West Point

di Hoshimi_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***



Ian fu investito da un soffio di aria gelida quando scese dal pulmino bianco dopo quattro lunghe ore di viaggio: non aveva scambiato molte parole con gli altri ragazzi e uomini seduti attorno a lui fino a poco prima; nessuno sembrava trovare imbarazzante il silenzio che si era creato ma anzi tutti volgevano lo sguardo altrove, persi nel pensiero della vita e delle persone che stavano lasciando.
Ma non Ian Gallagher. Per tutta la durata del tragitto si era concentrato su ogni dettaglio possibile in quel bus, imparando a memoria persino l'abbigliamento del ragazzo seduto di fianco a lui; cercando di non pensare che ogni secondo di più lo stava separando per quattro anni dai suoi cari.
Non sapeva se doveva presentarsi o meno, tentare di instaurare un dialogo in quel freddo silenzio che tanto si rispecchiava nel paesaggio invernale; ma optò di serbare futuri tentativi di socializzazione per i giorni seguenti.
Una volta sceso dal pulmino, si mise in riga, stretto tra le spalle di due uomini di una spanna più alti di lui, sperando che il suo lieve tremore non rivelasse il suo nervosismo: sentiva la gola bruciare ad ogni respiro, le guance rosse per il gelo. Un caporale robusto e dall'aria arcigna fece l'appello e indirizzò ognuno di loro verso un edificio, assegnando al contempo una stanza.
''Gallagher, Ian. edificio C, stanza 24.''
Prese la sua sacca e si diresse confuso verso una costruzione che si trovava di fronte a lui, senza sapere bene cosa avrebbe dovuto fare: chiedere indicazioni sarebbe stato fuori luogo. Si maledisse per non essere rimasto qualche secondo in più per sentire se qualcun altro era stato assegnato al suo stesso posto e seguirlo. Si fermò sulla soglia dell'ingresso, indeciso se muoversi o meno.
''Ian Gallagher''
Si girò, negli occhi il terrore di aver commesso qualche sbaglio già il primo giorno, ma si riprese presto: era solo il ragazzo seduto di fianco a lui nel pullman.
''Già perso?''
Non aveva ancora pronunciato una parola e già passava per la matricola di turno. ''In realtà..''
''Tutti i miei cazzo di fratelli hanno frequentato West Point- disse sfiorando con la mano il muro alle sue spalle- da piccolo venivo qui a salutarli ogni tanto. Il tuo dormitorio è lì'' Lo sguardo di Ian il suo cenno a destra e rispose farfugliando un ''Grazie'' dirigendosi goffamente verso la direzione indicata, l'eco di una risata soffocata alle sue spalle.
Poco dopo giaceva steso nella sua branda, le mani dietro la testa, intento a guardare il soffitto: lasciava vagare i pensieri su quella giornata che era passata come una nuvola di fumo. Si sentiva fuori posto, sbagliato. Nulla gli apparteneva. Non lì.
La stanza si stava lentamente riempiendo.
C'erano una trentina di brande separate da un corridoio; la sua era l'ultima, adiacente a una delle due finestre della camera.
Ian si guardò intorno, cercando volti famigliari che sapeva di non poter trovare; almeno fino a quando non entrò con passo cadenzato il ragazzo che gli aveva indicato la stanza: non sembrava interessato alle persone che la occupavano né si aggirava con aria confusa cercando la propria branda. Si stava avvicinando sempre di più a lui, così Ian si alzò, non sapendo bene cosa dire o fare: il ragazzo attraversò il poco spazio che li divideva e si sedette sul letto accanto.
''Allora Gallagher ti sei ambientato?''
Difficile non cogliere l'ironia palese nella sua voce, accompagnata da un sorriso di scherno.
Non si dette la pena di rispondere.
Invece si distese di nuovo supino sul duro materasso, preferendo la contemplazione del soffitto alla sfacciataggine di quel ragazzo saccente; lui d'altro canto ne sembrava divertito.
Ian provò d'improvviso l'istinto di tirargli un pugno in piena faccia, in maniera da cancellare quel sorriso dalla sfumatura sarcastica che non si era tolto nemmeno per un istante: lui conosceva quel posto, probabilmente aveva degli amici, chissà quanti comandanti si era arruffianato nel corso degli anni.
Mille pensieri si affollavano nella sua testa, mescolati a sentimenti di invidia per uno sconosciuto la cui unica colpa era di avere una famiglia che lo aveva istruito ad una futura carriera militare.
Come poteva detestare così profondamente una persona che nemmeno conosceva? Era ridicolo.
Stava per scusarsi per il suo comportamento quando un uomo in divisa entrò nel camerone: tutti abbandonarono le loro attività per posizionarsi sull'attenti di fianco alla propria branda.
Tutti tranne il ragazzo di fianco a lui, che anzi voltava palesemente le spalle al comandante appena giunto.
''Milkovich''
Il ragazzo scrollò la testa e sbuffando si alzò di mala voglia facendo ciondolare le braccia. Ian avrebbe giurato di aver sentito un ''vaffanculo'' appena percettibile uscire dalla sua bocca.
''Ci si vede in giro, Gallagher''
Detto questo uscì seguendo a poca distanza il caporale.

                                                                                                                   ***
L'ora di coricarsi arrivò presto quel giorno.
Tutti i ragazzi nella stanza sembravano stanchi, ma un leggero chiacchiericcio si stava diffondendo mentre socializzavano con i rispettivi vicini.
Ian non aveva avuto questa fortuna. Il suo vicino di branda non era ancora tornato e nessun altro pareva disposto a lasciare il proprio giaciglio per attraversare la stanza nella penombra in modo da conoscere il ragazzo dai capelli rossi seduto con le spalle al mondo: una lampadina pendeva dal soffitto, rischiarando a malapena l'angolo in cui si trovava. La luce che lo sfiorava era quella della luna, la quale faceva risaltare la sua pelle lattiginosa costellata di leggere efelidi.
Aveva appena chiuso gli occhi, quando sentì il rumore della porta che sbatteva, mentre passi veloci percorrevano la stanza fino ad arrivare alla branda di fianco alla sua: percepì il rumore stridulo delle molle del materasso non appena lui si stese su di esso.
Ian lo udì borbottare qualche vaffanculo sottovoce mentre lo armeggiava impacciato con le coperte.
Sapere che era tornato lì lo faceva sentire al sicuro: che cosa insensata. Solamente perchè quel ragazzo aveva dimostrato falsa gentilezza verso di lui, già lo reputava un punto di riferimento; doveva smetterla di avere quella dannata fiducia nelle persone.
Fu improvvisamente assalito dalla paura di quello che lo aspettava il giorno dopo, dall'ansia di tutti gli sguardi che l'avrebbero giudicato ed esaminato. Il suo respiro cominciò a farsi affannato, sentiva la pelle farsi rovente, stava perdendo il controllo.
Doveva concentrarsi, ricordarsi di stare calmo.
''Stai calmo Ian, cazzo. Calmati''
Il suo orecchio percepì il lieve respiro del ragazzo steso a meno di due metri da lui: era regolare e leggero, con un ritmo scandito da intervalli precisi.
Non sapeva per quanto l'avesse ascoltato, ma ad un certo punto si rese conto di essersi rilassato.
Per la seconda volta in quelle 24 ore quel ragazzo l'aveva aiutato senza nemmeno saperlo: l'indomani avrebbe come minimo dovuto chiedergli il nome.
Qualche minuto dopo scivolò nel sonno senza nemmeno accorgersene.

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


All'alba Ian fu svegliato dal suono acuto ed intermittente di una sirena. Balzò immediatamente su dal letto e si mise la divisa in fretta.
''Che cazzo stai facendo?''
A quanto pareva anche il suo vicino si era svegliato, ma non sembrava disposto a muoversi di un millimetro dalla sua posizione.
''Non voglio fare tardi. E non dovresti neanche tu.''
''Che cazzo me ne frega''
Evidentemente i motivi per cui era lì non lo convincevano tanto quanto quelli di Ian.
''Hai idea di cosa cazzo sia previsto per oggi?''
Ian non capì se la sua domanda era seria o lo stesse solo prendendo in giro, nel dubbio abbassò il capo, gli occhi a terra.
''No.'' 
''Beh andiamo a scoprirlo.''
Si alzò dalla branda senza cambiarsi, vestito solo con canottiera e tuta; Ian rimase interdetto per qualche istante e poi lo seguì.
Dopo una serie infinita di corridoi e scale uscirono dall'edificio: poco dopo il ragazzo si fermò:''Fumi?''
''Certo.''
Gli passò una sigaretta e si appoggiò al muro:
''Allora Gallagher, che cazzo ci fai in questo posto?''
Ian si prese un lungo momento per rispondere, approfittando della pausa che gli concedeva la sigaretta tra sue labbra; decise di ignorare la domanda ponendone una a sua volta:
''Cosa ti sei fatto alle mani?''
Non aveva potuto fare a meno di notare dei segni pallidi su ciascun dito della lunghezza di una falange: ad una prima occhiata gli erano sembrate cicatrici.
Il ragazzo reagì alle sue parole con una risata:
''Queste?
Diciamo che sono il prezzo da pagare per entrare qui''
Guardò Ian di sottecchi cercando nei suoi occhi una traccia che rivelasse le sue paure, ma lui non ne mostrò.
''Ora dammi tu una cazzo di risposta''
''Diciamo che è il prezzo da pagare per dimostrare che valgo qualcosa''
In quel momento un ragazzo in divisa uscì dalla porta passando loro davanti, trapassandoli con una veloce occhiata che lo costrinse a fermarsi poco dopo
''Mickey che ci fai qui? Dovresti essere nella palestra''
Ian si sentì ferito per non essere stato minimamente considerato, anche se grazie a quella domanda ora conosceva il nome del suo compagno di stanza; aveva la strana impressione che se gliel'avesse chiesto lui gli avrebbe mentito.
''Fottiti Joe'' 
Il ragazzo fece un passo avanti, trovandosi faccia a faccia con Mickey:
''Sai che questa volta non ti sarà data una seconda possibilità, fratellino''
Mickey lo fissava diritto negli occhi con un'espressione di disgusto e malcelato odio nei confronti dell'altro.
''Levati.''
Gli diede una spinta e se ne andò velocemente.
''Aspetta''
Ian lo raggiunse in poche falcate.
''Dovremmo essere nella palestra già da cinque minuti''
Mickey non diede segno di averlo sentito, continuò a camminare verso un edificio lungo e grigio costruito da poco
''Gallagher non rompere''
Ad Ian non parve il momento più adatto per mettersi a discutere.
Una piccola folla si era radunata sulle porte, i nuovi allievi, e si accalcava per entrare: una giovane donna assegnava ad ognuno una tuta militare e poi lo lasciava passare. Ian si mise in fila aspettando il suo turno, ma Mickey non sembrava disposto a perdere il suo tempo in quel modo: si fece avanti a spintoni tra gli altri ed entrò fregandosene della ragazza che gli porgeva gli indumenti.
Ian si diresse allo spogliatoio: una nuvola di vapore proveniente dalle docce lo investì non appena aprì la porta; all'interno era pieno di uomini dai fisici scolpiti ed addominali perfetti. Questa volta non si sentì affatto inadatto o imbarazzato: aveva passato gli ultimi due anni ad allenarsi, temprando corpo e mente; riusciva a fare 100 flessioni con un chilometro in 4 minuti e colpiva un bottone da 100 metri con un fucile. 
Sentiva l'adrenalina scorrergli nelle vene, era ansioso di dar prova delle sue capacità, di correre fino a sentire i polpacci dolere e magari di doppiare un paio il suo compagno di stanza, al quale piaceva tanto credersi superiore.
Si diresse con un sorriso provocato da questi pensieri verso la grande palestra illuminata dal sole nascente dell'alba.

                                     ***

La luce fioca inondava la palestra da sei grandi vetrate poste al di sopra delle gradinate che circondavano il pavimento in par    quet; il coach teneva in mano un cronometro e con il fischietto richiamava all'ordine eventuali perditempo che si mettevano a chiacchierare o non stavano al passo. Ian si mise dietro ad un gruppo che si apprestava a scendere in pista, cercando al contempo di individuare Mickey.
Non fu difficile trovarlo: era il primo della fila. La sua espressione non tradiva affatto la stanchezza dovuta allo sforzo, ma anzi non sembrava essere intenzionato a cedere il passo ad alcuno. Ian iniziò a correre. Si meravigliò di come ad ogni falcata le braccia muscolose di Mickey si muovessero in armonia con il corpo, accompagnando le gambe in un gesto naturale. Ian accelerò. Gli altri erano troppo distratti o insonnoliti per dare peso al ragazzino nuovo che li superava fino ad arrivare ad una spanna da quello che stava in testa.
Ian provò un brivido intenso e inaspettato quando lo raggiunse. Mickey non dovette nemmeno girarsi a controllare chi avesse di fianco. Un piccolo sorriso spuntò sul suo volto, mentre mordicchiandosi il labbro inferiore con i denti aumentò la velocità di corsa. Ma Ian non lo mollava, seppure incapace di superarlo. Stava per parlargli quando il coach fischiò e richiamò i ragazzi all'ordine.
'' Milkovich. Ci hai stranamente degnati della tua presenza questo semestre?''
'' Persino saltare le lezioni stava iniziando ad annoiarmi. E poi se non ci fossi io chi batterebbe i nuovi arrivati?''
'' Sembra che i nuovi arrivati fossero sul punto di superarti ma abbiano deciso di trattenersi. Non e' vero signor...?'' Il coach guardò palesemente Ian negli occhi, con un'espressione di compiacimento sul volto. '' Il suo nome?'' Ian si mise dritto e a testa alta pronunciò:
''Gallagher'' '' Bene. Gallagher. In coppia con Milkovich: 100 flessioni. 50 dorsali. 50 addominali. Chi finisce per primo potrà fare a meno di ripetere l'esercizio per il resto della giornata.''
Divise in questo modo tutti i presenti e dopo che ognuno si fu posizionato in un angolo del campo con a fianco il compagno stabilito, diede il fischio d'inizio.
''Allora Gallagher. Volevi sapere dei segni no?''
 ''Sì.'' Giochiamocela allora. Vinci e ti dirò cosa mi sono fatto. '' E se vinci tu?'' '' Mi farò venire in mente qualcosa.''
Ian era consapevole di poterlo battere senza problemi. Finì le 100 flessioni in poco tempo; però nella sua mente continuava a chiedersi cosa mai gli avrebbe potuto chiedere Mickey in caso della propria sconfitta. Per un attimo lo sfiorò l'idea di perdere di proposito...
Iniziò i dorsali, mentre l'avversario era ancora indietro. Successivamente gli addominali.
Finì.
Ian ebbe come l'impressione che Mickey non avesse dato il massimo in quella gara, seppure la posta in gioco fosse alta.
''Complimenti Gallagher, ottimo tempo. Milkovich, credo avrai tutto il tempo di migliorarti nelle cinque ore che ti aspettano.''
Il coach li lasciò e si diresse verso altri ragazzi.
Ian si sedette e reclinò la testa, sudato per la fatica dell'esercizio.
''Allora?''
''Non ci sei ancora arrivato?''
Ian attese la risposta in silenzio e ad occhi chiusi, mentre il suo respiro tornava regolare, al contrario dei battiti del suo cuore.
''Tatuaggi, Gallagher.''

                                                                                                             ***
Il resto della giornata passò velocemente per Ian, che potè sfruttare la classe pomeridiana di matematica per pensare alle parole di Mickey. Quei pallidi segni sulle sue dita erano dunque tatuaggi.
Conosceva bene la politica del centro di addestramento, così come quella dell'esercito: niente tatuaggi, se non in parti non visibili del corpo. Ian sognava di entrare a West Point da quando aveva 10 anni e mai avrebbe fatto un'azione che avrebbe potuto impedirglielo. Mickey, al contrario, sembrava ben disposto a trasgredire le regole, anche se questo poteva condurlo ad un'espulsione.
Avendo rivelato quel piccolo dettaglio, era come se avesse voluto condividere una piccola parte di sé, di vita con lui; come se avesse cercato di dirgli qualcosa che andava oltre quella confessione.
Ian ci aveva riflettuto parecchio sopra eppure ancora non capiva perchè tra i tanti cadetti la scelta fosse ricaduta proprio su di lui: Mickey era il classico ragazzo popolare per le sue bravate, quello che prende a botte le matricole per il puro piacere di farlo o per il potere che ne poteva derivare. Pareva che anche gli altri se ne fossero resi conto: spesso lo attorniavano, desiderosi di attenzione o gloria, seppure sempre respinti. Mickey non sembrava desideroso di un pubblico :'' Mi sembra di avere sempre una folla attaccata al culo, cazzo.'' Aveva detto un giorno a pranzo. Non c'erano certo dubbi che al suo passaggio calasse il silenzio, sostituito poi da bisbigli e occhiate di sbieco.
Come potesse conoscere tutto il personale, continuava a rimanere un mistero; seppur Ian si riservasse una domanda al riguardo nei i futuri allenamenti in palestra.

                                                                                                                   ***

Quella sera Ian tornò in camera presto e si distese sul letto, deciso a dedicarsi al libro che sua sorella Debbie gli aveva regalato prima che partisse. Non era neanche arrivato alla terza pagina, che Mickey entrò nel camerone, esibendo con aria noncurante una lattina di birra e una bottiglia di Jack Daniel's.
''Ma sei matto? Non ci è permesso bere.'' '' Oh andiamo Gallagher, cosa sei una femminuccia?'' '' Sono uno che non vuole essere espulso alla sua prima settimana.'' '' Non è poi così male essere espulsi...'' Aggiunse con un sorriso sarcastico; a queste parole Ian si fece più attento, domandandosi se stesse dicendo sul serio.'' Senti. Le regole dicono di non bere all'interno del campus. Possiamo uscire.''
'' Scherzi.'' ''Dai. Neanche se ne accorgeranno. Puoi sempre rimanere qui a.. Cosa stavi facendo?'' Buttò un'occhiata interrogativa al libro che teneva in mano. ''Niente.''
Gettò un ultimo sguardo al letto. Si sarebbe cacciato in un guaio. Lo sapeva. 
Si alzò, sorpreso dalla scarica di adrenalina che stava percorrendo il suo corpo, e prese dalle mani di Mickey la bottiglia di Jack Daniel's. Se la girò tra le mani e disse:'' Allora dove andiamo?''
Mickey sorrise e corse fuori '' Stammi dietro se sei capace.''
Uscirono in fretta dall'edificio e si diressero verso il bosco che delimitava l'area intorno ad esso, così da avere ancora vicine le luci delle stanze. In lontananza si sentivano delle risate, provenienti probabilmente da qualche sala dove i loro compagni stavano distraendosi  o discutendo. Si sedettero tra gli alberi, non distanti dalla luce di un lampione e si misero a bere.
Ian non era molto tollerante all'alcool e si era ubriacato poche volte sino ad allora, non volendo indebolire il suo fisico; ma non lo avrebbe certo ammesso di fronte a Mickey, che -ci scommetteva -aveva molta più esperienza di lui in quel campo. Così si portò alle labbra la bottiglia di Jack Daniel's e bevette un lungo sorso che gli mandò in fiamme bocca e gola. Quando si girò vide che Mickey lo stava guardando con aria divertita '' Prima volta eh?'' Non rispose. 
''Dà qua.'' Gli prese di mano la bottiglia e buttò giù una lunga sorsata.
Chiacchierarono per un po', passandosi la bottiglia e  finendo le sei lattine di birra che Mickey era riuscita a rimediare chissà dove.
Poi Ian disse: ''Mi hai lasciato vincere oggi.'' Non c'era ombra di dubbio sulla sua affermazione, eppure il suo tono di voce pretendeva una spiegazione.
''Ma che cazzo?'' '' Non ci hai neanche provato.''
Silenzio.
''Fanculo Gallagher. Passamela.''
Ian aveva in mano la bottiglia di Jack Daniel's, perciò Mickey dovette allungare la mano per averla, ma lui la tenne stretta.
''Perchè?'' Non avrebbe ceduto tanto facilmente.
Mickey gli si scagliò addosso e lo atterrò.
''Dammela Gallagher.''
Ian credette di aver una presa salda sulla bottiglia fino a quando non la sentì scivolare dalle sue mani e cadere; il liquido ambrato sparso sul suolo.
Ian scoppiò a ridere. Non sapeva il perchè ma quella situazione lo stava divertendo molto.
''Smettila di ridere o ci farai beccare.'' Il tono di voce di Mickey tradiva il sorriso sul suo volto, coperto dall'ombra della notte. Ian cercò di raddrizzarsi ottenendo come unico risultato una caduta che sembrò aumentare la sua felicità.
''Alzati.'' Gli porse una mano.
La afferrò ma ricevette una spinta con troppa forza e si ritrovò con la faccia a pochi centimetri da quella dell'altro ragazzo.
Silenzio.
Le risate in lontananza sembravano essere svanite, così come le luci. Come il mondo di West Point.
Ian sentiva il proprio respiro mescolarsi a quello di Mickey, i loro odori confondersi.
Il suo odore gli faceva girare la testa.
Chiuse gli occhi e respirò l'aria fredda che li circondava.
La mano di Mickey era ancora stretta alla sua.
Lo sentì armeggiare con la cintura dei suoi pantaloni militari.
Continuò a tenere gli occhi chiusi anche quando sentì i pantaloni scendere e la mano abbandonata lungo il fianco.
La diresse di fronte a sé, all'altezza degli addominali, dove sapeva avrebbe trovato la testa di Mickey. Gli strinse forte i capelli, mentre gli calava lentamente le mutande.
Poi il buio.

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Ian strizzò gli occhi quando fu svegliato dalla luce del sole che entrava dalla finestra: la testa gli pulsava fortemente e percepiva nella sua bocca la lingua impastata.
Si girò dando le spalle ai pallidi raggi che tangevano il suo corpo e il movimento gli provocò il voltastomaco; allungò una mano verso la pancia e dal ruvido contatto dei polpastrelli contro la superficie della tuta realizzò di essere andato a dormire vestito.
Nella sua mente vagavano ricordi indistinti, nei quali Mickey lo sorreggeva dietro una recinzione mentre vomitava il liquido ambrato che aveva bevuto la sera prima, o dove il ragazzo lo stendeva a letto assicurandosi che stesse bene e coprendolo con una coperta; aveva inoltre un'immagine impressa nella mente in cui le mani di Mickey sfioravano la pelle del suo addome giocando con l'apertura della sua cintura, ma la respinse prima che da essa potessero scaturirne altre.
Era stranamente adirato con quel ragazzo: come si permetteva di farlo ubriacare così in quel posto? Di trasgredire le regole in quel modo strafottente?
Aveva faticato per entrare a West Point, fatto doppi turni e supplicato il padre di prestargli del denaro con la promessa che in futuro l'avrebbe restituito. Ora arrivava lui, con quella camminata spavalda e quell'atteggiamento da uomo vissuto, con i suoi misteri e sicurezze e voleva distruggere tutto quello per cui aveva lottato?
Decise di chiedergli spiegazioni il più presto possibile e di chiudere quell'amicizia malsana prima che andasse troppo oltre.
Dopo vari tentativi riuscì ad alzarsi dal letto e con camminata ciondolante si diresse a lezione.
L'aula di fisica si trovava nell'ala est del campo e quando vi si recò la trovò occupata da pochi allievi, tra i quali riconobbe Mickey, che si trovava nell'ultima fila, all'ombra di una libreria colma di tomi. Ian si diresse con passo fermo verso il banco situato di fianco a lui, spostandolo leggermente a destra per evitare le righe di luce che entravano dalle tapparelle abbassate. Mickey era seduto in maniera scomposta, le braccia lungo i fianchi, un piede appoggiato ad un cassetto che sporgeva da una scrivania vicina. Non diede segno di averlo notato, né alzò lo sguardo quando Ian tirò indietro la sedia con eccessiva enfasi lasciandosi cadere su di essa a peso morto.
Mentre Ian si sporgeva dal banco per parlare all'altro entrò l'insegnante previsto per quell'ora e fu costretto a rimandare la conversazione ad un momento successivo.
La lezione trascorreva lentamente: le parole dell'insegnante, un uomo magro e vestito elegantemente, si disperdevano nell'aria arrivando ad Ian distanti e confuse; il ragazzo cercava di carpirne il senso focalizzando la sua attenzione sulla bocca dell'insegnante, quando in realtà continuava a guardare con la coda dell'occhio Mickey che tamburellava ritmicamente la sua penna contro il banco creando un suono metallico e fastidioso.
''La vuoi finire?'' Sibilò il ragazzo dai capelli rossi, voltandosi di scatto dopo una mezz'ora di ticchettii fastidiosi.
Mickey si fermò irritato, senza distogliere lo sguardo dal cappuccio argentato della biro, gli occhi azzurri con un'insolita sfumatura malinconica.
Battè d'impulso ancora due volte la penna e si alzò dirigendosi verso la porta e chiudendola forte dietro si sé sotto lo sguardo noncurante del professore, che continuava a sproloquiare teorie alle quali nessuno prestava ascolto.
Ian si costrinse a rimanere seduto e a non seguire Mickey dovunque stesse andando. Doveva seguire la lezione.
Non si sarebbe fatto distrarre ancora.
Iniziò a giocherellare con la sua cintura, sperando di calmare il tremore di nervosismo che stava pervadendo le sua mani.
Ebbe un flash: mani che sfilavano la sua cintura, mani forti, dei segni pallidi che risaltavano sulle dita.
''Cazzo.''
La sua esclamazione irruppe facendo calare un imbarazzante silenzio sull'aula.
Si alzò di colpo, scosso e incurante degli sguardi interrogativi che lo seguirono fino alla porta.
Doveva cercare Mickey.

                                                                                                                                  ***

Trovò il ragazzo dietro ad una struttura abbandonata, appoggiato alla parete con una sigaretta in mano, gli occhi azzurro cielo persi del vuoto.
''Mickey.''
Ian pronunciò lentamente e piano il suo nome, con un piccolo accenno di timidezza, tanto che la parola suonò come una domanda.
Lo sguardo del ragazzo si fece meno vacuo, concentrandosi sulla voce di Ian e sul fremito che stava provando sentendo il proprio nome uscire dalle sua labbra, tentando di ignorarlo senza dare a vedere quanto lo avesse scosso.
Ian attendeva una risposta, gli occhi impazienti fissi sull'altro cercando di carpire le riflessioni: sulla sua fronte corrugata si stagliavano delle lunghe linee ondulate che racchiudevano pensieri a lui proibiti; le sopracciglia, leggermente alzate riflettevano l'insieme di stupore e scetticismo tipici del ragazzo.
Il suo corpo era rilassato, nonostante gli innumerevoli mozziconi di sigarette ai suoi piedi, sintomo del nervosismo che stava provando.
''Cosa è successo ieri notte?''
Ian fece un passo in avanti per trovarsi di fronte a Mickey che continuava a tacere senza il coraggio di sostenere lo sguardo dell'altro.
''Ti sei ubriacato. Ti ho riportato a letto. Fine della storia.''
Fece per andarsene ma Ian gli afferrò la spalla premendola contro il muro.
''Non mi stai dicendo tutto.''
''Hai vomitato addosso a me e a te. Neanche ti reggevi in piedi; non c'è di che comunque.''
Ian non voleva fare l'insolente continuando con quelle domande pressanti, ma doveva sapere... Doveva sapere se quel flash era stato un prodotto della sua immaginazione o se c'era qualcosa di vero; se il modo in cui l'aveva toccato era stato reale o un mero scherzo della sua fantasia mescolata all'alcool.
I suoi occhi stavano comunicando le parole che non riusciva a dire, riflettendosi in quelli di Mickey che invece sembravano tormentati quanto un mare in tempesta.
''Sappiamo entrambi cosa è successo.''
La voce di Ian era calma, lo sguardo fisso sul volto di Mickey alla ricerca di un segno che gli desse una qualche conferma.
''Vaffanculo Gallagher.''
Si divincolò con agilità dalla sua presa, dirigendosi a passo spedito verso il dormitorio.
Quando Ian tornò a letto quella sera gettò un'occhiata veloce al letto del vicino: i suoi effetti personali erano spariti, la brandina vuota.


                                                                                                                                     ***
Ian e Mickey non si parlarono per mesi.
Quando si incrociavano nei corridoi non si guardavano nemmeno e se per caso si trovavano costretti a qualche attività insieme la eseguivano contro voglia e senza parlare: Ian aveva cercato più volte di abbandonare quell'atteggiamento ostile provando ad instaurare un dialogo e a scusarsi -sebbene fosse convinto di non aver fatto nulla di male- eppure niente sembrava essere in grado di smuovere Mickey dalla sua apatia.
Con il passare del tempo aveva lasciato da parte ogni tentativo di riconciliazione; si era fatto nuove amicizie, notando da lontano come Mickey invece non fosse intenzionato a relazionarsi con gli altri membri del campo.
Peggio per lui.
Ian era lì e ci sarebbe stato sempre.
E lui lo sapeva perfettamente.

Ian era particolarmente di buon umore dal momento che quel fine settimana si sarebbe tenuta la giornata di accoglienza delle famiglie dei cadetti del campo: non vedeva l'ora di riabbracciare la sua famiglia.
Telefonò a suo padre con la speranza che non si fosse dimenticato di quella circostanza così importante per lui.
Gli rispose la sua sorella maggiore.
''Fiona!''
''Ian! Come stai? Come vanno le cose lì?''
''Benissimo, spero di potervi raccontare tutto questo fine settimana.''
''…''
''Sai... La giornata di accoglienza?''
''Oh. Ero sicura fosse la settimana prossima.
Chiederò a Lip d portare gli altri.''
''Ma non ci vediamo da mesi!''
''Mi dispiac... Hey Robbie!
Scusa Ian ci sentiamo più tardi.''
''Ma-''
Aveva messo giù.
''Fantastico.'' Mormorò il ragazzo tra sé, indeciso se strappare la cornetta dall'apparecchio telefonico o contenere l'ira che lo stava pervadendo.
Scelse la seconda opzione e si allontanò di corsa dal centralino, diretto verso uno spazio aperto in modo che l'aria fredda potesse schiarirgli i pensieri e sciogliergli il nodo alla gola che stava nascendo insieme a lacrime di delusione.
L'avevano dimenticato.
Erano passati solamente pochi mesi e già non era più parte delle loro vite. L'emozione che aveva provato nel sentire la voce della sorella dunque non era stata uguale per entrambi né altrettanto importante: quando aveva deciso di iscriversi a West Point nessuno lo aveva appoggiato o era stato orgoglioso di lui dopo che aveva superato i test di ammissione a pieni voti.
Sentì i suoi occhi verdi velarsi di lacrime, appannandogli per poco la vista, il suo respiro si fece affannoso in cerca di un'aria che non riusciva a respirare; cercò di auto controllarsi e di non crollare lì, nel bel mezzo del campus dove tutti lo potevano vedere.
Corse verso una porta di servizio alquanto anonima e la oltrepassò sperando con tutto se stesso di non trovare nessuno all'interno.
La porta cigolò quando la aprì e si trovò in un locale illuminato a stento da un anonimo neon sul soffitto. Si acquattò in un angolo buio, rannicchiandosi su se stesso e premendo forte gli occhi contro le ginocchia.
Non era il primo attacco di panico che aveva.
Sentiva i polmoni dilatarsi in cerca di aria, eppure non riusciva ad inspirare: era come se ci fosse qualcosa oltre alle lacrime a bloccargli naso e bocca così da impedirgli di prendere fiato.
Sentiva il corpo insolitamente inerte, abbandonato in quell'angolo di nulla.
Doveva solo calmarsi e poi tutto sarebbe andato...
Tutto sarebbe..
No. Niente sarebbe andato bene.
Era solo.
A nessuno importava di lui.
L'avevano lasciato solo.
Sentì la porta aprirsi di scatto e sussultò.
''Ian.''
Il tono di Mickey non era sorpreso, ma quasi sollevato.
Attraversò il piccolo corridoio che li divideva e si sedette accanto a lui.
''E' tutto sbagliato.'' ''Va tutto bene.''
Pronunciarono le frasi nel medesimo istante e il loro contrasto fece spuntare un sorriso sul volto scavato dalle lacrime di Ian.
Mickey lo guardava di sottecchi, la testa inclinata cercando gli occhi dell'altro il quale nascondeva ancora il viso contro le ginocchia; passò l'indice lungo il suo braccio sperando di calmarlo, ma poteva sentire i fremiti che stavano lo stavano scuotendo.
''Hey, non deve andare per forza così.''
''Ah no?''
C'era l'eco di un sorriso amaro in quelle parole.
'''Ian, Cristo ascoltami.''
Ian girò la testa di qualche centimetro, attento alle parole di Mickey.
''Mi dispiace ok?
Tu hai delle possibilità qui.
E... E non voglio che incasini le cose per colpa mia''
Ian alzò la testa appoggiandola contro il muro; una lacrima rigò la sua guancia, percorrendo poi il collo e fermandosi sul colletto della t-shirt: stava respirando le parole di Mickey, che avevano la capacità di calmarlo e salvarlo dal vuoto in cui si stava perdendo.
Mickey si allungò verso il suo volto, gli occhi azzurri di uno che si specchiavano in quelli verdi dell'altro, e accostò le labbra a quelle di Ian con un tocco timido e delicato mentre gli circondava la testa con una mano e con l'altra continuava ad accarezzargli il braccio lentamente.
E lento fu il loro bacio, lente le labbra sovrapposte le quali lasciarono che le lingue si trovassero e si unissero con decisione lambendosi a vicenda.
Le mani di Ian circondarono i fianchi di Mickey mentre altre lacrime sgorgavano dai suoi occhi.
''Hey. Shh.
Va tutto bene.
Shh.''
Mickey baciava con dolcezza ogni lacrima prima che potesse arrivare alla mascella dell'altro.
Ian cercò di nuovo la bocca di Mickey, impaziente di ristabilire il contatto tra le loro lingue. Gli girava la testa mentre con affanno premeva le proprie dita contro l'addome del ragazzo, stringendone i fianchi e strofinando allo stesso tempo la lingua contro la sua senza dargli il tempo di riprendere piano.
Il contatto tra le loro bocche gli faceva desiderare di essere sempre più vicino a lui, tanto da far aderire il proprio corpo a quello dell'altro ragazzo. Sentiva il suo sapore pervadergli la bocca ed era sicuro che non gli sarebbe bastato mai.
Emise un gemito quando Mickey si staccò da lui con il sorriso in volto per dargli un bacio in fronte e circondarlo in un abbraccio.
Ian si rifugiò in quella stretta, premendo il viso contro la scapola di Mickey che lo cingeva circondandolo con le sue braccia.
Credeva sarebbero rimasti così per sempre.
Sapendo che non l'avrebbe lasciato.
Non questa volta.
Non lui.

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


La giornata dell'accoglienza si tenne la domenica seguente: il cielo era plumbeo e freddo quanto l'aria gelida che si infilava sotto i maglioni e le tute di famigliari e cadetti.
Le costose macchine di parenti e amici erano iniziate ad arrivare di prima mattina, colme di bambini dagli occhi curiosi agghindati per l'occasione e genitori ansiosi di rivedere i propri figli.
Ian si alzò con calma, cercando di fare ogni azione abituale con molta più lentezza di quanto richiedesse, nella vana speranza di non illudersi che i suoi fratelli sarebbero arrivati.
''Hai intenzione di metterci ancora molto?''
La voce familiare che proveniva dalle sue spalle lo fece sorridere di sorpresa e voltatosi riconobbe il volto del fratello maggiore il quale lo stava salutando: gli corse incontro stringendolo in un forte abbraccio.
''Come mi hai trovato?''
''Ho chiesto a qualunque persona incontrassi se sapeva dove potevo trovare un ragazzo dai capelli rossi.
A quanto pare ce ne sono pochi.
Sei il terzo tentativo.''
Risero insieme, contenti di riunirsi dopo tanto.
''Carl e Debbie?''
''Si sono ammalati, erano molto dispiaciuti di non poter venire ma mi hanno fatto promettere di darti questo da parte loro.''
Allungò un sottile pacchetto rettangolare, che Ian si affrettò a scartare rivelando il contenuto:'' Deadpool!''
Esclamò sorpreso, rigirando tra le mani uno dei suoi fumetti preferiti.
Dopo averlo sfogliato con aria soddisfatta lo appoggiò sul comodino e si avviò entusiasta con Lip al fianco ansioso di fargli conoscere ogni parte del campo e ogni persona.
Una in particolare.

                                                                                                                                         ***

 

Gli mostrò le aule descrivendogli ogni professore nei minimi dettagli; la palestra e le aree di svago.
Si stavano avviando al buffet che si sarebbe tenuto nell'atrio dell'edificio principale quando Ian intravide nella massa di persone i capelli corvini scompigliati e gli occhi preoccupati di Mickey.

Allungò la mano per salutarlo, ma il ragazzo non lo vide. A testa bassa camminava al seguito di un uomo dall'aria autorevole vestito con una divisa e con tanto di medaglie al petto: procedevano lungo la folla con serietà senza parlare con nessuno.

''Chi è quello?'' Lip si protese curioso mentre la gente intorno a loro iniziava a mormorare e sussurrare.
'' E' il generale?''
'' Non può essere venuto.''
''Shh sta passando.''
'' Non ne ho idea'' Rispose Ian.
Avrebbe chiesto spiegazioni a Mickey più tardi.

Solo quando i due li oltrepassarono Ian notò che con la sua imponente statura l'uomo nascondeva dietro di sé una ragazza che aveva gli stessi occhi e capelli di Mickey: con andatura sicura stava attraversando il varco che si era creato per lasciar passare quelli che evidentemente erano pezzi grossi.
Lei indossava un paio di pantaloni eccessivamente corti – specialmente per la temperatura che c'era in quel momento- che le mettevano in risalto le gambe oltremodo magre; era avvolta però in un maglione di lana color verde bosco che stringeva a braccia incrociate.
Non appena vide un caporale si illuminò e gli corse incontro abbracciandolo: ad Ian ci volle qualche istante per capire che era lo stesso che un tempo aveva chiamato Mickey ''fratellino''.
Quindi quella doveva essere la sua famiglia.
La sorella si girò e con un aria allegra tirò un pugno scherzoso sulla spalla di Mickey che rispose con un sorriso fiacco e con occhi vuoti.
''Quello è il Generale Milkovich.''
Si era avvicinato loro un compagno di stanza di Ian, un certo Thomas, che sembrava essere informato sul conto di quell'uomo.
''Lo conosci?''
'' Certo.. Grande uomo, il Generale. Ha combattuto in Vietnam salvando molti dei suoi uomini. Tutti i suoi figli hanno frequentato West Point.
Certo l'ultimo sembra dare del filo da torcere tanto a lui quanto agli educatori qui.
Forse dovrebbe solo arrendersi, tutti hanno una pecora nera in famiglia.''
Ian strinse le labbra ed i pugni, punto nel vivo dalle affermazioni che quel ragazzo stava facendo su Mickey.

Nel frattempo lo strano quartetto si era avviato verso un corridoio, diretto in chissà quale sala della struttura.
Ian senza perdere un attimo si fece strada spintonando tra la folla, sentendo a malapena l' ''Hey!'' del fratello che nel tentativo di fermarlo era quasi finito a terra.
I Milkovich entrarono in una delle tante sale conferenze che colmavano il corridoio color ocra che Ian si affrettava a percorrere. Giunto davanti alla porta non seppe bene cosa fare: dopo qualche secondo di esitazione notò che in alto c'era una finestrella di vetro. Si alzò in punta di piedi, accostando il volto contro la superficie fredda: il Generale si era seduto ad un lato di un tavolo da conferenze, davanti a lui sedeva composto quello che Ian presumeva fosse il figlio Joe che lanciava rapide occhiate al fratello scomposto e dall'aria noncurante.
''Non sono più disposto ad accettare il tuo comportamento.'' Le parole arrivarono leggermente attutite, ma il tono con cui l'uomo le aveva pronunciate era serio e non ammetteva repliche.
Mickey fece una smorfia con le labbra guardando in basso.
''Mi hai sentito?'' Alzò il tono di voce tanto che Ian lo sentì senza problemi.
''Sì, Generale.''
La sua voce diventò sprezzante quando si rivolse al padre con quell'epiteto.
''Non parlarmi con quel tono.''
Joe cominciò a muoversi, evidentemente a disagio a causa della situazione: sembrava talmente immobile che Ian si chiese se stesse respirando o meno.
''Oh ma finitela voi due.''
Ian fino a quel momento non aveva notato che la ragazza che li aveva accompagnati stava vagando curiosa per la stanza senza curarsi della discussione che stava avvenendo tra i suoi famigliari.
Non sembrava molto preoccupata, ma anzi divertita.
Ian sorrise tra sé, sollevato che qualcuno stesse cercando di allentare la tensione che da un momento all'altro pareva poter esplodere.
''Non permetto che mi venga fatto un tale affronto.''
La ragazza si voltò con aria compiaciuta verso Mickey, che ricambiò lo sguardo con un sorriso sincero.
Il padre non sembrò apprezzare l'ilarità che si stava formando nell'aria.
''Mi hai sentito Mickey?
Non posso più tollerarlo.
Non posso più tollerarti.''
''Quindi cosa pensi di fare?''
''Mandarti via. Ormai è inutile che tu stia qui.''

Mickey non si scompose nell'udire quelle parole.
Ian non capiva come facesse a stare così calmo.
''Non diciamo cazzate.''
Il padre rivolse al figlio una gelida occhiata.
''Non so cosa stia succedendo, ma non mi piace.
Mi farò riferire ogni tuo movimento se sarà necessario.
In futuro ti darai una regolata o lo farò io.
Intesi?''

Ian sentì una mano sulla spalla e per poco non cadde dallo spavento. Lip gli rivolse uno sguardo interrogativo indicando col capo alla porta, dalla quale pochi istanti dopo uscì il Generale Milkovich con il maggiore dei suoi figli al seguito.
Ian, che non sapeva bene come comportarsi in quella circostanza, si mise dritto e accennò un saluto con un cenno: aveva fretta di vedere Mickey ma sapeva di che non poteva correre nella stanza. Non poteva abbracciarlo.
Sfiorargli le labbra.
L'uomo indugiò sul suo volto per così tanto tempo che Ian pensò potesse leggere le sue intenzioni e sentimenti come se fossero stati scritti sulla sua fronte. Abbassò lo sguardo, fissando con imbarazzo le scarpe nere e lucide che indossava.
''Soldato.'' Disse quello con tono secco, non notando Lip che si era appoggiato contro il muro ; dopo di che con passo deciso si lasciò alle spalle i due giovani.

Ian aspettò che svoltasse l'angolo per precipitarsi nella stanza e trovare Mickey intento a parlare con la sorella; non sapeva bene come comportarsi quindi si limitò a cercare con lo sguardo il ragazzo per accertarsi che stesse bene: il volto di Mickey si illuminò alla vista del ragazzo e lasciò perdere la conversazione con la sorella per alzarsi dalla sedia ed andargli incontro.
Ma la giovane fu più veloce di lui.
''Allora Mickey... Non mi avevi detto di avere degli amici così carini.''
Disse scoccando un occhiolino a Lip ed Ian che in risposta divenne rosso quanto i suoi capelli.
''Mandy sei senza speranze''- disse Mickey ridacchiando e scuotendo il capo, poi abbassando la voce:'' Quello a destra è Ian.''
Quando pronunciò quel nome i tratti del suo viso si addolcirono, quasi fosse fiero di mostrare il ragazzo alla sorella.
''Ah... Ian dunque?'' Mandy fece un sorriso sornione mentre studiava il ragazzo da capo a piedi.
''Io sarei Lip, se a qualcuno dovesse interessare.''
Lip si avvicinò allungando la mano verso i due fratelli che si presentarono a loro volta.
Iniziarono a parlare del campo e prima che Lip potesse fare troppe domande Mandy lo prese a braccetto e lo portò fuori ''Ho sentito che c'è un buffet delizioso nell'atrio.'' E così dicendo lo condusse fuori salutando dalla porta Ian che le rivolse uno sguardo pieno di gratitudine.
Era certo che sospettasse qualcosa.

''Non mi avevi mai det..''
Mickey colmò con un passo la distanza tra loro e fermò il flusso di parole con le proprie labbra, prendendo la mano di Ian nella sua.
''Stasera, nella stanza dell'ala nord.''
Si staccò sospirando e lasciò Ian nel mezzo della stanza con il cuore che batteva all'impazzata.
 

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


Quella piccola stanza era diventato il loro rifugio.
Si incontravano lì nei fugaci attimi tra una lezione e l'altra e vi trascorrevano le fredde notti invernali uscendo di nascosto dalle loro stanze: colmavano il tempo con le parole e se queste finivano si cercavano con le loro bocche. Mickey con il capo in grembo ad Ian si perdeva nel suono della sua voce che raccontava quanto amasse i fumetti, la sua famiglia e la vita che stava realizzando lì.
Egli era più riservato, abituato da sempre ad essere timido e schivo, evitava con destrezza le domande sul suo passato concedendo di rado dettagli su tutte le volte che si era fatto espellere dal campo e di come suo padre avesse tentato in ogni modo di farlo riammettere. Ian non apprezzava molto le descrizioni delle sue bravate, specialmente perchè provava una sorta di venerazione per quel campus ed era fiero di farne parte.
In questi casi lasciava cadere il discorso scuotendo la testa e si abbandonava alla stretta dell'altro.
Quella sera però Mickey sembrava disposto finalmente a dare delle risposte, quindi Ian arrivò con un certo anticipo al luogo di ritrovo.

L'altro ragazzo giunse poco dopo, fradicio a causa del temporale che stava imperversando fuori: fortunatamente quella stanza aveva dei riscaldatori che davano una piacevole sensazione di calore a chiunque entrasse,
Ian lo trovò incredibilmente sexy, tanto da non riuscire a trattenersi dal passare la propria lingua sulle labbra mentre lo guardava: i suoi capelli scuri erano cosparsi di gocce di piggoai che ricadevano lungo la faccia, scivolando poi piano sul mento; la maglietta nera che indossava aderiva agli addominali rendendoli ancora più evidenti. Dovette fare un grande sforzo su se stesso per rimanere appoggiato alla parete e fingere un'espressione noncurante.
Mickey, d'altra parte, sembrava pienamente consapevole del fascino che stava esercitando sul ragazzo dai capelli rossi, tanto da salutarlo con un sorriso provocante. Ian non potè fare a meno di fissare lo sguardo su quelle morbide labbra aperte, incredibilmente rosse a causa del freddo; desiderando lisciarle a sua volta con la propria lingua.
Si morse l'interno della guancia, indeciso su cosa fare.
''Alla fine come è andata con tuo padre?''
''Beh sai niente di che. Non l'ho più visto molto.
Meglio così.''
''Non mi avevi detto che tuo padre è un generale.''
''Non ti ho detto nemmeno quante volte vado al cesso al giorno. Ti interessa?''
''Si dà il caso che sia una cosa leggermente più importante della tua frequenza al bagno.''
L'uno stava reggendo il gioco all'altro, accompagnando ogni frase con un sorriso.
''Cos'è ti sei messo a fare il duro?'' Lo stava deliberatamente provocando.
Ian scosse la testa, conscio che neanche per quel giorno avrebbero parlato della vita di Mickey e di quello che l'arrivo e le minacce di suo padre potevano significare.

Ian si avvicinò a Mickey, il quale gli circondò i fianchi con le braccia passando poi le dita sul bordo dei pantaloni militari stuzzicando l'elastico del boxer. Le mani salirono successivamente lungo le anche, infilandosi sotto la maglietta e lasciando la pelle d'oca dove passavano. Ian assaporò le sue labbra bagnate, stringendole piano trai denti e sentendo l'acqua fredda scendergli in gola. Il gusto della lingua di Mickey avvinghiata alla sua gli stava provocando una piacevole sensazione al basso ventre proprio dove ora lui lo stava sfiorando. Mickey posò una mano sul collo di Ian, forzandolo ancora di più contro di lui mentre il suono dei loro respiri affannati riempiva la stanza.
I neon sopra le loro teste funzionavano ad intermittenza ed Ian, che sapeva che l'interruttore si trovava alla sua destra, spinse Mickey contro di esso facendo così calare il buio nella stanza.
Con un sorriso sulle labbra Mickey strattonò Ian per un braccio trascinandolo con lui sul pavimento dove quest'ultimo si mise a cavalcioni sopra di lui.
Lo fissava divertito, passando le dita tra i suoi capelli.
Si abbassò leggermente per permettere a Mickey di sfilargli la maglietta, cosa che fece a sua volta gettando la t shirt bagnata da un lato e leccando con la propria lingua calda le parti di pelle ancora bagnate a causa del temporale.
Nel frattempo l'altro si era allungato per abbassare i propri pantaloni e quelli del ragazzo dai capelli rossi; gli accarezzò le cosce con un movimento lento fino ad arrivare all'inguine per poi tornare giù fino alle gambe piegate di lato ai suoi fianchi.
Ian, il quale stava ancora indossando i boxer, strusciò il proprio membro contro il ventre del ragazzo con un movimento graduale e continuo. Mickey stava per perdere il controllo: lo afferrò per i fianchi e costringendolo ad aderire al suo corpo gli sussurrò all'orecchio:''Scopami Gallagher.''

Ian si rialzò divertito e con un sorriso si portò due dita alla bocca avvolgendo attorno ad esse la lingua ed impregnandole di saliva; Mickey allargò allora le gambe, permettendo all'altro di infilare le dita nel suo retto: quando le ebbe spinte dentro completamente si lasciò sfuggire un gemito appena bisbigliato che Ian fermò contro le proprie labbra.
Mickey tracciò con il proprio indice una linea che dall'addome arrivò al pube dell'altro: Ian sorrise e guidò la sua mano lungo il membro, che l'altro iniziò a toccare delicatamente con la propria mano muovendola avanti e indietro.
Quando Mickey percepì che il pene era diventato duro nella sua stretta, lasciò la presa permettendo ad Ian di penetrarlo.
Muoveva il bacino avanti e indietro, andando sempre più a fondo dentro Mickey che dovette affondare le dita nelle cosce di Ian, percorso da una sensazione di eccitazione crescente.
Dio, voleva che andasse avanti per sempre.
Voleva sentirlo dentro di sé.
Spinse la mano contro il suo ventre, volendo prendere la pelle e tirarlo a sé per sentire ogni parte del proprio corpo contro la sua.
E Ian avvertiva il suo bisogno e spingeva sempre più velocemente, sempre più a fondo mentre si stendeva sopra di lui respirandogli concitatamente addosso.
Con le mani gli sfiorò il petto, per scendere poi lungo i fianchi toccando il suo corpo ovunque potesse raggiungerlo.
''Cristo, Ian.''
Riusciva a stento a parlare così che il suono uscì soffocato.
''Mmm?''
Steso sopra Mickey, sentiva il membro di lui eccitarsi: afferrò il ragazzo per le spalle e inarcandosi strofinò contro il pene l'addome facendolo scendere e salire con lentezza allo stesso modo in cui si stava muovendo dentro di lui.
Lo sentì premere sugli addominali fino a quando non raggiunse l'orgasmo spargendo il liquido seminale sul suo torace.
Mickey lo prese frenetico per le anche, spingendole verso di lui, forzando Ian all'interno di sé; e avrebbe voluto scavare nella sua pelle, morderla perchè ancora non gli bastava quello che aveva, perchè il suo desiderio di lui sembrava insaziabile.
E quando Ian venne, facendolo godere come mai gli era successo in precendenza, per la prima volta si rese conto che Ian era suo.
Dio, era suo.
Quel pensiero lo frastornava.
Lui era ovunque.
Lo stava respirando.
Lo amava.

Preso da questa consapevolezza non gli diede il tempo di riprendere fiato, ma si lanciò contro di lui con la necessità di sentire la sua lingua avviluppata alla propria; le loro bocche l'una sull'altra gli stavano scatenando una sensazione nella quale avrebbe voluto annegare.
Lo attirò verso di sé, facendolo stendere sul pavimento.
''Come ti senti?''
Gli domandò il ragazzo dai capelli rossi il quale era percorso da piccoli brividi causati dal contatto con il pavimento gelido.
Mickey si alzò dopo essersi infilato le mutande, andando a prendere una coperta che aveva portato lì qualche settimana prima: la stese sopra ad Ian e si rimise vicino a lui sul pavimento.
Ian lo circondò in un abbraccio.
''Mi sento libero.'' Disse solamente, mentre pensava '' Quello che io e te abbiamo mi rende libero.''














 

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


 

''Mandy? Ho bisogno che tu mi faccia un favore.''
La ragazza si arrotolò la cornetta attorno all'indice, felice di poter essere d'aiuto al fratello.
''Spara.''
''Devi comprarmi una cosa e portarmela entro la prossima settimana.''
''Dimmi tutto.''
'' E' un fumetto. Tipo... Death pols? Qualcosa del genere, non so.''
''Deadpool scimmunito. Ma dove vivi?''
''Ma che cazzo ne so siete voi che conoscete ste cose non so neanche come sia fatto un cazzo di fumetto.''
La sentì sospirare.
''Cos'è ti sei dato alla lettura?''
''E anche se fosse?''
''Hey vedi di trattarmi un po' meglio o sai dove te lo ficco il fumetto?''
''Sì contaci.
Mi serve un'edizione speciale però'' Aggiunse, riferendole quella di cui Ian parlava da mesi.
''A te o a Ian?''
''Fanculo.''
''Dai non fare il coglione raccontami come va con lui, sembra così carino.''
''Ciao Mandy.

E fammi sapere se lo trovi.''
Mise giù il ricevitore scuotendo la testa: sua sorella era incredibile: riusciva sempre a intuire quello che gli passava per la testa; le era bastata un'occhiata per capire cosa stava succedendo con Ian.
Lei era stata la sua sola ed unica confidente, c'era sempre stata quando lui aveva avuto bisogno di qualcuno e aveva accettato la sua omosessualità prima ancora che lo facesse lui.
Ian pareva piacerle molto anche per il fatto che nessun ragazzo era mai riuscito ad instaurare un legame con Mickey come lui; perciò sapeva di aver fatto bene a rivolgersi a lei.
Voleva fare una sorpresa ad Ian per il suo compleanno che sarebbe stato la settimana seguente: era riuscito perfino a corrompere la cuoca – si conoscevano da anni ormai- ottenendo una fetta di torta per quella giornata.

Mickey spesso pensava di non meritare affatto Ian: non poteva credere stesse rischiando la sua posizione all'interno del campo per un casino vivente come lui; senza contare il fatto che viveva nel terrore che qualcuno li scoprisse e andasse a riferirlo a suo padre.
Queste considerazioni lo portavano spesso a mettere in discussione la loro relazione, fino ad arrivare al punto di porvi fine; ma non riusciva nemmeno a formulare con parole quel pensiero dal momento che era ormai conscio del fatto che aveva un bisogno fisico di lui.
Quando non erano insieme si preoccupava che potesse accadergli qualcosa, tanto che in più di un'occasione aveva abbandonato i propri corsi per accertarsi che Ian stesse bene: gli bastava affacciarsi alla finestra dell'aula dove si trovava ed accertarsi che fosse semplicemente lì, attento a qualche lezione o perso con lo sguardo in un mondo tutto suo.
Non poteva fare a meno di sorridere guardandolo, così indifeso e bello, con l'inconsapevole capacità di fargli salire allo stomaco quella piacevole ed unica sensazione mentre i battiti del suo cuore aumentavano.

In quel momento stavano correndo all'aperto con il loro gruppo: per gli altri era impossibile stare al ritmo di Ian e Mickey che infatti erano in testa.
Con l'arrivo della primavera gli istruttori avevano permesso che si allenassero nei boschi, quindi ognuno se la prendeva comoda non preoccupandosi di mantenere ritmo e concentrazione.
''Abbiamo energie da vendere oggi eh?''
Mickey stava dietro ad Ian con fatica, stupito dall'energia che il ragazzo sembrava avere.
''A quanto pare sì.''
Rispose voltandosi e abbagliando l'altro con il suo sorriso.
Poco dopo si fermò in mezzo agli alberi; un raggio di sole illuminava il suo viso facendo risaltare ancora di più i suoi capelli arancioni e la sua pelle bianca.
''Hai finito Iron Man?''
Gli occhi di Ian brillarono di felicità nel sentire quelle parole.
''Hey, ti sei informato sui fumetti!''
''Volevo capire cosa ti piaceva tanto di loro... Forse il fatto che siano palesemente dei finocchi.''
Ian alzò gli occhi al cielo divertito.
''Sta zitto e baciami.''
Gli prese il volto tra le mani e si protese verso le sue labbra.
''Ma sei matto?'' Mickey si ritrasse di scatto.
''Che c'è'?''
''E se qualcuno ci vedesse?''
Ian allargò le braccia in un gesto di rassegnazione:'' Sei fissato.''
''Non voglio che ti succeda niente di male.''
Ad entrambi ci volle qualche attimo per assimilare quella frase: Mickey non era mai stato così apertamente sincero con Ian.
''Mickey so difendermi, e poi stiamo sempre anche troppo attenti.''
''Sì ma...''
''Ma niente.''
Ian lo prese per i fianchi, sbattendolo contro l'albero di fronte a sé.
Mickey sentiva i frammenti di corteccia contro la sua schiena e perciò la inarcò premendosi contro il petto di Ian, le mani che gli circondavano la schiena.
Ian inclinò il volto e posò le labbra su quelle di Mickey.
Quest'ultimo si abbandonò a quel tocco lasciando che le loro lingue si trovassero in movimenti ormai familiari e si accarezzassero a vicenda.

All'improvviso sentirono un rumore alle loro spalle ed entrambi si fermarono, i cuori che battevano all'impazzata per il terrore di essere stati scoperti. Ian si affacciò al di là dell'albero nel tentativo di intravedere qualcuno ma non riuscì a distinguere alcuna figura tra gli alberi.
''Te l'avevo detto cazzo.''
Mickey si stava sfregando le tempie con le dita cercando di mettere in ordine i pensieri mentre camminava con ansia avanti e indietro.
''Magari era solo qualche animale..''
Ian non capiva da dove venisse tutto quel pessimismo.
''Sì certo qualche animale che adesso andrà a spifferare tutto al capo dipartimento.''
''Cos'è non ti andrebbe di fare outing?''
Ian lo guardò di sottecchi con un mezzo sorriso sperando di alleviare la sua preoccupazione. Alla fine Mickey rispose con un'espressione rassegnata, slanciandosi poi nuovamente attraverso il bosco.
Sperava di far fluire i pensieri concentrandosi sullo sforzo fisico, rilasciando così anche l'adrenalina che sentiva scorrere nelle sue vene a causa dello spavento preso poco prima.
Aveva uno strano presentimento, un timore che stava strisciando sotto la sua pelle e che si manifestò chiaramente sul suo volto.
''Sei paranoico.''
Disse scherzosamente Ian, il quale l'aveva raggiunto e stava correndo di fianco a lui.
''Con un tipo come te siamo fortunati ad essere ancora tutti interi.''
''Cosa vorresti insinuare?''
''Niente. Solo... Promettimi che starai attento.''
Lo sguardo di Mickey svelava tutta la sua apprensione.
''Promesso.''

Tornati al campus si separarono, ognuno diretto al proprio dormitorio con l'accordo di vedersi per mezzanotte al loro nascondiglio.
Quando Mickey tornò nella sua stanza intravide una figura seduta a gambe incrociate sul suo letto.
''Heu tu! Ma che cazzo?''
''Bel modo di salutarmi dopo che ho fatto tutta questa fatica per arrivare in tempo.''
''Mandy!''
La ragazza si alzò e Mickey le corse incontro abbracciandola.
''Fai il ruffiano solo perchè ti ho portato quello che mi hai chiesto. Sono in tempo no? L'11 maggio è domani.''
Sorrise nel vedere l'espressione stupita sulla faccia del fratello.
''Andiamo Mick, non penserai mica che a casa me ne stia con le mani in mano.''
Mickey aggrottò la fronte non capendo a cosa si stesse riferendo la sorella.
''Non sei l'unico Milkovich a passarsi un Gallagher al momento.''
Gli fece un occhiolino.
''Mandy non ci posso credere.''
''Eh già, il fratellino mi ha detto che pel di carota avrebbe compiuto gli anni presto e quindi ho pensato di sbrigarmi con la nostra piccola commissione.''
La ragazza estrasse con delicatezza dalla sua borsa un sottile fumetto e lo consegnò al Mickey.
''Ti ho risparmiato il pacchetto: troppo gay. Sei già perso abbastanza per quel ragazzo. Non voglio vederti con una coroncina di fiori in testa la prossima volta che torni a casa.''
''Ti piacerebbe.''
Mickey la prese per i fianchi, facendole il solletico e ricevendo in risposta una gomitata scherzosa nel petto.
''Non sciuparla, ho fatto i salti mortali per trovarla.''
Miceky guardò la copertina, da dove il protagonista sembrava fissarlo con sguardo critico.
''La adorerà.''
Sorrise riconoscente ''Allora come va a casa?''
Mandy si rabbuì stringendosi nelle spalle:'' Sai le solite cose... Noia. Il Generale. Noia.''
''C'è qualcosa che vuoi dirmi?''
''Lip è davvero ben dotato, anche Ian?''
Mickey arrossì ''Non tentare di sviare l'argomento.''
''Non sto sviando un bel niente, sono solo curiosa. Dai raccontami di Ian Palle Di Fuoco Gallagher.''
''Falla finita.'' Disse ridacchiando e le pizzicò il braccio.
A quel tocco la ragazza rabbrividì e si portò d'istinto una mano sopra il punto che il fratello aveva toccato.
'''Non credevo di averti fatto così male, fammi vedere.''
Cercò di tirarle su la felpa ma lei si oppose con forza.
''Mandy fammi vedere.''
Il suo tono si fece serio, così lei abbandonò la mano sul fianco e gli permise di vederle il braccio: era coperto di lividi neri recenti, che ne cerchiavano altri giallognoli, più vecchi.
''Mandy ma che cazzo?''
''Non è niente. Ho solo fatto una rissa con delle stronze a scuola.''
Mickey alzò le sopracciglia ''Mandy sai che puoi dirmi tutto.''
''Te lo sto dicendo, davvero.'' Il suo sguardo si addolcì.
''Ora devo proprio scappare.'' Gli rivolse uno sguardo di scuse, baciandolo frettolosamente sulla guancia :'' Poi dimmi come è andata con il tuo ragazzo.''
''Non è il mio..''
Le urlò mentre correva via ma ormai aveva voltato l'angolo.

Ian era disteso sul letto, le braccia dietro la testa mentre fissava il soffitto: avrebbe passato la notte del suo compleanno con Mickey e questo pensiero lo riempiva di felicità tanto da farlo sorridere da un'ora intera.
Guardò l'orologio sul suo comodino che segnava le 23.30; non riusciva più a stare fermo a letto, così si alzò sperando che Mickey avesse avuto la sua stessa idea e fosse già al luogo stabilito.
Nonostante fosse maggio si mise il cappuccio sulla testa, augurandosi che nessuno lo riconoscesse a quell'ora della notte; si diresse verso l'atrio passando per i corridoi bui uscendo infine all'aria aperta.
Dopo aver percorso solamente pochi passi nella ghiaia sentì dei rumori alle sue spalle: si voltò e fu colpito da una sbarra di metallo in pieno volto.

Riprese conoscenza qualche secondo dopo: la sua faccia insanguinata era premuta contro il terreno ghiaioso da un anfibio nero; sentiva i sassolini lacerare la sua pelle conficcandosi nella ferita aperta sulla guancia, in bocca un sapore metallico.
''Cazzo.'' Bisbigliò, il sangue che gli colava dalla bocca.
In quel momento un altro anfibio lo colpì dritto nello stomaco, costringendolo
a rannicchiarsi in posizione fetale e a tossire altro liquido cremisi.
''Alzati finocchio.''
Ian era immobile in uno stato di shock.
''Cos'è le gambe non ti funzionano?''
Un piede calò con forza sulla sua gamba.
Il crack dell'osso rotto fu sovrastato dall'urlo che uscì dalla gola di Ian e lacerò la notte silenziosa.
''Hey, non vorremo mica attirare l'attenzione qui.''
Uno degli uomini in piedi si accucciò di fianco ad Ian e gli imbavagliò la bocca.
''Vi prego.'' Cercò invano di formulare il ragazzo.
Il suo volto era ricoperto di lacrime, gli occhi spalancati in un grido che la sua bocca non poteva emettere.
Un altro calcio lo colpì in faccia, sollevando il suo corpo in modo che ricadesse di schiena.
''Così lo uccidete.''
Una voce spaventata e più distante giunse alle orecchie di Ian, a cui però non riuscì a collegare un volto; la testa gli pulsava troppo per riuscire ad elaborare un pensiero coerente e stava per vomitare a causa dell'acuto odore di sangue.
''Fammi divertire solo un altro po'.''
L'uomo che gli aveva rotto la gamba si avvicinò e,tirando per il colletto il corpo inerte di Ian, iniziò a prenderlo a pugni sulle tempie fino a che la sua testa si reclinò all'indietro priva di forze.
''Andiamocene, presto.''
Abbandonarono il ragazzo a terra in una posizione innaturale.

Mickey stava aspettando Ian da mezz'ora; seduto a terra con un braccio appoggiato al ginocchio fissava il tavolino davanti a lui dove risplendeva nel buio totale della stanza la fiamma di una candelina sopra una fetta di torta; il regalo giaceva di fianco a lui.
''Fanculo.'' Mormorò tra sé e spense la piccola fiamma con un soffio.
Uscì dalla stanza sbattendo con rabbia la porta, chiedendosi dove diavolo fosse finito Ian, la sensazione di timore che l'aveva attanagliato in precedenza stava tornando a tormentarlo.
Attraversò di corsa l'ala est del campus, evitando i lampioni e le guardie agli ingressi: rallentò solamente quando intravide da lontano una figura immobile stesa a terra.
''Cazzo.''
Scattò senza darsi il tempo di respirare, con i polmoni che bruciavano insieme ai suoi occhi.
''Cazzo cazzo cazzo cazzo cazzo.''
La prima cosa che vide fu il rosso che aveva sostituito la tonalità diafana del suo volto: c'era sangue ovunque.
La sua gamba era piegata in un'angolazione impossibile, gli occhi verdi vitrei.
Raggiunse il corpo di Ian e si gettò su di lui sostenendolo tra le braccia.
''Gesù Cristo, Ian.
Mi senti?''
Lo scosse.
''Ian rispondimi cazzo.''
Non era nemmeno sicuro che stesse respirando.
Con mano tramanti gli tolse il bavaglio che gli circondava la bocca; successivamente premette un orecchio contro il suo cuore incapace di sentirne i battiti a causa degli spasmi che lo stavano percorrendo; iniziarono a sgorgargli calde lacrime dai occhi, mentre stringeva Ian contro il suo petto.
''Ian non puoi farmi questo.
Hai capito?
Non te lo permetto.''
Non riusciva ad inspirare, la gola bloccata nel tentativo di prendere aria eppure incapace di farlo.
Ian giaceva inerte contro di lui.
Appoggiò la sua testa contro la propria sussurrando ''Avevi promesso.''
I suoi occhi azzurri velati di lacrime si spensero.
''Avevi promesso.''
Non sentiva più niente.
''Avevi promesso.''

''Avevi promesso.''


 

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***



Sembrava di essere immerso in un sogno, un mondo lontano in cui persone dai camici bianchi pronunciavano parole vaghe e distanti, che Mickey riusciva a stento a comprendere tra i bip della macchina collegata ai polmoni di Ian:
Frattura di due costole
Bip
Rottura della tibia
Bip
Trauma cranico
Bip
Danni celebrali.
Bip
Coma
Bip


Questo suono era diventato ormai un rumore distante e familiare per Mickey tanto che credeva lo avrebbe sentito in sottofondo per il resto della propria vita: quella lentezza e monotonia che si traducevano in onde calme ed inesorabili sul monitor l'avrebbero fatto impazzire.
Il ragazzo si era rifiutato di lasciare Ian anche solo per un momento, mangiando e dormendo di conseguenza nella stanza dalle pareti verde menta dell'ospedale: un colore che gli dava ora la nausea, insieme al profumo stagnante dei fiori che aveva portato la sua famiglia.
Seduto su una sedia di fianco al letto, stringeva con dolcezza la sua mano, non sapendo chi dei due fosse l'ancora dell'altro, e si addormentava reclinando la testa di fianco al suo braccio, con la spreanza che una mattina si sarebbe risvegliato con lui che gli accarezzava i capelli.
Ogni volta che scivolava nel sonno si affacciavano alla sua mente ricordi sfocati: lui che faceva irruzione nell'ospedale del campus con Ian sanguinante e senza segni vitali tra le braccia; il suo viso rigato da pioggia e lacrime che gli impedivano di vedere distintamente le figure che si affollavano intorno a loro; il tempo che scorreva a rallentatore mentre strappavano il ragazzo dalla sua stretta; le mani che si rifiutavano di lasciarlo.
Era rimasto immobile nell'entrata per un'ora fissando con sguardo perso il corridoio lungo cui avevano condotto la barella con adagiato il corpo inerte di Ian. Credeva che se solo avesse aperto bocca, se solo qualcuno l'avesse toccato, si sarebbe frantumato in pezzi crollando a terra.
E poi tutto aveva preso un ritmo accelerato, i secondi erano diventate ore, le persone attorno lui andavano e venivano senza quasi che le vedesse.
L'ospedale aveva chiamato la famiglia di Ian: la prima ad arrivare fu una donna d'affari avvolta in un tubino grigio e con un cellulare in mano. Doveva essere Fiona a giudicare da come gliela aveva descritta Ian: parlava gesticolando avanti e indietro per la sala d'attesa e ci mise un po' prima di chiudere la chiamata e sedersi di fianco a Mickey. All'inizio non gli rivolse la minima attenzione, ma dopo averlo guardato molteplici volte esclamò:'' Tu devi essere quello che ha portato qui mio fratello!''
Il suo tono di voce non gli piaceva: sembrava insieme una accusa e un rimprovero, quasi se la stesse prendendo con lui per quello che era successo.
''Sì sono io.'' Rispose fissandola provocatoriamente negli occhi.
Lei stava per replicare quando dalla porta di vetro dell'ingresso entrò il padre di Mickey accompagnato dal fratello, il quale camminava a testa bassa qualche passo indietro. Si diresse verso il figlio, che non si degnò nemmeno di guardarlo, ma anzi schivava la sua figura per cercare oltre di lui i medici che stava aspettando da ore.
''Alzati immediatamente.'' La sua voce era fredda e aspra.
''Lei deve essere il Signor Milkovich'' Fiona allungò una mano sorridendo:''Piacere, sono Fiona Gallagher. Suo figlio ha salvato mio fratello questa sera.''
Il Generale non sembrava così felice di fare la sua conoscenza e si limitò a guardarla con disprezzo, rivolgendosi nuovamente al figlio:'' Mickey.'' Facendo un cenno con la testa verso l'uscita.
''Non lo lascio.''
Il ragazzo premeva la fronte contro le mani appoggiate alle ginocchia ma le sue parole furono perfettamente udibili.
''Non credo di aver capito.''
Mickey si morse il labbro inferiore con rabbia e si alzò di scatto, trovandosi a pochi centimetri di distanza dal padre :'' Ho detto che non lascerò Ian qui da solo.'' Gli urlò in faccia:'' Perchè so. So che ci sei tu dietro tutto questo – gli puntò un dito addosso, la voce che iniziava a rompersi tra una sillaba e l'altra- e te la farò pagare. Ma ora Ian ha bisogno di me. E io sarò qui per lui. Non mi importa quello che pensi tu. - pronunciò l'ultima parola quasi fosse un insulto- o ognuno in questa stanza.
Il ragazzo che amo sta morendo e io non lo lascerò.'' Scacciò via con violenza le lacrime che bagnavano il suo volto.
Nella sala regnava ora il silenzio, interrotto solamente dal medico che giunse a passi misurati e con espressione grave in volto.
''Siete i famigliari di Ian Gallagher?''
Nel sentire questo Terry se ne andò, accompagnato da Joe.
''Sì siamo noi.'' Fiona si avvicinò invitando Mickey a fare lo stesso.
Eppure il ragazzo sembrava non poter nè voler sentire: vedeva le labbra dell'uomo muoversi ma non riusciva a sentire le parole che formulavano.
Scoppiò a piangere lì, senza nemmeno sapere come stesse succedendo, interamente scosso da singhiozzi e incapace di calmarsi.
Non riesco a sentirti cazzo.
Aiutami, aiutalo.
Qualcuno faccia qualcosa.


''Ci vuole tempo''
Un mese.
Un mese e ancora niente: ogni mattina si era svegliato con la speranza e ogni notte era lacerato da incubi che la uccidevano.
Non poteva fare niente e questo lo distruggeva ancora di più.
Non era servito stringerlo, parlargli, urlargli contro, sussurrargli frasi con dolcezza, supplicarlo, pregare.
Mandy gli aveva detto che le persone in coma a volte potevano destarsi se stimolate da qualcosa, un ricordo, una parola.
Aveva iniziato quindi a leggergli uno dei fumetti che gli piacevano tanto, commentandoli e ridendone perfino.
''Andiamo Ian svegliati, non puoi prenderti questo!''
Aveva guardato con sconforto il ragazzo immobile e ripreso:
''Beh vediamo se almeno nel prossimo capitolo ce la fa a non sembrare una checca.''

Ora tutto era diventato difficile.
Forse perchè non c'era più nulla da dire o provare.
Nulla.
Ed era questo stesso nulla che ora sembrava riempire Mickey: il vuoto che provava dentro si estendeva ormai ai suoi occhi, spenti e senza vita.
Stava svanendo lentamente.
Sapeva che se si fosse lasciato andare non sarebbe più tornato indietro, che se avesse continuato così sarebbe scoppiato.
Non ce la faceva più a vederlo in quello stato: il corpo debole pieno di ferite, la pelle violacea nei punto dove lo avevano colpito, gli aghi che gli entravano nelle vene, i tubi e tubicini ai quali era attaccato per rendere possibile una semplice azione quale respirare.
Si avvicinò al letto, abbandonando il volto sul cuscino, a poca distanza dalla sua testa: ''Ian'' Disse contro la federa in tono afflitto.
''Ian ti prego. Ti prego svegliati Ian.'' Stava piangendo.
Non si era mai permesso di piangere davanti a lui prima di allora; gli sembrava una sorta di resa.
''Ho bisogno della tua voce. Ho bisogno di sentire te.''
Gli prese la mano diafana e se la mise sopra il cuore, il viso stravolto dalla lacrime.

Bip
Una piccola pressione rispose a questo contatto: Mickey guardò incredulo le dita della mano di Ian che si piegavano piano attorno alle proprie, mentre le sue labbra si muovevano piano senza emettere suono.

Bip
Il ragazzo, incredulo per lo stupore, prese tra le mani il volto di Ian, la bocca che cercava di pronunciare una parola.

Bip
''Mickey.''

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***


La riabilitazione sembrava procedere positivamente: sebbene Ian fosse ancora costretto ad usare le stampelle per camminare, ogni giorno si dedicava alla fisioterapia senza mai lamentarsi nonostante il dolore evidente che essa gli causava.
Mickey sapeva che ce la stava mettendo tutta per riuscire ad essere presente ed in forma alla cerimonia dei cadetti che si sarebbe tenuta a settembre: l'autunno portava infatti giovani reclute e apriva le porte ad un nuovo inizio.
Il ragazzo dai capelli rossi si alzava all'alba, già pronto per incominciare ad esercitarsi quando Mickey lo raggiungeva con la colazione. A quest'ultimo non era più permesso dormire nella stessa stanza di Ian dal momento che si era ripreso, perciò tornava ogni sera in dormitorio e la mattina si ripresentava lì dove sapeva ci sarebbe stato il sorriso di Ian ad accoglierlo.
Una notte però, durante un temporale, era riuscito a sgattaiolare nella camera dell'ospedale per fare una sorpresa all'altro.
''Ian!'' Esclamò preoccupato sulla porta, vedendo il ragazzo rannicchiato su se stesso che si copriva la testa con il cuscino, scosso da brividi di paura: quello, non appena avvertì la sua presenza, si calmò lasciandosi scivolare tra le braccia di Mickey, che si distese vicino a lui sul lettino e lo cullò per il resto della nottata.
Non avevano mai parlato apertamente di quello che era successo, ma era certo che la pioggia gli ricordasse la notte in cui l'aveva portato in ospedale.
Da allora, ogni qual volta piovesse, egli si presentava sulla soglia della porta e trovava Ian ad aspettarlo con le braccia tese verso di lui e uno sguardo implorante in volto.
Mickey, d'altra parte, aveva il bisogno fisico di stringere a sé l'altro, di sentire l'aria uscire dalla sua bocca contro la propria pelle senza l'aiuto di nessun macchinario, di percepire le sue labbra scorrere dolcemente sul proprio petto, di passare le dita con delicatezza lungo il suo corpo per accertarsi che tutto andasse bene.
Nel tempo che gli era stato concesso per visitare Ian, Mickey aveva incontrato solamente in due occasioni i suoi fratelli accompagnati ogni volta da una persona diversa: i due sembravano molto preoccupati, nonostante non sapessero del suo coma o del motivo per il quale era stato ridotto in quelle condizioni.
Erano molto legati e al ragazzo dai capelli rossi faceva piacere sentire i racconti su come andavano le cose a casa, le storie di Debbie sui vicini o le malefatte di Carl, che rideva nascondendo il capo nell'incavo del collo del fratello.
Una volta Debbie aveva puntato un dito verso Mickey, che in quell'occasione si era ritirato in un angolo della sala d'attesa, ma che risultava ben visibile dal letto di Ian:'' E quello chi è?''
Quello allungò la testa accennando ad un sorriso:'' E' il ragazzo che mi ha salvato.''
''E cosa ci fa ancora qui, stai meglio no?''
''Continua a salvarmi ogni giorno.'' Disse sprofondando tra i cuscini e fissando Mickey che, seduto in maniera scomposta, stava sfogliando distrattamente una rivista.


Terry Milkovich stava sistemando delle carte sulla scrivania quando il figlio Joe bussò alla porta del suo ufficio:'' Volevi parlarmi?''
''Sì, c'è una questione piuttosto urgente che va sistemata.'' Disse il Generale facendogli cenno di sedersi su una delle due sedie di fronte a sé.
''Si tratta di Mickey.''
Il ragazzo prese posto stringendo le labbra nell'udire il nome del fratello.
''I provvedimenti che abbiamo preso sino ad ora non hanno portato ad alcun risultato.''
Joe abbassò il capo: gli occhi di Terry sembravano indagare la sua mente e scovare l'esitazione che aveva avuto mentre lui e gli altri picchiavano Ian.
''Stai diventando come lui.
Ti stai rammollendo.'' Proferì in tono dispregiativo, sputando le parole una dopo l'altra.
Si alzò di scatto:''Non''
Si mise davanti al figlio tirandogli uno ceffone in pieno volto.
''Ti permetterò'' seguito da un altro schiaffo.
''Di rovinare tutto.'' La terza sberla lasciò un segno rosso sulla guancia di Joe che rimase seduto composto senza emettere alcun suono.
''Ti ho insegnato la disciplina, l'ordine. Ed è così che mi ripaghi?''
Lo guardò negli occhi.
''Vuoi fottere qualche ragazzo anche tu?''
Non rispose.
''RISPONDI SOLDATO.''
''No signore.''
''Hai intenzione di ubbidire ai miei ordini?''
''Sì, signore.''
''Dimostra per una volta di essere mio figlio.''
Il Generale si allungò verso un cassetto dal quale estrasse una calibro 45 che fece scivolare verso Joe lungo la scrivania.
''E questa volta vedi di non esitare.''


Era pomeriggio quando Mickey fece capolino nella stanza di Ian, il quale gli dava le spalle, affacciato alla finestra e intento ad osservare il cortile dell'ospedale immerso nella luce del sole estivo.
Il ragazzo si avvicinò silenziosamente fino a stringere tra le mani i manubri della sedia a rotelle su cui era seduto l'altro, sussurrandogli all'orecchio:'' Che ne dici se ti porto fuori?''
Ian, destato dai suoi pensieri, sobbalzò al suono della sua voce ma accolse l'invito con un sorriso e la gioia negli occhi; insistette inoltre per prendere le stampelle, con l'intenzione di mostrare a Mickey quanto era migliorato durante quelle settimane.
Quest'ultimo spinse la carrozzina fino all'ingresso, seguendo poi un sentiero di ghiaia che conduceva ad un giardino con due salici piangenti alle estremità: quel luogo era uno dei pochi del campus in cui la vegetazione cresceva spontaneamente in modo tale che la zona risultasse tranquilla e isolata.
Una volta giunti al limitare del cortile, Ian fece segno all'altro di fermarsi:
''Ti faccio vedere una cosa.'' Si girò per prendere le stampelle da dietro la carrozzina e le strinse forte tra le mani sotto lo sguardo dubbioso e insieme preoccupato di Mickey.
Appoggiò la gamba sana sul prato e tenendo sospesa l'altra si sollevò aiutandosi con le stampelle.
''Visto?'' Guardò con aria fiera e con un sorriso stampato in volto il ragazzo dagli occhi azzurri che sembrava pronto a soccorrerlo da un momento all'altro.
Si diresse zoppicando verso uno degli alberi lì vicino: ogni passo richiedeva uno sforzo immane ed era perciò grato di dare le spalle a Mickey il quale non poteva così accorgersi della sofferenza sul suo volto.
Si trovava ormai a pochi metri dal tronco dell'albero quando scivolò e cadde ritrovandosi a terra.
Mickey, che l'aveva seguito con lo sguardo per tutto il tragitto, corse velocemente verso di lui:'' Ian stai bene?'' chiese accucciandosi di fianco al ragazzo che giaceva supino.
Questo non aprì bocca, ma facendo leva sul braccio destro si alzò a sedere.
Mickey si allungò per aiutarlo ma si bloccò alle parole:'' Faccio da solo.''

L'altro i aggrappò alla corteccia con le mani e si issò con l'aiuto della gamba sana contro il tronco: aveva il respiro accelerato e un rivolo di sangue sgorgava dal ginocchio che si era sbucciato.
''Lascia che...'' Mickey non sapeva come soccorrerlo.
''Ce la...'' Disse con voce strozzata l'altro.
''Faccio.'' Concluse, appoggiato ora interamente contro il tronco.
Mickey lo squadrò da capo a piedi, indeciso se tornare indietro a riprendere la sedia a rotelle o meno, quando lo vide spostare la gamba malata e quasi cadere: prima che potesse succedere si avvicinò a lui in maniera da premere il proprio petto contro il suo e tenerlo in equilibrio tra le braccia.
''Vacci piano, army.'' disse sorridendo.
Ian alzò il mento, osservando i lunghi rami ricchi di foglie dalle quali filtrava la luce del sole: sentì una lacrima scendere silenziosa lungo la sua guancia e attraversare il collo; il proprio petto iniziò poco dopo a sobbalzare senza che lui potesse avere il minimo controllo su di esso o sul nodo che si era formato nella gola.
''Non...''
La voce di Ian si spezzò.
''Non ci riesco Mickey.''
Silenzio.
''E se tu non mi vuoi...''
Inspirò
''Io non...''
Mickey affondò il proprio viso nella clavicola dell'altro aderendo al suo corpo.
''Ian...'' Sospirò scuotendo il capo.
Mise una mano attorno al suo collo e si allungò verso le sue labbra: la bocca dell'altro accolse la sua lingua in un gesto di disperazione, avvolgendo intorno la propria e lambendola accanitamente. Aveva bisogno di quel contatto fisico, di sentire Mickey così intimamente: la lingua calda sulla sua, l'aroma che gli pervadeva il palato, i respiri che si intrecciavano e le pelli che si sfioravano. Non gli permise di staccarsi nemmeno per un attimo afferrandolo per il bacino e stringendolo a sé.
Mickey si fermò solamente per avvolgere le braccia intorno alle gambe e alla schiena di Ian e sollevandolo portarlo in braccio in un punto del prato in cui l'erba era più fitta, dove poi lo adagiò con delicatezza.
Ian cercava in continuazione gli occhi azzurri dell'altro, incapace di distogliere lo sguardo dal suo volto nemmeno quando sentì il proprio corpo aderire al terreno. Mickey si era chinato per per mettergli di stendersi comodamente, ma Ian, che teneva le braccia intorno al suo collo, fece in modo che si piegasse fino a raggiungere le sue labbra per sfiorarle nuovamente con le proprie.
Mickey sorrise e si ritrasse di poco, appoggiando la fronte contro quella dell'altro e sospirò solleticando con l'aria la guancia di Ian.
Nonostante quest'ultimo lo trattenesse sopra di sé, il ragazzo si liberò dalla stretta e si distese di fianco a lui piegando una gamba e mettendo un braccio dietro alla propria testa per fissare il cielo.
Ian fece altrettanto, coprendosi gli occhi: sentiva il tepore del sole riscaldare la propria pelle, mentre braccia e gambe erano solleticate dall'erba che lo circondava.
Cercò la mano di Mickey e la circondò con le dita, intanto che con l'altra si schermava la fronte sfiorando la benda che gli avvolgeva la testa: così immobile quella garza sembrava essere l'unica cosa fuori posto.
Mickey aveva notato l'espressione angosciata sul suo volto:''Va tutto bene.'' Disse.
Ian annuì aumentando la stretta nella sua mano.
''Va tutto bene.''


''No.'' Joe distolse lo sguardo dalla pistola argentata a pochi centimetri di distanza.
''Come hai detto?'' Sibilò in Generale.
''Pensi davvero che farei questo a mio fratello? A tuo figlio?''
''Lo hai già fatto. O te ne sei dimenticato?''
Il ragazzo abbassò la testa sapendo che aveva ragione: era colpevole quanto gli altri, se non ancora di più.
''Non intendo ripetere questo sbaglio.''
Si alzò dalla sedia con veemenza:'' E non troverai nessun altro disposto ad assecondare le tue idee malate.'' Urlò andandosene.
Terry rimase a fissare il vuoto lasciato dal figlio, immerso nel propri pensieri: prese la pistola rigirandosela tra le mani.
''Vorrà dire che ci penserò io.''


                                                                                                                    ***

Il giorno della cerimonia rappresentava una tradizione al campus: docenti, famiglie e alunni si radunavano nello spiazzo centrale circondato da edifici, dove ogni anno veniva allestito un palco per la premiazione dei cadetti e sistemate numerose file di panche.
Gli allievi di West Point erano tenuti ad indossare la divisa ufficiale per l'evento che durava dalla mattina fino a sera e si concludeva con un consueto spettacolo di fuochi d'artificio.
Ian si stava provando l'uniforme per l'ennesima volta quella sera guardandosi con ansia allo specchio e controllando che tutto fosse in ordine mentre Mickey lo osservava divertito dal letto:'' Se continui così domani sarà tutto rovinata.''
''Stai zitto.'' Rispose l'altro fingendosi offeso.
Quasi tutti i compagni di stanza di Ian erano usciti a festeggiare l'ultimo giorno all'accademia, perciò avevano piena libertà quella notte.
''Che te ne pare?'' Chiese girandosi di fronte a Mickey.
''Mi pare.'' Disse quest'ultimo passandosi la lingua sulle labbra :'' Che tu sia un po' troppo vestito.''
Allungò il braccio verso la cravatta di Ian e la strattonò in modo che egli si piegasse sopra di lui: aprì le gambe e il suo corpo vi scivolò in mezzo distendendosi poi sul suo torace.
''E' la nostra ultima notte qui. Tanto vale godersela.''

Ian si svegliò all'alba, le braccia avvolte intorno a Mickey che gli dava le spalle:
''Hey, è ora di alzarsi.'' Gli sussurrò all'orecchio.
Quello emise un lamento e premette la faccia contro il cuscino, deciso a rimanere a letto.
''In piedi solato.'' Gli urlò ridendo l'altro, tirandogli via le coperte e guardando il suo corpo nudo disteso sul letto.
''Se vuoi possiamo fare un altro round..'' Propose.
''Devo ancora riprendermi da questa notte.''
Il ragazzo si mise a sedere rassegnato, passandosi una mano sui capelli spettinati e lungo il volto stanco.
Ian aveva già iniziato a prepararsi, raccogliendo i vestiti disseminati sul pavimento.
Mickey si diresse verso il proprio dormitorio per prendere a propria volta la divisa, che indossò contro voglia per poi tornare da Ian.
L'espressione del ragazzo dai capelli arancioni si riempì di stupore non appena vide l'altro: sembrava nato per portare l'uniforme, la quale gli conferiva un atteggiamento maturo e un fascino particolare.
Si avvicinò per sistemargli il nodo della cravatta, ridendo quando alzò gli occhi azzurri al cielo.
''Possiamo andare?'' Chiese prima che potesse mettersi a lucidargli le scarpe.
Non che fosse contento di prendere parte a quella manifestazione, alla quale gli anni precedenti aveva accuratamente evitato di assistere; Ian, d'altra parte, sembrava considerarla un evento importante, perciò l'avrebbe accompagnato.
Poteva sempre proporgli di evadere e tornare in camera.
Si avviarono verso il punto di ritrovo, raggiungibile solamente attraverso la strada principale: avevano appena iniziato a scorgere il palco in lontananza quando Mickey fermò Ian:
''Aspetta..''
Lo prese per un braccio e si mise davanti a lui fissandolo dritto negli occhi:'' Ti devo dire...''
Ian sbattè le palpebre per un secondo.
Un respiro.
Un infinitesimale lasso di tempo.
Non comprendeva perchè avesse smesso di parlare: Mickey lo stava guardando ora con occhi pietrificati, l'azzurro di poco prima stinto e cereo.
Perchè stava cadendo all'indietro?
Ian impiegò qualche attimo a realizzare che il proprio volto era imbrattato di sangue.
Non capiva da dove provenisse.
Troppo sangue.
Non si arrestava più.
La divisa dell'altro si tinse di rosso.
Il cuore di Ian batteva velocemente, il sangue sbatteva contro arterie e vene: fermati.
Ne ha bisogno Mickey.
A me non serve.
Datelo a Mickey.

Mise le mani sopra il suo cuore: il liquido rosso sgorgava caldo e denso; presto la propria pelle si colorò di magenta.
Perchè non smetteva di uscire? Non ne sarebbe rimasto più.
Una pozza vermiglia si era creata sotto di lui mentre in ginocchio da solo cercava di arginare con gesti disperati quel liquido rosso che non voleva tornare al suo posto.
No, deve tornare al suo posto.
Tornerà al suo posto.
Mickey tentò di parlare ma il sangue iniziò a fuoriuscire a fiotti anche dalla sua bocca, lo sguardo vitreo incapace di vedere.
Tornerà al suo posto.
Ogni respiro sembrava annegarlo.
Per un attimo il ragazzo sembrò ritrovare la lucidità: guardò Ian con sconforto, sapendo che quella sarebbe stata l'ultima immagine che avrebbe avuto di lui.
Ian prese il suo volto tra le mani, mentre l'altro tossiva sangue tra le sue dita nel tentativo di comporre una frase.
''Sistemeremo tutto.'' Mickey annuì mentre le lacrime gli rigavano le guance.
Va tutto bene.''

''Va tutto bene.''
 

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Capitolo 9
*** Epilogo ***



La fredda aria di ottobre si insinuava nei vestiti di Ian, costringendolo a stringersi nella giacca grigio scuro e ad affondare il volto nella sciarpa che gli avvolgeva il collo, le mani in tasca ed il cappuccio alzato a nascondere i capelli arancioni.
La via che stava percorrendo brulicava di persone, che il ragazzo seguiva noncurante e senza una meta; niente sembrava essere in grado di attirare la sua attenzione: non le risate dei bambini che giocavano a tirarsi palle di neve, né i negozi colmi di zucche e addobi, nè il profumo che si disperdeva dalle bancarelle improvvisate dei venditori ambulanti; almeno fino a quando non vide dall'altro lato della strada un ragazzo dai capelli neri e un guizzo azzurro negli occhi.
Mickey.
Si fermò con il cuore in gola, paralizzato dall'incredulità.
Le labbra si contrassero in un sorriso, un gesto ormai innaturale e rigido.
Attraversò la strada senza pensarci con il rischio di essere investito da un'auto che stava passando per la corsia: l'autista gli urlò contro qualcosa, ma egli si trovava già nel marciapiede opposto, diretto verso di lui.
Solamente poche falcate lo dividevano ormai dal ragazzo.
''Mickey.'' Pronunciò con tono affettuoso.
Non lo vedeva da così tanto...
L'altro non si voltò né gli diede retta.
''Mi dispiace ok?''
Perchè non si volta?
Sentì una fitta al cuore mentre i propri occhi diventavano lucidi.
''Quante volte vuoi che ti chieda scusa dannazione?'' Gli urlò contro.
Le persone intorno a lui lo guardarono turbate, allontanandosi in fretta e lasciandolo solo in mezzo alla via; il ragazzo dagli occhi azzurri si era fermato, attirato dal grido, con un'espressione di disprezzo in volto.
''Mi dispiace.'' Sussurrò Ian con voce spezzata.
Fissandolo più attentamente si accorse però che quelle iridi erano di un colore sbagliato, scuro e sconosciuto; i capelli neri non erano gli stessi che aveva stretto tra le mani né le labbra erano quelle che aveva baciato.
Non era la persona che aveva amato.
Non era Mickey.
Perchè Mickey non c'era più.


Il funerale si era tenuto durante un pomeriggio autunnale immerso in un clima surreale: un cielo plumbeo avvolgeva il cimitero di lapidi bianche, tinto da un insolito manto di foglie gialle ed arancioni che scricchiolavano quando venivano calpestate.
Ian non capiva quale delle due tonalità di colore lo nauseasse di più: mentre camminava per il viale ghiaioso fissava con disgusto quei colori accesi e vitali, così inopportuni se giustapposti alla bara di legno lucido che sei persone stavano trasportando attraverso il sentiero. Dietro di loro procedevano pochi famigliari tra i quali riconobbe il fratello e la sorella di Mickey, stretta ad un altro giovane che doveva essere il maggiore dei quattro.
Alla vista del feretro, nonostante si fosse tenuto a distanza dalla processione, Ian ebbe un conato di vomito; nella sua mente l'unico pensiero era Mickey chiuso in quella cassa.
Cercò però di scacciare quella sensazione e quelle idee, deciso a restare accanto a lui fino alla fine.
Continuò dunque a seguirli con lo sguardo da lontano e volutamente in disparte, sollevato per il fatto che Mandy non avesse organizzato una cerimonia sfarzosa, rifiutando ogni commemorazione ufficiale che il campus aveva imposto: il fratello aveva sempre detestato quel luogo e non voleva che nemmeno una parte di esso fosse presente in quell'occasione.
Si fermarono nei pressi di una lapide semplice in marmo bianco, circondata da un prato ricoperto di foglie, sulla quale erano incise due date e un nome; davanti ad essa una buca profonda pochi metri aspettava di accogliere la bara di Mickey.
Ian potè solo intravederla dal luogo in cui si trovava, ma gli fu sufficiente per provare di nuovo una senso di vuoto allo stomaco e alla testa: si voltò tentando di concentrarsi su qualsiasi cosa che non fosse il funerale di Mickey.
Solo per un attimo.
Tutt'intorno lo circondavano lapidi bianche: arrancò verso un albero vicino, accasciandosi contro di esso e annaspando in cerca di aria mentre quelle tombe sembravano estendersi a perdita d'occhio: tutte con la stessa data, tutte con lo stesso nome.


                                                                             

                                                                                 Mickey Milkovich
                                                                                     10.08.1994
                                                                                     12.09.2015






Ian vagò per ore senza pensare a dove si stesse dirigendo.
Si fermò solamente al limitare di una chiesa, non avendo la più pallida idea di come ci fosse arrivato.
Era stato solamente una volta in quel luogo eppure il ricordo di esso era impresso nella sua mente: seguì lateralmente il profilo dell'edificio fino ad arrivare ad un cancello nero, che cigolò quando lo aprì.
La luce pallida del sole autunnale illuminava quell'ambiente, conferendogli un clima tranquillo e sereno, avvolto nella propria immobilità da un sottile e candido strato di neve.
Il ragazzo percorse con calma il viale, lasciandosi guidare dai propri passi che si diressero senza indugio lungo l'ala sinistra del cimitero.
Il panico che lo aveva attanagliato l'ultima volta sembrava svanito, o semplicemente nascosto in profondità, coperto da un fragile strato di autocontrollo.
Si arrestò di fronte ad una tomba in particolare, fissando eppure non riuscendo a focalizzare le lettere incise su di essa; si avvicinò per spazzare via con la punta delle dita la patina leggera di neve che la ricopriva e la aggirò, dando le spalle alla parte frontale e sedendosi con la schiena contro la lapide.
Abbandonò il capo contro il marmo freddo, gli occhi volti al cielo mentre svuotava lentamente il contenuto delle tasche spargendolo sul prato velato di bianco: trattenne solamente il cellulare nella mano, indeciso se comporre il suo numero o meno.



Qualche giorno dopo il funerale, Mandy Milkovich si era presentata a casa sua con una scatola tra le braccia:'' Ciao Ian.''
Era chiaramente provata: due occhiaie le rigavano il volto smunto, circondato da capelli disordinati e sfibrati. Ian non sapeva se le avrebbe fatto piacere tuttavia le chiese: ''Vuoi entrare?'' Con sua grande sorpresa lei annuì, stringendosi nelle spalle e farfugliando un grazie.
Il giovane dai capelli rossi la osservò mentre prendeva posto sul divano, stringendo la scatola in grembo in modo protettivo; si sedette a sua volta vicino a lei con le mani giunte, aspettando che iniziasse a parlare.
''Credo dovresti averla tu.'' Esordì tutto d'un fiato, dopo un breve silenzio, porgendogli il contenitore.
Ian lo afferrò delicatamente con espressione confusa senza sapere cosa fosse o perchè lo stesse dando a lui:'' Sono i suoi effetti personali del campus.'' aggiunse lei. L'altro fece per aprirlo ma la ragazza lo fermò, bloccandolo con le dita magre:'' Aprila quando sarai solo.'' Sebbene la sua voce fosse flebile, la determinazione era chiaramente leggibile nei suoi occhi: Ian li fissò intensamente, senza aver mai notato prima quanto essi assomigliassero a quelli di Mickey.
Strinse le dita attorno alla sua mano, rivolgendole uno sguardo comprensivo e insieme malinconico, con la consapevolezza di condividere lo stesso dolore.
Parlarono poi per ore dei più svariati argomenti, anche se il più frequente era Mickey: Ian aveva un bisogno disperato di sentire racconti su di lui, storie di un passato in cui era reale; poneva perciò senza sosta domande a Mandy, la quale sembrava conoscere il fratello più di se stessa.


Quella stessa sera Ian si mise seduto sul letto, fissando la scatola verde pallido che gli stava davanti, quasi potesse vedere attraverso essa.
Riflettè a lungo sulla decisione di aprirla o meno, vinto infine dalla curiosità e dalla speranza che dentro ci fosse qualcosa che avrebbe guarito – anche solo in parte- la ferita che lo lacerava interiormente.
Sollevò il coperchio a poco a poco, sbirciando con gli occhi la fessura che si allargava sempre di più e lasciava intravedere il suo contenuto.
Un giovane Mickey gli sorrideva da una foto in bianco e in nero, la prima tra tante disseminate nel contenitore: la prese con cautela tra le dita, avido di sfamare il desiderio di quel volto; l'espressione stupita e al contempo divertita mentre rivolgeva il proprio sorriso alla fotocamera.
Ian si stese lungo il letto, rannicchiandosi di lato e guardando l'immagine alla luce fioca della abatjour: passò il proprio pollice sulla piccola fronte di Mickey, quasi potesse sentire la pelle sotto il polpastrello.
Lacrime silenziose scesero lungo le sue guance, offuscando la vista della fotografia.
Allungò il braccio verso il comodino per prendere il cellulare: seppur conscio di quanto stupido e irrazionale potesse sembrare quel gesto, non potè impedirsi di comporre il numero del ragazzo che gli sorrideva dal palmo della sua mano.
Appoggiò il telefono vicino all'orecchio, trattenendo il respiro tra un suono d'attesa e l'altro, con la speranza di sentirlo rispondere che via via scemava. I minuti passavano eppure non riusciva a riattaccare.
''Solo un altro.'' Continuava a ripetersi.
Chiuse gli occhi umidi, annegando piano in quell'oceano di silenzio assordante interrotto solamente da brevi squilli.
''Se non vi rispondo ci sarà un motivo, no?
Ah. E in caso non ve lo avessi detto: fottetevi.''
La voce di Mickey invase completamente il cervello di Ian e trasmise una scarica di adrenalina per tutto il suo corpo; il ragazzo impallidì in volto mentre l'aria gli si bloccò in gola, incapace di uscire o entrare. Si alzò di scatto tremante, le pareti della stanza che vorticavano attorno a lui. A causa del movimento improvviso il cellulare era caduto tra le coperte, la foto ancora stretta nella propria mano: cercò con smania il telefono, terrorizzato all'idea di perdere il contatto con quella voce. Quando lo ritrovò la linea era ormai caduta, portando via con sé quel suono che credeva non avrebbe sentito mai più.
Ian lasciò cadere la foto sopra le altre, portandosi una mano al cuore e ripiegandosi su se stesso a causa del dolore che stava percorrendo a spasmi le proprie ossa: gli sembrava di essere solamente lo scheletro della persona che era un tempo, privato di emozioni e di vita.
Perchè per quanto cercasse di non pensarci, il fatto che Mickey fosse morto lo stava uccidendo, come un parassita annidato nella carne in attesa di contaminarla e distruggerla pezzo per pezzo.

Capovolse la scatola con rabbia, sparpagliando il contenuto sul letto: le foto rotearono per aria fino a posarsi disordinatamente sul letto, seguite poi da un oggetto più grande che cadde con un suono sordo.
Davanti ai suoi occhi, un giubbotto militare stinto e sfilacciato.
Ian lo afferrò sorpreso avvolgendo attorno ad esso le dita:lo premette sul proprio volto, in maniera che le narici potessero respirare l'odore di Mickey che quell'indumento aveva conservato.

Scoppiò a piangere contro quel tessuto ruvido, incapace di controllarsi: dalla sua gola proruppero singhiozzi simili a conati, quasi a voler rigettare il dolore fuori perchè dentro ce ne era troppo.
Tutta la sofferenza che aveva represso scaturiva ora senza freni, travolgendolo con il proprio impeto. Spinse con forza il volto contro il giubbotto, nella speranza di interrompere quell'onda nera che lo stava sommergendo: si aggrappò a quella giacca come se fosse un'ancora in quel liquido fluido scuro e fu in quel momento che si accorse di una via di fuga da esso, nascosta nella tasca destra del giubbotto che stringeva convulsamente.




 

Aveva chiesto a Mandy di conservare quel cellulare:'' Solo per sentire la sua voce.'' Aveva detto con voce sommessa.
Lei lo aveva guardato con rassegnazione mista a costernazione, sapendo di non potergli negare quella richiesta.
Premette il tasto di chiamata.
Contò i 10 squilli che lo separavano ogni volta da quel messaggio dalla durata di pochi secondi, sentendosi sollevato ogni volta che udiva quelle parole ormai familiari. Prese da terra l'oggetto che teneva in tasca, lo stesso che aveva trovato chiuso nello scomparto del giubbotto di Mickey qualche giorno prima. Vicino ad esso giaceva la sua foto in bianco e nero.
Appoggiò il cellulare a terra prendendo invece in mano la fotografia e fissò la frase che scritta sul retro.
''Promettimi che starai attento eh?'' Sussurrò con rabbia scuotendo il capo.
''Promettimi che...''
Si alzò con rabbia stringendo la pistola nella mano destra e si posizionò nuovamente davanti alla lapide.
''Guarda cosa è successo!'' Urlò, agitando l'arma contro il nome inciso sulla lapide.
''Sei contento eh?''
''Io sono solo.''
''SOLO.'' Gridò passandosi una mano tra i capelli mentre camminava velocemente avanti e indietro lungo la strada.
''Non sono nemmeno riuscito a dirti che ti amo.'' La voce lo abbandonò nell'ultima parte della frase, disperdendosi nell'aria in un suono fioco.
''Io ci ho provato Mickey.
E voglio che tu lo capisca.'' Riprese, volto ora verso la lapide.
''E so che mi prenderesti a calci nel culo'' Rise amaramente tra sé a quel pensiero:''Ma io non ce la faccio ad andare avanti così. Non senza di te.''
Farfugliò tra le lacrime:''Come può una persona vivere se si sente morire ogni giorno?''
Trovò solo il silenzio a rispondergli.

Ian tolse la sicura e si portò la pistola alla tempia: strano come fosse sottile il confine tra vita e morte, facilmente valicabile con la minima pressione dell'indice.
La fredda bocca dell'arma premeva contro la pelle, pochi centimetri a separare il proiettile dalla carne.
Tutto era immobile intorno a lui, cristallizzato in un preciso attimo nel quale Ian era vivo e respirava.
Un colpo ruppe l'equilibrio perfetto che si era creato, come uno specchio frantumato in mille pezzi.
L' attimo dopo il suo corpo stava cadendo sopra la tomba di marmo bianco, tingendola di rosso scarlatto.
La foto che poco prima teneva in mano lo seguì lentamente, trasportata dal vento. Si posò vicino alla sua mano, con l'immagine rivolta verso il basso mostrando delle parole che il ragazzo aveva scritto con cura in corsivo.


La verità è che io ho amato Mickey e Mickey ha amato me e che noi ci siamo amati troppo per questo mondo.







 

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