata incontro sua figlia. “Anton…andiamo dentro presto” mormorò sua madre trascinando l’uomo per la mano. Cormia serrò la mascella per non cedere a quel rifiuto, fece per indossare nuovamente il cappuccio ma le parole di Aniuka la bloccarono “Entra, presto!” trascinò anche lei dentro, chiudendosi con un tonfo la porta alle spalle.

Tutto era come ricordava. Lo stesso ordine e l’odore di cibo sempre nell’aria.  Il tavolo al centro della stanza era già apparecchiato per la cena e due ragazzini, un maschio e una femmina, erano seduti composti con gli occhi azzurri fissi sulle figure appena entrate. Cormia trattenne il fiato e lanciò un’occhiata a sua madre. Il mantello nero copriva gli abiti della Gilda ma era sicura che lei sospettasse chi era diventata sua figlia.

“Cormia..”mormorò la donna ancora avvicinandosi per tenderle le mani, visibilmente emozionata. Anton guardava entrambe, consapevole e si allontanò di qualche passo verso i due ragazzini. Non c’era dubbio da chi avessero preso quegli occhi sebbene i capelli non fossero biondi ma rossi.
L’Assassina tolse le mani da sotto il mantello e le tese all’indirizzo della madre che gliele strinse piano “E’ un piacere rivederti” sussurrò Aniuka stirando la bocca rugosa in un sorriso sincero.
 
 
Era strano ritrovarsi catapultata nuovamente nella sua infanzia. Nel suo villaggio, nella sua casa e con sua madre. Durante la cena Aniuka le aveva spiegato che Anton era il suo nuovo marito e i due ragazzini erano i figli avuti con lui.
“…sono i tuoi fratellastri” la sentì dire e la ragazza fissò lo sguardo sui due. Il ragazzino, Pàl, la fissava con aria incuriosita forse ancora confuso riguardo la sua identità mentre Kalya, la sorella, le lanciava breve occhiate sospettose e quasi risentite. Le scappò un breve sorriso nel pensare che non avevano la minima idea di chi avevano di fronte.

Aniuka non le fece domande e forse attendeva di restare sola con la figlia maggiore “Quanto resterai?” le chiese sua madre alzandosi da tavola.
“Poco, non ho molto tempo”. Sentì su di sé lo sguardo di Anton e desiderò avere via libera per sgozzarlo. Ce l’aveva un po’ con sua madre per aver sposato un altro uomo, specie uno così diverso da quello che era il suo padre naturale. Aniuka aggrottò la fronte ed emise un flebile sospiro “Anton, porti a letto i bambini?” si rivolse poi al marito.
“Voglio essere qui quando parli con lei” rispose lui lanciandole un’occhiata. Cormia fissò un punto imprecisato del fuoco, facendo finta di non udire il sospetto nel suo tono. I tre lasciarono la cucina per andare al piano superiore, dove c’erano due stanze da letto.

“Cosa ti è successo in questi anni Cormia?Sei così…diversa” le disse in fretta Aniuka, asciugandosi le mani bagnate sul grembiule e sedendosi di fronte alla sua copia più giovane.
Si era diversa. No, non diversa. Era un’altra persona ormai.

“Immagino tu sappia quale è stato il mio destino, mamma” rispose lei in tono basso, fissando i suoi occhi in quelli dell’altra.
Vide il timore e la consapevolezza farsi strada sul volto di sua madre. “Perché sei qui dopo tanti anni?”.
Dei passi risuonarono giù per le scale, segno che Anton stava facendo ritorno. Cormia serrò le labbra “Ti sei risposata” sputò fuori con risentimento.

“Non mi era rimasto più nessuno Cormia. Credevi davvero che sarei rimasta sola fino alla morte?”

“Non mi piace”.

Aniuka scosse la testa ignorando il suo tono. Anton entrò in cucina e si sistemò seduto a tavola. Lo sguardo fisso sulle due donne. Cormia decise di ignorarlo.
“Ho bisogno di nuovi vestiti e cibo” mormorò a sua madre. La donna la guardò pensierosa, una muta domanda “Sono scappata dal mio destino mamma ma non vuol dire che quello non verrà a cercarmi di nuovo”.

Cormia le raccontò tutto, o quasi. Disse che si era innamorata di un ragazzo in un posto dove questo non era possibile ma non menzionò la Gilda, le disse con una certa difficoltà di aspettare un bambino e che era entrata nei primi tre mesi di gravidanza.
Aniuka ascoltava, lo sguardo fisso in quello della figlia come a voler cogliere che persona fosse diventata la sua bambina che un tempo, aveva paura di mettere fuori di casa anche il naso. Nell’apprendere la notizia della gravidanza lo sguardo di era soffermato sul suo ventre celato ancora dal mantello e gli occhi si erano fatti improvvisamente lucidi. Anton d’altro canto, non era intervenuto ne aveva commentato in nessun modo. Probabilmente era lì solo per assicurarsi che sua moglie non fosse uccisa.

“Sei fuggita quindi?”.
Cormia annuì.
 “E verranno a cercarti?” annuì di nuovo.
“Per questo non posso rimanere”.

Aniuka sospirò per la centesima volta e si sporse per accarezzarle una guancia “E il padre del bambino? Dov’è?”.
A quel punto fu Cormia a distogliere lo sguardo da quello della madre per guardarsi le mani. Sentì le lacrime pizzicare minacciosamente gli angoli dei suoi occhi “Lui è morto” disse d’un fiato. Una lacrima calda le scivolò giù dalla guancia e Cormia sentì Anton agitarsi sulla sedia. “Tesoro…” sussurrò Aniuka stringendola a sé.
L’Assassina si arrese a quel contatto e nascose in viso tra la spalla e il capo di Aniuka.
“Era Turno mamma. Te lo ricordi vero?” le chiese sommessamente tirando su con il naso “Lui è morto e io sono sola”.
Aniuka rafforzò la presa su sua figlia “Sì, lo ricordo.”

“Lui mi amava”
“Chi non lo farebbe figlia mia?”



Angolo Autrice
Eccomi! Capitolo quattro, bello lunghetto rispetto al solito, arrivato! Spero vi piaccia! Ringrazio chi di voi ha letto e recensito. Un bacione!

RayaFee




 

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Capitolo 5
*** I feel so lost but what can I do? ***


YOU LEFT ME IN THE DARK





 
CAPITOLO CINQUE: I FEEL SO LOST BUT  WHAT CAN I I DO?
 
Avrebbe desiderato rimanere un po’ con sua madre. Ricercare nuovamente se stessa in quelle mura che l’avevano vista crescere. Cormia non sentiva di appartenere più a niente ormai. Nemmeno a lei stessa.

Il viaggio verso la terra del mare era ancora lungo e qualcuno ormai doveva essere già sulle sue tracce, ne era certa. Sperava solo che non avrebbero fatto visita ad Aniuka ma ne dubitava.  Non le restava altro da fare che far perdere le sue tracce. Aveva fatto un cambio d’abiti bruciando quelli della Gilda nel caminetto e ora indossava dei semplici calzoni di camoscio scuri e una casacca grigia a maniche lunghe e larga. Aveva tenuto il mantello gli stivali e naturalmente i due pugnali di cui aveva camuffato l’elsa con l’aiuto di cuoio e pelle.

Ogni notte dormiva all’aria aperta e ogni notte, dopo aver sognato Turno, stava sempre peggio. Forse doveva farsi vedere da qualcuno. L’insonnia non giovava né a lei né al bambino. Giunse nei pressi di Makrat all’incirca sei giorni dopo aver lasciato sua madre, ci aveva messo molto di più di quanto ci avrebbe impiegato normalmente.

Si fermò in un piccolo villaggio nei pressi della capitale ormai stremata da un malessere generale che non sapeva definire. Si diresse verso una locanda chiamata Topo Rampante. Se non altro il nome era originale. Si sedette in angolo e tirò un sospiro di sollievo. Sentiva sotto i polpastrelli la pelle del viso fredda e come cosparsa da un velo di sudore gelido. Ogni tanto avvertiva fitte alla schiena e al petto. Nella sua mente cercava di venirne a capo ma forse era qualcosa dovuta al bambino.

“Si sente bene?” si sentì chiedere da una voce giovane e Cormia alzò gli occhi dal tavolo per posarli sulla cameriera. Aveva all’incirca quindici anni, bionda e dalla pelle abbronzata cosparsa da lentiggini. Gli occhi nocciola era fissi sulla figura dell’Assassina quasi preoccupati. Doveva avere proprio un aspetto terribile, non si era nemmeno guardata da qualche parte prima di entrare. Si costrinse a stringere le labbra in un sorriso  “Sì, certo” mentì “Qualcosa di caldo per favore” ordinò semplicemente. Le sarebbe andato bene di tutto.

Notò, mentre mangiava lentamente il suo stufato di carne , che un uomo dall’altro lato della stanza la stava guardando con interesse. Era sulla sessantina, i capelli quasi completamente grigi e gli occhi leggermente offuscati dalla cataratta. Cormia era certa però che si trattasse di un soldato. Le vesti non le lasciavano dubbi così come la spada che teneva stretta ad un fianco. Uomini di Dohor. Alleati del suo nuovo nemico.
 Incrociò gli occhi dell’uomo e quello le accennò un sorriso e quel punto dubitò che la considerasse una nemica. La stava considerando in veste di donna. Una donna giovane e sola.

Deglutì l’ultimo boccone di carne e si affrettò a pagare la cameriera del pasto. La locanda era quasi vuota e la sera era calata da un pezzo. Avrebbe voluto fermarsi a dormire da qualche parte nelle stanza al piano di sopra ma non si sentiva al sicuro rinchiusa.
Uscì dal Topo Rampante con indosso il mantello. Il cielo era sereno e l’aria piuttosto frizzante. Si sentiva appena meglio e aveva avuto talmente fame da essere riuscita ad ignorare la nausea. Imboccò una via laterale alla locale quando sentì i passi dietro di lei. Era certa che si trattasse di quell’uomo. Strinse la presa all’elsa del pugnale che teneva sotto una manica, assicurato all’avambraccio.

“Signorina…Signorina…dove se ne va a quest’ora tutta sola?” si sentì chiedere. Cormia fece una smorfia e si fermò. Quasi subito si sentì afferrare un braccio. Non si mosse perché sapeva di potersene liberare in un attimo “Dove vai? Umh?” sentì il fiato dell’uomo sul collo e la presa intorno al suo braccio si trasformò in una carezza lasciva. Cormia rabbrividì. Non le sarebbe dispiaciuto ucciderlo.
Fece per voltarsi e l’uomo l’assecondò, permettendole il movimento. Le sorrise e Cormia inclinò leggermente il capo per guardarlo meglio “Come?” chiede lei all’uomo. Il tono risulto freddo tanto che un lampo di sorpresa passò nello sguardo del vecchio. Fu solo un attimo perché poi tornò a sorridere.
La mano che le teneva un braccio scivolò pericolosamente dietro la sua schiena attirandola a quel corpo che non avrebbe toccato se non con la lama del pugnale. Cormia fece per estrarre il pugnale quando una fitta al ventre le mozzò il fiato in gola.

“Ehy, che fai? Hai gli artigli?” l’uomo le tolse malamente di mano il pugnale mentre lei cercava di riprendersi dalle vertigini.
Sentì un tintinnìo e capì che l’uomo aveva gettato il pugnale.

“Non…non respiro” disse la ragazza. L’uomo le sorrise prendendola solo come una scusa e si chinò a baciarle il collo.

L’unico uomo che l’aveva baciata era stato Turno e non aveva nulla a che  fare con quella che aveva ora di fronte.

“Togliti di dosso, porco. Non toccarmi!” gridò prendendo a manate l’uomo sul petto. La vista le si era annebbiata e solo ora sembrè collegare che forse era stata avvelenata.
Le carezza dell’uomo si erano fatte più audaci lungo il suo corpo e Cormia potè sentire già quanto fosse eccitato.

“Smettila!” gridò lei ancora.
“Horson!” un’altra voce maschile, più giovane, si sentì nel vicolo e l’uomo le si staccò appena di dosso senza tuttavia lasciarla.
Grugnì qualcosa che Cormia non riuscì a capire mentre si accasciava a terra.

“Horson che stai facendo?” chiese la voce.

“Mi sto divertendo” borbottò il vecchio. Cormia, a terra, udiva le voci ovattate “Aiuto…” mormorò.

“Ti diverti così tu? Perché non vai al bordello e te la paghi una sgualdrina?”

“Non rivolgerti a me in quel tono ragazzino”

“La stai intrattenendo contro la sua volontà”

Stavano litigando, le voci erano alte ma a un certo punto calò il silenzio “Che le hai fatto?” disse il più giovane, che non riusciva nemmeno a vedere.

“Non le ho fatto nulla, non ho nemmeno cominciato…”ridacchiò. Qualcuno si chinò al suo fianco e le scostò dalla fronte una ciocca di capelli “Sta male, non vedi?”.

“Non mi importa”

“Stavi per violentarla!”

Horson disse qualcosa poi, Cormia sentì che si stava allontanando.
“Riesci a sentirmi?” mormorò la voce giovane al suo fianco. Cormia riuscì ad allungare una mano e le sembrò di essere riuscita a stringergli un polso “Portami da qualcuno” riuscì a soffiare prima che il buio calasse su di lei.




 
Angolo Autrice
Lo so, è passato un vergognoso lasso di tempo dall’ultimo capitolo. Mi spiace un sacco u.u Spero che questo capitolo vi piaccia nonostante Horson e il comportamento un po’ rimbambito di Cormia ahhaah xD. Prometto che nel prossimo di capirà tutto.Ringrazio RedLight_Death per aver inserito la storia tra le preferite e Sennar94 che ha inserito la storia tra le seguite.
RayaFee

 

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Capitolo 6
*** Please, tell me who you are ***


YOU LEFT ME IN THE DARK



 
CAPITOLO SEI: PLEASE, TELL ME WHO YOU ARE
 
Fuori dalla sua stanza, alla Locanda del Drago, il soldato che aveva soccorso Cormia nel vicolo attendeva a braccia incrociate l’uscita dalla sacerdotessa. Ricordava lo sguardo della ragazza bionda, spaventato ma allo stesso tempo freddo, quando gli aveva chiesto di portarla da qualcuno. Era svenuta subito dopo e lui aveva dovuto trascinarla in braccio.

Emise un lieve sospiro scuotendo la testa. Horson faceva sempre casini ai quali lui poi, appena più che un soldato semplice, doveva porre rimedio. Lo scricchiolìo della porta lo distrasse dai suoi pensieri e sollevò lo sguardo verso la donna di mezz’età che gli si faceva incontro.

Si raddrizzò mentre quella gli si fermava di fronte “Sembra che qualcuno l’abbia avvelenata” disse, il tono serio da professionista. Era andato a svegliarla nel cuore della notte per trascinarla alla locanda.

“Avvelenata?” chiese lui, non era da Horson. La donna annuì sistemandosi lo scialle di lana sulle spalle gracili “E’ probabile che l’acqua che beveva fosse stata avvelenata con qualche pianta. Belladonna forse.”

Non doveva essere molto amata quella ragazza. Il soldato aggrottò la fronte ma la donna lo anticipò “In piccole quantità l’ha avvelenata poco alla volta ma fortunatamente prima che le fosse fatale ha trovato aiuto”. La donna si voltò appena verso la porta della sua stanza e tirò un sospiro “Ti ho lasciato un antidoto da farle bere all’incirca ogni tre ore. Dovrebbe scongiurare guai anche al bambino”.

Il soldato alzò di scatto la testa “Bambino?” chiese sorpreso. La donna stirò le labbra in un sorriso “Oh, non te lo aveva detto? E’ incinta, direi quasi quattro mesi ormai. Voi soldati non avete occhio che per le vostre spade”
“Lei non è mia moglie” rispose il soldato “L’ho solo soccorsa, non so nemmeno chi sia”.

La sacerdotessa annuì “Beh, io passerò domani verso ora di pranzo. Farò  qualche esame” disse per poi allontanarsi.

Erowyn seguì con lo sguardo la sacedotessa fin quando non scomparve oltre le scale poi, si avvicinò alla porta della sua stanza. Sapeva di non poterci dormire, essendo il letto singolo occupato dalla ragazza ma tant’è che non poteva lasciarla sola dopo averla salvata.
Rientrò quindi nella sua camera e incrociò subito gli occhi della ragazza. Al contrario del vicolo, dove aveva potuto scorgere i suoi lineamenti a malapena, tutto ora gli era ben visibile. Era seduta sul letto, la schiena a poggiare contro la parete e la coperta a coprirle le gambe. Non doveva essere molto più giovane di lui, eppure c’era qualcosa nei suoi lineamenti che la faceva sembrare una bambina.

“Hai parlato con la sacerdotessa?” chiese lui sistemandosi a sedere sulla sedia di legno di fianco al letto. Gli occhi della ragazza erano ancora fissi nei suoi e all’improvviso sentì una sorta di disagio farsi largo dentro di sé.

“Sì” rispose lei semplicemente scostandosi dal volto i capelli sottili e biondi, quasi da sembrare bianchi. Era bella su questo non aveva alcun dubbio.

“Perché eri in giro di notte? Nella tua condizione…”

“So difendermi”

“Beh…a quanto pare non ne sei stata in grado” ribattè lui in tono ovvio. Lei assottigliò le labbra in una smorfia poi, con una mano si sfiorò la pancia.

Erowyn la osservò in silenzio. Non sembrava felice, non sembrava una delle ragazze dei villaggi o delle città.
“Da dove vieni?” gli venne naturale chiederle. Lei lo guardò, l’espressione indecifrabile “Terra della Notte” rispose. Sì, i lineamenti potevano essere di quella zona.

“Sei scappata?”

Lei sembrò stirare le labbra in un sorriso, ma fu solo per un attimo “Forse” disse. Non sembrava voler dire nient’altro perciò non insistette.


 
Vi fu qualche minuto di silenzio “Il soldato nel vicolo…” cominciò lei “…è un tuo amico?” chiese guardandolo. Il tono era strano, non spaventato.

“Non lo definirei amico, più un superiore”

“Alloggia qui?”

“Non ti farà del male se è questo che tem…”

“Alloggia qui?” lo interruppe lei nuovamente.
Erowyn annuì e la ragazza prese a guardare la porta. Sembrava essere smaniosa di alzarsi.

“Come ti chiami?” chiese il soldato.Il comportamento di quella ragazza cominciava  a inquietarlo.

“Cormia” rispose fissando nuovamente gli occhi su di lui “Erowyn” si presentò a sua volta chinando leggermente il capo biondo.

Lei non ne sembrò interessata “Hai idea di chi ti abbia avvelenata, Cormia?” chiese. Lei annuì appena “Qualcuna” rispose.

“E hai intenzione di dirmelo? Potremmo prendere qualche provvedimen…”

“No” lo interruppe “Me ne occuperò a tempo debito”.

La ragazza scostò le coperte per mettersi seduta, i piedi a poggiare per terra. Indossava una casacca larga e grigia, probabilmente da uomo che arrivava a coprirle metà coscia. Non sembrava turbata dal fatto che in quella stanza ci fosse un uomo sconosciuto, un ragazzo che malgrado tutto, si ritrovò a guardarla dalla testa ai piedi.
“Dove sono i miei pugnali?” chiese lei, una nota d’allarme nella voce. Erowyn si riscosse e le indicò la cassa ai piedi del letto, sopra alla quale era appoggiato un pugnale. Lei sembrò confusa “Erano due”.

“No…Era uno”

Cormia si mise in piedi di scatto e per poco non cadde a terra. Fortunatamente i riflessi del soldato erano buoni “Non puoi fare questi movimenti, sei debole” mormorò lui con le mani ancorate ai fianchi della ragazza.

“Erano due. I pugnali erano due. L’altro sarà caduto nel vicolo” disse lei, incurante. Perché era tanto importante un pugnale?

“Devi andare a recuperarlo” disse Cormia, le mani a stringere le sue braccia per rimanere in piedi. Il soldato chinò gli occhi scuri su di lei, un sopracciglio biondo inarcato “Devo?” ripetè.

“Io non posso andarci”

Erowyn sospirò e aiutò la ragazza a mettersi seduta nuovamente sul letto. Si passò una mano tra i capelli corti. Tanto la sua notte sarebbe stata in bianco comunque “Va bene. Vado a recuperarlo  ma tu rimani a letto” disse. Era più forte di lui, non poteva non preoccuparsi degli altri.
Lei lo guardò in silenzio per qualche secondo poi annuì “Fa presto”.
 
Erowyn uscì nuovamente nella notte, il vicolo nel quale aveva trovato Cormia era quello al fianco del Topo Rampante. Si incamminò in quella direzione, gli stivali che risuonavano sul selciato e il lieve tintinnìo della spada appesa al fianco sinistro.
Quella ragazza aveva qualcosa di strano, ne era certo.
Giunse nel vicolo vuoto e con l’aiuto di una lanterna recuperata in piazza lo passò al setaccio. La luce aranciata fece baluginare qualcosa in un angolo vicino ad una botte vuota e Erowyn seppe di averlo trovato. Recuperò il pugnale e lo osservò. Erano pochissime le ragazze che sapeva sapessero usare un pugnale e ancora meno quelle che ci andavano in giro e nessuna che ne avesse addirittura due. Osservò la lama che non recava che qualche graffietto e poi si concentrò sull’elsa. Era un’elsa strana,non naturale per quel tipo di pugnale. Strinse tra le dita il laccio che l’ avvolgeva e tirò. La pelle cadde a terra e ad Erowyn si bloccò il respiro in gola.

Due serpenti si intrecciavano sull’elsa in un segno che, almeno tra i soldati di Dohor, era ben conosciuto. La Gilda.
Assicurò il pugnale al fianco e fece dietrofront. Cormia apparteneva alla Gilda? O quel pugnale era stato rubato?
Aveva detto di venire dalla Terra della Notte….
La Gilda era una setta di Assassini, criminali di prim’ordine secondo il suo parere. Tutti ne erano intimoriti, tranne il re e qualche suo fedele scagnozzo come Forra.


Rientrò alla locanda e senza preoccuparsi di fare rumore rientrò nella stanza. Rimase interdetto nel trovare il letto vuoto ma subito dopo sentì il freddo di una lama premergli contro la giugulare. Il respiro dietro di sé era lievemente affannato. Una mano della ragazza frugò contro il suo fianco fino a recuperare il pugnale “Ora sono costretta a ucciderti” mormorò lei al suo orecchio. Erowyn sapeva che nelle condizioni in cui versava la donna sarebbe stato facile sbarazzarsi di lei ma non si mosse.

“Chi sei?” disse

“Non quello che pensi, soldato” rispose lei. La lama premette ancora di più sulla sua gola “Perché dovresti uccidermi? Ti ho salvato la vita ricordi?”

“Non posso permettere che qualcuno sappia chi sono”

“Sei un’Assassina”
La lama che premeva contro la sua gola era già macchiata di sangue non suo.

“Il tuo amico meritava di morire”




ANGOLO AUTRICE
Ecco a voi il capitolo sei. Ammetto di non essere tanto convinta del nome Erowyn, ma non mi veniva in mente niente di meglio xD Spero che il capitolo vi sia piaciuto e ringrazio chi ha commentato lo scorso. Un bacione!

Raya_Cap_Fee

 
 

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Capitolo 7
*** I can help you ***


YOU LEFT ME IN THE DARK



 
CAPITOLO SETTE: I CAN HELP YOU


Il soldato non si muoveva contro la sua presa e Cormia sapeva benissimo che nello stato in cui versava per lui sarebbe stato facile liberarsi. La lama del suo pugnale premeva contro il collo sottile ma ancora non aveva deciso cosa fare.
Con Horson non aveva avuto dubbi.

“Hai ucciso Horson?” chiese Erowyn, il tono appena disturbato.
“Sì” rispose lei, fredda. Quel soldato le aveva salvato la vita dopotutto. Se non fosse stato per il suo intervento…ma non poteva lasciarlo andare. Sarebbe stato un segno di debolezza e lei non era debole. Erowyn approfittò della sua incertezza per ribaltare le posizioni. Era Cormia ora ad avere  il pugnale contro la gola.

“La Gilda non dovrebbe ammazzare i soldati di Dohor. Perché sei qui, mezza morta e con un bambino in grembo?” chiese Erowyn. La mano sulla gola tremava leggermente ma Cormia non si mosse. Si sentiva debole, lo sforzo di uscire dalla camera per cercare quella di Horson le era costata energia.

Rimase in silenzio “Lasciami andare e io non ti ammazzo” disse poi, calma “Ti devo un favore dopotutto”. Alzò le mani in segno di resa e il soldato dopo qualche attimo di incertezza la lasciò andare.
Cormia socchiuse gli occhi e senza nemmeno voltarsi andò a sedersi nuovamente sul letto.

“Dovrò portarti a Makrat. Hai ucciso un mio superiore”

Cormia sollevò gli occhi chiari dal pavimento e li fissò sul giovane ancora fermo davanti alla porta. Accennò un sorriso e scosse appena la testa. Vide la sorpresa disegnarsi sul volto dell’altro.
“Non verrò a Makrat con te, Erowyn” disse “E sarà meglio che tu non provi nemmeno a farlo”.

Stavolta fu lei ad essere sorpresa quando udì una bassa risata “E come pensi di poter fare? Sei debole, hai il respiro mozzo e sei quasi morta per avvelenamento. Per non accennare al fatto che porti in grembo un bambino, e che nelle tue condizioni uno sforzo in più ti costerebbe la sua vita”.

Cormia si morse il labbro inferiore e involontariamente, ancora una volta, una mano andò ad accarezzare il ventre. Il bambino di Turno.
Sospirò piano. Si diede della stupida per non aver riconosciuto i segni di un avvelenamento. La stanchezza, il sudore freddo. Dubitava che fosse stata Aniuka ad avvelenare la borraccia, era certa che fosse stato il suo patrigno. Se la Gilda era sulle sue tracce non ci avrebbe messo molto a raggiungere questo villaggio in era bloccata.

“Non posso venire a Makrat con te perché mi ammazzerebbero” disse con calma.

“Sono sicuro che non lo faran…”

“No, non i tuoi superiori ma la Gilda”

Guardò di nuovo Erowyn negli occhi e lui inclinò leggermente il capo “La Gilda ti ammazzerebbe?” ripetè.
Cormia strinse le labbra e poi sospirò “Io sto scappando dalla Gilda. Se tu mi porti a Makrat loro mi ammazzano e allora il tuo tentativo di salvarmi stasera sarà stato vano”

“Non si scappa dalla Gilda. Stai mentendo”

Cormia sorrise e si alzò nuovamente in piedi, vide Erowyn guardarla da capo a piedi.

“Saprai anche che nella Gilda, a meno che tu non sia una sacerdotessa, non puoi aspettare un figlio” disse in tono sarcastico. Erowyn assottigliò gli occhi neri sulla figura della ragazza, le sembrava sincera dopotutto.
“Scappi perché sei incinta?”

Lei annuì. “Stai andando dal padre del bambino?” chiese allora Erowyn inarcando appena le sopracciglia verso l’alto.
Cormia sentiva di stare rivelando troppo ma era sicura di non poterne fare a meno in quella situazione “Il padre del bambino faceva parte della Gilda. E’ morto”. Ogni volta che pronunciava quelle parole sentiva lo stomaco contrarsi e le lacrime pizzicarle gli occhi. Tornò a guardare il pavimento di legno per non mostrare gli occhi lucidi.

“E stai scappando dalla Gilda perché non vuoi che ammazzino te e il bambino…eppure qualcuno ti ha avvelenata…”

“E’ stato il mio patrigno. Sono stata ferma un giorno a casa di mia madre e lui…credo..sono sicura sia stato lui” sospirò.

“Dove sei diretta?” chiese Erowyn. Cormia stirò le labbra in un sorriso “Terra del mare. Ho bisogno di un posto in cui fermarmi per un po’….fino a quando non nascerà il bambino” mormorò.
“Ti ci porto io”

Cormia sollevò di scatto gli occhi verso il soldato. Lui la stava guardando, serio. Era giovane, forse di qualche anno più grande. I capelli biondi erano tagliati corti, i lineamenti delicati.
“Fino a poco fa volevi portarmi a Makrat” disse lei, perplessa. Senza dubbio giungere alla Terra del Mare, magari con un Drago, sarebbe stato più veloce e privo di tracce.

“Infatti. Ma come hai detto tu, allora il mio tentativo di salvarti sarebbe vano. Allora vorrà dire che ti porterò nella Terra del Mare. Domani andrò in licenza e un Drago mi scorterà a casa. Tu verrai con me” disse deciso.

“Ti aspetti che ti creda?”

“Ti aspetti che mi rimangi la parola? Io ti porto nella Terra del Mare, ti aiuterò a trovare una sistemazione affinché tu porti al termine la gravidanza. Non ti chiederò nulla se non a tempo debito.”
Cormia lo fissò ancora un momento. Non aveva scelta.

“Non hai scelta. Se la Gilda ti sta alle costole non puoi rimanere qui a lungo e non puoi trovare mezzo migliore di un Drago per spostarti in fretta”
Cormia sbattè le palpebre. Avrebbe approfitatto del soldato. Poi l’avrebbe ucciso.


Angolo Autrice
Salve lettori! :) mi scuso se non aggiorno spessso questa storia :/ spero comunque che continui a piacervi. Ringrazio Tzulan e magicadark007 che hanno inserito la storia tra le seguite <3 un bacione!
Raya_Cap_Fee

 

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Capitolo 8
*** I love you ***


YOU LEFT ME IN THE DARK

CAPITOLO OTTO: I LOVE YOU

Cormia sapeva di aver ricevuto un aiuto inaspettato dal soldato. L’occasione di recuperare il tempo perso per la malattia e la possibilità di non lasciare tracce viaggiando su un Drago era qualcosa che la rendeva stranamente fiduciosa. Forse avrebbe potuto davvero cavarsela per il tempo necessario a portare a termine la gravidanza.

Sola nella stanza, la mattina successiva della sua chiaccherata con Erowyn si specchiò nell’acqua della tinozza per il bagno. Era più magra di quanto ricordasse ma in compenso c’era la pancia, lievitata che addolciva le sue forma poco prosperose. Si passò una mano sul ventre e tirò un sospiro. Chissà cosa sarebbe successo se Turno fosse stato vivo. Avrebbe voluto il bambino? Sì, l’avrebbe amato con tutto se stesso così amava lei.
Quella notte aveva fatto di nuovo lo stesso sogno, nessun indizio, nessun cambiamento. Lui le chiedeva di uccidere qualcuno ma lei non capiva. Non avrebbe mai capito. Si bagnò la faccia e soffermò le mani fredde sul viso artigliandosi le guancie.

“Turno che cosa vuoi da me?” sussurrò tirando su con il naso. Sentiva le lacrime pericolosamente vicine ma il bussare improvviso alla porta la distrasse.

“Cormia?”

Era Erowyn, il soldato. “Sei pronta? E’ ora di partire”. L’Assassina si affrettò ad uscire dalla tinozza e  una volta asciugatasi indossò gli abiti puliti portati dal ragazzo di prima mattina. Aprì la porta della camera solo quando fu completamente pronta, i pugnali al sicuro negli stivali neri. Incrociò lo sguardo di Erowyn e gli rivolse un silenzioso cenno del capo.

Cormia lo seguì fuori dalla locanda. Il corpo di Horson era stato ritrovato dal proprietario quella stessa mattina. Erano stati i suoi urli a svegliarla dal sogno inquieto. Seguiva la figura esile del soldato, pensierosa. Sembrava essere sincero ma bisognava comunque essere preparati al fatto che forse, la stava ingannando. Aveva ucciso un suo superiore dopotutto. La condusse appena fuori dal villaggio dove un piccolo drago blu li attendeva con un ragazzino al limitare del bosco.

Erowyn allungò qualche moneta al ragazzino “Non c’è bisogno che tu venga con noi, ci penso io” disse con calma. Il ragazzino annuì e si allontanò in tutta fretta. Il soldato si voltò verso di lei.
“Useremo questo per arrivare nella Terra del Mare. Io abito sulla costa est, ci metteremo più o meno un giorno se andiamo piano” disse. Cormia lo guardò e annuì “Posso chiederti, di nuovo, perché lo stai facendo?” disse poi.

Incrociò gli occhi castani del soldato “Sarebbe stato inutile salvarti la vita per poi vederti sgozzata in un letto da un Assassino, non credi?”

“Sei generoso” rispose lei non riuscendo a trattenere una nota di scetticismo.

“E’ il mio problema più grande. Forse è per questo che non farò mai carriera” disse sbrigativo “Ora vogliamo salire, hai preso tutte le tue cose?”.

Cormia annuì e poi fu aiutata da Erowyn a salire sul drago blu. Solo una volta era salita su un Drago, per una missione urgente nellaTerra del Vento. Il viaggio le era piaciuto, la sensazione di essere al di sopra di tutto le era piaciuta. Erowyn si sistemò dietro di lei, ritenendola ancora troppo debole per tenersi saldamente al Drago.
“Non vorrei che precipitassi” si giustificò lui quando, dopo un’occhiata irritata, lui le aveva passato le mani intorno ai fianchi per prendere le redini. Per un attimo era sembrato intimorito poi però aveva sorriso, quasi divertito.

 
Cormia emise un sospiro di sollievo quando vide l’acqua stagliarsi all’orizzonte. Erano stati in silenzio per tutto il viaggio ma lei si sentiva stanca. Era segretamente grata ad Erowyn per essersi posizionato dietro di lei, dandole così la possibilità di appoggiarsi con la schiena al suo petto. Fissò gli occhi d’acciaio sulla distesa d’acqua e si morse forte un labbro fino a sentire il sapore ferroso del sangue in bocca.


“…smettila, Turno” mormorò Cormia mentre, invano, cercava di rivestirsi al buio. Sentiva le mani dell’Assassino percorrerle il corpo, ancora audaci. Turno ridacchiava sommessamente mentre si metteva seduto sul letto e le lasciava una serie di baci lungo il collo “Mancano ancora più di due ore all’alba…vuoi già andartene?”

“Già? Ho passato tutta la notte qui, Turno”

Cormia a volte lo trovava esasperante ma gli voleva bene lo stesso. Si voltò verso di lui incrociando i suoi occhi azzurri. Era riuscita ad infilarsi soltanto la casacca a maniche larghe.
“Troppo poco tempo” disse Turno sfiorandole il naso con il proprio. Cormia si allungò appena e poggiò le labbra su quelle dell’altro in un bacio che voleva essere d’arrivederci. Tuttavia, Turno era di un altro avviso. Le mise un braccio dietro la schiena e la trasse con maggiore forza a sé facendola arrampicare di nuovo in mezzo al letto “Turno…” fece per protestare lei ma lui la zittì con un altro bacio.

“Trovi così terribile, passare altro tempo con me, Cormia?” disse Turno accarezzandole un fianco da sopra il tessuto della casacca. La ragazza fece scorrere le dita tra i capelli dell’Assassino, mezzo nudo e con la schiena appoggiata alla parete “Io passerei tutta la vita, qui con te” rispose la ragazza contro le sue labbra.

“In teoria, qui dovremo passeremo tutta la nostra vita…”

“Intendo dire che non mi stanco della tua compagnia, di te. Non fare il finto tonto umh?” gli lasciò un breve bacio sul mento.

“Non ti stanchi mai di me eh?” disse lui con un sorriso

“Mai” gli passò le mani sulle spalle, poi lungo le braccia fino a che non intrecciò le dita alle sue.

“Eppure vuoi andartene sempre troppo presto, rimani qui qualche volta. Addormentati con me” disse Turno stringendo la presa sulle sue dita.

“Lo sai che è pericoloso. Anche ora è pericoloso”

“Ma lo fai perché mi desideri…vieni qui perché mi vuoi” aggiunse lui in tono basso, malizioso. Cormia sorrise, le gambe strette intorno ai suoi fianchi “Non è solo per quello”sussurrò all’orecchio del ragazzo.

“E per cosa?”

Turno faceva un sacco di domande quella sera. Era sicura che volesse andare a parare da qualche parte.
“Lo sai cosa”

“Voglio sentirtelo dire” si era liberato nuovamente e le accarezzava le gambe nude guardandola negli occhi alla fioca luce della candela.
“Io ti amo, Cormia. Tu vieni qui perché mi ami o perché brami soltanto il mio corpo?”

Cormia lo fissò in silenzio. Le aveva detto che l’amava. Dopo quattro mesi di incontri fatti solo di baci, carezze, grovigli di gambe, sospiri, gemiti e qualche chiaccera le aveva detto l’amava.

“Ti amo, Turno”.

L’aveva detto, finalmente l’aveva detto anche lei. Turno sorrise e la trasse a sé con una mano affondata nei capelli biondi, la baciò sulle labbra, leggero “Rimani ancora un po’ per favore” disse con la voce nuovamente accesa dal desiderio.


 
Cormia si riscosse all’improvviso, si era lasciata trasportare dai ricordi ancora una volta. Sentì qualcosa di gelato scorrerle giù dalla guancia e si affrettò, con la mano, a far sparire la lacrima solitaria.
“Ti senti bene?” giunse la voce di Erowyn al suo orecchio.

“Ho solo un po’ freddo” rispose stringendosi nel mantello blu.

“Cerca di resistere, siamo quasi arrivati...un’oretta al massimo.

Era sempre così. Ogni volta che riportava alla mente i suoi momenti con Turno sentiva il gelo farsi dentro di sé. La verità era non avrebbe mai superato la sua morte. Si era talmente legata a lui, quasi senza rendersene conto, che metà di lei era morta con lui quel giorno nella Grande Terra. Distolse lo sguardo dall’acqua e lo puntò sulle scaglie del Drago cercando di concentrarsi su altro. Sentì il respiro caldo del soldato sul suo collo, avvertì le sue braccia intorno ai suoi fianchi e chiuse gli occhi immaginando di essere con un’altra persona, in un altro luogo e in un altro tempo.


 
Angolo Autrice
Mi rendo conto che sto trascurando troppo Cormia. E me ne pento amaramente u.u cercherò di non farlo più, promesso. Il fatto è che la morte di Turno mi ha profondamente turbato ahahaah. Infatti continuo a nominarlo e mi è venuto da mettere anche questo “ricordo” di Cormia. La prima volta che si sono detti di amarsi :3 Ora spero che la cosa non vi annoi. Bisogna capire che Cormia è ancora troppo profondamente legata a Turno. E’ quel tipo di legame che nemmeno la morte sembra poter spezzare. Ma non preoccupatevi Erowyn non è lì per starsene in disparte ahaha xD Ringrazio tutti voi che leggete, davvero!
Raya_Cap_Fee

 

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Capitolo 9
*** Home sweet home? ***


YOU LEFT ME IN THE DARK



 
CAPITOLO NOVE:  Home sweet home?


La Terra del Mare era meravigliosa.  Erowyn aveva portato Cormia nel suo villaggio, quasi a strapiombo sull’acqua. La casa del soldato, dove abitava ancora sua madre, era un po’ più in disparte e vicina a una scogliera.
“Puoi stare qui, se vuoi” sussurrò il ragazzo quando, subito dopo essere atterrati, misero i piedi a terra. Cormia si guardò intorno. Sì, poteva essere al sicuro lì. La Gilda ci avrebbe messo un po’ a trovarla.

“Credo proprio che lo farò” rispose quindi fissando gli occhi scuri di Erowyn. Il soldato ricambiava il suo sguardo “Però devi promettermi una cosa” disse lui. L’Assassina si irrigidì appena e serrò la presa sulla stoffa del mantello.

“Mentre sei qui, non far male a nessuno. Se qualcuno verrà qui per te, ce ne occuperemo insieme. Ma non voglio sangue come quello che hai versato ieri. Siamo intesi?”
Il tono usato non le era piaciuto affatto. Suonava molto come un ordine tuttavia, si ritrovò a fare un cenno d’assenso con il capo.

“Tu sei una profuga di guerra. Ti ho portato qui perché sei incinta e volevi sentirti al sicuro. Va bene? Mia madre non deve sapere che ho portato un’ Assassina a casa”

“Perché lo hai fatto allora?” domandò Cormia, le sopracciglia bionde appena inarcate in un espressione interrogativa.

“Te l’ho già detto, ora vieni”

Erowyn la guidò verso l’abitazione vicino alla scogliera. Una luce aranciata proveniva da una stanza. Cormia seguiva in silenzio il soldato appena incuriosita dal suo strano atteggiamento. Lei non avrebbe mai portato qualcuno a casa propria. Qualcuno che poteva ucciderti nel sonno senza che te ne accorgessi.

Una donna all’improvviso aprì la porta in legno e si fiondò fuori. Era piuttosto in carne, i capelli biondi come quelli del figlio, erano acconciati  in una treccia lunga fino alla vita “Erowyn!” esclamò la donna allargando le braccia verso il figlio.
 

 
Sei settimane dopo
 

Cormia sedeva sulla spiaggia. Era appena metà mattina e lei chiuse gli occhi per respirare l’odore di salsedine e di sabbia. Quello era l’unico momento della giornata in cui si sentiva davvero bene. Le notti continuavano ad essere tormentate dalla figura di Turno. Proprio in quel momento il bambino fece sentire la sua presenza con un piccolo calcetto. La ragazza aprì gli occhi e si fissò la pancia.

Dopo essere arrivata con Erowyn nella Terra del Mare, aveva scoperto che la madre del soldato si occupava di far nascere i bambini del villaggio e dintorni. Laike, così si chiamava, l’aveva visitata non appena arrivata e aveva dichiarato, come non lo sapeva, che il bambino stava bene.
Mancava appena qualche mese e Cormia cominciava a sentirsi sempre più inadatta al ruolo di madre. L’avrebbe partorito ma poi? Sarebbe stata in grado di crescerlo, di dargli amore?

“Cormia…”

La ragazza si voltò verso Erowyn che aveva sentito avvicinarsi e che si stava accomodando al suo fianco sulla sabbia bianca. La ragazza ne osservò il profilo. Doveva ammettere che non sapeva ancora che farne di lui. Si era dimostrato davvero gentile e si ritrovò a desiderare di non volerlo uccidere.

“Come va?” le chiese guardandola. Cormia annuì e tirò un sospiro tornando a guardare il l’acqua davanti a sé. Non era mai di molte parole, questo ormai Erowyn lo sapeva.

Il soldato fissò la ragazza “Dormi ancora male? Gli infusi di camomilla non fanno effetto?” domandò ancora. Non sapeva molto di Cormia, a parte quello che gli aveva rivelato nella Terra del Sole, non accennava volentieri a nient’altro.

“Non sono incubi dai quali si può sfuggire” rispose lei in poco più che un sussurro. Erowyn, di notte, la sentiva lamentarsi nella stanza di fianco e poi, alla fine, soffocare un grido contro il cuscino. Si era chiesto molte volte cosa la tormentasse. Era un’Assassina…erano i rimorsi? O qualcos’altro?Chi era Turno, il nome che continuava a pronunciare durante il sonno?
 
“Cosa sogni, Cormia?” 

La ragazza socchiuse gli occhi e alzò appena il capo verso il cielo azzurro. Faceva caldo e nonostante l’estate stesse quasi lasciando il posto all’autunno.

“Chi è Turno?” domandò ancora Erowyn. Cormia rabbrividì e senza rendersene conto si ritrovò a stringere con le dita la stoffa dei pantaloni che indossava. Desiderava liberarsi, rendere qualcuno partecipe delle sue paure.

“Turno è il padre del bambino” disse d’un fiato “E’ statto ucciso da una traditrice scappata dalla Casa insieme a un Postulante…un servo della Casa. Ho scoperto di essere incita dopo la sua morte e…in quel periodo cono cominciati i sogni” fece una paura guardando dritto davanti a sé “In realtà è sempre lo stesso sogno. Rivivo il momento in cui ho trovato il suo cadavere nella Grande Terra…lui d’un tratto di risveglia e mi dice che devo ucciderlo” la sua voce tremò appena ed Erowyn aggrottò la fronte “Chi devi uccidere?”

Cormia scosse la testa “Non lo so. Sono mesi che…non faccio altro che sognare questo”

Erowyn la guardò preoccupato. Nonostante fosse incinta le sembrava più deperita di quando l’aveva incontrata la prima volta. Era così pallida che poteva vederle alcune vene sulla fronte e un paio di ombre scure facevano capolino sotto gli occhi grigi-azzurri.

“Non ne hai proprio idea?” si avvicinò appena a lei, la spalla che sfiorava quella esile della ragazza.

“Io…non ci sono molte possibilità. All’inizio pensavo che si riferisse al bambino…”

Erowyn rabbrividì.

“…ma lui non l’avrebbe mai fatto. Mi amava e avrebbe amato anche lui” disse Cormia sfiorandosi la pancia. Era ancora evidente, dal modo in cui ne parlava, quanto amava Turno.

“Può riferirsi a Dubhe ma lui dice di ucciderlo

“Dubhe è la ragazza che…”

“Sì..” d’un tratto Cormia trattenne il respiro e si voltò a guardare il soldato. Erowyn ebbe un fremito nel ritrovarsela così vicino.

“E se si riferisse al Postulante?” mormorò lei scostandosi dal volto i capelli biondissimi e tenuti sciolti. Erowyn non rispose attendendo che dicesse altro “Il Postulante certo…forse ha avuto un ruolo nella sua morte e vuole che io lo uccida” continuò lei.

“Non sei obbligata, Cormia” disse il soldato e si ritrovò gli occhi della ragazza fissi nei suoi. Gli faceva uno strano effetto quello sguardo. Era quasi magnetico.

“Non sono obbligata dici?” ripetè lei quasi con disprezzo

“Volevo dire che forse…..forse potresti lasciarti alle spalle tutto questo e ricominciare una nuova vita”

Cormia sorrise, o meglio, fece qualcosa di molto simile a un ghigno “E tu credi che io possa ricominciare una nuova vita con Turno che mi dice di vendicarlo? Credi che gli farei questo? Che lo abbandonassi dopo tutto quello che ha fatto e ha rappresentato per me?”

Erowyn deglutì e distolse gli occhi castani da Cormia per guardare la sabbia “Credo che tuo figlio valga di più di una vendetta…”


 
Angolo Autrice
Salve carissime! :) Siamo arrivate al capitolo nove…yuppy! Spero che il ritmo della storia non stia annoiando…voglio dire…a me piace andare un po’ lentamente con i fatti non spiattellare tutto in solo capitolo. Spero che vi piaccia insomma :(
Un bacione <3  e a presto!
Raya_Cap_Fee

 

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Capitolo 10
*** Blood, Tears and Fear ***


YOU LEFT ME IN THE DARK



 
CAPITOLO DIECI: Blood, Tears and Fear.


Erowyn teneva gli occhi fissi sul soffitto della propria stanza. Si era svegliato di nuovo a causa di Cormia, nella stanza di fianco. Stavolta però gli pareva di sentirla anche singhiozzare.
Emise un sospiro e si girò su un fianco tentando di riprendere sonno senza riuscirci. Erano ormai tre mesi che aveva incontrato l’Assassina della Terra del Sole e si era reso conto che nel guardarla, qualcosa era cambiato. Provava il desiderio di  toglierle dal viso quell’espressione tormentata, di stringerla a sé.

All’ennesimo singhiozzo  si mise di nuovo supino e le dita si immersero nei capelli. Restò così per quello che gli parve un tempo infinito e poi decise di alzarsi. Sua madre dormiva profondamente nell’altra stanza e lui si avvicinò alla porta di Cormia.

Non era detto che lei reagisse bene e si tenne pronto per bloccarla se avesse tentato di aggredirlo scambiandolo per chissà chi. Aprì piano la porta ed entrò con metà del corpo per guardare dentro. La candela era ancora accesa sebbene illuminasse appena la stanza. Il letto era vuoto però, sfatto ma vuoto.

Erowyn però non faticò a incrociare la figura di Cormia e quando lo fece entrò velocemente richiudendosi la porta alle spalle “Cormia” sussurrò avvicinandosi.

Era rannicchiata nell’angolo, seduta a terra con le gambe distese davanti a sé, incapace ormai di rannicchiarle al petto come sicuramente avrebbe voluto.

“Cormia…” sussurrò ancora avvicinandosi. Lei sollevò gli occhi chiari e tirò su con il naso “Scusa…non volevo svegliarti…” si asciugò rabbiosamente una guancia. Erowyn si accovacciò al suo fianco e chinò appena il capo per guardarla in volto “Non dovresti stare seduta a terra”.

“Smettila” mormorò lei “Smettila di essere gentile con me, Erowyn”.

Il soldato si morse appena un labbro e inspirò profondamente “Altro incubo?” chiese quindi alla ragazza che annuì. Avrebbe tanto voluto stringerla sé, sentire tra le dita la consistenza di quei capelli tanto biondi da sembrare bianchi. Alzò una mano ma un’occhiata di lei lo fermò a mezz’aria “Ti aiuto ad alzarti, avanti” disse infine. Le prese entrambe le mani e la rimise in piedi.

“Grazie…” sussurrò lei fissandosi brevemente la pancia. Erowyn fece lo stesso, non gli importava se quel figlio apparteneva a un altro uomo, un uomo che lei amava ancora.

“Torna a dormire” disse Erowyn sollevando lo sguardo su di lei “A domani…” aggiunse facendo per andarsene. Si sentì per afferrare per la casacca, da dietro, le unghie di Cormia sembrarono trafiggergli la pelle e raggiungergli l’anima. Si voltò appena, speranzoso ma lei lo fissava seria “Non farlo, Erowyn” disse soltanto.

Il soldato schiuse appena le labbra e poi uscì dalla stanza trattenendo il fiato. Cormia non era stupida era ovvio che si fosse accorto del suo comportamento. Era appartenuta alla Gilda, coglieva sempre le sfumature di quanto la circondava.


 
Una settimana dopo quella notte Erowyn, per sfuggire da quegli occhi grigio-azzurri che scopriva a fissarlo di tanto in tanto decise di accompagnare la madre al mercato del villaggio. Camminava al fianco della madre che, con un cestino al braccio, scrutava la merce con occhio critico “Quanto resterai ancora, Erowyn?” chiese la donna lanciando un’occhiata al figlio. Il soldato si strinse appena nelle spalle “Al momento non hanno bisogno di me. Ma non credo che resterò qui ancora per molto…” disse. Aveva voglia di tornare a Makrat o negli accampamenti. Aveva voglia di andare ovunque lontano da Cormia.

“Che ne dici se vai a prendermi la stoffa da Yras mentre io faccio la scorta di spezie umh?” chiese la madre.

 
Erowyn fece quanto detto e una volta incontrata nuovamente la madre, appena un’ora più tardi, la vide turbata.

“Che succede, madre?”

“Tu sei sicuro che Cormia sia una profuga di guerra, Erowyn?”

Quella domanda riuscì a bloccargli il respiro in gola per un lungo momento “Ma certo…perché me lo chiedi?”

“Una ragazza mi ha chiesto di lei, poco fa”

Erowyn aggrottò la fronte “Una ragazza? Com’era?”

“Tutta vestita di nero…”

Bastò quello a metterlo in allarme. Lasciò la presa sulla stoffa che teneva in braccio e qulla cadde a terra “Erowyn, stai attento…Dove corri? Erowyn!”


 
Cormia sedeva su una delle sedie intorno al tavolo in cucina. La casa era silenziosa senza Ilona  e Erowyn. Con un sospiro lanciò un’occhiata fuori dalla finestra aperta dalla quale entraval’odore di salsedine. Socchiuse per un’attimo gli occhi e si abbandonò ai sensi.

Uno scricchiolìo dietro di sé la fece ridestare. Le palpebre si sollevarono di scatto e la mano corse al pugnale assicurato all’avambraccio. Balzò in piedi facendo cadere la sedia e si spostò di lato appena in tempo per evitare che un pugnale da lancio le si conficasse nella schiena.

“Non mi aspettavo di coglierti impreparata d'altronde…” disse una voce. Cormia soffermò lo sguardo sulla figura. La Gilda era giunta infine a cercarla.

“Eleint…quale onore..”.

Cormia ricordava quella ragazza. Era entrata un anno dopo di lei ed era decisamente una delle più folli. I folti capelli neri e ricci le incorniciavano il volto piccolo e appuntito sul quale spiccavano due occhi color zaffiro.

“E così…è questo il motivo. Dimmi, Cormia, da chi ti sei fatta ingravidare? Sua Eccellenza sarebbe lieto di ucciderlo insieme a te”

Cormia fece una smorfia “Non parlare. Se sei qui per uccidermi, fallo. O almeno muori nel tentativo”

Eleint emise una risata cristallina e la guardò con diprezzo “Morirai.  Prenderò il tuo sangue e anche il suo….” cennò al ventre rigonfio.

Cormia estrasse il pugnale di Turno dall’avambraccio e invitò Eleint a farsi avanti. Poteva essere meno agile ma non stupida.

“Cormia!”

La voce di Erowyn risuonò nei dintorni della casa. Cormia trattenne il fiato e Eleint sorrise “E’ lui?” domandò soltanto con un nuovo sorriso prima di scattare in avanti brandendo il pugnale.
Cormia evitò il primo affondo scartando di lato ma non fu abbastanza veloce da attaccare e Eleint rise.

“Cormia!” la voce era più vicina.

“Rimani fuori!” gridò lei in risposta “Stanne fuori!”

“Stai cercando di salvargli la vita, Cormia? Perché? Appena finito con te prenderò anche la sua”

Cormia digrignò i denti e scattò in avanti. Non riuscì di nuovo a colpire l’altra con il pugnale ma le afferrò un braccio torcendoglielo dietro la schiena. Erowyn si stagliò contro la porta d’ingresso spalancato, dal volto arrossato e il respiro accellerato dalla corsa. Portò una mano al fianco ma qualcosa baluginò nell’aria. Erowyn fece appena in tempo a scostarsi ed evitare che quel pugnale da lanciò risultasse mortale.

Cormia udì un grido soffocato quando il pugnale di Eleint si conficcò delle spalla del soldato. L’assassina provò a divincolarsi ma Cormia fu più veloce. Brandì il pugnale di Turno e tagliò la gola alla ragazza.

Il sangue le colò viscoso sulla mano e sul braccio ancora prima che con un strattone lasciasse andare Eleint agonizzate sul ligneo pavimento della cucina. Cormia fece appena una smorfia e la voltò con un piede in modo da guardarla negli occhi dilatati. La bloccò a terra con un piede sul petto mentre lei cercava inutilmente di tamporare il sangue che usciva dalla ferita “Salutami Thenaar…” disse sprezzante premendogli la gola con lo stivale. Eleint rantolò e alla fine smise di muoversi.

Cormia tornò a respirare normalmente ma quei movimenti le erano costati grandi energie. Un lamento la fece voltare e abbandonò la figura di Eleint per muoversi verso quella di Erowyn stesa sull’uscio “Erowyn…” mormorò avvicinandolo. Un pugnale da lancio gli trafiggeva la spalla destra e il sangue imbrattava la casacca blu che indossava.

“Erowyn!” gridò un’altra voce e Cormia sollevò lo sguardo verso Ilona che ansante correva verso di loro.

 
Angolo Autrice
Capitolo dieci! Evviva! Spero che questo Incontro/scontro vi sia piaciuto e non sia stato…emh…cruento? No, vero? .-.
Un bacione a tutti voi!
Raya_Cap_Fee

 

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Capitolo 11
*** Stay with me ***


YOU LEFT ME IN THE DARK




 
CAPITOLO UNDICI: Stay with me

Ilona si avvicinava sempre di più e Cormia chinò lo sguardo su Erowyn dolorante e sdraiato a terra. Come si sarebbe giustificata adesso?
“Non farla entrare” mormorò Erowyn cercando di rimettersi seduto mantenendosi il braccio “Non farle vedere….lei” continuò. Cormia fissò in silenzio il ragazzo poi annuì. Era sicura di essere sporca del sangue di Eleint. Si alzò in piedi e scavalcò Erowyn per andare incontro a Ilona, ansante “Cos’è successo, Cormia? Erowyn!”

“C’è stata una visita..sgradita. Erowyn vuole che non entri in casa” disse la ragazza guardando il volto paonazzo dell’altra donna. Gli occhi slavati di Ilona si allargarono appena, sorpresi “Devo aiutare mio figlio, se permetti” sibilò poi scansandola. Cormia non la fermò.

Non le importava d’altronde che vedesse il cadavere di Eleint.

Si voltò appena e vide Ilona chinarsi su Erowyn, seduto e con la schiena poggiata  allo stipite della porta spalancata. Si concesse un sospiro rassegnato e poi volse lo sguardo verso il mare di fronte a lei, socchiuse gli occhi.

La Gilda era riuscita  a rintracciarla prima del previsto ed Eleint non poteva non aver avvertito della sua posizione, doveva andarsene. Nelle sue condizioni, tuttavia, in una gravidanza avanzata aveva bisogno di aiuto per spostarsi. Cormia sentì l’urlo spaventato di Ilona. Si era trovata bene lì, ma non poteva restare.

“Cormia!”

La ragazza si volse nuovamente e vide Ilona ferma sull’uscio, sporca del sangue di suo figlio.

“Cormia, ho bisogno d’aiuto”. Il tono era diffidente. Probabilmente aveva capito che lei non era una profuga di guerra. Cormia fece un cenno del capo e  la seguì all’interno. Eleint era stata prontamente coperta dal mantello che Ilona aveva indossato per andare al mercato.


 
Seguì Ilona nella stanza di Erowyn e incrociò proprio lo sguardo del soldato “Stai bene, Cormia?” chiese. La ragazza trattenne appena il respiro. Nonostante fosse ferito di preoccupava per lei, nonostante avesse ammazzato una donna davanti ai suoi occhi lui di preoccupava.

“Sì” sussurrò.

“Dobbiamo togliere il coltello. Prepara dell’acqua calda e delle bende per fasciarlo…”

“Sarebbe meglio preparare anche un antidoto” disse Cormia “Potrebbe aver messo del veleno sulla lama”.

Ilona sgranò appena gli occhi “Chi è quella donna? E tu chi sei?” domandò poi quasi con un filo di voce.

“Madre, lasciala stare” intervenne Erowyn.

 
Insieme, le due donne,  si occuparono della ferita di Erowyn. Il momento più difficile fu l’estrazione del piccolo pugnale. La pelle intorno era arrossata, quasi violacea, nonostante fosse passato poco tempo “Vado a preparare l’impacco di erbe” disse Ilona, preoccupata. Cormia rimase così sola con il soldato. Prese una sedia, si accomodò al lato del letto e prese a ripulire la ferita dal sangue incrostato.

“Ti hanno trovata” disse Erowyn, gli occhi scuri fissi sul suo volto.

“La Gilda non molla mai” replicò lei con calma ripulendo il sangue dalla spalla. Avevano dovuto strappare la casacca per poter fare meglio il tutto perciò ora il soldato giaceva a dorso nudo, rivelando così, il fisico asciutto di chi, come lui si allenava giornalmente. Cormia non ne era imbarazzata essendo stata abituata alla nudità comune nelle terme della Casa, ma Erowyn sembrava invece a disagio.

“Che cosa vuol dire?”

“Vuol dire che non posso rimanere ancora qui” si spiegò lei con un mezzo sospiro immergendo la pezzuola nell’acqua calda.

“Non puoi andartene ora”

“Non lo farò infatti. Aspetterò di sapere che tu sia salvo. Dopotutto, mi hai offerto una possibilità di salvezza e sono in debito con te”

Erowyn la guardò per un lungo momento “Non m’importa” disse. Cormia sollevò lo sguardo, sorpresa da quella risposta secca.

“Non m’importa se la Gilda ti cerca. Tu resterai qui fin quando non nascerà il bambino. Vi proteggerò io” continuò il soldato. La ragazza deglutì e chinò il capo. Si era accorta degli sguardi accorati che lui le lanciava, della gentilezza con cui la trattava nonostante fosse a conoscenza del suo passato. Cormia sentiva di non meritare tutto quello. Aveva pensato bene di servirsi di lui per poi ucciderlo, non era degna di Erowyn.

“E come? Non ti sei avvicinato nemmeno e lei è riuscita a ferirti. Se non ti fossi scansato in tempo ti avrebbe ucciso senz’altro” rispose lei, tentando di essere tagliente.

“Tu rimarrai qui, Cormia, o io ti seguirò ovunque tu vada”.

Cormia fece per replicare ma fu interrotta dall’entrata brusca di Ilona nella stanza.


 
 
Verso sera Cormia e Ilona riuscirono a trascinare fuori Eleint e a gettarla giù dalla scogliera. L’acqua avrebbe inghiottito il suo corpo  e se mai l’avesse restituito nessuno avrebbe potuto dire da chi fosse stata uccisa.
 Cormia si occupò poi di ripulire il sangue nella cucina mentre Ilona preparava la cena. Nessuna delle due si era rivolta la parola ma lei sapeva che la madre di Erowyn premeva di sapere la verità sul suo conto.

“Porto la cena a Erowyn. Tu puoi mangiare qui” disse Ilona in tono freddo. Cormia annuì e, stanca e con la schiena dolorante, mangiò in silenzio e in solitudine la zuppa di farro. Dalla camera del ragazzo proveniva un basso mormorio ed era sicura che il soldato stesse spiegando alla madre la sua situazione. Non poteva tacere ormai.
 
Quando Ilona uscì dalla camera del figlio le rivolse uno sguardo tagliente “Io vado a dormire, stai tu con lui”. Cormia sbattè le palpebre, meravigliata, e la osservò chiudersi alle spalle la porta della propria camera. Si alzò e entrò in camera di Erowyn. Aveva le guancie appena arrossate e lo sguardo rivolto a terra. Era seduto sul letto con la schiena appoggiata alla parte.

“Cosa le è preso?” domandò con un filo di voce la ragazza andando a sedersi sulla sedia.

“Le ho detto…ho dovuto dirle chi sei e non ne è stata contenta. Si sente tradita”

“Tanto tradita da non voler vegliare su di te lasciandoti nelle mani di un'assassina?”

Erowyn aveva lo sguardo lucido per la stanchezza e un accenno di febbre “Mia madre non accetta le bugie”. Cormia sospirò.

“Tu dovresti riposarti invece”

Cormia accennò un sorriso “Tu sei ferito eppure continui a preoccuparti. Sdraiti e dormi. Smettila di pensare a me come un’invalida” cercò di essere affabile. Erowyn obbedì e una volta sdraiato lei gli sfiorò la fronte con le dita. Scottava appena.
Evidentemente la lama era stata lievemente avvelenata. Non voleva che quel ragazzo morisse. Prese dell’acqua fredda e gli bagnò la fronte con una pezzuola pulita “Cormia?”

“Umh?”

“Rimani con me”.

 
Cormia rimase seduta sulla sedia fin quando Erowyn non si addormentò. Passò il tempo a intingere la pezzuola nell’acqua fredda e a bagnare la fronte, il collo e il volto del ragazzo. La febbre non era eccessiva per cui non c’era preoccuparsi sul serio ma la remota possibilità che Erowyn potesse comunque morire per colpa sua la turbò.
 
Verso l’alba il sonno del soldato sembrò farsi più tranquillo e lei si rilassò. Poggiò le braccia incrociate sul letto e vi poggiò il capo nel tentativo  di riposarsi un po’.


 
Angolo Autrice
Capitolo undici! Oh yeah. Non è che succeda granchè e prometto che presto ci sarà più azione! U.u sopportate un altro po’ ahahaah. Un bacione a voi che leggete e recensite! <3
Raya_Cap_Fee

 

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Capitolo 12
*** Welcome ***


YOU LEFT ME IN THE DARK


 
 
CAPITOLO DODICI: Welcome

Erowyn  si riprese piuttosto in fretta. Dopotutto, era un soldato e come tale era stato in convalescenza anche altre volte. Ilona si era addolcita nuovamente nei confronti di suo figlio ma non poteva fare a meno di essere più diffidente nei confronti di Cormia. Aveva scoperto chi era in realtà ed era logico che le cose fossero cambiate.

Cormia emise un sospiro e si guardò intorno. Era seduta all’esterno della casa e guardava in direzione della distesa d’acqua ispirando l’odore di salsedine che saliva dalla scogliera. Vide Erowyn risalire il sentiero e soffermò lo sguardo sul soldato. Nelle settimane passate dopo la visita di Eleint , Erowyn aveva davvero fatto di tutto per farla sentire a sicuro. Non che Cormia fosse spaventata ma era in un certo senso grata al soldato, sempre pronta a offrirle una mano.

Aveva il sospetto, o meglio, quasi la certezza che lui provasse qualcosa nei suoi confronti.

“Sono decisamente un pescatore provetto” esordì il ragazzo mostrando il cestino che portava in una mano e sul fondo del quale erano posizionati l’uno sull’altro dei pesci che Cormia non conosceva. Accennò un sorriso e alzò gli occhi grigi verso il volto del giovane “Potresti pur sempre cambiare mestiere allora…” disse tranquilla non riuscendo a trattenere un mezzo sorriso. Erowyn era così, capace di trasmetterle un senso di tranquillità almeno fin quando non arrivava la sera e il sonno.

Erowyn sorrise “Vieni, tra poco sarà buio” le porse una mano. Lei lanciò un’ultima occhiata al mare e poi accettò l’invito facendo scivolare la propria mano in quell’altro.


 
Ilona cucinò i pesci che Erowyn aveva pescato arricchendoli con delle erbe e per una sera la tensione in casa sembrò allentarsi. Erowyn parlava animatamente con la madre e Cormia ascoltava in silenzio azzardando un sorriso di tanto. Verso la fine della cena però cominciò ad avvertire qualche dolore al ventre. Il bambino si muoveva spesso ormai ma mancava ancora qualche settimana al parto.
Strizzò gli occhi e schiuse le labbra in una muta smorfia di dolore che non passò inosservata.

“Cormia?”

“Sto bene” mormorò alzando appena una mano. Scostò la sedia dal tavolo e si rimise in piedi. Incrociò lo sguardo di Ilona prima che una nuova fitta riuscisse a farla piegare su se stessa. Avvertì immediatamente le braccia di Erowyn circondarla ma nello stesso momento sentì i calzoni bagnarsi “Madre…”disse Erowyn .

Ilona si alzò in fretta dal tavolo “E’ in anticipo”

“Cosa?” chiede Cormia con una nota di spavento nel tono. Le si erano appena rotte le acque. Strinse gli avambracci di Erowyn.

“Portala in camera a farla sdraiare e poi aspetta fuori. Non sono cose che ti riguardano queste” disse Ilona inarcando le sopracciglia. L’Assassina seguì Erowyn nella propria camera e si adagiò sul letto.

Stava davvero per nascere il bambino?

Strinse gli occhi quando una nuova contrazione la scosse. Quando fu passata trovò Erowyn a stringerle le mani, o forse era stata lei a prendergliele. Il ragazzo accennò un sorriso “Andrà tutto bene” mormorò “Andrà tutto bene, Cormia” ripetè. La ragazza annuì lentamente e il soldato si chinò e lasciarle un bacio sulla tempia.
Ilona entrò nella stanza “Vai, Erowyn” disse la donna.


 
Erowyn uddibì e tornò nella cucina ormai vuota. Aveva sfiorato con le labbra la pelle di Cormia, non era sicuro che fosse stata la mossa giusta ma era stato istintivo rassicurarla.
Era ormai notte fonda e Ilona non era uscita dalla stanza di Cormia nemmeno per un attimo. Tutto ciò che ero Erowyn sentiva erano i lamenti di Cormia e un vociare sommesso. Duravano davvero così tanto i parti?

Si agitò sulla sedia e fissò per attimo il fuoco acceso. Un improvviso urlo lo fece sobbalzare e si alzò in piedi. Ilona sbucò con la testa fuori dalla porta “Erowyn vai a chiamare Yras, la venditrice di stoffe. Dille di venire”. Era agitata.

“Che succede?” chiese aggrottando la fronte. Ilona si morse un labbro “E’ più difficile del previsto….va, presto”.


Non fu facile raggiungere il villaggio nel cuore della notte e tantomeno fu facile riconoscere la capanna di Yras. La donna, dai capelli grigi e gli occhi azzurri tendenti al verde, aprì assonnata l’ingresso, uno scialle a coprirle le spalle ossute.
“Yras, abbiamo bisogno di aiuto. La ragazza che ospitiamo sta per avere il bambino. E’ anticipo e la mamma sembra preoccupata. Vieni…” disse in fretta il soldato. La donna lo squadrò per un attimo “Da quanto?” chiese.

“Da quanto cosa?”

“Da quanto è in travaglio?” ripetè Yras chiudendosi la porta alle spalle. Sembrava volesse arrivare fino alla scogliera nella veste da notte.
Erowyn schiuse le labbra “All’incirca quattro ore…credo”.

Yras annuì “Fa strada, non ci vedo molto bene” disse prendendogli un  braccio.


 
 
Una volta raggiunta la casa, Yras scomparì oltre la soglia della camera dalla quale provenivano ancora i versi di Cormia. Alla fine Erowyn non resistette. Uscì all’esterno avvicinandosi alla scogliera e si sedette lì, sull’erba, a gambe incrociate. Da quel punto le grida successive di Cormia giunsero più ovattate. Lui era un uomo e di quelle cose non ne capiva ma più passava il tempo e più si faceva inquieto per la sorte della ragazza.
 
Quando i primi raggi di sole spuntarono a est finalmente, al grido di Cormia se ne udì un altro. Sembrò sovrastare qualsiasi cosa. Era un pianto rabbioso e forte. Il pianto tipico di chi è stato strappato al rifugio sicuro del ventre. Finalmente era nato. Erowyn si rimise in piedi e guardò verso la casa prima di avviarsi in quella direzione.

Mise la testa dentro proprio nel momento in cui Ilona usciva dalla stanza con in un braccio un fagotto “Come stanno?” chiese ansioso. Ilona sollevò lo sguardo e accennò un sorriso “Bello grosso anche per essere prematuro direi” rispose in tono gentile. Era sempre così, i bambini riuscivano sempre a farla ammorbidire.

Erowyn si avvicinò “E’ un maschio quindi” lanciò un occhiata al bambino. La pelle era ancora rossastra e in testa aveva solo una zazzera di capelli biondi, gli occhi, socchiusi erano chiari sebbene non si potesse ancora vederli bene.

Il soldato stirò appena le labbra in un sorriso “Lei come sta?”

“Si è addormentata. E’ stato difficile…per un attimo ho pensato che sarebbero morti entrambi”.

Yras uscì dalla camera “Andiamo, Ilona” disse l’anziana sistemando un lembo del tessuto nel quale era avvolto il bambino. Erowyn inarcò un sopracciglio “Andare dove?”

“Il bambino deve mangiare, Erowyn. E Cormia non ne è in grado al momento. Al villaggio c’è una ragazza che ha partorito da poco” rispose la madre. Erowyn annuì poco convinto e lanciò una nuova occhiata al nascituro. Aveva un espressione arcigna e il soldato sorrise nuovamente “Va bene” disse.

 
Quando, pochi minuti più tardi, entrò nella camera di Cormia emise un sospiro di sollievo nel vederla riposare. Tutto era stato sistemato dalle due donne e non c’era traccia di quello che era accaduto. Si sedette al fianco della ragazza e ne osservò il profilo. Era come al solito pallida e leggere ombre scure le contornavano gli occhi.

Rimase a guardarla per un po’ senza osare sfiorarla e quando la vide strizzare le palpebre fu tentato di andarsene ma, alla fine, rimase. Gli occhi si riaprirono piano e lo misero a fuoco con insolita vividezza “Come sta?” sussurrò Cormia voltando il capo  nella sua direzione. Erowyn si sporse verso di lei “Sta bene.”

“E’ un maschio o una femmina?”

Doveva davvero essere crollata nell’immediato. La aiutò a mettersi semiseduta appoggiata alla parete.

“E’ un maschio bello grosso”

Cormia socchiuse per un attimo gli occhi e deglutì “Non lo sento, dov’è?” aggiunse preoccupata.

“Al villaggio. Yras e la mamma l’hanno portato lì per farlo mangiare” rispose ancora con calma. Quelle domande erano naturali.
La ragazza fissò gli occhi al soffitto e fu scossa da un singhiozzo.

“Cormia…” mormorò lui mentre lei immergeva una mano nei capelli biondissimi. Erowyn sospirò e si sporse ad a stringerla se. Lei non protestò e nascose la testa contro la sua spalla, il volto rigato da nuove lacrime. Lui la strinse a se ispirando l’odore della sua pelle “E’ qui  con te, Cormia. Lui è qui con te” le sussurrò all’orecchio.


 
 
Angolo Autrice

Mi faccio perdonare con un nuovo capitolo :) ed ecco a voi….devo ancora decidere che nome dare al nuovo nato! Comunque, diciamo che con questa si è chiusa la prima parte della storia. D’ora in poi di ritornerà a vivere nel mondo Emerso. Per entrambi. Spero vi sia piaciuto e..niente <3
Un bacione,

Raya_Cap_Fee

 

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Capitolo 13
*** Take a breath ***


YOU LEFT ME IN THE DARK


 
CAPITOLO TREDICI: Take a breath

Cormia schivò il calcio con un balzo all’indietro e dalle sue labbra sfuggì una risata divertita. Era felice di riuscire a muoversi nuovamente come le pareva.

“Andiamo, Erowyn…” provocò il soldato, a pochi passi da lei, sulla spiaggia deserta.

“La fai facile tu. Io non sono stato addestrato mica in quel covo di pazzi” rispose l’altro, irritato per il fatto di non riuscire nemmeno a sfiorarla.
Era trascorso quasi un mese dalla nascita di Ghilly e la ragazza aveva insistito nel riprendere l’attività fisica abbandonata negli ultimi mesi. Non che il riposo avesse in qualche modo compromesso le sue doti.

Cormia sorrise di nuovo e invitò Erowyn a farsi di nuovo avanti. Aveva deciso di partire, ma al soldato non l’aveva ancora detto.

Il soldato scattò in avanti per atterrarla e Cormia fece per scostarsi poi, si accorse della finta. Alzò le braccia sopra la testa, per ripararsi dalla pioggia di sabbia gettata da Erowyn, ma non riuscì a evitare che le finisse negli occhi “Questo non val…” fece per dire ma si interruppe, sentendosi scaraventare a terra. Fortuna che la sabbia era piuttosto morbida.

Socchiuse gli occhi ma la sabbia negli occhi bruciava. Avvertiva il peso di Erowyn sopra di sé e le mani erano bloccate sopra la testa.
“Questo è un colpo basso, Erowyn” mormorò “Da te non me lo  sarei aspettato” continuò Cormia strizzando gli occhi per tornare a vedere. Il volto del soldato era a poca distanza nel suo, un sorriso soddisfatto.

“Non è un reato giocare sporco, sai? Dovresti saperlo” rispose lui, guardandola.

La ragazza accennò un sorriso e per un momento lasciò che lo sguardo scrutasse nei dettagli il volto di Erowyn. Lui sembrò a disagio nell’improvviso silenzio e la presa sulle sue mani si allentò.

“Oh, credimi. Lo so” sussurrò lei. Fece sgusciare via le mani dalla presa di Erowyn e con un colpo di reni riuscì a ribaltare la situazione. Con i palmi delle mani teneva il soldato premuto contro la sabbia, calda a causa del sole.

Cormia sorrise di nuovo e si chinò appena sul soldato “Visto?” inarcò un sottile sopracciglio. Erowyn schiuse le labbra e accennò un leggero sorriso.

“Vedo” rispose. Gli occhi scuri di Erowyn cercarono i suoi e Cormia sentì, inspiegabilmente, il cuore batterle più forte. D’un tratto si rese conto del modo in cui si era accovacciata su Erowyn e il primo istinto fu quello di arrossire.

Si mosse, per alzarsi, quando avvertì qualcosa contro il fianco. Chinò lo sguardo e si ritrovò a trattenere il fiato. Erowyn le premeva sul fianco il coltello che lei teneva solitamente all’interno dello stivale.
Si voltò nuovamente a guardare Erowyn, sorpresa, e lo trovò a sorridere.

“Oggi giochi proprio sporco, eh?” gli chiese e lui ridacchiò sommessamente abbassando l’arma. Cormia si rimise in piedi e si scrollò dagli abiti la sabbia. Quella roba era incredibilmente fastidiosa.
Alzò gli occhi grigi su Erowyn quando quello le porse il pugnale dalla parte del manico.

“Per oggi ho vinto” disse divertito. Cormia chinò appena lo sguardo e prese l’arma, riponendola al proprio posto.
“Per oggi hai giocato sporco più di me. Domani non sarà così facile sorprendermi, sappilo”. Fece per avviarsi su per il sentiero, per raggiungere la casa del soldato quando, la voce di quest’ultimo la bloccò.

“Cormia?”

“Sì?”
Vide il soldato indugiare con lo sguardo sul suo volto poi scosse la testa “Niente. Torniamo a casa” aggiunse sbrigativo.
 


Quando entrarono nell’abitazione, Ilona li accolse con un’occhiata severa “E’ quasi il tramonto” disse.
Cormia guardò la donna e poi chinò lo sguardo sul fagotto che teneva tra le braccia. Si avvicinò a Ilona e guardò Ghilly. Era sveglio e gli occhi azzurri si fissarono immediatamente nei suoi “Scusa il ritardo, Ilona” disse con calma. La donna le lasciò prendere in braccio suo figlio “Va bene, va bene…ma fate più presto con questi allenamenti” borbottò Ilona afferrando un tascapane sul tavolo.

“Dove vai?” chiese Erowyn in direzione della madre.

“Stanotte avrò da fare al villaggio. C’è una ragazza da assistere. Credi di farcela da sola, Cormia?”

La ragazza sollevò lo sguardo da Ghilly. Sarebbe stata la prima volta da sola con il bambino “Io…” sentii crescere l’ansia “…credo di sì. Quanto starai via?”

“Tutta la notte” rispose Ilona avvicinandosi di nuovo a Ghilly, allungò un dito e gli sfiorò la fronte “Se c’è qualche problema manda Erowyn a chiamarmi” mormorò, guardandola.

Cormia sapeva benissimo che la teneva ancora dentro casa solo ed esclusivamente perché adorava Ghilly. Annuì e dopo aver salutato Erowyn, Ilona uscì.

“Mi occupo io della cena, tu siediti pure” disse Erowyn. Cormia andò a sedersi sulla sedia davanti al fuoco e cominciò a cullare Ghilly così come le aveva insegnato Ilona.

Il bambino mosse una mano paffuta nella sua direzione e Cormia sentì il cuore pieno di un sentimento nuovo. In realtà lo sentiva da quando era nato e l’aveva poi visto, il giorno successivo. La pelle rosea, le labbra quasi sempre atteggiate in una smorfia imbronciata, i capelli biondi e gli occhi…gli occhi di Turno.

Si era sentita felice dopo mesi di tristezza e difficoltà, nello stringere al seno Ghilly. Ogni volta si sentiva sempre meglio. Ghilly era il suo toccasana, il lasciapassare per una vita nuova.
Abbassò la testa in modo che il bambino potesse toccarla e, quando le dita piccolissime le strinsero la punta del naso, ridacchiò “Il mio piccolo grande uomo” sussurrò piano chinandosi di più per poter ispirare il profumo di Ghilly; un misto di calore, latte  e sonno. Non sapeva come altro definirlo.

 
Erowyn osservò Cormia seduta davanti al camino con il piccolo Ghilly in braccio ed emise un flebile sorriso. Si era conto ormai che per Cormia provava qualcosa. Qualcosa che aveva tentato di reprimere ma che con la nascita del bambino sembrava quasi essersi rafforzato. Vederla così tranquilla, così rapita da Ghilly, lo rendeva felice oltre ogni previsione.

Socchiuse gli occhi e continuò a tritare le erbe con cui riempire il pesce di quella mattina cercando di non pensare al modo in cui, in spiaggia, Cormia gli era stata a un nulla dal volto.

Più spesso si era ritrovato ad essere invidioso di Turno che l’aveva amata, sfiorata, che aveva avuto su di sé quelle mani e quelle labbra.

“Hai bisogno di una mano?”

La voce così vicina lo fece sobbalzare e per poco il coltello non gli scivolò dalle mani. Incrociò lo sguardo tranquillo di Cormia e sospirò per riprendere il controllo “No…non preoccuparti” rispose alzando lo sguardo. Ghilly era adagiato nella culla.

“Si è addormentato” sussurrò la ragazza poggiandosi con le mani al tavolo “Potrei stare a guardarlo per ore, quando dorme” aggiunse. Erowyn si volse a guardarla“E’ così tranquillo. Vorrei dormire anch’io come lui” continuò Cormia voltandosi appena nella sua direzione “Devo andare via, Erowyn”.

Il soldato smise di tagliare. Sapeva che presto avrebbe udito quelle parole “No”

“E invece sì. Non è sicuro rimanere qui per altro tempo”

Erowyn arricciò le labbra e si voltò con il corpo verso Cormia “Verrete con me a Makrat. Troverem…troverai un posto dove vivere tranquilla con Ghilly”. Cormia stirò le labbra in un sorriso triste “La Gilda non si fermerà. Mi troverà ovunque. Dovrò spostarmi spesso e capire…”

“Portandoti dietro un bambino? Ti rendi conto, Cormia?” disse, appena alterato.

Lei lo fissò dura, piegando le labbra in una linea dritta “Me ne rendo conto, Erowyn. Non c’è altra scelta”. Il soldato contrasse la mascella ed espirò forte dalle narici.

“Io ti sono davvero grata per quello che hai fatto per me ma…”

Lui la interruppe alzando appena una mano “Non provare a scaricarmi così, Cormia. Tante grazie e addio non mi bastano”.

Incrociò gli occhi grigi della ragazza, sembravano essere più scuri “Erowyn…”

Il ragazzo deglutì e si ritrovò costretto a respingere il magone che aveva in gola. Si sentì, patetico.

Sentì un lieve sospiro e una mano di Cormia gli strinse delicatamente un avambraccio “Tre giorni” gli disse “Devi vedermi soltanto per tre giorni. Poi ti dimenticherai di me”.

Erowyn scosse la testa “Non posso”

“Sì che puoi”

“No che non posso, Cormia” ribattè tra i denti “Verrò con voi”.

“Non puoi. Hai i tuoi doveri da assolvere. Lo so che ti hanno richiamato a Makrat tra due settimane”.

“Non ti sfugge mai nulla eh?”

Cormia non rispose al riguardo “Non ho fame, credo che andrò a dormire” disse semplicemente. Fece per allontanarsi, lasciando la presa sul suo avambraccio ma lui la trattenne, tirandola a sé con l’altra mano. Non pensò nemmeno a quello che stava osando fare, sapeva solo di non riuscire più trattenersi.

Poggiò quasi rabbiosamente la labbra su quelle di Cormia e serrò la presa intorno alla sua vita per impedirle di sgusciare via. Avvertì chiaramente il respiro di Cormia mozzarsi per la sorpresa.

Erowyn tenne gli occhi aperti e così come lei. Allontanò appena le labbra dalla bocca di Cormia “Non ho intenzione di scusarmi per questo” mormorò con voce roca. La ragazza lo fissò, gli occhi sgranati, ma lui non le diede il tempo di fare o dire nulla che tornò a baciarla.


 
Angolo Autrice
*ghigna malefica per il punto in cui ha interrotto il capitolo* muahahahah xD Lo so, lo so. Odiatemi pure. Nel prossimo capitolo succederanno molte cose ed entreremo nel vivo (almeno spero). Un bacione a voi che continuate a seguire e recensire questa storia.
E, per il nome del bambino, non avete di idea di quante volte l’abbia cambiato…alla fine l’ho chiamato così. Spero vi piaccia.
Alla prossima!
Raya_Cap_Fee

 

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Capitolo 14
*** I need you love ***


YOU LEFT ME IN THE DARK


 

CAPITOLO QUATTORDICI: I NEED YOUR LOVE

Cormia non riusciva a capire cosa stesse succendendo. Le labbra di Erowyn premevano sulle sue e lei non lo aveva ancora allontanato. Lui aveva chiuso gli occhi mentre lei teneva i suoi ancora aperti non riuscendo a fare niente se non fissarlo. Una mossa e poteva liberarsi. Due mosse e poteva ucciderlo per aver osato tanto nei suoi confronti.

Erowyn si scostò appena dal suo volto ma era ancora talmente vicino che avvertiva il suo respiro sulle labbra umide.

“Cormia…” fu poco più di un sussurro ma lei lo udì comunque. Il soldato la teneva ancora stretta per la vita e solo allora lei percepì la sensazione piacevole che le provocava quel contatto.

Un groppo le si formò in gola e chinò appena la testa mentre avvertiva su di sé lo sguardo di Erowyn. Non rispose, incapace di muoversi e di parlare. Era confusa e colui che le era di fronte si sovrapponeva ad un altro ragazzo. Non era giusto.
Erowyn fece per scostarsi e lei lo lasciò fare.

“Io non dovevo.Scusami” disse il ragazzo. Il suo tono sapeva di delusione, lei lo avvertì chiaramente. Sollevò gli occhi chiari e lo trovò a fissarla.

“No…non dovevi” rispose lei in tono sommesso. Prese in braccio Ghilly che dormiva e lanciò uno sguardo a Erowyn fermo oltre tavolo “Buonanotte, Erowyn”. Sparì dietro la porta della sua camera e si appoggiò contro il legno stringendosi al petto il bambino e sospirò. Dalla cucina non udiva alcun rumore e si chiese se Erowyn fosse ancora lì, fermo al tavolo, con l’espressione delusa e affranta.

Depose Ghilly nella sua culla e si mise a sedere a gambe incrociate sul letto. Era bastato un gesto come quello di Erowyn per far ritornare il fantasma di Turno. Più forte di prima. Si umettò le labbra e avvertì il sapore sconosciuto delle labbra di Erowyn.

Quel ragazzo era così diverso da Turno che lei si chiese come potesse desiderare un altro bacio. Guardò per un attimo la porta e inspirò profondamente.


 
 
Erowyn fissò per un lungo momento la porta dietro alla quale era sparita Cormia. Continuava a darsi dello stupido. Ora l’avrebbe persa del tutto, lo sapeva. Magari proprio in quel momento la ragazza stava pensando di sgaiattolare via nella notte per scomparire con Ghilly. Si passò una mano tra i capelli corti e decise che non aveva affatto voglia di cenare. Si accomodò sulla sedia vicino al camino e si posizionò in modo da tenere d’occhio la camera di Cormia.

Non le avrebbe permesso di scomparire.

Aveva baciato altre ragazze nella sua vita eppure nessuna, fino a quando non aveva incontrato Cormia, era stata in grado di fargli provare un simile trasporto. Erowyn sapeva che lei non era affatto una ragazza normale. Cormia era un’Assassina, era fredda, era oscura ed era…rotta.

Quella ragazza era rotta dentro e lui l’avrebbe riparata.


 
Cormia socchiuse gli occhi, sicura di avvertire l’erba a contatto con la pelle e il cuore di Turno batterle all’orecchio. Era l’incubo che la perseguitava da mesi. Mai niente che mutava, mai che il dolore fosse più sordo.

Inspirò profondamente e avvertì qualcosa di strano. Qualcosa era cambiato.

Aprì di scatto gli occhi e nello stesso momento avvertì il rumore delle piccole onde che giungevano a riva. Placide e tranquille al suo contrario. Era seduta e gambe incrociate sulla spiaggia illuminata dalla luna piena. Avvertì una fitta all’altezza del petto quando si accorse di essere sola.
“Turno?” chiamò inquieta. Il dolore per il rivivere la sua morte ogni notte venne sostituito dall’angoscia del non poterlo più vedere.

“Turno!” gridò alzandosi in piedi. La sabbia sotto i piedi nudi era fresca e morbida e lei chinò lo sguardo sul suo corpo. Indossava gli abiti della Gilda. Quelli che aveva bruciato nel focolare di sua madre.

No, non era un sogno. Era sicura che si trattasse di un altro incubo. Gli occhi le bruciarono e le unghie si conficcarono nei palmi delle mani fino a ferirli. Un singhiozzo le sfuggì dalle labbra.
Se non c’era Turno voleva svegliarsi. Se non c’era Turno non voleva più dormire.

Avvertì un fruscio dietro di lei e fece per voltarsi ma due braccia la bloccarono da dietro. Un petto aderì contro la sua schiena e lei sentì il cuore batterle forte.

“Cormia…”

Un paio di labbra di appoggiarono dietro il suo orecchio e lei pianse. Pianse e rise perché lì c’era Turno. Provò di nuovo a voltarsi e stavolta lui lasciò fare. Gli buttò le braccia al collo e lui la strinse a sé per i fianchi.
“Credevo che non ti avrei più rivisto” sussurrò lei contro il suo collo “Perché il sogno è cambiato? Dove siamo?” continuò.

Turno la scostò appena e lei potè vederlo di nuovo in viso. Non c’era sangue, non c’erano smorfie. Gli occhi azzurri rilucevano alla luce della luna e lei sorrise.
“In nessun posto in particolare. Non esiste”

Era diverso. Non sembrava affatto un sogno.

“Questo è un sogno, Turno?” domandò quindi allungando una mano per sfiorargli una guancia. Lui si appoggiò al suo palmo e sorrise stringendole appena il polso.

“Non più di tanto” disse quasi divertito. Le asciugò le lacrime dal volto e poi si fece serio “Come stai?”

Lei abbassò appena lo sguardo e notò che anche lui indossava gli abiti della Gilda “Mi manchi. Mi manchi terribilmente e vorrei che tu non mi avessi lasciato. Vorrei che tu fossi ancora vivo e che potessi vedere…Ghilly. Tuo figlio”

Turno le sfiorò con le dita il mento e lei tornò a guardarlo “Lo so. Vorrei poter essere lì con voi ma non posso. Non più, Cormia”

Lei si morse le labbra e lui continuò “Vorrei poter essere lì e amarvi ogni singolo momento della giornata ma io posso amarvi da altrove”
Cormia lo guardò negli occhi e si ricordò delle volte in cui aveva riso della smielatezza di Turno “Tu mi ami?” chiese con un mezzo sorriso. Il ragazzo sorrise divertito “Ti amo, sì, e amo anche nostro figlio”

“Ti somiglia tanto”

“E tu lo crescerai bene. Lo so che hai paura di essere inadeguata ma non è così. Tu hai sempre troppa paura, Cormia”

“Mi sento come se fossi una ragazzina…la ragazzina che si attaccava alla gonna della madre e che aveva paura di mettere il naso fuori da casa. Ora non posso attaccarmi a te e ho paura di mettere il naso fuori e affrontare il Mondo Emerso come dovrei” disse lei. Erano tutte cose di cui sentiva il bisogno di liberarsi e Turno era l’unico con cui si sentisse di dirle.

“Hai qualcuno che è disposto ad aiutarti. Accetta” replicò lui. Lei si sentì arrossire mentre il pensiero volava al bacio di Erowyn.

“Lui…”

“Impara a fidarti delle persone, Cormia. Affronta il mondo con qualcuno, se non ti senti di affrontarlo da sola. Potrà solo farti sentire meglio”
La ragazza guardò Turno. La luce della luna lo rendeva ancora più bello di quanto non ricordasse “Credo che lui sia innamorato di me” mormorò e lui sorrise, inaspettatamente “Allora lasciati amare”

Cormia aggrottò la fronte “Io amo te”

“Per ora”

“Per sempre” replicò lei in tono deciso. Turno sorrise e si chinò verso di lei. Quando le labbra sfiorarono le sue lei si sentì a casa. Affondò una mano nei capelli di Turno e schiuse le labbra.

“Vivi, Cormia. Lasciati amare e vivi. Io ti aspetterò” sussurrò Turno contro le sue labbra prima di baciarla di nuovo.

Lei tenne la mano tra i suoi capelli anche quando, poco dopo, staccò il viso dal suo “Mi stai dicendo addio?” domandò, spaventata. L’assassino sorrise “E’ solo un arrivederci Cormia. Io sarò sempre con te e Ghilly ma tu devi promettermi che vivrai. Devi promettermi che vivrai una vita vera”.

Cormia non rispose e lui appoggiò la fronte alla sua “Promettimelo” ripetè. Lei sentiva improvvisamente un groppo in gola perciò l’unica cosa che le riuscì fu quella di annuire. Turno le baciò una tempia “C’è una cosa che non sono mai riuscito a dirti, prima di adesso”

Lei lo guardo incuriosita, stringendogli una mano “Cosa?”

“Aiutali a distruggere la Gilda, Cormia. Aiutali a ditruggere Yeshol”

Lei schiuse le labbra “Mi chiedevi di uccidere…” sussurrò e lui annuì.

“Aiutare chi?”

“Questo lo capirai a tempo debito ma te lo chiedo come un favore, Cormia. Non è un ordine. Non più. Allora ero infuriato e poi non sono riuscito più a entrare in quel sogno per cambiarlo. Mi perdonerai, amore mio?”

Lei ricordò tutte le notti insonni, i pensieri “Yeshol…”

Si chiese come avesse fatto a non arrivarci prima.

“L’unico modo che hai per farti perdonare è quello di abbracciarmi fino a quando non mi sveglierò” tentò di essere minacciosa ma non le riuscì bene. Turno la strinse contro di sé e lei appoggiò le mani al suo petto “Veglia su Ghilly, ti prego”.

Il ragazzo le accarezzò i capelli e appoggiò il mento sul capo di Cormia, stringendola a sé “Sempre” rispose alzando gli occhi azzurri verso la luna.


 
Angolo Autrice
*Si nasconde e si prepara a ricevere pomodori in faccia* Scusate l’enorme ritardo. Ho avuto problemi e non ho avuto tempo di scrivere. Spero che questo capitolo si valso almeno l’attesa xD Un enorme bacio a tutte voi! Vi aspetto! <3
 
Raya_Cap_Fee

 

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