Toujours Pur.

di Meissa Antares
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sono quei cosiddetti incontri che ti cambiano la vita. ***
Capitolo 2: *** In che Casa sperate di finire, ad Hogwarts? ***



Capitolo 1
*** Sono quei cosiddetti incontri che ti cambiano la vita. ***


Racconto20 - Sono quei cosiddetti incontri che ti cambiano la vita.
Capitolo 1.
Sono quei cosiddetti incontri che ti cambiano la vita.

King's Cross

 

Ognuno di noi porta in se stesso il cielo e l’inferno.
(Oscar Wilde - Il ritratto di Dorian Gray)



1° Settembre 1989, ore 7:20
Brighton, Inghilterra.


Gli sembrava di avere appena posato la testa sul cuscino - e di essere caduto in un sonno profondo da soli cinque minuti - quando la sveglia suonò con un’insistenza tale da perforargli i timpani di entrambe le orecchie.
Con un mugolio seccato ed improperi decisamente poco adatti ad un pubblico al di sotto dei diciotto anni, allungò un braccio verso il malefico oggetto e lo spense grazie ad un colpo fin troppo secco e violento. Lanciò un’occhiata ai piedi del comodino e sbuffò sonoramente, facendo sollevare un ciuffo degli spettinati e corti capelli castano chiaro.

Grandioso, ora gli sarebbe anche toccato comprare una nuova sveglia.

Compiendo uno sforzo decisamente sovraumano - che è possibile paragonare soltanto alle dodici fatiche di Ercole - si diresse verso il bagno a tentoni, sperando in qualche aiuto divino per non incappare accidentalmente in un pericolo mortale lungo il breve tragitto. Purtroppo, e certa gente alle volte se lo sente, quella mattinata era cominciata nella maniera più sbagliata di tutte. Difatti, non si sa bene come e in che modo, in meno di un minuto inciampò in quello che doveva essere il graziosissimo tappeto che sua madre aveva comperato qualche settimana prima - con l’intento di rendere la stanza più accogliente - e si ritrovò lungo disteso sul pavimento.
Nel suo piccolo, il ragazzo credeva che niente sarebbe potuto andare peggio di così, ma si sbagliava. Si sbagliava di grosso. La porta della sua camera venne spalancata in un modo tale che gli ricordò terribilmente i vecchi film polizieschi, per intenderci una cosa del tipo: “Altolà, mani in alto!”, e sulla soglia comparvero tre figure in vestaglia da notte, le facce assonnate e l’aria imbronciata di chi è stato svegliato da un cataclisma imminente. E quel cataclisma poteva essere riassunto in due semplici parole: Chace Morgan.

« Santo cielo, Chace! » esclamò la donna, mettendo a fuoco la stanza. « Che cosa ti è successo? »

Sua madre, alle volte, non era esattamente quello che si definisce comemolto perspicace’. Ne attribuì la colpa al pessimo e traumatico risveglio.

Si sollevò velocemente in piedi, scrollandosi un po’ la maglia del pigiama leggermente stropicciata. « Niente mamma, sono soltanto caduto » borbottò, tenendo lo sguardo fisso sul pavimento di piastrelle chiare.
« Scommetto che sei inciampato nel tappeto » commentò suo padre, annuendo lievemente con il capo come a dare conferma delle sue stesse parole.

L’unico a non dimostrarsi minimamente preoccupato o dispiaciuto era suo fratello minore che, anzi, si stava letteralmente rotolando per terra, scosso da risate incontrollabili. Chace lo fulminò con lo sguardo, stringendo le braccia lungo i fianchi e trattenendosi dal prenderlo istantaneamente a pugni soltanto perchè era consapevole che non ne sarebbe mai uscito vincitore, in quanto suo fratello giocava come capitano nella squadra di calcio del liceo.

« Joshua » lo richiamò sua madre con tono severo, mettendosi le mani sui fianchi con l’intento di incutere ancora più timore di quanto già non facesse di solito. « Smettila » ordinò perentoria, guardandolo mentre si rialzava e si asciugava le lacrime dagli occhi. « Vado di sotto a preparare la colazione. Chace, tesoro, sbrigati o farai tardi a lavoro »

Come se gli avessero tirato uno schiaffo in pieno viso, il ragazzo controllò frettolosamente l’orologio al polso sinistro e per poco non cadde un’altra volta. Doveva darsi una mossa, o avrebbe perso il treno!

Probabilmente mai, in tutta la sua vita, era stato in grado di prepararsi così velocemente, il tutto sotto i commenti malevoli che il suo caro fratellino continuava a lanciargli al di fuori della porta del bagno. Prima o poi lo avrebbe ucciso nel sonno.

« Forse, avresti dovuto cercati un lavoro a Brighton anzichè a Londra » fu l’ultima cosa che udì pronunciare da Joshua, prima di precipitarsi al piano di sotto.

Distrattamente afferrò una brioche e se la portò alla bocca, agguantando con la mano sinistra la sua valigetta ventiquattrore in ecopelle - gentile regalo di sua madre, non appena aveva ottenuto un impiego - e con la destra le chiavi di casa.

« Chace non ti fermi a fare colazione? Non puoi mangiare per strada! É il pasto più importante della giornata, se lo salti poi non riesci a concentrarti sul lavoro e... »
« Ciao ma’! Ciao pa’! >> salutò con un urlo, ignorando palesemente le proteste della donna che lo aveva messo al mondo e respirando a pieni polmoni l’odore familiare di Brighton.

Odore di salsedine, odore di casa.



****



1° Settembre 1989, ore 10:05
treno diretto alla stazione di King’s Cross, Londra.


Odiava alzarsi presto quando era andato a dormire soltanto una manciata di ore prima. Odiava dover prendere quello stupido treno tutte le sacrosante mattine - da un mese a quella parte - per recarsi in ufficio. Odiava il suo odioso lavoro di assistente per una pazza squinternata, il cui unico scopo nella vita era torturarlo, spedendolo in tintoria a ritirare qualche suo abito firmato - di cui doveva assicurarsi il perfetto trattamento - o a comprarle un caffè-latte di soia amaro alla cannella - una roba talmente disgustosa che nessuna persona sana di mente avrebbe mai e poi mai introdotto nel proprio sistema digerente. Odiava il fetido odore di smog che lo investiva in pieno non appena arrivava a destinazione e sì: odiava clamorosamente la stazione di King’s Cross a Londra.

Al contrario di come la gente potrebbe immaginare, era uno di quei posti in cui potevi sempre notare un’affluenza di pendolari decisamente fuori dal normale e, molto spesso, erano la categoria più odiata poichè - se in ritardo - erano capaci di camminare sopra alle altre persone senza preoccuparsene più di tanto o senza nemmeno chiedere scusa.

Chace, sul suo treno da Brighton, aveva il fastidioso tic di controllare l’ora ogni cinque minuti, alternando occhiate preoccupate al suo orologio o al suo Blackberry. Una signora anziana gli lanciò uno sguardo compassionevole e si concesse un sospiro, cosa che il ragazzo notò perfettamente.

« Bella la vita da pensionati, eh? » si lasciò sfuggire, mentre le sue labbra si increspavano in un sorriso amaro.

La donna gli riservò un cipiglio risentito e scese alla stazione successiva borbottando un sommesso: “Ah, questi giovani d’oggi...”. Il ragazzo roteò gli occhi castani al cielo, maledicendo la sua linguaccia inopportuna. Dopotutto poteva sempre attribuire la colpa al pessimo modo in cui la sua giornata era cominciata.

« Stazione di King’s Cross, Londra. Capolinea » una voce femminile, metallica e del tutto priva del cosiddetto calore umano, annunciò la fermata a cui - proverbialmente - scesero tutti quanti, accalcandosi e spintonandosi come se dovessero arrivare primi ad una maratona olimpica.
Dopo essersi schiacciato per bene come una sardina in scatola, Chace riuscì a sentire nuovamente l’aria scorrergli nei polmoni e ne fu immensamente grato. Un giorno - ne era più che convinto - ci avrebbe rimesso la pelle. Con aria abbattuta poichè ripensava al suo comodo e caldo rifugio, denominato comunemente ‘letto’ e che aveva abbandonato parecchi chilometri più indietro, percorse a grandi falcate i corridoi della stazione, gremiti di gente, e - senza accorgersene - si scontrò contro qualcuno.

Una ragazza, direte voi. Ovviamente si chiederanno scusa a vicenda con aria imbarazzata, perchè - a causa della loro distrazione - erano troppo persi nei loro pensieri per fare caso a dove stessero realmente andando. Ovviamente si presenteranno e - perchè no - magari si daranno appuntamento per un caffè in quel bar tanto carino che non conosce praticamente nessuno. Questa, però, è un’altra storia.
In realtà, il povero Chace andò a sbattere contro una bambina che poteva avere all’incirca undici anni e non di più. Il carrello che conteneva i suoi effetti personali si era miseramente rovesciato per terra, così come lei stessa che mostrava un’espressione sofferente sul candido visetto di porcellana.

« Oh caz-... ehm, volevo dire cavolo! » balbettò sconnessamente, arruffandosi i capelli con una mano. « Mi dispiace tantissimo, sono proprio un imbranato. Ecco, lascia che ti aiuti » le tese il braccio, a cui lei si aggrappò saldamente.

I suoi occhi grigi e luminosi lo trafissero come una lama d’acciaio, lasciandolo stordito per un attimo di troppo. Non aveva mai visto, in tutta la sua vita, uno sguardo del genere.

« Ti... » si schiarì la voce, a disagio. « ...Ti sei fatta male? »
« No » rispose con voce armoniosa, scostandosi una ciocca di capelli biondi - di una tonalità spaventosamente simile al bianco -, cercando di capire se le dolesse qualche parte del corpo. « Sto bene, almeno credo »
« Ti do una mano a risistemare il tuo carrello » si chinò velocemente a raccoglierlo - soprattutto per sfuggire a quelle continue occhiate penetranti -, sistemandovi meglio che poteva il baule con incise le sue iniziali e una gabbia contente un gufo.

Un gufo?! Che diamine ci faceva un gufo lì, nel bel mezzo della stazione di Londra, senza che nessuno se ne accorgesse?

« Si chiama Hazel, che sarebbe il nome del fiore dell’albero di nocciole, ed è una civetta » spiegò, infilando un dito sottile nella voliera per tranquillizzare l’animale.

Quella bambina gli aveva confidato quelle cose senza che lui nemmeno le chiedesse anche se, grazie alla sua dannatissima curiosità, l’avrebbe poi fatto di lì a poco.

« Ehm... scusa la domanda inopportuna ma... per caso leggi nel pensiero? » si piegò sulle ginocchia per essere alla sua stessa altezza. Si era sempre lamentato di essere troppo basso rispetto ai suoi coetanei, ma lei gli arrivava a stento al petto.

Ridacchiò leggermente, coprendosi la bocca con una mano. Era un qualcosa di meraviglioso, come una cascata di campanelli argentini, e Chace avrebbe voluto ascoltarlo fino allo sfinimento perchè, quel suono, aveva la capacità di infondergli un senso di calore all’altezza esatta del cuore.

« Sono soltanto brava a leggere le emozioni altrui, tutto qua » scrollò le spalle, mentre un sorrisino arricciava le sue labbra rosee. « Avevi la faccia di uno che si stava domandando come mai ci fosse un animale tipico della fauna boschiva, in giro per Londra »

La sua mandibola, probabilmente, aveva toccato il pavimento sudicio della stazione: okay, quella bambina era una fottuta maga o qualcosa del genere.

« C.M. Black » lesse sul fianco destro del baule rigido in pelle scura. « Dove sei diretta, piccola? »
« Oh, in un posto... » incrociò le braccia dietro la schiena, dondolandosi appena sui talloni e sfoderando un sorriso disarmante. Un sorriso che - Chace ne era certo - tra un paio d’anni avrebbe fatto stragi di cuori.

Si guardò intorno, alla disperata ricerca di aiuto. Possibile che neppure una persona si fosse minimamente resa conto che c’era una bambina che viaggiava per la stazione da sola?! Che razza di genitori permettono una cosa del genere?!

« Non... non hai bisogno di uhm... un collaboratore? » cercò di aprire la bocca in un sorriso incoraggiante ma, più probabilmente, - a causa della sua espressione - dovette trattarsi di un’orribile smorfia. « Preferirei essere il tuo assistente piuttosto che di quella matta del mio capo » si imbronciò leggermente, mentre un sopracciglio biondo della ragazzina svettò inesorabilmente verso l’alto.
« So cavarmela benissimo da sola, grazie » incrociò le braccia al petto, manifestando tutto il suo orgoglio di bambina e la sua implacabile testardaggine.
« Scusa non volevo offenderti » le mostrò i palmi delle mani in segno di resa. « Volevo soltanto assicurarmi che sapessi dov’eri diretta » i suoi banalissimi occhi castani si scontrarono con quelle due immense pozze d’acqua ghiacciata, facendo sì che Chace rabbrividisse appena.
« Mi hanno perfettamente spiegato come raggiungere il binario » proseguì altezzosa, sollevando il mento con aria sostenuta. « Vivo a Londra da quando sono nata, conosco la città come le mie tasche »
« Oh, non lo metto in dubbio, piccola » si passò superficialmente una mano sulle guance perfettamente rasate. « Ma.. »
« Santo Merlino! » sbottò, guardando l’orologio della stazione e portandosi velocemente le mani alla bocca, come se avesse detto una grave bestemmia. « Sono in ritardo, devo andare! Arrivederci... ehm... »
« Chace » si presentò, precedendo la sua richiesta.
« Chi lo sa, magari ci rincontreremo » gli fece l’occhiolino, salutandolo allegramente con la mano e spingendo il carrello a tutta velocità verso la sua destinazione.

Con sguardo vigile e attento - cercando di non farsi scoprire per essere etichettato come ‘maniaco’ -, il giovane Morgan osservò la chioma bionda della bambina avvicinarsi furtivamente alla barriera tra i binari nove e dieci. Sentiva il dovere di vegliare su di lei, visto che non c’era nessuno da accompagnarla, sentendosi un po’ come un fratello maggiore piuttosto protettivo.

Lei si guardò intorno un paio di volte, sorridendo angelicamente ad un capostazione che passava lì vicino - che le rivolse un’occhiata di sbieco - e controllando freneticamente che nessuno la stesse osservando. No, erano tutti troppo indaffarati a farsi i fattacci loro, d’altronde.

Trattenendo rumorosamente il fiato - cosa che fece voltare stizzite un paio di persone -, Chace si accorse che aveva preso la rincorsa, pronta a schiantarsi a folle velocità contro il muro formato da mattoni rossicci che mai - prima di allora - gli erano parsi così terribilmente solidi. Stava già per gridare con tutto il fiato che aveva in corpo, immaginandosi seduto su un’ambulanza pronto a tenerle la mano, quando la bambina scomparve. Sì,sì esatto: scomparve. Inghiottita dalla barriera della stazione di King’s Cross, tra i binari nove e dieci.
Sbattè le palpebre più e più volte, sempre più freneticamente come se avesse uno strano ed inquietante tic con cui si guadagnò qualche sguardo perplesso e un po’ spaventato. Addirittura prese a sfregarsi insistentemente gli occhi con le nocche, sperando quasi che fosse stato frutto della sua più fervida immaginazione. Rimase fermo al centro della stazione per dieci minuti abbondanti, cercando di darsi una spiegazione logica per quanto accaduto.

Okay, Chace Morgan. La stanchezza gioca senz’altro brutti scherzi, quindi da stasera si comincia ad andare a letto presto.  






Angolo dell'autrice:

Giuro solennemente di non avere buone intenzioni.

Salve a tutti! :) Come state? Spero bene. :)
Allora, che cosa dire d'altro? Per chi non mi "conoscesse", beh: benvenuto/a! :D Per chi invece avesse già avuto a che fare con me e i miei pensieri malati, beh... mi dispiace sinceramente per voi. AHAHAHAH. E-ehm, no okay, torniamo seri.
Dunque, dunque, dunque. Parliamo del capitolo. Onestamente penso che questa storia sia un'altra long-fic (non so se sono in grado di comporre cose brevi e leggere, tanto per intenderci). La sto pubblicando perchè... qualche capitolo è già bello che pronto, devo soltanto rivederlo e cambiare qualcosina (lo so, lo so, teoricamente dovrei riaggiornare le altre storie ma... ci sto lavorando su, lo giuro. T.T Purtroppo, tutti questi impegni mi uccideranno). Premetto che questo primo chapter dovrebbe rappresentare una specie di prologo ed è basato "dal punto di vista" di un Babbano. Ebbene sì, cari lettori! Un normalissimo e comunissimo Babbano ha avuto un brutale scontro (se così possiamo definirlo) con la magia! E, nonostante abbia visto scomparire una persona con i propri occhi, si dà una spiegazione a dir poco banale: andare a dormire prima, perchè la stanchezza provoca allucinazioni strane (se non mi sbaglio era stato il signor Weasley a raccontare ad Harry, Ron e co. nel 2° libro, che i Babbani - nonostante abbiano la magia proprio sotto al loro naso - fanno di tutto pur di darsi spiegazioni logiche che non comprendano neanche l'ipotesi "stregoneria").
Anyway, tornando al capitolo, facciamo la conoscenza con la nostra protagonista indiscussa: C.M.Black, che sta per Cassiopea Meissa Black (Cassiopea è il nome di una costellazione; Meissa è il nome di una stella e significa "splendente". Come ben sapete, è tradizione nella famiglia Black chiamare i propri figli/figlie con nomi di stelle/costellazioni/fiori).
Sì, lo so. Ho sconvolto la fenomenale narrazione di zia Row e chiedo umilmente perdono per lo scempio che ne verrà fuori. Come so anche perfettamente che ci saranno milioni di storie con un'ipotetica figlia dei Black ma... date tempo al tempo. Chissà, magari questa storia potrebbe anche piacervi. Insomma, credo che dalla data abbiate capito che Cassiopea non sarà propriamente nello stesso anno di Harry, Ron, Hermione e tutti gli altri. Il 1989... troppo presto per il nostro Golden Trio! ;D Ah, ci tenevo a dirvi un'altra cosa: Cassiopea, nella mia narrazione, prende praticamente il posto di Angelina Johnson, che qui non è mai esistita (scusami Angie! T.T). Bene, credo che per oggi sia tutto. Prossimamente, cercherò di mettere - qui nell'angolo autrice - i personaggi e come me li immagino. :)
Un bacione, grazie mille a tutti coloro che leggeranno/avranno voglia di recensire (per insultarmi o farmi sapere le proprie opinioni)/chi magari la metterà tra le preferite o le seguite o le ricordate (viaggio troppo con la fantasia?).
Vabbè, alla prossima!


Fatto il misfatto.

Giorgia.
 

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Capitolo 2
*** In che Casa sperate di finire, ad Hogwarts? ***


In che Casa sperate di finire, ad Hogwarts?
Capitolo 2.
In che Casa sperate di finire, ad Hogwarts?

Hogwarts Express


I veri amici sono quelli che si scambiano reciprocamente
Fiducia, sogni e pensieri, virtù, gioie e dolori.
Sempre liberi di separarsi senza separarsi mai.
(Alfred Bougeard)




1° Settembre 1989, ore 10:40
Binario 9 e ¾, stazione di King’s Cross, Londra.


Lo spettacolo che si presentò davanti ai suoi occhi increduli e meravigliati era senz’altro un qualcosa impossibile da descrivere e si rese conto che dovette dare ragione a Kreacher, quando questi le confidò che era un tale tripudio di suoni e di colori che - per capirlo - necessitava di essere vissuto personalmente.
Il fumo grigiastro che fuoriusciva dalla locomotiva di un rosso scarlatto la avvolse completamente e la invase un nuovo tipo di calore: una sensazione tutt’altro che fastidiosa anzi, contrariamente, le recava una certa gioia e una scarica di adrenalina le invase l’intero corpicino snello. Un sorriso radioso si distese sulle sue labbra, mentre spingeva con una certa foga il pesante carrello, facendosi largo tra la folla che aspettava trepidante sulla banchina del binario.

Non era mai stata così a contatto con tutti quei maghi e quelle streghe. Non era mai stata così a contatto con gente uguale a lei. In ogni anfratto di quel luogo, riusciva a percepire con ogni fibra del suo essere la magia.    

C’erano genitori che salutavano i propri figli con una certa malinconia e qualche lacrima brillava serena sui loro volti impensieriti, terminando la loro folle corsa sul pavimento di mattonelle chiare. C’erano bambini che correvano ridendo allegramente, infischiandosene dei richiami severi o di qualche passante avventato che li definiva “scapestrati”. E, per concludere, c’erano gli studenti di Hogwarts, qualcuno già con la divisa addosso e una spilla luminosa appuntata sul petto, impegnati a salutare i propri parenti dai finestrini del treno, oppure sbracciandosi per farsi riconoscere da qualche amico. Gli ultimi ritardatari, tuttavia, erano totalmente impegnati a caricare i propri effetti personali sulla locomotiva, sperando di trovare qualche scompartimento ancora libero, oppure invocando Merlino e tutti gli dèi esistenti affinchè i compagni di Casa avessero riservato un posto anche per loro.

Riscuotendosi dai suoi entusiastici pensieri, Cassiopea si affrettò a raggiungere una delle porte dell’Espresso, tentando - nei modi più disparati - di sollevare il suo baule che, a quanto pareva, doveva contenere un drago per avere quel folle peso.

« Serve una mano? »

Un ragazzino dalla pelle color ebano e i capelli neri raccolti in una moltitudine di treccine, si sporse verso di lei, appoggiandosi saldamente alle pareti della carrozza. Aveva un viso simpatico e gentile, cosa che le ispirò immediatamente fiducia: chissà, magari sarebbero anche potuti diventare amici. Non che Cassiopea fosse una grande esperta in materia, intendiamoci. Vivere undici anni segregata in una casa di cui nessuno conosce l’esatta ubicazione geografica, con un elfo domestico come unica compagnia di giochi, non consente certamente di essere candidati a “Miss Popolarità”.

« Ti ringrazio, mi faresti un grosso favore » fece un sorrisino timido, portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
« Nessun problema! » tuonò gioiosamente, gonfiando il petto con aria di importanza. « É sempre un piacere aiutare donzelle in condizioni di seria difficoltà! »

Lei si lasciò scappare un risolino divertito, dopodichè lo aiutò a trascinare quel dannatissimo coso - contenente il suo intero armadio probabilmente -, riuscendo giusto a sollevarlo quel tanto che bastava per superare i gradini di ferro. Affaticati e un po’ ansanti si lasciarono cadere sopra i loro bagagli, tentando di riprendere quel minimo di fiato necessario alla sopravvivenza.

« Per la sottoveste di Morgana! » imprecò sonoramente, beccandosi qualche occhiata di rimprovero. « Ma che cos’hai lì dentro? » con un gesto secco si scostò alcune treccine dagli occhi, di un caldo castano scuro.
« Non ne ho idea » replicò ingenuamente, issandosi in piedi e sfregandosi le mani sui jeans chiari. « Forse un Troll o un Basilisco, non ne sono molto sicura » le sue labbra andarono a delineare un sorrisino di scherno, mentre tendeva un braccio per aiutare il ragazzino a rialzarsi.
« É molto probabile, sì » annuì, con l’aria di uno i cui pensieri stanno vorticando freneticamente nella testa. « Vieni dai, andiamo a cercarci un posto più tranquillo »

Schivarono agilmente i corpi dei ragazzi più grandi che ancora non ne volevano sapere di lasciare libero il passaggio, salutando a squarciagola qualche conoscente più in là, oppure trafficando con i pesanti bagagli che avrebbero dovuto essere appoggiati sull’apposita rete.
Per qualche minuto, furono costretti a fermarsi nel bel mezzo del corridoio - le braccia stanche a forza di trascinare i bauli e in viso l’espressione tipica di chi ha soltanto voglia di sedersi e di restarsene tranquillo per un po’ -, poichè qualcuno aveva avuto la brillante idea di fare andare a zonzo per il treno il proprio animale domestico, finendo per scatenare un vero e proprio putiferio all’interno della carrozza.

Dopo diversi sbuffi e lamentele, quando ormai erano già belle che scoccate le undici, i due ragazzini riuscirono miracolosamente a trovare uno scompartimento tutto per loro, godendosi finalmente la pace ed il silenzio che vi regnava. Si sistemarono nel migliore dei modi e alla fine, crollarono esausti sui sedili leggermente sfondati, spostando lo sguardo verso il finestrino per vedere scorrere l’incolta campagna inglese.

« Sarà un bel viaggio » sentenziò Cassiopea, dando qualche biscotto alla sua civetta.

Qualcuno aprì la porta in maniera piuttosto brusca ed indelicata, mentre il volto paffuto e rugoso di colei che sembrava essere un’adorabile vecchietta si sporse sulla soglia, sorridendo gioviale ad entrambi.

« Qualcosa dal carrello, cari? »

Com’era prevedibile, stavano letteralmente morendo di fame e - unendo le loro forze economiche - riuscirono a comprare praticamente di tutto, dalle più semplici Cioccorane ad un pacco intero di Gelatine Tutti i Gusti+1, lasciandosi anche regalare una scorta di Cioccocalderoni che sarebbe potuta bastare per l’intero anno scolastico.

« Arrivederci! » la salutarono, entusiasti. « E grazie! »

I sedili, adesso, traboccavano di una tale quantità di cibo che, sicuramente, sarebbero arrivati ad Hogwarts con una bella indigestione. Insomma, un vero e proprio record.

« Questo è il Paradiso! » commentò entusiasta il ragazzo, mangiucchiando distrattamente qualche Piperilla.

Cassiopea ridacchiò, sinceramente divertita dalla sua buffa espressione, ma non fece in tempo a rispondergli che la porta dello scompartimento venne spalancata un’altra volta, facendoli voltare incuriositi. Due ragazzi pressocchè identici, li osservarono disperati, mentre negli occhi azzurri brillava una sorta di supplica.



****



1° Settembre 1989, ore 12:28
Espresso per Hogwarts, Scozia.


Per un attimo di troppo, si guardarono tutti con aria spaesata, quasi come per cercare di capire che diamine ci facessero lì, su quel treno che sembrava sempre più in procinto di terminare la sua corsa in un qualche posto abbandonato chissà dove.

Fu il gemello più vicino a Cassiopea il primo a parlare, non prima di essersi schiarito nervosamente la voce. « Perdonate la nostra intrusione, messere e madamigella, ma il treno è così pieno... »     
« Già » concordò l’altro, annuendo freneticamente con il capo. « Probabilmente sono rimasti soltanto dei comodissimi posti in piedi, proprio degni della prima classe »
« Non è che, per caso, potremmo unirci a voi? »

Entrambi, si squadrarono come per chiedere il permesso e - alla fine, come risposta di un tacito e comune assenso -, optarono per una breve e veloce alzata di spalle, mostrandosi per nulla turbati da quell’intrusione.

« Prego, accomodatevi pure! » esordì il ragazzo, allargando le braccia come per dare loro il benvenuto in quel piccolo rifugio sicuro.

I gemelli si aprirono in due identici sorrisi e, una volta collocati i loro rispettivi bauli, si sedettero uno di fronte all’altro, spaparanzandosi comodamente con le braccia dietro la nuca.

« Menomale che siete arrivati » disse Cassiopea, porgendo ad entrambi una scatola contenente degli Zuccotti di Zucca. « Ci stavamo giusto domandando come avremo fatto a mangiare da soli tutto questo cibo, senza poi riuscire a non star male »
« Ehi, ma non ci siamo ancora presentati! » il ragazzino dalla pelle color ebano si tirò una sonora pacca sulla fronte.
« Mi sembra giusto » concordò il fratello vicino alla ragazza. « Noi siamo i gemelli Weasley. Lui è Fred mentre io sono George, tanto piacere »
« Lee Jordan, molto onorato! » sorrise in un modo così buffo e sincero, che fu impossibile per gli altri compagni di viaggio non ricambiare.
« E l’unica fanciulla che ha l’onore di condividere con noi il viaggio? » domandò Fred, poggiando i gomiti sulle ginocchia ed intrecciando le mani a mezz’aria, mentre la sondava con i suoi occhi azzurri.
« Cassiopea Meissa Black » recitò senza troppa convinzione, abbassando appena lo sguardo verso il pavimento.

Dopo aver svelato la sua identità, cosa che - ne era più che certa - aveva ottenuto un effetto stranamente sorpreso e a dir poco sconvolto, Cassiopea non era più così certa che ad Hogwarts avesse ancora potuto farsi degli amici. In fondo, la fama della nobile ed antichissima casata dei Black era palese a tutto il mondo magico, specialmente tra le famiglie dei Purosangue.

« Accidenti » sussurrò Lee con un tono quasi veneratore. « Sei davvero una Black? Insomma, pensavo che si fossero... estinti » confessò, mostrandole i palmi delle mani come a difendersi dall’ira che la ragazza non avrebbe mai mostrato. Non per quei motivi futili, comunque.
« Sì, sono davvero una Black » ripetè con poca convinzione. « Se lo desiderate posso andare a cercarmi un altro scompartimento, non c’è problema »
« E perchè mai? » chiese George con aria stralunata. « Andiamo, Cass! L’hai detto anche tu che, altrimenti, questi dolci non si finivano da soli e, adesso, vorresti lasciarci in preda ad un terribile mal di stomaco? »  

Proprio non riuscì a trattenere un sorriso divertito e grato: non si sarebbe mai aspettata una simile gentilezza da parte di persone pressocchè sconosciute. Chi lo sa, magari sarebbero potuti diventare grandi amici.

« Parlando di cose serie, ed accantonando l’immensa ed ignobile stupidaggine che la piccola Cassie stava per compiere... » seguitò Fred, guardandoli uno ad uno. « In che casa sperate di finire, una volta giunti ad Hogwarts? Sappiate che, se rispondete Serpeverde non riuscirò a tollerarlo »
« Tutta la mia famiglia è finita a Serpeverde » disse la ragazzina, fulminandolo con i suoi profondi occhi grigi.
« Per te farò un’eccezione, dolcezza » ribattè Fred noncurante, facendo un gesto secco con la mano. « Allora? » li esortò, sfregandosi le mani. « Forza, sputate i rospi! Non vi mangio mica! »
« Beh... » Lee si passò una mano sul mento, mentre una piccola ruga andava a delinearsi tra le sue sopracciglia contratte. « ...Mi piacerebbe molto Grifondoro, la culla dei coraggiosi e puri di cuore, ma... non so se... ecco, se sono adatto » gesticolò animatamente, diventando piuttosto nervoso, tant’è che fecero fatica a capire che cosa diamine stesse farfugliando. « Voglio dire: le caratteristiche che delineano quella Casa sono così... elevate! Insomma, come si fa a decidere se un ragazzino di undici anni deve appartenere a Tassorosso o a Serpeverde? E se sbagliassero? »
« Frena un attimo » Cassiopea lo interruppe con decisione, guardandolo come se dovesse essere urgentemente ricoverato al San Mungo. « Riprendi fiato, Lee »
« Sì amico, ci hai letteralmente storditi con le tue chiacchiere insensate! » Fred gli battè una poderosa pacca sulla spalla.
« Datti una calmata! » aggiunse George, sorridendo con un’espressione malandrina. « Insomma, non mi sembra tutto questo granchè dover superare una prova difficilissima per riuscire a capire a quale Casa appartieni »
« Sì, così è piuttosto semplice, no? » seguitò Fred con un luccichio sinistro nelle limpide iridi chiare. « Un duello è la soluzione perfetta! Se sarai buono e leale nei confronti del tuo avversario, Tassorosso sarà perfetta. Oppure, se dimostri una particolare e spiccata intelligenza direi che Corvonero è quella che fa per te »

Lee boccheggiò spaventato, le orbite talmente sgranate che gli occhi avrebbero potuto tranquillamente cadere sul pavimento. « Davvero?! Io... oh, accidenti! Lo sapevo, lo sapevo che avrei dovuto studiare qualcosa prima di partire! Per Merlino, sono spacciato! I miei genitori mi diserederanno all’istante e mi cacceranno di casa! »
« Puoi venire a stare da noi, amico. Non preoccuparti » disse George con fare comprensivo, lanciandogli un’occhiata che avrebbe dovuto essere impietosita.
« Esatto » concordò Fred, sorridendo. « Basta che tu non finisca a Serpeverde, eh?! »

Cassiopea si era trattenuta fin troppo: si accasciò ulteriormente sul sedile, scoppiando in una risata cristallina e gioiosa, attirando su di sè tre paia di sguardi incuriositi ed estasiati da quel suono così melodioso.

« Questa » disse tra i singhiozzi, asciugandosi alcune lacrime salate. « É la migliore cavolata che abbia mai sentito in tutta la mia vita! » e riprese a sghignazzare sommessamente, finendo quasi per rotolare a terra.
« CHE COSA?! » sbottò Lee, fingendosi arrabbiato ed offeso. « Mi avete preso in giro! E io che vi credevo dei nuovi e simpatici amici degni di nota! » incrociò le braccia al petto, voltando il capo dall’altra parte, ma questa sua reazione era così inverosimile e contrastante con il suo carattere solare, che i due Weasley seguirono immediatamente l’esempio di Cassiopea, finendo poi per contagiare anche lo stesso Jordan.

« Volete fare una partita a Sparaschiocco? Dovrei avere le carte, da qualche parte nel baule » propose Lee, sollevandosi in piedi sul sedile per riuscire a frugare meglio nel suo bagaglio personale. Alla fine, si ributtò a peso morto su di esso, schiacciando Fred, e sventolando trionfalmente un mazzo di carte dai colori sgargianti, tenute insieme da un elastico di gomma.
« Chi perde paga pegno, ovviamente! » esclamò George, sistemandosi meglio. « Giochiamo a squadre o singolarmente? »
« Singoli » decretò Fred perentorio. » C’è più gusto » e si soffermò ad osservare Cassiopea, facendole svettare verso l’alto un sopracciglio biondo.

Giocarono ininterrottamente per una mezz’oretta buona e il primo a perdere fu proprio il povero Lee, possessore delle carte magiche, che si lanciò in un lamento straziante e in continue lamentele di una noia infinita.

« Ma... non ci posso credere! » urlò sconvolto, raccogliendosi le treccine in una coda per tenersele lontane dal viso. « Non è possibile, voi... voi... » borbottò, cercando di trovare una scusa convincente a quell’ignobile oltraggio. « ...Voi avete barato! » incrociò le braccia al petto per poi annuire, soddisfatto della sua spiegazione più che ovvia.
« O, forse, più semplicemente, la colpa è tua perchè sei una schiappa » lo prese in giro Cassie, sorridendo e guardando attentamente le carte della sua prossima mano. « E lasciatelo dire da una che non è granchè brava nel gioco »

Fred e George ridacchiarono divertiti, mentre Lee la fissò con aria sconvolta, puntandole un dito contro.

« Tu... ti ho aiutato a caricare il baule sul treno! Merito un po’ più di riconoscenza da parte tua! » brontolò, sollevando le braccia al cielo e lasciandole cadere lungo i fianchi. « Questo non me lo sarei mai aspettato da una ragazza che sembra così dolce e gentile, ma che in realtà è una vera e propria serpe! »
« Oh, beh... » replicò, sorridendo angelicamente e stringendosi nelle spalle. « Qualcosa dovevo pur aver ereditato dal mio ramo della famiglia, no? »

Giocarono ininterrottamente altre cinque partite, fino a quando la ragazzina bionda non rimase l’unica imbattuta e non appena ebbe sconfitto George - l’unico in grado di tenerle fieramente testa per le ultime quattro -, gongolò soddisfatta, lasciando i tre ragazzi decisamente amareggiati per la sconfitta.

 « E menomale che non eri abile, eh? » si lagnò Fred, mentre una buffa smorfia andava a dipingersi sul suo volto. « George non abbatterti » gli tirò qualche consolatoria pacca sulla schiena. « Hai fatto del tuo meglio, fratellino. La verità è che quella lì è dotata di una fortuna sfacciata »
« Anzichè discutere su quanto io sia dannatamente brava » e sorrise, lanciando loro un’occhiata di malizioso scherno.« Indossate le divise, credo che stiamo per arrivare »

Si cambiarono velocemente, indossando le loro nuove vesti da mago alla meno peggio e, non appena furono presentabili, si avvicinarono al finestrino, gli uni schiacciati agli altri, con i nasi premuti contro il vetro freddo e leggermente appannato. Purtroppo li avvolse una cocente delusione, quando si accorsero che era praticamente impossibile distinguere il paesaggio circostante, a causa di un sottile strato di foschia che si era alzato a poco a poco, impendendo una visuale dettagliata.

Il treno rallentò gradualmente la sua corsa, fino a fermarsi completamente in una stazione alla periferia di un luogo denominato Hogsmeade. Stando a ciò che avevano raccontato Fred e George - ben informati in quanto i loro fratelli maggiori li avevano tenuti costantemente aggiornati - era uno dei villaggi magici più grandi della Gran Bretagna e gli studenti di Hogwarts potevano farvi visita nelle uscite prestabilite, a partire dal terzo anno.

Cassiopea scese dal treno con un leggero balzo, atterrando sul terreno umido e fangoso, riuscendo a scorgere nella penombra le migliaia di sagome degli studenti più anziani che si ammassavano per raggiungere a piedi un punto non ben definito, poco più avanti. Erano già pronti a seguirli, chiacchierando animatamente del più e del meno, quando un possente vocione li fece trasalire spaventati.

« Primo anno! Primo anno, da questa parte! »






Angolo dell'autrice:

Giuro solennemente di non avere buone intenzioni.

Ehilà, salve a tutti! :) Come vi butta? Spero bene, in fondo sono cominciate le vacanze estive! Dunque, di solito si dice: "Via il dente, via il dolore", no? Bene. E' un mese abbondante che non aggiorno questa storia (nonostante avessi questi primi due capitoli già belli che pronti) e non ci sono scusanti, ne sono consapevole. Purtroppo la sessione estiva all'università è massacrante, in tutti i sensi possibili: ogni anno è come ripetere costantemente l'incubo della maturità, con l'unica differenza che non finisce tanto in fretta. T.T Anyway, come se non bastasse, questo sarà l'ultimo capitolo che mi è possibile pubblicare al momento, visto che domenica parto per le mie tanto agognate vacanze al mare. :D Quindi ne ho approfittato e ho pensato di riaggiornare per "darvi un ultimo saluto" (?). Tornerò ad agosto per un paio di settimane, dopodichè ripartirò per un'altra breve vacanzina di qualche giorno. Comunque, spero che questo momento di pausa mi possa regalare un po' di ispirazione, cosa che ultimamente è mancata. E' mancata parecchio, devo ammettere. *Sospira pesantemente e scuote la testa*. Vabbè, ma non rattristiamoci troppo e passiamo a discutere di questo secondo capitolo!
Che ve ne sembra? Vi piace? Io non ne sono tanto convinta, sinceramente. Più che altro spero di aver reso i gemelli il più simile agli originali, perchè sono davvero due dei miei personaggi preferiti all'interno della saga e vorrei rendere loro omaggio nel modo migliore possibile. :) Abbiamo anche "rivisto" il nostro caro Lee Jordan e qui la mia fantasia ha un po' preso il sopravvento: insomma, dai racconti della Rowling, sappiamo soltanto che Lee è il migliore amico dei gemelli, che si diverte a fare scherzi con loro due a tutto spiano e che fa il cronista alle partite di Quidditch. Quindi, per quanto riguarda il suo carattere, ho avuto carta bianca: mi piace immaginarlo come solare e sempre allegro, difficilmente lo vedremo arrabbiato o depresso o chessò io. Diciamo che Lee sarà un po' l'ottimista della situazione, riuscirà a vedere unicorni e arcobaleni anche nei momenti più disparati.
E, per concludere, abbiamo fatto conoscenza con Cassiopea (meglio del capitolo precedente, insomma). Come avrete senz'altro notato, Cassie non è troppo felice di essere una Black e non è nemmeno fiera di sbandierare la sua discendenza ai quattro venti: sì, vive con Kreacher a Grimmauld Place (giuro che in seguito questa situazione sarà spiegata a dovere) ed è venuta a conoscenza delle vicende che riguardano la sua famiglia, soltanto che hanno assunto una piega diversa ai suoi occhi, diversamente da come le vedeva l'elfo domestico (con venerazione, gioia, eccetera). Però i ragazzi riescono a farle cambiare idea: perchè si sa che, quando si è piccoli, non si hanno pregiudizi di nessun genere. Era una cosa che mi piaceva molto e ho voluto metterla in evidenza. :) Nascerà una bella amicizia tra tutti quanti, ve lo prometto (anche se i casini non possono mancare, ad Hogwarts sono praticamente d'obbligo!). :p
Credo che anche per questa volta sia tutto, dal prossimo capitolo abbiamo lo Smistamento e l'entrata in scena di altre nostre vecchie conoscenze. :)
Bene, auguro a tutti voi delle belle vacanze (che siano al mare/montagna o in città) e di passare una buona estate, nel caso in cui dovessimo risentirci a settembre. :)
Un bacione a tutti e grazie mille a chi leggerà, recensirà e metterà tra le preferite/seguite/ricordate! :) Ah, e un grazie di cuore anche a chi la leggerà silenziosamente. :)
Alla prossima e ancora buone vacanze!


Fatto il misfatto.

Giorgia.   

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