Wrong Way

di bubs89
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un nuovo caso ***
Capitolo 2: *** F*** Y** ***
Capitolo 3: *** Un tatuaggio per John ***
Capitolo 4: *** Waron Wyg ***
Capitolo 5: *** Ospite ***
Capitolo 6: *** Senza zucchero ***
Capitolo 7: *** Did you miss me? ***
Capitolo 8: *** 51.505472, -0.075428 ***
Capitolo 9: *** Falso allarme ***
Capitolo 10: *** Questo non è il momento adatto ***
Capitolo 11: *** BOOM ***
Capitolo 12: *** Breakfast, very fast ***
Capitolo 13: *** It was fun ***
Capitolo 14: *** Abigayle ***
Capitolo 15: *** L'altra metà è già pagata ***
Capitolo 16: *** L'ora del tea ***



Capitolo 1
*** Un nuovo caso ***


-Io ho un grave problema, signor Holmes.- mormorò l'uomo posando la tazza di tea sul piattino. La mano tremò appena facendo tintinnare la porcellana. Alcune gocce della bevanda scivolarono lungo il bordo ricurvo.

-Beh, questo è cristallino, signor Dafford.- replicò Sherlock Holmes con un sorriso talmente breve da risultare impercettibile -Se fosse così gentile da parlarcene ci risparmieremo tempo prezioso.-

L'uomo annuì, si appoggiò allo schienale della poltrona e infilò la mano nella tasca interna della giacca. Ne estrasse una foto. A giudicare dai bordi leggermente rovinati doveva essere vecchia di qualche anno. La porse al consulente investigativo.

Sherlock la prese e la guardò brevemente per poi passarla a John Watson che, seduto alla scrivania alle loro spalle, aspettava che l'uomo esponesse loro il caso. Per il momento il suo taccuino riportava unicamente la data e il nome del loro possibile nuovo cliente.

La foto ritraeva una giovane ragazza. Era ritta in piedi, le braccia incrociate, le spalle leggermente incurvate. L'espressione del suo viso comunicava una totale avversione verso la fotocamera. Nessun sorriso, nessun accenno di complicità. Si limitava a fissare l'osservatore con aria ostile, strafottente. Aveva lunghi boccoli rossi. Un ciuffo le ricadeva davanti al viso, come un luminoso sipario. Aveva lineamenti eleganti, antichi. Occhi grandi, scuri. Labbra piccole, forse troppo, per il suo volto. Sul collo, seminascosto dai capelli scuri, si intuiva la forma di un tatuaggio.

-Quella è... era mia figlia.- il signor Dafford si passò una mano sul viso -Si chiamava Haile. La foto è stata scattata cinque anni fa. Aveva diciotto anni.- l'uomo si interruppe -Hailey è morta pochi giorni dopo che è stata scattata.- raccontò l'uomo con voce rotta.

-Mi dispiace.- disse automaticamente John vedendo il cliente asciugarsi una lacrima.

Sherlock rimase in attesa, impassibile.

L'uomo fece un cenno con la mano. Riprese fiato e infilò nuovamente la mano nella giacca prendendone un secondo oggetto. A prima vista il ritaglio di un articolo di giornale.

Lo guardò, ipnotizzato. Poi, con un sospiro spezzato, lo allungò a Sherlock Holmes.

Era decisamente la foto a corredo di un articolo del Times, lo spessore della carta, la porosità, e il tipo di inchiostro era inconfondibile. L'immagine ritraeva un eminente uomo politico, il più quotato come nuovo candidato al ruolo di Primo Ministro. Era una foto catturata in strada, durante una “spontanea” passeggiata per il mercato di Portobello Road. E sullo sfondo, tra le decine di persone accalcate nello stretto passaggio creato dalla bancarelle, spiccava un volto pallido, incorniciato da lunghi capelli corvini. Sul lungo collo flessuoso linee scure si intrecciavano a formare quello che sembrava il pungiglione di uno scorpione. Data la proporzione e la posizione, il tatuaggio doveva proseguire dietro la base del collo.

Holmes esaminò il ritaglio e passò anche questo al collega.

-Dove a preso questo, signor Dafford?- si informò Watson osservando la foto.

-È uscito sul Times, cinque giorni fa.- rispose l'uomo, meccanicamente.

-E lei crede che la ragazza in questa foto sia sua figlia?- domandò l'ex medico militare con il maggior tatto possibile.

L'uomo rimase in silenzio per alcuni secondi. Poi, con tono deciso, rispose:

-Si, è lei, la riconoscerei ovunque.-

-Come è morta la ragazza?- chiese Sherlock aggrottando la fronte.

-Hailey.- lo corresse il signor Dafford, infastidito. Il consulente investigativo roteò gli occhi.

-Si, Hailey. Come è morta?- ripeté con voce seccata.

-La sua auto è stata ritrovata in un dirupo. Carbonizzata. È uscita di strada mentre ritornava a casa.- raccontò l'uomo con voce tremante.

-Ha visto il cadavere?- volle sapere Sherlock. John fece un verso indispettito in direzione dell'amico.

-Si... io... l'ho visto.- rispose il signor Dafford, le unghie conficcate nel tessuto della poltrona -Lei... era completamente irriconoscibile.-

-Aveva mai dubitato che fosse sua figlia quella ritrovata nell'auto?- domandò Watson appuntando i dati finora rilevati nel suo taccuino.

-No. La macchina era la sua. Sono stati ritrovati alcuni suoi effetti personali scampati alle fiamme. Non c'era alcun motivo di pensare...- le parole dell'uomo di persero in un respiro strozzato -Scusatemi.- mormorò prendendo un fazzoletto dalla tasca per asciugarsi il viso.

-Non capisco perché è venuto da noi, signor Dafford.- intervenne Sherlock.

-Ma...- il cliente strabuzzò gli occhi, spostando lo sguardo tra i due uomini, confuso -Per trovarla! Io so che è lei, signor Holmes.- ribatté con aria straziata.

-Signor Dafford, la questione potrebbe essere risolta molto facilmente: faccia riesumare il cadavere seppellito nella tomba di sua figlia e confronti il DNA del corpo con il suo.- disse Holmes con un sospiro annoiato.

-Sherlock.- lo ammonì John, risentito dal poco tatto dell'amico.

-Non mi è possibile farlo, signor Holmes.- dichiarò il signor Dafford -Vede, Hailey è stata cremata.- raccontò tristemente.

Sherlock sbuffò visibilmente scontento.

-Signor Dafford, la somiglianza tra le ragazze ritratte nelle due foto è evidente, ma potrebbe essere solo questo: una somiglianza molto spiccata. È ovvio che lei speri che sua figlia sia ancora viva, ma, se lo fosse, perché non avrebbe provato a contattarla? Perché avrebbe dovuto fingersi morta?- domandò John dubbioso.

Il cliente sospirò a fondo.

-Mia figlia era una ragazza molto intelligente.- iniziò a raccontare -Lo era sempre stata, fin da bambina. Ha finito il liceo a soli quattordici anni. Prima di... Prima dell'incidente stava per conseguire la sua prima laurea. Eccelleva in tutte le materie, ma era l'informatica la sua vera passione. Aveva avuto qualche disguido con la legge a causa di questo suo... talento. - l'uomo sorrise, un sorriso amaro -Era stata contattata da decine di aziende, aziende molto importanti. Ma c'erano state altre offerte più... discrete.- sospirò -Pochi giorni prima dell'accaduto si erano presentati due uomini a casa nostra. Vestito scuro, occhiali da sole. Avevano dei gemelli identici ai polsini della camicia, come delle piccole “w” arrotolate. So che descriverli in questo modo sembra quasi... ridicolo, ma dovete credermi: non lo erano affatto. Mia figlia non era in casa, si rifiutarono di rispondere alle mie domande o di comunicarmi qualsiasi informazione. Se ne andarono e basta. Signor Watson io non sono un teorico della cospirazione, sono una persona con i piedi per terra.- s'interruppe -Ma so per certo che quella è mia figlia.- asserì l'uomo con una decisione mai dimostrata fino a quel momento.

-Accetto il caso.- dichiarò Sherlock unendo le mani e appoggiandole alle labbra.

-Sherlock sei sicuro?- domandò John con un sorriso tirato sulle labbra. L'amico lo ignorò, si alzò in piedi e iniziò a passeggiare per il salottino.

-Signor Dafford lasci i suoi recapiti al signor Watson, la ricontatteremo appena ci saranno degli sviluppi.- mormorò Sherlock misurando la stanza con passi lenti.

Il cliente sembrava scioccato dallo svolgersi della situazione.

-Sei davvero convinto che si tratti della stessa ragazza?- chiese John osservando dalla finestra il signor Dafford salire su un anonimo taxi nero.

-La somiglianza, come hai detto tu, è davvero spiccata.- ribatté Sherlock pensieroso -Il tatuaggio sul collo, la piccola cicatrice sopra l'occhio sinistro.- elencò il consulente investigatore.

-Piccola cicatrice...?- ripeté Watson osservando le due immagini che il cliente aveva lasciato loro. Strizzò gli occhi acuendo la vista. Si, c'era una leggerissima irregolarità che rendeva il sopracciglio sinistro della ragazza ritratta nelle foto leggermente asimmetrico.

-Credi anche a tutto il resto?- volle sapere John dubbioso.

-Cosa? Che la ragazza, oh, perdonami, che la piccola Hailey fosse, cosa? Una geniale maga dell'informatica che qualche organizzazione poco raccomandabile cercava di reclutare?- chiese Sherlock con un sorriso di scherno dipinto in volto -Io ne sono sicuro.- concluse lasciando Watson senza parole.

-I gemelli, John, i gemelli!- continuò Sherlock sorridendo -Voglio che tu vada a Portobello Road. Oggi è giorno di mercato!-

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Capitolo 2
*** F*** Y** ***


John Watson si era da tempo rassegnato a eseguire i compiti che Sherlock Holmes gli assegnava senza fare domande che, comunque, non avrebbero avuto risposta. Dopo aver informato Mary, ormai prossima al parto, aveva raggiunto Portobello Road. Vagava ormai da ore per l'interminabile mercato mostrando la vecchia foto di Hailey Dafford a tutti i mercanti, fruttivendoli e avventori che si affaccendavano attorno ai banchi. Non ottenne alcun risultato. La maggior parte aveva dato un'occhiata veloce alla foto per poi tornare altrettanto repentinamente ai propri affari, scuotendo la testa in segno di diniego. Un paio di persone aveva riconosciuto in John “l'assistente” del famoso investigatore, costringendolo a eclissarsi per evitare di rispondere a domande imbarazzanti e non.
Con un sospiro spazientito John si avvicinò all'ennesima bancarella. Esponeva quello che sembrava un'ampia varietà di strumenti e aggeggi elettronici. Dai cellulari alle tastiere, dalle cuffie a quelle che sembravano motherboard e altri pezzi di hardware.
John sbuffò. Sarebbe stata l'ultima bancarella, poi sarebbe tornato a casa. Quella pista era un buco nell'acqua.

-Mi scusi. Sto cercando una persona.- disse avvicinandosi al proprietario seduto dietro il banco. Era un uomo alto, molto altro dalla pelle scurissima. Quando Watson lo affiancò non lo degnò neppure di uno sguardo.

-Questa ragazza. Lei per caso l'ha vista?- chiese mostrando la foto all'uomo. Quello gli lanciò un'occhiata distratta per poi tornare a guardare dritto davanti a sé.

-Mai vista prima.- dichiarò atono. John corrugò la fronte.

-Non l'hai nemmeno guardata.- gli fece notare John in tono condiscendente. L'uomo si voltò, fissandolo.

-Ho detto che non l'ho mai vista prima.- ribadì infastidito.

-D'accordo, d'accordo.- asserì il dottore mettendo la foto nel taschino -Stavo solo chiedendo.- aggiunse allontanandosi nella folla.

Ajax, questo era il nome dell'uomo, attese che lo sconosciuto si allontanasse e fece cenno al suo vicino di bancarella affinché desse un'occhiata alla sua roba. Si alzò, erigendosi per tutto il suo metro e novantaquattro, e si allontanò a gran passi dalla propria postazione. Percorse pochi metri e si fermò davanti a un piccolo bar, Mau Mau Bar, recitava l'insegna, e, dopo essersi dato un'occhiata noncurante alle spalle, entrò. Si avvicinò al bancone e scambiò due chiacchiere amichevoli con il proprietario, il quale, dopo un paio di moine e l'ordinazione di una pinta di birra, si lasciò convincere a lasciargli usare il telefono fisso appollaiato all'angolo del bancone.
Ajax ringraziò e si avvicinò all'apparecchio. Digitò il numero, lo conosceva talmente bene che non ebbe bisogno di guardare la tastiera, e attese.
Bastarono due squilli.

-Ehi, bambolina.- mormorò l'uomo. Ascoltò con aria divertita le parole acide che seguirono.

-D'accordo, ascolta, è venuto a cercarti un tizio.- riportò -Mhm, mhm... no, bambolina. Lo so che non ti dovevo chiamare se... Non era così. Un tipo ordinario.- rimase in silenzio alcuni secondi -No. Ok. Stai attenta, H.-

John Watson incurvò appena le spalle nascondendo il viso dietro il menù plastificato, mentre l'uomo gli passava accanto per lasciare il locale.

 

-Avevi ragione.- ammise John con un alzata di spalle facendo il resoconto di quanto aveva scoperto. Sherlock, steso sul divano, fissava il soffitto, la mani giunte a sfiorare le labbra.

-Quindi il signor Dafford aveva ragione. La figlia, per qualche motivo, ha simulato la propria morte.-

Mentre Watson parlava, il consulente detective estrasse il cellulare dalla tasca, digitò qualcosa e lo ripose.

-Allora? Qual'è la prossima mossa?- chiese John abbandonandosi sulla sua poltrona.

-Come si può trovare una persona che non vuole essere trovata?- domandò Sherlock con un sorriso sulle labbra.

-Non lo so.- ammise il dottore con un sospiro -Perché non me lo dici tu?- ribatté più rassegnato che spazientito.

-John, sei così...- Sherlock non terminò la frase. Il cellulare nella sua tasca vibrava. Lo prese e lesse il messaggio.

-Oh, è davvero brava.- commentò l'investigatore compiaciuto -È davvero, davvero brava.- ripeté mettendosi a sedere.

John lo guardò senza capire.

-Di cosa stai parlando?- domandò aggrottando la fronte. Sherlock si alzò in piedi, un espressione entusiasta dipinta sul viso.

-La piccola Hailey. Ho chiesto a una persona che mi doveva un favore di rintracciare la chiamata di cui mi hai parlato, a quanto pare la telefonata è stata rimbalzata su un numero assurdamente elevato di ripetitori, alcuni non solo non si trovano a Londra, ma nemmeno in Inghilterra.- lo informò soddisfatto -Guarda.- gli mostrò il messaggio con la lista dei ripetitori. Le iniziali di ogni luogo dove era rimbalzato il segnale formavano la poco elegante frase: FUCK YOU.

-Hailey Dafford deve essere davvero un genio dell'informatica, e molto spiritosa, aggiungerei.- commentò John

-È evidente che sta scappando da qualcuno. Informiamo il signor Dafford?- domandò poi passandosi una mano sul viso.

-Certo che no.- rispose Sherlock, sdegnato -Torniamo a Notting Hill.- 

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Capitolo 3
*** Un tatuaggio per John ***


Ciao a tutti!
Vorrei ringraziare tutti voi che avete letto, commentato e inserito la mia storia tra le seguite. Voglio scusarmi per tutti gli errori e/o imprecisioni che potreste trovare. I commenti e, ovviamente, le critiche sono più che ben accette.
l Mau Mau Bar esiste davvero, ma non è fatto come l'ho descritto nella storia, è solo un nome preso in prestito. Tutti i personaggi appartengono ai loro creatori, compresi i miei che appartengono solo a me :-P
Buona lettura.

Sherlock si era rifiutato di fornire a Watson altre informazioni. Avevano preso uno dei tanti taxi neri che circolavano per le strade e si erano lasciati condurre nel centro pulsante di uno dei quartieri più visitati di Londra.
Il sole era coperto dalla consueta coltre di nubi, grigie e pesanti.
Decine di persone passeggiavano, ridevano, parlavano. La strada era un brulicante vortice di visi, suoni, colori. Sherlock camminava passando in rassegna la gente che sfilava davanti a lui.
Donna, bionda, trentacinque anni, occhi arrossati, tracce di irritazione all'anulare sinistro, ma nessun anello. Ha rotto il fidanzamento dopo aver scoperto che il fidanzato le aveva regalato un anello falso.
Ragazzo, diciassette anni, tremore alle mani, pupille dilatate. Continua ad asciugarsi il naso con la manica della giacca. Rinorrea. Sindrome di astinenza da oppiacei.
Tre turisti. Marito e moglie con figlia tredicenne al seguito. Americani. I genitori controllano una guida di Londra, la ragazzina gioca con un videogioco elettronico portatile. Non si sono accorti dell'uomo che li segue. Indossa un cappello da baseball, la visiera calata a coprirgli il viso. Borseggiatore.
L'uomo fece uno scatto in avanti, afferrò il videogioco della bambina e cominciò a correre.
Sherlock, le mani giunte dietro la schiena, allungò il piede nell'esatto momento in cui il borseggiatore stava per superarlo, facendolo rotolare a terra.
Un bobby, attirato dalla confusione, intervenne, bloccando il ladro prima che potesse tentare la fuga una seconda volta.
Sherlock afferrò il giocattolo sfuggito dalle mani del borseggiatore e lo restituì alla bambina in lacrime.

-Spaccone.- lo ammonì Watson con un sorriso.

Era circa venti minuti che camminavano. Si erano lasciati alle spalle le vie principali con i loro negozi dalle vetrine scintillanti adornate per attirare i turisti, addentrandosi nel dedalo di stradine secondarie.
Sherlock aveva continuato ad ignorare le domande dell'amico, camminando stoico per la sua strada. Ci vollero altri dieci minuti prima si fermasse.
L'insegna del negozio recitava Harry's Tattoos in caratteri neri e arzigogolati su sfondo blu.
Quando il consulente investigatore aprì la porta, una campanella tintinnante ne accompagnò l'ingresso. Una ragazza ricoperta di tatuaggi in ogni parte visibile del corpo alzò lo sguardo, annoiata. Era seduta dietro una piccola scrivania grigio scuro su una sedia girevole malandata. Sherlock la osservò. Capelli biondi intrecciati a ciuffi neri annodati in dreadlock spessi quanto un pollice. Piercing al sopracciglio destro e al labbro inferiore. Unghie lunghe, nere. Le batté ritmicamente sul piano della scrivania in attesa.
Il viso di Sherlock si aprì in un caloroso sorriso una volta decisa la strategia da usare.

-Buongiorno.- intervenne con voce squillante. John, alle sue spalle, salutò con un cenno del capo.

-Avete un appuntamento?- domandò la ragazza, corrugando la fronte.

-Oh, beh, in realtà no.- rispose Sherlock sempre più smagliante -Abbiamo visto l'insegna e il mio amico, qui, non ha saputo resistere: sono mesi che desidera farsi un tatuaggio.- raccontò dando una pacca sulla spalla di John costringendolo a farsi avanti. Lui lo guardò in cagnesco, ma non osò svelare il bluff del collega.

-Oh, si, infatti. Muoio dalla voglia di farmi sforacchiare la pelle con un ago pieno di inchiostro.- confermò, irritato.

La ragazza gli fece cenno di attendere. Si alzò e si diresse lungo il corridoio scuro alla sua sinistra.
Sherlock passò in rassegna le fotografie di tatuaggi appese su tutti i muri. Pelle irritata e disegni freschi di fattura.

-A che gioco stai giocando?- sibilò sottovoce John senza ottenere risposta.

-È fortunato, un cliente ha disdetto l'appuntamento. Ha già qualcosa in mente?- chiese la ragazza tornando indietro. Aveva portato con sé alcuni quaderni ad anelli. Li posò sulla scrivania aprendoli in ordine sparso. Pagine e pagine di disegni nero su bianco con qualche sprazzo di rosso o verde qua e là.

-Io, beh, non...- iniziò John, preso alla sprovvista. Non aveva idea di dove Sherlock volesse andare a parare.

-Si, questo andrà benissimo. È proprio come lo volevi tu, vero? Sulla spalla.- intervenne il consulente investigatore spostandosi dietro il bancone per indicare il buffo disegno di un barboncino che teneva tra le zampe un cuore.

-Ah... si, perfetto.- sbottò l'amico con un sorriso tirato.

-Venga, da questa parte. Vi accompagno da Harry.- disse la ragazza facendo cenno di seguirla lungo uno stretto corridoio -Lei non viene?- chiese poi quando si accorse che Sherlock era rimasto a contemplare i quaderni.

-Oh, no, grazie. Non sopporto la vista del sangue.- rispose arricciando il naso in una smorfia di disgusto.

Nell'immediato momento in cui i due scomparvero dentro una delle stanze laterali del corridoio, Sherlock cominciò a rovistare nella scrivania. Era piccola e stretta con tre cassetti laterali. Sentì che John cercava di prendere tempo (-Non potrebbe aspettare un momento?- lo sentì ululare) e accelerò le sue ricerche.
Nel terzo cassetto trovò quello che cercava. Il registro dei clienti. Cominciò a sfogliarlo (-No, la prego, aspetti un attimo!- quasi strillò John e -Tranquillo, la prima volta hanno tutti paura. Tienilo fermo, Barbie.- rise quello che doveva essere Harry il tatuatore mentre il ronzio della macchinetta riempiva l'aria).
Sherlock sfogliò l'elenco, il dito indice che correva lungo la lista di nomi, finché non trovò quello che cercava.

-Ok, basta, basta così.- gridò John quasi catapultandosi fuori dalla stanza -Ho cambiato idea. I tatuaggi non fanno per me.- asserì infilandosi la camicia. Sherlock, che lo attendeva davanti all'ingresso, mise il cellulare nella tasca.

-Sei fuori di testa?- lo accusò il dottore una volta che furono usciti dal negozio -Mi hai fatto fare un tatuaggio!- gridò mostrandogli la spalla nuda dove un ricciolo nero, l'accenno a un boccolo del barboncino, svettava sulla pelle arrossata.

Sherlock lo guardò appena.

-Che stupidaggine! È solo una minuscola macchiolina di inchiostro!- lo liquidò scuotendo la testa.

-Allora? È servita a qualcosa questa pagliacciata?- domandò John trattenendo a stento la rabbia.

-È qui che Hailey Dafford è venuta a tatuarsi. Nella lista non c'era il suo nome, ovviamente. Ha usato uno pseudonimo.- spiegò Holmes soddisfatto, guardandosi in torno alla ricerca di un taxi. Sfortunatamente erano troppo lontani dalle vie principali e di black cabs neanche l'ombra.

-Tu mi hai trascinato qui per un tatuaggio fatto più di cinque anni fa?- chiese esterrefatto il dottore fermandosi in mezzo alla strada. Il consulente investigatore scosse bonariamente la testa continuando a camminare.

-La foto, John, la foto sul Times.- asserì Sherlock.

L'ex medico militare cercò nelle tasche e ne estrasse il famigerato ritaglio.

-Allora?- chiese John con una scrollata di spalle. Sherlock tornò da lui e gli indicò il particolare che non aveva notato.

-Guarda. Qui, sul polso. È appena distinguibile, ma è possibile vedere l'angolo di una garza tenuta ferma da un cerotto bianco. Ho ipotizzato che fosse stata messa lì per proteggere un tatuaggio fresco. Se non si è liberata di quello sul collo, che la rende alquanto riconoscibile, ho immaginato che ci tenesse particolarmente e che si fosse rivolta allo stesso tatuatore per quello nuovo. Ho passato la mattinata a confrontare il disegno e lo stile del primo tatuaggio con quelli dei tatuatori di Londra, di Notting Hill, per la precisione. Non mi ci è voluto molto per trovare quello giusto.- riassunse Sherlock. Sorrise e riprese a camminare.

-E ora dove andiamo?- domandò John allargando le braccia come a voler abbracciare l'intero quartiere.

-Ma a casa della signorina Hailey Dafford, naturalmente.- rispose il consulente investigatore alzando il bavero della giacca.

-Cosa? Hai trovato il suo indirizzo nei registri?- chiese John accennando a una corsa per raggiungerlo.

-Certo che no. È una persona molto intelligente. Ha usato uno pseudonimo per nascondere la sua identità. Non avrebbe mai lasciato il suo reale indirizzo.- ribatté Sherlock con espressione quasi offesa.

John ebbe un moto di stizza.

-E allora...?- domandò il dottore senza capire.

-Pensa, John, pensa! È venuta qui, cinque giorni fa. Ha fatto il tatuaggio. È passata davanti alla fermata di Notting Hill Gate, ma non ha preso la metropolitana. Ha camminato per un quarto d'ora per arrivare al punto in cui è stata scattata la foto.- elencò l'uomo, frenetico.

Finalmente sbucarono su una via trafficata. Sherlock alzò un braccio e, richiamato dal suo gesto, un taxi nero si affiancò al marciapiede. Il consulente investigativo aprì la portiera e si sedette chiudendo lo sportello con un gesto energico. John fu costretto a fare il giro della vettura.
Passarono alcuni minuti di silenzio. Sherlock non sembrava intenzionato a proseguire il discorso, ma John lo imbeccò.

-Allora? Continuo a non capire.- dichiarò alzando le mani in segno di resa.

-L'uomo con cui hai parlato. Al mercato. Lei lo ha incaricato di chiamarla nel caso qualcuno facesse domande. Gli ha dato istruzioni precise. Sapeva che non era una persona attenta e non voleva che la compromettesse, ma voleva essere informata nel caso in cui qualcuno si aggirasse per Portobello Road chiedendo di lei, perchè...- lo imbeccò Holmes con un movimento ciclico delle mani.

-Abita da queste parti.- concluse Watson leggermente irritato, ma, come sempre, impressionato.

-Non semplicemente “da queste parti”. È una persona intelligente, John, ricordatelo, usa acronimi, si prende gioco di quegli stupidi idioti che la stanno cercando. Dove potrebbe abitare, una persona del genere?- chiese Sherlock con un sorriso estasiato. Il taxi accostò a sinistra. Sherlock allungò un paio di banconote all'autista e scese dal mezzo. John lo imitò, fermandosi al suo fianco. Non aveva prestato attenzione alla strada che avevano percorso.
Dall'altro lato della via c'era la saracinesca abbassata del Mau Mau Bar.


 

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Capitolo 4
*** Waron Wyg ***


Ciao a tutti! Come al solito: grazie a chi legge/commenta/critica.
Con questo capitolo introduco il mio nuovo personaggio. Spero vi piaccia.
Buona lettura!



Ormai era buio. Il mercato di Portobello Road era chiuso già da alcune ore e la ressa che affollava la strada durante la giornata era sparita. Forse a causa del confronto con il brulicante movimento giornaliero, in quel momento la via sembrava avvolta in una calma irreale, ansiosa. Le facciate colorate delle palazzine sembravano incombere sui passanti, scurite dal buio della sera, come grandi esseri con le finestre grandi come occhi e porte minacciose come bocche. Solo pochi persone camminavano ancora per la strada altrimenti deserta.
Sherlock e John avevano fatto il giro del palazzo e individuato un'anonima porta di metallo grigio che consentiva l'accesso alle scale per i tre appartamenti sopra il bar.
Con gran disappunto di Watson, Holmes aveva ignorato le sue proteste e aveva forzato la porta, per poi inoltrarsi nell'oscurità dell'edificio. John roteò gli occhi, spazientito. Quando si comportava così non lo sopportava. Controllò la via. Gli sembrò che un uomo, dall'altra parte della strada, lo osservasse, ma pochi secondi dopo lo vide allontanarsi per poi sparire su Tavistock Road. Attese alcuni secondi, sospirò e seguì Sherlock Holmes su per le scale.
Sherlock ignorò l'ingresso dell'appartamento al primo piano e continuò a salire. Quando fu davanti alla porta del secondo piano, quello di mezzo, si fermò. Estrasse una piccola torcia e puntò il fascio di luce sulla scatolina argentata del campanello, a destra della porta.
La targhetta plastificata diceva: Waron Wyg. Il consulente investigatore sorrise, compiaciuto. Sapeva di essere nel posto giusto. La porta era aperta.
Sherlock entrò con cautela nell'appartamento. Si ritrovò in un corridoio, nessuna luce accesa. Poteva distinguere tre porte, due alla sua sinistra e una sulla destra. Nell'aria c'era odore di nicotina che si miscelava a quello di cucina cinese e a un profumo fruttato. Le pareti erano spoglie, anonime. Nessun dipinto, né foto. La carta da parati dall'orribile motivo a ghirigori arancioni su sfondo beige era scollata in un angolo. Dall'ultima stanza filtrava la luce tremolante di quello che, molto probabilmente, era un monitor acceso. In fondo al corridoio una finestra a saliscendi mostrava il muro azzurro del palazzo di fianco.
Aveva fatto solo qualche passo, la moquette verde scuro ne assorbiva il suono, quando avvertì qualcosa di duro e freddo premere contro la sua nuca.

-Fermo.- ordinò una voce alle sue spalle -Non hai letto l'avvertimento sul campanello?- domandò con tono beffardo.

Si, l'aveva letto. Waron Wyg. Wrong Way. Strada sbagliata.
Hailey lo spinse contro la parete. Gli fece scorrere la mano libera lungo i fianchi, poi lo costrinse a girarsi puntandogli sulla pelle liscia della fronte.
Sherlock la osservò. Circa venti centimetri più bassa di lui. Capelli neri, lunghi, lisci. Parrucca. La pelle era pallida, nessuna traccia di abbronzatura. Corporatura esile. Ripercorse i lineamenti che già aveva visto in fotografia. Viso ovale, occhi grandi, verdi, accesi. Nessuna traccia di esitazione. Le unghie delle mani erano corte, frastagliate. Nessuna indecisione nell'impugnare la pistola calibro .22.

-Sei armato?- chiese in un sussurro. Aveva una cadenza secca, inusuale.

-Io no.- rispose Holmes sorridendo appena.

-Ma io si.- intervenne John Watson puntando l'arma contro la ragazza -Metti giù la pistola, avanti. Non abbiamo cattive intenzioni.- dichiarò cercando di risultare rassicurante, ma deciso. Non gli faceva piacere puntare un'arma alle scapole di una ragazzina. Cercò di scambiare un'occhiata di intesa con Sherlock, ma l'uomo teneva i freddi occhi azzurri sulla sua assalitrice.

Hailey sospirò, annoiata.

-Credete davvero che vi avrei lasciato entrare così? Lasciando la porta aperta?- domandò Hailey sorridendo nel buio -Quando avete forzato l'ingresso alle scale avete attivato il mio sistema di sicurezza. Se non inserisco il codice di blocco entro, beh, circa quaranta secondi, l'intero palazzo salterà in aria. Quindi ti consiglierei di consegnarmi la pistola, altrimenti ce ne andremo tutti con un bel botto.- spiegò la ragazza con lo stesso tono in cui una hostess spiega dove sono posizionate le uscite di sicurezza all'interno di un aeroplano. John fece uno sbuffo incredulo.

-Non puoi... non puoi averlo fatto.- disse il dottore, scuotendo la testa.

Sherlock scrutò la ragazza negli occhi. Nessun tentennamento. Nessun cenno di indecisione.

-Trentacinque secondi.- contò lei, serafica.

-John, fai come ti dice.- intervenne Sherlock, deciso.

-Ma... non penserai davvero...- balbettò Watson. Non riusciva a credere che quella ragazzina avesse imbottito l'intero palazzo di esplosivo.

-Trenta secondi.- sospirò Hailey, quasi disinteressata.

-John!- incalzò il consulente investigatore. Watson si arrese. Con un sospiro abbassò la pistola e porse l'impugnatura alla ragazza.

Lei si girò con un sorriso come a voler ringraziare e gli requisì l'arma. Poi, si voltò e si diresse verso l'ultima camera a sinistra, quella rischiarata dal bagliore del monitore.
Sherlock aggrottò la fronte e si scambiò uno sguardo con l'amico.

-Oh, fate pure come a casa vostra, almeno per i prossimi venticinque secondi!- li avvertì la voce di Hailey dall'altra camera.

-Non starà dicendo sul serio che...?- domandò Watson senza riuscire a concludere la frase.

Sherlock scosse la testa sorridendo, poi cominciò a correre.
Hailey li aspettava in bilico sul cornicione in legno scuro della finestra. Sorrise e si lasciò cadere nel vuoto.
L'esplosione si verificò con una certa eleganza. Il palazzo si accartocciò su se stesso come un castello di carte, lasciando indenni gli edifici circostanti. Fu come una demolizione abilmente controllata.
Sherlock e John, dopo aver dato una fugace occhiata al monitor acceso che indicava meno di venti secondi per lasciare l'appartamento, avevano seguito Hailey, scoprendo che la ragazza si era lanciata giù dalla finestra sopra un tappeto elastico abilmente mascherato da rifiuti e stracci.
L'avevano seguita, toccando terra appena in tempo per vederla scomparire, apparentemente inglobata dal muro di mattoni rossi.
Con un balzo erano scesi dal tappeto e le erano corsi dietro, scoprendo che era passata in un passaggio creato da una sovrapposizione tra due mura, impossibile da individuare ad una occhiata superficiale.
Hailey li attendeva su Lancaster Road mentre l'edificio che era stato il suo rifugio collassava su se stesso.

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Capitolo 5
*** Ospite ***


Sherlock varcò l'ingresso del 221B di Baker Street, si liberò dal cappotto lanciandolo sul divano e si sedette sulla sua poltrona, le mani giunte a sfiorargli il mento.
Hailey lo seguì, sbadigliando. Si sfilò lo zaino nero e lo appoggiò per terra, a lato della porta e si guardò attorno.
Il salottino non si poteva definire particolarmente accogliente. Il caos regnava sovrano. Fogli, giornali, libri erano accatastati l'uno sull'altro. La rossa immaginò che lì sotto, da qualche parte, dovesse esserci un tavolo o una scrivania. Le pareti erano ricoperte da carte, foto e mappe di Londra salvo quella alle spalle di un vecchio, ma all'apparenza comodo, divano. Lì si poteva vedere la carta da parati decorata da arzigogolati disegni rosso scuro. Un enorme smile giallo come il sole era stato dipinto vicino all'angolo e sembrava che fosse stato usato come bersaglio, a giudicare dai fori di proiettili che lo crivellavano.
Hailey individuò la cucina alla sua sinistra e vi si diresse a passo sicuro. Il tavolo da pranzo era ricoperto di becker grandi e piccoli contenenti strani liquidi opachi, provette e altri strumenti da laboratorio.
La rossa aprì il frigorifero bianco posizionato in fondo alla stanza. Era vuoto. Fatta eccezione per la testa mozzata che la guardava dal ripiano più basso.

-Carino.- commentò la ragazza chiudendo l'elettrodomestico con stizza.

-Hai lasciato che il palazzo esplodesse, ti rendi conto? E le altre persone dentro gli appartamenti?- l'accusò John seguendola dentro la cucina.

Hailey sbuffò gli occhi, superandolo e tornando in soggiorno.

-Non potevo fare altro. Se non ve ne foste accorti vi stavano seguendo. Aspettavano solo un buon momento per entrare.- ribatté la ragazza con un sorriso sardonico.
Oh, e va bene- sospirò notando l'espressione preoccupata dell'uomo -L'unico appartamento abitato era il mio. Gli altri due li avevo affittati usando degli pseudonimi. E il Mau Mau Bar era assicurato. Ci ho pensato io. I gestori saranno ripagati, lautamente. Ti senti meglio?- domandò la ragazza avvicinandosi al divano. Appallottolò la giacca del consulente investigatore e la confinò in un angolo per poi sedersi dall'altra lato.

John chiuse gli occhi, esausto e si lasciò cadere sulla poltrona. Lanciò un'occhiata a Sherlock, che non sembrava intenzionato a proferire parola, e sospirò pesantemente. Quella storia gli era sfuggita di mano.

-Ora, così, per fare due chiacchiere, potreste dirmi perché diavolo mi stavate cercando?- chiese Hailey liberandosi della parrucca nera. Scosse la testa, i boccoli rossi le ricaddero leggeri attorno al viso pallido.

-Tuo padre. Il signor Dafford. Ti ha visto in una foto sul Times e ci ha chiesto di cercarti. Fino a una settimana fa ti credeva morta.- raccontò John passandosi una mano sul viso.

Hailey spostò lo sguardo dall'uno all'altro, incredula.

-Cosa siete? Due idioti?- chiese esasperata -Uno viene qui e vi racconta una storia del genere e voi ci credete?- la rossa scosse la testa -Dafford è il cognome di mia madre! Non lo uso da... Dio! Più di cinque anni fa. Mi aspettavo di meglio da Sherlock Holmes e John Watson.-

-Tu ci avevi riconosciuto?- chiese il dottore guardandola.

-Quando Ajax mi ha chiamato per avvisarmi che qualcuno stava chiedendo di me è stato sufficiente guardare dalla finestra per vederti sgattaiolare via come un ladro appena lui se ne è andato. È bastata una foto e una decina di secondi per il programma di riconoscimento facciale per classificarti e collegarti a lui.- spiegò la ragazza facendo un cenno verso Sherlock.

-Ri... riconoscimento facciale?- balbettò Watson. Sospirò lasciandosi cadere contro lo schienale della poltrona. Era stata una giornata maledettamente pesante. Guardò l'orologio da polso. Mary doveva aver rinunciato ad aspettarlo alzata.

-Io ho controllato. Ho trovato articoli di giornali che parlavano della tua morte.- dichiarò John con voce incerta. Ormai non ci capiva più nulla.

-Mi credete stupida? L'incidente c'è stato, ho fatto le cose perbene.- ribatté la ragazza indignata.

Il dottore rimase in silenzio per qualche momento, poi fu folgorato da un'illuminazione.

-Tu lo sapevi, vero? Che quell'uomo stava mentendo.- chiese John in tono accusatorio voltandosi verso il “collega”. Sherlock roteò gli occhi stancamente.

-I gemelli, John. Le persone non fanno mai caso a dettagli simili. Perché avrebbe dovuto ricordarseli dopo anni se, come ci ha riferito, non aveva avuto sospetti sulla morte della “figlia”? Il simbolo che ha descritto, poi, è “l'omega”, quello di una famosa organizzazione criminale. Ci ha fornito una succulenta esca per indurci ad accettare il caso.- spiegò annoiato.

Si voltò verso la ragazza, la luce degli occhi azzurro ghiaccio acuita dalla concentrazione.

-Qualcuno ti sta cercando, però, chi?- domandò Sherlock rivolgendosi alla ragazza.

-Oh, beh, chi lo sa.- rispose Hailey con un alzata di spalle -È un po' che mi stanno alle costole. Magari vogliono offrirmi un impiego, oppure ho accidentalmente sottratto loro qualche informazione. Non li ho mai lasciati avvicinare abbastanza per scoprirlo.-

-Stai mentendo.- decretò Sherlock sorridendo appena.

-Si.- rispose lei sbadigliando -D'altronde non vorrai davvero che sveli tutti i miei segreti, no?- tastò i cuscini beige del divano -E ora, se volete scusarmi, vorrei riposarmi un po'.- dichiarò scalciandosi via le scarpe e sdraiandosi.

Sherlock si alzò con uno scatto infastidito.

-Cosa stai facendo? Non avrai intenzione di rimanere qui.- mormorò sdegnato.

-A causa vostra ho dovuto far saltare in aria il mio appartamento. Sono le due di notte. Quei tizi mi stanno ancora cercando e questa è la casa più sicura di tutta Londra, grazie alla protezione dell'eminente Mycroft Holmes. Nessuno si avvicinerà armato, né tenterà di fare irruzione. Ora, per favore, volete lasciarmi dormire?- ribatté Hailey senza aprire gli occhi.

Sherlock fece un gesto stizzito, rimanendo a bocca aperta, mentre John lo fissava con un'espressione divertita. Il dottore gli diede una pacca sulla spalla e lasciò l'appartamento.

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Capitolo 6
*** Senza zucchero ***


Ciao a tutti!
Piccolo intermezzo, dal prossimo capitolo si comincerà a correre. Sul serio.
Ancora una volta grazie a tutti voi che leggete, commentate e criticate.
Buona lettura.


Sherlock fissava con aria concentrata la ragazza sdraiata sul suo divano. I riccioli rossi creavano un'aureola infuocata attorno al viso pallido. Osservò le labbra semiaperte. L'irregolarità del sopracciglio rossiccio. Ogni minimo dettaglio, ogni cicatrice, ogni segno che portava sulla pelle, sugli abiti, sulle scarpe, raccontava una storia.

Le tracce di nicotina sulla mano sinistra suggerivano che era una fumatrice. Tabacco sciolto, cartine sottili, gommate, filtri piccoli. I segni sulle falangi superiori delle dita medie indicavano che scriveva con entrambe le mani. Era ambidestra, ma prediligeva la mano sinistra considerando la diversa profondità tra i due segni e il fatto che portava l'orologio, un semplice modello in plastica nero, al polso destro.

Niente trucco, né gioielli. Gli unici ornamenti che portava sul corpo erano i suoi tatuaggi. Quello sul polso era ancora nascosto dalla garza, ma la scelta dello scorpione sul collo era alquanto singolare. Non il tipo di animale che avrebbe scelto la maggior parte delle ragazze. Un animale maestro della sopravvivenza, in grado di resistere alle avversità, in alcune culture considerato un simbolo di libertà.

Le scarpe di tela, una marca molto diffusa, erano vecchie e consumate, ma erano state ricucite in più punti e ripulite da poco. Doveva tenerci particolarmente.

Una ragazza capace di fingere la propria morte e lasciarsi tutta la sua vita alle spalle, ma che non era in grado di liberarsi di un paio di vecchie scarpe bucate.

Sherlock si alzò e si diresse verso l'interruttore. Lo fece scattare e la stanza fu invasa dalla luce.

-Sveglia.- disse Sherlock, deciso.

Hailey si mosse appena. Corrugò la fronte e spalancò gli occhi di un verde intenso.

-Che ore sono?- biasciò, confusa.

-Sono le quattro e trentacinque del mattino.- rispose Holmes misurando a gran passi la stanza. Hailey si nascose il viso tra le mani.

-Sei pazzo? Perché mi hai svegliato?- mugugnò dando le spalle all'investigatore per rimettersi a dormire.

-Devi fare una cosa per me.- rispose Sherlock in tono pratico -Avanti, tira fuori il tuo armamentario e mettiti al lavoro.- le impose tornando a fermarsi davanti al divano.

-Dio, è troppo presto. Qualunque cosa vuoi che faccia è rimandata di almeno quattro ore.- sbottò lei tuffando il viso tra i cuscini.

-Ti assicuro che ne vale la pena.- asserì Holmes, gli occhi accesi da una luce sinistra -Comunque ti avverto che se non mi aiuti non mi resterà altro modo per passare il tempo se non quello di esercitarmi con il mio violino e, a quanto mi dicono, può essere leggermente irritante.- l'avvertì sorridendo.

Non ottenendo risposta, Sherlock si avvicinò al suo strumento, lo prese in mano e lo appoggiò con studiata lentezza sulla spalla. Afferrò l'archetto e iniziò a farlo scorrere sulle corde con furia, provocando un suono deliberatamente stridulo e sgradevole.

Hailey sobbalzò, infastidita. Tentò di tapparsi le orecchie, ma in qualche modo quel rumore sembrava penetrarle i timpani. Si mise a sedere con uno scatto e lanciò un cuscino che fu facilmente schivato dal fastidioso detective.

-Posso andare avanti tutto il tempo necessario.- l'avvisò Sherlock sorridendo ironico.

La ragazza quasi ringhiò, ma si arrese.

Si trascinò, quasi gattonando sul pavimento e afferrò lo zaino. Lo aprì, seduta per terra a gambe incrociate ed estrasse il suo laptop, un modello unico, che aveva assemblato lei stessa. Ad occhi praticamente chiusi si diresse alla scrivania e scaraventò deliberatamente gran parte del materiale che la ricopriva a terra. Sherlock aprì la bocca, come per protestare, ma la richiuse senza battere ciglio.

Con una scrollata di spalle Hailey si sedette mentre il consulente investigativo si appoggiava allo schienale della sua sedia.

-Caffè.- mugugnò la rossa passandosi una mano sul viso mentre il computer prendeva vita. L'uomo sembrò non averla sentita.

-Caffè.- ripeté lanciandogli un'occhiataccia. Sherlock la guardò, confuso.

-Tu. In cucina. Caffè. - specificò lei sillabando lentamente la frase.

-Io?- chiese il consulente investigativo incredulo. La rossa sospirò, spazientita, posando la fronte sul braccio.

-Si, tu. Chi è che mi ha svegliato?- domandò retorica -Ora vai a prepararmi il caffè. Mi serve per lavorare, qualsiasi cosa vuoi che faccia.- insistette tornando a guardare il monitor.

Sherlock corrugò la fronte, si voltò e andò in cucina. Hailey digitò la password e attese che il laptop si avviasse.

-Nero e...- urlò, ma l'uomo la interruppe.

-Senza zucchero, lo so.- concluse Sherlock per lei in tono saccente.

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Capitolo 7
*** Did you miss me? ***


Ciao a tutti!
Immagino che il titolo suggerisca già tutto!
Buona lettura!

 

-Ok, cosa ti serve?- domandò la ragazza ispirando con gioia il profumo della bevanda che risaliva dalla tazza che aveva in mano.

-Ho un video che devi analizzare. È stato esaminato dagli analisti della polizia e da alcuni free-lance che ho incaricato, ma non hanno scoperto nulla di interessante. Sei un hacker, no? E sembri essere una merce ricercata. Vediamo se riesci a trovare qualcosa di utile.- la sfidò con un sorriso invitante.

-Dov'è?- chiese Hailey elettrizzata. La sfida l'aveva incuriosita.

-Ne ho una copia sul mio PC, devo...?- rispose Sherlock con un cenno al suo portatile.

-Si, accendilo e fai quello che ti dico.- gli ordinò lei senza scollare gli occhi dal monitor.

-Non puoi analizzarlo direttamente dal mio computer?- domandò lui guardandola di traverso.

-Preferisco il mio.- scrollò le spalle -Mi serve accesso completo.- lo avvisò sorridendo sorniona.

-Dovrei dare accesso completo del mio computer a una temibile hacker?- chiese Sherlock sorridendo a sua volta.

-Problemi?- ribatté lei con aria serafica. Sherlock scosse la testa, divertito.

-Ne ero sicura.- rise Hailey massaggiandosi il polso sinistro.

-Tendinite?- si informò il consulente investigativo inserendo la chiave di accesso.

-Cervicale.- dichiarò lei -D'accordo, ora si comincia.-

Una volta che Sherlock ebbe eseguito le istruzioni della ragazza, Hailey potè manovrare il computer direttamente dal suo PC.
La rossa trovò facilmente il video interessato e lo fece partire.

-Come sai che volevo che analizzassi questo filmato?- chiese il detective corrugando la fronte.

-È il video più visualizzato nell'ultimo mese.- rispose la rossa con uno sguardo di sufficienza. Sherlock la fissò, arcuando le sopracciglia.

Il filmato partì. Il volto di Jim Moriarty riempì lo schermo. Ripeteva ad oltranza quattro semplici parole.

Did you miss me?

-Dovevo immaginarlo.- si limitò a commentare Hailey spostando le dita sulla tastiera. Il video occupò metà dello schermo, continuando a riprodursi in un loop ininterrotto, mentre la rossa apriva il codice sorgente per analizzarne ogni minimo dettaglio. Stringhe alfanumerico invasero lo spazio inutilizzato.

Hailey osservò più e più volte il codice, gli occhi ridotti a due fessure.

-Qui non c'è niente.- mormorò la ragazza corrugando la fronte. Sherlock la guardò, incredulo.

-Non è possibile.- negò Holmes alzandosi di scatto -Dev'esserci qualcosa.- ribadì, irritato. Hailey scosse la testa.

-Non c'è nulla. Le stringhe di codice sono cristalline.- decretò la ragazza mordendosi il labbro inferiore -Limpide come...- s'interruppe, pensierosa.

-Limpide come?- ripeté Sherlock, il viso riacceso di speranza, poggiando le mani sullo schienale della sedia della rossa. Fu assalito dal suo profumo. Assenzio verde. Pesca. Fresia. Scosse la testa tornando a concentrarsi.

-Uno specchio.- concluse lei, strabiliata -Uno specchio!- asserì tornando ad aggredire la tastiera. Holmes sorrise.

-Nascondono qualcosa?- chiese il consulente investigatore con gioia esultante.

-Se è quello che penso...- mormorò Hailey ammirata -Si. E non sono in molti ad avere la capacità di creare una cosa del genere.-

Sherlock fece un balzo battendo le mani, estasiato. Finalmente! Finalmente! L'apparizione TV di Moriarty aveva messo in allarme le più alte sfere del Paese e Holmes era stato richiamato in patria neanche cinque minuti dopo il suo decollo. Tutti si erano aspettati una qualche mossa dal consulente criminale più famoso dell'Inghilterra, mossa che non era avvenuta. Fatta eccezione per i banali crimini di tutti i giorni, Londra era avvolta in un inquietante cortina di calma e tranquillità.
Sherlock aveva scatenato la sua rete di informatori, seguito le orme dei più noti criminali a piede libero di Londra, aveva interrogato tutti coloro che si erano rivolti a Moriarty e alla sua organizzazione per ottenere i suoi servigi. Naturalmente era stato tutto inutile.
Ed ora aveva qualcosa in mano, qualcosa che lo avrebbe portato un po' più vicino al suo nemico.

-Sherlock.- lo richiamò Hailey infastidita. Lui tornò allo schermo. -Ho bisogno di concentrazione.- lo zittì.

La rossa lanciò un programma per individuare le stringhe sensibili della combinazione. Dopo qualche secondo il computer emise una serie di beep ripetitivi.

Hailey aggrottò la fronte.

-Questo non va bene. Non-va-affatto-bene.- mormorò la ragazza, frustrata.

-Che succede?- domandò Sherlock, ansioso.

-Non alitarmi sul collo.- lo redarguì -Ogni accostamento di stringhe risulta essere quello giusto per bypassare il codice del filmato. Naturalmente non possono essere tutte esatte. La maggior parte porterebbe a vicoli ciechi, o a chissà quali trappole virtuali. Le stringhe sono 26, un numero limitato, certo, ma le combinazioni che è possibile ottenere sono 17.576.- spiegò Hailey incrociando le braccia.

-Dammi un minuto.- disse Sherlock allontanandosi di qualche passo. Raggiunse la sua poltrona e si sedette chiudendo gli occhi.

La rossa lo osservò.

-Che stai facendo?- chiese divertita.

-Devo entrare nel mio Mind Palace e, se non vuoi uscire dalla stanza, ti pregherei di osservare il più rigoroso silenzio.- l'ammonì Sherlock senza guardarla.

Hailey inclinò il viso, osservandolo. Era impossibile capire a cosa stesse pensando. Muoveva le mani davanti a sé, gesticolava, assumeva espressioni infastidite, scuoteva la testa.
La rossa si lasciò scappare uno sbuffò divertito subito seguito da un'occhiata di rimprovero dall'uomo. La ragazza fece finta di chiudersi la bocca con un lucchetto e gettò l'inesistente chiave lontano.
Sherlock roteò gli occhi e riprese la sua ricerca.
La chiave doveva essere nell'unica frase che Jim Moriarty aveva messo a sua disposizione.

Did you miss me?

Did

D. I. D.

Damsel in distress/Disturbo dissociativo dell'identità/Direct Inward Dialing

Sherlock cancellò le frasi con una manata di stizza.

[sodium odiums] [side ides dies] my

[sodium odiums] dyes I'm

Scosse la testa. No. Niente anagrammi.

Did you miss me? Romanzo. Thriller. Autrice: Karen Rose. Data di uscita: Novembre 2012

No.

Did you miss me? Canzone. Industrial Rock. 1985. The Young Gods.

THE YOUNG GODS.

No, non Gods. God

-Trovato!- mormorò Sherlock con un sorriso -Devi combinare le stringhe secondo l'esatto ordine in cui te le dirò.- ordinò Holmes in tono perentorio -20.8.5 25.15.22.14.7. 7.15.4.- elencò ad occhi chiusi.

Hailey obbedì selezionando le stringhe che le venivano dettate.

-Qual'è la chiave di lettura?- volle sapere, curiosa. Sherlock inclinò appena la testa senza aprire gli occhi.

-Ogni numero corrisponde a una lettera dell'alfabeto componendo la frase: The...-

-...Young God.- concluse per lui la ragazza -Certo che Moriarty dev'essere propio un bastardo narcisista.- commentò sarcastica.

Hailey inserì l'ultima stringa e premette il tasto invio.

Lo schermo si oscurò. Poi, come comete attirate dalla gravità, minuscoli puntini di luce attraversarono il buio aggregandosi al centro del nulla assoluto.

03.00.00

1110101000111000010000101101000010100011010100100

Il timer cominciò il conto alla rovescia.

-Ciao Sexy, ti sono mancato?-

La voce di Jim Moriarty riempì la stanza. Acuta, suadente, divertita. Sherlock si immobilizzò, stupefatto. L'aveva creduto morto per tre anni. Tre settimane prima la sua immagine aveva invaso ogni schermo d'Inghilterra. E adesso, dopo quasi un mese di silenzio, Jim Moriarty parlava direttamente con lui.

-Chi non muore si rivede, eh?- rise sguaiatamente -Non è divertente? “Chi non muore”...- rise di nuovo -Io, tu... e Hailey.-

La rossa si girò di scattò verso Sherlock, incredula. Come poteva quell'uomo avere calcolato che lei sarebbe stata lì, in Baker Street, con settimane di anticipo?

-Non è carina? Certo, la sua prematura morte non è stata elegante quanto le nostre, ma prevedo un certo margine di miglioramento.- gongolò Moriarty -Per questo, spero non ti dispiaccia se l'ho invitata a unirsi a noi per questo nuovo gioco.- Sherlock chiuse gli occhi, memorizzando ogni singola parola -Decodificando il mio codice avete inviato un segnale a uno dei miei piccoli giocattolini, attivandolo. E questo significa che tra due ore e cinquantasette minuti... BOOM.- la voce di Moriarty s'incupì diffondendo un macabro eco nella stanza -Oh, e non vi ho detto la parte migliore: la bomba è stata attivata dal suo computer, neanche quegli inetti di Scotland Yard avranno dubbi su questo, provvederò io stesso. E domani a quest'ora Hailey sarà la criminale più ricercata di tutta l'Inghilterra.

Ciao ciao, miei cari.-

La stanza ricadde nel silenzio più assoluto, mentre il timer continuava la sua corsa.

-Mi hai fatto attivare una maledetta bomba?!- domandò Hailey, girandosi e afferrando Sherlock per il bavero del camicia bianca -Come poteva sapere che l'avrei fatto? Come poteva sapere che sarei stata qui? Sono rientrata a Londra solo da tre settimane!- chiese quasi ringhiando. Avrebbe voluto dargli un cazzotto.

Gli occhi azzurro ghiaccio di Sherlock Holmes fissavano il vuoto.

-Perché sei tornata in Inghilterra?- domandò atono.

-Cosa?- ribatté la rossa. Non le sembrava proprio che la parte più importante del suo discorso fosse quella.

-Hai detto che sei rientrata da due settimane. A giudicare dal colorito della tua pelle e dalla leggera cadenza del tuo inglese presumo che hai passato molto tempo in un paese del Nord Europa, Danimarca direi. Ora dimmi: perché sei tornata in Inghilterra?- ripeté Sherlock le pupille finalmente a fuoco, incatenate nelle sue.

-Sherlock Holmes. C'è una bomba a Londra ed esploderà tra due ore e quarantanove minuti. Cerca di fare qualcosa di utile: smettila di pavoneggiarti e spremiti le meningi per capire qual'è la prossima mossa.- ordinò la ragazza in tono perentorio.

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Capitolo 8
*** 51.505472, -0.075428 ***


-Dannazione, John!- imprecò Sherlock controllando per l'ennesima volta il cellulare. Aveva mandato all'amico un'infinità di messaggi. L'aveva anche chiamato. Senza ottenere risposta. Hailey roteò gli occhi, spazientita. Le dita volavano leggere sui tasti del computer.

-Smettila di provare a contattarlo e renditi utile.- lo imbeccò la rossa. Sherlock le trapassò la schiena con un'occhiata di fuoco.

-John mi aiuta a pensare.- la informò irritato percorrendo la stanza a grandi falcate. Perché? Perché John non rispondeva? Inviò un nuovo messaggio.

 

John, vieni qui.
Subito.
SH


-Dovrai fare a meno di lui. Due ore e venticinque minuti.- gli ricordò sbrigativa. Sherlock guardò il monitor e notò che la ragazza aveva aperto una finestra di conversazione.

-Cosa stai facendo tu?- domandò corrugando la fronte. Le si avvicinò e osservò lo schermo.

 

faber: Ciao Snip, dov'eri sparita?

cais: Cos'è, ti hanno beccata con le mani nella marmellata?

easy: Ragazzi, ragazzi, calmatevi. Tanto Snip non ci esce con voi. Il suo cuore è solo mio.

 

Hailey rise, divertita.

-Oh, e sarei io a perdere tempo, mentre tu puoi chiacchierare tranquillamente con i tuoi amichetti virtuali?- asserì Sherlock sardonico. La rossa scosse la testa, senza voltarsi a guardarlo.

-Sei solo invidioso che loro mi rispondano.- ribatté lei ironica -Le persone che hanno la capacità di creare uno “specchio”, come quello usato da Moriarty nel video, si contano sulle dita di una mano.- spiegò rispondendo ai messaggi -Chiederò in giro. Gli farò controllare le stringhe e forse riusciremmo a risalire al creatore.-

Sherlock la guardò di sottecchi. Controllò ancora il cellulare. Nessun messaggio.

 

snip: Fate i bravi. Vi invio una cosa. Se avete informazioni fatemi un fischio, plz.

 

Hailey caricò il programma. E, quasi immediatamente, le proteste fioccarono sullo schermo.

 

cais: Che scherzo è, Snip? Sola lettura?

faber: Dai, Snip, ci prendi in giro? Non è così che funziona fra noi.

snip: Sry, ragazzi, non è roba con cui giocare. Rly.

easy: Wuu2? Non vuoi farci divertire?

snip: Non questa volta.

cais: Omfgz, Snip, dove l'hai trovato? Questo specchio è una bomba.

 

Hailey si scambiò un'occhiata con Sherlock. Si, una vera bomba.

 

easy: Cosa vuoi?

snip: Voglio sapere chi l'ha creato.

cais: Lo sai che non si fa. Si dice il peccato, ma non il peccatore.

snip: Non lo chiederei se non fosse importante.

faber: Btw, ti faremo sapere. Bye.

cais: c u.

easy: kk.

 

-Ok. Se scoprono qualcosa mi informeranno.- dichiarò Hailey con un sospiro -Vogliamo darci da fare?- chiese voltandosi verso Sherlock.

-L'unica cosa che abbiamo è quel codice binario. Lettere?- chiese Sherlock mentre la rossa chiudeva la finestra di comunicazione e il timer, insieme alla stringa di codice binario, tornava in primo piano.

 

02.13.35

1110101000111000010000101101000010100011010100100

 

-No, non credo.- rispose Hailey -Forse numeri.-

Sebbene il codice binario non avesse segreti per lei, non voleva rischiare di sbagliare. Attivò un semplice programma di traduzione e vi inserì il codice.

Come aveva immaginato, non si trattava di lettere, ma di numeri: 515054720075428

-Una cifra notevole.- commentò osservando la lunga sfilza -Ti viene in mente qualcosa?- chiese dubbiosa.

Sherlock rilesse l'indizio. Aveva un sacco di cose, in mente.

-In qualche modo questa cifra deve indicare il luogo in cui è posizionata la bomba.- asserì Sherlock, gli occhi che saettavano su e giù per lo schermo.

-Vuoi dire come delle coordinate?- chiese Hailey mordendosi il labbro.

Il consulente investigativo ebbe un piccolo sussulto.

-Cos'hai detto?- chiese in tralice.

-Coordinate. Come quelle del GPS.- ripeté la ragazza con un'alzata di spalle. Sherlock chiuse gli occhi. Poteva essere così semplice? Probabilmente no. Moriarty era tristemente noto per la sua spietatezza e la sua mente contorta. Qualcosa nel profondo del suo essere diceva a Sherlock che non poteva essere così facile.
Come aveva già detto una volta, Moriarty era un grosso ragno al centro di una contorta ragnatela.
Aveva tirato uno dei suoi fili e aveva riportato Hailey in Inghilterra, ne aveva tirato un altro e li aveva indotti a incontrarsi. Chissà quale stava tirando adesso e dove li avrebbe portati.
Preda dei pensieri, quasi non si era accorto che la ragazza aveva già aperto un sito online di mappe, molto famoso ed utilizzato, e stava inserendo il numero ottenuto convertendo il codice binario in decimale, suddiviso in gradi, minuti e secondi.
Lo schermo era centrato sull'intera isola inglese e mostrava le principali vie di comunicazione stradale. Una volta inserite le coordinate, il sito zoomò velocemente, i dettagli si acuirono, i nomi delle vie si affastellarono uno sull'altro. Il Tamigi, dapprima una sottile linea azzurra quasi indistinguibile, crebbe fino a occupare quasi interamente lo schermo.
Un piccolo segnalino rosso si era posato sul Tower Bridge.


Sherlock si era infilato velocemente la giacca e si era precipitato giù per le scale dell'appartamento, mentre Hailey, che lottava per calzare le scarpe senza slacciare le stringhe, aveva afferrato il computer, lo aveva infilato in malo modo nello zaino malconcio, e l'aveva seguito di corsa.
Londra, alle sei meno un quarto del mattino, si stava risvegliando. La coltre perenne di nubi che ricopriva la città iniziava a rischiararsi, passando dal nero notte al grigio cenere.
Un paio di spazzini in tuta arancione con strisce argentate erano impegnati nella pulitura della strada. Poche auto solitarie percorrevano sonnacchiose la via.
Sherlock guardò a destra e a sinistra, frenetico. Finalmente, individuò un black cab cento metri alla sua destra. Si voltò per controllare Hailey e vide la ragazza scapicollarsi fuori dal portone. Lo superò in corsa dirigendosi verso il taxi.

-Allora, vuoi darti una mossa?- gli gridò scansando l'ubriaco che scendeva dal mezzo e lanciandosi sul sedile.

Sherlock corrugò la fronte, un sorriso tirato gli dipinse le labbra, e corse verso la ragazza.

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Capitolo 9
*** Falso allarme ***


Ciao a tutti! Scusate il ritardo!
Spero vi piaccia! Naturalmente grazie a tutti coloro che leggono, commentano e seguono la storia! 
Come sempre: buona lettura!



Greg Lestrade si passò una mano sul viso, esausto. Quando Sherlock Holmes l'aveva contattato e gli aveva comunicato che Jim Moriarty aveva posizionato una bomba sul Tower Bridge, l'ispettore, sebbene intontito dalla levataccia, aveva immediatamente contattato i suoi superiori e richiesto squadre di artificieri, unità cinofile, sommozzatori e ogni singolo poliziotto disponibile di tutta Londra. Persino un elicottero.
Il ponte e le sue torri erano state controllate, dai basamenti immersi nelle acque gelide del Tamigi fino alle punte delle torri gotiche-vittoriane. Avevano bloccato uno dei ponti più importante di Londra.
E non avevano trovato niente.
Lestrade sospirò esausto. L'avrebbe pagata cara. I suoi superiori avrebbero preteso la sua testa su un piatto d'argento.
Camminò stancamente fino all'entrata occidentale del ponte delimitata dal nastro giallo della polizia.

-Allora?- domandò Sherlock trepidante.

L'ispettore scosse la testa.
Il consulente investigativo ebbe un moto di stizza.

-Deve esserci, Lestrade. È laggiù, da qualche parte.- ribadì irritato indicando le mastodontiche torri -Dovete solo trovarla.- asserì quasi gridando. Alcuni bobby si girano a guardarlo, scuotendo la testa. Considerando le occhiaie e a giudicare dalle facce contrariate dovevano essere stati frettolosamente richiamati alla fine del loro turno di notte.

-Non c'è, Sherlock. Abbiamo controllato ogni singolo pertugio, abbiamo ispezionato i basamenti. Abbiamo persino scansionato l'esterno dall'elicottero. Non c'è nessuna bomba.- ribatté Lestrade stremato -Tutto questo mi costerà il distintivo.- concluse passandosi una mano fra i capelli grigi.

-Quarantatré minuti.- intervenne Hailey dando un'occhiata fugace all'orologio da polso. Lestrade la guardò dubbioso.

-Vuoi ripetermi chi è lei?- domandò indicando la rossa. Sherlock camminava avanti e indietro come un leone in gabbia.

-È...- cominciò Sherlock mentre Hailey rispondeva in tono vago:

-Un'amica.-

Leastrade strabuzzò gli occhi.

-Amica?!- ripeté l'ispettore incredulo. Chissà come, di fronte a una notizia del genere, il suo praticamente inevitabile licenziamento gli sembrava passare in secondo piano.

-Collaboratrice.- li corresse il consulente investigatore corrugando la fronte.

-Dovresti smetterla di accigliarti così. Ti verranno le rughe.- lo apostrofò Hailey alzando un sopracciglio.

Sherlock sospirò, esacerbato. Con la coda dell'occhio vide che i poliziotti avevano iniziato a smobilitare le barriere.

-No. No, no!- gridò -Che cosa state facendo?- domandò furente.

Lestrade scosse la testa.

-Non c'è nessuna bomba qui, Sherlock- asserì il poliziotto con un sospiro -Abbiamo fermato l'intero traffico della City e di metà Londra orientale. Per niente.- inveì a denti stretti -Falso allarme. Smontate tutto.- gridò allontanandosi a gran passi.

Sherlock emise un verso di frustrata esasperazione.
Hailey sospirò mentre le auto si impadronivano del ponte. Controllò nuovamente l'orologio. Trentanove minuti. Ma a cosa serviva? Non avevano trovato la bomba. Forse non c'era neanche, una bomba. Ma perché quel Jim Moriarty avrebbe organizzato una tale macchinazione per supportare un gigantesco bluff?
La ragazza conosceva il caso Moriarty solo da quello che aveva letto in rete tre anni prima. Si era discusso molto, nella sua comunità online, su come il criminale avesse potuto introdursi contemporaneamente in tre dei sistemi di sicurezza più impenetrabili al mondo. Ciò aveva causato una vera e propria guerriglia e numerosissimi tentativi di replicare un programma con una simile capacità. Lei stessa, nella tasca posteriore dei jeans, aveva...
Ma questo non aveva importanza. Non si era rivelato anche quello una colossale finzione montata dal criminale per raggiungere i suoi scopi?
D'altra parte, se ciò che Moriarty aveva detto nel suo discorso registrato era la verità e la bomba fosse esplosa, lei sarebbe stata considerata responsabile.
Il consulente investigativo continuava a camminare avanti e indietro, si premeva con forza le dita sulle tempie, ad occhi chiusi, continuando a borbottare frasi sottovoce. Sbuffò, spazientita.

-Sherlock?- lo chiamò -Vuoi piantarla e renderti utile? Qual'è la prossima mossa?- domandò passandosi una mano tra i riccioli rossi per toglierli dal viso.

L'uomo si guardò attorno, frenetico. L'aria era invasa dal boato dei motori e dai clacson delle auto. Un Double-decker sfrecciò alle loro spalle, rombante.

-C'è troppo rumore. Non riesco a pensare!- inveì il detective con espressione feroce.

Come se il mondo girasse solo per accontentare Sherlock Holmes, il traffico iniziò a rallentare sino a fermarsi quasi completamente.
Hailey e Sherlock si guardarono, dubbiosi. Poi si voltarono verso il Tower Bridge.
Il ponte levatoio era in procinto di aprirsi.

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Capitolo 10
*** Questo non è il momento adatto ***


Ciao a tutti!
Vi dico solo una cosa: ci sarà da correre!
Buona lettura!


-E se la bomba non fosse sul ponte?- domandò Hailey in un sussurro. Sherlock si voltò a guardarla corrugando la fronte.

La rossa era ritta, immobile, talmente vicina al parapetto del ponte che quasi sembrava in procinto di prendere il volo, stagliata contro il cielo grigio. Il vento le scompigliava i capelli, la giacca sbatteva ritmicamente contro il suo corpo. Alzò il braccio sinistro, il dito indice che indicava qualcosa in lontananza.
Sherlock seguì con lo sguardo la direzione da lei tracciata.
La MV Dixie Queen si faceva largo sulle acque del Tamigi e, improvvisamente, tutto acquistò un senso. Il consulente investigativo scandagliò velocemente le loro possibilità. Diversi moli si affacciavano sul fiume scuro, le barche attraccate beccheggiavano placidamente, indisturbate.

St. Katharine's Pier, 100 metri, 2 minuti a piedi. Troppo vicino al ponte. Opzione non praticabile.

President Quay Hous, 200 metri, 5 minuti a piedi. La nave non passerà abbastanza vicino. Scartato.

Guardò dall'altra parte del fiume scuro. Strizzò gli occhi azzurri, acuendo la vista.

-Trovato.- mormorò con un sorriso di sfida -Corri!- gridò a Hailey passandole accanto.

La rossa non se lo fece ripetere due volte.
Sherlock ignorò il richiamo degli addetti al ponte, scansandone uno che tentò invano di fermarlo, e imboccò il Tower Bridge, mentre la ragazza lo seguiva come un'ombra.
Fu in quel momento che il cellulare del consulente investigativo cominciò a suonare. La rossa lo guardò incredula mentre l'uomo estraeva il telefono dalla tasca e rispondeva alla chiamata.

-John!- gridò sollevato senza smettere di correre -John! Finalmente, ti ho mandato un'infinità di messaggi! Devi venire qui. SUBITO!- ululò Sherlock.

-Sherlock?! Sherlock?! Non ti sento bene... io...- le parole dell'ex militare si spensero per un momento -Siamo all'ospedale... Mary è entrata in travaglio un paio d'ore fa...- la voce di John era carica di emozione.

La strada scomparve per un momento dal panorama dal detective privato. Il piede destro quasi mancò il marciapiede.

-Sherlock, muoviti! Trentuno minuti!- gridò Hailey guardandolo in cagnesco. L'uomo scosse la testa e accelerò.

-Chi è? Hailey?- domandò la voce al telefono -Sherlock?! Sei ancora con lei? È successo qualcosa?- domandò John non sentendo l'amico emettere suono.

-No, John. È tutto a posto. Fai le mie congratulazioni a Mary.- mormorò Sherlock chiudendo la comunicazione. Cos'altro avrebbe potuto dirgli? John non avrebbe mai lasciato la moglie in procinto di partorire, e anche nella remota possibilità che l'avesse fatto, non aveva intenzione di fargli rischiare la vita. Non questa volta.

-Sherlock!- gridò Hailey con un cenno davanti a sé.

I due lati del ponte avevano iniziato a sollevarsi.

-Continua a correre!- urlò Sherlock mentre tentava di mettersi in contatto con Lestrade. Sfortunatamente il cellulare dell'investigatore suonava a vuoto.

Il ponte levatoio si era sollevato solo di pochi centimetri. I due fecero un balzo e lo superarono, senza fermarsi. Una volta giunti alla seconda torre, Sherlock fece cenno alla ragazza di seguirlo e virò a destra. Si aggrappò alle sporgenze e iniziò a calarsi.

-Razza di...- inveì Hailey scuotendo la testa mentre cercava di imitarne i movimenti.

A circa due metri e mezzo da terra il basamento del ponte era formato da un muro liscio di mattoni. Sherlock si lasciò cadere. Poi continuò a correre su Shad Thames.
La via brulicava di persone, turisti per lo più, che affollavano i negozi e si accalcavano contro le vetrine illuminate. Sherlock e Hailey si catapultarono lungo la via, scontrando arti e attirando insulti e occhiate infastidite.

-Ventitre minuti.- urlò la rossa guardando l'orologio, senza fiato. Doveva smettere di fumare.

Quando rialzò gli occhi, non vedeva traccia del detective.

-Hailey, di qua!- gridò Sherlock, alle sue spalle. La rossa si voltò. L'uomo era corso dentro un vicoletto che riconduceva lungo la riva del Tamigi.

Corsero lungo la piccola banchina, affiancando una pila di container rossi e bianchi incrostati di ruggine. Un ponticello sovrastato di piloni di metallo li condusse a una banchina sospesa nell'acqua a cui erano attraccate diverse imbarcazioni.

-Qual'è il piano, genio?- domandò Hailey piegandosi in due, sfinita.

-Seguimi.- rispose lui, con un sorriso. Sherlock balzò con un salto sul ponte di una barca, un quindici metri bianco latte evidentemente dedicato al trasporto dei turisti, e la percorse tutta, posizionandosi in attesa. La ragazza scosse la testa, in un gesto di resa. Seguì l'uomo e si mise al suo fianco, pronta a balzare.
La Dixie Queen avanzava placidamente sulle acque verdi del Tamigi. I turisti si affollavano sui corridoi della nave, sporgendosi dalle ringhiere bianche con le macchine fotografiche e i cellulari, pronti a catturare i loro ricordi con uno scatto.
La nave era troppo lenta.
Hailey lanciò un'occhiata al detective privato, mentre il traghetto sfilava davanti ai loro occhi. Il cuore le martellava nel petto.
Poi Sherlock prese la rincorsa e si lanciò.
Le persone urlarono, stupefatte.
Sbattè violentemente contro il parapetto, aggrappandosi con tutta la sua forza. Stringendo i denti gettò la gamba destra oltre la ringhiera e si issò a bordo.

-Pazzo.- mormorò Hailey facendo alcuni passi indietro. Prese la rincorsa e saltò.

Il colpo le mozzo il fiato. Letteralmente. Capì che stava perdendo la presa e che sarebbe finita nelle acque sotto di lei. Poi sentì delle mani chiudersi attorno ai suoi polsi. Alzò gli occhi verdi e ne incrociò un paio freddi come il ghiaccio.
Sherlock la aiutò a salire a bordo. La rossa si sedette sul pavimento di legno, ansimando. Attorno a loro si era radunato un manipolo di turisti. Un uomo, americano, quarantacinque anni circa, li fissava, la videocamera puntata su di loro.

-Potevate prendere il traghetto alla fermata dopo il ponte.- fece con sguardo dubbioso.

-Mi creda: sarebbe stato troppo tardi.- ribatté Hailey ansimante. Diede un'occhiata all'orologio da polso -Dodici minuti!- decretò rimettendosi in piedi.

-Tu inizia a controllare questo piano, io cercherò di convincere il comandante ad accostare e fare scendere i passeggeri e passerò in rassegna il secondo.- decise Holmes correndo verso le scale esterne che portavano al piano superiore. Doveva raggiungere il ponte di comando.

-D'accordo.- gridò Hailey dirigendosi dal lato opposto.

La ragazza entrò nella cabina. L'ambiente era grande, spazioso, allestito con decine di tavoli rotondi, finemente apparecchiati. Legno scuro era stato usato per le modanature interne. Dettagli in oro risplendevano qua e là. Un bancone da bar occupava tutta una parete con centinaia di scintillanti bicchieri appesi a testa in giù.
Aveva solo undici minuti.
Iniziò a cercare, scapicollandosi a terra per perquisire i tavoli. Camminava carponi controllando con occhiate veloci, ma accurate, quando gli comparvero davanti un paio di stivali. Hailey alzò lo sguardo. Due uomini in divisa scura la fissavano con le mani sui fianchi. Evidentemente qualcuno dei passeggeri aveva dato l'allarme.

-Signorina? Sono costretto a chiederle di seguirci.- disse il più vicino corrugando la fronte.

-Questo non è il momento adatto.- ribatté la rossa con un'espressione esasperata.

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Capitolo 11
*** BOOM ***


-Lei non capisce. Su questa nave c'è una bomba. Dovete fermarvi. Mi faccia parlare con il capitano- asserì Sherlock spazientito. Un paio di uomini dell'equipaggio si erano posizionati davanti al ponte di comando e si rifiutavano di lasciarlo entrare. Il consulente investigativo fece un verso di stizza e guardò alle loro spalle. Il Tower Bridge si era sollevato quasi del tutto e si stagliava imponente davanti a loro. Mancavano solo pochi minuti.

-Signore, non si agiti. Nessuno può entrare sulla nave quando è alla fonda. Si tranquillizzi e si goda la gita.- ribatté il vicecomandante con un sorriso dipinto sulle labbra.

-Razza di idioti!- gridò Holmes esasperato. I due si scambiarono un'occhiata contrariata. Il comandante in seconda avanzò di un passo.

-SHERLOCK!- urlò Hailey dal piano di sotto. I tre si guardarono brevemente, dubbiosi.

-Scusate il disturbo. Devo proprio andare.- asserì il consulente investigatore con un sorriso smagliante. Si voltò e corse giù per le scale di metallo che conduceva ai piani inferiori, seguito dai due ufficiali.

Sherlock giunse al piano inferiore, scavalcò la balaustra del parapetto e si calò al piano più basso. Si fece strada tra i turisti confusi ed entrò nella cabina passeggeri. Afferrò un ombrello dal cestino accanto alla porta e lo infilò tra le maniglie per impedire all'equipaggio di entrare. Poi si voltò.
Due membri dello staff erano stesi sulla moquette rossa, svenuti. Hailey sventolò una mano sopra il bancone del bar dal lato opposto della stanza.

-L'ho trovata, è qui sotto!- gridò la ragazza mentre Sherlock si precipitava a raggiungerla. Era stesa a terra, lo zaino posato sullo stomaco. Holmes le si sdraiò a fianco, spalla a spalla, e guardò su.

Era una semplice cassetta nera ancorata al legno scuro del bancone. Nessuno l'avrebbe notata se non si fosse sdraiato esattamente nella loro stessa posizione e avesse guardato in alto.
Le cifre rosse continuavano la loro corsa.

00.03.32

Nessun pulsante, nessun filo, nessuna possibilità di manipolazione. Fatta eccezione per una minuscola scanalatura appena sotto i numeri che marciavano all'indietro. Sherlock allungò la mano, lentamente.

-Ma che fai?- sussultò Hailey inorridita facendolo trasalire. L'uomo digrignò i denti, voltandosi verso di lei.

-Cerco di capire come disabilitare la bomba.- rispose in un sussurro -Ora, smettila di parlare.- le sibilò in viso.

Sherlock alzò la mano e toccò con delicatezza la scanalatura. Il detective corrugò la fronte mentre un rettangolino di plastica nera si sollevava per poi sparire all'interno della bomba rivelando una porta USB.

-Beh, questo è il tuo campo. Vediamo cosa sai fare in... due minuti e trenta secondi.- mormorò Sherlock ironico.

-Mancano due minuti e cinquanta, veramente.- gli fece notare lei estraendo il computer dallo zaino nero e poggiandolo sulla pancia.

-Preferisco avere un certo margine.- ribatté Holmes con un brevissimo sorriso.

Hailey collegò un cavo USB al computer e lo allungò fino ad arrivare alla porta della bomba. Non successe nulla. Evidentemente sarebbe stato troppo chiedere che comparisse una scritta tipo “Ehi, se vuoi disabilitarmi clicca qui”.
La rossa sospirò. Fece scivolare le dita sulla tastiera, lo schermo si oscurò. Stringhe di codice alfanumerico bianche invasero la pagina. Nessuna risposta. E il timer continuava a scalare numeri.

-Non potresti essere un po' più veloce?- domandò Holmes, stringendo i pugni.

-Vuoi provare tu?- ribatté Hailey, seccata.

-È troppo tardi. Usciamo di qui. Convinceremo i passeggeri a buttarsi in acqua.- decise Sherlock chiudendo gli occhi.

-Se vuoi farti un bagno accomodati pure.- rispose la rossa seccata. Era il momento di passare all'artiglieria pesante.

-Tienimi questo.- mormorò passando il PC ad Holmes che se lo appoggiò sul torace.

Si voltò sul fianco destro e allungò una mano estraendo un piccolo portachiavi a forma di orsacchiotto dalla tasca dei jeans. Con un gesto di stizza staccò il cavo USB dalla bomba.

-Non avresti dovuto richiedere l'espulsione sicura dell'hardware, prima?- chiese Sherlock ironico.

00.00.59

Hailey lo ignorò staccando la testa dell'orsacchiotto con i denti.

00.00.58

Osservò la USB con un sospiro e la avvicinò alla porta sulla bomba.

00.00.57

E infine la collegò.

00.00.56

-Non funziona.- ringhiò Sherlock.

-Aspetta. Funzionerà.- lo rassicurò lei, decisa.

00.00.55

00.00.54

00.00.53

00.00.53

00.00.53

La bomba si era fermata.
Uno sbuffo divertito sfuggì dalle labbra di Hailey. Non riuscì a trattenerlo. Come non riuscì a trattenere la risata che ne seguì. Sherlock la osservò, incredulo. La ragazza si coprì la bocca con la mano destra, la sinistra sopra gli addominali che le dolevano per le risa. Si voltò a guardare l'investigatore con le lacrime agli occhi, ilare. Le labbra di Sherlock si incurvarono in un sorriso.
Poi qualcuno li afferrò per le gambe e li trascinò fuori.

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Capitolo 12
*** Breakfast, very fast ***


Il comandante della Dixie Queen aveva richiesto l'intervento di Scotland Yard. I poliziotti erano saliti a bordo della nave con un motoscafo delle forze dell'ordine.
La bomba doveva essere collegata all'impianto di navigazione considerando che, disattivandola, l'intero sistema elettrico era impazzito e il traghetto si era fermato poco prima di attraversare il Tower Bridge che era dovuto restare aperto, bloccando l'intero traffico della City. Un'altra volta.

Sherlock e Hailey furono ammanettati, perquisiti e ricondotti sulla terra ferma. Gli agenti non furono felici di trovare addosso alla ragazza un taser, con il quale aveva messo a nanna i due membri dell'equipaggio che avevano cercato di fermarla, e una pistola.

Altre imbarcazioni si occupavano di trasportare i turisti mentre aspettavano l'intervento degli artificieri. Di nuovo.

-Togliete quelle manette.- asserì Greg Lestrade scuotendo la testa quando vide Sherlock e Hailey che venivano condotti verso le auto della polizia.

I poliziotti ubbidirono solerti liberando le mani ai due. Il consulente investigativo fece loro un ironico sorriso di ringraziamento e raggiunse l'investigatore.

-D'accordo, d'accordo. Avevi ragione.- ammise Greg -C'era una bomba, ma...- alzò l'indice -Non era sul Tower Bridge.-

-Irrilevante.- ribatté Sherlock massaggiandosi i polsi intirizziti. Lestrade scosse la testa, senza parole.

-Allora, è tornato veramente, eh?- domandò l'investigatore con una smorfia.

Sherlock annuì, l'espressione contratta.

-Si, si. Tutto molto bello e solenne.- intervenne Hailey con un sorriso smagliante dando un paio di pacche sulle spalle dei due uomini -Ispettore, vorrei riavere il mio computer e il resto delle mie cose.- dichiarò la rossa facendo un cenno ai poliziotti alle sue spalle che caricavano le sue cose su un'auto, imbustate in asettici sacchetti trasparenti.

-Io devo ancora capire chi diavolo sei.- asserì Lestrade corrugando la fronte.

Sherlock osservò la folla che si assiepava attorno alle auto della polizia. Curiosi, per lo più, che si erano radunati attorno al cordone della polizia, e giornalisti richiamati dal profumo di un possibile scoop.
Il detective privato socchiuse gli occhi. Qualcosa, o meglio, qualcuno attirò la sua attenzione. Sherlock inclinò il viso.

Uomo, trentacinque anni. Leggero rigonfiamento sotto la giacca scura, all'altezza dell'ascella sinistra. Si gira sul fianco e porta il cellulare all'orecchio. Smartphone nero. Gli occhi si spostano tra la folla.

Donna, all'incirca la stessa età, ricambia il suo sguardo, ma solo per una frazione di secondo. Le labbra si muovono appena mentre parla. Auricolare. Tiene il telefono all'altezza del viso. Finge di scattare una foto. Stesso modello dell'uomo.

-Sarà meglio andare.- asserì Holmes prendendo la ragazza per un braccio -Ispettore.- salutò con un sorriso -Verremo a rilasciare le nostre dichiarazioni nel pomeriggio.- aggiunse mentre si allontanava trascinandosi dietro la rossa.

-Non me ne vado senza il mio computer.- dichiarò Hailey indignata. L'aveva creato lei, non poteva certo lasciarlo a quegli inetti degli informatici della polizia.

-Stai zitta e cammina.- mormorò Sherlock con uno stolido sorriso sulle labbra. Camminò verso l'auto della polizia, facendo cenni di saluti a destra e a manca. Aggirò l'auto e, con un'abile mossa, talmente veloce da non essere notata da nessuno, si chinò davanti allo sportello aperto e afferrò un paio di buste, quella grande, contenente il PC, e quella più piccola, con il portachiavi. Le infilò con un abile gesto sotto la giacca e riprese a camminare come se nulla fosse.

-Allora, vogliamo andare a fare colazione?- domandò Sherlock con leggerezza.

Hailey corrugò la fronte, sospettosa. Holmes sembrava essere in grado di fare molte cose, tranne sedersi tranquillamente a un tavolo e mangiare una buona colazione. Ma il suo stomaco, alla sola idea del cibo, brontolò rumorosamente. Il consulente investigativo alzò un sopracciglio.

-D'accordo, vada per la colazione.- si arrese la rossa.

Considerando il muro di traffico causato dagli avvenimenti della mattina, i due arrivarono a piedi al London Bridge, presero la Northen Line, scesero a Bank dove salirono sulla Center Line, per poi uscire in Bond Street. Percorsero St. Christopher's PI e raggiunsero l'incrocio con Barret St..
Pochi minuti dopo erano seduti a un bel tavolino dalla tovaglia bianca. Hailey aveva davanti un piatto di uova strapazzate fumanti, parecchi toast abbrustoliti e una tazza di caffè bollente. Sherlock le sedeva davanti, immobile.
Il locale era una piccola tavola calda che faceva angolo a una bella palazzina in mattoni scuri. Tende nere rigide riparavano dal sole, inesistente, gli avventori che decidevano di sedersi all'aperto. Il gestore del ristorantino, un signore di origini italiane con una pancia prominente e un sorriso gentile, quando aveva visto Sherlock era scoppiato di felicità e aveva abbracciato il detective regalandogli due schioccanti baci sulle guance. Un benvenuto decisamente poco apprezzato dal consulente investigatore che sopportò stoicamente il saluto, restando rigido come un manichino.

Sherlock guardò oltre le spalle della ragazza. Seduti a due tavoli dal loro c'erano un paio di persone.

Due uomini. Pantaloni chiari, camicie bianche, cravatte scure. Niente giacca. Nessuna valigetta. Targhette identificativi di un'azienda.

Controllò l'ora lanciando un'occhiata all'orologio al polso della rossa. Le 09:17.

Troppo tardi per dover ancora timbrare il cartellino, troppo presto per una pausa caffè.

Hailey mangiava di gusto, riempiendosi la bocca di pane e uova e innaffiandole con dosi generose di caffè.

-Che fai? Non mangi?- bofonchiò cercando di non farsi sfuggire il cibo dalle labbra.

-No. Sto pensando.- rispose Sherlock corrugando la fronte -Come hai fatto a disinnescare la bomba?- domandò poi congiungendo le mani, quasi in preghiera, e appoggiandole sotto il mento. Lanciò un'altra occhiata ai due uomini all'altro tavolo. Sorseggiavano lentamente il loro caffè.

La rossa sbuffò annoiata.

-Sapevo che non volevi semplicemente offrirmi la colazione.- decretò roteando gli occhi. Il cambio di argomento non intaccò lo sguardo indagatore dell'uomo.

-Perché non rispondi mai alle mie domande?- chiese Sherlock a denti stretti.

Hailey alzò le spalle, sorridendo.

Il consulente investigativo ebbe un gesto di stizza. Il cellulare nella giacca iniziò a vibrare. Sherlock lo prese dalla tasca e osservò il display.

-John.- mormorò il consulente investigativo chiudendo gli occhi.

-Sherlock!- ululò il dottore dall'altro capo della linea -È nata! Abigayle! Oddio, dovresti vederla! Mary è stata meravigliosa.- asserì John travolto dalla felicità -Vieni subito all'ospedale, così puoi vedere la piccola.- chiese l'ex militare sopraffatto dall'emozione.

Sherlock aprì gli occhi. I due non erano più seduti al tavolo.

-Scusa, John, ma non è un buon momento.- mormorò Holmes allontanando il telefono dall'orecchio. Premette il tasto per chiudere la chiamata mentre la voce dell'uomo continuava a chiamare il suo nome.

-Che succede?- domandò Hailey corrugando la fronte, la forchetta ferma a mezz'aria. Sherlock si guardò attorno, perplesso.

-Non lo so.- mormorò dubbioso.

In quel momento una berlina nera quattro porte sbucò dall'incrocio con St. Christopher PI.

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Capitolo 13
*** It was fun ***


Ciao a tutti!
Come sempre grazie a tutti quelli che leggono, che hanno inserito questa storia tra le preferite/seguite/ecc... e grazie a chi ha commentato! Ma mi raccomando continuate a recensire! Anche le critiche sono ben accette, in fondo, aiutano a migliorare!
Siamo quasi alla fine della prima parte della storia... ma niente paura, la seconda parte è già a buon punto!
Buona lettura!


Le gomme stridettero sgradevolmente sull'asfalto mentre l'auto sgommava fermandosi a metà della piazzetta. Le portiere di aprirono contemporaneamente e quattro uomini in completo nero scesero in perfetto sincrono dalla berlina.

-Corri!- ordinò Sherlock afferrando la ragazza per il polso.

Hailey afferrò velocemente il computer e il portachiavi a forma di orsetto mentre il consulente investigativo la trascinava via, risalendo St. Christopher PI. nella direzione opposta a quella da cui era arrivata l'auto.
Sherlock strinse con decisione il polso della rossa e la costrinse a seguirlo, zigzagando tra le macchine in coda nella via.

-Ci siamo dimenticati di pagare il conto!- esclamò Hailey costernata, guardandosi alle spalle.

Gli uomini in nero avevano cominciato a correre, inseguendoli.

-Se era una battuta, ti garantisco che non faceva ridere!- ribatté Sherlock digrignando i denti. Saltò sul marciapiede gremito di persone, schivò un paio di tavolini di un bar e diede una rapida occhiata alla facciata dei negozi.

-Avanti, vieni!- ordinò individuato quello che cercava. Diede una spallata alla porta di un costoso negozio di scarpe dalle sgargianti vetrine arancioni e si precipitò dentro trascinandosi dietro Hailey, mentre alcune commesse lanciavano gridolini spaventati.

Il negozio era piccolo, una trentina di metri quadrati. Le pareti giallo canarino erano costellate da mensole bianche che facevano bella mostra di eleganti stivali di pelle, audaci décolleté con tacchi delicati come punte di spillo e romantiche ballerine infiocchettate. Sulla parete opposta all'entrata, dietro alla piccola scrivania bianca sulla quale era appoggiata un piccolo registratore di cassa elettronico, c'era una porta bianca. Una targhetta recitava: “Privato”.
Ignorando le proteste delle dipendenti, Sherlock si diresse in fondo al negozio e l'aprì con foga entrando nel retrobottega, un'angusta stanzetta contenente decine di strutture di metallo zeppe di scatole da scarpe bianche.
Hailey si liberò dalla presa dell'uomo, afferrò una delle scaffalatura e la tirò, facendola cadere davanti alla porta. La ragazza ansimò, esausta. Non aveva mai corso tanto in vita sua.

-Non perdere tempo, andiamo!- la redarguì Sherlock sparendo dietro gli scaffali.

La rossa scosse la testa, sconsolata e lo seguì.
Svoltato dietro la scaffalatura, Hailey vide che Holmes era uscito da una porta. Probabilmente portava sulla via dietro il negozio, adibita allo scarico merci.
La ragazza corse fuori. Istintivamente chiuse gli occhi quando uscì alla luce accecante luce del giorno, le pupille dilatate a causa dell'oscurità della stanza, e si ritrovò a sbattere contro la schiena di Sherlock che era fermo, immobile.
La berlina scura bloccava l'uscita del vicolo. Evidentemente i loro inseguitori avevano avuto la brillante idea di dividersi. Due degli uomini in completo nero scesero e gli si avvicinarono.

-Fermi.- ordinò Holmes, alzando una mano davanti a sé, perentorio -Voi non sapete con chi avete a che fare.- asserì con un sorriso minaccioso sulle labbra.

Hailey avrebbe voluto tirargli un pugno.
L'uomo sulla destra fece un passo avanti. Era alto, un metro e ottantacinque circa, ben piazzato. Capelli neri, occhi piccoli e labbra larghe. Un'espressione mortalmente seria dipinta in volto. Infilò la mano nella giacca e afferrò qualcosa che estrasse con un gesto secco.
Uno smartphone nero. Lo porse loro con teatralità.

-C'è una chiamata per lei, signor Holmes.- dichiarò l'uomo. Il consulente investigativo sbuffò, spazientito. Allungò la mano, prese il telefono e lo portò all'orecchio.

-Buongiorno, Mycroft.- salutò con un sospiro annoiato.

-Buongiorno Sherlock.- ricambiò il maggiore degli Holmes educatamente -Sono curioso: quanto tempo hai impiegato a capire chi vi stava inseguendo?- domandò Mycroft con tono piatto.

-Riconoscerei ovunque i tuoi tuttofare.- rispose Sherlock, saccente -Quei due al Tower Bridge, per esempio. Gli mancava solo un un bel cartellino al collo con su scritto: “Agente governativi: siete pregati di voltarvi dall'altra parte e fingere di non averci visto. Grazie”- scimmiottò il detective, con voce squillante.

Mycroft sbuffò nel telefono.

-Non fare lo sbruffone come al tuo solito.- lo redarguì l'uomo -Ho necessità di parlare con la signorina Spencer, Sherlock- lo informò, pragmatico.

-Spencer?- ripeté il fratello minore, la fronte corrugata, voltandosi a guardare la ragazza. Hailey si morse il labbro, roteando gli occhi, annoiata.

-Esatto.- confermò l'uomo noncurante.

-Volete arrestarla?- domandò il consulente investigativo, curioso.

-Rimarresti stupito dallo spessore del suo fascicolo.- asserì l'altro, vagamente impressionato -Comunque no, per il momento almeno. In realtà dipenderà da lei. E da te. E da quanto ancora vorrete costringerci a inseguirvi su e giù per Londra.- rispose Mycroft, sardonico. Sherlock riusciva a visualizzare il fratello maggiore e il suo fastidioso sorriso di superiorità.

Si voltò verso la ragazza. Stringeva i pugni, il viso teso. Poi Hailey sospirò e gli fece accenno di assenso col capo. I riccioli rossi fremettero appena, tanto fu impercettibile.
Sherlock chiuse gli occhi e fece un passo di lato, lasciandola scoperta. L'agente governativo più vicino le si affiancò, requisì computer e orsacchiotto e le fece cenno di precederlo, mentre l'altro uomo apriva la portiera della berlina.

-E Moriarty?- chiese il detective privato stringendo i denti -Ha fatto in modo che la trovassi. Voleva che lei partecipasse al suo gioco.- raccontò il consulente investigativo, fremente.

-Ci sarà occasione di riparlarne. Ci sentiamo, Sherlock.- tagliò corto Mycroft chiudendo la comunicazione.

Il più giovane degli Holmes alzò lo sguardo. Hailey lo fissava attraverso il finestrino, corrucciata. Poi, come ripensandoci, sorrise. Alitò sul vetro e tracciò una scritta con l'indice.

IT WAS FUN.

Sherlock alzò il bavero della giacca mentre l'auto si allontanava velocemente.

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Capitolo 14
*** Abigayle ***


Il taxi nero si fermò davanti al 221B di Baker Street. Sherlock pagò il tassista e aprì la portiera dalla vettura.
John lo attendeva appoggiato al muro della palazzina, le mani in tasca e il viso truce. Era decisamente un pessimo segno che non lo stesse aspettando in casa davanti a una tazza di tea fumante chiacchierando con la signora Hudson.
Sherlock assunse una delle sue migliori espressioni, a metà tra un'ammissione di colpa e una dichiarazione di innocenza.

-John!- lo salutò il consulente organizzativo avvicinandosi a gran passi. Watson strinse le labbra, furibondo. Per un attimo Sherlock temette sinceramente che l'avrebbe preso a pugni. Di nuovo.

-Tu sei un grandissimo idiota.- inveì il dottore, rabbioso -Sono venuto solo a dirti questo.- asserì scuotendo la testa e alzando le mani -Solo questo.- ripeté sospirando.

-John, io... ero impegnato.- mormorò Sherlock alzando le spalle.

-È nata mia figlia. Sei la prima persona che ho chiamato. Mary continuava a ripetermi che saresti arrivato, ma è chiaro che si sbagliava.- asserì l'ex medico militare quasi rassegnato allontanandosi.

Sherlock rimase immobile, le mani giunte dietro la schiena.

-È tornato, John.- disse in un sospiro. Watson si fermò, gli occhi sgranati. Non aveva bisogno di chiedere per sapere a chi si riferisse. Si voltò lentamente.

-Ci ha teso una trappola. Ha fatto in modo che cercassimo Hailey. Sapeva che le avrei fatto analizzare il video e che lei avrebbe trovato il messaggio che vi aveva nascosto. Era l'unica in grado di farlo.- spiegò Holmes fissando la porta del suo appartamento senza vederla -Oh, e sfortunatamente abbiamo anche attivato una bomba.- aggiunse voltandosi a guardare l'amico con un sorriso -Ti racconterò tutto mentre andiamo in ospedale a conoscere la piccola Agatha.- si offrì sporgendo il braccio per richiamare l'attenzione di un black cab in arrivo.

John scosse la testa, incredulo. In un modo o nell'altro Sherlock Holmes la faceva sempre franca.

-Abigayle. Si chiama Abigayle.- lo corresse Watson con malcelata rassegnazione.

 

La stanza di Mary Watson al reparto maternità del Saint Bartholomew's Hospital sarebbe potuta essere definita ampia e confortevole, se non fosse stato per i numerosi palloncini di sgargianti colori e le decine di bouquet floreali che invadevano l'ambiente.
La maggior parte li aveva comprati John, preda di un entusiasmo incontenibile. Gli altri erano stati mandati da amici e colleghi. Molly Hooper aveva mandato un mazzo di delicate margherite avvolte in uno spesso nastro rosa, corredato da un bigliettino di congratulazioni.
Lestrade era il responsabile di un simpatico orsacchiotto di peluche. Dal biglietto si evinceva che avevano partecipato al regalo anche Donovan, Anderson e gli altri poliziotti della sezione omicidi di Scotland Yard.
Mary era sdraiata sul letto, la piccola Abigayle Watson addormentata tra le braccia. La neo mamma aveva un'espressione estatica dipinta in volto. Come se stringesse al petto la cosa più preziosa, più luminosa, più bella di tutto l'universo.
Sherlock osservò la creatura. La piccola aveva gli occhi chiusi. Le palpebre erano sottili e delicate, di un tenue viola pallido come le ali di una farfalla. Aveva un buffo ciuffo di capelli biondi, ritti sulla testolina. Il labbro superiore copriva quasi interamente quello inferiore, conferendole una buffa espressione imbronciata anche nel sonno.
Il consulente investigativo corrugò la fronte.

-Sfortunatamente ha le tue orecchio, John.- osservò Sherlock pensieroso.

Mary non riuscì a trattenere una risata.

-Che hanno che non va le mie orecchie?- chiese John disorientato, lo sguardo che saettava dalla moglie al migliore amico.

-Vuoi tenerla?- domandò Mary rivolgendosi a Sherlock. Il consulente investigativo assunse un'espressione dubbiosa.

-Avanti, ti faccio vedere.- asserì John divertito. Sherlock Holmes sarà anche stato un genio dal quoziente intellettivo insuperabile, ma talvolta si mostrava davvero un inetto se aveva a che fare con i più basilari, e naturali, istinti umani.

John prese con delicatezza la bambina, sorreggendola con attenzione. La piccola si mosse appena, stringendo le manine, ma continuò a riposare, beata.
Il neo papà si avvicinò a Sherlock e gli posò la bambina tra le braccia.
Per la prima volta nella sua vita, il consulente investigatore più famoso di Londra sembrava essere rimasto senza parole. Deglutì a vuoto. Non aveva mai tenuto tra le braccia un essere così piccolo e indifeso.

-Bene, bene, bene. Questo non si vede tutti i giorni.- asserì Lestrade entrando nella stanza con un ampio sorriso sul volto. Abbracciò calorosamente John e baciò Mary su entrambe le guance.

-Sono venuto non appena ho potuto.- dichiarò l'ispettore guardando la bimba tra le braccia di Sherlock -Complimenti: un vero capolavoro.- asserì sorridendo.

La bambina emise un piccolo vagito e corrucciò il viso.
Sherlock sgranò gli occhi e si affrettò a restituirla alla madre.

-Guarda che non morde mica.- scherzò Mary -Non ha ancora i denti.- gli fece notare cullando la piccola.

-Una notizia confortante.- asserì Mycroft Holmes entrando nella stanza.

I presenti si voltarono a guardarlo. Alto ed elegante nel suo abito di sartoria, Mycroft entrò nella stanza, sorridendo affettato. La sua foto avrebbe potuto essere utilizzata nell'Oxford Dictionary ad esplicare la definizione di “gentiluomo”.
Il principio di stempiatura e il ventre leggermente prominente, non rovinavano l'eleganza della sua figura, conferendogli, invece, il fascino che solo certi uomini sanno conquistare con l'avanzare degli anni.

-Mycroft.- lo salutò John, sorpreso -Che piacere. Grazie di essere venuto.- asserì il dottore.

In realtà non lo aveva invitato. Non per cattiveria. Semplicemente non avrebbe mai pensato che il maggiore degli Holmes si sarebbe scomodato per venire a porgere i suoi omaggi al nuovo membro della famiglia Watson.
Inutile chiedersi come era venuto a saperlo. Mycroft Holmes era o non era il Governo inglese?

-Sono venuto a congratularmi con i coniugi Watson. Complimenti John.- dichiarò stringendo la mano all'uomo -Signora Watson.- disse allungandosi per salutarla.

-Mi chiami pure Mary. La ringrazio per essere venuto.- lo corresse la donna con un sorriso.

Gli occhi di Sherlock si ridussero a due fessure mentre scrutava il fratello con aria ostile. Mycroft gli lanciò un sorriso sardonico.

-Hai fatto presto, Mycroft. Hai già concluso il tuo interrogatorio?- domandò il minore degli Holmes, sorridendo freddamente.

-Non ora, Sherlock. Siamo qui per festeggiare la nascita di Adelaide.- rispose lui bonariamente.

-Abigayle.- lo corressero con consolidata sincronia Mary, John e l'ispettore Lestrade.

-Ma certo, Abigayle.- asserì l'uomo inclinando benevolmente il capo -Tuttavia, giacché per una fortuita coincidenza anche l'ispettore si trova qui, ne approfitterei per scambiare quattro chiacchiere.- aggiunse indicando la porta della stanza -Oh, Sherlock, naturalmente sei invitato anche tu.- concluse mentre seguiva uno stupito Greg Lestrade fuori dalla camera.

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Capitolo 15
*** L'altra metà è già pagata ***


Sherlock prese posto su una delle scomode sedie nere poste nella corsia, le braccia incrociate, in attesa.
Mycroft lo ignorò, mise una mano nella tasca interna della giacca firmata e ne estrasse un foglio accuratamente ripiegato.

-Ispettore Lestrade, questa è la dichiarazione controfirmata di Hailey Dafford riguardante gli avvenimenti relativi all'incidente delle prime ore di questa mattina sulla Dixie Queen. Sono sicuro che riterrà il resoconto esauriente e completo.- dichiarò l'uomo porgendo il documento all'ispettore.

Se c'era una cosa che Greg Lestrade aveva imparato nei suoi onorati anni di servizio era quanto fosse inutile porre domande a cui, già sapeva, non sarebbe stata data risposta.
Perciò afferrò il foglio e lo mise al sicuro nella giacca.

-Ma non era Spencer?- domandò Sherlock con ostentata innocenza -E da quando il grande Mycroft Holmes si abbassa a svolgere un semplice incarico di portalettere?- volle sapere, un sorriso falso dipinto in volto.

Mycroft sospirò ostentatamente.

-La signorina Dafford preferisce essere nota con il cognome della madre.- lo informò pazientemente -Ispettore, è sempre un piacere vederla.- aggiunse congedando il poliziotto.

Greg gli strinse la mano, fece un cenno di saluto a Sherlock e si diresse verso l'ascensore, rassegnato. Sarebbe passato a salutare i coniugi Watson quando vi fossero stati in giro meno agenti governativi.

Holmes Senior occupò la sedia accanto al fratello spazzolandosi con la mano i pantaloni perfettamente puliti.

-Allora?- lo incitò Sherlock, spazientito.

-Ho avuto un'interessante conversazione con la signorina Dafford. Una ragazza criptica, a dir poco. Ma molto perspicace, devo ammettere.- raccontò Mycroft con espressione quasi ammirata -Sai come è riuscita a disattivare la bomba?- domandò al fratello senza guardarlo.

-Ho formulato alcune ipotesi.- rispose Sherlock, deciso a non ammettere la sua ignoranza davanti al fratello.

Mycroft sorrise.

-Ricordi tre anni fa quando Moriarty riuscì a penetrare nei sistema di sicurezza della Torre di Londra, della prigione di Pentonville e della Banca di Inghilterra contemporaneamente?- chiese, gli occhi fissi davanti a sé.

-Ho una vaga rimembranza si.- ribatté Holmes sarcastico stringendo i denti -Ad ogni modo usò dei complici, niente di così eccezionale.- minimizzò con tono di sufficienza.

Mycroft sorrise bonariamente. L'altro si voltò a guardarlo, gli occhi azzurri ridotti a fessure taglienti come lame.

-Stai dicendo che Hailey è riuscita a creare un programma capace di mettere fuori uso qualsiasi sistema di sicurezza? È questo che c'è nella chiavetta USB con cui ha fermato l'esplosione?- domandò, incredulo.

-Vorrai dire che era in quella chiavetta.- lo corresse l'uomo ponendo l'accento sul verbo al passato -A quanto sembra Moriarty ha usato la bomba per attirarla in una trappola. L'ha indotta ad usare il suo programma per riuscire a sottrarglielo. Per questo ha fatto in modo di fartela incontrare.- lo informò il fratello con voce tranquilla.

Sherlock sgranò gli occhi. Jim Moriarty era riuscito a mettere Londra in ginocchio solamente fingendo di possedere un programma del genere. Cosa sarebbe successo se la finzione fossa diventata realtà?

-Il programma della signorina Dafford era solo, come lei stessa l'ha definito, una “versione beta” con funzioni alquanto limitate, ma, comunque, potenzialmente devastanti.- aggiunse Mycroft con un sospiro.

-Qualunque cosa tra le mani di Moriarty è potenzialmente devastante.- decretò Sherlock, funereo -Quali saranno le vostre contromisure?- si informò, quasi feroce.

Come avrebbe deciso di colpire il suo nemico? Chi sarebbe stato il primo obbiettivo del suo infallibile mirino?

-Abbiamo assunto un esperto informatico che renderà il programma di Moriarty inutilizzabile. Riprogrammerà tutti i sistemi di sicurezza sensibili.- rispose Mycroft seguendo con lo sguardo un infermiere che correva lungo il corridoio. Gli occhi allenati del maggiore degli Holmes notarono facilmente le tracce di nicotina sulle dita, il leggero tremore alle mani e la forma inconfondibile del pacchetto di sigarette nella tasca dei pantaloni. L'uomo era evidentemente in ritardo per la sua pausa relax.

-Ah.- rise Sherlock chiudendo gli occhi -Ah, ah, ah.- continuò incapace di trattenersi -Hailey...- mormorò troppo divertito per continuare. Trovava che fossero poche le cose al mondo genuinamente divertenti. Il Governo inglese messo in scacco da una giovane hacker era sicuramente una di queste.
Mycroft roteò gli occhi spazientito.

-La signorina Dafford ha accettato di collaborare con noi a tempo indeterminato. Le forniremo un onesto onorario e le pagheremo metà dell'affitto in cambio dei suoi servigi.- spiegò l'uomo controllandosi le unghie con fare noncurante.

-Quella ragazza non è uno degli stupidi faccendieri con cui hai a che fare tutti i giorni, Mycroft, non si accontenterà di farsi pagare “metà dell'affitto”.- lo scimmiottò Sherlock con un sorriso divertito.

Il fratello maggiore si voltò a guardarlo con sufficienza.

-L'altra metà è già pagata.- disse innocentemente.

L'espressione divertita di Sherlock sparì all'istante dal suo viso. Fu un cambiamento tanto repentino che il suo volto sembrava fosse stato immerso nell'azoto liquido. Gli occhi azzurri si fecero di ghiaccio.

-Non starai dicendo che...- mormorò furente.

-Ho bisogno che qualcuno la tenga d'occhio, Sherlock. E, comunque, la signora Hudson mi è sembrata decisamente felice di riuscire finalmente ad affittare la stanza di John.-

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Capitolo 16
*** L'ora del tea ***


Sherlock afferrò furente la maniglia del 221B di Baker Street. Mycroft aveva esagerato. Oh, se aveva esagerato. Non l'avrebbe passata liscia. Quell'intrusione gli sarebbe costata cara. Carissima.
Sorrise, pregustando la tremenda vendetta che si sarebbe abbattuta su suo fratello maggiore. Avrebbe persino potuto ricorrere all'artiglieria pesante. In fondo, era passato un po' troppo tempo da quando aveva fatto una telefonata alla madre.
Aprì la porta, sorridendo soddisfatto.
E si ritrovò davanti due occhi gialli che lo fissavano con ferocia.
La mente di Sherlock riportò a galla l'immagine più terribile che mai gli fosse capitata di vedere. In un momento la paura paralizzante che aveva provato solo una volta nella fredda palude di Dartmoor, diabolica dimora del temibile mastino di Baskerville, lo assalì, immobilizzandolo.
Davanti a lui un feroce cane, anche se definirlo tale gli sembrava riduttivo, ringhiava furiosamente. Era un fascio di nervi e muscoli tesi, di un nero quasi impossibile. Le orecchie dritte e appuntite, il muso quadrato con i denti bianchissimi scoperti. Sembrava quasi una pantera pronta a balzare.
Sherlock non riusciva a distogliere lo sguardo da quella bestia. In realtà, non riusciva nemmeno a respirare. In qualche modo sentiva che se solo un muscolo del suo corpo, cuore compreso, fosse sfuggito al suo controllo, l'animale lo avrebbe attaccato senza pietà.
Il cane emise un lungo, basso, tonante ringhio.

-Byte? Dove sei finito?- domandò Hailey uscendo dal bagno, il corpo stretto in un lungo asciugamano fissato sul davanti. I riccioli rossi, scuriti dall'acqua, le sfioravano delicatamente le spalle nude.

Sherlock e il cane si girarono lentamente a guardarla. L'enorme animale, alla vista della padrona, abbandonò la posizione di guardia e si diresse trotterellando come il più mansueto dei cuccioli verso di lei. Una volta raggiunta si buttò a terra, zampe in aria per ricevere le coccole. Hailey si inginocchio, premiandolo con amorevolezza.
Poi l'animale si rialzò e tornò a fissare Holmes, ostile.

-Buongiorno!- lo salutò la ragazza sorridendo con innocenza -Spero che il mio piccolo Byte non ti abbia spaventato. Tende ad essere un tantino protettivo nei miei confronti e non apprezza particolarmente il genere maschile.- raccontò la ragazza dando una grattata dietro le orecchie dritte del cane.

Sherlock deglutì a vuoto. Allungò una mano e si diresse a passo malfermo verso la sua poltrona.
Hailey andò a rivestirsi con Byte alle calcagna. Indossò velocemente un paio di jeans e una maglietta e uscì dalla sua nuova stanza a piedi nudi. Quando tornarono al piano di sotto Sherlock era ancora seduto, immobile, la mano destra a coprirgli gli occhi.

-Che diavolo di bestia sarebbe quella?- mormorò l'uomo senza cambiare posizione.

Il cane ringhiò. Forse non aveva capito il significato delle parole pronunciate dal consulente investigativo, ma sicuramente non aveva gradito il tono disgustato con cui l'uomo aveva posto la domanda.

-Non credevo che avessi paura dei cani.- asserì la rossa, divertita -Byte è un cane corso. Non ne avevi mai visto uno?- chiese accarezzando il capoccione nero dell'animale.

-No. E avrei potuto tranquillamente continuare a vivere con una lacuna del genere.- dichiarò spazientito lanciando un'occhiataccia alla bestia -Bite o Byte?- domandò poi alzando un sopracciglio.

-Dipende dalla situazione.- rispose Hailey ironica con una scrollata di spalle sedendosi sulla poltrona dirimpetto a quella di Sherlock. Il cane le si affiancò, composto come una statua di Anubi.

-Preferire che non ti sedessi lì.- decretò Sherlock balzando in piedi.

Byte lo squadrò con sguardo truce.

-Perché?- chiese la rossa corrugando la fronte. Infilò una mano dietro la schiena e tirò fuori un cuscino decorato con il motivo della Union Flag e lo lanciò con malagrazia sul divano.

L'uomo digrignò i denti, con un verso stizzito. Raggiunse la porta a grandi falcate e la aprì facendo capolino all'esterno.

-Signora Hudson! Del tea!- gridò furente -Subito!- aggiunse sbattendo la porta con violenza. Chiuse gli occhi, espirò a fondo e si sistemò la giacca, lisciando le pieghe che si erano formate con mano ferma.

Una volta riacquistata la sua consueta imperturbabilità tornò a sedersi sulla sua poltrona. Congiunse i palmi delle mani e portò le dita a sfiorarsi il mento. Poi aprì gli occhi azzurri.

-Quali sono i termini dell'accordo?- domandò Sherlock pragmatico.

-Accordo?- ripeté Hailey ridendo -Quale accordo? Il tuo caro fratellino mi ha messo davanti a un bivio e io mi sono limitata a scegliere il minore dei mali.- spiegò accavallando le gambe.

-O qui o...- mormorò Holmes inclinando il capo.

-O sarei stata gradita ospite dello Stato. Un letto comodo e tre pasti al giorno garantiti da qui a... beh, non esattamente l'eternità, ma rende comunque l'idea.- concluse la rossa soffiando su un ricciolo rosso che le ricadeva davanti al viso.

-Così hai accettato di vivere qui.- sospirò l'uomo -Sei una persona alquanto intelligente e hai una certa dose di risorse. Sei già sparita una volta, potresti farlo di nuovo.- le fece notare pensieroso.

-Non te l'ho detto? Niente viaggi all'estero per me.- lo informò con un sorriso smagliante -Sono ufficialmente rediviva. Ma niente passaporto.- così dicendo prese dalla tasca dei jeans chiari un fascio di documenti nuovi di zecca e li lanciò sulle gambe di Sherlock.

L'uomo arcuò un sopracciglio guardandoli per una frazione di secondo. Patente, carta di identità, tessera sanitaria. Una recentissima foto in formato tessera di Hailey era riportata su ogni documento insieme a nome, cognome e tutti i parametri necessari.

-Hai capito cosa intendo.- la rimbeccò Holmes.

-Forse, e dico forse, potrei farlo, ma prima c'è una cosa che devo assolutamente fare.- cedette con un sospiro -Jim Moriarty ha rubato qualcosa di mio e sono intenzionata a riprendermelo.- dichiarò con sguardo feroce.

Byte latrò rumorosamente.

-Ecco qui il tea!- disse la signora Hudson con voce squillante mentre entrava nella stanza brandendo un vassoio colmo di tazzine e biscotti.

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